Scarica sociologia della comunicazione e dei media digitali e più Appunti in PDF di Sociologia Della Comunicazione solo su Docsity! REGISTRI DELLA COMUNICAZIONE Secondo Morris, linguista del 1939, parlare di comunicazione significa ragionare su 3 livelli/registri: 1. Livello sintattico: riguarda la trasmissione e la struttura del messaggio Il livello sintattico è quello più tecnico della comunicazione, quello che guarda la comunicazione da un punto di vista più astratto, è interessato all'aspetto comunicativo, cioè studia proprio come funziona meccanicisticamente la comunicazione. Alla base c'è la teoria matematica del libro del 1949 di Shannon e Weaver che affronta, da un punto di vista tecnico, il problema di trasmettere un’informazione da un punto ad un altro con meno dispersione possibile del messaggio. Come? L'informazione è una varietà codificata, l’importante è che sia esprimibile quantitativamente. Il problema in questa teoria è il rumore, che è una varietà non codificata, qualcosa che si inserisce e che produce disturbo nella comunicazione, facendo sì che il destinatario non capisca. Eliminare il rumore significa creare dei metodi che permettano di trasmettere un’informazione con meno distorsione possibile. Questa teoria introduce il concetto di informazione come elemento di passaggio da due punti. Tutto questo si vede nel modello grafico della comunicazione che contiene tutti gli elementi tecnici fondamentali per la comunicazione→ da una parte si ha una fonte dell’informazione che deve trasmettere un particolare messaggio attraverso il trasmittente e dall’altra il destinatario dell’informazione che deve ricevere questo messaggio attraverso il ricevente. La fonte manda un messaggio attraverso il meccanismo dell’encoding, cioè lo codifica, che arriva al destinatario attraverso un canale (connessione). Quando arriva il messaggio, il ricevente lo decodifica. Inoltre, il trasmittente produce un segnale, cioè ciò che viene veicolato è la trasmissione di quegli elementi che la fonte ha codificato, che poi verranno ritrasformati dall’altra parte. Fondamentalmente questa teoria ha a che fare col fatto che il segnale di partenza sia il più possibile uguale a quello ricevuto, ma nel canale ci può essere del rumore e quindi il messaggio potrebbe arrivare distorto. L’informazione è la misura della libertà di scelta rispetto alla costruzione di un messaggio. Più libertà di scelta c’è, più il messaggio sarà informativo, mentre, più prevedibilità c’è, più sarà bassa l’informazione (es. se sono in un posto dove generalmente piove, non è informativo dire che piove). L’informazione ha a che fare con l’imprevedibilità della comunicazione. L’informazione è direttamente proporzionale all’entropia (=disordine), più ordine c’è, meno informazione c’è. Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma→ se metto in ordine da una parte produco disordine dall’altra. Questa teoria nasce in ambito tecnico e viene poi applicata all’ambito della comunicazione umana e qui c’è il primo problema/distorsione, perché la comunicazione umana non avviene con questi presupposti tecnici, ma va al di là del fatto che il segnale arrivi correttamente, è molto più ampia, attiva un processo di significazione (che cosa voleva dirmi). 2. Livello semantico: riguarda il significato, ha a che fare con il rapporto tra significato e significante (es. bandiera= oggetto concreto con più significati); i segni assumono significati ben specifici in contesti culturali determinati e possono cambiare nel tempo. È il livello di significazione → ha a che fare con i significati e ha a che fare con l’attribuzione di senso al messaggio da parte del destinatario. Si occupa di come il destinatario attribuisce un significato al messaggio che gli arriva. 1 Che cosa c’è di significativo nel messaggio per me (ha a che fare con i livelli di interpretazione del messaggio). La dimensione culturale in cui viviamo fa sì che ci sia la possibilità di attribuire significati da parte del destinatario molto simili rispetto a quelli che il mittente aveva attribuito al messaggio. Basta cambiare codici e contesti culturali e il messaggio potrebbe essere interpretato in maniera scorretta. Le categorie fondamentali quando parliamo di semantica sono: Segno, codice, significato, comprensione. Segno→ ogni cosa che può essere assunta come un sostituto che significa qualcos’altro, che vuol dire qualcos’altro. [Es. L’oggetto potrebbe essere una rosa a cui possono essere attribuiti diversi significati.] Il nostro mondo è pieno di segni che possono significare qualcos’altro. Ogni segno è fatto di un significante a cui viene attribuito un significato nel contesto d’uso. L’oggetto è il significante. Dato che i significati sono sempre legati ai segni, c’è il rischio che anche le intenzioni siano indipendenti dal mittente. La semantica spiega come un grande potere è nelle mani di chi produce il significato cioè del destinatario, che può essere molto scollegato dalle intenzioni del mittente Il segno è il collegamento tra il significante e il significato, cioè tra il piano dell’espressione e quello del contenuto. È la differenza tra cosa e come. In ogni segno abbiamo un rapporto molto stretto tra piano del contenuto e piano dell’espressione che viene disambiguato nel momento in cui c’è qualcuno che interpreta ed attribuisce un solo significato al segno. Si ha un segno quando per convenzione qualsiasi segnale viene istituito da un codice come significante di un significato (es. semaforo). Non è un caso che tutti i simboli utilizzati sulla strada siamo stati obbligati a comprenderli quando abbiamo studiato per prendere la patente, significati che naturalmente non sono così intuitivi. Per la semantica è importante che i partecipanti alla comunicazione condividano un codice, così che l’interpretazione dei messaggi è corretta. Questo codice ha a che fare con il linguaggio, ma non è un linguaggio, è l’ibridazione tra linguaggio e contesto. Si può anche parlare una lingua diversa, ma avere un codice (di esperienze e contesti) comune. Il codice→ secondo Umberto Eco è un sistema strutturato di segni che hanno delle regole, delle relazioni tra di loro. Ogni segno ha un significato che emerge dal codice, ossia dalla relazione con gli altri segni. La conoscenza è la capacità di riconoscere qualcosa che prima era sullo sfondo. Questo è il modo in cui funzioniamo quando ci relazioniamo con gli altri. Un segno produce significati perché si stacca dagli altri segni per differenza (es. il rosso è il non verde nel semaforo). La dimensione semantica ha a che fare con la dimensione espressiva e sociale del linguaggio. Quindi guardando la comunicazione da questo punto di vista ha a che fare con lo scambio di significati. La semantica ci dice che lo scambio di significati avviene all’interno di un contesto comune. Comunicazione vuol dire, secondo la semantica, stare nella “cosa pubblica” e dar vita a dei significati. L’evoluzione della società porta al cambiamento dei significati. Ma, nella comunicazione c’è anche un modello di potere. La comunicazione è un fatto altamente improbabile: è un caso il fatto che ci capiamo. Ciò che invece è sempre possibile è il fraintendimento. Ci sono una serie di cose non comunicabili, che costruiscono dei mondi in noi, che noi non sappiamo e che portano nella comunicazione le cose a 2 - Contatto corporeo (es. dare la mano) - Comportamento spaziale - Aspetto esteriore - Fenomeni paralinguistici 5. Tutti gli scambi comunicativi possono essere simmetrici (i comunicanti sono sulla stessa posizione comunicativa. es. rapporto di coppia/ amicizia) o complementari (un comunicante è one-up, l’altro è one-down. es. prof/alunno, genitore/figlio piccolo). Il fatto che una comunicazione sia simmetrica o complementare è definito dal ruolo comunicativo, dalla situazione. Quando queste situazioni diventano patologiche si creano due fenomeni: - Escalation simmetrica→ competitività- rifiuto del se dell’alter. Es. nella coppia in teoria la situazione è simmetrica, ma se uno dei due tende ad essere competitivo e vuole prevalere si crea un’escalation simmetrica, quindi si cerca di prevalere l’altro e viceversa - Complementarietà rigida→ disconferme del se dell’altro: quando uno dei due è one-up e non si rende conto di mettere l’altro nella posizione di one-down Questi cinque assiomi/regole sono alla base della comunicazione Nell’evoluzione della società c’è una rispettiva evoluzione della comunicazione (evoluzione che parte dall’oralità, passa alla scrittura, alla stampa e ai media), che ha a che fare con la nascita dei mezzi di comunicazione di massa. Oggi quando un bambino nasce si trova immerso nella comunicazione. una serie di invenzioni pregresse (es. stampa) Dunque, i media sono parte del percorso evolutivo dell’umanità, ma noi tendiamo a pensare che le cose come sono adesso sono sempre state così, non consideriamo il percorso evolutivo. Ma è importante conoscere la storia per capire cos’è la società. Ci sono una serie di tematiche riguardo ai media che ci dicono che i media sono evoluti nel tempo ed evolveranno. I media sono uno strumento centrale per la società di oggi, cioè per l’epoca della modernità. I media si collocano nella società e si modellano insieme alla società modificandola (=co-determinazione) MODERNITÀ E INDUSTRIA CULTURALE DI MASSA Modernità→ periodo di cambiamenti sociali e culturali molto forti, caratterizzato anche dalla diffusione dei media e dalla frammentazione delle fonti informative che si moltiplicano e da un tipo di soggetto sociale (moderno) che tende ad essere molto più individualizzato. Metafora della catena di montaggio: con i meccanismi di produzione c’è l’alienazione dell’individuo. Il lavoro diventa industrializzato, perché c’è il passaggio dalla campagna alla fabbrica. Questo è un passaggio fondamentale perché cambia la vita lavorativa e il tempo libero delle persone: ci sono masse di persone che si spostano e cambiano totalmente vita e ritmi di lavoro. La differenza tra il tempo di lavoro e il tempo di riposo non è più scandito dalle fasi naturali, cioè quando è buio finisce il lavoro; in fabbrica, grazie all’illuminazione, si amplia il tempo del lavoro. Hanno condizioni di vita difficili: vivono ammassati e il problema è quello del tempo libero→ come gestirlo se non si può stare in casa perché le case erano piene: ecco perché degli sport come il baseball o basket nascono ora. 5 Modernità e industria culturale di massa→ anni 30 del 900 (snodo occidentale dell’industria culturale di massa), momento di grande fermento in cui accadono cose che diventano dispositivi che poi vedremo riprodotti nel tempo. Pubblicità come forma espressiva prodotta dalla civiltà industriale di massa→ dissoluzione della dialettica cultura d’èlite/cultura di massa in un’economia di mercato definitiva. Parlare di mass media e di industria culturale per molto tempo è stata la stessa cosa (parlare di industria culturale significa che si capisce che la cultura può essere assoggettata ai meccanismi industriali di produzione e di consumo di merci culturali). Negli anni 30 si passa dall’artigianalità ad una vera e propria industria di massa. Nasce un progetto industriale su questo. Inoltre, nasce la pubblicità come forma espressiva della civiltà industriale di massa. La pubblicità rappresenta l’espressione massima di una civiltà industriale massificata che ha a che fare con oggetti di consumo. Gli anni 30 sono anche gli anni in cui si dissolve la distanza tra cultura alta (d’èlite) e cultura bassa (massa). Nell’economia di mercato per alcune cose questa distinzione inizia a perdere importanza. I media hanno accorciato le distanze, noi facciamo esperienza anche attraverso i media (es. New York). Industria culturale= fattori determinanti per l’emergere dell’industria culturale del 900: 1. Riproducibilità tecnica dell’opera d’arte→ Benjamin: ha spiegato come negli anni 30 del ‘900 si sia diffusa una pratica che consiste nel riprodurre in copie le opere d’arte (es. fotografia> per vedere qualcosa non occorre recarsi nel luogo ma puoi vederlo attraverso una foto). Questo fa sì che l’arte tende a perdere nel tempo quella che Benjamin chiama aura, cioè quel senso di magia che si prova di fronte a qualcosa per la prima volta. E questa aura si perde nel momento in cui noi quella cosa l’abbiamo già vista in un altro contesto grazie all’industria culturale. Qualcosa nasce già come copia di sé stessa con il digitale, non c’è più una differenza tra copia e originale. Questo modifica completamente il rapporto arte- massa. 2. Diffusione di sistemi broadcasting→ si sviluppano dei supporti tecnici che consentono la diffusione dell’uso dei beni della produzione culturale a grandi masse di persone. Broadcast= proviene dal gergo contadino, significa diffondere, diffondere a grandi masse di persone. L’idea è fare copie di uno stesso prodotto in modo da diffondere la stessa cosa a tante persone nello stesso momento o in momenti diversi. Il broadcast fa parte della nostra cultura: spesso sentiamo il bisogno di creare prodotti che non subiscano le reazioni delle persone. 