Scarica sociologia generale riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! Sociologia Generale FONDAMENTI SILVIA OLIVERI | 1° ANNO | 25/03/2022 CAPITOLO 1 La fondazione di una disciplina, esempio la sociologia, è il risultato del lavoro di molti, in questo caso però il posto d’onore viene attribuito a Auguste Comte, che per primo colonizzo il termine sociologia nel 1840. L’autore voleva che questa divenisse una “scienza positiva”, applicabile soltanto a fenomeni osservabili. Secondo Comte i modi dell’uomo per comprendere il mondo sono passati da tre stadi: STADIO TEOLOGICO: guidato da idee religiose in cui la società rappresentava la volontà Dio. STADIO METAFISICO: La società vista in termini naturali. STADIO POSITIVO: - annunciato dalle scoperte di: - COPERNICO - GALILEO - NEWTON Questa sua visione però non è destinata a realizzarsi. Quest’altro studioso francese pensava che la sociologia fosse una scienza in grado di tradurre le questioni filosofiche in interrogativi sociologici che andavano ricercati nel mondo reale > “STUDIARE I FATTI SOCIALI COME COSE” Il repentino cambiamento che stava trasformando la società preoccupava lo studioso poiché essa influenzava soprattutto il lavoro. Lo riporterà nella sua opera del 1893: “La divisione del lavoro sociale” Secondo lui, le società tradizionali sono caratterizzate dalla SOLIDARIETÀ MECCANICA > Individui legati da esperienze comuni. Invece nelle società moderne in cui: -specializzazione delle mansioni -differenziazione sociale PAGINA 1 Applicate nel mondo naturale ÉMILE DURKHEIM ISTITUZIONI DELL’AGIRE /REGOLE UOMO Nascita di una solidarietà organica in cui ciascun organo dipende da tutti gli altri. -superstizioni -usanze -abitudini tradizionali Al loro posto subentra poi il calcolo strumentale razionale che tende al raggiungimento dell’efficienza in base alle conseguenze prevedibili. (poco spazio per il sentimento). L’affermazione poi della scienza e della tecnologia configura per Weber un processo di razionalizzazione, ovvero una società organizzata su principi di efficienza e sulla base di conoscenze tecniche. La religione viene contrassegnata dalla “razionalizzazione” di ambiti diversi quali la politica, l’attività economica e la musica. Non ostante ciò lo studioso aveva forti dubbi rispetto all’esito di questo processo. Paventava la diffusione di una burocrazia capace di trasformarsi in una gabbia in grado di soffocare lo spirito umano. Le differenze di fondo tra questi autori si sono tramandate nel tempo dando vita a 3 ampie tradizioni di ricerca: FUNZIONALISMO (Durkheim) TEORIA DEL CONFLITTO INTERAZIONISMO SIMBOLICO IL FUNZIONALISMO Per questo movimento di pensiero la società è un sistema complesso in cui per produrre stabilità le varie parti collaborano tra di loro (la sociologia dovrebbe indagare le relazioni che intercorrono tra le varie parti) > TEORIA DELL’ORGANISMO VIVENTE Il consenso morale c’è se la maggior parte degli individui condividono gli stessi valori. È radicato in esso lo stato normale della società nell’ordine e nell’equilibrio. I maggiori esponenti di questo movimento di pensiero sono stati: Talcott Parsons e Robert Merton, quest’ultimo si distingueva per: 1. FUNZIONI MANIFESTE: (note e volute dai partecipanti) > ciò che è visibile e percepito 2. FUNZIONI LATENTI: conseguenze di quell’attività di cui i partecipanti non hanno consapevolezza Un esempio palpabile è LA DANZA DELLA PIOGGIA cerimonia che il popolo Hopi fa: 1. Credono che questa cerimonia favorirà la discesa della pioggia 2. Ha anche l’effetto di favorire la coerenza del popolo. In più faceva una distinzione tra funzioni e disfunzioni. Le ultime sono quegli aspetti della vita sociale che contraddicono l’ordine esistente delle cose. Es è sbagliato pensare che la religione sia sempre funzionale perché è vero che si vanno a formare comunità che uniscono le persone, che hanno interessi comuni, PAGINA 4 ma allo stesso modo nel momento in cui le diverse comunità seguono ideali diversi si possono sviluppare “conflitti sociali” che portano sconvolgimenti. Questa sua teoria però non è stata abbracciata da molti critici poiché, secondo loro, vengono conferiti attributi alla società che in realtà non possiede. TEORIE DEL CONFLITTO Anche i sociologi di questa corrente, come i funzionalisti, sottolineano l’importanza delle divisioni sociali poiché, la società è composta da gruppi distinti, ognuno con il proprio interesse, tra i quali si vanno a creare conflitti. (gruppo dominanti/ svantaggiati) > studiati da questi teorici. Però non tutte le teorie del conflitto sono di stampo Marxista: Es. il femminismo è una teoria del conflitto che su concentra sulla disuguaglianza di genere tra uomini e donne. Secondo alcuni questa vicenda è molto più importante e ha una storia più lunga, ma soprattutto è radicata in strutture sociali moderne: - Diritto - Amministrazione - Politica - Istruzione INTERAZIONISMO SIMBOLICO L’agire sociale ha ispirato numerose forme di sociologia “interazionista”, per importanza spicca l’interazionismo simbolico che deve molto a George Herbert Mead. L’elemento chiave è il SIMBOLO = QUALCOSA CHE STA PER ALTRO (anche gesti e forme comuni). Questo attira la nostra attenzione sui dettagli dell’interazione indispensabili per capire ciò che le persone dicono e fanno. Questo studio ha permesso di approfondire la nostra comprensione delle azioni nella vita quotidiana. (Es. il corso di formazione per gli assistenti di volo) Questa scoperta fatta da Hochschild, mise in luce la necessità di comprendere lo stile emozionale del lavoro che viene svolto in economie. Una scoperta importante fu che i lavoratori dei servizi manuali avvertono un senso di alienazione dall’aspetto sociale di se che viene occupato per il lavoro. > sentono che il loro braccio fa parte del macchinario. La competizione nata tra le diverse teorie sopranominate è espressione del fatto che il comportamento umano è multiforme e che un'unica prospettiva teorica non può coprire tutti gli aspetti. PAGINA 5 Una distinzione importante tra le diverse prospettive teoriche si basa sui livelli di analisi: MICROSOCIOLOGIA: comportamento quotidiano di interazione diretta MACROSOCIOLOGIA: analisi di grandi strutture sociale processi sociali La prima è utile per vedere i dettagli dei grandi apparati costituzionali, la seconda invece Serve per comprendere il contesto istituzionale della vita quotidiana (il nostro modo di vivere e le istituzioni si influenzano a vicenda). La sociologia dice che l’esistenza quotidiana viene condotta in famiglia (gruppi sociali, quartiere e comunità) in questi livelli sociali intermedi è possibile vedere gli effetti di micro-macro dove buona parte della ricerca applicata dalla sociologia si trova. 1. CONSAPEVOLEZZA DELLE DIFFERENZA CULTURALI: ciò ci permette di guardare il mondo da prospettive diverse anche perché se comprendiamo come vivono gli altri possiamo capire meglio i loro problemi. 2. VALUTAZIONI DELLE POLITICHE (aiuto pratico): un programma di riforma può fallire, come anche portare con se conseguenze sgradite (es. trasferimento abitanti da quartieri degradati). 3. SVOLGIMENTO PROFESSIONALE DI FUNZIONI PRATICHE: - elenco possibili sbocchi lavorativi -possibilità anche per carriere legali 4. ACCRESCIMENTO AUTOCOMPRENSIONE: più sappiamo sul perché e sul come delle nostre azioni più saremo in grado di influire sul nostro futuro Nel senso che ci spiega come è una cosa, come cambia nel tempo ma non come deve essere poiché con il tempo si sono scatenate questioni che dicevano che la sociologia non si impegnasse troppo a livello “pubblico”, il presidente Michael Burawoy ha sostenuto nel 2004 NECESSITA DI UNA “SOCIOLOGIA PUBBLICA” che instaurasse rapporto con gli interlocutori. Secondo questo studioso esistono 4 tipi di sociologia: SOCIOLOGIA PROFESSIONALE: è quella disciplina radicata nelle università che - GENERA PROGRAMMI DI RICERCA -ACCUMULA CONOSCENZE -CONSENTE CARRIERE ACCADEMICHE PAGINA 6 A COSA SERVE? Questa nuova attività richiede prima di tutto stabilità, e consente di avere un approvvigionamento più stabile rispetto alla caccia, perché programmabile, garantendo così la sussistenza alle generazioni future, e quindi una crescita della popolazione. La stanzialità e il maggior numero di individui permettono la differenziazione sociale: agricoltori, contadini, sacerdoti, militari che devono difendere i campi da barbari e animali. 3. Le società tradizionali Nascono intorno al 6'000 a.C. fino al XIX secolo, essendo che ad oggi sono completamente scomparse. La loro nascita si fonda sullo sviluppo delle città, un esempio sono gli Aztechi in Messico, i Maya e gli Inca. Si caratterizzavano per: Dimensioni notevoli, fino a milioni di individui (incorporazione popoli conquistati) Sviluppo urbano Disuguaglianze di ricchezza e di potere pronunciate Governate da autorità quali re e imperatori Uso della scrittura Sviluppo tecnologico rudimentale Sviluppo di scienze e arti, e per questo motivo anche chiamate civiltà. La trasformazione di queste società, che hanno dominato la storia fino a due secoli fa, è stata determinata dall’industrializzazione, intorno al XVIII secolo, ovvero la nascita della produzione meccanizzata basata sull’uso generalizzato di fonti energetiche inanimate, come il vapore e l’elettricità, in sostituzione degli esseri umani e degli animali. Le società industriali sono caratterizzate da: Lavoro prevalentemente extra-agricolo, ovvero in fabbriche, uffici, negozi, servizi; Città vaste e densamente popolate; Comunità più ampie e integrate determinate dallo sviluppo dei trasporti e della comunicazione; Sistemi politici più sviluppati e pervasivi che controllano molteplici aspetti della vita degli individui Frontiere per definite e leggi vincolanti per tutti coloro che vivono al loro interno, in virtù delle quali le società industriali sono state i primi stati- nazione. Esse coniugano sviluppo economico, coesione politica e potenza militare. Un mondo che cambia Il fenomeno del colonialismo ha preso avvio tra il XVII e il XX secolo quando i paesi occidentali, forti della loro soverchiante potenza militare e della loro tecnologia, spesso applicata appunto a fine militari, decisero di dare il via alla creazione di colonie in regioni precedentemente occupate da società tradizionali. La politica coloniale è stata determinante nel ridisegnare la mappa mondiale così come la conosciamo oggi. Ponendo al centro dell’attenzione il costante processo di sviluppo economico e sociale che riguarda tutti i paesi del mondo si può parlare di: PAGINA 9 Paesi sviluppati: si tratta di paesi, come gli Stati Uniti, completamente industrializzate e con un prodotto interno lordo pro capite molto elevato; Paesi in via di sviluppo: si tratta di paesi, come la Cina, l’India e la maggioranza dei paesi africani e sudamericani, meno industrializzati e con un ridotto prodotto interno lordo pro capite. Si tratta di paesi un tempo sottoposti al dominio coloniale che hanno conquistato l’indipendenza recentemente, che per questo hanno mantenuto sistemi politici del modello occidentale dello stato-nazione; Paesi di nuova industrializzazione: si tratta di paesi in via di sviluppo che sono riusciti ad avviare un processo di rapida industrializzazione, come il Brasile, il Messico e le quattro “tigri asiatiche”: Hong Kong, Corea del Sud, Singapore e Taiwan. Ad oggi il loro tasso di crescita economica è di varie volte superiore a quello delle economie occidentali. Lo sviluppo di questi paesi sta alterando la tradizionale distinzione tra “Nord” e “Sud” del mondo, e Primo e Terzo mondo. Il mutamento sociale è difficilmente definibile perché, in un certo senso, la società cambia in continuazione; ma, al tempo stesso, vi sono alcuni fattori che permangono “uguali” nonostante i cambiamenti. È evidente però che nelle società moderne la maggior parte delle istituzioni cambiano più rapidamente che nelle civiltà del passato, i principali fattori che influenzano il mutamento sociale sono: 1. Lo sviluppo economico: questo può essere limitato o favorito dall’ambiente fisico, che costituisce la base dell’attività economica e dello sviluppo in quanto permette la trasformazione delle materie prime in oggetti utili e commerciabili. Ha portato con sé lo sviluppo della scienza e della tecnologia, che hanno influenzato la dimensione culturale e politica 2. Il mutamento socioculturale: comprende il ruolo della religione (può essere una forza sia conservatrice che innovatrice), della comunicazione (ne sono un esempio l’invenzione della scrittura e di Internet), della leadership (ci sono varie emulazioni nel corso della storia di leader carismatici che hanno influenzato il ritmo e la direzione del mutamento sociale) e infine delle idee. 3. L’organizzazione politica: a questo proposito il conflitto politico-militare tra le nazioni è stato una forza propulsiva del cambiamento nell’età moderna. LA GLOBALIZZAZIONE Per alcuni la globalizzazione indica una serie di processi che comportano crescenti flussi multidirezionali di beni, persone e informazioni in tutto il pianeta ( G.Ritzer, 2009). Questa definizione mette in evidenza la crescente fluidità o liquidità del mondo contemporaneo, ma per molti studiosi globalizzazione significa anche che viviamo sempre più in uno stesso mondo, dato che individui, aziende, gruppi e nazioni diventano sempre più interdipendenti. ELEMENTI DELLA GLOBALIZZAZIONE PAGINA 10 Il processo di globalizzazione è strettamente legato allo sviluppo dell’ICT (information and communication technology), che ha accresciuto la velocità e l’ampiezza delle interazioni tra persone di ogni parte del mondo, permettendo la creazione di vere e proprie esperienze condivise a livello planetario, ovvero da un numero sempre maggiore di persone in aree del mondo sempre più numerose. L’esplosione delle comunicazioni globali è stata facilitata da una serie di importanti progressi tecnologici nell’infrastruttura mondiale delle telecomunicazioni. Ad esempio la telefonia tradizionale è stata rimpiazzata con un sistema integrato in cui enormi quantità di informazioni vengono compresse e trasferite in forma digitale. Altrettanto importante è stata la diffusione dei satelliti per telecomunicazioni, che facilitano il trasferimento di informazioni intorno al mondo. Tecnologie simili insomma permettono una compressione del tempo e dello spazio. La diffusione dell’ICT, oltre ad aver moltiplicato la possibilità di contatto tra individui di tutto il mondo, ha anche facilitato la circolazione di informazioni su persone ed eventi geograficamente distanti attraverso i media globali. Il passaggio a un’ottica globale presenta due importanti dimensioni: La consapevolezza che la responsabilità sociale non si ferma ai confini nazionali ma si estende ben oltre La prospettiva globale sembra indebolite in molti il senso sull’identità nazionale legata allo stato-nazione. Per alcuni sociologi i processi di globalizzazione dipendono dalle tendenze dell’economia capitalistica e dall’incessante ricerca del profitto, respingendo l’idea che possano influire anche fattori di tipo culturale e politico. Chi dissente da questa visione ha invece un approccio culturalista, per cui la globalizzazione dipende sì dalla costante integrazione dell’economia mondiale, che viene però assicurata attraverso svariati meccanismi culturali. La dimensione culturale è cruciale per la globalizzazione proprio perché attraverso le forme culturali lo sviluppo politico-economico si svincola dai limiti materiali della geografia, e si crea un nuovo contesto economico (“società della conoscenza”) legato allo sviluppo di un’ampia base di consumatori tecnologicamente preparati che integrano alla vita quotidiana gli sviluppi dell’informatica, dell’intrattenimento e delle telecomunicazioni. Questa “economia elettronica” è alla base della globalizzazione economica in senso lato, che dà vita ad un’economia globale sempre più integrata, dove un crollo finanziario in una parte del mondo può avere effetti drammatici sulle economie di paesi lontani. Tra i numerosi fattori che danno impulso alla globalizzazione spicca il ruolo delle imprese transnazionali, ovvero aziende che producono beni o commercializzano servizi in più di un paese creando vere e proprie catene globali delle merci. Esse sono orientate verso mercati e profitti globali, contribuiscono alla diffusione globale delle nuove tecnologie e sono importanti attori sui mercati finanziari internazionali. La globalizzazione è poi legata anche a fattori politici: PAGINA 11 Uniti erano aumentati in modo notevole, facendo sì che i tassi di interesse sui mutui subprime raggiungessero livelli record, tali da rendere impossibile ai debitori il pagamento di rate crescenti di rimborso. Ne derivarono enormi perdite per gli investitori di tutto il mondo, un crollo del mercato edilizio statunitense e la riduzione del credito dovuta alla maggiore cautela con cui le banche prestavano denaro le une alle altre. In un sistema finanziario ormai globalizzato, la crisi statunitense non poteva non coinvolgere rapidamente il resto del mondo. Subirono perdite le banche d’investimento in Europa, in Cina, in Australia e nel resto del mondo, mentre per impedirne il crollo nel Regno Unito, in Islanda e in Francia, le maggiori banche furono rilevate dal governo, cioè nazionalizzate. I governi di tutti i paesi europei e la Banca centrale europea intervennero aumentando la quantità di denaro a disposizione delle banche, nella speranza che ciò incoraggiasse la ripresa dei prestiti. Ma la strategia non funzionò e il risultato fu una retrocessione economica globale caratterizzata da fallimenti, aumento della disoccupazione e costi della vita crescenti. L’impatto della stretta di credito del 2008 è stato duro per tutti, ma ha avuto conseguenze particolarmente drammatiche per i paesi pesantemente indebitati, dove le banche e altre istituzioni finanziarie hanno reso più rigidi i criteri per l’accesso di credito. Con una crescita rallentata o azzerata dall’economia nazionale, alcuni paesi europei si sono visti costretti ad accettare l’aiuto dell’Ue o del Fondo monetario internazionale, a patto che fossero adottate una nuova disciplina fiscale e politiche di austerità. Le misure di austerità hanno però provocato un aumento di tassi di disoccupazione, minori entrate fiscali e maggiori spese per indennità di disoccupazione. Naturalmente la recessione economica, cioè una diminuzione del prodotto interno lordo per due trimestri consecutivi, non è una novità, ma la recessione del 2009 deve molto anche alla globalizzazione, che facilita il rapido movimento mondiale dei capitali e del debito, creando un sistema economico globale sempre più strettamente interconnesso. La prima recessione economica del XXI secolo ha avuto un impatto profondo su molti aspetti della vita sociale, infatti moltissime persone hanno perso il lavoro e sono rimaste disoccupate a causa di fallimenti aziendali o di tagli alla spesa pubblica. Le politiche di austerità sono state decise in un clima in cui il settore pubblico è generalmente additato dai media e da taluni politici come responsabile di un prosciugamento della ricchezza generata dal settore privato (si profilano crescenti tensioni, conflitti e disuguaglianze sociali). La sociologia economica I fondatori della sociologia cercarono di comprendere e spiegare le origini del capitalismo industriale. I sociologi classici presero le distanze dall’economia pura dimostrando che essa fa parte della società. La sociologia economica differisce, e la differenza centrale sta nel fatto che “il punto di partenza dell’analisi economica è l’individuo; quello della sociologia economica sono di solito i gruppi, le istituzioni e la società”. In sociologia economica gli individui sono sempre inseriti in un contesto sociale e gli interessi degli attori sociali si formano nei rapporti con altre PAGINA 14 persone. Analogamente, non esiste solo un tipo di azione economica, ma diversi. Nel XX secolo la sociologia ha per lo più tenuto distinte le questioni economiche dalle relazioni sociali, concentrandosi su queste ultime. Solo negli anni Ottanta, diversi studi portano nuovamente alla ribalta la sociologia economica (Mark Granovetter). Taylorismo e fordismo Adam Smith, tra i fondatori della scienza economica moderna, individuò diversi vantaggi offerti dalla divisione del lavoro in termini di accresciuta produttività. La sua opera (“La ricchezza delle nazioni”) si apre con una descrizione della divisione del lavoro in una fabbrica di spilli: Scomponendo la produzione in una serie di operazioni elementari, dieci operai con mansioni specializzate riuscivano a produrre, in cooperazione tra loro, 48’000 spilli al giorno La produttività per operaio aumentava da 20 a 48'000 spilli giornalieri: ciascun lavoratore specializzato produceva una quantità di merce 240 volte superiore a quella di un operaio isolato Un secolo più tardi queste idee raggiunsero la loro espressione più compiuta nell’opera di Taylor. L’approccio di Taylor a quella che egli chiamava “organizzazione scientifica del lavoro”, comportava lo studio dettagliato dei processi industriali, in modo da scomporli in operazioni elementari che potevano essere cronometrate e organizzate con precisione. Il taylorismo era un sistema ideato per massimizzare la produzione industriale e in particolare gli studi di Taylor sui tempi e i metodi del lavoro, sottrassero ai lavoratori il controllo della conoscenza del processo produttivo consegnandolo al management. I principi tayloristi furono adottati dall’industriale Henry Ford, il quale progettò la sua prima fabbrica nel 1908 per costruirvi la Ford modello T. Ciò consentì l’introduzione di macchine e strumenti specializzati esplicitamente progettati per la velocità, la precisione e la semplicità delle operazioni. Una delle innovazioni più significative introdotte da Ford fu la catena di montaggio mobile. Ford fu uno dei primi a capire che la produzione di massa richiede un consumo di massa in mercati di massa. Infatti il suo ragionamento era che per produrre un gran numero di beni standardizzati come le automobili occorreva un numero sufficiente di consumatori in grado di acquistarli. Ford prese l’iniziativa senza precedenti di aumentare il salario giornaliero di 5 dollari, perché il suo obiettivo era fare in modo che lo stile di vita della classe operaia potesse contemplare il possesso di un’automobile Ford. Fordismo è il termine con cui si intende in generale un sistema di produzione di massa finalizzato ad alimentare mercati di massa. In sociologia economica esso però corrisponde anche a un periodo storico caratterizzato dalla produzione di massa, dalla relativa stabilità dei rapporti di lavoro e da un alto grado di sindacalizzazione. Sotto il fordismo, le aziende assumevano impegni a lungo termine con i lavoratori e i salari erano legati alla produttività. I contratti collettivi erano lo strumento attraverso il quale si otteneva il consenso dei lavoratori all’utilizzo di sistemi automatizzati e si costruiva una domanda sufficiente all’assorbimento di una produzione di massa. PAGINA 15 Le ragioni del declino del fordismo sono complesse. Esso di fondava sulla fornitura di beni al mercato interno e risultava perciò sostanzialmente superato in un’epoca dominata dalle multinazionali e dalla crescente importanza dei mercati internazionali e globali. Per un certo tempo sembrò che il fordismo rappresentasse il futuro di tutta la produzione industriale, ma ciò tuttavia non si è verificato. Il fordismo può essere applicato soltanto in alcuni settori industriali, che producono merci standardizzate per i mercati di massa. La produzione di tipo fordista è relativamente facile da