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"Stigma, l'identità negata" di Erving Goffman, Sintesi del corso di Sociologia

Sintesi completa del saggio del sociologo canadese Erving Goffman.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 21/07/2020

Barbara_C97
Barbara_C97 🇮🇹

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Scarica "Stigma, l'identità negata" di Erving Goffman e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! CAPITOLO 1 - «Stigma, l’identità negata», di Erving Goffman 1. Stigma e identità sociale Il termine “stigma” fu introdotto dai greci per far riferimento a quei segni fisici associati agli aspetti criticabili e insoliti della condizione morale di chi li ha. Questi segni venivano incisi col coltello o impressi a fuoco nel corpo e rendevano esplicito che chi li portava era uno schiavo, un criminale, un traditore o una persona segnata ed evitata specialmente nei luoghi pubblici. Con l’avvento del Cristianesimo, questo termine assunse due connotazioni metaforiche: la prima si riferisce i segni corporei della Grazia, la seconda ai segni corporei del disordine fisico. Oggi il termine è usato riprendendo il suo vecchio senso letterale, ma si applica più alla minoranza che alle prove fisiche di essa. 1.1. Considerazioni preliminari Lo stigma denota appunto una particolare connotazione fisica (dovuta a handicap) o può essere altresì riferito a particolari categorie sociali che in qualche modo vengono discriminate da quelle che Erving Goffman, nel suo saggio "Stigma, l'identità negata", definisce persone "normali". Lo stigma porta alla discriminazione e alla conseguenza di stereotipi, che si ripercuotono nella società. La "diversità" porta a far emergere caratteristiche particolari e quindi all'emarginazione, solo per il fatto che queste caratteristiche sono diverse. Lo stigma è innanzitutto nell'occhio di chi guarda. Molte volte le persone portatrici di handicap fisici, mentali, o categorie sociali di persone "deviate", non si inquadrano nell'ottica di stigmatizzati, ma sono le persone "normali" a definirli diversi, attribuendovi così un marchio distintivo. Questa distinzione sociale tende a creare categorie ben definite di persone stigmatizzate, che si inquadrano in una "cornice" diversa, a seconda del loro stigma (portatori di handicap, malati di mente, deviati). Lo stigma porta all'alienazione di particolari categorie di individui e alla loro discriminazione. È proprio l'alienazione di queste persone a creare uno stigma e non un loro particolare problema fisico o mentale. Essendo allontanati dalla società, questi individui si sentiranno isolati e soli, potranno contare solo sul supporto di persone simili a loro, che si trovano nella stessa condizione. Nella nostra conversazione quotidiana ci serviamo di termini specifici (es: “zoppo”, “bastardo”, “demente”) che diventano una fonte di metafore e di immaginazione, dimenticando il significato che avevano originariamente. Spesso, oltre a giudicare il difetto che rende una persona “stigmatizzata” tendiamo anche a giudicare la sua reazione difensiva e la consideriamo come un tentativo di difendersi da qualcosa che quella persona e la sua famiglia o la sua tribù ha fatto. È così che giustifichiamo il modo in cui noi lo trattiamo. Il problema dello stigma sorge nel momento in cui colui che lo attribuisce a qualcun altro e tutti coloro che fanno parte della sua categoria vorrebbe che questi sono solo appoggiassero una norma particolare, ma che l’applicassero. Inoltre, è possibile che un individuo non si comporti nel modo in cui ci aspetteremmo da lui e tuttavia riesca a non sentirsi toccato da questa incapacità. Pur portando uno stigma, egli si sente “normale” e non sembra pentirsi per il fatto di comportarsi così (es: storielle sugli zingari). Tuttavia, può darsi che egli non si senta posto sullo stesso piano dei suoi simili. I criteri che ha interiorizzato dalla società più ampia lo rendono consapevole di quelle che gli altri giudicano come sue mancanze. Ciò provoca in lui, anche se in certi momenti, la convinzione di non riuscire a essere ciò che dovrebbe essere. In questo caso subentra il senso di vergogna: l’individuo percepisce qualche suo attributo come marchio infamante, oppure si rende conto di non avere alcuno degli attributi richiesti. È probabile che sia la stessa presenza fisica delle persone “normali” a rafforzare la frattura tra l’Io e i requisiti richiesti, ma spesso lo stigmatizzato prova odio verso sé stesso anche quando si ritrova da solo con sé. Lo stigmatizzato si ritrova spesso ad “accettare” la sua condizione. Come risponde alla sua situazione? In alcuni casi tenterà di correggere quella che egli ritiene la base oggettiva del suo fallimento (es: persona deforme che si sottopone alla chirurgia plastica). Quando tali rimedi sono possibili, il risultato non è tanto la riconquista di uno status completamente normale, ma più spesso la trasformazione della persona da uno stato di biasimo a quello di chi è riuscito a correggerlo. A tal proposito, è possibile parlare di “vittimizzazione” secondo la quale la persona stigmatizzata è esposta alle fraudolente attività di chi vende ad esempio prodotti per schiarire i prodotti della pelle, alla vendita di terapia correttiva, e molti altri modi di stare nella società. Più lo stigmatizzato sente forti pressioni su di lui, 1 più si spingerà a gesti estremi (es: nel romanzo “Salsicce” Igiaba Scego ci parla di un gesto estremo compiuto dalla protagonista del romanzo: mangiare le salsicce per dimostrare di essere italiana). Lo stigmatizzato può anche cercare di modificare la propria condizione indirettamente sforzandosi di rendere proprie delle attività da cui di solito vengono esclusi coloro che hanno quel suo attributo discriminante. Chi ha una diversità di cui si deve vergognare può rompere con quella che chiamiamo “realtà” e servirsi con tenacia di una interpretazione non convenzionale della caratteristica della sua identità sociale. È probabile che lo stigmatizzato si serva del suo stigma per ottenere “vantaggi secondari”, come scusa per l’insuccesso che ha subito per altre ragioni (es: diversità di cui andare fieri dimostrando che la diversità non è così discriminante). Quando il diverso (es: persona deforme) ricorre alla chirurgia, esso viene strappato da una condizione più o meno accettabile di protezione emotiva scoprendo, a sua insaputa, che anche il mondo delle cosiddette “facce ordinarie” non è facile da vivere. È anche probabile che lo stigmatizzato consideri le sue sofferenze un privilegio nascosto, in quanto si crede che le sofferenze servano a conoscere meglio la vita e la gente. Parallelamente, il minorato può arrivare a riconsiderare i limiti delle persone normali. In sintesi, nel momento in cui lo stigmatizzato e la persona normale entrano in contatto e si trovano dunque nella stessa “situazione sociale”, si parla di “contatti misti”. Proprio questi contatti possono portare le persone normali e gli stigmatizzati ad organizzarsi in modo da evitarli. È probabile che a risentirne di più sia lo stigmatizzato, in quanto viene ulteriormente ferito. Colui/colei che è consapevole della propria inferiorità si sente incapace di eliminare dalla coscienza quel forte senso di insicurezza che causa un grave senso di ansietà. Il timore che altri possano non aver rispetto per lui a causa di qualcuna delle sue caratteristiche significa che egli è sempre insicuro nel suo contatto con gli altri. Questa insicurezza nasce da fattori che la persona stessa sa di non poter controllare. Ciò influisce anche sulla propria auto-valutazione di sé, poiché la persona non può nascondere o eliminare una precisa sentenza che, reputandola inferiore, giustifica il rifiuto da parte degli altri. Quando persone “normali” vengono a trovarsi in presenza fisica di uno stigmatizzato, specialmente durante una conversazione, è possibile che entrambi gli interlocutori si trovino ad affrontare le cause e gli effetti dello stigma. Può darsi che lo stigmatizzato si senta insicuro riguardo a come noi normali lo identifichiamo e l’accogliamo (es: per un immigrato è possibile che l’incertezza del proprio status si manifesti nel momento in cui interagisce nei diversi contesti sociali). Tale incertezza non nasce solo dal fatto che lo stigmatizzato non sa a quale delle diverse categorie verrà assegnato, ma anche dal fatto che gli altri potrebbero definirlo sulla base dello stigma. Nello stigmatizzato si insinua la sensazione di non sapere cosa gli altri pensino davvero di lui. Nel corso dei contatti misti può anche darsi che lo stigmatizzato si senta “sotto i riflettori”, cioè che si senta in imbarazzo, che calcoli l’impressione che sta suscitando ad un livello e a zone del comportamento che gli altri di solito non curano. Crede che i suoi successi minori rappresentino segni di notevoli capacità a seconda delle circostanze (es: se un cieco riesce a fare delle cose che una volta erano del tutto normali per lui come camminare da solo per strada o accendere una sigaretta, egli diventa una persona insolita). Allo stesso tempo, anche le piccole manchevolezze o trascuratezze possono essere interpretate come espressione diretta della diversità stigmatizzata (es: un ex ricoverato presso un ospedale psichiatrico eviterà di entrare in discussione con il proprio coniuge o il proprio datore di lavoro per l’impressione che può suscitare agli altri una propria reazione emotiva). (pagina 17) Quando il difetto di uno stigmatizzato è evidente al solo guardarlo, quando è dunque una persona screditata e non screditabile, è molto probabile che arrivi a considerare la compagnia dei “normali” come una vera e propria violazione della sua intimità. L’imbarazzo di trovarsi esposto aumenta quando certi estranei fanno conversazioni su di lui, atto che può essere interpretato come un’espressione di curiosità morbosa riguardo al suo stato. Nel corso di queste conversazioni è anche possibile che gli estranei offrano un aiuto che lo stigmatizzato non vuole. Questo modo di trattare lo stigmatizzato porta con sé la convinzione implicita che chiunque possa rivolgergli la parola a suo piacimento purché non dimentichi di dimostrare comprensione per la sua disgrazia. È probabile che lo stigmatizzato, prevedendo già cosa gli toccherà affrontare quando si ritrova in un rapporto sociale con persone “normali”, tenderà a chiudersi in sé stesso. Può anche darsi che lo stigmatizzato si apporti ai rapporti misti con ostilità provocatoria invece che con timorosa sottomissione. Questo comportamento non è altro che una risposta al modo in cui si viene trattati dagli altri. Può anche darsi che lo stigmatizzato talvolta esita tra i due tipi di reazione, passando da uno all’altro e rilevando un 2 Questa situazione li porta a vivere in un mondo che potrebbe