3. Nascita del pubblico→ soggetto collettivo a cui rivolgere questi contenuti mediali. Chi produce cultura ha in mente un pubblico e allo stesso tempo chi fa parte del pubblico si sente parte del pubblico. Industria culturale→ pubblico= insieme di gruppi sociali determinati e fra di loro in rapporto, capaci di produrre una domanda culturale, portatori di bisogni, o che sono disponibile all’offerta culturale della nascente industria dell’immaginario/culturale. Gabriel Tarde: il pubblico, a differenza della folla, è dotato di un’identità, è definibile a partire dai suoi membri. Non è la folla, perché la folla è una massa indistinta e contiene un’idea di violenza, non si può contenere. George Simmel: dice che nella vita quotidiana abbiamo degli obiettivi concreti e minimali tra i quali la gratificazione estetica che deriva dall’uso dei prodotti dell’immaginario, che 6 non sono cose futili, ma rispondono a dei bisogni e hanno a che fare con il consumo di prodotti culturali. Il pubblico è un gruppo che è gratificato dal consumo di questi oggetti. In questi anni, inoltre: - Si radicalizza la frattura fra storia sociale e produzione dell’identità - Trovano origine i linguaggi di massa (es. sceneggiatura: un prodotto che provoca in tutti la stessa reazione) - Le forme espressive (es. arte) si industrializzano I linguaggi mediali esprimono capacità innovativa come espressione delle identità collettive “lo spettacolo è il capitale a un tale grado di accumulazione che diventa immagine” Come cambia la massa con l’industrializzazione Simmel, autore che non si occupa di comunicazione, ma delle masse e dei meccanismi di industrializzazione, analizza la nascita delle metropoli come un luogo dove si sviluppa l’economia monetaria, cioè il capitalismo e dove il comportamento prevalente è quello razionale. Questi sono gli anni in cui emerge l’uso dell’orologio da taschino: prima non si aveva uno strumento personale della scansione del tempo, perché si utilizzavano le campane, strumento collettivo. Questa interiorizzazione della razionalità del tempo rende il tempo qualcosa che vale: il tempo non ha più a che fare con i nostri ritmi di vita, ma diventa collegato alla produttività. Tante delle tecnologie più semplici ci influenzano nella nostra produttività. Un’altra cosa riguarda i rapporti: l’uomo metropolitano è in contatto con una massa di persone in continuo movimento. Si trova di fronte ad una molteplicità di relazioni diverse da quelle che aveva prima di andare a lavorare in città. Cambia il modo di rapportarsi con le persone, perché si tratta di rapporti di tipo economico. Molte delle persone con cui ti relazioni non le conosci nemmeno. Simmel dice che quello che prevale con la modernizzazione sono le dinamiche della razionalità e dell’organizzazione sociale. Le metropoli sono allo stesso tempo luoghi di massificazione e di standardizzazione sociale. Dunque, allo stesso tempo produce omologazione, quindi tutti vanno a lavorare, ma anche differenziazione poiché ognuno trova la propria strada ad esempio impiegando il tempo libero come vuole, anche se è standardizzato in modo uguale per tutti. Masse di persone che non si conoscono tra di loro che però hanno gli stessi tempi scanditi dal lavoro in fabbrica (es. il tempo di pausa è uguale per tutti). Simmel non vede la massa esclusivamente come strumento che omologa, in quanto in essa non c’è solo omologazione ma anche tante differenziazioni che vanno osservate. Cogliere i fenomeni standardizzati, ma capire e comprendere anche le varie differenze. Benjamin (1892-1940) è un altro degli acuti osservatori dei cambiamenti all’interno della società. Analizza il ruolo della tecnica nella riproduzione artistica e dei contenuti. Studia come la tecnica influisce sull’arte e sul modo in cui noi percepiamo i contenuti, in particolare quelli artistici. Afferma che abbiamo messo in circolazione talmente tanti prodotti artistici che arrivano alle persone, tanto che il mercato lavora sul gusto delle persone. Non c’è più un rapporto artigianale con l’acquisto, nascono nuovi dispositivi tecnici di valorizzazione della merce, ad esempio le vetrine che diventa un dispositivo per valorizzare qualcosa rendendolo inaccessibile e desiderabile. Così come la tv è un dispositivo simile che fa leva sugli stessi bisogni su cui fanno leva le vetrine. Si tratta di tecniche che lavorano sui bisogni delle persone. 7 Quindi le tre grandi coordinate su cui si è sviluppata la modernità sono la nascita della fabbrica, la popolazione che si concentra nelle città e l’urbanizzazione. Nascono anche le prime riflessioni sulla società di massa: -Simon→ parla per primo di società organica, affermando che la società è un unico grande organismo in cui ognuno è caratterizzato dalla sua funzione -Comte→ il padre della sociologia (>nasce dall’esigenza di studiare la società). Intende la società di massa come un grande organismo dove ognuno ha il suo ruolo e questo garantisce pace e armonia. Però pensa anche che questa differenziazione potrebbe produrre troppa specializzazione, che rischia di indebolire lo spirito della comunità. -Toennies → Differenza tra Gemeinschaft=comunità, luogo in cui le persone vivono secondo un senso comune cioè il fatto che gli individui sentono di appartenere ad uno spirito d’insieme, e Gesellschaft= società, in cui tutto diventa merce. Gli individui che vivevano nei propri villaggi erano caratterizzati dallo spirito di comunità, ma nel momento i cui si spostano nelle città, perdono questo sentimento. -Durkheim→ riprende le riflessioni di Comte e Toennies e distingue la solidarietà meccanica da quella organica: divisione del lavoro, relazione frammentata e anomia. Divisione parcellizzata del lavoro nelle fabbriche che rischiava di dar vita non solo a relazioni frammentate, ma anche all’anomia (=mancanza di valori che porta le persone a non sentirsi parte di un insieme). Le conseguenze della nuova società di massa: - gli individui vivono in una condizione di isolamento; - gli individui sperimentano relazioni basate sull’impersonalità; - gli individui sono liberi da pressioni sociali vincolanti al punto da rischiare di vivere situazioni di ANOMIA. **film sull’anomia Charli Chaplin** C’è un altro modo attraverso cui possiamo raccontare l’industrializzazione: nel momento in cui nasce la fabbrica, l’idea del tempo libero e la distinzione tra spazio domestico e spazio di lavoro. Per la prima volta le persone avevano la possibilità economica di poter comprare delle merci, quelle merci che venivano esposte all’interno delle vetrine. Il grande strumento di intrattenimento delle masse che nasce in questo periodo è il cinema (1895). Il cinema come film è una cosa che si è sviluppata successivamente, nasce come intrattenimento per le masse, che per la prima volta avevano un prodotto culturale che raccontava l’esperienza della metropoli. Il cinema aveva così successo perché era una stimolazione sensoriale per le masse, era qualcosa che serviva a sollecitare le masse nelle metropoli. **film su Dracula** Il mito di Dracula, figura della modernità, emerge in quegli anni. Oggi il film non si ferma solo al film, ma viene circondato da un miliardo di altre cose. Dracula è il cinema e condividono il meccanismo dell’ipnosi. La letteratura di genere nasce con Allan Poe che capisce che per colpire la massa che ha voglia di leggere ma non ha tempo avrebbe dovuto costruire un tipo di narrativa che li coinvolgesse da un punto di vista sensoriale. Egli quindi fu il primo a capire il processo di industrializzazione della cultura, cioè la cultura deve essere venduta. Per la prima volta inserisce l’idea di coinvolgere il pubblico come pezzo fondamentale della sua opera. Per raccontare l’emergere di una nuova forza arcaica (Dracula) che si muove attraverso l’istinto. Questa dimensione istintuale è fondamentale perché ci porta a capire cos’è la massa. La massa nasce come: 10 folla metropolitana pubblico di massa masse operaie masse politiche Non è un caso che il socialismo e il comunismo nascano in questo periodo come riflessione di fronte a quello che veniva chiamato il “proletariato”. In questo periodo proprio a questo proposito si inizia a parlare di psicologia delle folle, cioè che cosa guida le masse di persone, nata dalla concezione negativa della massa. Baudelair a inizio ‘800 lamentava il fatto che la sua arte non aveva più un pubblico capace di capirla perché la bellezza era stata degradata a merce. Nel 1895 Le Bon diceva che nella massa la personalità cosciente svanisce, come se nella massa rinunci a pensare e ti lasci trasportare da un pensiero comune (anima collettiva). Secondo Ortega y Gasset 1930 l’avanzata delle masse è stata la causa della decadenza morale dell’Europa. LE TEORIE DELLE COMUNICAZIONI DI MASSA Teoria ipodermica degli anni ’20 (bullet theory S→R) fa riferimento ad un modello della comunicazione che spiega la comunicazione come una relazione diretta che lega uno stimolo ad una risposta. Se noi costruiamo un buon messaggio e lo veicoliamo attraverso lo strumento giusto otterremo l’effetto in maniera efficace. Immagina un messaggio così preciso da colpire le persone in profondità. È una teoria di stampo comportamentista che si basa sull’idea che ad ogni stimolo (S) corrisponde una precisa risposta (R). È una delle teorie che maggiormente mostra il potere manipolatorio che i media hanno. Da una parte questo produce preoccupazione nell’opinione che temeva l’avanzata delle masse in Europa e le conseguenze devastanti della guerra. Dall’altra c’è l’idea che questa dinamica stimolo-risposta possa essere sviluppata in ogni forma di comportamento quindi i media riescono a diventare dei mezzi di comunicazione capaci di manipolare le persone. Caratteristiche: il pubblico è una massa indifferenziata, dove gli individui vengono considerati in una condizione di isolamento sia fisico che sociale i messaggi dei media vengono percepiti come fattori potenti di persuasione, in grado di introdursi negli individui con le stesse modalità di un “ago ipodermico” gli individui sono indifesi di fronte al potere dei mezzi di comunicazione di massa i messaggi veicolati sono ricevuti da tutti i membri nello stesso modo Limiti: individui collocati in una sorta di vuoto sociale, soli, esposti agli stimoli dei media in questo vuoto i messaggi dei media colpiscono come un “proiettile magico” gli individui ad essi esposti semplificazione del rapporto comunicativo, ridotto a mero automatismo, come la somministrazione di uno stimolo al cane di Pavlov (esperimento con un cane per esempio suonare un campanello prima di dargli da mangiare, ogni volta che sentirà quel suono avrà la bava alla bocca) nessun potere ai destinatari, ridotti a comparse sulla scena organizzata e gestita dalle istituzioni mediali 11 negazione di qualsiasi azione interpretativa dei messaggi ricevuti (ai destinatari) Teoria matematica della comunicazione di Shannon e Weaver si preoccupa di ottimizzare la trasmissione del messaggio, evitando di disperdere informazione; si basa su un modello comunicativo che vede in rapporta fonde d’informazione e destinatario attraverso un canale che lascia veicolare in modo non interpretativo i messaggi. Anche questa teoria ha dei limiti, perché si occupa solo del livello tecnico della comunicazione, ignorando il processo di significazione. Modello di Laswell 1948→ Modello molto importante che viene usato ancora oggi che cerca di sistematizzare i dati di ricerca che si sono sviluppate durante la ricerca sulla comunicazione (comunication research). È un tipo di modello che però non supera i limiti delle teorie precedenti, piuttosto cerca di renderli più chiari. È importante perché per la prima volta prende la comunicazione e cerca di spacchettarla in diversi momenti chiave. Organizzazione del campo della ricerca grazie all’introduzione di fasi e attori del processo comunicativo: Modello chi? dice cosa? a chi? con quale effetto? con quale mezzo? → Si crea una catena comunicativa che non si limita a vedere come avviene la comunicazione, ma si preoccupa anche dell’efficacia della comunicazione. Questi elementi hanno sviluppato negli anni anche dei metodi di ricerca (es. chi? = Ricerca sugli emittenti). Critiche: asimmetria tra emittente e destinatario (potere tutto nelle mani dell’emittente) indipendenza dei ruoli tra emittente e destinatario intenzionalità della comunicazione: i messaggi veicolati dai media hanno sempre un obiettivo assunto implicito di un’univoca interpretazione del messaggio da parte dei destinatari esistono “pubblici” con gusti e palinsesti trasversali ai vari media, di difficile individuazione. Pubblici che si costituiscono in relazione alla presenza/uso di alcune piattaforme come gli ad hoc publics: ingresso di nuove forme (es. prosumer= soggetto che veste i panni di produttore e consumatore) - pratiche di mash up e processi interpretativi del testo elaborati dai destinatari della comunicazione che alterano le condizioni dell’analisi del contenuto→ ogni spettatore quando riceve un messaggio può essere attivo (es. commentare Sanremo su Twitter) e può portare contenuti da un media all’altro. “Playne Fund Studies” Una delle prime ricerche riguardante i media che rappresenta il primo vero e proprio allarme per l’effetto del media. Molto importante perché rappresenta una risposta di ricerca ad un clima di allarme sociale diffuso negli stati uniti negli anni ’30 dovuto al grande successo del cinema: ci si iniziò a chiedere se questo grande successo non potesse avere degli effetti pericolosi soprattutto sui giovani. Domande che ci facciamo ancora oggi… progetto di ricerca mirato a studiare gli effetti del cinema sulle giovani generazioni nascono negli USA grazie a due condizioni: sviluppo dei metodi di ricerca empirica, incredibile successo del cinema (40 milioni di biglietti venduti) 13 ricerche dal 1929 al 1932 12 - fusione in un nuovo sistema di comunicazione elettronico fra i mass media, globalizzati e personalizzati, e la comunicazione mediata dal computer (metà anni ‘90) Mutamento delle caratteristiche dei pubblici di massa : 1. Differenziazione sociale e culturale diffusa 2. Stratificazione sociale degli utenti: ricadute tra esclusi ed inclusi dai meccanismi di partecipazione dei media 3. Integrazione dei messaggi in uno schema cognitivo comune, in un unico medium 4. Assorbimento all’interno del sistema dei media digitalizzato di tutte le espressioni culturali e delle loro distinzioni CONNECTIVE SOCIETY→ diffusione di una cultura della connessione attraverso 3 elementi: • propensione all’essere online networked/connessi costantemente come condizione di normalità • Wellman 2002: Networked individualism→ mette in luce come attraverso le tecnologie internet siamo passati dal connettere i luoghi a connettere le persone. Siamo connessi nel nostro individualismo, nel senso che siamo connessi con piccoli gruppi formati da persone anche sconosciute ma che sono affidabili, cioè siamo sicuri che sono connessi e pronti a rispondere. • Rainie e Wellman 2012: Nuovo sistema operativo sociale fatto di 3 elementi: - Social Network Revolution - Internet Revolution - Mobile Revolution Gli individui sono sempre meno vincolati a reti parentali, di vicinato e piccolo gruppo e sempre più orientati verso network personali più allargati, diversificati e caratterizzati da minor coesione sociale. L’emergere di una nuova forma di comunicazione •Essere connessi diventa una condizione stabile e permanente • Empowerment comunicativo: potenzialità di produzione e circolazione dei contenuti (prosumer) • Possibilità di comunicazione molti-a-molti, comunicazione impossibile nello spazio-tempo, perché non si capirebbe nulla, mentre Internet lo permette, attraverso lo stesso strumento. Castells 2007: Mass self-communication=auto-comunicazione di massa, le persone usando le piattaforme digitali possono parlare a reti molto ampie di persone: o di massa, reti globali : la comunicazione può raggiungere un’audience globale o multimodale : ci sono molti modi per distribuire contenuti o auto-generata, auto-diretta, auto-selezionata : siamo noi a generare e selezionare contenuti Boccia Artieri 2012: attitudine al “farsi media” fatta di 2 momenti: 1. appropriazione degli strumenti mediali: possibilità di “fare media” = momento in cui come utente ti appropri di una struttura mediale e inizi a produrre ciò che prima guardavi/ascoltavi. L’Italia è stata centrale in questo: durante le occupazioni studentesche del’77 per la prima volta gli universitari sfruttano gli strumenti (es. fax, radio…) dell’Università per produrre una comunicazione autonoma. Questa attività oggi con internet è molto facile da capire ma in realtà ha richiesto anni nel suo sviluppo anche di pratiche 15 molto diverse, per esempio le tv di quartiere, cioè tv che sfruttano un cono d’ombra nell’emissione delle reti nazionali per veicolare un proprio messaggio, quindi fanno un proprio programma illegalmente. È un periodo degli anni 2000 in cui si parla molto di mediattivismo, cioè un periodo in cui gli attivisti portano avanti i loro discorsi contro- culturali attraverso i media. 