copiare se si hanno le risorse per costruire uno stabilimento, così che le imprese di paesi dove la manodopera è costosa trovano difficile competere con quelle di altri dove il costo del lavoro è più basso. Taylorismo e fordismo sono stati chiamati da alcuni sociologi dell’industria sistemi a basso affidamento. Le mansioni vengono stabilite dalla direzione e adattate alle macchine, e i lavoratori sono strettamente sorvegliati e dotati di scarsa autonomia d’azione. Per mantenere la disciplina e assicurare gli standard di produzione, i dipendenti vengono continuamente monitorati attraverso sistemi di sorveglianza di vario tipo. Questa costante supervisione tende a produrre però un risultato opposto a quello atteso. I sistemi di alto affidamento, invece, sono quelli in cui i lavoratori sono lasciati abbastanza liberi di controllare l’andamento e il contenuto del lavoro, all’interno di alcune linee guida prestabilite. Tendenze post fordiste A partire dalla metà degli anni Settanta sono state adottate delle pratiche più flessibili. Produzione di gruppo, problem-solving, multi-tasking e marketing di nicchia sono le definizioni di alcune delle strategie adottate dalle imprese per ristrutturarsi e prosperare in un’economia sempre più globalizzata. Il concetto di post-fordismo è stato appunto introdotto a indicare la radicale presa di distanze dai principi fordisti che questi mutamenti rappresentano. Il concetto deve la sua diffusione al libro di Michael J. Piore e Charles F. Sabel, che tratteggia una nuova era di produzione capitalistica in cui flessibilità e innovazione sono massimizzate per soddisfare le richieste di un mercato che esige prodotti diversificati e su misura per il cliente. Il concetto di post-fordismo è impiegato: Sia con riferimento a un ristretto insieme di mutamenti avvenuti nei processi produttivi Sia in rapporto a un ordine sociale diverso improntato a un maggiore individualismo. Per la nuova sociologia economica diventa fondamentale collegare il mondo della produzione alla politica, alle strategie e ai cambiamenti a livello di stili di vita. Negli ultimi decenni sono emerse tendenze significative che sembrano costruire una chiara presa di distanza dal precedente modello fordista. Possiamo indicare il decentramento della produzione in gruppi di lavoro, la produzione flessibile e la “customizzazione” di massa, la produzione globale e l’introduzione di una struttura occupazionale più aperta. La produzione di gruppo PAGINA 16 discussione dal femminismo, che ha contestato l’idea che la vita personale sia irrilevante per la sociologia. Secondo Oakley, il lavoro domestico è nato con la separazione della casa dal luogo di lavoro. Con l’industrializzazione, il “lavoro” ha luogo lontano dall’abitazione e dalla famiglia, e la casa diventa sede di consumo. Mentre il “vero” lavoro viene progressivamente identificato con quello retribuito, il lavoro domestico diventava “invisibile”. Quindi il lavoro domestico viene ad essere considerato tipicamente “femminile”, quello extradomestico tipicamente “maschile”. Questo è il modello convenzionale di divisione domestica del lavoro. Prima dell’industrializzazione, il lavoro casalingo era particolarmente duro. Oakley osserva però che la quantità di tempo dedicata in media dalle donne al lavoro domestico non è scesa in maniera paragonabile alla fatica risparmiata grazie all’avvento degli elettrodomestici, anzi è rimasta abbastanza costante. È aumentato il tempo dedicato ai figli, alla spesa, alla preparazione dei pasti. Il lavoro domestico non retribuito ha un enorme importanza per l’economia. Si è stimato che ad esso va attribuita una quota compresa tra il 25 e il 40% della ricchezza prodotta nei paesi industrializzati. Secondo Oakley, questa quantità di lavoro non riconosciuta e non retribuita in realtà sostiene il resto dell’economia. Il lavoro domestico presenta poi ulteriori aspetti problematici: l’assorbimento a tempo pieno nelle occupazioni domestiche può essere fonte di isolamento e insoddisfazione. Nello studio di Oakley le casalinghe giudicano estremamente monotoni i lavori domestici e risentono della pressione psicologica a rispettare gli standard che si auto-impongono nel proprio lavoro. Le donne ricavano soddisfazione e ricompense psicologiche dal rispetto di standard di pulizia e di ordine che hanno tutti i caratteri di regole esterne. A differenza degli uomini che osservano un orario di lavoro ben definito, i doveri extradomestici delle donne allungano la loro giornata di lavoro. Per Oakley il lavoro retribuito, che produce reddito, determina uno squilibrio di poteri e rende le donne dipendenti dai partner maschili per la sopravvivenza economica propria e della famiglia. Cambiamenti sociali recenti hanno indotto a porre in dubbio l’esistenza di un doppio carico di lavoro che grava sulle donne costrette a conciliare il lavoro retribuito con le faccende domestiche. La quantità di lavoro domestico svolta dagli uomini è aumentata, per quanto con lentezza. Se misuriamo quanto lavorano uomini e donne, sommando lavoro retribuito e lavoro domestico, sembra di poter attestare un’evoluzione in direzione della parità. L’organizzazione sociale del lavoro Nelle società vige una divisione del lavoro altamente complessa. Prima dell’industrializzazione, il lavoro extra-agricolo consisteva nell’esercizio di mestieri appresi attraverso un lungo periodo di apprendistato, contraddistinti da una caratteristica fondamentale: il lavoratore provvedeva di norma a tutti gli aspetti dell’intero processo produttivo, dall’inizio alla fine. Con l’avvento della produzione industriale moderna, molti mestieri tradizionali scomparvero del tutto, mentre la maggior parte di quelli che sopravvissero fu incorporata in processi produttivi complessi e parcellizzati. L’intera vita lavorativa di molti operai dell’industria si riduceva allo svolgimento dello stesso specifico compito in PAGINA 19 fabbriche organizzate su queste basi. Prima dell’industrializzazione si lavorava soprattutto in casa. Lo sviluppo di laboratori e fabbriche, che consentivano l’utilizzo di grandi macchine industriali, contribuì alla separazione tra abitazione e lavoro. Le fabbriche divennero i luoghi fondamentali dello sviluppo industriale e la produzione di massa sostituì progressivamente quella artigianale. L’altissima divisione del lavoro ha provocato un’enorme espansione dell’interdipendenza economica. Per i beni e i servizi necessari al nostro sostentamento, tutti noi dipendiamo da un numero incalcolabile di altri lavoratori disseminati per il mondo. Marx riteneva che l’industria moderna avrebbe ridotto il lavoro a una serie di compiti monotoni e ripetitivi. A suo avviso la divisione capitalista del lavoro comportava l’alienazione dei lavoratori dalla loro attività. Durkheim aveva una concezione più ottimistica della divisione del lavoro. A suo giudizio la specializzazione dei ruoli professionali rafforzava la solidarietà sociale. Gli individui veni ano ad essere legati dalla reciproca dipendenza, e la solidarietà era favorita dalle relazioni multidirezionali tra produzione e consumo. La struttura occupazionale dei paesi industrializzati è molto cambiata. All’inizio del XX secolo il mercato del lavoro era dominato da mansioni industriali di tipo manuale, ma col tempo la situazione è mutata a tutto vantaggio delle occupazioni impiegatizie nel settore dei servizi. La diminuzione dei posti di lavoro nell’industria è stata particolarmente rapida nelle economie. Si è molto dibattuto sulle motivazioni di questo fondamentale cambiamento, le cui cause sembrano molteplici: La continua introduzione di macchine risparmiatrici di manodopera. La maggior parte degli sviluppo tecnologici ha l’effetto di sostituire il lavoro umano con delle macchine, il che riduce il numero delle occupazioni. Con la globalizzazione i processi produttivi tendono a una delocalizzazione nei paesi in via di sviluppo, dove i costi sono più bassi. Lo sviluppo dello stato sociale ha stimolato la crescita di grandi strutture burocratiche nel welfare, nella sanità e nei servizi pubblici, creando molti posti di lavoro nel settore dei servizi. Tramonto del sindacalismo? Una delle principali conseguenze della progressiva diminuzione della popolazione operaia nei paesi industrializzati è stata la riduzione del numero di iscritti al sindacato. I sindacati sono organizzazioni presenti nella maggioranza dei paesi, e là dove esistono, i governi riconoscono il diritto dei lavoratori di astenersi dal lavoro, scioperando, per perseguire finalità di carattere economico. All’inizio dello sviluppo dell’industria moderna, quasi ovunque gli operai erano privi di diritti politici e potevano scarsamente influire sulle condizioni in cui prestavano la loro opera. I sindacati si svilupparono come strumento per riequilibrare le forze tra lavoratori e datori di lavoro. Il secondo dopoguerra assistette a un sensazionale PAGINA 20 capovolgimento della posizione dei sindacati nelle società industriali avanzate. La sindacalizzazione era per vari motivi un fenomeno comune a tutti i paesi occidentali: L’azione sindacale era favorita dall’esistenza di forti partiti politici che rappresentavano la classe lavoratrice La contrattazione tra imprese e sindacati era coordinata a livello nazionale, anziché svolgersi in maniera decentrata a livello sociale Erano i sindacati e non lo stato a erogare le indennità di disoccupazione, il che induceva i lavoratori che perdevano il lavoro a non abbandonare il sindacato di appartenenza Dopo i massimi raggiunti negli anni Settanta, l’adesione ai sindacati cominciò a diminuire in tutti i paesi industriali in conseguenza del fatto che tradizionalmente il settore dei servizi è meno propizio all’attività sindacale. Secondo Bruce Western, questo non è sufficiente a spiegare quanto avvenne negli anni Settanta. Diverse circostanze sono coerenti con la minore rappresentatività dei sindacati sia nell’industria sia negli altri settori. 1. La prima è la recessione, accompagnata da alti tassi di disoccupazione, che colpì l’economia mondiale e che indebolì la posizione contrattuale del sindacato 2. La seconda è l’intensificarsi della competizione internazionale, in particolare da parte dei paesi dell’Estremo Oriente, dove i salari sono più bassi che in Occidente 3. Infine, l’avvento in molti paesi di governi di destra segnalò l’avvio di una politica di contrasto delle posizioni sindacali La femminilizzazione del lavoro Per buona metà del XX secolo, il lavoro retribuito è rimasto un’attività prevalentemente maschile. La situazione è cambiata radicalmente con la femminilizzazione del lavoro, nel momento in cui un numero crescente di donne è entrato nel mercato del lavoro. Questo processo dalle mille sfaccettature è un cambiamento storico fondamentale. Nei paesi sviluppati, i lavoratori dell’industria oggi risultano diminuiti rispetto al secolo scorso. I nuovi posti di lavoro vengono creati prevalentemente negli uffici e nelle strutture di servizio. Inoltre, nel progressivo allontanamento dal mondo industriale dominato dagli uomini, si sono via via affermate pratiche di management di impronta meno gerarchica. Nella maggior parte dei parsi del mondo, le donne costituiscono ormai almeno metà della forza lavoro, anche se differiscono notevolmente i tipi di impiego cui sono adibite. Va aggiunto che il lavoro delle donne è qualitativamente diverso da quello degli uomini. In molte economie sviluppate, i tre quarti della popolazione femminile attiva svolgono lavori part-time di basso livello retributivo come inservienti, cassiere, addette alle pulizie e al catering... DONNE E LUOGHI DI LAVORO: PAGINA 21 domestiche, infatti si può parlare di un processo di “adattamento ritardato”: la rinegoziazione dei compiti domestici procede più lentamente del ritmo di ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Una divisione più equa del lavoro domestico si riscontra tra le coppie appartenenti alle classi sociali superiori, come pure nelle famiglia in cui la donna ha un lavoro a tempo pieno. Gli uomini vanno assumendosi maggiori responsabilità in casa, ma l’onere è ben lungi dall’essere equamente ripartito. La distribuzione delle risorse finanziarie è nel complesso più equa che in passato, pur rimanendo correlata alle condizioni di classe. Nelle famiglie a basso reddito, le donne sono sovente responsabili della gestione quotidiana delle finanze familiari, ma non necessariamente prendono le decisioni strategiche. In questi casi, esse tendono a garantire ai mariti l’accesso al denaro persino a costo di negare a se stesse lo stesso diritto. Quindi la gestione quotidiana delle finanze familiari da parte delle donne appare disgiunta dall’accesso al denaro. Le coppie ad alto reddito gestiscono invece congiuntamente le finanze familiari e si riscontra tra loro un maggiore grado di uguaglianza nell’accesso al denaro e nell’assunzione delle decisioni di spesa L’automatizzazione e il dibattito sulle competenze I sociologi si interessano da tempo del rapporto tra tecnologia e lavoro. Col progredire dell’industrializzazione, è diventato sempre più preponderante il ruolo della tecnologia, dall’automazione delle fabbriche all’informatizzazione del lavoro d’ufficio. Il concetto di automazione, o di “macchine programmabili”, fu introdotto a metà Ottocento quando Christopher Spencer inventò l’automar, un tornio programmabile che fabbricava viti, dadi e ingranaggi. Un robot è uno strumento automatico che può svolgere funzioni ordinariamente affidate a esseri umani. Oggi la maggioranza dei robot è impiegata nelle fabbriche di automobili e nelle industrie elettroniche che producono televisori, computer, lettori di CD e DVD... L’utilità dei robot è relativamente limitata, poiché la loro capacità di riconoscere gli oggetti e manipolare forme irregolari è tutt’ora rudimentale. La diffusione dell’automazione ha innescato tra sociologi ed esperti di relazioni industriali un acceso dibattito sull’impatto di questa nuova tecnologia sui lavoratori. Robert Blauner ha preso in considerazione l’esperienza dei lavoratori in quattro diverse industrie con livello variabili di tecnologia. Egli ha operazionalizzato il concetto di “alienazione” misurando il grado di impotenza, insignificanza, isolamento ed auto- estraneazione avvertito dai lavoratori. Secondo la ricerca, la maggior disaffezione si registra tra i lavoratori delle catene di montaggio. Secondo Blauner, l’introduzione dell’automazione inverte la tendenza altrimenti costante all’alienazione crescente dei lavoratori. L’automazione contribuisce a integrare la forza lavoro e dà ai dipendenti un senso di controllo sul loro lavoro che manca con altre forme di tecnologia. Il dibattito sulle competenze è complesso in quanto il concetto di “competenza” è un costrutto sociale soggetto a evoluzione. La concezione convenzionale del lavoro “specializzato” tende a riflettere più lo status dell’addetto che la difficoltà oggettiva del compito. Gli studi che hanno preso in esame la complessità intrinseca delle mansioni tendono a confermare che l’automazione comporta un PAGINA 24 up-skilling, ossia una maggiore qualificazione de lavoro, mentre quelli che valutano l’autonomia dei lavoratori sostengono che essa conduce al deskilling. I livelli di competenza sono inoltre collegati alla collocazione geografica e alle condizioni locali di impiego. L’ECONOMIA DELLA COSCIENZA Stiamo oggi assistendo alla transizione verso un nuovo tipo di società non più basata prevalentemente sull’industrializzazione e per descrivere questo nuovo ordine si utilizza l’espressione economia della conoscenza. Questa espressione si riferisce a un’economia in cui l’innovazione e la crescita economica sono sostenute da idee, informazioni e forme di conoscenza. La maggior parte della forza lavoro è impegnata in attività di progettazione, sviluppo, messa a punto tecnologica, commercializzazione, vendita e assistenza. Le attività riconducibili all’economia della conoscenza comprendono industrie high-tech, educazione e formazione, ricerca e sviluppo, finanza e investimenti. Gli investimenti nell’economia della conoscenza costituiscono oggi una parte significativa del bilancio di molti paesi. Sembra tuttavia che, a seguito della stretta del credito del 2008, della recessione del 2009, e delle misure di austerità adottate per ridurre spesa e debito pubblici, i livelli d’investimento nei settori della conoscenza stiano scendendo. IL MULTISKILLING I teorici del post fordismo sostengono che nelle nuove forme di lavoro, i lavoratori hanno la possibilità di ampliare le proprie competenze. La produzione di gruppo e il lavoro di squadra andrebbero dunque di pari passo con il multiskilling, cioè lo sviluppo di una forza lavoro capace di assumersi un’ampia gamma di responsabilità. Ciò a sua volta conduce a una maggiore produttività e a una migliore qualità di beni e servizi. La preferenza per il multiskilling ha ripercussioni sul progetto di reclutamento del personale. Molti datori di lavoro oggi cercano soggetti adattabili e in grado di acquisire rapidamente nuove competenze. Le specializzazioni sono spesso una risorsa, ma coloro che trovano difficile applicare creativamente capacità circoscritte a contesti nuovi possono essere considerati “inadatti” a un ambiente di lavoro flessibile e innovativo, infatti le “competenze personali” sono sempre più apprezzate. La capacità di collaborare con altri, ma anche di lavorare in maniera indipendente, di prendere l’iniziativa e di affrontare le sfide con creatività, sono le qualità oggi più ricercate dai datori di lavoro. Il multiskilling è intimamente connesso con il concetto di “formazione sul lavoro”. Molte aziende preferiscono assumere non specialisti capaci di sviluppare nuove competenze direttamente sul posto di lavoro. Investire un nucleo di dipendenti in grado di lavorare flessibilmente per l’azienda nel lungo periodo può essere una maniera strategica per affrontare un’epoca di rapide trasformazioni. IL TELELAVORO Il telelavoro permette di svolgere da casa le proprie mansioni, spesso via telefono o Internet. In occupazioni che non richiedono un contatto regolare con clienti o colleghi, il telelavoro consente contemporaneamente di essere più produttivi e di PAGINA 25 Sociologia Generale FONDAMENTI SILVIA OLIVERI | 1° ANNO | 25/03/2022 CAPITOLO 1 La fondazione di una disciplina, esempio la sociologia, è il risultato del lavoro di molti, in questo caso però il posto d’onore viene attribuito a Auguste Comte, che per primo colonizzo il termine sociologia nel 1840. L’autore voleva che questa divenisse una “scienza positiva”, applicabile soltanto a fenomeni osservabili. Secondo Comte i modi dell’uomo per comprendere il mondo sono passati da tre stadi: STADIO TEOLOGICO: guidato da idee religiose in cui la società rappresentava la volontà Dio. STADIO METAFISICO: La società vista in termini naturali. STADIO POSITIVO: - annunciato dalle scoperte di: - COPERNICO - GALILEO - NEWTON Questa sua visione però non è destinata a realizzarsi. Quest’altro studioso francese pensava che la sociologia fosse una scienza in grado di tradurre le questioni filosofiche in interrogativi sociologici che andavano ricercati nel mondo reale > “STUDIARE I FATTI SOCIALI COME COSE” Il repentino cambiamento che stava trasformando la società preoccupava lo studioso poiché essa influenzava soprattutto il lavoro. Lo riporterà nella sua opera del 1893: “La divisione del lavoro sociale” Secondo lui, le società tradizionali sono caratterizzate dalla SOLIDARIETÀ MECCANICA > Individui legati da esperienze comuni. Invece nelle società moderne in cui: -specializzazione delle mansioni -differenziazione sociale PAGINA 1 Applicate nel mondo naturale ÉMILE DURKHEIM ISTITUZIONI DELL’AGIRE /REGOLE UOMO Nascita di una solidarietà organica in cui ciascun organo dipende da tutti gli altri. -superstizioni -usanze -abitudini tradizionali Al loro posto subentra poi il calcolo strumentale razionale che tende al raggiungimento dell’efficienza in base alle conseguenze prevedibili. (poco spazio per il sentimento). L’affermazione poi della scienza e della tecnologia configura per Weber un processo di razionalizzazione, ovvero una società organizzata su principi di efficienza e sulla base di conoscenze tecniche. La religione viene contrassegnata dalla “razionalizzazione” di ambiti diversi quali la politica, l’attività economica e la musica. Non ostante ciò lo studioso aveva forti dubbi rispetto all’esito di questo processo. Paventava la diffusione di una burocrazia capace di trasformarsi in una gabbia in grado di soffocare lo spirito umano. Le differenze di fondo tra questi autori si sono tramandate nel tempo dando vita a 3 ampie tradizioni di ricerca: FUNZIONALISMO (Durkheim) TEORIA DEL CONFLITTO INTERAZIONISMO SIMBOLICO IL FUNZIONALISMO Per questo movimento di pensiero la società è un sistema complesso in cui per produrre stabilità le varie parti collaborano tra di loro (la sociologia dovrebbe indagare le relazioni che intercorrono tra le varie parti) > TEORIA DELL’ORGANISMO VIVENTE Il consenso morale c’è se la maggior parte degli individui condividono gli stessi valori. È radicato in esso lo stato normale della società nell’ordine e nell’equilibrio. I maggiori esponenti di questo movimento di pensiero sono stati: Talcott Parsons e Robert Merton, quest’ultimo si distingueva per: 1. FUNZIONI MANIFESTE: (note e volute dai partecipanti) > ciò che è visibile e percepito 2. FUNZIONI LATENTI: conseguenze di quell’attività di cui i partecipanti non hanno consapevolezza Un esempio palpabile è LA DANZA DELLA PIOGGIA cerimonia che il popolo Hopi fa: 1. Credono che questa cerimonia favorirà la discesa della pioggia 2. Ha anche l’effetto di favorire la coerenza del popolo. In più faceva una distinzione tra funzioni e disfunzioni. Le ultime sono quegli aspetti della vita sociale che contraddicono l’ordine esistente delle cose. Es è sbagliato pensare che la religione sia sempre funzionale perché è vero che si vanno a formare comunità che uniscono le persone, che hanno interessi comuni, PAGINA 4 ma allo stesso modo nel momento in cui le diverse comunità seguono ideali diversi si possono sviluppare “conflitti sociali” che portano sconvolgimenti. Questa sua teoria però non è stata abbracciata da molti critici poiché, secondo loro, vengono conferiti attributi alla società che in realtà non possiede. TEORIE DEL CONFLITTO Anche i sociologi di questa corrente, come i funzionalisti, sottolineano l’importanza delle divisioni sociali poiché, la società è composta da gruppi distinti, ognuno con il proprio interesse, tra i quali si vanno a creare conflitti. (gruppo dominanti/ svantaggiati) > studiati da questi teorici. Però non tutte le teorie del conflitto sono di stampo Marxista: Es. il femminismo è una teoria del conflitto che su concentra sulla disuguaglianza di genere tra uomini e donne. Secondo alcuni questa vicenda è molto più importante e ha una storia più lunga, ma soprattutto è radicata in strutture sociali moderne: - Diritto - Amministrazione - Politica - Istruzione INTERAZIONISMO SIMBOLICO L’agire sociale ha ispirato numerose forme di sociologia “interazionista”, per importanza spicca l’interazionismo simbolico che deve molto a George Herbert Mead. L’elemento chiave è il SIMBOLO = QUALCOSA CHE STA PER ALTRO (anche gesti e forme comuni). Questo attira la nostra attenzione sui dettagli dell’interazione indispensabili per capire ciò che le persone dicono e fanno. Questo studio ha permesso di approfondire la nostra comprensione delle azioni nella vita quotidiana. (Es. il corso di formazione per gli assistenti di volo) Questa scoperta fatta da Hochschild, mise in luce la necessità di comprendere lo stile emozionale del lavoro che viene svolto in economie. Una scoperta importante fu che i lavoratori dei servizi manuali avvertono un senso di alienazione dall’aspetto sociale di se che viene occupato per il lavoro. > sentono che il loro braccio fa parte del macchinario. La competizione nata tra le diverse teorie sopranominate è espressione del fatto che il comportamento umano è multiforme e che un'unica prospettiva teorica non può coprire tutti gli aspetti. PAGINA 5 Una distinzione importante tra le diverse prospettive teoriche si basa sui livelli di analisi: MICROSOCIOLOGIA: comportamento quotidiano di interazione diretta MACROSOCIOLOGIA: analisi di grandi strutture sociale processi sociali La prima è utile per vedere i dettagli dei grandi apparati costituzionali, la seconda invece Serve per comprendere il contesto istituzionale della vita quotidiana (il nostro modo di vivere e le istituzioni si influenzano a vicenda). La sociologia dice che l’esistenza quotidiana viene condotta in famiglia (gruppi sociali, quartiere e comunità) in questi livelli sociali intermedi è possibile vedere gli effetti di micro-macro dove buona parte della ricerca applicata dalla sociologia si trova. 