considerarli eroi o cattivi e i loro rapporti con questo mondo sono messi in evidenza dalle persone con cui sono a contatto immediato siano esse normali o stigmatizzate le quali danno loro notizie sulle vicende del favorito. Vi è un gruppo di persone da cui lo stigmatizzato può aspettarsi un certo appoggio, cioè quelle che hanno il suo stigma. Un altro gruppo invece è costituito da persone normali che per motivi particolari sono comprensivi e partecipi alla vita segreta dell'individuo stigmatizzato, persone che in tal modo sono accettate dal gruppo e ne diventano spesso membri onorari. Questi “saggi” sono i pochi davanti ai quali lo stigmatizzato non prova vergogna e si sentirà una persona normale. Il passaggio da persona normale a “saggio” è determinato da alcune esperienze personali che mutano l’atteggiamento. Quando la persona normale diventa comprensiva diventa accessibile allo stigmatizzato; tuttavia, è necessario che questo convalidi ufficialmente la sua posizione come membro onorario del gruppo per avere la piena accessibilità. Il “saggio” è definito tale perché la sua saggezza deriva dal lavoro svolto in un ambiente che si occupa specialmente di chi ha uno stigma particolare o dei provvedimenti che la società prende in loro favore (es: assistenti sociali nei centri di accoglienza). Un secondo tipo di persone “sagge” è costituito da chi è in contatto con lo stigmatizzato attraverso la struttura sociale. È questo rapporto che spinge la società a trattare, sotto certi aspetti, ambedue gli individui come se fossero una persona sola (es: i familiari/amici dello stigmatizzato); essi sono costretti a vivere parte dello stigma della persona con cui hanno legami. Un modo di reagire a questo destino è farlo proprio e vivere nel mondo del rapporto con lo stigmatizzato. È probabile che chi ha dei rapporti con lo stigmatizzato ne assorba in parte lo stigma. La trasmissione dello stigma dallo stigmatizzato ai normali spiega perché si evitano i contatti misti o, dove esistono, perché vengono interrotti. I membri onorari di una categoria stigmatizzata offrono modelli di “normalizzazione”, dimostrando fino a che punto i normali possono trattare le persone stigmatizzate come se non lo fossero. È importante distingue la normalizzazione dalla “normificazione”, cioè lo sforzo da parte dello stigmatizzato di presentarsi come una persona normale, sebbene non cerchi di nascondere la sua mancanza. È possibile che si crei un vero e proprio “culto dello stigmatizzato”, che poi non è altro che il modo in cui il “saggio” controbatte la reazione stigmofobica della persona “normale”. I membri onorari possono però mettere a disagio lo stigmatizzato con la loro insistenza nello risolvere un problema che non è il loro fino al punto che il loro atteggiamento appare agli altri eccessivamente moralistico e sia loro che gli stigmatizzati rischiano di incombere in malintesi da parte delle persone normali le quali interpretano in modo offensivo tale comportamento. Il rapporto tra lo stigmatizzato e il suo fiancheggiatore può essere difficile. La persona che ha una menomazione spesso teme che l’identificazione con la tipologia possa verificarsi in un qualsiasi momento, specialmente quando grande è la dipendenza dal rapporto con un normale (es: prostituta che ha paura che, ogni volta che scoppi un litigio, il marito gli rinfacci tutto). È anche possibile che il membro onorario si renda conto che subisce molte privazioni tipiche del suo gruppo e di non essere capace di trarre vantaggio dalla sublimazione, cioè la tipica difesa in situazioni del genere. Spesso capita anche che il membro onorario dubiti di essere accettato a causa del trattamento che gli riserva lo stigmatizzato. 1.3. La carriera morale Le persone con un particolare stigma solitamente vivono esperienze simili in base la loro minorazione. In esse si registrano gli stessi cambiamenti nella concezione del sé, una “carriera morale” simile che è sia causa che effetto dell’impegno a sviluppare in modo analogo tutte le fasi dell’adattamento. La storia naturale di una categoria di stigmatizzazione va distinta da quella dello stigma in sé: nel primo caso si parla della storia delle origini, della diffusione e del declino della capacità di un attributo che viene considerato “stigma” in una determinata società. 1) Una fase di questo processo di socializzazione è quella attraverso cui lo stigmatizzato interiorizza il punto di vista delle persone normali, acquisendo così le credenze che la società più vasta ha sull’identità e un’idea generale di quello che vuol dire avere un particolare stigma. 2) Un’altra fase riguarda il riconoscimento, da parte della persona, del suo stigma e questa volta in modo dettagliato, qualunque siano le conseguenze. 5 Queste due fasi iniziali della carriera morale costituiscono le basi del successivo sviluppo e fungono da strumento per distinguere tra le carriere morali che sono disponibili per lo stigmatizzato. È opportuno analizzare quattro di questi modelli: 1. Il primo comprende coloro che hanno uno stigma fin dalla nascita. Essi si socializzano nella loro situazione svantaggiosa anche quando apprendono e interiorizzano i criteri di paragone comune con i quali non possono misurarsi (es: i bambini orfani sanno che i bambini hanno dei genitori, proprio mentre stanno imparando per esperienza diretta cos vuol dire non averli). 2. Il secondo modello deriva dalla capacità di una famiglia di fare da campana protettiva per i giovani. In questo caso i genitori avranno massima cura dello stigmatizzato sin dalla sua nascita attraverso il controllo dell’informazione. Si fa in modo che non venga a conoscenza di tutte quelle definizioni che possono umiliarlo, mentre si dà libero accesso alle concezioni della società che spingono il fanciullo protetto a sentirsi un normale essere umano, provvisto di una normale identità per quanto riguarda questioni di fondo come l’età e il sesso. Il momento in cui il circolo domestico non è più in grado di difenderlo varia a seconda delle classi sociali, del luogo di residenza e del tipo di stigma, ma in ogni caso, quando si presenta, provocherà un’esperienza morale. Ne è un esempio l’ingresso alla scuola pubblica, momento in cui solitamente lo stigma si presenta attraverso le prese in giro o le liti da parte dei ragazzi tra di loro. Più la minorazione dell’individuo è evidente, maggiori saranno le difficoltà che riscontrerà nel momento in cui entrerà in contatto con gli altri normali. 3. Il terzo modello di socializzazione riguarda invece chi viene stigmatizzato in una fase più avanzata della vita o apprende piuttosto tardi di essere stato screditabile. Nel primo caso non esiste il problema di una radicale riorganizzazione del suo modo di vedere il passato; nel secondo caso invece tale fattore è determinante. Colui che vive questa condizione sa già chi può essere considerato “normale” e chi invece come stigmatizzato, e lo sa da prima di apprendere di essere egli stesso un minorato. Probabilmente sarà molto difficile per lui ritrovare la sua identità e potrebbe incombere nell’autodisapprovazione. Esistono però certi casi di individui che solo in età adulta scoprono di appartenere a un gruppo tribale stigmatizzato o che i loro genitori hanno una macchia morale contagiosa. 4. Il quarto modello è rappresentato da coloro che in un primo momento sono socializzati in una comunità estranea, sia dall’interno che dall’esterno dei confini geografici della società normale, e che poi devono imparare un secondo modo di essere, l’unico accettato da quelli che li circondano. Quando un individuo acquisisce un nuovo Io stigmatizzato in età matura, il disagio che prova per le nuove conoscenze può essere sostituito da quello che sente nei confronti delle vecchie conoscenze. Può darsi che le conoscenze fatte dopo lo stigma lo considerino semplicemente come un minorato, mentre quelle precedenti allo stigma non siano capaci di trattarli con tatto, familiarità e accettazione. Indipendentemente da quale possa essere il modello generale della carriera morale dello stigmatizzato, la fase di esperienze durante la quale egli apprende di possedere uno stigma sarà particolarmente interessante perché è possibile che quel momento rappresenti il momento in cui entra in contatto con altri stigmatizzati. Anche se quel contatto non sarà frequente, sarà come sufficiente a ricordargli che esistono persone come lui. Nei molti casi in cui la stigmatizzazione dell’individuo viene associata con la sua ammissione in una istituzione, gran parte di quanto apprenderà riguardo al proprio stigma gli verrà trasmesso nel corso di un prolungato e intimo contatto con quelli che diventeranno i suoi compagni di sofferenza. Quando l’individuo apprende per la prima volta ciò che deve accettare come propria condizione, è possibile che provi una certa ambivalenza: non soltanto i suoi compagni saranno apertamente stigmatizzati e quindi non trattati come la persona normale che lui credeva di essere, ma in più in essi ritroverà certi attributi che difficilmente accoglierà. Con gli altri stigmatizzati potrebbe anche crearsi un rapporto di fratellanza. Il rapporto con il suo gruppo non sarà mai del tutto omogeneo ma oscillante nelle credenze riguardo la sua natura e quella del gruppo dei normali. I rapporti dello stigmatizzato nei confronti della comunità informale e delle organizzazioni formali tra persone nelle sue stesse condizioni sono molto importanti. In tali rapporti emergerà la differenza tra coloro ai quali la diversità consente un limitatissimo nuovo “noi” e chi invece, come nel caso di un gruppo minoritario, si sente parte di una comunità ben organizzata con tradizioni solide. In ogni caso, sia che gli stigmatizzati facciano o meno parte di un gruppo, è attraverso il gruppo di chi si trova in quella determinata condizione che si può identificare la storia naturale e la carriera morale dello stigmatizzato. 