2. appropriazione di codici e linguaggi dei media, delle estetiche e delle retoriche: “diventare media” = in quanto consumatori noi non assorbiamo solo contenuti dai media, ma anche stili, codici ed estetiche e questo ci porta a trasformarci, fa sì che diventiamo adatti all’ambiente mediale Quindi che succede? Da una parte cambia il “senso della posizione nella comunicazione” da parte dei pubblici: non ci sentiamo più “oggetti della comunicazione”, ma anche “soggetti comunicativi” perché ci sono una serie di canali che ci permettono di esserlo, quindi non siamo più un pubblico passivo. Ma mutano anche i modi in cui i pubblici ascoltano, guardano e/o elaborano ciò che sta accadendo nel quotidiano: la nostra identità si sviluppa raccontandoci all’interno dei contesti quotidiani, questo fa sì che si diffondano pratiche che consentono di raccontarci ed auto-presentarci, nel senso che oggi non ci accontentiamo più di essere raccontati dai media, cioè che ci riconosciamo nei film/serie tv, ma ci rappresentiamo da soli, attraverso selfie, storie, dirette… ovviamente siamo consapevoli del fatto che ciò che produciamo su Internet sarà visibile e potrà essere commentato, criticato… Ci stiamo abituando a rappresentarci aspettandoci delle reazioni, cioè costruiamo dei contenuti sapendo e volendo che saranno visti. PLATFORM SOCIETY →le piattaforme sono i nuovi custodi di internet, cioè se oggi pensiamo a Internet ci rendiamo conto che si sta “piattaformizzando”, cioè sta assumendo logiche e dinamiche tipiche delle piattaforme (es. google, amazon, facebook…) Van Dijck, Poell, De Waal 2018: “platform society” = “termine che enfatizza l’inestricabile relazione tra le piattaforme online e le strutture sociali. Le piattaforme non riflettono il sociale: producono le strutture sociali nelle quali viviamo”. Fondamentalmente la logica delle piattaforme porta a: • oggettificare, cioè rendere i comportamenti degli utenti per tradurli in elementi quantitativi di valore, in elementi discreti e quantificabili, perché il vero valore per le piattaforme sta nel tradurre i comportamenti sociali in dati, poterli archiviare e trattarli in futuro • producono un modello di economia disintermediata perché c’è un rapporto apparentemente diretto fra domanda e offerta e in cui i diritti del lavoro sono messi da parte a favore della flessibilità (es. uber, just eat, airbnb) • definizione di algoritmiche presiedono alla visualizzazione e alla remunerazione commerciale e pubblicitaria dell’intero processo, cioè ciò che regola il trattamento dei dati e i rapporti di interazione con le piattaforme sono gli algoritmi, che decidono anche, ad esempio su uber, i costi Socialità nelle piattaforme→ meccanismi che hanno cambiato il nostro modo di stare in pubblico: • abitudine di condividere contenuti appartenenti alla sfera privata in pubblico • nuove forme di socialità modellate dalle affordance (=caratteristiche della piattaforma che ci permettono di interagire, relazionarsi, condividere e produrre contenuti in un modo piuttosto che in un altro) 16 • modello di “datificazione”: traduzione dei comportamenti sociali in dati utilizzabili a fini di mercato, modellando le pratiche di socialità attorno a specifici “bottoni” (es. like, reazioni…) Srnicek 2017: “Platform capitalism” • Le piattaforme incoraggiano gli utenti all’uso di una logica neoliberista nella gestione dei rapporti di rete • Le piattaforme tendono alla pre-strutturazione e alla raccolta del dato, in modo da consentirne una standardizzazione utile ai processi di elaborazione. • L’interfaccia può essere personalizzata ad un livello micro e tendere alla standardizzazione in un’ottica di macro-processo • Boccia Artieri et al. 2018: Verso una gestione manageriale del sé finalizzata alla massimizzazione del profitto: individui come collezione di gusti DALLA MANIPOLAZIONE ALLA COMUNICAZIONE PERSUASORIA Dopo la metà degli anni ’40, comincia una serie di studi che mettono in dubbio il potere manipolatorio dei media cercando di chiedersi (Berrelson) in che modo certe tipologie di comunicazione relative a certe tematiche sottoposte a certi tipi di persone, in certe condizioni, hanno certi effetti→ si esce fuori dall’idea totalitaria della funzione manipolativa dei media e si comincia a sviluppare una teoria degli effetti dei media, che è l’ambito di studio della mass comunication research che si inizia a chiedere come i media abbiano un’influenza sui pubblici in determinate condizioni. Le comunicazioni di massa quindi si concentrano sugli effetti dei media, in particolare su un unico tipo di effetto, cioè c’è il passaggio della teoria di manipolazione dei media alla teoria degli effetti dei media, effetti che sono misurati come un’unica tipologia di effetto, perché si cerca di capire in che modo i media influenzano un cambiamento di opinioni e di atteggiamenti del pubblico nel periodo immediatamente successivo all’esposizione al messaggio. Quindi l’oggetto di studio è quello delle campagne politiche, pubblicitario… Dunque, nascono una serie di ricerche per esigenze commerciali, che permettono di ottenere dei dati circa l’efficacia di campagne pubblicitarie ed esigenze di ricerca che consentono di descrivere e misurare gli effetti dell’esposizione degli individui ai messaggi mediali. È in questi anni che si definisce la ricerca amministrativa, cioè una ricerca sociologica pagata da amministrazioni pubbliche o imprese private per avere dati rispetto all’efficacia di una particolare campagna comunicativa nei confronti dei pubblici. Il limite di questo approccio è che, almeno inizialmente, ci si concentra su un unico effetto: cambiamento d’opinione del pubblico subito dopo l’esposizione del messaggio, quindi ci si è concentrati solo sugli effetti a breve termine. Interessante è il fatto che si passa da un’idea che i media siano fortemente manipolatori, ad un’idea che i media abbiano determinati effetti su certi pubblici, a partire da certi messaggi (campagne), solo che vengono studiati esclusivamente gli effetti a breve termine e un tipo di effetto solo, cioè il cambiamento di comportamento: si nega il fatto che esista un effetto globale della comunicazione. Tuttavia, questa prima fase ci mostra un interesse molto forte nei confronti delle possibilità di capire gli effetti dei media. Che cosa scopre questo tipo di ricerca? La scoperta delle variabili intervenienti 17 - Memorizzazione selettiva : tendenza a costruire un ricordo «depurato» dalla presenza di eventuali fonti di disturbo, cioè le persone dopo aver ricevuto dei messaggi comunicativi, tendono a concentrarsi sulle parti su cui sono d’accordo Ecco perché gli effetti dei media sono limitati - Fattori di mediazione rispetto al messaggio I primi studi sono una serie di esperimenti degli anni ’40-’50 di Hovland e alcuni collaboratori, che cercavano di costruire una teoria sistematica della persuasione, cioè una teoria che cercasse di spiegare i meccanismi persuasori dei media. La credibilità della fonte: è il fattore principale e ci dice che l’efficacia di una comunicazione dipende, in misura considerevole, dal comunicatore. Rimanda a due dimensioni: competenza in riferimento all’autorevolezza e alla reputazione del comunicante e la fiducia attribuzione o meno di un intento persuasorio da parte del comunicatore. La credibilità ha a che fare con dei meccanismi soggettivi delle persone, con la cultura, con la situazione storica… Credibilità in termini di fiducia e reputazione: Tutti i sistemi di valutazione servono a dare credibilità alla fonte, e le fonti che riteniamo credibili fanno sì che i loro messaggi penetrano meglio nelle coscienze delle persone. La credibilità può essere messa in discussione; è interessante che per quanto riguarda il mondo online lavoriamo molto sui processi reputazionali, ad esempio costruendo dinamiche che rendono trasparenti commenti… [Processo reputazionale produce voti e commenti visibili a tutti gli interessati]. Credibilità in termini di autorevolezza della fonte: ci sono siti che lavorano sul click date?? che giocano sull’incompetenza delle persone, facendo circolare fake news utilizzando il nome di una fonte credibile (es. corriere della sera→ corriere della pera). Altri fattori studiati durante la Seconda Guerra Mondiale nell’ambito del progetto The American Soldier (Why We fight: film e filmati fatti dall’esercito che dovevano persuadere i soldati americani) valutare l’efficacia dei film trasmessi ai soldati nei vari centri di reclutamento e addestramento Hovland, Lumsdaine e Sheffield (1949) analizzano varie dimensioni: - ordine delle argomentazioni - completezza delle argomentazioni - esplicitazione delle conclusioni ↓ Fanno una serie di ricerche intervistando i soldati che hanno visto il film, e arrivano ad una conclusione contradittoria: perché sono tutte variabili che modificano il risultato finale che non permettono una soluzione valida per tutti. C’è una forte rilevanza delle differenze individuali (istruzione, interesse…) tale da lasciare senza risposta numerosi interrogativi circa la capacità persuasoria dei messaggi comunicativi. Quando si crea un messaggio pubblicitario non si ha la certezza che sia efficace su tutti i pubblici. Dunque, è quai impossibile che un messaggio sia persuasorio per le masse, questo però non vuol dire che non esistono delle variabili di rilevanza delle differenze individuali, utili per micro- targhettizzare il pubblico, cioè c’è la possibilità di costruire pubblici sempre più di nicchia nel tentativo di poter sviluppare messaggi che siano più efficaci. Differenziazione del pubblico e frammentazione delle risposte sono ciò che guidano le pratiche di targhettizzazione della comunicazione che si sono diffuse a seguito dell’affermazione dei media 20 digitali (Es. Prototype politics (Kreiss 2016), messaggi elettorali costruiti in base alle caratteristiche e alle preoccupazioni dei destinatari, cioè messaggi iper-targhettizzati). L’iper-targhettizzazione permette di costruire messaggi persuasori perché conosce molto bene i gusti e le attitudini delle persone e può costruire messaggi pro e contro e anche di tipo dissuasorio (es. Cambridge analitica: gli esecutori della campagna di Trump non convinsero le minoranze a votare Trump, ma mostrarono loro dei contenuti tagliati e rimontati della Clinton che mostravano il suo scarso interesse per le minoranze, che convinse loro a non votarla, ad astenersi). Un’altra caratteristica dell’iper-targhettizzazione è il fatto di essere invisibile, cioè se guardiamo la TV, tutti quanti guardiamo la stessa pubblicità, mentre se andiamo su Instagram no. Ospite: Stefano Epifani, Presidente del #DigitalTransformation Institute, giornalista (direttore di http://TechEconomy.it), advisor per le Nazioni Unite Cosa significa credibilità fonte e sostenibilità digitale? Tema di grandissimo interesse. Noi stiamo rispondendo spesso delle domande sbagliate, ossia se noi guardiamo il dibattito pubblico quando si parla di trasformazione digitale si crea un tunnel cognitivo, che è un contesto semantico che in base alla domanda crea direttamente la risposta. Il sistema di risposta varia in base all’interpretazione che abbiamo del contesto. Se noi ci chiediamo se la tecnologia va bene o male questo dipende anche dal modo in cui guardiamo la tecnologia e i suoi schemi interpretativi. Succede che nasce l’automobile, che è stato un grandissimo cambiamento all’interno della società. Successe che la società costrinse i governati che chiunque voleva entrare a Londra con l’auto doveva essere preceduto da una persona a piedi che sventolava una bandiera rossa. Le leggi della bandiera rossa. Questo rischia di succedere ogni volta che c’è una nuova tecnologia, e per la quale qualcuno si sente messo da parte con l’arrivo di essa. Questo vuol dire che ogni volta che decliniamo il tema delle Fake News, si vive spesso una dinamica distrattiva che rischia di alterare il modo in cui questo problema viene gestito. Sostenibilità= capacità di sfruttare le risorse che abbiamo senza intaccare le generazioni future. Questo concetto nasce in un contesto ambientale tra gli anni ’40 e ’60 e nasce come concetto che fa riferimento alle risorse naturale, correlato molto stretto al sistema economico e sociale dove la dimensione dell’informazione è una della dimensione. Un sistema è un contesto caratterizzato da regole, dove gli attori si muovono secondo queste regole. Uno dei modi migliori per rappresentare i sistemi complessi è la network society. quando guardiamo ad un sistema complesso lo dobbiamo guardare come un insieme di sottosistemi correlati. Dobbiamo ipotizzare che esiste un quarto sottosistema, quello digitale. Ci troviamo in un contesto in cui tendiamo a valorizzare il benessere attraverso il digitale al fonte di molte resistenze di stampo culturale, dove le fake news possono essere un esempio. Il mondo di Internet non è lontano da quello dell’intelligenza artificiale, ma sono strettamente collegati. Quando stiamo leggendo un articolo è un nostro diretto capire se l’autore è un giornalista o una macchina? Deep fake? Immaginiamo quanto diventa complesso lo scenario interpretativo nel momento in cui parliamo della categoria particolare di fake news che sono deep fake, che sono dei video o audio che utilizzano la voce ricostruendo un discorso attraverso l’intelligenza artificiale. Per legiferare sulle fake news dobbiamo lavorare sui diritti umani, tenendo conto del fatto che le soluzioni delle volte possono essere più gravi del problema. Non è sempre possibile definire una notizia falsa. Quindi come ci comportiamo di fronte a questo fenomeno? 21 È un contesto particolare in cui le persone hanno delle loro convinzioni molto difficili da smontare. Ci troviamo a dover ragionare sui motivi che fanno partire le fake news. Qual è la natura delle fake news? Prima di tutto sono un business. 