1. CONSAPEVOLEZZA DELLE DIFFERENZA CULTURALI: ciò ci permette di guardare il mondo da prospettive diverse anche perché se comprendiamo come vivono gli altri possiamo capire meglio i loro problemi. 2. VALUTAZIONI DELLE POLITICHE (aiuto pratico): un programma di riforma può fallire, come anche portare con se conseguenze sgradite (es. trasferimento abitanti da quartieri degradati). 3. SVOLGIMENTO PROFESSIONALE DI FUNZIONI PRATICHE: - elenco possibili sbocchi lavorativi -possibilità anche per carriere legali 4. ACCRESCIMENTO AUTOCOMPRENSIONE: più sappiamo sul perché e sul come delle nostre azioni più saremo in grado di influire sul nostro futuro Nel senso che ci spiega come è una cosa, come cambia nel tempo ma non come deve essere poiché con il tempo si sono scatenate questioni che dicevano che la sociologia non si impegnasse troppo a livello “pubblico”, il presidente Michael Burawoy ha sostenuto nel 2004 NECESSITA DI UNA “SOCIOLOGIA PUBBLICA” che instaurasse rapporto con gli interlocutori. Secondo questo studioso esistono 4 tipi di sociologia: SOCIOLOGIA PROFESSIONALE: è quella disciplina radicata nelle università che - GENERA PROGRAMMI DI RICERCA -ACCUMULA CONOSCENZE -CONSENTE CARRIERE ACCADEMICHE PAGINA 6 A COSA SERVE? Questa nuova attività richiede prima di tutto stabilità, e consente di avere un approvvigionamento più stabile rispetto alla caccia, perché programmabile, garantendo così la sussistenza alle generazioni future, e quindi una crescita della popolazione. La stanzialità e il maggior numero di individui permettono la differenziazione sociale: agricoltori, contadini, sacerdoti, militari che devono difendere i campi da barbari e animali. 3. Le società tradizionali Nascono intorno al 6'000 a.C. fino al XIX secolo, essendo che ad oggi sono completamente scomparse. La loro nascita si fonda sullo sviluppo delle città, un esempio sono gli Aztechi in Messico, i Maya e gli Inca. Si caratterizzavano per: Dimensioni notevoli, fino a milioni di individui (incorporazione popoli conquistati) Sviluppo urbano Disuguaglianze di ricchezza e di potere pronunciate Governate da autorità quali re e imperatori Uso della scrittura Sviluppo tecnologico rudimentale Sviluppo di scienze e arti, e per questo motivo anche chiamate civiltà. La trasformazione di queste società, che hanno dominato la storia fino a due secoli fa, è stata determinata dall’industrializzazione, intorno al XVIII secolo, ovvero la nascita della produzione meccanizzata basata sull’uso generalizzato di fonti energetiche inanimate, come il vapore e l’elettricità, in sostituzione degli esseri umani e degli animali. Le società industriali sono caratterizzate da: Lavoro prevalentemente extra-agricolo, ovvero in fabbriche, uffici, negozi, servizi; Città vaste e densamente popolate; Comunità più ampie e integrate determinate dallo sviluppo dei trasporti e della comunicazione; Sistemi politici più sviluppati e pervasivi che controllano molteplici aspetti della vita degli individui Frontiere per definite e leggi vincolanti per tutti coloro che vivono al loro interno, in virtù delle quali le società industriali sono state i primi stati- nazione. Esse coniugano sviluppo economico, coesione politica e potenza militare. Un mondo che cambia Il fenomeno del colonialismo ha preso avvio tra il XVII e il XX secolo quando i paesi occidentali, forti della loro soverchiante potenza militare e della loro tecnologia, spesso applicata appunto a fine militari, decisero di dare il via alla creazione di colonie in regioni precedentemente occupate da società tradizionali. La politica coloniale è stata determinante nel ridisegnare la mappa mondiale così come la conosciamo oggi. Ponendo al centro dell’attenzione il costante processo di sviluppo economico e sociale che riguarda tutti i paesi del mondo si può parlare di: PAGINA 9 Paesi sviluppati: si tratta di paesi, come gli Stati Uniti, completamente industrializzate e con un prodotto interno lordo pro capite molto elevato; Paesi in via di sviluppo: si tratta di paesi, come la Cina, l’India e la maggioranza dei paesi africani e sudamericani, meno industrializzati e con un ridotto prodotto interno lordo pro capite. Si tratta di paesi un tempo sottoposti al dominio coloniale che hanno conquistato l’indipendenza recentemente, che per questo hanno mantenuto sistemi politici del modello occidentale dello stato-nazione; Paesi di nuova industrializzazione: si tratta di paesi in via di sviluppo che sono riusciti ad avviare un processo di rapida industrializzazione, come il Brasile, il Messico e le quattro “tigri asiatiche”: Hong Kong, Corea del Sud, Singapore e Taiwan. Ad oggi il loro tasso di crescita economica è di varie volte superiore a quello delle economie occidentali. Lo sviluppo di questi paesi sta alterando la tradizionale distinzione tra “Nord” e “Sud” del mondo, e Primo e Terzo mondo. Il mutamento sociale è difficilmente definibile perché, in un certo senso, la società cambia in continuazione; ma, al tempo stesso, vi sono alcuni fattori che permangono “uguali” nonostante i cambiamenti. È evidente però che nelle società moderne la maggior parte delle istituzioni cambiano più rapidamente che nelle civiltà del passato, i principali fattori che influenzano il mutamento sociale sono: 1. Lo sviluppo economico: questo può essere limitato o favorito dall’ambiente fisico, che costituisce la base dell’attività economica e dello sviluppo in quanto permette la trasformazione delle materie prime in oggetti utili e commerciabili. Ha portato con sé lo sviluppo della scienza e della tecnologia, che hanno influenzato la dimensione culturale e politica 2. Il mutamento socioculturale: comprende il ruolo della religione (può essere una forza sia conservatrice che innovatrice), della comunicazione (ne sono un esempio l’invenzione della scrittura e di Internet), della leadership (ci sono varie emulazioni nel corso della storia di leader carismatici che hanno influenzato il ritmo e la direzione del mutamento sociale) e infine delle idee. 3. L’organizzazione politica: a questo proposito il conflitto politico-militare tra le nazioni è stato una forza propulsiva del cambiamento nell’età moderna. LA GLOBALIZZAZIONE Per alcuni la globalizzazione indica una serie di processi che comportano crescenti flussi multidirezionali di beni, persone e informazioni in tutto il pianeta ( G.Ritzer, 2009). Questa definizione mette in evidenza la crescente fluidità o liquidità del mondo contemporaneo, ma per molti studiosi globalizzazione significa anche che viviamo sempre più in uno stesso mondo, dato che individui, aziende, gruppi e nazioni diventano sempre più interdipendenti. ELEMENTI DELLA GLOBALIZZAZIONE PAGINA 10 Il processo di globalizzazione è strettamente legato allo sviluppo dell’ICT (information and communication technology), che ha accresciuto la velocità e l’ampiezza delle interazioni tra persone di ogni parte del mondo, permettendo la creazione di vere e proprie esperienze condivise a livello planetario, ovvero da un numero sempre maggiore di persone in aree del mondo sempre più numerose. L’esplosione delle comunicazioni globali è stata facilitata da una serie di importanti progressi tecnologici nell’infrastruttura mondiale delle telecomunicazioni. Ad esempio la telefonia tradizionale è stata rimpiazzata con un sistema integrato in cui enormi quantità di informazioni vengono compresse e trasferite in forma digitale. Altrettanto importante è stata la diffusione dei satelliti per telecomunicazioni, che facilitano il trasferimento di informazioni intorno al mondo. Tecnologie simili insomma permettono una compressione del tempo e dello spazio. La diffusione dell’ICT, oltre ad aver moltiplicato la possibilità di contatto tra individui di tutto il mondo, ha anche facilitato la circolazione di informazioni su persone ed eventi geograficamente distanti attraverso i media globali. Il passaggio a un’ottica globale presenta due importanti dimensioni: La consapevolezza che la responsabilità sociale non si ferma ai confini nazionali ma si estende ben oltre La prospettiva globale sembra indebolite in molti il senso sull’identità nazionale legata allo stato-nazione. Per alcuni sociologi i processi di globalizzazione dipendono dalle tendenze dell’economia capitalistica e dall’incessante ricerca del profitto, respingendo l’idea che possano influire anche fattori di tipo culturale e politico. Chi dissente da questa visione ha invece un approccio culturalista, per cui la globalizzazione dipende sì dalla costante integrazione dell’economia mondiale, che viene però assicurata attraverso svariati meccanismi culturali. La dimensione culturale è cruciale per la globalizzazione proprio perché attraverso le forme culturali lo sviluppo politico-economico si svincola dai limiti materiali della geografia, e si crea un nuovo contesto economico (“società della conoscenza”) legato allo sviluppo di un’ampia base di consumatori tecnologicamente preparati che integrano alla vita quotidiana gli sviluppi dell’informatica, dell’intrattenimento e delle telecomunicazioni. Questa “economia elettronica” è alla base della globalizzazione economica in senso lato, che dà vita ad un’economia globale sempre più integrata, dove un crollo finanziario in una parte del mondo può avere effetti drammatici sulle economie di paesi lontani. Tra i numerosi fattori che danno impulso alla globalizzazione spicca il ruolo delle imprese transnazionali, ovvero aziende che producono beni o commercializzano servizi in più di un paese creando vere e proprie catene globali delle merci. Esse sono orientate verso mercati e profitti globali, contribuiscono alla diffusione globale delle nuove tecnologie e sono importanti attori sui mercati finanziari internazionali. La globalizzazione è poi legata anche a fattori politici: PAGINA 11 Uniti erano aumentati in modo notevole, facendo sì che i tassi di interesse sui mutui subprime raggiungessero livelli record, tali da rendere impossibile ai debitori il pagamento di rate crescenti di rimborso. Ne derivarono enormi perdite per gli investitori di tutto il mondo, un crollo del mercato edilizio statunitense e la riduzione del credito dovuta alla maggiore cautela con cui le banche prestavano denaro le une alle altre. In un sistema finanziario ormai globalizzato, la crisi statunitense non poteva non coinvolgere rapidamente il resto del mondo. Subirono perdite le banche d’investimento in Europa, in Cina, in Australia e nel resto del mondo, mentre per impedirne il crollo nel Regno Unito, in Islanda e in Francia, le maggiori banche furono rilevate dal governo, cioè nazionalizzate. I governi di tutti i paesi europei e la Banca centrale europea intervennero aumentando la quantità di denaro a disposizione delle banche, nella speranza che ciò incoraggiasse la ripresa dei prestiti. Ma la strategia non funzionò e il risultato fu una retrocessione economica globale caratterizzata da fallimenti, aumento della disoccupazione e costi della vita crescenti. L’impatto della stretta di credito del 2008 è stato duro per tutti, ma ha avuto conseguenze particolarmente drammatiche per i paesi pesantemente indebitati, dove le banche e altre istituzioni finanziarie hanno reso più rigidi i criteri per l’accesso di credito. Con una crescita rallentata o azzerata dall’economia nazionale, alcuni paesi europei si sono visti costretti ad accettare l’aiuto dell’Ue o del Fondo monetario internazionale, a patto che fossero adottate una nuova disciplina fiscale e politiche di austerità. Le misure di austerità hanno però provocato un aumento di tassi di disoccupazione, minori entrate fiscali e maggiori spese per indennità di disoccupazione. Naturalmente la recessione economica, cioè una diminuzione del prodotto interno lordo per due trimestri consecutivi, non è una novità, ma la recessione del 2009 deve molto anche alla globalizzazione, che facilita il rapido movimento mondiale dei capitali e del debito, creando un sistema economico globale sempre più strettamente interconnesso. La prima recessione economica del XXI secolo ha avuto un impatto profondo su molti aspetti della vita sociale, infatti moltissime persone hanno perso il lavoro e sono rimaste disoccupate a causa di fallimenti aziendali o di tagli alla spesa pubblica. Le politiche di austerità sono state decise in un clima in cui il settore pubblico è generalmente additato dai media e da taluni politici come responsabile di un prosciugamento della ricchezza generata dal settore privato (si profilano crescenti tensioni, conflitti e disuguaglianze sociali). La sociologia economica I fondatori della sociologia cercarono di comprendere e spiegare le origini del capitalismo industriale. I sociologi classici presero le distanze dall’economia pura dimostrando che essa fa parte della società. La sociologia economica differisce, e la differenza centrale sta nel fatto che “il punto di partenza dell’analisi economica è l’individuo; quello della sociologia economica sono di solito i gruppi, le istituzioni e la società”. In sociologia economica gli individui sono sempre inseriti in un contesto sociale e gli interessi degli attori sociali si formano nei rapporti con altre PAGINA 14 persone. Analogamente, non esiste solo un tipo di azione economica, ma diversi. Nel XX secolo la sociologia ha per lo più tenuto distinte le questioni economiche dalle relazioni sociali, concentrandosi su queste ultime. Solo negli anni Ottanta, diversi studi portano nuovamente alla ribalta la sociologia economica (Mark Granovetter). Taylorismo e fordismo Adam Smith, tra i fondatori della scienza economica moderna, individuò diversi vantaggi offerti dalla divisione del lavoro in termini di accresciuta produttività. La sua opera (“La ricchezza delle nazioni”) si apre con una descrizione della divisione del lavoro in una fabbrica di spilli: Scomponendo la produzione in una serie di operazioni elementari, dieci operai con mansioni specializzate riuscivano a produrre, in cooperazione tra loro, 48’000 spilli al giorno La produttività per operaio aumentava da 20 a 48'000 spilli giornalieri: ciascun lavoratore specializzato produceva una quantità di merce 240 volte superiore a quella di un operaio isolato Un secolo più tardi queste idee raggiunsero la loro espressione più compiuta nell’opera di Taylor. L’approccio di Taylor a quella che egli chiamava “organizzazione scientifica del lavoro”, comportava lo studio dettagliato dei processi industriali, in modo da scomporli in operazioni elementari che potevano essere cronometrate e organizzate con precisione. Il taylorismo era un sistema ideato per massimizzare la produzione industriale e in particolare gli studi di Taylor sui tempi e i metodi del lavoro, sottrassero ai lavoratori il controllo della conoscenza del processo produttivo consegnandolo al management. I principi tayloristi furono adottati dall’industriale Henry Ford, il quale progettò la sua prima fabbrica nel 1908 per costruirvi la Ford modello T. Ciò consentì l’introduzione di macchine e strumenti specializzati esplicitamente progettati per la velocità, la precisione e la semplicità delle operazioni. Una delle innovazioni più significative introdotte da Ford fu la catena di montaggio mobile. Ford fu uno dei primi a capire che la produzione di massa richiede un consumo di massa in mercati di massa. Infatti il suo ragionamento era che per produrre un gran numero di beni standardizzati come le automobili occorreva un numero sufficiente di consumatori in grado di acquistarli. Ford prese l’iniziativa senza precedenti di aumentare il salario giornaliero di 5 dollari, perché il suo obiettivo era fare in modo che lo stile di vita della classe operaia potesse contemplare il possesso di un’automobile Ford. Fordismo è il termine con cui si intende in generale un sistema di produzione di massa finalizzato ad alimentare mercati di massa. In sociologia economica esso però corrisponde anche a un periodo storico caratterizzato dalla produzione di massa, dalla relativa stabilità dei rapporti di lavoro e da un alto grado di sindacalizzazione. Sotto il fordismo, le aziende assumevano impegni a lungo termine con i lavoratori e i salari erano legati alla produttività. I contratti collettivi erano lo strumento attraverso il quale si otteneva il consenso dei lavoratori all’utilizzo di sistemi automatizzati e si costruiva una domanda sufficiente all’assorbimento di una produzione di massa. PAGINA 15 Le ragioni del declino del fordismo sono complesse. Esso di fondava sulla fornitura di beni al mercato interno e risultava perciò sostanzialmente superato in un’epoca dominata dalle multinazionali e dalla crescente importanza dei mercati internazionali e globali. Per un certo tempo sembrò che il fordismo rappresentasse il futuro di tutta la produzione industriale, ma ciò tuttavia non si è verificato. Il fordismo può essere applicato soltanto in alcuni settori industriali, che producono merci standardizzate per i mercati di massa. La produzione di tipo fordista è relativamente facile da copiare se si hanno le risorse per costruire uno stabilimento, così che le imprese di paesi dove la manodopera è costosa trovano difficile competere con quelle di altri dove il costo del lavoro è più basso. Taylorismo e fordismo sono stati chiamati da alcuni sociologi dell’industria sistemi a basso affidamento. Le mansioni vengono stabilite dalla direzione e adattate alle macchine, e i lavoratori sono strettamente sorvegliati e dotati di scarsa autonomia d’azione. Per mantenere la disciplina e assicurare gli standard di produzione, i dipendenti vengono continuamente monitorati attraverso sistemi di sorveglianza di vario tipo. Questa costante supervisione tende a produrre però un risultato opposto a quello atteso. I sistemi di alto affidamento, invece, sono quelli in cui i lavoratori sono lasciati abbastanza liberi di controllare l’andamento e il contenuto del lavoro, all’interno di alcune linee guida prestabilite. Tendenze post fordiste A partire dalla metà degli anni Settanta sono state adottate delle pratiche più flessibili. Produzione di gruppo, problem-solving, multi-tasking e marketing di nicchia sono le definizioni di alcune delle strategie adottate dalle imprese per ristrutturarsi e prosperare in un’economia sempre più globalizzata. Il concetto di post-fordismo è stato appunto introdotto a indicare la radicale presa di distanze dai principi fordisti che questi mutamenti rappresentano. Il concetto deve la sua diffusione al libro di Michael J. Piore e Charles F. Sabel, che tratteggia una nuova era di produzione capitalistica in cui flessibilità e innovazione sono massimizzate per soddisfare le richieste di un mercato che esige prodotti diversificati e su misura per il cliente. Il concetto di post-fordismo è impiegato: Sia con riferimento a un ristretto insieme di mutamenti avvenuti nei processi produttivi Sia in rapporto a un ordine sociale diverso improntato a un maggiore individualismo. Per la nuova sociologia economica diventa fondamentale collegare il mondo della produzione alla politica, alle strategie e ai cambiamenti a livello di stili di vita. Negli ultimi decenni sono emerse tendenze significative che sembrano costruire una chiara presa di distanza dal precedente modello fordista. Possiamo indicare il decentramento della produzione in gruppi di lavoro, la produzione flessibile e la “customizzazione” di massa, la produzione globale e l’introduzione di una struttura occupazionale più aperta. La produzione di gruppo PAGINA 16 discussione dal femminismo, che ha contestato l’idea che la vita personale sia irrilevante per la sociologia. Secondo Oakley, il lavoro domestico è nato con la separazione della casa dal luogo di lavoro. Con l’industrializzazione, il “lavoro” ha luogo lontano dall’abitazione e dalla famiglia, e la casa diventa sede di consumo. Mentre il “vero” lavoro viene progressivamente identificato con quello retribuito, il lavoro domestico diventava “invisibile”. Quindi il lavoro domestico viene ad essere considerato tipicamente “femminile”, quello extradomestico tipicamente “maschile”. Questo è il modello convenzionale di divisione domestica del lavoro. Prima dell’industrializzazione, il lavoro casalingo era particolarmente duro. Oakley osserva però che la quantità di tempo dedicata in media dalle donne al lavoro domestico non è scesa in maniera paragonabile alla fatica risparmiata grazie all’avvento degli elettrodomestici, anzi è rimasta abbastanza costante. È aumentato il tempo dedicato ai figli, alla spesa, alla preparazione dei pasti. Il lavoro domestico non retribuito ha un enorme importanza per l’economia. Si è stimato che ad esso va attribuita una quota compresa tra il 25 e il 40% della ricchezza prodotta nei paesi industrializzati. Secondo Oakley, questa quantità di lavoro non riconosciuta e non retribuita in realtà sostiene il resto dell’economia. Il lavoro domestico presenta poi ulteriori aspetti problematici: l’assorbimento a tempo pieno nelle occupazioni domestiche può essere fonte di isolamento e insoddisfazione. Nello studio di Oakley le casalinghe giudicano estremamente monotoni i lavori domestici e risentono della pressione psicologica a rispettare gli standard che si auto-impongono nel proprio lavoro. Le donne ricavano soddisfazione e ricompense psicologiche dal rispetto di standard di pulizia e di ordine che hanno tutti i caratteri di regole esterne. A differenza degli uomini che osservano un orario di lavoro ben definito, i doveri extradomestici delle donne allungano la loro giornata di lavoro. Per Oakley il lavoro retribuito, che produce reddito, determina uno squilibrio di poteri e rende le donne dipendenti dai partner maschili per la sopravvivenza economica propria e della famiglia. Cambiamenti sociali recenti hanno indotto a porre in dubbio l’esistenza di un doppio carico di lavoro che grava sulle donne costrette a conciliare il lavoro retribuito con le faccende domestiche. La quantità di lavoro domestico svolta dagli uomini è aumentata, per quanto con lentezza. Se misuriamo quanto lavorano uomini e donne, sommando lavoro retribuito e lavoro domestico, sembra di poter attestare un’evoluzione in direzione della parità. L’organizzazione sociale del lavoro Nelle società vige una divisione del lavoro altamente complessa. Prima dell’industrializzazione, il lavoro extra-agricolo consisteva nell’esercizio di mestieri appresi attraverso un lungo periodo di apprendistato, contraddistinti da una caratteristica fondamentale: il lavoratore provvedeva di norma a tutti gli aspetti dell’intero processo produttivo, dall’inizio alla