6 Nel passare in rassegna la sua carriera morale, lo stigmatizzato potrebbe elaborare retrospettivamente le esperienze utili a dimostrare come è giunto alle credenze e al comportamento pratico che ha ora nei confronti dei suoi compagni di stigma e delle persone normali. Un avvenimento della sua vita può dunque manifestare un duplice effetto sulla carriera morale. Quell’avvenimento può rappresentare un punto di svolta oppure può servire a confermare la posizione attualmente presa. Per quest’ultimo scopo di sceglie di solito un’esperienza che faccia capire allo stigmatizzato recente che i cosiddetti “membri di diritto” del gruppo con cui ha a che fare sono in realtà simili a comuni esseri umani. Basandoci su quest’ultima scoperta, è possibile che l’individuo debba ancora fronteggiare un’occasione nella quale i suoi amici, nel periodo precedente allo stigma, attribuivano caratteri non umani a coloro che egli ormai considera persone complete come lui stesso. Un’altra svolta decisiva è un’esperienza di isolamento. Ma può anche darsi che le svolte decisive della vita siano dovute non solo alle esperienze personali ma anche a quelle, a suo tempo furono rimosse. Ad esempio, è possibile che la lettura di opere riguardanti il gruppo stigmatizzato consenta di provare e di vivere un’esperienza ricostruttiva. CAPITOLO 2 – Il controllo dell’informazione e identità personale 2. Lo screditato e lo screditabile Quando avviene la frattura tra l’identità sociale attuale e quella virtuale di un individuo può darsi che ciò ci sia noto ancor prima che noi normali stabiliamo un contatto con lui o che ci appaia evidente alla vista della sua persona. In questo caso si parla di uno “screditato”. È probabile che non conosciamo apertamente ciò che lo discredita e questa disattenzione rende il rapporto più teso, incerto e ambiguo per tutti i partecipanti e soprattutto per lo stigmatizzato. La cooperazione tra normali e stigmatizzato finalizzata a rendere la sua diversità come irrilevante costituisce un importante possibilità per la sua vita. Quando questa diversità non risulta direttamente apparente, e non è conosciuta in anticipo, o per lo meno lo stigmatizzato non sa che altri lo sanno, egli risulterà dunque “screditabile” e non “screditato”. Il problema principale consiste nel controllare l’informazione riguardante la minorazione della persona. Mettere in mostra o no; dire o non dire; lasciar passare o non lasciar passare; mentire o non mentire. 2.1. Informazione sociale Nello studio sullo stigma l’informazione di maggiore importanza ha determinate caratteristiche. Prima di tutto si tratta di un’informazione che riguarda un individuo e le sue caratteristiche più o meno pertinenti, in opposizione agli stati d’animo, ai sentimenti o alle intenzioni che egli può avere in un determinato momento. Solitamente l’informazione è trasmessa dallo stesso interessato attraverso un’espressione corporea in presenza di coloro che ricevono tale messaggio. L’informazione che possiede tutte queste caratteristiche viene definita “sociale”. Alcuni segni che trasmettono l’informazione sociale vengono spesso cercati e conosciuti in modo abitudinario. Tali segni vengono chiamati “simboli”. L’informazione trasmessa tramite un determinato simbolo potrebbe confermare quello che altri segni ci dicono riguardo l’individuo, dando forma all’immagine che abbiamo di lui (es: alcuni elementi sono dei segni distintivi che attestano l’appartenenza a un club sociale, come l’anello matrimoniale per alcuni uomini in alcuni contesti). L’informazione sociale trasmessa attraverso un simbolo può rappresentare una particolare pretesa al prestigio, all’onore o a una posizione di classe desiderabile. In questo caso tale segno viene chiamato “simbolo di status” o “simbolo di prestigio”. Termini opposti ai simboli di prestigio sono i “simboli di stigma” e cioè quei segni che attirano particolarmente l’attenzione verso quelle discrepanze che svalutano l’identità. Oltre ai simboli di prestigio e a quelli di stigma, un’altra possibilità è data da un segno che tende a spezzare un quadro che altrimenti sembrerebbe coerente. Tale proposta lascia dei profondi dubbi sul valore dell’identità virtuale; questi simboli possono essere definiti come “distruttori dell’identità” (es: il “buon inglese” di cui si serve un negro del nord che va in visita al sud). Tutti questi simboli elencati trasmettono l’informazione sociale. Questi devono essere però distinti dai segni occasionali che non sono ancora stati istituzionalizzati come mezzi per trasmettere informazioni. Quando tali segni reclamano prestigio, possiamo chiamarli “punti”; quando invece discreditano per via di certe pretese di prestigio, possiamo definirli “lapsus” o “errori”. Alcuni dei segni che trasmettono l’informazione sociale ma che sono adoperati 7 screditabile esercita nelle situazioni sociali. In tal modo, anche se lo stigma non eserciterà un’influenza sull’accettazione della persona, la eserciterà sui loro doveri. Piuttosto che pensare a una continuità dei rapporti, con da una parte un orientamento categorico e occultativo e dall’altra uno aperto e particolaristico, è meglio concentrarsi sulle strutture in cui hanno luogo e si stabilizzano i contatti, ad esempio il luogo di lavoro, il luogo di residenza, l’ambiente familiare. È bene identificare quei casi in cui si verifica una discrepanza tra identità virtuale e identità attuale e come viene controllata la situazione. La gestione dello stigma dipende però dalla conoscenza o meno della persona stigmatizzata. L’influenza di tale concetto richiede la formazione di un altro concetto, quello di “identità sociale”. Si dice di solito che i membri di piccoli circoli sociali siano persone “uniche”. Questo termine comprende alcune idee importanti; una prima idea inclusa nella nozione di “unicità” è quella di “segno positivo” o di “piastrina di identità”, per esempio l’immagine fotografica della persona nella mente degli altri, oppure la conoscenza del posto che essa occupa nella scala della parentela familiare. 1. Alcuni fattori che ci distinguono sul piano dell’identificazione, ad esempio le impronte digitali, costituiscono in realtà gli aspetti per i quali gli individui sono essenzialmente simili. 2. Molti dei fattori particolari riguardanti una persona sono veri anche per gli altri, dunque ciò che condividiamo con una persona intima non avrà alcuna importanza invece per qualcun altro. Ciò aggiunge un altro elemento grazie al quale è possibile distinguere la persona da chiunque altro. A volte l’insieme delle informazioni è legato alla definizione (es: dossier della polizia); altre invece alle caratteristiche corporee, come quando siamo al corrente del comportamento di qualcuno di cui conosciamo il volto ma non il nome. Spesso l’informazione è legata sia al nome che al corpo. 3. Ciò che distingue un individuo da tutti gli altri è il suo essere, che lo rende diverso completamente non soltanto dal punto di vista dell’identificazione, ma anche da quelli che sono perlopiù come lui. Per “identità personale” Goffman non intende dunque soltanto i segni positivi/piastrine di riconoscimento e la combinazione unica degli elementi della sua vita che viene attribuita all’individuo con l’aiuto di questi segni della sua identità. Egli intende soprattutto la differenziazione dell’individuo dagli altri attorno alla quale si aggrega una storia continua di fatti sociali che costituiscono la base alla quale si aggregano anche altri fatti biografici. È difficile comprendere il ruolo che gioca l’identità sociale all’interno dell’organizzazione sociale proprio a causa della sua unicità. La dinamicità del processo di identificazione personale è esplicitata nel momento in cui si prende in riferimento non un piccolo gruppo, ma una grande organizzazione impersonale, ad esempio i governi degli Stati. Gli strumenti di identificazione personale sono ormai abitudinari: si scelgono alcuni attributi biologici immutabili come la calligrafia oppure l’aspetto fisico; o elementi registrabili in modo permanente come il certificato di nascita, il nome o la matricola. Di grande interesse sono gli sforzi compiuti da chi si trova nei guai nel tentativo di costruire un’identità personale che non sia la propria, o di disimpegnarsi da quella che aveva originariamente, come nel caso di chi distrugge il proprio certificato di nascita. In tutti i casi il problema resta il nome della persona, criterio di identificazione più usato e, allo stesso tempo, quello più facile da cancellare. Per cancellare il proprio nome si ricorre in teoria a una sentenza in tribunale di cui rimane una documentazione pubblica. Così facendo, malgrado l’apparente diversità, viene conservata una continuità individuale. Certe attività in cui può verificarsi un cambiamento di nome senza una registrazione ufficiale, come nel caso delle prostitute, dei criminali o dei rivoluzionari, non sono “legittime”. In tutti i casi, qualunque possa essere l’attività che porta con sé un cambiamento di nome, che sia registrato o meno, comporta a una significativa frattura tra l’individuo e il suo vecchio mondo. Diverse sono le circostanze che implicano certi mutamenti di nomi, ad esempio nel caso dello straniero i mutamenti sono orientati nel senso dell’identità sociale. In generale possiamo dire che il nome è un modo comune ma non molto attendibile per fissare l’identità. Solitamente un’identità viene ricostruita principalmente attraverso segni che richiamano a caratteristiche personali. Risollevando nuovamente la questione dell’informazione sociale, possiamo dire che i segni concretizzati fisicamente, siano di prestigio o stigma, riguardano l’identità sociale. Questi vanno distinti dalla documentazione che le persone si portano dietro per provare la loro identità personale. Gli strumenti di identificazione quali foto, documenti o impronte 10 servono a non commettere errori o ambiguità. Tale documentazione e i fatti sociali ad essa connessi vengono però presentati solo a persone autorizzate a controllare l’identità, non come simboli di prestigio o stigma che invece potrebbero essere più accessibili a un pubblico più ampio. Poiché spesso l’informazione riguardante l’identità personale può essere documentata, è possibile servirsene come garanzia contro una possibile rappresentazione distorta dell’identità sociale (es: documento di identità che garantisce al bibliotecario che lo studente ha il diritto di accedere ai servizi bibliotecari). I fattori biografici connessi alla documentazione dell’identità provocano precise limitazioni riguardo al mondo in cui un individuo può scegliere di presentarsi (es: gli ex malati mentali britannici non possono presentarsi agli esami per i posti di lavoro perché dalle loro tessere dell’assicurazione nazionale mancano i bollini del periodo in cui non hanno lavorato. Inoltre, occultare la propria identità personale può causare conseguenze rispetto alla categoria sociale (es: è probabile che gli occhiali da sole che una celebrità utilizza per non farsi riconoscere rivelino, o potrebbero rivelare, la categorizzazione sociale di chi vuole viaggiare in incognito e che, senza di essi, sarebbe facilmente riconosciuto. Anche sul piano linguistico è possibile affermare, attraverso affermazioni orali, la propria identità sociale e personale. Quando un individuo non dispone di una documentazione sufficiente per poter usufruire di un servizio desiderato, può darsi che cerchi di sostituirla con degli attestati orali. Ogni società però differisce nel modo in cui concepisce tali testimonianze. 