Scarica Storia contemporanea vol.2: Il Novecento e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! STORIA CONTEMPORANEA Capitolo 1. - La “GRANDE GUERRA” 1.1 La guerra del 1914-18 fu combattuta in massima parte in Europa, però coinvolse per la prima volta anche importati Stati extraeuropei come gli Stati Uniti ed il Giappone. -Conflitto mondiale: La “Grande guerra” rimase impressa nella memoria collettiva perché non si erano mai visti eserciti così grandi, il loro potenziale distruttivo crebbe in maniera esponenziale con il massiccio uso bellico degli apparati industriali e delle tecnologie sviluppatisi. Circa 8 milioni di caduti. Effetti della guerra: ● Scomparsa di quattro imperi: quello russo, abbattuto da una rivoluzione; quello degli Asburgo; quello tedesco, che lasciò il posto ad una repubblica; quello Turco. ● Stati Uniti prevalsero sulla Gran Bretagna nel ruolo di superpotenza mondiale. ● Fine dell’ancien règime (antico regime) e avvento della società di massa. ● La pace punitiva imposta alla Germania alimentò le forze nazionaliste ponendo le basi di quella che è stata chiamata “guerra dei trent’anni” del Novecento. ● Crebbe un forte impulso tra i movimenti di liberazione dei popoli coloniali. Nessuno aveva previsto e tanto meno auspicato una guerra che avesse durata, natura e conseguenze simili. Nessuno avrebbe immaginato quale reazione a catena avrebbe innescato il fatto che scatenò la guerra: l’ASSASSINIO DELL’ARCIDUCA FRANCESCO FERDINANDO, erede al trono d’Austria-Ungheria, che nel 28 Giugno 1914 rimase vittima di un attentato terroristico a Sarajevo, capitale della Bosnia. Il gesto fu opera di un gruppo irredentista slavo (Mano Nera) e l’Austria reagì dando per certa la corresponsabilità della Serbia. L’attentato fu preso a pretesto per ‘dare una lezione’ alla Serbia e per riuscire a controllare meglio l’influenza in quell’area. L'Austria quindi consegnò a Belgrado un ultimatum. Il documento aveva un carattere provocatorio in quanto esigeva una risposta entro 48 ore e pretendeva che i rappresentanti austriaci partecipassero all’inchiesta sull’attentato: accettando la Serbia avrebbe rinunciato alla propria sovranità quindi la sua replica fu negativa. Il 28 Luglio l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. Entrarono quindi in gioco tutte le alleanze: la Russia si alleò con la Serbia, data la comune religione ortodossa e gli interessi economici che aveva in essa, reagì subito mobilitando l’esercito; La Germania chiese alla Russia di smobilitarsi e alla Francia di prendere una posizione di neutralità, non avendo ricevuto risposte positive dichiarò guerra ad entrambe, invase il Belgio; A fianco della Francia e del Belgio si schierò la Gran Bretagna; l’Italia nonostante facesse parte della Triplice Alleanza si dichiarò neutrale; il Giappone dichiarò guerra alla Germania per le posizioni che possedeva in estremo Oriente, poi fu la volta della Turchia; Italia, Romania e Grecia contro la Triplice Alleanza. Chi ne portò la responsabilità? La responsabilità fu attribuita all’Austria e ancor più alla Germania, che le garantì un appoggio incondizionato e prese l’iniziativa. La via del negoziato fu battuta dalla sola Gran Bretagna, ma il suo tentativo fu incerto e si scontrò con l’intransigenza degli altri Stati. Rivalità imperialistiche, corse agli armamenti, tensioni internazionali tra le grandi potenze, movimenti nazionalisti, meccanismi istituzionali e problemi sociali nei vari paesi: tutti questi fattori contribuirono a provocare il conflitto, ma nessuno basta solo a chiarire le cause e le caratteristiche. Ciò che non si poteva stabilire e che non fu previsto era il tipo di guerra a cui si andava incontro. Abituati a conflitti brevi, lontani e territorialmente circoscritti, i governanti europei agirono come “sonnambuli” e presto tutte le aspettative basate sull’esperienza del passato andarono deluse. 