10 riflessioni per affrontare il problema delle FAKE NEWS: 1. Il problema delle fake news esiste da sempre: oggi con i social media si alimenta di nuove dinamiche che ne enfatizzano il ruolo 2. La dinamica generativa dei social media è enfatizzata dalla crisi del ruolo della scienza nell’era della post-verità: ciò alimenta il fenomeno delle fake news 3. L'istantaneità della condivisione batte la necessità della riflessione: con le fake news il coinvolgimento emotivo supera la dimensione dell'approfondimento 4. La censura delle fake news non solo è contraria alla natura e alla struttura della rete, ma con le fake news è inefficace 5. La censura sarebbe anche pericolosa per gli utenti, soprattutto se è basata su meccanismi top-down 6. Chi genera le fake news ne è responsabile, ma chi le condivide ne condivide anche la responsabilità 7. Le fake news sono prima di tutto un business: la dimensione economica quasi sempre è prevalente rispetto a quella politico-complottistica 8. Qualunque sia la soluzione tecnica proposta per arginare il fenomeno delle fake news, la loro segnalazione è sempre preferibile alla censura 9. Qualsiasi meccanismo di controllo deve basarsi su dinamiche trasparenti, aperte e iterative. Non può essere responsabilità discrezionale delle piattaforme 10. Una norma da sola non risolverà il problema. Servono prima di tutto cultura, educazione e consapevolezza negli utenti Il ruolo dell’influenza personale Attraverso la ricerca empirica si è cominciato a esplorare anche il ruolo dell’influenza personale, cioè di come le singole persone influiscano sulla veicolazione messaggi comunicativi. Ciò che dà il via a questo tipo di studi è la ricerca sulla campagna presidenziale del 1940 di Lazarsfeld, Berelson e Gaudet (1948): analizzando i meccanismi che hanno influenzato il voto delle persone attraverso una serie di interviste scoprono che la comunicazione personale ha avuto un ruolo centrale, cioè era più citata di quella mediale. Gli intervistati affermarono che ciò che contribuì alla loro decisione di voto erano stati i contatti personali, piuttosto che la radio o la lettura dei quotidiani, cioè i media di allora. ↓ Maggiore efficacia dei contatti face to face: Fattori che mostrano i meccanismi di influenza delle persone: 1. Casualità e non intenzionalità della comunicazione: i meccanismi della selettività vengono aggirati, se non neutralizzati, nel corso di una comunicazione personale, cioè nel comunicare con le altre persone è più facile aggirare quei filtri che poniamo nei confronti del messaggio mediale, grazie ad alcuni fattori come la fiducia che riponiamo nell’interlocutore. 2. Flessibilità dei messaggi: ridurre gli effetti boomerang minimizzando o enfatizzando alcuni aspetti in virtù delle reazioni dell’interlocutore. Quando interagiamo con una persona possiamo cogliere alcuni elementi della comunicazione non verbale e questo ci permette di minimizzare gli effetti di distorsione e di penetrare più facilmente la membrana selettiva. I 22 Dal punto di vista operativo c’è una differenza sostanziale, nel senso che il governo ha in mano una leva, il potere esecutivo, che rende diverso l’approccio reputazionale. Un governo che delude aspettative dei propri cittadini, sicuramente subisce un problema reputazionale, ma avendo in mano il potere esecutivo ha una leva diversa rispetto a quella di una singola azienda. Comunque, non è tanto il concetto di governo, ma in una democrazia, è il concetto di consenso, che è quello che sostiene le persone che sono all’interno del governo stesso, quindi la prospettiva da un punto di vista reputazionale va spostata su queste persone che chiedono consenso che passa attraverso la reputazione. Questo ragionamento riguardante la costruzione della reputazione nell’infosfera, presuppone il fatto che i due soggetti (colui che viene reputato e la comunità che lo reputa) siano alla pari di fronte al giudizio reputazionale. Nel momento in cui viene inserita una distorsione legata a strumenti che rendono diseguale il rapporto tra i vari agenti cambia questo ragionamento. Che ruolo hanno gli influencer? Da un punto di vista psicologico gli influencer hanno un ruolo di strategia euristica: delegare a qualcun altro la soluzione di un problema, cioè un processo cognitivo/di comprensione, che io non riesco o non voglio fare. Essi hanno un elemento centrale che li rende tali, ovvero un capitale reputazionale molto forte: non esiste influencer che ha una leadership formale, ma è informale, nel senso che si costruisce in un processo sociale che fa si che una comunità riconosca la leadership, quindi il legame che si crea tra le persone e il leader è biunivoco (= l’influencer esiste perché esistono i followers). Questo aspetto reputazionale ha una potenza molto forte dal punto di vista del processo di endorsement, cioè se un influencer riconosciuto da una comunità dice di me che io sono bravo, copre col suo capitale reputazionale il mio, permettendomi di partire avvantaggiato per quanto riguarda la mia reputazione. Processo fondamentale soprattutto per le aziende. Tutto questo però non è granitico, nel senso che non esiste un meccanismo secondo cui una volta che un influencer dice che io sono bravo, allora la comunità ha quest’idea di me per sempre, sta a me poi gestire il modo in cui gli altri mi percepiscono e mantenere le aspettative. La realtà ha una serie di elementi, come i nativi digitali, che modificano la nostra capacità cognitiva, o gli algoritmi, che regolano le piattaforme, e non nascono per governare i flussi di informazione, ma per scopi puramente commerciali, cioè hanno l’obiettivo di raccogliere le nostre informazioni, e far sì che nelle piattaforme troviamo sempre di più ciò che ci piace, in modo che passiamo sempre più tempo sulle piattaforme e lasciamo così altri dati, dati che poi vengono venduti agli investitori pubblicitari per veicolare al meglio possibili i loro messaggi. Questo fa si che la nostra realtà viene distorta dal meccanismo di base dell’algoritmo stesso → si crea una bolla da filtro, secondo cui ci sembra che tutto il mondo, e non solo la piattaforma su cui ci troviamo, parli di un dato argomento. Questa reazione fa sì che il modo in cui percepiamo la realtà cambia, e di conseguenza cambia il nostro agire e si adegua a questa realtà, che è un mispersepction della realtà che ci porta a valutare ciò che accade nel mondo in una maniera non realistica, ma percepita. Es. corona virus→ qual è il modo migliore per affrontare un’informazione corretta? Nel momento in cui è arrivato in Italia, ha avuto in impatto evocativo esplosivo, perché è andato a toccare il tasto della paura, in più il fatto che questo aspetto non fosse stato preso nella giusta considerazione ha fatto sì che provvedimenti, anche giusti, che normalmente sarebbero stati mediati dai media, sono diventati dei giganteschi elementi simbolici, che hanno innescato gigantesche narrazioni collettive, chiudendo l’intero mondo in una bolla da filtro. 25 Il fatto che queste informazioni sono state divulgate sui social, ha fatto sì che diventassero inneschi di trend narrativi molto potenti, in cui ognuno da una propria opinione, che ha polarizzato le posizioni, finendo per innescare un processo enorme di amplificazione della discussione che fa perdere di vista la questione centrale: che succede? Cosa fare?... Entrare nel merito della discussione fa si che ognuno si costruisca il proprio percepito di ciò che sta accadendo, amplificato dal fatto che si partecipa a delle narrazioni collettive, che rende tutto amplificato in maniera incontrollabile. È una continua conferma delle nostre idee (confirmation bias), cioè se io sono convinto che il virus è mortale, non farò altro che cercare informazioni riguardo a questo, e le troverò, convincendomi sempre di più. Aspetto che diventa letale per mantenere un controllo sano di ciò che sta accadendo in termini di informazione. Il problema è che siamo partiti senza essere consapevoli che il contesto nel quale si sono divulgate queste informazioni era diverso rispetto a qualsiasi altro esempio precedente: i giornalisti, i comunicatori hanno utilizzato vecchie tecniche di comunicazione che però all’interno di questa nuova realtà hanno avuto il risultato di diventare esplosive e di far perdere il controllo del percepito della realtà alle persone che assistevano. Quali sono le cose principali che i comunicatori di domani devono apprendere? Due campi nei quali approfondire le conoscenze: - Tutti gli aspetti legati alla psicologia cognitiva, all’influenza sociale, alla semiologia, alla sociologia, all’antropologia… a tutto ciò che regolava il mondo fisico delle persone e che oggi regola anche in maniera invasiva le tecniche di comunicazione e il modo in cui aziende e soggetti interagiscono con i loro pubblici. Si deve comprendere il perché le persone agiscono in un certo modo e tutta la psicologia umana, altrimenti, siamo in difficoltà - Capacità di leggere i dati che le comunità sociali producono Una capacità: un comunicatore è bravo quando ha una spiccata capacità identificativa di rilevanza, cioè capire cosa sia rilevante in una specifica comunità. Rilevante non è solo importante, è ciò che intercetta in modo netto ciò che è valorialmente rilevante per una comunità. Importante è anche una buona etica. Noi cosa possiamo fare sul piano comunicativo in merito al coronavirus? Diventare consapevoli del fatto che qualsiasi cosa condividiamo ha un potere su altre persone, per questo dobbiamo essere certi delle fonti che condividiamo, perché condividere è una responsabilità. Inoltre, si deve cercare di centralizzare l’emissione di informazioni in alcuni soggetti che sono gli unici deputati ad avare la comunicazione ufficiale di dati, numeri… è anche importante saper costruire una comunicazione che sia simbolicamente in grado di contro-narrare rispetto alle deviazioni esistenti in questo momento (es. spot di Amadeus, #iostoacasa). LE TEORIE DELLA SELETTIVITÀ Ospite: Professoressa Sara Bentivegna Le teorie della selettività raggruppano approcci e ricerche della società che vanno fino agli anni ’60, cioè quando è stato sistematizzato il paradigma degli effetti limitati dei media, che ha segnato una fase della comunicazione e ha ridimensionato l’effetto dei media. Queste teorie acquisiscono importanza solo a fine anni ’80, anche perché diventa significativo un sistema mediale che ha accentuato alcuni aspetti. Quando si parla di teorie della selettività si tende a non distinguere due attività (scelta-sottrazione) importanti. Eravamo abituati a parlare della selettività come un’attività che tende a sottrarsi, cioè si è selettivi quando c’è qualcosa che non piace e alla quale non ci si vuole esporre. Oggi, invece, abbiamo una selettività che si esprime in positivo (scegliamo ciò che vedere). 26 Per studiare queste teorie occorre tener conto di tre elementi: contesto, motivi per cui queste teorie si manifestano e modalità di esposizione selettiva messe in atto dai soggetti. Il paradigma degli effetti limitati, teorizzato da Thomas Kuhn, è un insieme di teorie che in certi periodi di scienza normale viene dato per scontato, nel senso che non viene messo in discussione. Ciò è accaduto esattamente rispetto agli effetti limitati dei media. Questo paradigma si è consolidato nel tempo perché alcune ricerche avevano fatto emergere come l’esposizione ai media scaturiva più reazioni di cristallizzazione/rafforzamento rispetto ad una conversione, cioè i soggetti si esponevano a messaggi mediali, i quali semplicemente rinforzavano le loro opinioni. Gli effetti limitati dei media La sistematizzazione di queste diverse ricerche è stata fatta da Klapper negli anni ’60, che arriva a sostenere che la comunicazione di massa tende ad agire più in direzione di rafforzamento e di modificazioni di lieve entità. Berelson, Lazarsfeld e McPhee (1954) dichiararono che «l’esposizione cristallizza e rafforza più che non converta» Secondo Klapper, gli effetti persuasori dei media vengono rimpiazzati dai contatti personali e dai meccanismi della selettività, i quai presupponevano che i soggetti avessero un’opinione. Tutto questo sta alla base di ciò che Glitlin nel 1978 definì paradigma degli effetti limitati dei media. Sistematizzazione che viene data per scontata e che ha due ragioni alla base della sua esistenza: da una parte pacificava gli scontri fra i ricercatori, dall’altra consentiva di assolvere i media da qualsiasi intervento sul fronte della persuasione. Quindi questo paradigma per Glitlin era estremamente funzionale per l’interesse di soggetti diversi, per questo ha segnato gli studi sulla comunicazione per molti anni. Esposizione selettiva: il nuovo ecosistema mediale A poco a poco, compaiono sulla scena interpretazioni diverse, più complesse, legate alle trasformazioni dell’ecosistema mediale. Nel 2008 viene pubblicato un saggio fondamentale di Bennett e Iyengar, che fanno una riflessione su un possibile ritorno del paradigma degli effetti limitati dei media, sostenendo che dal punto di vista del sistema dei media, ci sono tante trasformazioni tecnologiche che devono far riflettere su alcuni elementi dati per scontati per molti anni. Questo perché è cambiata la natura delle audience, dei messaggi e delle delivery technologies. Queste trasformazioni sono sintetizzabili in questi punti: aumento dell’offerta informativa → era dell’abbondanza comunicativa = Information overload→ selezione in riferimento alle piattaforme per: contenuti offerti, disponibilità tecnologica, possesso di competenze ecc… ci mette nella condizione frammentazione dell’audience → conseguenza all’aumento dell’offerta. Si può verificare in relazione alla fonte e al contenuto; assistiamo ad una Information stratamentation (=stratificazione e frammentazione). Siamo di fronte ad un’offerta che si personalizza sempre di più, che dà vita ad un’idea di selezione molto diversa da quella di prima fine dell’esposizione casuale → i soggetti possono scegliere. Postbroadcast democracy= gli individui disinteressati alla sfera pubblica hanno sempre più occasioni per evitare di imbattersi in informazioni al riguardo (Prior 2007). Si tratta però di una tesi affrettata che non tiene conto dell’ibridazione tra generi: informazione e talk show, programmi satirici o animated sitcom (Holbert, Garrett e Gleason 2010) partigianeria dell’esposizione da parte dei soggetti → capacità degli individui di selezionare i prodotti da consumare. I nostri tempi si caratterizzano per una forte polarizzazione politica 27 - Mutazioni nelle forme del consenso : i politici sviluppano modalità specifiche di relazione con queste comunità tramite forme disintermediate, ovvero risposte pubbliche come le dirette video e/o tweet sarcastici nei confronti delle controparti. C’è una maggiore vicinanza tra politico ed elettore, anche perché oggi il leader è centrale rispetto al suo partito politico. - Visibilità ed esaltazione dei meccanismi di partigianeria = partisanship : le convinzioni politiche incidono sempre di più su alcune scelte individuali (assunzioni, matrimoni, ecc.) che hanno a che fare con i meccanismi identitari. È molto forte ad esempio nei social media la diffusione di contenuti relativi alle proprie convinzioni, che evidenzia la contrapposizione tra individui. - Difficoltà a distinguere le notizie vere dalle notizie false : il tema delle fake news si lega alle camere di risonanza poiché in queste si producono cascate informative che portano a propagare online determinati contenuti. Dunque, Sunstein delinea le camere dell’eco come ambienti ad alto rischio di propaganda e manipolazione