2.4. Biografia L’individuo è considerato un oggetto di biografia, qualunque sia la collocazione della sua storia biografica (schedari, mente delle persone intime, ecc.). Gli scienziati sociali si sono serviti della biografia nella forma di storia della carriera, ma non sono state sufficientemente attenzionate le caratteristiche generali del concetto, tranne nel caso in cui si voleva mettere in evidenza che le biografie sono soggette a una costruzione retrospettiva. La biografia non è stata però esaminata accuratamente come il ruolo sociale. Innanzitutto, nelle biografie presupponiamo che un individuo ne abbia avuta una: tutto quello che l’individuo ha fatto e che è in grado di fare viene inteso come qualcosa che può essere racchiuso nella sua biografia. Non importa se la persona in questione sia un mascalzone, non importa se la sua esistenza sia stata falsa o frammentaria: i fatti riguardanti la sua vita non possono essere contraddittori o sconnessi l’uno con l’altro. Questa unilateralità della storia di una vita è in contrasto con gli atteggiamenti che si scoprono nell’individuo quando lo si considera dal punto di vista del ruolo sociale. Un importante fattore da tenere in considerazione è la “coesione informativa”. Una volta dati i fatti sociali importanti che riguardano una persona, ci si chiede se, dato l’insieme dei fatti sociali importanti che riguardano l’individuo, in quale misura coloro che ne conoscono alcuni ne conoscono molti. Una distorta rappresentazione sociale deve essere distinta da una distorta rappresentazione personale. Sia che venga coinvolta l’identità personale, sia che venga coinvolta quella sociale, è possibile distinguere la rappresentazione che smentisce quella rappresentazione che invece vorrebbe farci passare per ciò che non siamo. In generale, le norme riguardanti l’identità sociale riguardano quei ruoli o profili che riteniamo un individuo possa legittimamente sostenere. Si tratta di quello che Lloyd Warner definiva “personalità sociale”. Non ci stupiamo se una persona già affermata possa raggiungere un certo successo, mentre proviamo un certo imbarazzo se a farlo sono un negro o un lavoratore straniero che vivono in una grande città. Le norme che si riferiscono all’identità personale non riguardano le combinazioni di attributi sociali, ma quella specie di controllo dell’informazione che l’individuo può praticare. Se un individuo ha avuto un passato problematico è un problema che riguarda la sua identità sociale, mentre il modo in cui gestisce l’informazione che si riferisce al suo passato è un problema di identificazione personale. Se una persona ha avuto un passato strano, non in sé stesso, ma per qualcuno che abbia l’attuale identità sociale della persona, è in certo senso irregolare in corrispondenza ai principi dell’identità sociale; quando invece la persona vive agli occhi di coloro che ignorano il suo passato o che lo sconoscono, si ha una irregolarità dal punto di vista dell’identità personale. Quando un individuo si comporta in modo ritenuto “strano” dagli individui che lo circondano, sembra a essere tenuto a fornire informazioni riguardo a sé stesso. Se l’individuo ci nasconde delle informazioni su sé stesso, non possiamo fargli delle domande che lo costringano a rilevarci i fatti o a ricorrere volutamente alla menzogna. Quando facciamo tali domande ne nasce un doppio imbarazzo: il nostro perché abbiamo mancato di tatto, e il suo, per ciò che ci ha nascosto. 11 Sembra anche che, allo scopo di padroneggiare la propria identità personale, sia necessario che l’individuo sappia a chi deve molta parte dell’informazione e a chi poca, anche se in ogni caso è obbligato ad astenersi dal dire una bugia. Di conseguenza, egli dovrà avere “memoria” e cioè una pronta e precisa classificazione dei fatti del suo presente e del suo passato che sente di dover rivelare agli altri. A questo punto è importante considerare il peso reciproco dell’identificazione personale e di quella sociale e si deve cercare di estrarre alcune delle loro interrelazioni più evidenti. Nel costruire l’identificazione personale di un individuo, facciamo ricorso ad alcuni aspetti della sua identità sociale insieme a tutto ciò che gli può essere attribuito. Il fatto di poter identificare un individuo personalmente ci dà la possibilità di organizzare e rafforzare l’informazione riguardo la sua identità sociale, processo che può leggermente modificare il significato delle caratteristiche sociali che noi gli attribuiamo. È anche possibile che il fatto di avere una manchevolezza segreta capace di screditare abbia un significato più profondo quando le persone alle quali l’individuo non ha ancora rivelato sé stesso non sono estranei ma amici. La scoperta influenza non solo la presente situazione sociale, ma stabilisce anche dei rapporti; non soltanto l’immagine corrente che gli altri hanno di lui, ma anche quella che essi avranno in futuro; non soltanto le apparenze, ma anche la reputazione. Lo stigma e il tentativo di nasconderlo o di lenirne la portata viene “fissato” come parte dell’identità personale. Da ciò ne deriva un comportamento improprio da parte nostra quando indossiamo una maschera, oppure quando siamo lontani da casa. 2.5. Biografia degli altri L’identità personale, così come quella sociale, divide, rispetto l’individuo, il mondo degli altri. Innanzitutto, vanno distinti quelli che sanno da coloro che non sanno: sanno coloro che sono in possesso di un’identificazione personale dell’individuo: basta solo che sentano il suo nome o che lo vedano per fornire informazioni su di lui. Invece non sanno quelli per i quali l’individuo è del tutto estraneo e di cui non hanno ancora cominciato una biografia personale. Può darsi che l’individuo sia consapevole di essere conosciuto o non conosciuto dagli altri e questi, a loro volta, può darsi che siano a conoscenza della consapevolezza o meno dell’individuo. L’individuo può anche credere che gli altri non sappiano di lui, ma non può esserne sicuro. Se sa che gli altri sanno di lui deve, in una certa misura, sapere di loro, ma se invece non sa che gli altri sanno di lui allora può darsi che non sappia nulla di loro. Ciò dipende dal grado di conoscibilità dell’individuo, poiché il problema dell’individuo di padroneggiare la sua identità sociale dipende da quanti, in sua presenza, sanno di lui o no. Quando ci si trova con delle persone per le quali siamo degli estranei e a cui interessiamo solo per la nostra identità sociale, si può incorrere nel rischio per cui le persone possano iniziare a costruire un’identificazione personale di noi, o almeno un ricordo di averci visto comportarci in un certo modo. Il rischio dipende anche dalla probabilità o meno che le persone sfruttino i dati conoscitivi che ci riguardano al fine di ricostruire l’identità personale. Ogni volta che un individuo entra a far parte di una organizzazione o di una comunità, si verificherà un netto cambiamento nella struttura delle conoscenze che lo riguarda, nella sua distribuzione e nel suo carattere e, di conseguenza, nelle vicende del controllo dell’informazione. Per esempio, un ex malato di mente una volta uscito dal suo ricovero deve affrontare la realtà di aver fatto delle conoscenze durante quell’esperienza, conoscenze che poi dovrà salutare per strada o nel corso di circostanze sociali, provocando così la domanda di terzi: “chi era quello?” Chi si trova in tali condizioni e ha a che fare con persone che sanno di lui – ma di cui lui non ne è consapevole – possono identificarlo personalmente; lui magari invece non sa neanche di essere stato un malato di mente. Con il termine “riconoscimento” o “accertamento cognitivo”, Goffman fa riferimento all’atto percettivo di “situare” una persona in un’identità sociale a cui sta una determinata identità personale. L’accertamento dell’identità è una procedura del tutto normale in alcune organizzazioni (es: cassieri di una banca nei confronti dei clienti). Tra le persone che dispongono di informazioni biografiche riguardanti un certo individuo, cioè che sanno di lui, ci sarà sempre colui che farà parte di un circolo più ristretto in cui è conosciuto “socialmente” in forma più o meno intima e su di un maggiore o minore livello di uguaglianza. Essi non soltanto “sanno di” o “intorno” a lui, ma lo conoscono anche “personalmente”. Hanno perciò il diritto e l’obbligo di scambiarsi un saluto o quattro parole quando si ritrovano nella stessa situazione sociale, il che costituisce il “riconoscimento sociale”. Può capitare che l’individuo estenda il riconoscimento sociale anche verso coloro che effettivamente non conosce personalmente, o viceversa. In tutti i casi, 12 La precarietà della posizione di un individuo dipende dal numero di persone che conoscono fatti riguardanti il suo passato e il suo presente che questi non voleva rendere noti. Che siano pochi o molti coloro che sanno i fatti, l’individuo che vuole tenere il segreto vive una sorta di doppia vita che comprende chi pensa di conoscere tutto dell’uomo e chi lo conosce “realmente”. Vi sono diversi tipi di “doppia vita”. Ad esempio, quando un tale abbandona la comunità in cui ha vissuto per diversi anni, lascia dietro di sé una identificazione personale, spesso con annessa una biografia complessa di cui fanno parte anche le supposizioni riguardo al come egli “finirà”. Nella comunità in cui viene a trovarsi, quel tale svilupperà una biografia nelle menti degli altri, un ritratto completo che comprende una versione di quello che era prima e il retroterra da cui è venuto. È possibile che sorga una discrepanza tra queste due specie di conoscenza, come una “doppia biografia”; coloro che conoscevano il passato e coloro che conoscono il presente credono di sapere tutto della persona. Spesso tale discontinuità biografica viene risanata dalle informazioni che l’individuo fornisce riguardo il suo passato e aggiorna la sua biografia attraverso le notizie e i pettegolezzi sul suo conto. Questa saldatura è più semplice quando ciò che la persona è divenuta non costituisce un discredito rispetto a quello che era e quando ciò che era non costituisce un discredito troppo forte per quello che è divenuta. Nonostante si sia attenzionata maggiormente l’effetto che esercita un passato degno di biasimo nella vita dell’individuo, poca attenzione è stata data all’effetto che un presente degno di biasimo esercita sui suoi biografi del periodo precedente. In parole povere, si è data poca attenzione all’importanza che ha, per l’individuo, conservare un buon ricordo di sé tra coloro vicino ai quali non abita più, anche se rientra nella cosiddetta “teoria dei gruppi di riferimento”. Ad esempio, una prostituta – nonostante si sia adattata al suo ambiente urbano, ha sempre paura di incontrare qualcuno della sua cittadina natale che sarebbe in grado di indovinare i suoi attributi sociali presenti e riferirne poi al ritorno. In questo caso, essa vive costantemente sotto la minaccia del suo segreto. Riguardo