1.2 Il caso più noto di disposizione strategico- militare offensiva era il “piano Schlieffen” (dal nome del capo di stato maggiore tedesco che lo elaborò) il quale prevedeva una veloce campagna risolutiva contro la Francia, che richiedeva il passaggio nel Belgio. Nonostante alcuni successi iniziali, l’offensiva della Germania non conseguì i risultati sperati e venne arrestata dagli angli-francesi sul fiume Marna. Alla fine del 1914 la guerra era già divenuta una guerra di posizione. Le battaglie presentano alcuni tratti comuni dovuti all’equilibrio militare fra le parti, che vanificò gli ostinati tentativi degli alti comandi di conseguire la vittoria sul campo. Il terreno conquistato fu in genere ben poco e i fronti rimasero per lo più immobili per tutta la durata della guerra. Una strategia fondata su l'attacco frontale fece bruciare enormi energie in scontri tanto sanguinosi, quanto poco risolutivi. Quella del 1914-18 fu insomma una micidiale guerra di logoramento. Tra le atrocità della guerra ci fu anche il genocidio. Ne rimase vittima il popolo armeno, che accusato di disfattismo, venne usato come capro espiatorio delle sconfitte belliche sfruttando il contrasto religioso che divideva i cristiani armeni dai turchi musulmani. Mediterraneo contava quanto e più della conquista di Trento e Trieste. La scelta di campo, maturò soltanto dopo che i tedeschi furono fermati alla Marna. L'esercito venne guidato da Luigi Cadorna, attraverso un totale dispregio delle esigenze materiali e morali dei soldati fondando la disciplina sul terrore, né i già difficili rapporti fra stato maggiore e potere civile. 1917: le linee italiane vennero sfondate a Caporetto. Questo evento fece sì che si formasse un nuovo governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando e Cadorna fu sostituito da Armando Diaz, la cui accorta guida dell'esercito creò le premesse per la vittoria, conseguita il 24 Ottobre 1918 a Vittorio Veneto. Con un debito estero pari a oltre 7 volte il valore delle esportazioni e i prezzi saliti più che in Germania, dipendente dagli Stati Uniti non solo per rifornirsi di merci e materie prime ma addirittura per sfamarsi, l'Italia usciva vittoriosa dalla guerra, ma così prostata che la sua situazione era paragonabile a quella di una nazione sconfitta. 1.7 Ad imprimere al conflitto una svolta decisiva fu però l'intervento degli Stati Uniti. Prima si dichiararono neutrali, a mutare l'atteggiamento e a far entrare gli USA nel conflitto fu l'indiscriminata guerra sottomarina tedesca, che colpì anche i convogli e gli interessi americani violando il diritto internazionale. Dall'inizio della guerra, per di più, la crescita dei commerci con i paesi dell'Intesa aveva sì arricchito gli Usa, ma li aveva anche esposti finanziariamente e la loro sconfitta sarebbe stata disastrosa per gli interessi americani. L'intervento degli Usa rafforzò l'Intesa anche sul piano ideologico. La rivoluzione russa di febbraio aveva eliminato con lo zarismo la più eclatante contraddizione dell'immagine di una guerra democratica. Nel gennaio 1918 Wilson espresse in 14 punti il suo programma per la pace e per un ordine mondiale che scongiurasse nuovi conflitti. Libertà di commercio, riduzione degli armamenti, autodeterminazione dei popoli, rispetto delle minoranze e formazione di una Società delle nazioni per comporre le controversie internazionali erano i principi informatori dei Quattordici Punti. Ma le speranze di una pace negoziata furono sepolte dato che si ridusse la disponibilità degli imperi centrali a un accordo e il conflitto divenne una guerra a oltranza, sino al limite estremo. Mentre gli ex imperi centrali sprofondavano nel disordine, a Parigi, Londra, Roma e New York la fine della guerra fu salutata da entusiastiche manifestazioni di giubilo. Capitolo 2. - IL DOPOGUERRA IN EUROPA 2.1 I delegati dei paesi vincitori nel 1919 si riunirono a Versailles per ridisegnare l'assetto dell'Europa. Alla conferenza di pace erano presenti Wilson per gli USA, Lloyd per GB, Clemenceau per la