politica, che potrebbe produrre una sorta di indebolimento per la democrazia, perché le persone tenderanno sempre di più ad avvicinarsi a informazioni vicine a loro. La soluzione sarebbe introdurre livelli di serendipity, che facciano incontrare gli utenti con informazioni, pensieri e idee diverse e contrastanti con le loro. Come? Magari inserendo in una stessa pagina di un quotidiano due box dove ci sono due esperti che sostengono due posizioni opposte. Ci sono vari studi al riguardo che fanno capire il problema delle camere dell’eco: Duggan e Smith (2016): il 39% degli utenti dei social media afferma di aver cambiato le proprie impostazioni per filtrare post politici o bloccare determinati utenti nella propria rete, perché vogliono auto-collocarsi in una propria camera dell’eco e rendere inefficaci alcuni automatismi degli algoritmi. L’omofilia (voler stare con persone che la pensano come te) non è un elemento determinante, ma è una variabile sociale che dipende dai comportamenti, quindi alcuni la praticano e altri no. Bakshy et al. (2015): ambiente informativo complesso generato dall’equilibrio tra algoritmo, rete sociale connessa e pratiche quotidiane dipendenti dalla biografia di uso del mezzo. Omofilia come variabile sociale comportamentale e non come elemento determinante. Flaxman, Goele Rao (2016): “articoli trovati tramite social media o motori di ricerca sul web sono effettivamente associati a una segregazione ideologica più alta di quella che un individuo legge visitando direttamente i siti di notizie. Tuttavia (…) questi canali sono associati a una maggiore esposizione a prospettive opposte” → il paradosso è che i canali digitali come Facebook, pur avendo gli algoritmi, ci espongono a molta più differenza, cioè ci fanno uscire dalle nostre camere dell’eco rispetto a quanto faccia un quotidiano. Jennifer Brundidge (2010): parla di “tesi dell’inavvertenza”, secondo cui gli utenti online non scelgono con elevata attenzione con chi interagire, esponendosi inavvertitamente sia a idee coerenti con le proprie che a idee contrastanti. La ricerca empirica dice che la creazione di echo chambers nei social media non rappresenta una realtà obbligatoria/necessaria, ma una possibilità che dipende da particolari tipologie di utenti e da dinamiche informative più complesse. Cioè l’echo chambers è un meccanismo selettivo, ma dipende comunque da tante variabili, quindi non è un mondo chiuso in cui cadiamo per forza per il semplice fatto di entrare su Facebook ad es. 30 Bisogna considerare l’effetto echo chambers nel più ampio quadro delle abitudini di consumo culturale, delle preferenze e delle caratteristiche degli utenti per quanto siamo engaged, cioè coinvolti e partecipiamo alla politica con i social media (Vaccari et al. 2016) La selettività nel caso delle filter bubbles Il mondo dell’informazione è molto complesso ed è fatto di tantissimi luoghi d’informazione che circondano l’utente. Questo mondo viene filtrato da una serie di strumenti, che sono le diverse piattaforme, che fanno si che vediamo alcuni tipi di contenuti e non altri. Questo fa sì che noi vediamo quello che possiamo vedere, non vediamo quello che non possiamo vedere e non sappiamo che ci sono altre cose da vedere. Questi filtri producono una specie di comfort zone in cui sappiamo muoverci, gestita da piattaforme che producono algoritmi. Quando la selezione la opera un algoritmo si produce il caso della filter bubble (= meccanismi online di polarizzazione dell’informazione prodotti dalle logiche degli algoritmi nei social media e dai motori di ricerca). Differenze tra: PUÒ ESSERE DOMANDA D’ESAME echo chambers→ c’è un accesso costante a pensieri e idee di persone con credenze simili in conseguenza delle proprietà strutturali della loro rete di connessioni, cioè siamo connessi con persone che hanno le nostre stesse idee. Questo ha a che fare con l’idea di connettività e col fatto che si creano dei gruppi chiusi vs pubblici sovrapposti filter bubble → hanno a che fare con logiche di filtraggio introdotte dalle affordances di piattaforme e ambienti digitali regolate principalmente da algoritmi. Ha a che fare con il concetto di comunicazione e con un’esclusione deliberata vs condivisione diffusa. Cioè si tratta di una bolla che si crea intorno a noi attraverso gli algoritmi che filtrano i contenuti. Le piattaforme, come Netflix, usano algoritmi di personalizzazione, che, tenendo conto dei comportamenti delle persone, creano dei trending. Il teorico delle filter bubble è Eli Pariser: The Filter Bubble (2011) che cosa ti nasconde Internet? 1. Il processo centrifugo operato dai filtri porta a isolarsi nel perimetro delle proprie selezioni e a creare un contesto iper-personalizzato; 2. Invisibilità selettiva: in questo filtraggio fatto fagli algoritmi, l’utente ignora le ragioni per cui ha trovato alcuni risultati al posto di altri. 3. Ingresso passivo nella bolla: ci ritroviamo all’interno di un contesto determinato al di là di nostre scelte consapevoli, quindi siamo condizionati dalle logiche di filtraggio. Clay Shirky, analista dei fattori di rete, (2008) dice che esistono altri tipi di filtraggi rispetto alle piattaforme: ci sono le persone che filtrano per le altre persone (social filtering, collaborative filtering→ filtraggio di natura sociale) ad esempio su tripadvisor, o con semplici recensioni online. [Agency nel filtraggio. consapevolezza degli utenti, visibilità delle scelte] Cory Doctorow (2011) dice che allo sviluppo di filtri e logiche algoritmiche possano corrispondere risposte tecnologiche ad uso degli utenti che nel tempo possono trasformarsi in attitudini culturali, cioè possiamo non fidarci di ciò che dice l’algoritmo e andare a ricercare le recensioni di altri utenti. Axel Bruns (2017), che analizza i social media, dice che considerando l’utente come entità non isolata, cioè considerandolo collegato a tutta la sua rete di connessioni online, possiamo osservare come si sovrappongano cerchie differenziate di pubblici (personal publics= il fatto che noi partecipiamo ad essere pubblici di nicchia e abbiamo dei nostri pubblici personali, formati da 31 persone che ci seguono per motivi diversi). Non siamo isolati in un’unica rete, anzi, siamo esposti a tanti tipi di reti, in cui possiamo osservare contenuti diversi. Questo fa sì che tendiamo a selezionare le informazioni secondo criteri di rilevanza personale, condivise con un’audience immaginata, fatta di legami sociali articolati secondo una modalità conversazionale, che rendono le filter bubble molto più permeabili (Schmidt 2014). Ci sono una serie di domande che ci dobbiamo fare: Come vengono disegnati i filtri, cioè perché riceviamo un’informazione piuttosto che un’altra? Quali porzioni di conoscenza rendono disponibili e in quali modi lo fanno? Quale influenza ha la personalizzazione rispetto all’esposizione mediale e alle scelte informative? Influenza negativamente i consumatori, i lettori e i cittadini? Le bolle dei filtri sono supportate da evidenze empiriche, cioè siamo influenzati solo dagli algoritmi? APPROCCIO USI E GRATIFICAZIONI Non è una teoria, è un modo di osservare il rapporto tra media e consumatore; è un insieme di studi empirici che ha portato a formulare un approccio di lavoro che supera la dimensione tipica delle comunicazioni di massa, lavorando su una maggiore attività da parte delle audience e tenendo conto di diversi elementi: • l’audience è attiva; • il consumo mediale è spinto da un obiettivo; • il consumo mediale consente un ampio ventaglio di gratificazioni (es. svago, approvazione…); • le gratificazioni provengono da: contenuto mediale, esposizione mediale e contesto sociale nel quale si colloca la stessa esposizione. Le origini dello studio degli usi e delle funzionalità: il contributo del funzionalismo →Funzionalismo: approcci sociologici che si sono sviluppati negli anni ’40, che mostra come gli individui che sono collocati nella società, svolgono delle funzioni sociali. La società viene vista come un insieme di parti che sono collegate fra di loro, perché l’una è funzionale all’altra. Su queste basi ci si inizia a chiedere qual è lo scopo che i media hanno nel funzionamento della società? Perché i cittadini dovrebbero usare i media? Oggi ci si chiede Cosa fanno le persone con i media? e non più cosa fanno i media alle persone? Questo “rovesciamento” della domanda sta alla base dell’approccio usi e gratificazioni. Dunque, che cos’è il consumo dei media? McQuail e Gurevitch 1974→ «comportamento che soddisfa (o che fallisce nel soddisfare) bisogni che hanno origine dall’interazione tra le disposizioni psicologiche individuali e l’esperienza della situazione sociale», cioè consumiamo media perché essi soddisfano bisogni, sociali e individuali. Quindi gli individui, in base a determinati bisogni, si rivolgono ai media per trovare una gratificazione. Questo percorso porta all’approccio usi e gratificazioni. Questo tipo di approccio rovescia il ruolo dei soggetti da una posizione passiva ad una attiva rispetto al sistema mediale. Cambia anche il modo di fare ricerca: è una ricerca che va dalle persone verso i media. →sempre per quanto riguarda il contributo del funzionalismo, l’interesse è di come la comunicazione tra mezzi di comunicazione di massa e pubblici non si occupa più degli effetti prodotti, ma di funzioni e disfunzioni che vengono attivate (Merton 1949): Funzioni: 32 Fase della «maturità» → Katz, Gurevitch e Haas nel 1973, lavorando in maniera un po’ più astratta individuano cinque tipologie di bisogni: • bisogni cognitivi (acquisizione di elementi conoscitivi) • bisogni affettivi-estetici (rafforzamento dell’esperienza emotiva) • bisogni integrativi a livello della personalità (rassicurazione, status, incremento della credibilità) • bisogni integrativi a livello sociale (rafforzamento dei rapporti con familiari, amici, colleghi) • bisogni di evasione (allentamento della tensione) Cioè fra tutte le tipologie di bisogno, cercano di astrarre, facendo una ricerca molto ampia, e individuano delle classi di bisogni Sempre in questa ricerca di Katz, Blumler e Gurevitch vengono individuate le relazioni tra fattori sociali e bisogni che si cerca di soddisfare mediante il consumo mediale: • la situazione sociale crea tensioni e conflitti, che possono allentarsi mediante il consumo mediale (es. oggi stiamo per molte ore a casa e questo può portare a conflitti, che i media possono allentare) • la situazione sociale crea consapevolezza circa l’esistenza di problemi riguardo ai quali possono essere acquisite informazioni tramite i media (es. i media ci informano riguardo al coronavirus) • la situazione sociale crea opportunità di soddisfazione concreta di determinati bisogni, che si cerca di soddisfare, in modo vicario, tramite i media (es. relazionarsi a distanza con gli altri) • la situazione sociale fa emergere determinati valori, la cui affermazione e il cui rinforzo sono facilitati dal consumo di prodotti mediali • la situazione sociale crea un campo di aspettative e familiarità rispetto a certi materiali mediali, che hanno a che fare con il riconoscimento del fatto che gli individui appartengono a gruppi sociali di riferimento, cioè consumo un certo tipo di media per mostrare a quale gruppo appartengo. Riassumendo: Cosa emerge nell’approccio usi e gratificazioni • l’audience è attiva; • il consumo mediale è orientato a un obiettivo; • il consumo mediale consente un ampio ventaglio di gratificazioni; • le gratificazioni trovano origine nel contenuto mediale, nell’esposizione e nel contesto sociale nel quale si colloca la stessa esposizione. Un approccio come questo secondo Perlof (2015) è il «candidato naturale per contribuire a illuminare l’era dei media online, nella quale gli utenti dei media digitali sono tanto emittenti che riceventi dei messaggi», cioè è capace di spiegare dei meccanismi in cui l’audience è talmente attiva da diventare produttrice di contenuti. Quali sono le nuove gratificazioni legate alle nuove tecnologie? Ci troviamo di fronte ad un nuovo ecosistema mediale (convergenza vs media come fonti monolitiche), alla crescita e all’affermazione di internet e del web e a nuovi tipi di attributi: interattività, demassificazione (=il fatto che esistono contenuti per ogni tipo di pubblico), asincronia (= es. programmi televisivi vengono fruiti non solo in TV, ma anche attraverso dei video su Instagram), multimedialità, ipertestualità (=es. bandersnatch di black mirror, in cui il pubblico deve scegliere quale strada prendere). 35 Rapporto tra le affordance dei nuovi media e le gratificazioni ottenute dai soggetti, cioè come le caratteristiche dei nuovi media riescono a produrre gratificazioni di tipo diverso. In una ricerca del 2013 Sundar e Limperos ne individuano quattro: • modality (ha a che fare con realismo, coolness, novità, presenza) • agency (aumento delle opportunità per i pubblici di attivarsi- agency, community building, bandwagon, filtraggio, targhettizzazione, appropriazione) • interactivity (interazione, attività, controllo dinamico) • navigability (browsing, aiuto alla navigazione, divertimento e gioco). Dunque, fondamentalmente questo approccio racconta di una realtà importante, perché ha rovesciato il senso della domanda rispetto al rapporto tra media e pubblici, ha posto l’accento su una attività cognitiva e di gratificazione da parte dei pubblici, ed è un tipo di approccio che ci permette di studiare ancora oggi i nuovi media; è un punto di partenza degli studi che partono dall’idea di pubblici attivi. TEORIA CRITICA La teoria critica si oppone come approccio a quello di ricerca amministrativa e analizza i media all’interno dei contesti sociali, economici, politici e culturali. Il contesto storico in cui si sviluppa sono gli anni ’40-’50, negli Stati Uniti, quando cresce una ricerca empirica di misurazione degli effetti dei media. L’oggetto di studio di questo tipo di ricerca sono le espressioni mediali connesse alle modalità di consumo, cioè in che modo i media influenzano i consumi (prodotti, servizi…) delle persone. Le caratteristiche della ricerca amministrativa e in che modo si contrappone a quella critica: è una ricerca di tipo mediacentrico (= mette al centro i media), che è un limite, poiché rappresenta una visione parziale del problema. Mette al servizio delle organizzazioni mediali (TV, radio…), la ricerca. A questi ricercatori si oppongono un gruppo di filosofi sociali tedeschi (Horkheimer e Adorno), che rappresentano l’approccio della scuola critica sociologica di Francoforte. L’approccio critico è fortemente oppositivo rispetto all’approccio della ricerca amministrativa: in particolare analizza i media considerandoli, non come il centro del problema, ma all’interno dei contesti sociali, economici, politici e culturali. I media vanno analizzati in chiave critica rispetto ai contesti in cui si inseriscono. È importante considerare il contesto in cui