fine. Con l’avvento della produzione industriale moderna, molti mestieri tradizionali scomparvero del tutto, mentre la maggior parte di quelli che sopravvissero fu incorporata in processi produttivi complessi e parcellizzati. L’intera vita lavorativa di molti operai dell’industria si riduceva allo svolgimento dello stesso specifico compito in PAGINA 19 fabbriche organizzate su queste basi. Prima dell’industrializzazione si lavorava soprattutto in casa. Lo sviluppo di laboratori e fabbriche, che consentivano l’utilizzo di grandi macchine industriali, contribuì alla separazione tra abitazione e lavoro. Le fabbriche divennero i luoghi fondamentali dello sviluppo industriale e la produzione di massa sostituì progressivamente quella artigianale. L’altissima divisione del lavoro ha provocato un’enorme espansione dell’interdipendenza economica. Per i beni e i servizi necessari al nostro sostentamento, tutti noi dipendiamo da un numero incalcolabile di altri lavoratori disseminati per il mondo. Marx riteneva che l’industria moderna avrebbe ridotto il lavoro a una serie di compiti monotoni e ripetitivi. A suo avviso la divisione capitalista del lavoro comportava l’alienazione dei lavoratori dalla loro attività. Durkheim aveva una concezione più ottimistica della divisione del lavoro. A suo giudizio la specializzazione dei ruoli professionali rafforzava la solidarietà sociale. Gli individui veni ano ad essere legati dalla reciproca dipendenza, e la solidarietà era favorita dalle relazioni multidirezionali tra produzione e consumo. La struttura occupazionale dei paesi industrializzati è molto cambiata. All’inizio del XX secolo il mercato del lavoro era dominato da mansioni industriali di tipo manuale, ma col tempo la situazione è mutata a tutto vantaggio delle occupazioni impiegatizie nel settore dei servizi. La diminuzione dei posti di lavoro nell’industria è stata particolarmente rapida nelle economie. Si è molto dibattuto sulle motivazioni di questo fondamentale cambiamento, le cui cause sembrano molteplici: La continua introduzione di macchine risparmiatrici di manodopera. La maggior parte degli sviluppo tecnologici ha l’effetto di sostituire il lavoro umano con delle macchine, il che riduce il numero delle occupazioni. Con la globalizzazione i processi produttivi tendono a una delocalizzazione nei paesi in via di sviluppo, dove i costi sono più bassi. Lo sviluppo dello stato sociale ha stimolato la crescita di grandi strutture burocratiche nel welfare, nella sanità e nei servizi pubblici, creando molti posti di lavoro nel settore dei servizi. Tramonto del sindacalismo? Una delle principali conseguenze della progressiva diminuzione della popolazione operaia nei paesi industrializzati è stata la riduzione del numero di iscritti al sindacato. I sindacati sono organizzazioni presenti nella maggioranza dei paesi, e là dove esistono, i governi riconoscono il diritto dei lavoratori di astenersi dal lavoro, scioperando, per perseguire finalità di carattere economico. All’inizio dello sviluppo dell’industria moderna, quasi ovunque gli operai erano privi di diritti politici e potevano scarsamente influire sulle condizioni in cui prestavano la loro opera. I sindacati si svilupparono come strumento per riequilibrare le forze tra lavoratori e datori di lavoro. Il secondo dopoguerra assistette a un sensazionale PAGINA 20 capovolgimento della posizione dei sindacati nelle società industriali avanzate. La sindacalizzazione era per vari motivi un fenomeno comune a tutti i paesi occidentali: L’azione sindacale era favorita dall’esistenza di forti partiti politici che rappresentavano la classe lavoratrice La contrattazione tra imprese e sindacati era coordinata a livello nazionale, anziché svolgersi in maniera decentrata a livello sociale Erano i sindacati e non lo stato a erogare le indennità di disoccupazione, il che induceva i lavoratori che perdevano il lavoro a non abbandonare il sindacato di appartenenza Dopo i massimi raggiunti negli anni Settanta, l’adesione ai sindacati cominciò a diminuire in tutti i paesi industriali in conseguenza del fatto che tradizionalmente il settore dei servizi è meno propizio all’attività sindacale. Secondo Bruce Western, questo non è sufficiente a spiegare quanto avvenne negli anni Settanta. Diverse circostanze sono coerenti con la minore rappresentatività dei sindacati sia nell’industria sia negli altri settori. 1. La prima è la recessione, accompagnata da alti tassi di disoccupazione, che colpì l’economia mondiale e che indebolì la posizione contrattuale del sindacato 2. La seconda è l’intensificarsi della competizione internazionale, in particolare da parte dei paesi dell’Estremo Oriente, dove i salari sono più bassi che in Occidente 3. Infine, l’avvento in molti paesi di governi di destra segnalò l’avvio di una politica di contrasto delle posizioni sindacali La femminilizzazione del lavoro Per buona metà del XX secolo, il lavoro retribuito è rimasto un’attività prevalentemente maschile. La situazione è cambiata radicalmente con la femminilizzazione del lavoro, nel momento in cui un numero crescente di donne è entrato nel mercato del lavoro. Questo processo dalle mille sfaccettature è un cambiamento storico fondamentale. Nei paesi sviluppati, i lavoratori dell’industria oggi risultano diminuiti rispetto al secolo scorso. I nuovi posti di lavoro vengono creati prevalentemente negli uffici e nelle strutture di servizio. Inoltre, nel progressivo allontanamento dal mondo industriale dominato dagli uomini, si sono via via affermate pratiche di management di impronta meno gerarchica. Nella maggior parte dei parsi del mondo, le donne costituiscono ormai almeno metà della forza lavoro, anche se differiscono notevolmente i tipi di impiego cui sono adibite. Va aggiunto che il lavoro delle donne è qualitativamente diverso da quello degli uomini. In molte economie sviluppate, i tre quarti della popolazione femminile attiva svolgono lavori part-time di basso livello retributivo come inservienti, cassiere, addette alle pulizie e al catering... DONNE E LUOGHI DI LAVORO: PAGINA 21 domestiche, infatti si può parlare di un processo di “adattamento ritardato”: la rinegoziazione dei compiti domestici procede più lentamente del ritmo di ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Una divisione più equa del lavoro domestico si riscontra tra le coppie appartenenti alle classi sociali superiori, come pure nelle famiglia in cui la donna ha un lavoro a tempo pieno. Gli uomini vanno assumendosi maggiori responsabilità in casa, ma l’onere è ben lungi dall’essere equamente ripartito. La distribuzione delle risorse finanziarie è nel complesso più equa che in passato, pur rimanendo correlata alle condizioni di classe. Nelle famiglie a basso reddito, le donne sono sovente responsabili della gestione quotidiana delle finanze familiari, ma non necessariamente prendono le decisioni strategiche. In questi casi, esse tendono a garantire ai mariti l’accesso al denaro persino a costo di negare a se stesse lo stesso diritto. Quindi la gestione quotidiana delle finanze familiari da parte delle donne appare disgiunta dall’accesso al denaro. Le coppie ad alto reddito gestiscono invece congiuntamente le finanze familiari e si riscontra tra loro un maggiore grado di uguaglianza nell’accesso al denaro e nell’assunzione delle decisioni di spesa L’automatizzazione e il dibattito sulle competenze I sociologi si interessano da tempo del rapporto tra tecnologia e lavoro. Col progredire dell’industrializzazione, è diventato sempre più preponderante il ruolo della tecnologia, dall’automazione delle fabbriche all’informatizzazione del lavoro d’ufficio. Il concetto di automazione, o di “macchine programmabili”, fu introdotto a metà Ottocento quando Christopher Spencer inventò l’automar, un tornio programmabile che fabbricava viti, dadi e ingranaggi. Un robot è uno strumento automatico che può svolgere funzioni ordinariamente affidate a esseri umani. Oggi la maggioranza dei robot è impiegata nelle fabbriche di automobili e nelle industrie elettroniche che producono televisori, computer, lettori di CD e DVD... L’utilità dei robot è relativamente limitata, poiché la loro capacità di riconoscere gli oggetti e manipolare forme irregolari è tutt’ora rudimentale. La diffusione dell’automazione ha innescato tra sociologi ed esperti di relazioni industriali un acceso dibattito sull’impatto di questa nuova tecnologia sui lavoratori. Robert Blauner ha preso in considerazione l’esperienza dei lavoratori in quattro diverse industrie con livello variabili di tecnologia. Egli ha operazionalizzato il concetto di “alienazione” misurando il grado di impotenza, insignificanza, isolamento ed auto- estraneazione avvertito dai lavoratori. Secondo la ricerca, la maggior disaffezione si registra tra i lavoratori delle catene di montaggio. Secondo Blauner, l’introduzione dell’automazione inverte la tendenza altrimenti costante all’alienazione crescente dei lavoratori. L’automazione contribuisce a integrare la forza lavoro e dà ai dipendenti un senso di controllo sul loro lavoro che manca con altre forme di tecnologia. Il dibattito sulle competenze è complesso in quanto il concetto di “competenza” è un costrutto sociale soggetto a evoluzione. La concezione convenzionale del lavoro “specializzato” tende a riflettere più lo status dell’addetto che la difficoltà oggettiva del compito. Gli studi che hanno preso in esame la complessità intrinseca delle mansioni tendono a confermare che l’automazione comporta un PAGINA 24 up-skilling, ossia una maggiore qualificazione de lavoro, mentre quelli che valutano l’autonomia dei lavoratori sostengono che essa conduce al deskilling. I livelli di competenza sono inoltre collegati alla collocazione geografica e alle condizioni locali di impiego. L’ECONOMIA DELLA COSCIENZA Stiamo oggi assistendo alla transizione verso un nuovo tipo di società non più basata prevalentemente sull’industrializzazione e per descrivere questo nuovo ordine si utilizza l’espressione economia della conoscenza. Questa espressione si riferisce a un’economia in cui l’innovazione e la crescita economica sono sostenute da idee, informazioni e forme di conoscenza. La maggior parte della forza lavoro è impegnata in attività di progettazione, sviluppo, messa a punto tecnologica, commercializzazione, vendita e assistenza. Le attività riconducibili all’economia della conoscenza comprendono industrie high-tech, educazione e formazione, ricerca e sviluppo, finanza e investimenti. Gli investimenti nell’economia della conoscenza costituiscono oggi una parte significativa del bilancio di molti paesi. Sembra tuttavia che, a seguito della stretta del credito del 2008, della recessione del 2009, e delle misure di austerità adottate per ridurre spesa e debito pubblici, i livelli d’investimento nei settori della conoscenza stiano scendendo. IL MULTISKILLING I teorici del post fordismo sostengono che nelle nuove forme di lavoro, i lavoratori hanno la possibilità di ampliare le proprie competenze. La produzione di gruppo e il lavoro di squadra andrebbero dunque di pari passo con il multiskilling, cioè lo sviluppo di una forza lavoro capace di assumersi un’ampia gamma di responsabilità. Ciò a sua volta conduce a una maggiore produttività e a una migliore qualità di beni e servizi. La preferenza per il multiskilling ha ripercussioni sul progetto di reclutamento del personale. Molti datori di lavoro oggi cercano soggetti adattabili e in grado di acquisire rapidamente nuove competenze. Le specializzazioni sono spesso una risorsa, ma coloro che trovano difficile applicare creativamente capacità circoscritte a contesti nuovi possono essere considerati “inadatti” a un ambiente di lavoro flessibile e innovativo, infatti le “competenze personali” sono sempre più apprezzate. La capacità di collaborare con altri, ma anche di lavorare in maniera indipendente, di prendere l’iniziativa e di affrontare le sfide con creatività, sono le qualità oggi più ricercate dai datori di lavoro. Il multiskilling è intimamente connesso con il concetto di “formazione sul lavoro”. Molte aziende preferiscono assumere non specialisti capaci di sviluppare nuove competenze direttamente sul posto di lavoro. Investire un nucleo di dipendenti in grado di lavorare flessibilmente per l’azienda nel lungo periodo può essere una maniera strategica per affrontare un’epoca di rapide trasformazioni. IL TELELAVORO Il telelavoro permette di svolgere da casa le proprie mansioni, spesso via telefono o Internet. In occupazioni che non richiedono un contatto regolare con clienti o colleghi, il telelavoro consente contemporaneamente di essere più produttivi e di PAGINA 25 far fronte a responsabilità extra lavorative. Il telelavoro non è affatto gradito a tutti i datori di lavoro, perché è molto più difficile monitorare il lavoro di un dipendente che non sia fisicamente presente in ufficio, per cui spesso i telelavoratori sono sottoposti a nuove forme di controllo mirate a scongiurare l’abuso della “libertà” di cui godono. Alcuni studiosi segnalano la possibilità di una profonda spaccatura tra diverse figure professionali che si prestano al telelavoro: Da una parte quelle impegnate in progetti creativi Dall’altra parte quelle incaricate in mansioni puramente ripetitive, come immettere dati o digitare testi L’avvento di tecnologie mobili wireless pare offrire maggiore libertà ed emancipazione da un contesto lavorativo statico. Il lavoro esce da strutture fisiche predeterminate per invadere ogni altra sfera della vita pubblica e privata, compresa quella domestica. L’erosione del confine tra lavoro e tempo libero può indurre gli individui a lavorare più a lungo e trasformare il lavoro nel centro della vita quotidiana a discapito della famiglia e della vita sociale. LA FINE DELLA CARRIERA PER LA VITA E L’AVVENTO DEL “PORTFOLIO WORKER” Alcuni sociologi ed economisti sostengono che in futuro aumenteranno i portfolio worker, cioè lavoratori che possiedono un “portafoglio di competenze”, una molteplicità di credenziali professionali che sfrutteranno per spostarsi da un lavoro all’altro nel corso della vita lavorativa. L’idea di un “lavoro per la vita” appartiene al passato, perché oggi le persone si costituiscono carriere non predeterminate, sviluppando creativamente le proprie competenze, consolidando la propria autostima, conferendo senso alla propria vita lavorativa via via che la realizzano. Per altri “flessibilità” significa in pratica che le imprese possono assumerli e licenziarli a loro piacimento, mirando il loro senso di sicurezza. La responsabilità dei datori di lavoro nei confronti dei dipendenti viene meno e dai contratti di lavoro scompaiono progressivamente garanzie e diritti. IL SIGNIFICATO SOCIALE DEL LAVORO La precarietà del lavoro è oggi un argomento importante nella sociologia del lavoro. La ricerca spasmodica dell’efficienza e del profitto comporta che gli individui con poche competenze, o con le competenze “sbagliate”, possono trovarsi in posizioni precarie e marginali, esposte agli imprevisti dei mercati globali. Secondo alcuni assistiamo a una trasformazione del significato stesso del “lavoro”. Nelle società moderne avere un lavoro è importante per conservare la stima di sé. Anche quando le condizioni lavorative sono relativamente cattive e le mansioni da svolgere ripetitive, il lavoro struttura il ciclo delle attività quotidiane. Importanti caratteristiche del lavoro sono: Sicurezza del reddito: salari e stipendi sono la risorsa principale da cui la maggior parte degli individui dipende per soddisfare le proprie necessità Svolgimento di attività significative: il lavoro fornisce spesso la base per l’apprendimento e l’esercizio di competenze e capacità Diversificazione dell’esperienza: il lavoro garantisce l’accesso ad ambiti di vita diversi da quello domestico PAGINA 26 PERCHÉ STUDIARE LA VITA QUOTIDIANA Il semplice fatto che non dobbiamo metterci a pensare alle nostre routine quotidiane non significa che esse vadano escluse dall’analisi sociologica. Anzi, il sociologo Alfred Schulz le considera il punto di partenza fondamentale della fenomenologia, ovvero lo studio di come le persone arrivano a dare per scontate alcune cose e come ciò si riproduce nelle interazioni sociali. Nello studio della vita quotidiana è importante porre l’attenzione su tre aspetti fondamentali: Alla routine della vita quotidiana, ovvero modelli di comportamento che conferiscono forma e struttura alla nostra attività e ci permettono di apprendere molto sulla nostra natura di esseri sociali. Le routine che seguiamo di giorno in giorno non sono sempre identiche, e qualora sopraggiunga un importante cambiamento richiedono una modifica Alla costruzione sociale della realtà, perché la realtà non è fissa o statica, ma viene creata continuamente attraverso le interazioni sociali Al modo in cui i modelli di interazione sociale influenzano i sistemi e le istituzioni di più ampie dimensioni LA COMUNICAZIONE NON VERBALE La comunicazione non verbale, anche definita “linguaggio del corpo”, è lo scambio di informazioni e di significati attraverso espressioni facciali, gesti, posture e movimenti del corpo. Volto, gesti ed emozioni La grande espressività del volto umano è dovuta alla sua notevole flessibilità a capacità mimetica, che, secondo il sociologo Norbert Elias, sono una peculiarità tipica dell’uomo legata al suo sviluppo, che intreccia elementi biologici ed elementi sociali. Come le espressioni del volto anche gesti e posture sono usati per integrare e verificare la veridicità della comunicazione verbale. Infatti i gesti e le posture possono: ampliare le parole contraddire il significato manifesto delle parole Per questo motivo, nell’interazione con gli altri, tutti noi manteniamo abilmente, quasi senza accorgercene, uno stretto e continuo controllo della mimica facciale, dei gesti e della postura. Ma tutti questi elementi sono fenomeni innati o riconducibili all’individuo e alla sua cultura? Lo psicologo Paul Ekman, in seguito a diversi studi, ha formulato il “sistema di codificazione dell’attività facciale”, capace di descrivere i movimenti dei muscoli facciali che fanno origine a particolari. Per lui, infatti, le modalità fondamentali di espressione delle emozioni sono le stesse per tutti gli esseri umani. Allo stesso modo anche per l’etologo Eibl-Eibesfeldt. Nonostante ciò altri studi hanno invece sottolineato che fattori individuali e culturali condizionano l’esatta forma finale del movimento muscolare e il contesto in cui si ritiene appropriato. In tutte le culture si sorride, ma variano ampiamente i PAGINA 29 modi in cui questo avviene: il preciso movimento delle labbra e dei muscoli facciali, la rapidità del sorriso. Diversamente non è stata dimostrata l’esistenza di gesti o posture del corpo comuni a tutte le culture, o comunque alla maggior parte di esse. Genere e comunicazione non verbale Esiste una differenza di genere nelle interazioni sociali quotidiane? Considerate che esse sono modellate dal contesto sociale, non possiamo sorprenderci che comunicazione verbale e non verbale possano essere percepite ed espresse in maniera differente da uomini e donne. Nelle interazioni concrete si ravvisano anche una dimensione di classe e una etnica. La filosofa Young, ad esempio, ha esplorato le differenze di genere nell’uso del corpo, e ha concluso essere la conseguenza di una società dominata dei maschi che ha prodotto una maggioranza di donne “fisicamente handicappate”, perché da sempre incoraggiate a vedere i propri corpi come “oggetti per altri”, da cui conseguono comportamenti e movimenti rigidamente controllati. Al contrario gli uomini imparano a vivere i propri corpi come attivi e vigorosi “oggetti per se stessi”, il che si traduce in una maggiore aggressività dei loro movimenti, in particolare nello sport. Embodiment e identità L’identità di una persona viene espressa anche attraverso l’esperienza del corpo, proprio e altrui, e dei suoi movimenti. L’identità di genere di conseguenza è socialmente creata e, nello stesso tempo, embodied. Ma cos’è un’identità? Richard Jenkins afferma che l’identità è “la capacità umana”, radicata nel linguaggio, di sapere “chi è chi” (di conseguenza “cosa è cosa”). Ciò significa sapere chi siamo, sapere chi sono gli altri, sapere che esse sanno chi siamo, sapere che noi sappiamo cosa essi pensano che noi siamo e così via. Ne consegue che tutte le identità umane sono identità sociali, perché sono formate nel continuo processo di interazione della vita sociale. Le identità sono costruite e non date, e presentano tre aspetti: sono in parte individuali o personali sono in parte collettive o sociali sono sempre embodied. In relazione ai processi di socializzazione primaria e secondaria, possiamo distinguere: identità primarie, ovvero quelle che si formano nei primi anni di vita e comprendono il genere, la razza/etnia e probabilmente anche la disabilità identità secondarie, ovvero quelle che associate ai ruoli sociali e agli status acquisiti, che sono complesse e fluide, e che cambiano insieme all’individuo PAGINA 30 Le identità marcano differenze e somiglianze nell’interazione sociale Quindi l’interazione quotidiana dipende da complesse relazioni tra ciò che comunichiamo con il volto e con il corpo, su cui cerchiamo sempre di mantenere un rigoroso controllo, e ciò che esprimiamo con le parole. Gli incontri La natura delle nostre relazioni con gli altri è differente Interazione non focalizzata, ogni volta che, in un determinato contesto, gli individui si limitano a mostrare reciproca consapevolezza dell’altrui presenza Interazione focalizzata, quando un individuo presta direttamente attenzione a ciò che gli altri dicono o fanno. Un’unità di interazione focalizzata è detta incontro, e prende avvio da un’apertura che segnala il superamento della disattenzione civile. In questa forma di interazione entrambe le parti coinvolte comunicano tanto con l’espressione del volto e con i gesti quanto con le parole. E Goffman distingue tra “espressioni trasmesse consapevolmente” ed “espressioni trasmesse inconsapevolmente”. Il controllo delle impressioni Goffman equipara la vita sociale ad una rappresentazione teatrale, in cui il comportamento dell’individuo dipende dal ruolo che sta interpretando in quel momento. Questa visione è chiamata approccio drammaturgico, e divide la vita sociale tra: la ribalta, costituita da quelle circostanze sociali in cui gli individui agiscono secondo ruoli formalizzati o codificati, allestendo delle “rappresentazioni sceniche”. Secondo Goffman non esiste un solo ed unico palcoscenico, ma molti, a seconda dei ruoli interpretati i retroscena, ovvero quegli spazi in cui gli individui si preparano all’interazione che dovrà avvenire nel contesto più formale della ribalta. Qui le persone possono rilassarsi e abbandonarsi a sentimenti e comportamenti che tengono sotto controllo quando si trovano “in scena”. Il ruolo sociale racchiude le aspettative socialmente definite cui soggiace una persona che appartiene ad un certo status, o posizione sociale. Ogni individuo è molto sensibile al modo in cui viene visto dagli altri e si sforza quindi di esercitare molteplici forma di controllo delle impressioni che questi possono avere di lui, ad esempio vestendosi in giacca e cravatta ad un incontro di lavoro. Lo status, a sua volta, dipende dal contesto sociale in cui ci troviamo, e proprio per questo gli individui possiedono molti status allo stesso tempo (set di status). I sociologi distinguono tra: status ascritto, al quale si viene assegnati per ragioni biologiche, come ad esempio la “razza”, il sesso e l’età PAGINA 31 Nelle società moderne la delimitazione delle attività è fortemente