Francia e Orlando per l'Italia. Furono invece esclusi i paesi vinti, a cui i trattati vennero imposti senza possibilità di discuterli. L'Italia scontò la sua inferiorità vedendosi relegata in un ruolo secondario e frustrata nelle sue pretese di ampliamenti territoriali. Il risultato fu una pace punitiva nei confronti dei vinti, frutto di un compromesso tra gli egoismi espansionistici dei vincitori e quindi incapace di porre le basi di un equilibrio duraturo. TRATTATO DI VERSAILLES: ● Imposizione alla Germania di restituire l'Alsazia e la Lorena alla Francia e di cedere altri territori alla Danimarca e alla Polonia. ● Ad essa fu dato sbocco al mare creando un “corridoio” fino a Danzica e separando la Prussia orientale dal resto della Germania. ● La regione carbonifera della Saar fu assegnata alla Francia. ● Le rive del Reno vennero smilitarizzate ed in parte occupate. ● Inghilterra e Francia si spartirono le colonie tedesche, la flotta fu eliminata e l'esercito ridotto a 100000 uomini. ● Fu costretta a pagare una cifra iperbolica come “riparazione” dei danni di guerra. Le sorti degli altri paesi sconfitti furono decise da altri trattati. L'Italia ottenne Trentino, Sud Tirolo, Trieste e Istria. Il nuovo assetto europeo scaturì da un compromesso fra la politica imperialistica della GB e soprattutto della Francia e gli orientamenti di Wilson. Questi fece introdurre nel trattato di Versailles l'atto costitutivo della Società delle Nazioni, che avrebbe dovuto risolvere i conflitti internazionali con un'opera di arbitrato, ricorrendo se necessario a sanzioni e all'uso della forza. La società non svolse però tali funzioni, rimase di fatto asservita agli interessi di Francia e Inghilterra. Ciò non dipese solo dall'intenzionale esclusione della Germania e della Russia. Gli stessi Stati Uniti non aderirono alla Società, tornando al loro isolazionismo. La pace imposta alla Germania era in effetti umiliante e alimentò un rancore e una volontà di rivincita analoghi a quelli covati dalla Francia dopo il 1870, che furono sfruttati dalla destra militarista e antirepubblicana. Il trattato di Versailles contribuì a indebolire la nuova repubblica tedesca, la quale non trovò altro modo altro modo di pagare le riparazioni se non stampando carta moneta alimentando così un'inflazione devastante. Inoltre la Francia occupò il più importante bacino industriale tedesco, quello della Ruhr. Nella Russia sovietica invece i popoli coloniali premevano per uscire in nome del principio di autodeterminazione. Esempio: Turchia, dove un movimento nazionalista guidato da Mustafa Kemal esautorò il sultano, cacciò i greci dall'Anatolia e nel 1923 istituì una repubblica laica. 2.3 Nel 1919-20 il numero degli scioperanti si impennò rispetto al periodo prebellico. Un così brusco e generalizzato balzo delle tensioni sociali, unito alla suggestione esercitata dall'esempio russo sulle masse europee, fece apparire il 1919-20 come un “BIENNIO ROSSO”. Germania: Prima ancora dell'armistizio in Germania si diffusero “consigli” degli operai e dei soldati che configurarono una forma di rappresentanza alternativa a quella parlamentare. Il movimento consiliare dilagò nel paese togliendo l'iniziativa alle forze moderate. Il kaiser Guglielmo II dovette abdicare e l'incarico di cancelliere andò al leader socialista Friedrich Ebert. La Germania si trasformò in repubblica in un clima infuocato e in un'ambigua situazione di collaborazione tra nuovi e vecchi poteri. Nel Gennaio 1919 l'esempio bolscevico spinse alcuni settori dell'estrema sinistra a proclamare l'insurrezione a Berlino. La rivolta fu spietatamente repressa dal governo, ed i leader comunisti furono assassinati, tra cui Rosa Luxemburg. Il nuovo Stato si fondava sull'alleanza tra queste forze e i socialdemocratici maggioritari, che operarono con ogni mezzo per arginare la rivoluzione. Austria: Si avviò per trasformarsi in una repubblica. Ungheria: Una rivoluzione scoppiò in Ungheria. Il neonato