il ciclo naturale del passaggio, è probabile che questo inizi dalla fase di non consapevolezza in cui chi compie il passaggio non si rende conto di quanto sta succedendo. Da qui si va al passaggio non voluto, di cui la persona si accorge solo quando sta per compiersi. Poi c’è il passaggio per “divertimento”, quello che avviene durante manifestazioni non abituali del rapporto sociale, come vacanze o viaggi, il passaggio che si ha durante le occasioni quotidiane come il lavoro o gli incontri nei locali pubblici. Infine, c’è la “scomparsa”, cioè il passaggio completo in tutti gli aspetti della vita e il cui segreto è noto solo all’interessato; ad esempio, un individuo sperimenta un passaggio completo quando decide di andarsene dalla sua città per andare a vivere in un’altra, chiudersi in una stanza per poi ricominciare in una nuova veste. Dal film “La negra bianca, 1949 di “Elia Zakan”:  Trama Pinky Johnson, dopo aver raggiunto il diploma al Nord, torna nel suo paese natale nel profondo sud degli Stati Uniti a trovare la nonna Dicey. Dicey è nera mentre lei ha la pelle chiarissima tanto che si faceva passare per bianca evitando così tutti i problemi razziali che avrebbe potuto incontrare a scuola e finendo per innamorarsi del dottor Thomas Adams, anche lui bianco. Il suo ritorno però provoca l'ostilità della gente del paese che non vuole dare a Dicey i soldi che le appartengono tanto che nonostante l'offerta del dottor Candy, che le chiede di diventare insegnante di infermeria nella sua scuola per gente di colore, pensa di tornare al nord. Decide di rimandare la partenza solo dopo tanta insistenza della nonna che la convince a prendersi cura di Miss Em, un'anziana vicina benestante e bianca che la ragazza non ha mai amato troppo. Pinky si comporta in modo professionale con la signora ma piano piano, iniziando a conoscerla meglio cambia la sua opinione nei suoi confronti soprattutto quando viene a sapere che è stata proprio Miss Em a prendersi cura di Dicey quando questa era malata di polmonite. Alla morte di Miss Em si scopre che l'erede è proprio Pinky ma Melba, lontana parente della donna, si oppone e Pinky è costretta a rivolgersi al tribunale per avere ragione. Sceglie come suo avvocato il giudice in pensione Walker, vecchio amico di Miss Em, che accetta con riluttanza. Il tribunale inaspettatamente dà ragione a Pinky, che per pagare le spese aiuta la nonna come lavandaia, ma la sua gioia viene raggelata dal procuratore secondo il quale giustizia è stata fatta ma non nell'interesse della comunità. Nel frattempo è arrivato Tom che consiglia Pinky di vendere la casa appena ricevuta in eredità e tornare al nord fingendosi bianca ma lei rifiuta. Ha capito che Miss Em aveva uno scopo se le ha lasciato la casa in eredità. La coppia di divide e nel finale Pinky apre una scuola di infermeria per gente di colore. […] In ciascuno di questi casi si può verificare una interruzione del ciclo ed un ritorno al punto di partenza. 15 Riguardo le fasi che attraversa lo stigmatizzato, è bene attenzionare quella fase in cui impara a passare. Quando una diversità è relativamente poco visibile, l’individuo deve imparare a nasconderla. Il punto di vista di chi lo osserva deve essere penetrato con cura ma non sviluppato. Partendo dal presupposto che tutto ciò che lui sa lo sanno gli altri, egli giunge spesso al giudizio realistico che le cose non stanno realmente così. Ad esempio, si hanno casi nei quali le ragazze che hanno perso la verginità si guardano allo specchio per vedere se il loro stigma è visibile e solo col tempo comprendono che il loro aspetto non è cambiato rispetto a prima. Grazie all’identità sociale chi ha un’identità segreta potrebbe trovarsi durante la sua vita quotidiana in tre possibili specie di luoghi: 1) Quelli vietati alle persone che sembrano rientrare nella sua stessa categoria e dove essere smascherati vuol dire essere espulsi; 2) Posti normali in cui le persone di un certo tipo, quando sono conosciute come tali, vengono trattate con la massima cura e talvolta con doloroso impegno, come se non avessero impedimenti ad essere accettate quando in realtà ne hanno; 3) Posti equivoci in cui le persone di un certo tipo vengono subito individuate e quindi non hanno bisogno di nascondere il proprio stigma né di preoccuparsi troppo di stabilire delle complicità affinché non sia rivelato. In certi casi, ciò è reso possibile in quanto ci si è scelti una compagnia di persone con lo stesso stigma o uno simile. In ambienti simili, lo stigma passerà inosservato. In altri casi, le circostanze di regressione sono state stabilite involontariamente dal fatto che un certo numero di persone, in seguito a una decisione amministrativa e contro la loro volontà, si trovano insieme in ragione di uno stigma comune. Che vi si trovi volontariamente o meno, l’individuo stigmatizzato proverà una certa eccitazione e si sentirà a proprio agio stando a contatto con i propri simili. Comunque, egli correrà anche il rischio di essere facilmente screditato qualora si trovi in presenza di una persona normale conosciuta altrove. Il giudizio dei normali verso gli stigmatizzati è il prezzo da pagare per aver occultato o aver rivelato il proprio stigma. Allo stesso modo il mondo degli individui è diviso spazialmente dalla sua identità sociale, dall’Io e dalla sua identità personale. Ci sono dei posti in cui è conosciuto personalmente, posti dove l’individuo può essere abbastanza sicuro di non incrociare gente che lo conosca personalmente e dove, escludendo i rischi particolari che devono affrontare le persone di fama o di cattiva fama conosciute da tanta che però non le conosce personalmente, egli potrà restare anonimo. L’imbarazzo scaturito dal fatto che vi siano persone che, in determinati luoghi, conoscono la sua identità personale dipende dalle circostanze e dalle persone stesse con cui si ritrova. Analizzando attentamente alcuni problemi e conseguenze del passaggio, possiamo dire che colui che “passa” scopre che certi bisogni non previsti provocano la rivelazione di informazioni che lo screditano, come quando la moglie di un ricoverato in clinica psichiatrica va a riscuotere il sussidio di disoccupazione del marito, ad esempio. È costretto ad abbandonarsi alla “tendenza all’approfondimento”, cioè è costretto a mentire sempre più complesse onde evitare di essere smascherato. Può darsi che le tecniche di adattamento feriscano qualcuno e creino incomprensioni. Può darsi che, nello sforzo di nascondere i suoi limiti ne emergano altri. Inoltre, chi compie il passaggio impara quello che gli altri “veramente” pensano di persone della sua specie. Egli viene a trovarsi nella condizione di chi non sa in che misura gli altri si siano informati sul suo conto. Chi compie il passaggio può darsi che debba subire l’esperienza della rivelazione durante un rapporto direttamente personale, che sia proprio tradito dalla debolezza che tenta di nascondere (es: i balbuzienti). Fa parte di tutti i gruppi stigmatizzati tirar fuori delle storie di smascheramenti imbarazzanti e, a livello individuale, quasi tutti gli stigmatizzati sono sempre pronti a offrire esempi estratti dalle proprie esperienze personali. È probabile che “chi passa” si ritrovi costretto a un confronto aperto con quelli che conoscono il suo segreto e sono pronti a contestargli le sue bugie. La presenza di compagni di sofferenza, o di assimilati, comporta tutto un insieme di fattori contingenti riguardo al passaggio, poiché proprio le stesse tecniche che vengono adoperate per nascondere gli stigmi possono essere smascherati da chi conosce i trucchi del mestiere. Chi desidera nascondere la propria minorazione noterà in altre persone i trucchi che utilizzano per nascondere la propria. Colui che nasconde la propria minorazione desidera anche che gli altri si comportino con disinvoltura, come se non se ne accorgessero. Lo smascheramento può spesso comportare dei sensi di colpa per aver cercato di nascondere la propria appartenenza. 16 Il controllo dell’informazione dell’identità esercita un particolare effetto sui rapporti. Più l’individuo stigmatizzato trascorre del tempo con qualcuno, maggiori saranno le informazioni che questo “qualcuno” assimilerà e che sarebbero capaci di screditarlo. Inoltre, ogni rapporto obbliga, in una certa misura, a scambiarsi i fatti intimi come prova di impegno e di reciproca fiducia. Il fenomeno del passaggio ha sempre sollevato tutta una serie di problemi sullo stato psichico di chi lo compie. In primis, si presuppone che egli ne risenta fortemente a livello psicologico, che abbia un alto livello di ansietà, per vivere una vita che può essere distrutta in ogni momento. Tuttavia, non sempre troviamo questa ansietà e spesso, chi compie il passaggio si sente dilaniato dall’attaccamento a due principi: - Proverà un po' di alienazione dal suo nuovo “gruppo” poiché è improbabile che sia in grado di identificarsi in pieno con il loro atteggiamento rispetto a come lui sa di poter essere presentato. - È possibile che provi dei sentimenti di disaffezione e di auto-depressione quando non può agire contro osservazioni “offensive” fatte dai membri della categoria nella quale sta passando contro la categoria che sta abbandonando, specialmente quando egli stesso trova pericoloso astenersi dal partecipare a questa denigrazione (es: donna zitella che finge di avere avuto delle avventure con degli uomini per far sì che le sue amiche, che denigrano le donne single, non denigrino anche lei). Inoltre, chi compie il passaggio deve tenere in considerazione anche quegli aspetti della situazione sociale che gli altri considerano come non calcolati e inattesi. Quelle che per le persone normali sono abitudini affrontate senza pensare, per le persone esposte a discredito diventano problemi da risolvere. Non sempre tali problemi possono essere affrontati con l’esperienza del passato, poiché potrebbero venire fuori sempre degli inconvenienti che rendono inadeguati i precedenti strumenti di occultamento. Per tale ragione, la persona che ha una manchevolezza deve sempre valutare la situazione sociale. Può darsi che sia necessario che il minorato osservi certi orari. C’è la pratica del “vivere al guinzaglio”, la cosiddetta “sindrome di Cenerentola” per cui la persona screditabile si mantiene vicina al posto in cui può riaggiustare il suo travestimento e riposarsi dalla tensione di doverlo portare. È anche possibile che quando lo stigma si presenta sin dalla prima infanzia, i genitori tendono a proteggere il loro figlio incapsulandolo nella protettività domestica e nell’ignoranza di quello che dovrà diventare. Quando il bambino si avventura fuori dalle pareti domestiche lo fa come un passante ignaro quando il suo stigma non è immediatamente percepibile. A questo punto i genitori si trovano dinnanzi il dilemma su come trattare l’informazione riguardante il loro figlio. Se il bambino viene informato della propria condizione in età scolare, si ritiene che non sia abbastanza forte psicologicamente per sopportare quella realtà e può darsi anche che egli riveli fatti che lo riguardano a chi non è necessario rivelarli. Se il bambino è tenuto per troppo tempo all’oscuro, può darsi che non sia preparato per quello che gli accadrà e gli potrebbe capitare di essere informato della sua condizione da estranei che non hanno alcun interesse nel presentargli i fatti con un certo tatto. 