influenzata dalla nostra esperienza del tempo cronometrico. Di fatti senza l’orologio e l’esatta misurazione temporale delle attività le società industrializzate non potrebbero esistere. La misurazione del tempo è ad oggi standardizzata in tutto il mondo, e il sistema di riferimento temporale su scala planetaria, introdotto nel 1884, prevede la suddivisione del globo in 24 fusi orari di un’ora ciascuno. Internet è un importante esempio di quanto strettamente le forme di vita sociale siano legate alla gestione dello spazio e del tempo, e di conseguenza di quanto la rivoluzione tecnologica abbia modificato queste dimensioni. Questo cambiamento tecnologico ha provocato una “ristrutturazione” dello spazio, rendendo possibile interagire con chiunque senza abbandonare la nostra sedia, e ha modificato anche la nostra percezione del tempo, dato che la comunicazione online è pressoché istantanea. La vita quotidiana in una prospettiva storico-culturale Alcuni dei meccanismi sociali analizzati da Goffman, Garfinkel e altri sembrano universali, ma riguardano soprattutto società in cui il contatto con gli stranieri è un fatto comune. Cosa dire invece delle piccole società tradizionali, in cui non esistono estranei e solo poche persone possono trovarsi riunite in ogni dato momento? A questo proposito è interessante considerare ad esempio una delle culture meno sviluppare, dal punto di vista tecnologico, rimaste al mondo: quella dei Kung (Africa Meridionale). I Kung vivono in gruppi di trenta o quaranta individui un insediamenti temporanei vicini a sorgenti d’acqua. La maggior parte della giornata è occupata dai vagabondaggi per la ricerca del cibo, tranne che durante la stagiona piovosa invernale, quando la disponibilità di cibo nelle vicinanze aumenta e quindi la giornata è dedicata alle attività cerimoniali. In passato i Kung non incontravano praticamente mai qualcuno che non conoscessero ragionevolmente bene, tanto da non avere nemmeno un vocabolo per indicare uno “straniero”. Inoltre è completamente assente la dimensione privata: le famiglie vivono in abitazioni fragili e aperte, e svolgono quasi tutte le loro attività sotto gli occhi di tutti. In quest’ottica le osservazioni di Goffman hanno un’applicazione molto limitata, mentre ad oggi la vita urbana in pratica ci costringe a interagire con estranei. Interazione nel cyberspazio e “netiquette” Nelle società moderne interagiamo costantemente con individui che potremmo non vedere né incontrare mai, ad esempio quando telefoniamo ad un call centre oppure ad una banca. Oggi che i mezzi di comunicazione fanno ormai parte della nostra vita è vivo e crescente l’interesse per la comprensione dell’impatto di questi strumenti e delle norme di comportamento online che stanno emergendo. Nei dibattiti si è verificata una sorta di “polarizzazione” delle opinioni: per gli scettici la comunicazione mediatica porta con sé molti nuovi problemi. Per Katz “pigiare sui tasti non significa essere umani, navigare nel ciberspazio non equivale ad essere reali, tutto è finzione e alienazione, misero surrogato del mondo reale”. La possibilità di creare false identità apre la strada a inganni, raggiri, frodi, alla manipolazione delle emozioni e PAGINA 34 all’esposizione di bambini a contenuti sessuali. Il risultato è la costante perdita di fiducia, non soltanto nei contesti online, ma anche nel tessuto sociale complessivo. Inoltre la comunicazione telematica incoraggia l’isolamento, sostituendo rapporti online superficiali ad autentici e durevoli rapporti di amicizia i cultori di Internet obiettano che la comunicazione online presenta molti vantaggi rispetto alle tradizionali forme di comunicazione faccia a faccia. In primis maschera tutti i caratteri identificativi, quali l’età, il sesso, l’origine etnica o la posizione sociale, permettendo all’altro di concentrare la propria attenzione unicamente sul contenuto del messaggio. Inoltre l’interazione elettronica permette agli individui di crearsi identità virtuali ed esprimersi più liberamente di quanto altrimenti non farebbero. Alcuni, inoltre, credono sia necessario accostarsi al mondo delle esperienze online non come ad un ambito completamente nuovo, bensì come ad un’estensione del mondo sociale reale. Gli studi sui social network hanno infatti dimostrato come la maggior parte delle persone tenda a interagire soprattutto con persone che già conoscono per contatto diretto. La comunicazione online ha portato alla nascita di norme e regole, definite netiquette, che governano le interazioni e gli scambi nel ciberspazio. Al momento sembra trattarsi di un tentativo di tradurre norme di comportamento e buone maniere tradizionali in un formato appropriato alle attività online, anziché in un sistema completamente nuovo. A questo punto, se la netiquette è una variante dell’etichetta sociale, risultano ancora utili teorie e concetti sociologici consolidati. Nonostante il continuo aumento delle comunicazioni indirette, gli essere umani continuano ad apprezzare il contatto diretto. Boden e Molotoch (1994) hanno studiato quella che hanno chiamato compulsione alla prossimità, cioè il bisogno degli individui di incontrarsi in situazioni di interazione faccia a faccia. Perché: Offrono informazioni molto più ricche sui pensieri, i sentimenti e la sincerità degli altri Ci sentiamo in grado di capire ciò che sta accadendo e confidiamo di riuscire a fare valere le nostre idee e la nostra schiettezza. PAGINA 35 CONCLUSIO NI CAPITOLO 6 – STRATIFICAZIONE E CLASSI SOCIALI SISTEMI DI STRATIFICAZIONE Per descrivere le disuguaglianze tra individui e gruppi nelle società umane i sociologi parlano di stratificazione sociale, definita come un sistema di disuguaglianze strutturati tra gruppi sociali, che possono essere di tipo economico, oppure in base all’età, al genere, alla religione... Tutti i sistemi sociali possiedono tre caratteristiche fondamentali: La stratificazione riguarda categorie di persone accomunate da determinate caratteristiche Le esperienze e le opportunità individuali dipendono dalla posizione relativa della categoria sociale di appartenenza I rapporti tra le diverse classi sociali tendono a cambiare lentamente Storicamente le società stratificate hanno conosciuto molti cambiamenti: Le prime società umane, basate sulla caccia e sulla raccolta, erano poco stratificate, soprattutto perché erano poche le risorse da ripartire tra i membri Nelle società agricole, l’assetto sociale cominciò ad assumere sempre più una forma piramidale, in cui il maggior numero di individui si colloca alla base per diminuire progressivamente via via che si procede verso il vertice Oggi le società industriali e postindustriali sono molto complesse e la loro stratificazione è piuttosto a forma di lacrima, con la maggioranza degli individui in una posizione media o medio-bassa, un numero inferiore alla base e pochissimi al vertice Schiavitù La schiavitù è una forma estrema di disuguaglianza, per cui alcuni individui sono letteralmente posseduti da altri come loro proprietà. La condizione giuridica del rapporto di schiavitù varia a seconda della società: talvolta gli schiavi erano privi per legge di qualsiasi diritto, mentre in altre società la loro posizione era piuttosto simile a quella dei servi. Storicamente gli schiavi si sono sempre ribellati alla loro posizione di soggezione e queste resistenze rendevano altamente instabili i sistemi di sfruttamento del lavoro degli schiavi. Un’elevata produttività poteva essere conseguita solo attraverso un controllo costante e brutali punizioni. I sistemi di schiavitù alla fine collassarono, sia per effetto dei conflitti da essi stessi provocati, e sia perché nel motivare gli esseri umani a produrre sono più efficaci gli incentivi. A partire dal XVIII secolo, in Europa e in America, molti cominciarono a vedere nella schiavitù qualcosa di moralmente sbagliato per le “società civilizzate”. Oggi la schiavitù è illegale in tutti i paesi del mondo, anche se alcuni PAGINA 36 L’industrializzazione dell’Ottocento europeo trasformò le società e sovente per il meglio, ma produsse anche proteste e movimenti rivoluzionari: gli scioperi e l’attivismo militante dei lavoratori continuarono anche nel XX secolo. Marx studiò le società classiste nel tentativo di comprendere il loro funzionamento, pervenendo alla tesi centrale secondo cui le società si fondano su relazioni economiche di tipo capitalistico. Per lui il capitalismo industriale si fonda su un sistema di rapporti di classe che prevede lo sfruttamento dei lavoratori e che deve essere rovesciato. Per Marx una classe è un gruppo di individui che condivide un determinato rapporto con i mezzi di produzione, cioè i mezzi attraverso cui provvede al proprio sostentamento. Nelle società industriali moderne i mezzi di produzione che hanno assunto importanza primaria sono le fabbriche, gli uffici, i macchinari, ovvero il capitale necessario per acquistarli. Le due classi principali diventano: Quella di coloro che detengono questi nuovi mezzi di produzione, cioè la borghesia capitalistica E quella di coloro che si guadagnano da vivere vendendo la propria forza lavoro, cioè il proletariato Tra le classi vige un rapporto di sfruttamento. Secondo Marx, nel corso della giornata lavorativa gli operai producono più valore da quello che ricevono sotto forma di salario e di questo plusvalore si appropriano i capitalisti come loro profitto. Marx era colpito dalle disuguaglianze create dal sistema capitalistico: con lo sviluppo dell’industria moderna, si assiste a una produzione di ricchezza mai vista prima, ma gli operai rimangono relativamente poveri, mentre cresce la ricchezza accumulata dai capitalisti. Marx impiega il termine pauperizzazione per indicare il processo mediante il quale la classe operaia subisce un progressivo impoverimento rispetto a quella capitalistica. Queste disuguaglianze tra capitalisti e operai non sono di natura strettamente economica. Marx osserva che con la meccanizzazione della produzione, il lavoro diventa spesso monotono e insoddisfacente, e gli operai vivono una condizione di alienazione dal lavoro e dai suoi prodotti. Alcuni filoni principali delle critiche al marxismo sono In primo luogo, viene ritenuta eccessivamente semplicistica la divisione della società capitalistica in due grandi forze contrapposte: borghesia e proletariato. Esistono diverse divisioni nella seconda forza, anche in base al genere o all’etnia, quindi diventa assai improbabile un’azione comune all’intera classe operaia. In secondo luogo, non si è avverata la previsione di una rivoluzione comunista guidata dalla classe operaia nelle società avanzate e ciò mette in discussione l’analisi marxiana delle dinamiche capitalistiche In terzo luogo, Marx vedeva nella coscienza di classe una conseguenza delle esperienze condivise dal proletariato, ma oggi gli individui tendono meno a identificarsi con la loro posizione di classe. Esistono infatti molteplici fonti di identificazione, tra cui la classe non è necessariamente la più importante. PAGINA 39 Max Weber: classe, status e partito Anche per Weber la società è caratterizzata da conflitti per le risorse materiali e il potere, e lui sviluppa una concezione più complessa a multidimensionale della società. Per lui la stratificazione sociale è la risultante di due ulteriori determinanti: lo status e il partito. Questi due fattori di stratificazione parzialmente coincidenti producono un enorme numero di possibili posizioni della società. Weber fornisce le definizioni di: 1. Classe Weber individua una più ampia varietà di fattori economici rilevanti per la formazione delle classi. Secondo Weber, i fattori economici che determinano la divisione delle classi non sono soltanto il controllo o la mancanza di controllo dei mezzi di produzione, ma anche altri che non hanno direttamente a che fare con la proprietà. Weber ritiene che sia questa posizione di mercato a influenzare n maniera determinante le opportunità che si offrono a un individuo. 2. Status Nella teoria weberiana, lo status si fonda su differenze sociali relative all’onere o al prestigio. Secondo Weber, lo status viene riconosciuto attraverso lo stile di vita: diversi contrassegni e simboli di status contribuiscono a costruire la reputazione sociale di un individuo agli occhi degli altri. Le persone che godono dello stesso status formano un gruppo con un senso di identità condiviso. Per Weber, lo status varia spesso indipendentemente dalla classe, anche se la ricchezza tende in genere a conferire uno status elevato (ci sono comunque delle eccezioni). 3. Partito Nelle società moderne il partito è un fattore importante nella distribuzione del potere, e può influenzare la stratificazione indipendentemente dalla classe e dallo status. Il termine “partito” definisce un gruppo di individui che operano insieme in virtù di origini, obiettivi o interessi comuni. Status e partito incidono a loro volta sulla situazione economica di individui e gruppi, condizionando così le divisioni di classe. I partiti possono costituirsi sulla base di fattori che tagliano in modo trasversale le differenze di classe. La combinazione di elementi marxiani e weberiani Il sociologo americano Erik Olin Wright ha sviluppato una teoria che combina alcuni aspetti degli approcci di Marx e di Weber. Secondo Wright, nel sistema di produzione del capitalismo moderno vi sono tre dimensioni di controllo delle risorse economiche che ci consentono di identificare le principali classi sociali: Controllo degli investimenti Controllo dei mezzi fisici di produzione Controllo della forza lavoro Come affermava Marx, i membri della classe capitalistica detengono il controllo in tutte e tre queste dimensioni del sistema produttivo, mentre i membri della classe operaia ne sono privi sempre in tutte e tre. Tra queste due classi principali si collocano gruppi in cui la posizione risulta più ambigua (dirigenti, impiegati, liberi professionisti, tecnici...), definiti “colletti bianchi”. Essi si trovano in quelle che Wright chiama “collocazioni di classe contraddittorie”, dato che riescono ad PAGINA 40 influire su alcuni aspetti della produzione, ma non su altri. Wright chiama questa collocazione di classe “contraddittoria” perché coloro che la occupano non sono né capitalisti, Per differenziare la collocazione di classe all’interno di questo settore, Wright prende in considerazione due fattori: Il rapporto con l’autorità. Molti lavoratori intermedi intrattengono con l’autorità un rapporto privilegiato. Essi contribuiscono a controllare gli operai, ma nello stesso tempo rimangono sotto il controllo dei capitalisti: sono sia sfruttatori che sfruttati. Il possesso di specializzazioni. I colletti bianchi dotati di capacità molto richieste dal mercato sono in grado di esercitare una specifica forma di potere nel sistema capitalistico e possono chiedere compensi anche assai elevati. Né lavoratori manuali, bensì condividono alcuni caratteri di entrambi. Intersezionalità Nella seconda metà del XX secolo, la sociologia della disuguaglianza ha preso le distanze da un interesse pressoché esclusivo per la classe sociale, rivolgendo l’attenzione ad altre disuguaglianze. Per comprendere le società attuali occorre trovare il modo di collegare la classe alle altre disuguaglianze. Uno dei tentativi ha utilizzato il concetto di intersezionalità, ovvero il complesso intreccio di disuguaglianze sociali che dà forma alla vita quotidiana e complica quella che un tempo era l’analisi relativamente semplice delle classi. “L’intersezionalità postula il carattere costitutivo della razza, della classe, del genere, della sessualità, dell’abilità e dei diversi aspetti dell’identità”. La ricerca intersezionale pone però dei problemi: Anzitutto quello di individuare le categorie di “disuguaglianza” da studiare. Sovente lo si definisce il problema dell’eccetera, in quanto alcuni studiosi si limitano ad aggiungere “ecc.” alla classe, al genere e alla “razza” Un secondo problema è il peso relativo alle diverse categorie. Dovremmo presumere che siano tutte più o meno simili, oppure vi sono ragioni per supporre che la classe sociale abbia in qualche modo maggiore importanza delle altre, soprattutto in società che in fin dei conti rimangono capitalistiche Sono questioni tuttora aperte in una quantità peraltro crescente di ricerche intersezionali. LA MISURAZIONE DELLE CLASSI Il concetto di “classe” non è univocamente definito e quando un concetto astratto come questo viene trasformato in una variabile suscettibile di misurazione, si dice che è stato “operazionalizzato”, ovvero che è stato definito in maniera sufficientemente chiara e concreta da consentirne la verifica attraverso la ricerca empirica. I sociologi hanno operazionalizzato la classe secondo una varietà di modelli finalizzati a una mappatura della stratificazione sociale. La maggior parte di questi modelli viene ricavata dalla struttura occupazionale. Per molti sociologi PAGINA 41 La creazione del welfare state ha prodotto un incremento notevolissimo di figure professionali nei settori dell’assistenza sociale, dell’istruzione e della sanità Lo sviluppo economico e industriale ha creato una domanda crescente di esperti in campo come il diritto, la finanza, la contabilità, la tecnologia, l’informatica La classe operaia in mutamento Marx credeva che la classe operaia sarebbe divenuta sempre più numerosa, ma in realtà è accaduto il contrario. La crescente prosperità dei lavoratori manuali li eleva alla classe media? Questa idea viene espressa con il termine imborghesimento, che indica il processo attraverso il quale si diventa “borghesi” per effetto del maggior benessere. Quando la tesi dell’imborghesimento fu formulata per la prima volta, i suoi sostenitori affermarono che molti operai con redditi da classe media ne avrebbero adottato anche i valori, la mentalità e gli stili di vita. Nel decennio successivo, Goldthorpe e altri ricercatori condussero su questa tesi un famoso studio, e se la tesi era vera allora gli operai doveva essere praticamente indistinguibili dagli impiegati in termini di atteggiamenti verso il lavoro, il modo di vivere e la politica. Dalla ricerca risultò che molti operai avevano effettivamente raggiunto uno standard di vita paragonabile a quello della classe media (in termini di reddito e livelli di consumo), ma che questa relativa agiatezza era stata conseguita attraverso posizioni caratterizzate da scarse possibilità di promozione e bassa soddisfazione nel lavoro. Gli operai in questione lo concepivano come un mezzo per raggiungere una buona retribuzione, ma il lavoro era ripetitivo e poco interessante, quindi c’era poco attaccamento. Quegli operai non frequentavano membri del ceto impiegatizio nel tempo libero e non aspiravano alla promozione sociale. Gran parte della loro vita di relazione si svolgeva a casa con i familiari, i parenti più stretti o vicini di casa anch’essi operai. Non c’erano elementi per ritenere che gli operai si stessero orientando verso valori e modelli di comportamento tipici della classe media. Si registrava una correlazione negativa tra livello di benessere e consensi per il Partito conservatore, laddove i sostenitori della tesi dell’imborghesimento prevedevano invece che il miglioramento della situazione economica degli operai avrebbe indebolito la loro tradizionale vicinanza al Partito laburista. Esiste un sotto proletariato? I membri del sottoproletariato hanno un tenore di vita nettamente più basso della maggioranza della popolazione; Molti appartengono alla schiera dei disoccupati di lungo periodo, o lavorano saltuariamente; Alcuni sono senzatetto o non hanno un luogo dove vivere stabilmente; Possono dipendere a lungo dai sussidi dello stato sociale Spesso li si descrive come “emarginati” o “esclusi” PAGINA 44 Il sottoproletariato spesso è costituito da minoranze etniche sottoprivilegiate. Il termine controverso di “sottoproletariato” è al centro di un acceso dibattito sociologico fin dalla fine degli anni Ottanta. Molti studiosi sono cauti nell’impiegarlo, poiché veicola significati connotati politicamente e negativamente. Molti ricercatori europei preferiscono il concetto di esclusione sociale, che ha un significato più ampio e ha il vantaggio di evidenziare dei processi sociali, cioè i meccanismi di esclusione. Charles Murray sosteneva che negli Stati Uniti gli afroamericani si collocano in fondo alla scala sociale a causa delle conseguenze impreviste di politiche assistenziali che al contrario avrebbero dovuto migliorare la loro situazione. Questa posizione è vicina alla tesi della cultura della povertà, secondo cui le persone dipendenti dall’assistenza sono poco stimolate a trovare un lavoro, a costruire solide reti sociali, ad avere unioni matrimoniali stabili. Il risultato è una cultura della dipendenza che si trasmette di generazione in generazione. Classi e stili di vita Il sociologo francese Pierre Bourdieu sosteneva che le scelte di vita sono un importante indicatore della posizione di classe. A suo modo di vedere il capitale economico è importante, ma consente solo una comprensione parziale della classe sociale così come viene vissuta. Egli identifica quattro forme di “capitale” tali da definire la posizione di classe, una sola delle quali è di tipo economico: Sempre più spesso le persone distinguono se stesse dagli altri sulla base del capitale culturale, che comprende l’istruzione, la sensibilità artistica, l’impiego del tempo libero... Questo fenomeno è assecondato dalla proliferazione dei “mercanti dei bisogni”, persone il cui lavoro consiste nell’offrire beni e servizi, reali o simbolici, destinati al consumo (pubblicitari, specialisti di marketing, stilisti...) Il capitale sociale riguarda le risorse che gli individui e gruppi acquisiscono attraverso le reti di relazioni con amici, conoscenti e altri contatti. Dal momento della sua introduzione il concetto di “capitale sociale” è divenuto importante e produttivo nella sociologia contemporanea. Altro importante indicatore della classe sociale è il capitale simbolico, che comprende il possesso di una “buona reputazione”. Questo concetto è simile a quello di “status sociale”, essendo basato sul giudizio che gli altri hanno di noi. Tutti i tipi di capitale sono tra loro correlati, e possederne uno può aiutare a conseguire gli altri. Sarebbe difficile contestare che la stratificazione dipende ormai non solo dalle differenze occupazionali, ma anche da differenze in fatto di consumi e stili di vita, e ciò è avvalorato dalle tendenze generali osservabili nella società. Genere e stratificazione Gli studi sulla stratificazione sono stati per molti anni insensibili al problema del genere, come se le donne non esistessero o non avessero importanza. Il genere, in realtà, rappresenta uno dei più significativi fattori di stratificazione. PAGINA 45 Storicamente le disuguaglianze di genere precedono di molto le divisioni di classe, ma nelle società moderne le divisioni di classe sono così marcate che tendono a prevalere sulle disuguaglianze di genere, per cui la posizione materiale delle donne riflette quella dei rispettivi padri o mariti. Goldthorpe sostiene che non si tratta di un approccio sessista. Esso riconosce che la maggior parte delle donne si trova in una posizione subordinata nel mercato del lavoro, infatti svolgono lavori temporanei e a tempo parziale più spesso degli uomini, essendo impegnate per lunghi periodi nella maternità e nella cura di figli o parenti. La tesi di Goldthorpe è stata criticata: In primo luogo, per una consistente percentuale di famiglie il reddito delle donne risulta essenziale per mantenere la posizione economica e lo stile di vita della famiglia, dunque ne determina in via