partito comunista e quello socialdemocratico si unirono per dar vita a un governo guidato dal comunista Bèla Kun. L'Ungheria fu aggredita dai rumeni e dai cechi, appoggiati dall'Intesa, Kun dovette dimettersi e l'ammiraglio Miklos Horthy instaurò una dittatura controrivoluzionaria. La caduta della repubblica sovietica ungherese segnò la fine di ogni prospettiva di rivoluzione in Europa ma non delle speranze postevi dai bolscevichi. Per sostenerle questi avevano fondato nel 1919 una nuova organizzazione internazionale (la terza) il COMINTERN. Una svolta venne allora decisa dal III Congresso del 1921, che inaugurò la politica del “fronte unico” fra comunisti e socialisti. 2.4 Italia: L'Italia fu il paese europeo che la Terza Internazionale ritenne più vicino alla rivoluzione. Nel 1919-20 gli scioperi operai ebbero un poderoso aumento, ottenendo importanti conquiste tra cui la giornata lavorativa di otto ore. Si aggiunse inoltre un'esplosione di conflittualità nelle campagne. Questo protagonismo delle masse riflesse in una grande crescita dei sindacati (4 milioni di iscritti). 2.6 Il termine “stabilizzazione” sarebbe dunque applicabile solo alla Gran Bretagna e alla Francia. Le guerra non aveva mietuto vittime soltanto tra le popolazioni europee. Le potenze europee avevano preteso dai popoli delle colonie un pesante tributo di sangue e il premier inglese Lloyd aveva accettato che nel suo governo di guerra sedessero con pari dignità anche i rappresentanti dei dominions dell'impero britannico. Al tempo stesso, i dominions tra i motivi della guerra avevano incontrato idee d'indipendenza e libertà applicabili anche allo stato di soggezione e sfruttamento dei loro paesi. Il blocco commerciale connesso alla guerra aveva favorito lo sviluppo degli scambi tra le colonie e la loro madrepatria. Si poneva così il problema di un'organizzazione più razionale del dominio coloniale, che non si limitasse alla mera spoliazione di materie prime. Lo statuto della Società delle Nazioni indicava una soluzione prevedendo 3 tipi di mandato: 1. un periodo transitorio di tutela finalizzata al raggiungimento dell'indipendenza (tipo di trattati inglesi e francesi). 2. Un'amministrazione coloniale sotto la supervisione della Società delle Nazioni. 3. Un'incorporazione nel dominio della madrepatria. Da tempo i giovani delle élite dei paesi coloniali venivano mandati a studiare nel paese dominante, dove avevano modo di conoscere le forme organizzative, gli strumenti rivendicativi e le istanze di emancipazione dei ceti popolari europei. Tornati nei luoghi d'origine, diffusero e praticarono le idee che avevano appreso. La guerra aveva indebolito la forza e l'autorità degli imperi. La rivoluzione bolscevica aveva inoltre mostrato la possibilità di un'alternativa: una rivoluzione vittoriosa poteva divenire un esempio contagioso per tutti i paesi alla ricerca della libertà. Prima ancora dei partiti comunisti si erano sviluppati movimenti anticoloniali che assunsero posizioni nazionaliste, da ricordare soprattutto nel mondo islamico e in quello arabo, due realtà solo in parte coincidenti: l'Islam, si definiva in base a una fede religiosa comune; i paesi arabi, si identificavano soprattutto per una lingua comune. Fu appunto questa la base del panarabismo, un'ideologia laica che rivendicava l'unità della “nazione araba”. Le risposte delle potenze europee a queste sfide furono diverse: l'impero britannico e quello francese condividevano un pregiudizio secondo il quale le popolazioni extraeuropee non erano preparate a un sistema democratico indipendente. Ad esempio ai loro membri più fidati potevano essere offerti posti consultivi negli organi di governo e un ruolo attivo nello sfruttamento delle risorse, purché subordinato a quello dei coloni insediati nei territori. La Francia cercò sempre di mantenersi rigidamente fedele a questo indirizzo, dichiarando intangibili la propria sovranità sulle colonie. L'Inghilterra puntò sull'indirect