si sviluppa la ricerca critica: la Scuola di Francoforte proviene da un’Europa e in particolare da una Germania, che risente molto della pressione comunicativa che il nazi-fascismo producono con messaggi manipolatori. Quindi ritiene poco etico che i ricercatori si mettano a servizio delle istituzioni, preferendo, invece, un approccio indipendente dove il sociologo abbia una funzione critica, quindi sappia ragionare sulle informazioni piuttosto che accettarle e basta. Quest’opposizione è fondamentale, perché sta alla base di come funziona tutta la ricerca sui media. Caratteristiche che differenziano la ricerca critica da quella amministrativa: Ricerca critica: comunicazione intesa come processo sociale: approccio socio-centrico (spostare il centro dai media alla società), ci si chiede come i media affrontano questioni pubbliche e sociali, piuttosto che cercare di capire la loro efficacia. Ad esempio, nelle 36 pubblicità spesso si costruiscono stereotipi, è questo che alla ricerca critica interessa. → ricerca amministrativa: interessata all’efficacia dei media più che al cambiamento sociale (approccio mediocentrico). - Ricerca critica: considera i media come delle istituzioni, che sono parte di un più ampio contesto sociale, quindi i media sono vere e proprie istituzioni sociali, che si collocano in un contesto socioculturale specifico. Quindi si focalizza su temi come la proprietà e il controllo tecnologico (chi possiede e controlla queste istituzioni?). Ad esempio, Facebook è un’istituzione mediale che ha un peso nel contesto sociale e nel mercato → ricerca amministrativa: si concentra invece sull’analisi degli individui, sul capire come i media possano costruire dei messaggi che soddisfino scopi istituzionali - Ricerca critica: struttura, organizzazione, professionalità e partecipazione: ha un punto di vista esterno alle organizzazioni mediali, non interagisce con loro. Lo scopo è definire le policy che regolano queste istituzioni, si chiede cosa c’è dietro → ricerca amministrativa: dipende dalle organizzazioni mediali e dai loro obiettivi, cioè ha una natura commerciale, quindi crea risultati utili ai fini commerciali delle aziende per cui lavora Queste due ricerche rispondono a domande diverse: Ricerca amministrativa: chi sono le persone esposte ai diversi media? Quali sono le loro preferenze specifiche? Quali sono gli effetti dei diversi metodi di presentazione di un messaggio mediale? Quali sono gli effetti dei diversi metodi di presentazione? Ricerca critica: come sono organizzati e controllati i media? In che modo si manifesta la tendenza alla centralizzazione (cosa porta i media ad agire come un soggetto unico), alla standardizzazione (come si producono messaggi standardizzati) e alla pressione promozionale? In che forma, per quanto mascherati, stanno minacciando i valori umani? Ma il vero tratto distintivo della ricerca critica, in opposizione all’approccio “frammentario” (in quanto analizza singoli messaggi) della ricerca amministrativa, è il concetto di totalità: ogni singolo fenomeno preso in esame è posto in relazione a tanti altri. Questo perché secondo la scuola di F rinunciare a ricostruire la trama delle relazioni, significa non fare una buona ricerca scientifica. Quindi la ricerca critica vede i media con uno sguardo sociocentrico e di diffidenza, li vede come una minaccia per i valori sociali ed è una ricerca di tipo scientifico totalizzante. Nasce nell’istituto per la ricerca sociale/Scuola di Francoforte, i cui principali fondatori sono: - Marcuse: critica sia nei confronti del marxismo che della società capitalistica americana - Fromm: studia l’interpretazione di Freud e la teoria critica della società contemporanea - Benjamin: si focalizza sull’opera d’arte - Adorno e Horkheimer: sviluppano il concetto di industria culturale Il programma di ricerca viene definito da Horkheimer nel 1937, il quale distingue la teoria tradizionale dalla teoria critica, che serve a: - Analizzare la direzione del cambiamento sociale a partire dalle contraddizioni sociali - Evidenziare e affrontare le ingiustizie sociali con il contributo della critica dell’ideologia. Quindi questa ricerca si muove attivamente: non si ferma ad essere un’analisi teorica, ma cerca delle soluzioni per combattere le ingiustizie. Quindi l’idea che c’è alla base di questo pensiero è: sviluppare una “ricerca sociale”, che vada al di là di ambiti di competenze distinti, ma prende come campo di studio la società intesa nel suo complesso (totalità), quindi ha bisogno di tutti i contributi (psicologia, filosofia, sociologia…). 37 Altro elemento fondamentale è che questo approccio è consapevole che ogni produzione culturale funziona secondo delle logiche industriali. Per esempio, tutto il processo che segue oggi l’uscita di un film (anticipazione, colonna sonora, interviste agli attori, le riproduzioni per la visione casalinga, distribuzione). Quindi il merito di questa teoria è quello di aver trovato elementi fondamentali per capire i meccanismi dell’industria culturale e di percepirla come tale. Capire i meccanismi del successo di un prodotto significa capire i meccanismi di industrializzazione che ha alle spalle. La teoria critica nelle trame di internet Anche oggi abbiamo a che fare con un approccio critico per quanto riguarda Internet. La teoria critica di internet emerge nel momento di maggior entusiasmo culturale e acritico verso la rete. L’approccio critico a internet assume consistenza nel momento in cui si realizzano due condizioni relative alla diffusione e all’accesso della rete: - Massificazione - Internazionalizzazione Da questo “spartiacque” comincia una sorta di economia politica dei media molto attenta agli squilibri nei flussi di produzione, circolazione e consumo. Un discorso critico che ha a che fare con i media deve tener conto con le minoranze, con le difficoltà e con i rischi. Uno dei principali critici di Internet è Evgeny Morozov (2011): - Parla di attivismo da tastiera o slacktivism (attivismo per fannulloni), che promuove le cause di sostegno in modo digitale, ma aumenta il disimpegno civico e la depoliticizzazione. - Internet è assoggettato alle forme istituzionali dei governi; quelli più oppressivi possono utilizzarlo per reprimere le libertà. Es: Cina e la «personalizzazione della censura» Quindi egli critica il fatto che questo tipo di approccio considera l’audience come massa indistinta, oggetto unitario e passivo, quindi internet influisce su tutti alla stessa maniera anche laddove, come nell’uso dei motori di ricerca, l’individuo costruisca da sé le sue selezioni. Un altro teorico critico nei confronti della rete è Geert Lovink (2008, 2016): ci sono due ideologie da demistificare che fanno parte del discorso pubblico su internet: - ideologia del free e open: la rete è un territorio soggetto all’economia del dono (es. faccio un post dove offro informazioni gratuitamente) con l’opzione privilegiata da tutti del no copyright, ma in realtà attorno a quest’ideologia esiste una sorta di modello economico diverso che sfrutta la classe mediadigitale e il lavoro autonomo. - ideologia della partecipazione: internet è una continua costruzione di spazi partecipativi, che dal basso promuovono istanze e campagne (es. commentare dirette fb non ha efficacia è un gioco) … ma possono alimentare frustrazione e odio online come effetto non intenzionale della produzione di informazione grassroot (dal basso). Il discorso di teoria critica che fa Lovink è di puntare l’attenzione su: Internet come ambiente di riproduzione delle differenze di classe applicate alla dimensione informativa e della conoscenza. Quindi internet rischia di diventare un posto di riproduzione della differenza di classe, perché anche su internet gli individui vengono sfruttati, per il fatto che tutti noi produciamo gratis dei contenuti per le piattaforme, le quali invece possono farci soldi. - Rischio che internet diventi un posto dove si radicalizzano le istanze, a causa della logica di partecipazione del web, cioè il fatto che è un porto dove si produce polarizzazione. Ad 40 esempio, le campagne di odio online: siccome tutti possono dire la loro, è molto facile che si radicalizzano le posizioni più estreme. La partecipazione quindi non è solamente buona, così come il free e l’open, possono essere modi attraverso cui si riproducono le disuguaglianze o la polarizzazione e l’odio online. Anche il fatto che si salti la distinzione tra autore e fruitore, cioè il fatto che esiste il prosumer, produce un rovesciamento di prospettiva facendo del consumatore un produttore, capace di costruire e diffondere contenuti attraverso le possibilità del digitale e della rete. Andrew Keen, in The Cult of the Amateur: How Today's Internet Is Killing Our Culture (2007, trad.it 2009) parla del fatto che oggi abbiamo fatto dell’amatorialità uno degli elementi principali della rete così da perdere l’informazione qualitativa. C’è una vera e propria dittatura del dilettante si impone su quella dell’esperto: inoltre, molti non si limitano a condividere contenuti che provengono da fonti affidabili, ma vogliono dire la loro. Il problema è che le persone non riconoscono l’esperienza di una persona che sta condividendo un contenuto e questo fa sì che saltino tutti i principi educativi, conoscitivi e produttivi. Cioè il limite è che esistono dei dilettanti che cercano di spiegare le cose del mondo, che porterà a sviluppare sempre meno fiducia e attenzione nei confronti dei veri esperti. Questo approccio tende a difendere i media tradizionali e le élite culturali e professionali. Abbiamo bisogno di costruire nuovi elementi di fiducia nelle strutture di conoscenza che la rete sta abilitando. Tutti sono soggetti a questi tipi di meccanismi e l’esperienza che ognuno di noi fa nella rete dipende da ciò che contiene la nostra rete. È evidente che ci sono molte responsabilità nell’ambiente mediale, ma è anche vero che dipende molto da noi, perché dobbiamo essere consapevoli che su internet ci sono sia professionisti che amatori; comunque, abbiamo bisogno di esperti laddove si parla di temi sensibili. I CULTURAL STUDIES I cultural studies sono un approccio culturologico al tema dei media e rappresentano il momento in cui la cultura di massa diventa una sorta di luogo autonomo di studio tra gli anni ’50-’60 del ‘900. Il periodo in cui i cultural studies nascono come strumento di visione critica e di svelamento delle contraddizioni della cultura è caratterizzato dal fatto che l’Inghilterra era attraversata da profonde trasformazioni: sviluppo industriale, affermazione del Welfare State, l’Occidente si schiera contro il nemico comune dell’URSS, il forte sviluppo industriale prevede la scomparsa della classe operaia e c’è una forte americanizzazione della cultura, cioè il fatto che si fruisce di molti prodotti americani. Si tratta di un ambito di studi che ha una vocazione di stampo politico, perché immagina la cultura come un luogo che può svelare le dinamiche di potere della società. Quindi è un approccio allo studio della cultura di massa di stampo critico, che ha un forte radicamento sulla tradizione letteraria di Antonio Gramsci e sulla sua critica all’ideologia, sia in Italia che all’estero. È alla base di tutti gli studi socioculturali che nascono intorno ai media e alla comunicazione, che hanno una vera e propria “startup”, in un centro che nasce nel 1964 all’Università di Birmingham diretto inizialmente da Richard Hoggart: il Centre for Contemporary Cultural Studies. È il primo centro al mondo che mette al centro della sua analisi della società il tema della cultura di massa; inoltre, ha la particolarità di utilizzare un approccio multidisciplinare, in cui tutte le discipline hanno in comune il centro dell’indagine, cioè la cultura e i media. Dal 1969, e per dieci anni, la direzione passerà a Stuart Hall, l’esponente più conosciuto, considerato il padre dei cultural studies. 41 L’obiettivo che hanno è quello di sviluppare una sorta di critica ideologica del modo in cui, fino ad allora, le discipline umanistiche tendevano a presentarsi: ciò che vogliono è demistificare la loro natura normativa, cioè mostrare come, proprio le discipline umanistiche, che si mostrano come forme disinteressate, hanno un ruolo attivo nel costruire la cultura nazionale e quindi dalle interpretazioni che loro ci danno sviluppiamo visioni del mondo che sono visioni di potere. Quindi si tratta di far emergere le contraddizioni all’interno della cultura e dei media, lavorando su degli oggetti precisi: testi e contesti mediali in cui i media e la cultura vengono fruiti. È un campo d’indagine che si occupa di fenomeni socioculturali, testi mediali, comunicazione, mettendo i media e la comunicazione culturale al centro del suo interesse, che utilizza un metodo di lavoro etnografico e sul campo, usando anche interviste, analisi testuali e discorsive. Tutto questo conferisce un approccio qualitativo alla ricerca che permette di approfondire nei contesti sociali il rapporto tra i pubblici e i messaggi. Gli approcci principali che la scuola di Birmingham assorbe dagli studi precedenti: - Ricorso alle tecniche analitiche degli studi letterari per applicarle ad un campo diverso, fatto di prodotti culturali di diversa natura: musica, giornali, quotidiani, settimanali, fumetti e fiction popolare (Richard Hoggart). Bisogno considerare il fatto che c’era una forte divisione tra cultura alta e cultura bassa. - Mostrare come la cultura è un prodotto della società e quindi è influenzata storicamente ed economicamente: è un prodotto socialmente determinato; quindi non possiamo analizzare un prodotto culturale, senza considerare il contesto sociale in cui nasce (Raymond Williams). Dunque, l’idea di cultura del CCCS è il risultato di una visione sociale, che porta a costruirla attraverso un insieme di pratiche, cioè di forme di contenimento e resistenza, appropriazione ed espropriazione, quindi forme per cui la cultura è viva e risponde in modo polimorfo all’approccio dei pubblici. Hall: la cultura non è una pratica, ma passa attraverso tutte le pratiche sociali ed è il risultato delle loro interrelazioni. Fiske: la cultura è un processo continuo di produzione di significati sociali e frutto della nostra esperienza sociale; tali significati producono necessariamente un’identità sociale riguardo alle persone coinvolte. Attribuire senso a qualsiasi cosa implica attribuire senso alla persona che è l’agente del processo; l’attribuzione di senso dissolve le differenze tra soggetto e oggetto e li mette in relazione. La produzione di cultura è un processo sociale. Per questo studiare i soggetti della cultura significa contemporaneamente studiare anche gli oggetti, perché nelle pratiche c’è un’unione molto forte tra soggetto e oggetto. La cultura è qualcosa di sociale e nelle pratiche studiamo contemporaneamente l’agire di un soggetto, i suoi meccanismi identitari e l’oggetto