2.7. Tecniche per il controllo dell’informazione Si è detto che l’identità sociale di un individuo divide per lui il mondo delle persone e dei luoghi e che, sebbene in modo diverso, lo stesso viene fatto dalla sua identità personale. Quando si studia la quotidianità di uno stigmatizzato è necessario applicare i seguenti contesti di riferimento: il posto di lavoro, il luogo di residenza, i negozi dove va a fare acquisti, e tutti quei luoghi dove trascorre del tempo libero. Il ritmo della giornata è un concetto fondamentale perché è proprio questo ritmo che lega l’individuo alle sue diverse situazioni sociali. Tale ritmo viene studiato con una particolare prospettiva. Nella misura in cui l’individuo è stigmatizzato, si cerca quel ciclo abitudinario di restrizioni che egli deve affrontare per essere accettato socialmente. Nella misura in cui una persona è screditabile, si cercano le incognite che deve affrontare nel gestire l’informazione che lo riguarda. Analizzando le tecniche di cui si serve colui che ha un difetto per amministrare l’informazione decisiva che lo riguarda, possiamo dire che una delle prime strategie è quella di nascondere o di cancellare con ogni mezzo tutti quei segni che sono diventati simbolo di stigma. Un esempio ben noto è costituito dal cambio del nome. A volte l’occultamento dei simboli di stigma fa parte di un altro processo correlativo, cioè l’uso dei mezzi di disidentificazione. In questo caso si è di fronte a ciò che la letteratura spionistica definisce “copertura” o, in ambito di servizi coniugali, quando un gay e una lesbica decidono di sposarsi reprimendo le loro differenze. 17 altri hanno costruito una identificazione sociale e personale di lui, ma egli è libero di modellare a sua volontà tale materiale. Il concetto di identità sociale ci ha permesso di considerare la stigmatizzazione, il concetto di identità personale invece ci ha permesso di considerare il ruolo del controllo dell’informazione nell’amministrazione dello stigma. L’idea dell’identità dell’Io ci consente di considerare ciò che l’individuo sente riguardo allo stigma e alla sua amministrazione e ci fa attenzionare il consiglio che gli viene dato riguardo a questi problemi. 3.1. Ambivalenza Lo stigmatizzato si trova in una posizione di ambivalenza dinnanzi al proprio Io. Lo stigmatizzato rivela la tendenza a stratificare il “proprio” nella misura in cui lo stigma è evidente e intrusivo. Può assumere, riguardo a chi è stigmatizzato in modo più evidente di lui, quegli atteggiamenti che le persone normali prendono nei suoi confronti. È probabile che più l’individuo sia legato alle persone normali, più si considera tale, sebbene esistano dei contesti in cui sembra che sia vero proprio l’opposto. Sia che lo stigmatizzato si associ con quelli nelle sue stesse condizioni oppure no, può darsi che riveli un’ambivalenza di identità quando vede da vicino altri stigmatizzati che si comportano in modo stereotipico, in modo esibizionistico o mettendo in mostra le caratteristiche negative che vengono loro attribuite. Può darsi che provi repulsione per ciò poiché egli approva le norme della società più vasta ma la sua identificazione sociale e psicologica con i normali lo tiene legato a quello che respinge (lo stigma), trasformando la repulsione in vergogna. In breve, egli non può né identificarsi col suo gruppo, né distaccarsi da esso. L’espressione “preoccupazione per la purificazione del gruppo interno” si adopera per descrivere gli sforzi degli stigmatizzati non soltanto per “normalizzare” la loro condotta, ma anche per riformare il comportamento degli altri membri del gruppo. Sembra che tale ambivalenza si presenti in forma più acuta nel processo di “avvicinamento”, cioè quando l’individuo si accosta a un esempio indesiderabile delle persone che si trovano nelle sue stesse condizioni mentre è “con” una persona normale. Questo tipo di ambivalenza d’identità viene fuori soprattutto nei materiali scritti, parlati, nelle azioni dei rappresentanti del gruppo. Ad esempio, attraverso la letteratura satirica come barzellette, racconti popolari, opere teatrali vengono presentate in forma umoristica tutte le debolezze di chi fa parte della categoria rappresentata, presentate come stereotipi. 3.2. Presentazioni professionali Anche se lo stigmatizzato si definisce come una persona normale, coloro che lo circondano lo definiscono un “diverso”. In presenza di tale contraddizione, lo stigmatizzato fa di tutto pur di sottrarsi a questo suo dilemma, in particolare cercando di razionalizzare la sua condizione. Nella società contemporanea, ciò vuol dire non soltanto che lo stigmatizzato cercherà di propria iniziativa di costruirsi un codice, ma che riceverà aiuto dai professionisti, spesso sottoforma di racconto della loro storia o di come sono riusciti a controllare una situazione difficile simile. I codici che vengono presentati, in modo esplicito o implicito, allo stigmatizzato mirano a occultare certe questioni standard. Ad esempio, ad alcuni stigmatizzati come i malati di mente viene suggerito di occultare il proprio stigma a tutti quelli che conosce in modo superficiale ma di rivelarlo tranquillamente ai propri intimi. Altre questioni standard sono: la solidarietà da parte di chi si trova nelle sue stesse condizioni; il genere di fraternizzazione con le persone normali che deve essere mantenuto; i pregiudizi nei confronti dei suoi compagni di stigma con cui deve fare un compromesso e quelli invece che deve attaccare apertamente; la misura in cui deve presentarsi come una persona del tutto normale e quella in cui deve incoraggiare gli altri a trattarlo in maniera leggermente diversa; i fatti che riguardano gli stigmatizzati del suo stesso tipo di cui essere orgoglioso; il processo di “accettazione” della sua diversità in cui deve impegnarsi. Sebbene i codici e le direttrici di comportamento offerti a chi ha un particolare stigma siano diversi tra loro, ci sono certe argomentazioni che, anche se contraddittorie, godono del consenso generale. Lo stigmatizzato viene quasi sempre frenato nel tentativo di “passare” del tutto. Inoltre, lo stigmatizzato viene di solito ammonito a non accettare del tutto come propri gli atteggiamenti negativi degli altri nei suoi confronti. Tra questi, vi è ad esempio il “fare il pagliaccio” pur di ingraziarsi le persone normali, sfoderando tutte le qualità negative attribuite a chi si trova nella sua condizione. 20 All’opposto, lo stigmatizzato viene ammonito contro la “normificazione” o il “liberarsi dal complesso del buffone”; viene incoraggiato a disprezzare i suoi compagni di stigma che fanno di tutto per nascondere la loro condizione. Questi codici di comportamento non solo offrono allo stigmatizzato una base e una politica, regole sul modo di trattare gli altri, ma anche nozioni sul giusto atteggiamento da tenere nei confronti di sé stesso. Non aderire a questo codice vuol dire essere delusi e squilibrati; riuscirci equivale a dignità e concretezza, due qualità che insieme producono “l’autenticità”. Due esempi di implicazioni sono: i consigli riguardanti il comportamento personale, che stimolano lo stigmatizzato a diventare un critico dell’ambiente sociale, un osservatore di rapporti umani, così che assuma “consapevolezza della situazione”, mentre le persone normali presenti sono spontaneamente coinvolte nella situazione che per loro rappresenta un insieme di questioni non considerate; i consigli dati allo stigmatizzato che riguardano spesso quell’aspetto della sua vita che egli considera più intimo e vergognoso. In questo caso, le tematiche più intime e imbarazzanti diventano anche quelle più collettive proprio perché i più profondi sentimenti dello stigmatizzato sono quelli che vengono descritti, a voce o visivamente, dagli stessi stigmatizzati più colti e in grado di esprimersi in pubblico. E poiché le cose che legge, vede e sente lo stigmatizzato le leggiamo, vediamo e sentiamo anche noi, è inevitabile che questi libri e documenti visivi suscitino nello stigmatizzato la paura di essere smascherato o tradito sebbene possano essere d’aiuto. 3.3. Allineamenti con il gruppo interno Sebbene queste filosofie di vita siano proposte come punti di vista personali dello stigmatizzato, se si analizzano bene si vede subito che traggono origine da qualcos’altro, che consiste nei gruppi di individui che si trovano in situazioni analoghe. Ciò è naturale poiché ciò che l’individuo è, o potrebbe essere, deriva dal posto che quelli della sua specie occupano nella struttura sociale. uno di questi gruppi è rappresentato dai compagni di sofferenza dello stigmatizzato; questo è il vero gruppo al quale l’individuo appartiene naturalmente. Tutte le altre categorie e gruppi a cui l’individuo appartiene vengono implicitamente considerate come non suoi. Il suo vero gruppo è dunque quella categoria che può servire a screditarlo. Il carattere che i portavoce del suo gruppo consentono all’individuo deriva dal rapporto che egli intrattiene con questi e i suoi compagni di stigma; se si rivolge al gruppo è leale, altrimenti è un vigliacco o un pazzo. In questo caso, sociologicamente parlando, la natura di un individuo, così come lui e noi la concepiamo, dipende dal rapporto che intrattiene con il gruppo. Se si assume di fronte al problema una posizione dall’interno del gruppo, ci si fa sostenitori dell’idea per la quale lo stigmatizzato accetta tale posizione ogni volta che avrà contatti con gente del suo gruppo, esaltandone le qualità particolari e i contributi dati dai suoi compagni di stigma. Arriverà magari a esibire in modo fiero certi attributi stereotipici che potrebbe invece nascondere con facilità. Capita che lo stigmatizzato contesti la disapprovazione che hanno nei suoi confronti le persone normali e aspetti di coglierli alla sprovvista, cioè li osserva fino al punto di individuare il segno che dimostri che i loro tentativi di accettare lo stigmatizzato sono solo una messa in scena. Inoltre, ogni obiettivo politico di togliere lo stigma alla diversità, accade che l’individuo scopre che sono proprio i suoi sforzi a politicizzargli tutta la vita a rendergliela ancora più diversa da quella normale che gli è stata negata. Ciò vale anche se ne dai suoi sforzi ne trarrà vantaggio la generazione successiva. Inoltre, all’attrarre l’attenzione sulla situazione di quelli del suo gruppo, egli trasforma in un fatto concreto l’immagine pubblica della sua diversità e di quella degli altri stigmatizzati come lui che vengono così a costituire un gruppo sociale. Qualora egli cerchi di ottenere una separazione e non l’assimilazione, può darsi che si accorga che i suoi sforzi vengono formulati nel linguaggio e nello stile dei suoi nemici. Il suo disgusto per la società che lo respinge può essere inteso soltanto in rapporto al concetto di orgoglio, dignità e indipendenza che ha quella società. A meno che non abbia alle spalle una cultura diversa a cui appoggiarsi, più tenta di separarsi dalle persone normali, più è probabile che finisca per essere assimilato dai loro modelli culturali. 