complementare la posizione di classe e non può essere trascurato In secondo luogo, può accadere che l’occupazione della moglie definisca in via principale la posizione di classe della famiglia In terzo luogo, nelle famiglie caratterizzate da una doppia appartenenza di classe, può essere più realistico trattare l’uno e l’altra come collocati in differenti posizioni di classe Infine, la percentuale di famiglie in cui le donne sono l’unica fonte di reddito è in aumento, e in questi casi la donna determina per definizione la posizione di classe della famiglia Il massiccio ingresso delle donne nel mondo del lavoro retribuito ha avuto un impatto rilevante sul reddito familiare. Questo impatto non è stato uniforme e una delle sue conseguenze potrebbe essere un’accentuazione delle divisioni di classe tra famiglie. Sono sempre più numerose le donne che conquistano posizioni professionali e manageriali ad elevata retribuzione, e ciò contribuisce a una polarizzazione tra famiglie ad alto reddito e famiglie in cui entra un solo stipendio o nessuno. LA MOBILITA SOCIALE La nozione di “mobilità sociale” si riferisce ai movimenti di individui e gruppi tra diverse posizioni socioeconomiche. Per mobilità verticale si intende il movimento verso l’alto o verso il basso nella scala delle posizioni socioeconomiche: la mobilità ascendente si ha nel caso di chi guadagna in ricchezza, in reddito o in status; la mobilità discendente nel caso di chi si muove nella direzione opposta. Invece per mobilità orizzontale si intende il movimento geografico attraverso quartieri, città, regioni e paesi. Ci sono due modi di studiare la mobilità sociale. La mobilità intragenerazionale è data dal cambiamento di posizione socioeconomica di un singolo individuo all’interno dell’arco della vita, indicato in genere dalla sua carriera lavorativa La mobilità intergenerazionale è data dal cambiamento di posizione socioeconomica rispetto alla generazione precedente, indicato in genere dallo scostamento della condizione occupazionale dei figli in rapporto a quella del padre Gli studi sulla mobilità PAGINA 46 Nonostante oggi queste teorie appaiano inverosimili, hanno esercitato la propria influenza tanto da essere il principio fondamentale di diverse forme espressive, quali il regime nazista di Adolf Hitler e il Ku Klux Klan negli Stati Uniti. Anche per molti biologi non esistono razze ben definite, ma solo una gamma di variazioni tra gruppi umani, le cui differenze fisiche derivano dagli incroci tra popolazioni, a seconda del grado di contatto tra società o culture diverse. Dal punto di vista sociologico la razza va intesa come un prodotto di relazioni sociali, attraverso cui individui e gruppi vengono classificati assegnando loro attributi o competenze sulla base di caratteristiche biologiche. Il processo in base al quale il concetto di razza viene usato per classificare individui o gruppi è detto razzializzazione. Etnie L’etnia si riferisce ai tratti culturali che contraddistinguono una determinata comunità di persone, si tratta cioè di un tipo di identità sociale correlato a differenze culturali che diventano effettive o attive in determinati contesti sociali. I fattori più consueti che permettono di distinguere un’etnia sono: la lingua, la storia, la stirpe (reale o immaginata), la religione, le usanze, l’alimentazione, l’abbigliamento, gli ornamenti. Le differenze etniche sono completamente apprese, e proprio per questo non c’è alcunché di innato nell’etnia. L’etnia può garantire un’importante continuità con passato e spesso è mantenuta in vita attraverso le tradizioni culturali, ma non si tratta comunque di qualcosa di statico e immutabile. L’uso collettivo di etichette etniche comporta il rischio di produrre divisioni tra “noi” e “loro”, per cui certi gruppi sociali sono ritenuti etnici e altri no. In realtà l’etnia è un attributo di tutti gli individui che compongono una popolazione. Minoranze etniche Nonostante l’etnia sia un fattore collettivo, molto spesso viene associate alle minoranze. Dal punto di vista sociologico le minoranze etniche sono gruppi svantaggiati rispetto al gruppo dominante che condividono un senso di solidarietà e di appartenenza comune, poiché essere oggetto di pregiudizio e di discriminazione in genere accresce i sentimenti di lealtà e di interesse condiviso. Il termine “minoranza” è inteso non tanto per indicare la consistenza numerica del gruppo, quanto piuttosto la sua posizione subordinata, ovvero svantaggiata, all’interno della società. Pregiudizio e discriminazione I pregiudizi sono opinioni e atteggiamenti preconcetti dei membri di un dato gruppo verso gli appartenenti a un altro gruppo. Sono spesso dettati dal “sentito dire” piuttosto che dall’esperienza diretta e resistono al cambiamento anche di fronte a nuovi elementi di informazione. Le persone hanno solitamente: pregiudizi positivi nei confronti dei gruppi con i quali si identificano pregiudizi negativi nei confronti degli altri PAGINA 49 I pregiudizi si fondano spesso sugli stereotipi, caratterizzazioni rigide e tendenzialmente immutabili di un gruppo, per questo profondamente radicati e difficilmente estirpabili; sono spesso applicati a gruppi etnici minoritari. Essi possono: contenere un fondamento di verità derivare da un meccanismo psicologico di dislocamento, mediante il quale sentimenti di ostilità e di rabbia vengono diretti verso oggetti che non ne sono la fonte effettiva (meccanismo del capro espiatorio). Mentre il pregiudizio si riferisce ad atteggiamenti e opinioni, la discriminazione riguarda i comportamenti effettivi verso i membri di un determinato gruppo, che vengono escludi da opportunità riservate ad altri, come quando ad una persona di colore viene rifiutato un posto di lavoro disponibile invece per un bianco. Nonostante ciò discriminazione e pregiudizio possono verificarsi anche separatamente. CHE COS’È IL RAZZISMO? Il razzismo è la credenza che alcuni individui o gruppi siano superiori ad altri sulla base di differenze razializzate. Secondo molti studiosi il razzismo sarebbe incorporato nella struttura e nel modo di funzionare di una società, tanto da pervadere sistematicamente tutte le strutture sociali. Questa idea di razzismo istituzionale è stata formulata per la prima volta negli Stati Uniti verso la fine degli anni Sessanta, da sostenitori dei diritti civili. La fine della segregazione negli Stati Uniti e il crollo dell’Apartheid in Sud Africa sono stati momenti importanti del processo di emarginazione del razzismo biologico. Ciononostante queste forme di razzismo istituzionalizzato sono state rimpiazzate da un più sofisticati nuovo razzismo, o razzismo culturale, che sfrutta il concetto di “diversità culturale” per discriminare certi gruppi. Teorie sociologiche del razzismo Per comprendere la persistenza del razzismo i sociologi sono ricorsi a tre differenti concetti: etnocentrismo: diffidenza verso i membri di altre culture, intesi come alieni, barbari, intellettualmente e moralmente inferiori, combinata con la tendenza a giudicare quelle culture con i parametri della propria; chiusura di gruppo: tendenza a preservare i propri confini rispetto ad altri gruppi, attraverso meccanismo di esclusione, che rafforzano la divisione; allocazione differenziale delle risorse: distribuzione diseguale dei beni materiali, con conseguenti differenze di ricchezza, potere e prestigio sociale. INTEGRAZIONE, DIVERSITÀ E CONFLITTI ETNICI PAGINA 50 Molti paesi del mondo hanno oggi popolazioni multietniche, spesso in seguito a processi secolari. Ma come è possibile accettare le diversità etniche ed evitare lo scoppio di conflitti? Modelli di integrazione etnica I modelli di integrazione etnica adottati nelle società multiculturali sono: assimilazione: prevede l’abbandono di usi e costumi tradizionali da parte degli immigrati e la loro adesione ai valori e alle norme della maggioranza; crogiuolo(melting pot): si cerca di mescolare le tradizioni degli immigrati e quelle dominanti nella società che li accoglie, cercando di dare vita a nuove forme capaci di rielaborare modelli culturali esistenti. Abbiamo così una diversità inedita che si crea in seguito all’incontro; pluralismo culturale: le culture etniche sono completamente intitolate ad esperienze separate, pur partecipando alla vita economica e politica della società nel suo complesso: Un importante sviluppo recente del pluralismo è il multiculturalismo, che incoraggia i gruppi culturali o etnici a vivere in reciproca armonia. Insomma sembra possibile creare una società in cui diversi gruppi etnici rimangano distinti ma uguale. Secondo Parekh, un teorico del multiculturalismo, il pensiero multiculturale contiene tre “intuizioni”: gli individui sono profondamenti segnati, e plasmati, dalla loro cultura; ciascuna cultura ha bisogno di contatti con altre culture, che incoraggino la riflessione critica e l’ampliamente degli orizzonti; le culture sono monolitiche ma intimamente pluralistiche, con dibattiti continui tra differenti tradizioni. Secondo Parekh, infatti, il compito cruciale per le società multiculturali è “la necessità di trovare modi per conciliare le legittime esigenze di unità e diversità”. Sen, invece, contesta gli approcci “solitaristi” alla comprensione delle identità umane. Il solitarismo presume infatti che sia possibile comprendere le persone collocandole in un definito “gruppo identitario”; per Sen questo atteggiamento non fa altro che generare forti incomprensioni, e presumere che le persone abbiano un’unica e originaria identità che domina su tutte le altre non fa altro che alimentare sfiducia e violenza. Quello che dobbiamo fare è invece accettare il fatto che nel mondo, e nelle singole società, vi siano molte culture diverse e impedire che una abbia la supremazia sulle altre. Ciò implica che tutti i gruppi sociali siano libri di seguire le norme che preferiscono. L’alternativa a questa posizione è il razzismo raffinato, che sottolinea l’importanza dell’identità e delle leggi nazionali, ma al contempo promuove i collegamenti tra differenti gruppi sociali ed etnici. I conflitti etnici Dunque, la diversità etnica può costituire: da un lato un’enorme ricchezza, rende la società vitale e dinamica dall’altro una grande fragilità sociale, soprattutto in presenza di disordini interni o di minacce esterne. PAGINA 51 o a causa di circostanze traumatiche. I figli della diaspora sono per definizione geograficamente dispersi ma restano uniti da fattori quali la storia comune, la memoria collettiva e un’identità etnica amata e preservata. Choen (1997) ha individuato cinque diverse categorie di diaspore: diaspore di vittime (africani, ebrei, armeni), cioè popolazioni che subiscono un esilio forzato e sperano di tornare alla loro terra natale diaspore di lavoratori (britannici) diaspore di commercianti (indiani), che riguardano ragioni economiche non traumatiche diaspore imperiali (cinesi), che derivano dall’espansione imperiale in nuove terre diaspore culturali (caraibici), che riguardano un’emigrazione permanente nutrita di letteratura, idee politiche, convinzioni religiose, musica e stili di vita. Nonostante questa molteplicità di forme le diaspore sono accomunate da alcuni fattori comuni: il trasferimento, volontario o forzato, in una nuova terra il ricordo comune della patria di origine e la speranza di tornarvi un giorno un senso di identità etnica forte un senso di solidarietà verso i membri del medesimo gruppo etnico che vivono nella nuova terra una certa tensione nei confronti delle società ospiti la capacità di apporta un contributo creativo al pluralismo delle società ospitanti. CAPITOLO 9 - RELIGIONE LO STUDIO SOCIOLOGICO DELLA RELIGIONE Che cos’è la religione Le religioni sono solitamente definite dalla fede in una o più divinità e, talvolta, dalla vita ultraterrena; prevedono inoltre la celebrazione di riti in luoghi appositi come chiese, sinagoghe o moschee, e pratiche religiose come pregare e mangiare, o non mangiare, determinati alimenti. Tuttavia i sociologi della religione che cercano di delimitare il loro campo di studi hanno incontrato straordinarie difficoltà nel pervenire a un consenso generale. Secondo Aldridge “non c’è e non potrà mai esserci una definizione di religione universalmente accettata”, ma perché no? Perché la sociologia contiene una pluralità di prospettive teoriche generali che divergono nel definire la realtà sociale e che concepiscono diversamente il modo in cui essa può e deve essere studiata. In termini generali, le definizioni sociologiche della religione possono essere suddivise in tre categorie: Le definizioni inclusive hanno un orientamento tendenzialmente funzionalista, poiché considerano la religione un elemento centrale della vita umana, dunque funzionalmente necessario alla società. Il problema principale delle definizioni inclusive è che tendono ad includere troppo: poiché tutti gli esseri umani PAGINA 54 affrontano i “problemi ultimi” della morte e della ricerca di significato, devono essere tutti in qualche modo “religiosi”. I critici di tale approccio ritengono che in questo modo la religione finisca per abbracciare ogni cosa, rendendo impossibile rispondere a domande fondamentali circa la sua maggiore o minore diffusione. Le definizioni esclusive respingono il funzionalismo di quelle inclusive, cercano piuttosto di definire le religioni con riferimento alla sostanza delle loro credenze. Queste definizioni si fondano sull’idea che tutte le religioni propongano una distinzione tra la realtà “empirica” e una realtà “sovra-empirica”. Tutto ciò ha il vantaggio di delimitare quello che deve intendersi come religione e di permettere ai sociologi di affrontare nelle loro ricerche empiriche il fenomeno della secolarizzazione. Infine ci sono le ricerche sociocostruzioniste, e per molti sociologi utilizzare questo allo studio della religione è un punto di partenza più adeguato rispetto agli altri due. Il costruzionismo ritiene più produttivo approfondire tutte quelle situazioni in cui le persone fanno riferimento alla “religione” o al “significato religioso” e si attengono a pratiche autodefinite “religiose”. È sufficiente studiare come la religione viene usata dagli individui, gruppi e organizzazioni, e come tali usi si modificano, si diffondono o declinano. Uno dei problemi connessi con queste definizioni è che non tracciano chiaramente una linea di demarcazione tra fenomeni religiosi e non religiosi, accettando come legittimo oggetto di studio tutto quello che le persone considerano “religioso”. A detta dei socio-costruzionisti, questa scarsa chiarezza nelle definizioni non indebolisce la ricerca sociologica. I sociologi e la religione Quando studiano la religione i sociologi lo fanno come professionisti di una disciplina e non come credenti o non credenti. Ciò significa che, in quanto sociologi, non ci interessa stabilire se determinate credenze religiose sono vere o false. Nella pratica, i sociologi si sono interessati soprattutto alle organizzazioni religiose, che sono tra le più importanti nella società. Nel cristianesimo e nell’ebraismo, la religione viene praticata all’interno di organizzazioni formale insidiate in chiese e sinagoghe, ma questo non è necessariamente vero nelle religioni come l’induismo e il buddismo, dove si può praticare la religione in casa o in altri contesti informali. I sociologi hanno spesso giudicato le religioni come fonti importanti di solidarietà sociale. Credenze religiose, riti e pratiche collettive contribuiscono a creare una “comunità morale” in cui ciascun membro sa come comportarsi con gli altri. La religione ha anche alimentato i conflitti sociali distruttivi, come quelli tra sikh, indù e musulmani in India, o tra musulmani e bosniaci in Bosnia. Stabilire se la religione produca armonia o conflitto è, per i sociologi contemporanei, una questione storica ed empirica. LO STUDIO SOCIOLOGICO DELLA RELIGIONE NELLA SOCIOLOGIA CLASSICA PAGINA 55 Marx:religione e disugualianza Marx non condusse mai uno studio specifico sulla religione, ma le sue idee derivavano prevalentemente dagli scritti di alcuni filosofi e teologi del primo Ottocento. Secondo Feuerbach, la religione consiste in idee e valori prodotti dagli esseri umani nel corso del loro sviluppo culturale, ma erroneamente proiettati su forze o personificazioni divine. Siccome gli uomini non comprendono pienamente la propria storia, tendono ad attribuire valori e norme di origine sociale all’attività di esseri soprannaturali o dello “spirito”. Finché non comprendiamo la natura dei simboli religiosi che noi stessi abbiamo creato, sostiene Feuerbach, saremo condannati a restare prigionieri di forze storiche che non riusciamo a controllare. Feuerbach usa il termine alienazione per designare la nascita di forze o di personificazioni divine distinte dagli esseri umani. Marx accetta l’idea che la religione rappresenti l’autoalienazione umana. Si crede spesso che egli rifiuti la religione, ma non è affatto vero. Marx dichiarò che la religione “è l’oppio dei popoli”: infatti religioni come il cristianesimo rimandano felicità e ricompense alla vita ultraterrena, insegnando la rassegnata accettazione delle condizioni date nell’esistenza presente. In questo modo, l’attenzione viene così distolta dalle disuguaglianze e dalle ingiustizie di questo modo grazie alla promessa di ciò che accadrà in quello a venire. La religione contiene un forte elemento ideologico: le credenze e i valori religiosi offrono spesso una giustificazione alle disparità di ricchezza e di potere. Durkheim: funzionalismo e rito Durkheim impegnò buona parte della propria carriera intellettuale nello studio alla religione. Durkheim non collega in via primaria la religione con le disuguaglianze sociali, ma con il carattere complessivo delle istituzioni di una società. Egli basa il suo lavoro su uno studio del totemismo praticato nelle società aborigene australiane, e sostiene che esso rappresenta la religione nella sua forma più “elementare” o semplice. Perché un totem è sacro? Secondo Durkheim perché è il simbolo del gruppo stesso: esso rappresenta i valori fondamentali della comunità. La reverenza che gli individui provano di fronte al totem deriva in effetti dal rispetto che essi riservano ai valori sociali fondamentali. Nella religione l’oggetto del culto è in realtà la società stessa. Durkheim sottolinea con forza il fatto che le religioni non sono mai soltanto una questione di fede. Tutte le religioni prevedono attività rituali regolari e in queste attività viene affermato e rafforzato il senso della solidarietà di gruppo in quella che Durkheim chiama effervescenza collettiva, ovvero la sferzata energia generata da adunate e cerimonie collettive. Esse strappano gli individui alle preoccupazioni della vita profana e li trasportano in una sfera più elevata, nella quale si sentono in contatto con forze superiori. Secondo Durkheim, riti e cerimonie sono essenziali per stabilire e rinsaldare il legame tra i membri di un gruppo. Ritiene che le cerimonie collettive riaffermino la solidarietà di gruppo nei momenti in cui gli individui si trovano ad affrontare esperienze critiche di cambiamento. Nelle società tradizionali, per Durkheim, quasi tutti gli aspetti della vita sono permeati dalla religione. Le cerimonie religiose possono sia riaffermare i valori esistenti, sia produrre nuove categorie di “pensiero”. In queste società, la religione non è PAGINA 56 povertà. È indubbio che oggi le credenze religiose hanno una presa minore di quella che generalmente avevano in passato, in particolare se nella definizione “religione” comprendiamo l’intera gamma dei fenomeni soprannaturali e magici in cui allora di credeva. Oltre la secolarizzazione? L’AVVENTO DELLE NEO TRIBÙ Il sociologo francese Michel Maffesoli suggerisce una lettura alternativa della secolarizzazione, sostenendo che nelle grandi aree urbane il nostro sia sempre più “il tempo delle tribù”. Maffesoli si esprime contro le teorie sociologiche che insistono su una crescente individualizzazione, il processo mediante il quale le persone si identificano sempre meno con gli organismi collettivi e anzi si staccano da strutture sociali (sindacati, le classi sociali e persino le famiglie): la scelta personale diventa un valore chiave e diventa importante distinguersi, con per esempio capi di abbigliamento, musica, pezzi d’arredamento... attraverso i quali le persone cercano di costruire una propria individualità. Maffesoli contesta anche le precedenti teorie della società di massa, e sostiene che le società moderne sono caratterizzate dalla rapida crescita di piccoli raggruppamenti di persone legate dalla condivisione di gusti musicali, opinioni, preferenze di consumo... Maffesoli chiama questi gruppi “neotribù”: somigliano a gruppi tribali tradizionali in quanto possiedono un’identità condivisa, ma ne differiscono perché non furano altrettanto a lungo. L’adesione delle persone alle neotribù è solitamente debole ed effimera, e questo le rende entità sociali molto fluide e fragili. La tesi di Maffesoli è che la continua creazione di neotribù dimostra quanto siano forti nell’umanità il bisogno e la ricerca di profondi contatti e interazioni sociali. Questa fondamentale ricerca di rapporti sociali è una ricerca religiosa. Secondo lui il dibattito sulla secolarizzazione è inutile perché riguarda le vecchie religioni, ed ha subito un’inutile polarizzazione. LA RELIGIONE VISSUTA Alcuni recenti studi empirici sulle pratiche religiose individuali dimostrano che la sociologia può aver in larga parte ignorato la miscela creativa di elementi “religiosi” e “secolari” in individui che cercano di dare un senso al loro ruolo nel mondo. Lo dimostra l’indagine di Robert Bellah e colleghi sulla religione uniforme e pubblica verso forme di religiosità eterogenee e private. Gli autori dello studio osservano che in base alle espressioni di fede individuale potrebbero esistere “220 milioni di religioni in America”, ma questa situazione così radicalmente privatizzata non contribuisce in alcun modo la solidarietà sociale, né rafforza la sfera pubblica. Il pericolo è che si generino forme molto astratte e superficiali di vita religiosa. Le religioni sono, o dovrebbero essere, uniformi e organizzate, e dovrebbero incarnare un insieme coerente di credenze e rituali. Secondo Maguire questa è un’immagine occidentale delle religioni, che impedisce ai sociologi di comprendere adeguatamente il mosaico apparentemente casuale di credenze e pratiche che caratterizza molte esistenze individuali. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE SULLA TESI DELLA SECOLARIZZAZIONE PAGINA 59 La religione delle chiese tradizionali appare in declino nella maggioranza dei paesi occidentale e la sua influenza in questi paesi è diminuita in tutte e tre le dimensioni della secolarizzazione. Tuttavia, individui e gruppi continuano a praticare la “religione”. Il ruolo attuale della religione nei paesi occidentali è molto più complesso di quanto prospettato nella tesi della secolarizzazione. La religiosità e la spiritualità rimangono comunque importanti fattori di motivazione nella vita di molte persone: le persone continuano a credere in Dio o in una forza superiore, ma praticano e coltivano la propria fede al di fuori delle forme religiose istituzionalizzate. Nel mondo contemporaneo la religione deve essere collocata in un contesto caratterizzato dalla globalizzazione, dall’instabilità e da una crescente diversità. Non sorprende che, in tempi di rapidi cambiamenti, molti cerchino e trovino risposte nella religione. RELIGIONI MONDIALI E ORGANIZZAZIONI RELIGIOSE Giudaismo, cristianesimo e islam Le tre religioni monoteistiche più influenti nel mondo sono tre, ebbero tutte origine in Medio Oriente e ciascuna di essa ha influenzato le altre due Il giudaismo è la più antica di queste tre religioni: i primi ebrei erano nomadi e i loro profeti trassero in parte le proprie idee dalle credenze esistenti nella religione medio-orientale, ma si differenziarono da esse per la fede in un unico Dio onnipotente. Il giudaismo presentava anche altri importanti elementi di novità rispetto alle religioni precedenti: la convinzione che Dio richiedesse l’obbedienza a rigidi codici morali e la certezza nel monopolio della verità Molti elementi del giudaismo furono ripresi e incorporati dal cristianesimo. Gesù era un ebreo ortodosso e il cristianesimo ebbe origine come filiazione del giudaismo. All’inizio i cristiani furono ferocemente perseguitati, ma alla fine l’imperatore Costantino adottò il cristianesimo come religione ufficiale dell’impero romano Le origini dell’islam, oggi la seconda religione mondiale, si sovrappongono a quelle del cristianesimo, e nasce dagli insegnamenti del profeta Maometto. A un unico Dio, Allah, è attribuito il dominio su tutta la vita umana e naturale. I “pilastri” dell’islam sono i cinque precetti religiosi fondamentali per i musulmani: La ripetizione del credo islamico La recitazione di cinque volta al giorno delle preghiere prescritte L’elargizione di elemosine L’osservanza del Ramadan Il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita Le religioni dell’estremo oriente La più antica delle grandi religioni è l’induismo, una religione politeistica. La maggior parte degli induisti accetta la dottrina della reincarnazione, cioè la convinzione che tutti gli esseri viventi siano parte di un eterno processo di nascita, morte e rinascita. Un altro aspetto fondamentale dell’induismo è costituito dal sistema di caste, fondato sulla credenza che gli individui nascano in una particolare posizione all’interno di una gerarchia definita in termini sociali e rituali, posizione che riflette la loro condotta nelle precedenti incarnazioni. PAGINA 60 Alcune tradizioni religiose orientali sono definite religioni etiche perché sono prive di dei e aspirano piuttosto a ideali morali che pongono l’individuo in relazione con l’armonia e l’unità naturale dell’universo. Il buddismo deriva dagli insegnamenti del Buddha, principe indù, il quale sostiene che gli esseri umani possono sfuggire al ciclo delle reincarnazioni attraverso la rinuncia al desiderio. Il cammino verso la salvezza consiste in una vita di autodisciplina e meditazione, sottratta al travaglio dell’esistenza mondana. L’obiettivo finale del buddismo è il raggiungimento del nirvana, il completo appagamento spirituale Il confucianesimo fu la base culturale dei gruppi sociali dominanti nell’antica Cina. Confucio non viene visto dai suoi seguaci come un dio, ma come “il più saggio tra i saggi”. Il confucianesimo cerca di accordare la vita umana all’armonia interna della natura, enfatizzando la venerazione degli antenati Fondato da Lao-Tze, il taoismo individua nella meditazione e della non violenza i mezzi per attingere alla vita superiore Le organizzazioni religiose I sociologi della religione sono spesso stati tentati di considerare tutte le religioni del mondo attraverso concetti e teorie sviluppate dall’analisi dell’esperienza religiosa europea. CHIESE E SETTE Tutte le religioni si fondano su una comunità di credenti, ma esistono molti modi diversi di organizzare questa comunità. Un modello di classificazione delle organizzazioni religiose fu introdotto inizialmente da Weber e Ernst Troeltsch, i quali facevano una distinzione Una chiesa è un’associazione religiosa di grandi dimensioni e ben organizzata. o Le chiese hanno di norma una struttura formale e burocratica, incentrata su una gerarchia di funzionari religiosi, e tendono a impersonare l’aspetto conservatore. o La maggior parte dei fedeli di una chiesa vi appartiene fin dalla nascita, per trasmissione familiare Una setta è un’associazione religiosa di piccole dimensioni e scarsamente organizzata, che di solito sorge in polemica con una chiesa. o Le sette mirano a scoprire e seguire la “vera via”, e tendono a ritirarsi dalla società esterna e a chiudersi in comunità autonome, e i loro membri giudicano corrotte le chiese ufficiali o La maggior parte delle sette è priva o quasi di gerarchia, poiché tutti gli affiliati sono considerati “uguali” o Riguardo alla modalità di affiliazione, la quota di coloro che sono membri di una setta sin dalla nascita è modesta, mentre la maggioranza vi aderisce attivamente per scelta personale PAGINA 61 La religione negli Stati Uniti Rispetto ai cittadini degli altri paesi industriali sviluppati, gli americani sono insolitamente religiosi. Secondo i sondaggi, circa tre americani su cinque affermano che la religione è “molto importante” nella loro vita. La cosiddetta “generazione del millennio” appare meno legata a una fede specifica e più aperta negli atteggiamenti verso l’omosessualità, il controllo delle nascite e dell’aborto. D’altra parte si registra anche un rafforzamento delle chiese protestanti conservatrici come i pentecostali e i battisti del sud. Si è inoltre registrata una crescita notevolissima dell’evangelismo, cioè della fede nella “rinascita” spirituale dopo la conversione. L’evangelismo può essere visto in parte come una risposta al secolarismo, al pluralismo religioso e in generale al declino dei valori. Nel dibattito sulla secolarizzazione, gli Stati Uniti rappresentano un’importante eccezione all’idea che la religione stia complessivamente indietreggiando nelle società sviluppate. Da un lato essi sono uno dei paesi più “modernizzati”, dall’altro sono caratterizzati da livelli tra i più elevati al mondo in fatto di religiosità e di frequentazione dei riti religiosi. Cristianesimo, genere e sessualità All’interno delle organizzazioni religiose le donne sono prevalentemente escluse dal potere. Secondo Elizabeth Cady Stanton, Dio ha creato la donna e l’uomo come esseri di uguale valore e la Bibbia dovrebbe esprimere senza riserve questa verità. Il carattere “maschilista” della Bibbia non riflette l’autentico punto di vista di Dio, ma il fatto che essa fu scritta da uomini. La Chiesa cattolica si è mostrata assai più conservatrice nel suo atteggiamento verso le donne e continua a sostenere formalmente le disuguaglianze di genere. Inoltre è tutt’ora federe alla posizione secondo cui gli uomini affetti dalla “perversa inclinazione” all’omosessualità devono essere esclusi dai voti religiosi e dall’ordinazione. I fondamentalisti Un altro indicatore del fatto che la secolarizzazione non ha trionfato nel mondo moderno è la forza del fondamentalismo religioso, che è un atteggiamento mirante a imporre un’interpretazione letterale dei testi fondamentai di una religione e una loro applicazione a ogni aspetto della vita sociale, economica e politica. I sostenitori ritengono che sia possibile una sola visione del mondo: non c’è spazio per ambiguità o per una pluralità di interpretazioni. L’accesso al vero significato delle scritture è riservato a un gruppo di “interpreti” privilegiati, e ciò conferisce loro una grande autorità. Il fondamentalismo religioso è un fenomeno relativamente nuovo, sorto in gran parte come risposta alla globalizzazione. Da un lato abbiamo le forze della modernizzazione che minano progressivamente le basi del mondo sociale tradizionale; dall’altro un fondamentalismo che si erge a loro difesa. IL FONDAMENTALISMO ISLAMICO Soltanto Weber avrebbe potuto ipotizzare che un sistema religioso tradizionale come quello islamico potesse conoscere un’intesa rinascita a diventare la base di importanti sviluppi politici. L’islam è una religione che ha continuamente PAGINA 64 stimolato l’attivismo. La lotta si svolge sia contro i miscredenti, sia contro coloro che portano la corruzione nella comunità musulmana. Nel corso dei secoli si sono succedute diverse generazioni di riformatori musulmani e l’islam è diviso al proprio interno come il cristianesimo. Lo sciismo è una confessione distaccatasi dal corpo principale dell’islam ortodosso già agli inizi della sua storia, è all’origine delle idee che hanno ispirato la rivoluzione khomeinista. Gli sciiti fanno risalire le proprie origini all’imam Alì, e i discendenti sono considerati legittimi capi dell’islam: loro credevano che il legittimo erede di Maometto avrebbe alla fine imposto la propria sovranità, cancellando le tirannie e le ingiustizie dei regimi esistenti. L’ISLAM E L’OCCIDENTE Il Medioevo fu attraversato da una lotta più o meno continua tra l’Europa cristiana e i musulmani. Verso la fine del XIX secolo, l’incapacità del mondo musulmano di resistere efficacemente all’espansione occidentale portò a movimenti di riforma che cercavano di ricondurre l’islam alla purezza e alla forza originarie. Al centro di questi movimenti era l’idea che l’islam dovesse rispondere alla sfida occidentale affermando l’identità delle sue credenze e delle sue pratiche. Questo progetto è stato sviluppato in vari modi e ha fatto da sfondo alla “rivoluzione islamica” iraniana. Non tutti erano legati al fondamentalismo islamico, ma la figura dominante della rivoluzione fu l’ayatollah Khomeini, che esprimeva un’interpretazione radicale delle idee sciite. Dopo la rivoluzione, Khomeini promosse la costruzione di uno stato fondato sulla legge islamica tradizionale e la religione divenne il fondamento diretto di tutta la vita politica ed economica. Secondo la legge, la sharia: I due sessi sono tenuti rigorosamente separati Le donne sono obbligate a coprirsi il corpo e il capo in pubblico L’omosessualità e l’adulterio sono puniti con la morte Questo rigido codice è accompagnato da un punto di vista fortemente nazionalistico. Oggi esistono in Iran tre gruppi impegnati in una lotta reciproca: I radicali, vogliono portare avanti e intensificare la rivoluzione islamica, esportandola attivamente in altri paesi I conservatori, funzionari religiosi convinti che la rivoluzione abbia raggiunto il proprio scopo, dando loro una posizione di potere che intendono conservare I pragmatici, che si oppongono alla rigida subordinazione delle donne, della famiglia e del sistema giudico alla legge islamica, sono favorevoli a riforme di mercato e auspicano l’apertura dell’economia agli investimenti stranieri e al commercio con l’estero SCONTRO DI CIVILTÀ I governi dei paesi in cui gli sciiti sono in minoranza non si sono allineati alla rivoluzione islamica iraniana. Il politologo Samuel Huntington ha affermato che i conflitti tra Occidente e islam potrebbero trasformarsi in uno scontro di civiltà a PAGINA 65 livello mondiale. Gli stati-nazione hanno cessato di essere protagonisti principali delle relazioni internazionali. Rivalità e conflitti insorgono ora tra blocchi culturali o civiltà, che sono il fondamento delle entità e delle lealtà individuali. La religione è il fattore più importante di differenziazione e divisione tra le civiltà. IL FONDAMENTALISMO CRISTIANO La crescita delle organizzazioni fondamentaliste di ispirazione cristiana è un fenomeno peculiare degli ultimi decenni. I fondamentalisti credono che la Bibbia sia la guida in tutti gli ambiti della vita sociale, dalla famiglia alle attività economiche e alla politica. Essi considerano la Bibbia “infallibile”, i suoi contenuti espressioni della Verità divina. Il fondamentalismo cristiano si erge contro la “crisi mondiale” prodotta dalla modernizzazione: il declino della famiglia tradizionale, il crollo della moralità individuale, l’indebolimento del rapporto tra uomo e Dio. Secondo Falwell sono cinque le questioni decisive: Aborto Omosessualità Pornografia Umanesimo Disgregazione della famiglia CAPITOLO 10 – MASS MEDIA Nel nostro secolo le tecnologie della comunicazione rendono possibile la condivisione istantanea delle informazioni in quasi tutto il mondo. La comunicazione infatti, ovvero il trasferimento delle informazioni tra individui o gruppi sia attraverso la parola sia attraverso i mass media, è cruciale per qualsiasi società. Secondo il teorico dei media canadese Marshall McLuhan le forme di comunicazione hanno effetti molto diversi sulla società. La sua formula “il mezzo è il messaggio” significa che per lui la natura dei media influenza la società molto più dei messaggi trasmessi. A questo proposito i mezzi elettronici stanno creando una sorta di villaggio globale, in cui persone di ogni parte del mondo assistono insieme ad avvenimenti che suscitano il loro interesse. Le diverse tecnologie di informazione (stampa, televisione e cinema) oggi sono strettamente intrecciate grazie a un fenomeno chiamato convergenza dei media, che indica il processo attraverso cui tecnologie di comunicazione un tempo distinte vanno progressivamente fondendosi. PAGINA 66 persone si limita ad accettarla come componente della vita sociale. Il televisore contribuisce a soddisfare le esigenze emotive e cognitive delle persone, aiutandole a elaborare le routine e le abitudini. Diversi teorici dei media hanno espresso forti critiche riguardo gli effetti di una dieta apparentemente sempre più nutrita di televisione: Postman afferma che la televisione è un mezzo di intrattenimento assai problematico perché incapace di veicolare qualsiasi contenuto serio, e quindi la sua funzione è quella di intrattenere il cittadino piuttosto che formarlo Putman invece sostiene che il netto declino degli obblighi e della fiducia reciproci negli Stati Uniti, il cosiddetto “capitale sociale”, corrisponde proprio all’avvento della televisione. Le abitudini televisive stanno però cambiando, soprattutto in virtù della diffusione tra i giovani dei servizi on-demand. Musica La musica è antica come le società umane e precede lo sviluppo delle forme complesse di linguaggio. Theodor Adorno (1962) sostiene che le forme musicali tendono a riflettere la società in cui vengono sviluppate. Ma se da un lato la musica può promuovere il conformismo dall’altro può anche incoraggiare un atteggiamento critico ed essere pertanto, almeno potenzialmente, una forza attiva nella vita sociale. Come Adorno, Attali (1977) sostiene che la musica è lo specchio della società, ma va oltre, sostenendo che la musica non solo riflette l’organizzazione sociale ma contiene una profezia del futuro, poiché i musicisti esplorano ed esauriscono rapidamente tutte le possibilità. Quindi la musica ha sempre una spinta a confrontarsi sempre con i propri limiti, perché per svilupparsi è costretta a trascendere il sistema esistente. La musica è poi una componente dell’identità e delle esperienze di vita. Tia DeNora (2000) sostiene che gli individui impiegano la musica nella costruzione di sé e dell’esperienza personale, perché scegliamo la musica per creare o modificare uno stato d’animo e per alterare la nostra percezione della vita sociale. Infine Wikström (2009) sostiene che la rivoluzione della musica digitale ha tre caratteristiche fondamentali: La connettività, perché ha permesso a chiunque la capacità di, potenzialmente, caricare musica La musica come servizio, perché diventa liberamente disponibile per tutti La produzione amatoriale, perché con i mezzi oggi a disposizione chiunque potrebbe rimixare la propria musica preferita e pubblicarla online. TEORIE DEI MEDIA Vediamo quattro influenti approcci allo studio dei mass media Teorie funzionaliste PAGINA 69 Verso la metà del XX secolo i teorici del funzionalismo si concentrarono sul contributo reso dai media all’integrazione sociale, e McQuail (2000) ha individuato cinque importanti funzioni: Informazione, sulla società e sul mondo Correlazione, perché ci spiegano e ci aiutano a comprendere il significato delle informazioni che trasmettono Continuità, perché hanno un ruolo nell’espressione della cultura dominante e nei nuovi sviluppi Intrattenimento Mobilitazione, perché possono essere impiegati per incoraggiare la gente. Ad oggi queste teorie hanno perso il consenso tra i sociologi per diverse ragioni, tra cui la descrizione del ruolo corrente dei media piuttosto che il perché esistono. Teorie del conflitto Possiamo definire due principali teorie dei media che discendono in senso lato dalla prospettiva marxista: 1. L’approccio dell’economia politica Si concentra sulle proprietà e sul controllo dei media, ed esamina il modo in cui i principali mezzi di comunicazione rispondono agli interessi privati. L’economia politica considera i media un’industria nella quale, come nella altre industrie, gli interessi economici della proprietà operano per escludere eventuali proposte prive di potere economico. 2. L’approccio dell’”industria culturale” Anche detta teoria critica, è stata elaborata dalla scuola critica di Francoforte, nella quale rientra anche Theodor Adorno, e criticagli effetti dei mass media sulla popolazione e sulla cultura. Secondo questi esponenti il tempo libero ha subito un vero e proprio processo di industrializzazione, perché in una società di massa le industrie del tempo libero diventano lo strumento per inculcare nel pubblico i valori ritenuti più appropriati. Quindi la diffusione dell’industria culturale mina negli individui la loto capacitò di pensare in modo critico e indipendente. L’analisi dell’industria culturale ha trovato per certi aspetti una sua prosecuzione del dibattito sulla sfera pubblica, che ha avuto tra i suoi protagonisti Habermas. Le democrazie moderne si sviluppano assieme ai mezzi di comunicazione di massa, poiché questi ultimi hanno reso possibile e promosso la democrazia. Ma come è possibile che ad oggi questi siano invece diventati i traditori della stessa democrazia? Habermas analizza lo sviluppo dei media dall’inizio del XVIII secolo fino ad oggi, delineando la nascita e la successiva crisi delle sfera pubblica. Quest’ultima dovrebbe costituire un’arena di pubblico dibattito, che ad oggi è stato invece soffocato dall’espansione dell’industria culturale che, con lo sviluppo dei mass media, ha favorito il trionfo degli interessi economici su quelli pubblici. L’opinione pubblica non si costruisce più attraverso una discussione aperta e razionale, ma attraverso il controllo e la manipolazione. La sfera pubblica è ormai PAGINA 70 completamente soffocata dall’intrattenimento dei mass media, che sovrasta il loro ruolo di motivatori alla partecipazione dei cittadini alla vita civile. Ciò nonostante Habermas conserva il suo ottimismo e di una comunità in cui l’opinione pubblica sia in grado di influire sui governi. Le sue idee hanno alimentato accesi dibattiti e controversie, e hanno perso ormai terreno sull’onda delle critiche sferrate dai difensori dei mass media. Glasgow University Media Group All’ interno delle teorie del conflitto rientrano poi le importanti ricerche svolte dal Glasgow University Media Group, anch’esse derivate dalla teoria marxista, le quali si sono interessate al collegamento tra i media e il ruolo dell’ideologia nella società. Gli studi hanno analizzato gli aspetti ideologici del giornalismo televisivo e il modo in cui esso genera sistematicamente il pregiudizio. Secondo Thompson tutti i massi media, non solo quindi i notiziari ma ogni tipo di contenuto e di genere, espandono enormemente l’ambito di applicazione dell’ideologia nelle società moderne. Nelle ricerche sui media e sulla comunicazione si è fatto ricorso all’analisi del discorso per studiare i prodotti mediatici, perché il linguaggio è un elemento fondamentale della vita sociale, correlato a tutti gli altri suoi aspetti. Teorie interazioniste Gli studi sui media di radice interazionista sono meno numerosi rispetto a quelli di matrice funzionalista oppure conflittuale, ma hanno acquisito maggiore popolarità nel corso degli anni. Uno dei primi tentativi di analizzare le influenze mediatiche a partire dalle persone che le subiscono risale agli anni Trenta, quando Herbert Blumer condusse uno studio sull’impatto del cinema sul pubblico chiedendo ai presenti di raccontare la loro esperienza “autobiografica”. Il più influente approccio interazionista è rappresentato però dalla teoria del panico morale, che discende dalle prospettive di etichettamento di Charles Lemert e Howard Becker. Essa spiega come le rappresentazioni mediatiche esagerate e sensazionalistiche contribuiscono ad alimentare nella società ondate ricorrenti di panico morale, che causa a sua volta l’attribuzione del ruolo di capro espiatorio a determinati gruppi sociali. Thompson ritiene che gli individui non siano dei terminali passivi dei messaggi mediatici, bensì agenti attivi, perché secondo lui i mass media non impediscono il pensiero critico. Elabora invece una teoria dei media in cui distingue tre diversi tipi di interazione, che si intrecciano nella nostra vita, modificando gli equilibri tra pubblico e privato: L’interazione faccia a faccia, tra persone che conversano direttamente l’una con l’altra L’interazione mediata, che implica l’utilizzo di una tecnologia mediale, come la stampa, la trasmissione elettrica o elettronica, ha luogo in contesti separati ma coinvolge direttamente individui specifici (due persone che parlano al telefono), è di tipo dialogico PAGINA 71 IL CONTROLLO DEI MEDIA GLOBALI In uno studio condotto sulla globalizzazione David Held (1999) ha elencato cinque cambiamenti fondamentali che hanno contribuito a creare il nuovo ordine mediatico globale: crescente concentrazione della proprietà: i media globali sono oggi dominati da un piccolo numero di enormi e potentissimi gruppi imprenditoriali passaggio dalla proprietà pubblica a quella privata: la liberalizzazione economica ha spinto alla privatizzazione delle aziende dei media e delle telecomunicazioni sviluppo di strutture aziendali transnazionali: si opera sempre più al di là dei confini nazionali, in un mercato appunto globale integrazione dei prodotti mediali: l’industria dei media è meno segmentata rispetto al passato aumento delle fusioni aziendali: alleanze tra aziende appartenenti a segmenti diversi dell’industria dei media. Imperialismo mediatico? Alcuni osservatori parlano di imperialismo mediatico a proposito della creazione di un “impero” culturale all’interno del quale, rispetto alla produzione e alla diffusione di prodotti mediali, i paesi industrializzati, innanzitutto gli Stati Uniti, occupano una posizione dominante mentre i paesi meno sviluppati sono particolarmente vulnerabili perché privi delle risorse necessarie per difendere la loro indipendenza culturale. Altri, però, suggeriscono che l’egemonia americana nei media non sia così lineare. Le sedi dei maggiori conglomerati mediatici mondiali si trovano in effetti in paesi industrializzati, la maggioranza negli Stati Uniti. Attraverso i media la cultura occidentale ha diffuso i propri prodotti e il proprio punto di vista in tutto il mondo. Tuttavia è opportuno ricordare, come affermano le controtendenze all’imperialismo mediatico, che i consumatori di questi prodotti non sono consumatori passivi bensì soggetti attivi, che possono rifiutare, modificare o reinterpretare i prodotti mediatici. Robertson, in contrasto con l’idea di imperialismo mediatico, ha affermato che sarebbe meglio parlare di glocalizzazione, piuttosto che di globalizzazione, in riferimento alla mescolanza di forze globali e locali. Ciò dipende dal fatto che le azioni americane devono conoscere, e certamente non possono ignorare, le culture locali per vendere con successo i loro prodotti in altri paesi. In questo modo i prodotti stessi subiscono sovente una significativa alterazione. CAPITOLO 12 – ISTRUZIONE TEORIE DELL’ISTRUZIONE L’istruzione è spesso considerata un indiscusso bene sociale al quale tutti hanno diritto, ma istruzione e scolarizzazione sono tuttavia due cose distinte: L’istruzione è un’istituzione sociale che consente e favorisce l’acquisizione di conoscenze e competenze, e