culturale. Hall: malgrado nel XX sec. le masse popolari non siano mai riuscite a divenire del tutto i soggetti autori delle pratiche culturali, la loro persistente presenza ha costantemente interrotto e sconvolto ogni altra cosa, è come se le masse avessero tenuto per sé un segreto, mentre gli intellettuali continuano a cercare di capire cosa sta succedendo. Questa è una critica molto forte alla cultura d’elite, perché secondo Hall quello che è importante è ciò che diventa cultura popolare, ciò che si costruisce come un processo di rielaborazione delle trasformazioni portate dalla modernizzazione, in cui le masse producono movimenti di appropriazione ed espropriazione. Questo produce un percorso con la tradizione precedente di rottura: 42 «Radicamento» e «addomesticamento» dei media nella vita quotidiana Approccio sviluppato da Moores nel 1993 che cerca di legare maggiormente l’analisi dei media all’interno di contesti domestici e di vita quotidiana, utilizzando i concetti di radicamento e addomesticamento. I Cultural Studies hanno fornito agli studiosi dei media delle categorie utili a descrivere i pubblici, tenendo conto delle variabili sociali (classe, genere, etnia) e di contesti d’uso, che rimandano ad un universo comune di esperienze. Si passa dall’idea di un pubblico dei media a quella plurale di pubblici dei media, promuovendo l’analisi situata in contesti precisi del consumo mediale. Shaun Moores è uno dei primi a parlare di consumo mediale, cioè a considerare i media come una pratica di consumo, che deve tener conto di variabili e contesti d’uso e che quindi porta ad immaginare i pubblici al plurale. Sviluppa degli elementi generali sullo studio di consumo dei media fondamentali ancora oggi per fare ricerca rispetto ai pubblici mediali: o Consumo: idea di sottrarre l’idea di consumo dalla dicotomia (consumo vs. produzione), cioè pensare il consumo come una vera e propria attività produttiva; significa che i pubblici sono creativi e che ci sono delle forme di costrizione in cui operano, a partire dai vincoli che l’attività di consumo gli produce. (es. creando meme, commentando…) o Radicamento (embedding): considerare le pratiche di consumo e i media come oggetti culturali entrambi situati, cioè avvengono in particolari contesti socioculturali; significa che un nuovo medium, entrando in una famiglia si deve radicare, deve essere appropriato e questo porta ad una rinegoziazione delle dinamiche familiari e ad una collocazione del medium (es. un nuovo ipad per la famiglia: bisogna stabilire chi lo usa, dove va messo…) o Articolazione: i media si collocano a vari livelli nell’ambito delle strutture identitarie dei soggetti, cioè diventano parte del modo di identificarsi e differenziarsi dagli altri. Spiega i modi in cui qualcosa di nuovo che entra nell’ambito famigliare si sposa con le culture vive del consumo e quindi consente ai soggetti di esprimersi attivamente, producendo identità e distinzione. Quindi i media ci permettono forme espressive che costruiscono meccanismi identitari e di distinzione sociale, non solo perché li possediamo, ma anche per le cose che ci permettono di fare. Roger Silverstone, uno dei padri della svolta etnografica dei cultural studies e del consumo dei media. Conosciuto per aver introdotto nei cultural studies il concetto di addomesticamento. È un autore che cerca di costruire una sorta di casa interdisciplinare tra gli studi della comunicazione e quelli della cultura, intendendoli come un unico ambito di interesse, perché i media sono parte dell’esperienza umana, quindi parte della nostra cultura e comunicazione. Il concetto centrale di Silverston è il concetto di domestication (=addomesticamento): egli introduce questo concetto in una ricerca che nasce alla fine degli anni ’80 ed è dedicata agli usi dell’information comunication technology (ICT) nell’ambito domestico. Ricerca molto interessante perché porta l’ambito delle ricerche sulle audience oltre i confini dei television studies, quindi scardina il paradigma secondo cui lavorare sui media significa solo lavorare sui media mainstream e di massa (es. TV), spiegando che invece, significa considerare un contesto più complesso in cui nell’ambito dei media si devono considerare tutte le tecnologie domestiche. Il termine addomesticamento viene da un contesto semantico che rimanda all’idea di normalizzare ciò che è selvaggio, come un animale che deve integrarsi in un nuovo ambiente. 45 Egli introduce questo concetto come una metafora per indicare il modo in cui le tecnologie della comunicazione e dell’informazione vengono portate e integrate nell’ambiente domestico. L’addomesticamento rappresenta il superamento della “frontiera” dello spazio pubblico in cui l’oggetto tecnologico si trova come merce (es. negozi) per entrare in uno spazio privato (es. casa, lavoro). Quindi cominciano i primi studi che cercano di capire l’introduzione delle tecnologie, non più solo nell’ambito famigliare, ma anche nell’ambiente di lavoro, che faranno da base a studi futuri. Questo passaggio trasforma il significato di un oggetto tecnologico: finché gli oggetti/merci non attraversano quella frontiera, si trovano in uno stato di alienazione, dopo essere entrati nell’ambiente domestico e dopo un meccanismo di appropriazione da parte del consumatore, assumeranno un significato preciso. È questo il contributo più importante di Silverston: è arrivato a concepire una dimensione sia materiale che simbolica dell’oggetto mediale, che assume significato attraverso la domestication. La teoria della «domestication» si fonda su 3 presupposti, cioè su 3 variabili operative per leggere il concetto di addomesticamento: - economia morale della famiglia: l’economia morale è una sorta di cultura privata, di significati propri, di dinamiche che si sono sviluppate nel tempo e che danno significato alle strutture mediali che entrano in famiglia. Bisogna considerare la sfera domestica come una sorta di unità in cui avvengono delle transazioni di relazioni economiche-sociali in rapporto alla dimensione pubblica. Cioè nel momento in cui specifiche tecnologie mediali entrano nell’ambiente domestico, le famiglie le integrano nelle loro economie morali, cioè gli attribuiscono significato in modo costitutivo (es. oggi avere particolari medium in casa sviluppa un valore superiore a quello che poteva avere prima). Quindi lo stesso mezzo tecnologico non ha lo stesso valore e non viene utilizzato allo stesso modo da tutte le famiglie (es. un nuovo cellulare per un figlio adolescente). - doppia articolazione : il medium viene visto allo stesso tempo come oggetto (es. TV) e come mezzo di comunicazione, quindi è contemporaneamente uno strumento che permette una comunicazione mediale e un oggetto. In quanto oggetto mediale materiale, l’interesse sta nelle sue caratteristiche materiali ed estetiche (collocazione nello spazio, caratteristiche fisiche, grandezza, marca, qualità…). Mezzo di comunicazione indica il fatto che nel momento in cui un medium entra in casa, porta informazione, programmi… e mette costantemente in relazione ambiente esterno/pubblico e ambiente interno/privato. - tendendo conto dell’economia morale e della doppia articolazione la teoria della domestication si fonda su quattro dinamiche processuali che sono le quattro fasi costitutive di ogni forma di addomesticamento: Appropriazione: una tecnologia passa dal mondo delle merci all’ambito domestico. Si passa dall’economia formale dell’acquisto all’economia morale della famiglia, quindi l’oggetto acquisisce significato e diventa parte della routine famigliare. Oggettivazione: collocazione spaziale dell’oggetto- medium e sua esibizione Incorporazione: i modi in cui gli oggetti mediali si inseriscono nella routine famigliare e costruiscono ritmi temporali dell’unità domestica. Conversione: relazione fra l’ambito familiare e il mondo esterno, cioè il momento in cui si passa dal trasformare l’uso delle tecnologie da uno status per il soggetto, nel suo modo di partecipare alla cultura pubblica (es. usare temi televisivi per fare conversazione o produrre contenuti sui social, quindi portare il privato su internet) 46 Analizzare la domestication di una tecnologia mediale tenendo conto di questi 4 processi significa ad esempio fare delle domande, dei questionari, andando ad indagare ognuno di questi momenti. Le domande devono essere meno valutative possibili ad esempio una domanda per capire il punto 1 è mi racconti il processo d’acquisto? per il punto 2 dove lo tieni di solito? per il 3 quando e quanto lo usi? e per il 4 come lo usi per comunicare con gli altri? Ti capita di parlare di TV al di fuori della tua famiglia? Il paradigma spectacle/performance di Abercrombie e Longhurs Dopo la svolta etnografica si inizia a sviluppare negli studi sui media una consapevolezza del fatto che le audience tendono ad essere sempre più attive: sono soggetti capaci di sviluppare forme di appropriazione delle tecnologie e dei testi mediali. Per capire le dinamiche che stanno dietro a tutto questo utilizziamo un concetto che introducono Abercrombie e Longhurst nel libro Audiences (‘98), che usano un nuovo paradigma: «spectacle/performance». Quindi pensare le audience come un soggetto performativo capace di definire la propria identità performando dei rapporti all’interno delle logiche dei media. Quindi le audience vengono viste sempre di più come soggetti attivi, performativi, che costruiscono, grazie ai media, particolari tipi di rapporti con gli altri e che quindi la fruizione dei media ha a che fare con la dimensione identitaria del soggetto. Questo si sviluppa all’interno dell’interazione fra due processi storici sviluppati nella modernità: - concezione del mondo come spettacolo (spectacle) - costruzione narcisistica dell’individuo (performance) Significa che nel superamento dell’approccio encoding-decoding di Hall, ci troviamo di fronte ad approcci che hanno un’idea di audience che in sé sono ancora più attive e che vogliono superare le limitazioni del considerare il soggetto o staccato dal rapporto con gli altri o staccato rispetto alle dinamiche di appropriazione. Quindi essere audience da questo punto di vista non ha più a che fare con una dimensione eccezionale legata ad un evento (es. guardare la TV, ascoltare la radio…), ma ha a che fare con una condizione intrinseca nella quotidianità, cioè ha a che fare con qualcosa che avviene costantemente nella quotidianità. Concezione del mondo come spettacolo indica il fatto che tendiamo ad osservare gli altri nel mondo, come stessimo osservando dei performer su una scena e quindi immaginiamo questa retorica della spettacolarità delle vite degli altri, che è dimostrato dall’uso che facciamo della diffusione/fruizione delle immagini nei social media. I filosofi francesi parlano di società dello spettacolo: lo spettacolo diventa la chiave cognitiva attraverso la quale guardiamo e ci rappresentiamo nel mondo come attori in scena. Vuol dire che quello che fanno gli altri ci affascina come fosse uno spettacolo. A partire da questo paradigma Abercrombie e Longhurst dividono 3 tipi di audience: Simple audience: fra spettatori e performance c’è una separazione netta e si assiste allo spettacolo condividendo il suo stesso spazio-tempo (es. teatro) Mass audience: pubblico e performance sono disgiunti nei ruoli e svincolati dalla condivisione spazio-temporale (es. TV, cinema) Diffused audience (audience diffusa= tipo di sguardo che fa parte instrinsecamente dell’esperienza quotidiana): i media diventano più pervasivi, per cui si è costantemente pubblico di qualcosa, in cui lo spettatore diventa qualcuno che produce contenuti e diventa quindi performer che viene guardato da un altro spettatore (es. social media) Quindi nonostante i media non avessero già preso il sopravvento, Abercrombie e Longhurst avevano già immaginano questa tendenza da parte dello spettatore a diventare performer. Questo paradigma ci permette di capire come le audience siano dei soggetti complessi. 47 usata nelle fan fiction per raccontare con i protagonisti di una serie TV particolari aspetti del mondo, ad esempio, prendono un personaggio di una serie e lo portano a vivere altri tipi di situazioni (es. raccontano storie lesbiche su Ermione che in Harry Potter è etero). Questo tipo di discorsi ci mostrano in che modo i fan sviluppano in modo diverso un’attenzione per delle realtà che stanno all’interno del mondo della produzione, che sono occasione per sviluppare speculazioni identitarie più politicizzate. È evidente quindi che i personaggi di una serie tendono a diventare dei pretesti testuali per fare discorsi di altro tipo (es. discorsi sul genere). Questa dimensione ci dice che l’attività produttiva dei fan, attorno alla dimensione più ironica di intrattenimento sviluppano culture di coinvolgimento molto forte, che hanno a che fare anche coi discorsi identitari. Quindi gli studi sul fandom, ci fanno capire che è molto diffusa, cioè essere fan è una specie di statuto che è latente in ogni tipo di spettatore e ci porta a dire che essere fan oggi è un comportamento che può attivarsi in qualche momento della propria vita di spettatore e che ci racconta la possibilità per un po’ di tempo, che qualcuno esca dalla natura dell’essere semplice consumatore dei media e tenda ad essere particolarmente appassionato, cercando una profondità che il prodotto mediali in sé non è detto che abbia. Come? Per esempio, quando esce una nuova serie TV si può notare l’interesse delle persone a ricercare informazioni al riguardo su Google o altro, perché evidentemente non basta il prodotto mediale per com’è, ma abbiamo bisogno di approfondimenti ulteriori. Per questo si passa dall’essere textual poachers (=manipolatori di testi mediali) a diventare dei textual performers (= performatori dei testi mediali), che portano la dimensione dei testi mediali in modo più profondo all’interno delle proprie vite, attraverso l’uso di gadgets, fan fiction… Molto spesso non è detto che questi prodotti (es. gadgets) siano espliciti, magari sono riconoscibili solo da chi è fan. Si tratta di giochi che i fan sviluppano rispetto alla notorietà di prodotti mediali, sviluppando però un discorso di tipo diverso; questo è l’elemento principale che questa analisi di pubblici attivi e convergenti di Jenkins cerca di sviluppare. Quindi il primo contributo di Jenkins è quello delle culture partecipative. Un secondo contributo ha a che fare col concetto di cultura convergente, che mostra la relazione che si costruisce tra vecchi e nuovi media. Jenkins fa questa analisi nel suo libro Convergence culture (2006). La convergenza di cui parla è la convergenza dei media, che si attiva grazie alle culture partecipative, le quali mettono in relazione vecchi e nuovi media. Fruiamo di una serie TV, produciamo prodotti culturali e li mettiamo in circolazione online; è la cultura partecipativa che crea questa dimensione, che è fatta di un flusso di contenuti su più piattaforme, di una cooperazione tra più settori dell’industria dei media e di una migrazione del pubblico che è alla ricerca di nuove esperienze di intrattenimento e si sposta da un mondo all’altro. Quindi il nostro bisogno di muoverci all’interno della dimensione del fandom, ci porta a stare su più piattaforme e a sperimentare modalità per stare vicini all’universo di quel determinato prodotto. Esiste, inoltre, una cooperazione tra più settori dell’industria dei media, cioè sempre di più i prodotti mediali sono prodotti complessi, che hanno a che fare con un progetto che va al di là del singolo progetto attuato e che riguarda un mix di competenze mediali, di settori, che vanno dalla produzione alla distribuzione (es. Disney che produce e vende prodotti, gadgets di film e cartoni). 