3.4. Allineamenti con il gruppo esterno Può darsi che il gruppo “proprio” dell’individuo influenzi il codice di condotta che i professionisti giudicano utile per lui. Allo stigmatizzato si chiede di considerarsi dal punto di vista di un secondo raggruppamento: quello delle persone normali e della società più vasta che costituiscono. 21 Il linguaggio di questa posizione ispirato alle persone normali è più psichiatrico che politico. Ci si appoggia a tutto il repertorio d’immagini tipico dell’igiene mentale. Chi aderisce alla linea proposta viene definito maturo e di lui si dice che ha raggiunto un buon livello di adattamento. Chi invece non vi aderisce è considerato un incapace, una persona che mana di adeguate risorse psicologiche. Allo stigmatizzato si consiglia di considerarsi un essere umano a tutti gli effetti, non il membro di un gruppo o di una categoria, e come uno che è stato escluso solo da uno dei tanti aspetti della vita sociale. Poiché ciò che lo riguarda è niente in sé stesso, egli non dovrebbe vergognarsi per sé né per i suoi compagni di destino, né dovrebbe occultarlo. Egli dovrebbe rispondere a tutte le esigenze ordinarie come può, arrestandosi solo quando nasce il problema della normificazione e cioè quando i suoi sforzi possono dare l’impressione che egli volesse negare la sua identità. Poiché le persone normali hanno i loro problemi, lo stigmatizzato non dovrebbe amareggiarsi, provare risentimento o vittimizzazione, ma dovrebbe mostrarsi allegro e espansivo. Da ciò deriva il modo di trattare le persone normali. La capacità che lo stigmatizzato acquisisce nell’affrontare situazioni sociali miste dovrebbe essere adoperata per aiutare gli altri. Le persone normali non intendono realmente fare del male e quando accade è per ignoranza. Per questo bisognerebbe guidarli nel comportarsi in modo adeguato. Lo stigmatizzato dovrebbe sforzarsi di rieducare con senso di solidarietà la persona normale mostrandole, con pazienza e tatto, che, malgrado le apparenze, egli è dopo tutto un essere umano in piena regola. L’individuo ne trae che coloro su cui può realmente contare sono coloro che sono i meno accettati come normali, i meno gratificati dal piacere di un facile rapporto sociale con gli altri. Più lo stigmatizzato si allontana dalla norma e più è probabile che si impadronisca pienamente della sua soggettività, visto che deve convincere gli altri di possederla, e più gli altri gli chiederanno un modello a cui i normali vorrebbero adeguarsi nei loro rapporti con lo stigmatizzato. Quando questi ritiene difficile che le persone normali ignorino la sua minorazione, dovrebbe cercare di aiutarle e di modificare la situazione sociale con uno sforzo di ridurre la tensione. In simili circostanze, lo stigmatizzato cercherà per esempio di rompere il ghiaccio riferendosi esplicitamente alla sua minorazione, in modo da mostrare distacco e spensieratezza nell’accettazione della propria condizione con serenità. Inoltre, lo stigmatizzato, che si trova in compagnia mista, può ritenere utile parlare della sua invalidità e del suo gruppo nel linguaggio di cui si serve quando è con i suoi compagni di stigma e nel linguaggio che usano nei suoi riguardi le persone normali quando si trovano tra loro. In tal modo, egli propone alle persone normali presenti lo status temporaneo di “saggi”. Altre volte può darsi che consideri appropriato conformarsi all’etichetta dello smascheramento e presentare la sua minorazione come argomento di seria conversazione, sperando così di ridurne il significato come argomento di preoccupazione repressa. Vi sono anche altri mezzi per aiutare gli altri a comportarsi con tatto nei suoi confronti. Ad esempio, nel caso di sfregi facciali, un modo è di fermarsi sulla soglia della stanza il tempo necessario perché le persone presenti possano controllare le proprie reazioni. Si consiglia allo stigmatizzato di comportarsi come se gli sforzi delle persone normali per facilitargli le cose fossero efficaci. Si devono accettare con una certa delicatezza offerte non richieste di aiuto, solidarietà e collaborazione, sebbene spesso lo stigmatizzato consideri queste cose come un’invasione della sua privacy e come gesti presuntuosi. Sebbene l’accettare tali richieste rappresenti uno sforzo per lo stigmatizzato, si esige da lui ancora di più. Se veramente lui accetta la sua diversità, tale accettazione avrà un effetto immediato sopra le persone normali, rendendo loro più facile sentirsi a proprio agio con lui in situazioni sociali. In altre parole, si consiglia allo stigmatizzato di accettarsi come una persona normale, per i vantaggi che i normali trarranno dal suo modo di essere, così come i vantaggi che ne ricava lui durante l’interazione diretta. Dato che spesso i normali concedono allo stigmatizzato la possibilità di trattare la sua minorazione come se fosse una cosa di nessuna importanza, è probabile che questi, dopotutto, si senta un essere umano normale lasciando cadere ogni difesa, finendo nel credere di essere accettato più di quanto non lo sia realmente. Pertanto, cercherà di farsi accettare socialmente in ambienti e situazioni che gli altri gli precludono. Proprio il fatto che lo stigmatizzato possa prendere troppo sul serio di essere accettato con tatto, dimostra quanto sia suscettibile quell’accettazione. Dipende dalle persone 22 Non è tanto importante sapere quante persone hanno vissuto l’esperienza con uno stigma, ma stabilire le diverse forme in cui l’ha vissuta. È dunque legittimo affermare che le norme dell’identità alimentano le deviazioni così come alimentano il conformismo. Vi sono due modi di risolvere questa condizione: 1) Il primo riguarda quelle categorie di persone che decidono di aderire a una norma, mentre altri la definiscono come un criterio non fondamentale affinché possa essere messa in pratica, anche a livello soggettivo. 2) Il secondo riguardava chi non può far propria una norma di identità senza finire con l’identificarsi con la comunità stessa. Tali processi costituiscono una terza soluzione al problema delle norme non sanzionate. Attraverso quest’ultimi, la base comune delle norme può essere mantenuta aldilà del circolo di quelli che le realizzano compiutamente. Questa è una dichiarazione sulla funzione sociale di questi processi e non sulla loro causa o sulla loro desiderabilità. Si tratta del “passare” e del mascheramento, della “copertura”, che rappresentano un esempio di come viene gestita l’impressione che l’individuo fa sugli altri. Si tratta anche di una forma volontaria di cooperazione tra persone normali e stigmatizzati. Chi devia può permettersi di restare attaccato alla norma perché altri rispettano il suo segreto. Questi altri, a loro volta, tratteranno lo stigmatizzato con tatto, perché questo si asterrà volontariamente dal pretendere di essere accettato aldilà del limite che le persone normali delineano. 4.2. Il deviante normale La gestione dello stigma è una caratteristica generale della società, un processo che ha luogo ovunque ci siano norme di identità. Le stesse caratteristiche si presentano se è in gioco una maggiore diversità del genere che tradizionalmente si chiama stigmatico o una diversità insignificante di cui la persona esposta alla vergogna si vergogna di vergognarsi. Il ruolo della persona normale e quello dello stigmatizzato fanno parte dello stesso complesso. Gli studiosi con orientamento psichiatrico sostengono che il pregiudizio nei confronti di un gruppo stigmatizzato può essere una forma di malattia. Si può presuppore che le persone con stigmi differenti si trovino in una situazione particolarmente simile e rispondano in modo simile. In secondo luogo, si può presuppore che lo stigmatizzato e la persona normale abbiano la stessa struttura mentale e che questo sia il primo presupposto della nostra società. Chi può impersonare uno di questi ruoli dispone degli stessi strumenti richiesti per ricoprirne un altro e infatti, per questo o per quello stigma, è probabile che abbia sviluppato lo stesso tipo di esperienza. La cosa più importante di tutte è che proprio il concetto delle differenze che provocano vergogna, si avvicina alle credenze fondamentali che riguardano l’identità. Anche se un individuo ha sentimenti e credenze anormali, è probabile che abbia preoccupazioni normali e si serva di strategie normali nel tentativo di nascondere agli altri tali anomalie. Se dunque non possiamo chiamare lo stigmatizzato un deviante, sarà meglio chiamarlo un deviante normale. Per esempio, sembra che le persone che si trovano liberate da uno stigma (es: coloro che si sottopongono alla chirurgia plastica) si accorgono che la propria personalità è alterata. Di ciò possono accorgersene anche gli altri. Tale alterazione può essere accettabile, come può accadere che coloro che hanno d’improvviso acquisito un difetto si trovino dinnanzi un cambiamento nella loro personalità apparente. Questi mutamenti sono il risultato del fatto che la persona si trova in un nuovo rapporto individuale. Ciò implica l’uso conseguente di una nuova strategia dell’adattamento. Un’altra prova importante deriva da esperimenti sociali in cui i soggetti prendono in piena coscienza un difetto in modo temporaneo e spontaneamente manifestano le reazioni e si servono dei rimedi che di solito vengono adoperati tra i minorati. Inoltre, il passaggio dallo stato di stigmatizzazione a quello normale avviene presumibilmente come l’individuo lo aveva immaginato e per questo riesce a sopportarlo psicologicamente. Comunque, è difficile capire come persone che si trovano ad affrontare una rapida trasformazione della loro vita dallo stato di normalità a quello di stigmatizzazione possano sopravvivere a tale mutamento. Eppure, molti ci riescono. Tuttavia, il carattere doloroso di una rapida stigmatizzazione non deriva dalla confusione che l’individuo ha riguardo la propria identità, ma dalla consapevolezza di sapere cos’è diventato. Nel dramma normale-deviante, l’individuo è in grado di recitare tutt’è due le parti. Ma è probabile che abbia quella stessa capacità anche all’interno di un rapporto sociale occasionale. Ciò è facilitato dal fatto che i ruoli dello stigmatizzato e del normale non solo sono puramente complementari, ma hanno anche notevoli parallelismi e somiglianze. 