l’ampliamento degli orizzonti personali PAGINA 74 La scolarizzazione è il processo formale in cui vengono insegnati determinati tipi di conoscenze e competenze, solitamente attraverso un programma di studi predefinito e in contesti specializzati (le scuole); Alcuni sociologi vedono nell’istruzione un fattore cruciale per la realizzazione delle potenzialità individuali, ma l’istruzione non si riduce né si identifica con quella che viene impartita a scuola. Mark Twain afferma “non ho mai lasciato che la scuola interferisse con la mia educazione”, lasciando intendere che le scuole non sono i migliori strumenti di educazione e possono addirittura ostacolarne l’apprendimento, quello che si ottiene a contatto con adulti, in famiglia o attraverso l’esperienza personale. L’istruzione è un tema complesso con valenze politiche, economiche, sociali e culturali. Istruzione e socializzazione Per Durkheim l’istruzione svolge un ruolo importante nella socializzazione dei ragazzi, in quanto fa loro comprendere i valori comuni che trasformano una moltitudine di individui separati in una società, e questi valori comprendono le convinzioni religiosi e l’autodisciplina. Durkheim sostiene che l’educazione scolastica permette ai ragazzi di interiorizzare le regole sociali che contribuiscono al funzionamento della società. Nelle società industriali, l’istruzione ha un’ulteriore funzione di socializzazione: insegna le competenze necessarie per svolgere i ruoli richiesti da lavori sempre più specializzati. Nelle società tradizionali è possibile acquisire all’interno della famiglia le competenze utili al lavoro, ma con lo sviluppo delle società più complesse sono nati sistemi educativi con il compito di trasmettere le competenze necessarie allo svolgimento di molteplici ruoli occupazionali specializzati. Talcott Parsons delineò un diverso approccio struttural-funzionalista: riteneva che una funzione centrale dell’istruzione fosse quella di instillare negli allievi il valore del successo individuale, un elemento cruciale per il funzionamento delle società industriali ma non poteva essere appreso in famiglia. Lo status di un bambino in famiglia è ascritto, mentre a scuola il suo status è prevalentemente acquisito: la funzione principale dell’istruzione consiste nel permettere ai ragazzi di passare dagli standard particolaristici della famiglia a quelli universalistici che trovano applicazione nella società moderna. Le scuole, dunque, sono fondate sulla meritocrazia e i ragazzi conseguono il loro status in virtù del merito o del valore personale. La teoria funzionalista insiste eccessivamente sul monolitismo dei valori sociali: all’interno di una società esistono impostanti differenze culturali e l’idea di un unico insieme di valori fondamentali che dovrebbero essere insegnati a tutti può essere inadeguata o contestabile. Secondo i funzionalisti, i sistemi educativi svolgono diverse funzioni per la società, ma il loro punto debole sta nel fatto che per loro la società è un’entità relativamente omogenea in cui tutti i gruppi sociali condividono gli stessi interessi. Scuola e capitalismo Bowles e Gintis sostenevano che le scuole sono “agenti” della socializzazione, ma solo nel senso che contribuiscono a produrre il tipo di lavoratore voluto dalle imprese capitalistiche. Secondo questa tesi, la stretta connessione tra sfera produttiva e istruzione non consiste solo in programmi di studio, ma dal fatto che PAGINA 75 i sistemi educativi contribuiscono a formare l’intera personalità. La struttura del sistema scolastico di fonda su un “principio di corrispondenza”, ovvero le strutture della vita scolastica corrispondono alle strutture della vita lavorativa: per esempio sia la scuola e sia il lavoro premiano la conformità alle norme, insegnanti e manager dettano compiti e scolari e lavoratori li svolgono. Secondo Bowles e Gintis, l’istruzione nel capitalismo è una grande separatrice che riproduce le disuguaglianze sociali. Questa teoria marxista ortodossa rappresenta una sorta di “funzionalismo del conflitto” che attribuisce al sistema educativo l’importante funzione di contribuire a perpetuare la disuguaglianza. Il programma occulto Bowles e Gintis hanno dimostrato l’esistenza nei sistemi educativi di un programma occulto attraverso cui gli scolari imparano ad accettare la disciplina, la gerarchia e la passività verso lo status quo. Ivan Illich è noto per la sua inflessibile opposizione alla cultura del capitalismo industriale, era contrario persino al principio dell’istruzione obbligatoria e sottolineava la connessione tra sviluppo dell’istruzione ed esigenze dell’economia. Secondo Illich, le scuole sono nate per svolgere quattro compiti fondamentali: Custodia Distribuzione degli individui nei ruoli occupazionali Apprendimento dei valori dominanti Acquisizione delle capacità e delle conoscenze socialmente approvate La scuola è divenuta un’organizzazione di custodia in quanto la frequenza è obbligatoria e i ragazzi vengono “tenuti lontano dalla strada” nel periodo compreso tra l’infanzia e l’entrata nel mondo del lavoro. La scuola tende ad inculcare quello che Illich chiama “consumo passivo”, ovvero l’accettazione acritica dell’ordine sociale esistente attraverso la disciplina e l’irreggimentazione. Si tratta di un insegnamento che risulta implicito nell’organizzazione e nelle procedure scolastiche. Illich propone la descolarizzazione della società. Dal momento che le scuole non promuovono l’uguaglianza e lo sviluppo delle capacità creative individuali, perché non sbarazzarsene nella loro forma attuale? Illich sostiene che l’istruzione dovrebbe permettere a tutti coloro che lo desiderano di accedere alle risorse educative disponibili in qualsiasi momento della vita, non solo durante infanzia e adolescenza. Un sistema del genere dovrebbe consentire alla conoscenza di essere largamente diffusa e condivisa, non già prerogativa degli specialisti. In sostituzione delle scuole, Illich propone diversi tipi di strutture educative: Le risorse materiali destinate all’apprendimento formale sarebbero conservate in biblioteche, agenzie, laboratori e banche dati a disposizione di tutti Verrebbero costruire “reti di comunicazione” in grado di fornire informazioni sulle competenze di ciascuno e sulla sua disponibilità a trasmetterle o a scambiare attività di insegnamento reciproco Agli studenti verrebbero assegnati dei “buoni” con cui utilizzare i servizi educativi a proprio piacimento PAGINA 76 BOURDIEU: ISTRUZIONE, CAPITALE CULTURALE E FORMAZIONE DELL’”HABITUS” Bourdieu ha elaborato una teoria generale della riproduzione culturale che mette in relazione da un lato posizione economica, status sociale e capitale simbolico, dall’altro conoscenze e capacità culturali. Il concetto centrale della teoria di Bourdieu è quello di capitale, derivato da Marx, ma per il sociologo il capitale economico è solo una delle svariate forma di capitale che individui e gruppi sociali possono impiegare a proprio vantaggio. Bourdieu identifica: Il capitale sociale, che consiste nell’appartenenza o nella partecipazione a reti sociali elitarie, e nella frequentazione di gruppi sociali dotati di contatti e influenze Il capitale culturale, che è quello che si accumula all’interno dell’ambiente familiare e attraverso l’istruzione, e si manifesta in conoscenze e competenze acquisite, oltre che in qualificazioni come titoli di studio e altre credenziali Il capitale simbolico, che fa riferimento al prestigio, allo status e alle altre forme di onore sociale che consentono a chi ha uno status elevato di dominare su quanti occupano posizioni inferiori L’aspetto importante di questo schema è che le forme di capitale possono essere scambiate l’una con l’altra. Un altro concetto chiave è quello di campo, un ambito o arena sociale in cu ha luogo un confronto competitivo. È attraverso questi campi che si organizza la vita sociale e operano i rapporti di potere, e ciascun campo ha le proprie “regole del gioco”, non trasferibili ad altri campi. Infine Bourdieu impiega il concetto di habitus, che può essere descritto come dotazione di disposizione acquisite (atteggiamento del corpo, i modi di parlare o pensare...). Il concetto di “habitus” è importante in quanto ci permette di analizzare i nessi tra strutture sociali da una parte, azioni e personalità individuali dall’altra. Al centro di tutto sta il concetto di “capitale culturale”, che può assumere tre forme Una forma incorporata, per cui possiamo portarlo con noi nel nostro modo di pensare, parlare e muoverci Una forma oggettivata, ad esempio il possesso di opere d’arte, libri o abiti Una forma istituzionalizzata, ad esempio un titolo di studio riconosciuto facilmente traducibile in capitale economico sul mercato del lavoro L’istruzione può essere una fonte ragguardevole di capitale culturale, di cui molti possono potenzialmente beneficiare. Il sistema educativo non è un campo neutrale separato dal resto della società, anzi, la cultura e gli standard educativi sono il riflesso di una specifica società e le scuole avvantaggiano sistematicamente coloro che hanno già acquisito capitale culturale. DIVISIONI SOCIALI ED ISTRUZIONE Il quoziente di intelligenza Per molti anni, gli psicologi si sono chiesti se esista davvero un’unica capacità umana che possa chiamarsi “intelligenza” e in che misura sia fondata su PAGINA 79 differenze innate. L’intelligenza è difficile da definire, perché comprende molte qualità diverse e spesso slegate tra loro. Dal momento che il concetto si è dimostrato così refrattario a una definizione accettabile, alcuni psicologi hanno proposto di definire l’intelligenza come “ciò che viene misurato di test del Qi”. Quindi la definizione di intelligenza diventa tautologica: i testi del Qi misurano l’intelligenza e l’intelligenza è ciò che risulta dai test! Molti test del Qi contengono un insieme di problemi concettuali e di calcolo e sono costruiti in modo che il punteggio medio sia di 100 punti. Questi test sono ampiamente usati nelle ricerche, oltre che nelle scuole e nelle aziende. LA CURVA A CAMPANA I risultati di questi test presentano un’elevata correlazione con le prestazioni scolastiche, e sono anche strettamente collegati alle differenze sociali, economiche ed etniche, dal momento che queste ultime risultano connesse al grado di successo scolastico. Lo psicologo Richard J. Herrnstein e il sociologo Charles Murray hanno riaperto criticamente il dibattito su Qi e istruzione, e secondo questi studiosi l’intelligenza ha una distribuzione “a campana” e le differenze di Qi medio tra i diversi gruppi etnici e razziali possono essere spiegate sulla base di fattori sia ambientali sia ereditari. I critici di Herrnstein e Murray negano che le differenze di Qi tra gruppi etnici e razziali siano di origine genetica e sostengono invece che derivano da disparità sociali e culturali. Secondo loro, i test del Qi pongono quesiti che con maggiore probabilità rientrano nell’esperienza degli studenti bianchi di condizione agiata, piuttosto che dei neri o di altre minoranze etniche. Possono essere influenzati anche da fattori che non hanno niente a che fare con le capacità presumibilmente misurate, come lo stress causato dal test stesso. Studi psicosociali hanno scoperto che la “minaccia associata allo stereotipo” può pregiudicare la performance individuale nei test di misurazione dell’intelligenza. Le osservazioni condotte su minoranze etniche svantaggiante di altri paesi fanno ritenere che le differenze tra afroamericani e bianchi negli Stati Uniti siano il risultato di disparità socioculturali. Alcuni bollano la tesi della curva a campana come una pericolosa forma di “pseudoscienza razzista”. Stephen Jay Gould sostiene che Herrnstein e Murray hanno sbagliato su quattro punti: Intelligenza non può essere espressa da un singolo indicatore Gli individui non possono essere significativamente collocati lungo una sola scala di intelligenza L’intelligenza non deriva fondamentalmente dalla dotazione genetica Il livello di intelligenza non è immutabile e migliora con l’età L’INTELLIGENZA EMOTIVA Daniel Goleman nel suo libro “Intelligenza emotiva” afferma che l’intelligenza emotiva può essere almeno altrettanto importante del Qi nel determinare le nostre opportunità di vita. Questa intelligenza si riferisce all’uso che le persone fanno delle proprie emozioni e consiste nella capacità di riconoscere le proprie e altrui emozioni, individuare le manifestazioni e saperle gestire. Non si ritiene che le qualità dell’intelligenza emotiva siano ereditarie, ma quanto più si possono PAGINA 80 insegnare ai bambini, tanto più essi sapranno fare uso delle proprie capacità intellettuali. Le teorie dell’intelligenza emotiva sono divenute popolari tra i pedagogisti attraverso il concetto di “alfabetismo emotivo”, che suggerisce l’esistenza di un’abilità che può essere insegnata per sviluppare la capacità di resistere, attraverso le risorse emotive, a molteplici pressioni sociali Genere e scuola L’istruzione e i programmi scolastici formali sono stati a lungo differenziati secondo il genere. Nella scuola le differenze di genere perdurano in una serie di ambiti, come le aspettative degli insegnati e altri aspetti del “programma occulto” di cui parla Illich. Anche i libri di testi perpetuano immagini di genere. Le differenze di genere nell’istruzione sono altresì evidenti se consideriamo la scelta del ramo di studi: l’idea che certe materie siano più adatta ai ragazzi oppure alle ragazze è assai diffusa GENERE E RISULTATI SCOLASTICI Per tutto il XX secolo, le ragazze sono state più brillanti dei ragazzi in termini di risultati scolastici fino a metà del ciclo secondario, allorché il rapporto si invertiva, e di conseguenza le ragazze avevano minori possibilità di accedere agli studi universitari. Ricercatrici femministe hanno condotto una serie di importanti studi sul modo in cui il genere influenza il processo di apprendimento, scoprendo che i programmi scolastici avevano spesso un’impronta maschile e che gli insegnanti in aula dedicavano più attenzione ai ragazzi che alle ragazze. L’impreparazione maschile oggi è uno dei principali argomenti di conversazione tra pedagogisti e amministratori scolastici. Dall’inizio degli anni Novanta, le ragazze hanno cominciato a ottenere risultati scolastici costantemente migliori rispetto ai ragazzi in tutte le materia e a ogni livello d’istruzione. Il problema dell’impreparazione maschile appare legato a più ampie questioni sociali come la delinquenza, la disoccupazione e la droga. Tali fattori hanno prodotto quella che è stata definita “crisi della maschilità”. Inoltre, una quota largamente maggioritaria dei nuovi posti di lavoro nel settore, in rapida espansione, dei servizi viene oggi occupata dalle donne. Sebbene aumenti il numero delle donne lavoratrici, i posti di lavoro da esse ricoperti non prevedono necessariamente un percorso di carriera ben remunerato. IL DIVARIO DI GENERE Perché oggi i ragazzi se la cavano meno bene delle ragazze negli studi? Un primo fattore è l’influenza del movimento femminile sulla crescita dell’autostima e delle aspettative femminili. Molte ragazze che oggi studiano sono cresciute circondate da esempi di donne con un impegno extradomestico, e ciò acuisce tra le donne la consapevolezza delle proprie opportunità di carriera e mette in discussione lo stereotipo tradizionale della donna casalinga PAGINA 81 esibivano tratti ereditati da stadi precedenti dell’evoluzione umana. Essi erano esseri evolutivamente ritardati e non civilizzati, e non li si poteva incolpare se commettevano dei delitti. In un successivo lavoro condotto sulle donne delinquenti, Lombroso fu costretto a basarsi solo su fotografie, in quanto agli uomini non era consentito l’ingresso nelle carceri femminili. La teoria dei “somatotipi” di William Sheldon distingueva tre tipi principali di struttura fisica, uno dei quali associato alla delinquenza. Secondo questa teoria, i tipi muscolosi e attivi (mesomorfi) sono più aggressivi e hanno maggiore probabilità di diventare criminali rispetto ai soggetti più magri (ectomorfi) o più grassi (endomorfi). Secondo i suoi critici, quand’anche vi fosse una relazione tra somatotipo e delinquenza, ciò non dimostrerebbe necessariamente che l’ereditarietà sia il fattore determinante. Se gli approcci biologici non spiegano in maniera soddisfacente perché si commettono crimini, forse la psicologia è stata più risolutiva? Anche le teorie psicologiche della criminalità cercano le spiegazioni della devianza nell’individuo e non nella società ma laddove gli approcci biologici mettono in risalto le caratteristiche fisiche, gli approcci psicologici si concentrano sui tratti della personalità. CONCETTI FONDAMENTALI La devianza può essere definita come “non conformità a una norma o complesso di norme accettate da un numero significativo di individui all’interno di una collettività”. La maggior parte delle persone, per la maggior parte del tempo, osserva le norme sociali in quanto il processo di socializzazione le abitua a farlo. Nello stesso tempo, la maggior parte di noi, in certe occasioni, trasgredisce norme di comportamento generalmente accettate. Tutte le norme sono accompagnati da sanzioni che promuovono il conformismo e proteggono dal non conformismo: una sanzione è qualsiasi reazione al comportamento di un individuo o di un gruppo, volta ad assicurare l’osservanza della data norma. Le sanzioni possono essere: Le sanzioni sono positive se ricompensano chi rispetta la norma Le sanzioni sono negative se puniscono chi non la rispetta Le modalità di applicazione possono essere: Le sanzioni informali, che sono reazioni più spontanee e meno organizzate Le sanzioni formali, che sono quelle applicate da uno specifico organismo o istituzione per garantire l’osservanza di un dato insieme di norme “Devianza” e “criminalità” non sono sinonimi: rispetto a quello di criminalità, il concetto di devianza è assai più ampio. Nello studio della criminalità e della devianza sono implicate due discipline correlate ma distinte: La criminologia può essere definita molto generalmente come lo studio scientifico della criminalità: “lo studio della criminalità, dei tentativi di controllarla e degli atteggiamenti al riguardo”. Si interessa anche delle PAGINA 84 tecniche per la quantificazione dei reati, dell’andamento dei tassi di criminalità e delle politiche anti crimine La sociologia della devianza, invece, indaga su manifestazioni di non conformità che possono esulare dall’ambito penale. Cerca di comprendere perché certe manifestazioni sono generalmente considerate “devianti” e come vengono abitualmente applicati i concetti di “devianza” e “normalità”. Lo studio ha a che fare con il potere sociale, l’influenza di classe, le divisioni tra ricchi e poveri. TEORIE SOCIOLOGICHE DELLA CRIMINALITÀ E DELLA DEVIANZA Teorie funzionaliste Queste teorie considerano la devianza e la criminalità come il risultato di tensioni strutturali e della carenza di regolazione morale all’interno della società. ANOMIA E CRIMINALITÀ Il concetto di anomia fu introdotto da Durkheim per descrivere l’indebolimento delle norme tradizionali nelle società moderne, e questa insorge quando non esistono chiari punti di riferimento che guidino il comportamento in una determinata area della vita sociale: le persone possono sentirsi in preda all’ansia e al disorientamento. Per Durkheim la devianza è un fatto sociale inevitabile, poiché nessuna società può raggiungere un consenso totale sui valori e sulle norme che devono governarla. La devianza è anche necessaria alla società, in quanto svolge due importanti funzioni: Ha una funzione adattiva perché introduce nuove idee e sfide, agendo come forza innovatrice; Incoraggia la definizione dei confini tra comportamenti sociali “buoni” e “cattivi”, nel senso che può provocare una risposta collettiva capace di rafforzare la solidarietà di gruppo ed esplicitare le norme sociali; Le idee di Durkheim sulla criminalità e sulla devianza erano considerate “radicali”, in quanto contraddicevano l’opinione conservatrice. MERTON: IL DICLINO DEL SOGNO AMERICANO Nella sua teoria della tensione, Merton ha modificato il concetto di “anomia” riferendolo appunto alla tensione cui è sottoposto il comportamento individuale quando norme e realtà sociale entrano in conflitto. Nella società americana, i valori generalmente accettati pongono l’accento sul successo conseguito attraverso l’autodisciplina, l’istruzione e il duro lavoro. Secondo Merton, per molti gruppi sociali di tratta solo di un sogno, in quanto la maggior parte di coloro che partono svantaggiati ha la possibilità di avanzamento molto limitate. Quelli che falliscono, però, si sentono condannati per la loro apparente incapacità di ottenere successi materiali. In questa situazione sono forti le pressioni che spingono a “fari strada” con ogni mezzo, legittimo o illegittimo. Devianza e criminalità sono dunque i prodotti della tensione tra le mete culturali promosse dalla società e i mezzi istituzionalizzati disponibili per il loro conseguimento Merton individua 5 possibili risposte adattive a questa tensione: PAGINA 85 La conformità consiste nell’accettare sia le mete culturali sia i mezzi istituzionalizzati, indipendentemente dal raggiungimento o meno del successo L’innovazione consiste nell’accettare le mete culturali, rifiutando però i mezzi istituzionalizzati Il ritualismo consiste nell’accettare i mezzi istituzionalizzati sottraendosi alle mete culturali, per cui le norme vengono seguite per se stesse, in maniera compulsiva La rinuncia consiste nel rifiutare sia le mete culturali che i mezzi istituzionalizzati La ribellione consiste nel rifiutare sia le mete culturali sia i mezzi istituzionalizzati, che però vengono attivamente sostituiti da nuove mete e nuovi mezzi in una prospettiva di ricostruzione del sistema sociale Mettendo in risalto la tensione sociale tra aspirazioni crescenti e disuguaglianze persistenti, Merton addita quale fattore rilevante del comportamento deviante il senso di privazione relativa SPIEGAZIONE SUBSOCIALI Cohen vede la principale causa strutturale dei reati nelle contraddizioni interne alla società americana, e le risposte a queste contraddizioni si manifestano attraverso la formazione di subculture. Egli afferma che i ragazzi del ceto operaio più povero, frustrati dalle loro condizioni di vita, tendono a organizzarsi in subculture delinquenziali, rigettando i valori dominanti e sostituendoli con l’esaltazione dei gesti di resistenza e di sfida, che possono sfociare nella delinquenza o in altri comportamenti non conformisti. NORMALIZZAZIONE DELLA DEVIANZA Kai Erikson pubblicò uno studio sulla devianza in cui giungeva alla conclusione che il livello di devianza in una comunità equivale approssimativamente alla sua capacità di gestirlo, espressa dal numero di prigioni, poliziotti, tribunali e simili. Tutte queste agenzia hanno un proprio interesse nella criminalità e nella devianza, e si accontentano di limitarle anziché eliminarle del tutto. Nell’interazione tra devianza e agenzie di controllo sociale, tende ad emergere una sorta di “equilibrio”. Moynihan ha sostenuto che negli Stati Uniti la devianza era già cresciuta al di là di quanto la società potesse accettare, ma anziché rafforzare le agenzie di controllo sociale o cercare di abbassare i livello di devianza, quest’ultima è stata ridefinita in modo da “normalizzare” comportamenti precedentemente ritenuti inaccettabili. Egli non interpreta questa ridefinizione della devianza come positiva, anzi ritiene che molti dei comportamenti normalizzati abbiano conseguenze negative sia per l’individuo, sia per la società nel suo complesso. Teorie interazioniste PAGINA 86