50 Il pubblico cerca di muoversi su nuove esperienze di intrattenimento e ha bisogni diversi, quindi un modo di seguire e di essere appassionati una particolare serie, può essere quello di esplorare i videogiochi o leggere il romanzo della serie, che possono essere una semplice riproduzione o può sviluppare narrazioni diverse. Jenkins fa questa analisi nel 2006, periodo in cui si iniziano a consolidare le principali piattaforme come Facebook e Twitter, che entrano nei meccanismi di partecipazione dei pubblici. Ma questo non ha a che fare con una sorta di empowerment del pubblico, ha conseguenze più forti in termini di convergenza tra media: i professionisti dei media si accorgono che questi tipi di pubblici e l’uso che essi fanno delle piattaforme è importante e soprattutto che sempre di più media mainstream e new media tendono a produrre forme di convergenza mediale (es. oggi è possibile guardare un film dal telefono). Quindi cambiano dei comportamenti di consumo, ma cambiano anche le possibilità stesse di consumo e della messa in relazione di chi consuma questi tipi di contenuti e dei suoi rapporti con chi li produce. È un vero e proprio cambiamento culturale, che porta le persone a ricercare e consumare contenuti combinando fra loro diversi media, e questo apre al concetto di transmedialità, cioè il fatto che gli appartenenti alle audience si abituano e sentono sempre di più il bisogno, per approfondire la loro passione mediale, che ha a che fare con la costruzione identitaria, di fruire di un approccio transmediale, cioè di un prodotto che possa attraversare media diversi e che diventi tante cose. Nel suo blog Jenkins si definisce un ACA (academic)-FAN, perché per capire in profondità alcuni fenomeni collegati alle pratiche che le audience sviluppano nei confronti dei prodotti culturali, bisogna entrare all’interno di queste dinamiche. Jenkins lo fa, perché oltre che essere un accademico è un fan di molti di questi prodotti, quindi prende parte ad alcune pratiche, come quelle delle fan fiction, che sono in relazione con queste comunità, quindi fa analisi scientifica dall’interno. In questo blog, spesso intervista protagonisti del mondo dello spettacolo, registi, sceneggiatori… Jenkins lavora in modo molto complesso sulle culture dell’immaginario che passano attraverso i prodotti culturali d’intrattenimento; quindi il suo blog è molto utile agli studiosi, perché mostra come i prodotti “bassi” dell’intrattenimento siano strumenti per lo sviluppo di culture civiche e anche di forme identitarie. Definizione di convergenza culturale- Jenkins = stiamo entrando in una nuova era (2001), in cui I media saranno ovunque e useremo ogni tipo di media per relazionarci agli altri. Cosa che si è verificata, in maniera molto più forte di quanto ci si aspettava nel 2001. Jenkins sviluppa l’idea di convergenza culturale mettendo insieme due cose: - la convergenza mediale , cioè l’idea che l’industria dell’intrattenimento dei media cerca di spingere la connessione di tutti i media all’interno di un’unica “scatola” che li controlla (sappiamo che oggi non è esattamente così… ma se si pensa a tutte le cose che si possono fare con un telefono, allora si tratta di un’idea di convergenza mediale). - La convergenza mediale è un’idea dell’industria delle comunicazioni, che è un punto di tensione, ma è anche un processo in cui si intersecano diversi fattori, non solo tecnologici e industriali, ma anche contenuti e audience. Cioè nell’idea di convergenza tra i media, dobbiamo tener conto che si parla, non solo di infrastrutture, ma anche ad esempio di come i contenuti siano fatti per circolare da un ambiente all’altro e anche che le audience siano audience che si abituano a muoversi fra ambienti diversi o a fruire di uno stesso contenuto su piattaforme diverse. 51 Quindi quando si parla di convergenza culturale, si intende una cultura della convergenza fatta un mix di media e di pratiche, attraverso tanti modi in cui avviene la convergenza: - Tecnologica: conversione dei media in tecnologie digitali (es. convergere un vecchio medium, come un libro, in una nuova tecnologia, in un e-book). Ovviamente i nuovi media non sono completamente nuovi, ma rimediano i vecchi media, esaltando e tralasciando delle componenti, cioè non sostituiscono i vecchi media, infatti, ad esempio, nell’epoca degli e- book, non vengono venduti meno libri cartacei, oppure, il fatto che anche se oggi possiamo vedere film sul telefono, comunque non smettiamo di andare al cinema. - Economica: dagli anni ’90 in poi c’è stata una forte integrazione orizzontale dell’industria dell’intrattenimento con le media company, cioè una serie di major che prima si occupavano di produrre contenuti, ora si occupano di fare acquisizioni di aziende e major che si occupavano di distribuire contenuti (es. Netflix allo stesso tempo distribuisce prodotti di altri e produce e distribuisce prodotti propri). Quindi c’è il vantaggio di avere il controllo del reparto di produzione e di quello di distribuzione media. L’altro elemento della convergenza economica è lo sfruttamento transmediale dei marchi, cioè poter prendere un maschio (es. Harry Potter) e sfruttarlo su ambiti mediali diversi. Quindi si espande l’universo mediale del franchise verso audience potenziali diverse, in modo da saturare il mercato da tanti punti di vista, cioè avere un prodotto centrale e sfruttarlo da tanti punti di vista. - Globale: oggi abbiamo a che fare con una sorta di ibridazione culturale, prodotta dalla circolazione internazionale di contenuti mediali, quindi ci sono contenuti adatti ad un pubblico sempre più globalizzato. Questo incide sulla circolazione di culture diverse e sui meccanismi di globalizzazione della cultura (es. Bollywood crea film in cui mostra il multiculturalismo) - Sociale o organica: Jenkins fa l’esempio del media stachking (= uso contemporaneo di differenti forme mediali allo stesso tempo, come guardare la TV e stare su Internet) - Culturale: ha a che fare con l’empowerment del consumatore, che diventa più attivo, forte e capace di sviluppare contenuti, perché impara a editare e creare contenuti. La cosa interessante è che le media company sfruttano questo elemento per creare contenuti low- cost, per produrre campagne comunicative, o per far circolare più contenuti che le riguardano a basso costo, senza doverli produrre autonomamente. Ci sono casi in cui gli user genereted content (UGC= contenuti generati dagli utenti) diventano parte dei programmi TV ad esempio, quindi fondamentalmente ciò che le persone producono, gli UGT, diventano centrali per fare trasmissioni TV. Convergenza culturale significa che le dimensioni dall’altro e dal basso convergono, cioè le culture delle corporation, di chi produce prodotti culturali, tende a convergere con le culture grassroots (dal basso). Quindi la cultura della convergenza è la mutazione di come agiscono i media e delle logiche che guidano il consumo di informazione e di intrattenimento, quindi il pubblico dei media da semplice consumatore diventa un vero e proprio produttore di contenuti, e questi contenuti sono fondamentali per la costruzione e la circolazione dei prodotti mediali, per dare senso ai mondi mediali (es. commenti, gif), che arricchiscono di senso le culture dell’immaginario. Quindi studiare oggi i prodotti culturali dei media significa considerare sempre le capacità produttive delle audience e come si relazionano le capacità produttive dei media con quelle delle audience. Significa cercare di capire come questi due universi, corporation e grassroots, convergono. 52 • Visibilità: i contenuti sono visibili, perché gli algoritmi li rendono visibili a più utenti possibili (es. notifiche) • Diffondibilità: è molto facile diffondere contenuti in quasi tutte le piattaforme Questo fa sì che si crei un ambiente intorno a queste affordance particolarmente connesso. Le dinamiche che si formano attorno a queste affordance: • Audience invisibili: ognuno di noi ha più persone attive che lo guardano di quanto lui sappia (sappiamo che un follower ci guarda solo se lascia una reazione, ma ci sono persone invisibili) • Collasso dei contesti: il privato entra all’interno delle dinamiche (es. vedere su Instagram una foto di un professore in vacanza) • Confini sfumati tra pubblico e privato Cosa differenzia i «pubblici connessi» (Boccia 2012) dall’idea di pubblico della ricerca amministrativa, della Scuola di Francoforte e dei Cultural Studies: -sono connessi gli uni agli altri dal punto di vista delle possibilità comunicative e di interazione -sperimentano contemporaneamente una doppia condizione di «avere del pubblico» ed «essere parte di un pubblico». -esplicitano in pubblico –in modi visibili –le loro reazioni ai contenuti: hanno acquisito consapevolezza di «essere pubblici» e di esserlo «in pubblico» -esercitano la propria riflessività pubblicamente e in modo interconnesso Big Data e hashtag studies - Molta della ricerca delle comunicazioni di massa si è basata sull’analisi di una semantica processata dalla produzione culturale: libri, film, articoli di giornale, servizi giornalistici, fumetti, settimanali, fotoromanzi. Scenario digitale: conversazioni online si sedimentano negli spazi di rete diventando sia visibili sia ricercabili. Metodologie data-driven (Bruns, Burgess 2012): partono da un insieme di dati quantitativamente rilevanti e tradizionalmente inaccessibili (Big Data) per identificare successivamente i percorsi di analisi «Hashtag Studies» Social television produzioni di contenuti e opinioni che si generano intorno a un momento/evento della programmazione televisiva Social media e politica conversazioni relative a un determinato evento politico o a una tendenza sociale; dimensione della partecipazione e dell’impegno politico PLATFORM SOCIETY Libro che analizza come oggi sia possibile fare una lettura del digitale in un contesto che vive sempre di più di un effetto di piattaformizzazione. La piattaformizzazione ha a che fare con la moltiplicazione delle piattaforme che riempiono l’ambiente informativo, lavorativo, di intrattenimento… Gli autori mostrano come le piattaforme non tendono a causare una rivoluzione, ma progressivamente si infiltrano e convergono nelle istituzioni tradizionali dei paesi in cui vivono. Sviluppano modalità nuove nelle società democratiche, ecco perché si parla di “Platform society”, proprio per indicare questa relazione che si crea tra piattaforme online e strutture sociali. 55 Le piattaforme non sono un riflesso del sociale, ma sono organizzazioni private che producono queste strutture sociali dove viviamo. Gli autori analizzano il contesto di mutazione delle strutture sociali in cui viviamo all’interno di diversi tipi di ambiti, in particolare dell’informazione, del trasporto urbano, della ricerca della salute, dell’istruzione e della geo-politica. In particolare si tratta di piattaforme che riguardano il mondo occidentale (Google, Amazon..), che si collocano a metà fra logiche del mercato, logiche statali e società civile. Quando si parla di piattaformizzazione si fa rifermento ad una modalità (platform ready) per cui questi soggetti rendono anche i dati che circolano al di fuori di essi adatti ad operare nelle piattaforme. Dunque, hanno dettato delle logiche per le quali anche soggetti esterni tendono a trattare i dati in maniera utile alle piattaforme stesse. Inoltre, le piattaforme tendono a rendere i dati interni utili per lo sviluppo di terze parti, attraverso l’utilizzo di API (application programming interface), cioè sistemi che permettono di accedere a certi dati della piattaforma per i propri fini (es. accedere a certe piattaforme attraverso l’account di Facebook). Le multinazionali delle app prese in esame nel libro sono il modello FAGMA (facebook, alphabet, google, microsoft, amazon), che sono le principali piattaforme che tutti hanno; è un sistema di piattaforme al quale si agganciano anche altre. Le “big-five” sviluppano una serie di servizi proporzionali alla rilevanza delle piattaforme per l’ecosistema delle piattaforme stesse, cioè sono la porta d’accesso per altre piattaforme. Il meccanismo della piattaformizzazione è fatto di: - Dati : le piattaforme raccolgono enormi quantità di dati (big-data), prodotti dagli utenti, relativi ai contenuti e ai comportamenti degli utenti. Non è una raccolta solo quantitativa: sono dati relazionali, cioè possono essere monitorati e messi in relazione tra loro a fini informativi e commerciali. - Algoritmi : servono a gestire i dati raccolti e sono la zona più nascosta delle piattaforme; sappiamo più o meno come funzionano, ma vengono trattati come dei segreti industriali. Vengono modificati quasi quotidianamente e in modo automatizzato; sono utili per orientare il clima sociale verso le piattaforme, proprio perché non sappiamo bene come funzionano, quindi abbiamo ad esempio un’immagine di ciò che sta accadendo nel mondo attraverso Facebook, semplicemente per come funziona l’algoritmo di visibilità che ci permette di vedere alcuni contenuti piuttosto che altri. - Interfacce (esterne): sono quelle che utilizziamo come utenti e che rendono accessibili e visibili i contenuti delle piattaforme. Rendono più facile le connessioni tra i contenuti o tra gli utenti, che orientano le nostre scelte di consumo. - Status proprietario : ogni piattaforma ha proprie caratteristiche economico-legali, cioè modelli di business, che le permette di lavorare in un certo modo (es. profit o no profit). - Modelli di business : si tende a pensare che queste piattaforme siano gratuite, ma in realtà c’è un modello economico che avviene per come siamo interconnessi con contenuti e dati e quindi siamo parte di un modello che può essere venduto alla pubblicità ad esempio. - Condizioni di utilizzo : i termini di servizio, il patto normativo tra piattaforme e utenti. Sono soggette a continue modifiche e sono migliorate e diventate più importanti nel tempo, perché aumentano la consapevolezza degli utenti. Questi elementi ci permettono di analizzare una piattaforma e capire quale dinamica e politica segue. 56