25 Può darsi che chi si cimenta in uno dei due ruoli sospenda il contatto con l’altro e si serva di ciò proprio come mezzo di adattamento. Ciascuno dei due ritiene di non essere pienamente accettato dall’altro, che il suo comportamento sia osservato con troppa insistenza. Succederà allora che tutti e due avranno la tendenza a restare sulle sue per evitare il problema. Inoltre, le asimmetrie che esistono tra i due ruoli vengono spesso mantenute entro limiti tali da accelerare il mantenimento della situazione sociale che va sviluppandosi. La consapevolezza del ruolo svolto dall’altro deve essere sufficiente così che, quando non vengono impiegate certe tattiche di adattamento da uno della coppia che si trova in rapporto, l’altro saprà come intervenire e prendere su di sé quel ruolo. Per esempio, se lo stigmatizzato non riuscirà a presentare la sua minorazione con naturalezza, toccherà alla persona normale assumersi questo compito. Può anche darsi che lo stigmatizzato accetti volentieri l’aiuto del normale. Inoltre, lo stigmatizzato può anche abbandonarsi per scherzo a scene di degradazione con un compagno di stigma recitando il ruolo dei più rozzi dei normali, mentre egli fa sfoggio del suo ruolo complementare per poi abbandonarsi alla ribellione per “delega”. Fa parte di questo triste piacere servirsi di termini di stigma ridicolizzati, modi di rivolgersi allo stigmatizzato che, di solito, sono tabù nella società “mista”. Questo gioco da parte dello stigmatizzato dimostra non tanto una specie di distanza cronica che l’individuo ha rispetto a sé stesso, quanto che lo stigmatizzato è prima di ogni cosa abituato alla concezione che gli hanno di persone come lui. Un caso particolare in cui un linguaggio auto-offensivo viene usato con leggerezza è offerto dai professionisti che appartengono al gruppo. Quando questi descrivono il loro gruppo alle persone normali, incarnano gli ideali di questi. Quando si trovano in circostanze sociali con quelli della loro condizione accade che si sentano particolarmente obbligati a mostrare di non aver dimenticato i costumi del gruppo o il proprio posto nella società. Può accadere che chi li sta a sentire si dissoci dagli atteggiamenti che ancora ha in parte e che invece si identifichi la dimensione che ancora non ha pienamente acquisito. In ogni caso, è normale scoprire che quello stesso rappresentante del gruppo stigmatizzato ha la capacità di essere più “normale” nei modi di quanto non lo siano i membri del gruppo che condividono con lui tali atteggiamenti. Lo stesso vale anche per la conoscenza originaria del gruppo, che lui deve saper padroneggiare meglio di tutti gli altri. Se poi chi rappresenta il gruppo non ha questa capacità di presentarsi con due facce, sarà messo a dura prova. 4.3. Stigma e realtà Lo stigmatizzato e il normale sono parte uno dell’altro e, se si dimostra che l’uno è vulnerabile, c’è da aspettarsi che lo sia anche l’altro. Perché, nell’assegnare l’identità agli individui, siano stigmatizzati o meno, la società più ampia ed i suoi componenti si sono in un certo senso compromessi, esponendo sé stessi alla dimostrazione della loro follia. Spesso la persona che “passa”, una volta tanto, racconta l’evento ai suoi amici come prova di follia delle persone normali e del fatto che i loro argomenti riguardo alla sua diversità non sono altro che delle pure e semplici razionalizzazioni. Questi errori di identificazione vengono repulsi o mascherati da colui che “passa” e dai suoi amici. Analogamente si scopre che coloro che di solito nascondono la loro identità personale o la loro occupazione si divertono talvolta a tentare i normali; ad esempio, tireranno in ballo, in presenza dei normali, di argomenti che li metteranno in ridicolo perché esprimono nozioni che la presenza di chi “passa” smantellerà implicitamente. In questi casi, a dimostrarsi falso non sarà il diverso, ma tutte quelle che cadono nel suo tranello e cercano di difendere i modelli convenzionali di trattamento. Ad esempio, capita che il minorato fisico sia costretto a ricevere offerte di simpatia e rispondere a domande di estranei, e difenda la sua privacy comportandosi senza tatto. Oltre a ciò, vi è un ulteriore sistema di mettere gli altri alla gogna. Esso si ha, per esempio, quando i membri dei gruppi svantaggiati, durante un’occasione sociale, inventano una storia su sé stessi e i loro sentimenti, storia inventata ad hoc per suscitare la solidarietà dei normali. La realtà sociale che risulta dall’incontro tra un individuo sensibile di un gruppo particolarmente stigmatizzato e una persona normale con sentimenti civili avrà sempre una sua storia. Il momento in cui un attributo stigmatizzante viene a perdere la sua durezza è solitamente preceduto da un periodo in cui la definizione corrente dello stigma è bersagliata da vari attacchi. Ciò dura fino a quando quella definizione ha cessato di essere il termine di riferimento per stabilire quello che è lecito mostrare e quello che invece deve essere mantenuto segreto. In conclusione, lo stigma non riguarda tanto un insieme di individui concreti che si possono dividere in due gruppetti – lo stigmatizzato e il normale – quanto piuttosto un processo sociale a due, assai complesso, in cui ciascun individuo partecipa a ambedue i ruoli in certi periodi della vita e per quello che riguarda certe connessioni. Il normale e lo 26 stigmatizzato non sono persone, ma piuttosto prospettive che si producono in situazioni sociali durante i contatti misti. Gli attributi di tutta la vita di un particolare individuo possono formare uno stereotipo. Può darsi che egli giochi il ruolo dello stigmatizzato in quasi tutte le situazioni sociali, rendendo naturale che si parli di lui, come di una persona stigmatizzata la cui situazione di vita lo colloca in opposizione ai normali. I suoi particolari attributi stigmatizzanti non determinano la natura dei due ruoli, il normale e lo stigmatizzato, ma soltanto la frequenza con cui egli ne assume uno. Poiché sono in gioco dei ruoli di interazione e non degli individui concreti, non dovrebbe sorprendere che in molti casi chi è stigmatizzato in un senso mostri tutti i normali pregiudizi che vengono mantenuti verso chi è stigmatizzato in un altro senso. Quando gli stigmi sono molto visibili o intrusivi, oppure ereditari, allora l’incertezza nell’interazione che ne deriva può manifestare i suoi effetti su coloro ai quali è attribuito il ruolo di stigmatizzati. Il fatto di percepire la non- desiderabilità di una caratteristica personale particolare e la capacità di far scattare questo processo stigma-normalità hanno una storia tutta propria. Sebbene si possa obiettare che i processi di stigma sembrano esercitare una funzione sociale generale, cioè quella di reclutare l’appoggio alla società fra coloro che non sono appoggiati da essa, e che in tale misura resistono al cambiamento, si deve notare la presenza di ulteriori funzioni che variano a seconda dello stigma. La stigmatizzazione di coloro che hanno una cattiva reputazione di vita morale può servire come mezzo per il controllo sociale a livello formale, mentre la stigmatizzazione di chi appartiene a certi gruppi razziali religiosi ed etnici ha apparentemente funzionato come mezzo per escludere tali minoranze dai campi di concorrenza. CAPITOLO 5 – DEVIAZIONI E “DEVIANCE” Una volta considerata la dinamica della diversità che produce vergogna come una caratteristica fondamentale della vita sociale, si attenzionerà il rapporto dello studio di essa con quello dei problemi collaterali sintetizzati nel termine “deviance”; questo termine è stato fortemente utilizzato da coloro che si occupano di scienze sociali. Qualsiasi individuo che non aderisce alle norme del gruppo di cui fa parte può essere definito deviante e la sua caratteristica “deviazione”. I devianti differiscono l’uno con gli altri, in parte a causa della profonda differenza dovuta alla consistenza dei gruppi in cui avvengono le deviazioni ed è per questo che non è possibile compiere un’unica analisi per tutte le forme di deviazione. Si può però suddividere il campo in settori più piccoli. In alcuni gruppi sociali ristretti il fatto di ricoprire una solida, influente posizione autorizza colui che la occupa a deviare. Il rapporto che il deviante ha con questo tipo di gruppo e il modo in cui è considerato dagli altri membri sono tali da impedire, proprio in virtù della sua deviazione, di ristrutturare il contesto. Quando il gruppo è grande, la persona che si trova ai suoi vertici scoprirà magari che deve tenere un comportamento conformistico, deve salvare le apparenze, come nel caso dei malati di mente. Se sa padroneggiare adeguatamente la sua condizione, può deviare da certi comportamenti standardizzati, senza che ciò abbia conseguenze su di lui o sul suo rapporto con il gruppo. La persona che si trova in una posizione eminente e il malato sono liberi di deviare, perché la loro deviazione può essere pienamente eliminata senza riaprire per nessuno il problema dell’identificazione. La loro situazione particolare dimostra che essi non sono nient’altro che dei devianti. In molti gruppi particolarmente ristretti e solidali si hanno esempi di un membro deviante sia per le azioni che per gli attributi, o per ambedue, e che di conseguenza viene a esercitare un ruolo speciale, divenendo il simbolo del gruppo e colui che adempie a certe funzioni, anche quando gli viene negato il rispetto che invece è dovuto ai membri di pieno diritto. Questo individuo non ricorre più alla distanza sociale e può avvicinarsi e può essere avvicinato dagli altri senza problemi. Egli diventa spesso il centro dell’attenzione che tiene tutti gli altri legati in un cerchio intorno a lui, anche se ciò gli limita molto la possibilità di partecipare. In parole povere, diventa la mascotte del gruppo anche se in realtà dovrebbe essere considerato un membro a tutti gli effetti. Ci si aspetta di trovare soltanto un tipo di questo genere per ogni gruppo, poiché ne basta uno solo, visto che esempi più numerosi non farebbero altro che rappresentare un ulteriore peso per la comunità. Tale persona può essere definita come un deviante del gruppo interno, poiché si tratta di un deviante in un gruppo specifico piuttosto che di un deviante di norme e la cui inclusione piena, anche se ambivalente, nel gruppo lo distingue da un altro ben noto tipo di deviante, l’isolato del gruppo che, pur senza farne parte, si trova spesso in situazioni sociali con esso. Quando il deviante del gruppo interno viene attaccato da estranei, 27