rule, sulla cooptazione subalterna delle èlite locali in istituzioni formalmente autonome ma subordinate agli interessi inglesi. Per risolvere questo problema, nel 1931 una legge definì la Gran Bretagna e i suoi dominions “comunità autonoma all'interno dell'impero britannico, uguali per condizioni, senza essere subordinate l'una all'altra negli affari interni ed esterni, unite da una comune fedeltà alla Corona e liberamente associate in quanto membri del Commonwealth britannico delle nazioni”. Veniva superato il principio che limitava l'autonomia delle colonie alla sola politica interna, infatti le leggi approvate dal parlamento inglese potevano essere rifiutate da quelli dei dominions e ogni paese del Commonwealth aveva la facoltà di darsi una costituzione. Capitolo 3. - ECONOMIA E SOCIETÀ' TRA LE DUE GUERRE 3.1 Una nuova generazione salì alla ribalta della storia sotto il segno di una contrapposizione esasperata, che fu al tempo stesso nazionale, ideologica e di classe e che si prolungò fino alla conclusione del secondo conflitto mondiale. Un momento di svolta concorse il fatto che l'economia, la società e lo Stato, a fine della prima guerra mondiale ne uscirono profondamente trasformati, iniziando ad acquisire una dimensione di massa. La società di massa che dopo questa lunga gestazione si affermò come un connotato fondamentale del novecento presentava alcuni tratti distintivi, tra i quali: ● Crescita dell'industria moderna contraddistinta dalla catena di montaggio e dalla produzione seriale. ● La contrazione dell'agricoltura e la crescita del settore terziario. ● L'emergere di una nuova classe operaia, la cui fisionomia fu definita più che in passato da bassi livelli di qualificazione. ● Lo stesso sviluppo industriale produsse una forte crescita quantitativa di ceti medi. ● Le divisioni interne alla società divennero meno nette perché furono attenuate e compensate dai processi di omogeneizzazione del corpo sociale attivati dallo Stato. ● Scolarizzazione che favorì lo sviluppo di mezzi di comunicazione di massa. La società di massa si affermò con tempi, forme e intensità variabili, legate al grado di modernità delle diverse società occidentali. I più forti furono gli Stati Uniti, anticipando tendenze destinate a diffondersi in tutto l'Occidente anche negli stili di vita, nei consumi culturali e nell'uso di mezzi di comunicazione come la radio e successivamente la televisione. La maggiore complessità della società industriale mutò le forme e il senso dell'autonomia che aveva sempre caratterizzato questi gruppi: si svilupparono infatti associazioni di categoria e ordini professionali per controllare l'accesso alle professioni e il loro esercizio. Imporsi di un modello produttivo basato sul consumo di massa di beni durevoli sollecitato dalle aspirazioni degli stessi ceti medi che ne furono i principali destinatari, fu impetuoso e travolse anche gli strati inferiori della società, suscitando un'accentuata propensione ad imitare i modelli di comportamento dei ceti medi. All'aumento dei ceti medi corrisposero una diminuzione degli addetti all'agricoltura e un ridimensionamento del settore primario, il quale si trattò tuttavia di un declino graduale, legato all'aumento di produttività dovuto alla meccanizzazione delle colture. In tutti i maggiori paesi occidentali lo Stato cercò di aiutare la piccola proprietà contadina e ne tutelò la sopravvivenza, anche se il suo intervento non bastò ad arrestare l'esodo rurale. La classe operaia invece crebbe fino a diventare la componente maggioritaria della forza lavoro. Ad esse fu connessa anche la definita affermazione del sindacato d'industria su quello di mestiere (l'oggetto della contrattazione sindacale divenne quasi esclusivamente il salario). Welfare State, non si limitava a chiedere ai cittadini l'assolvimento degli obblighi di leva o il pagamento delle imposte, ma interveniva per migliorare le condizioni di vita dei ceti più deboli. Lo Stato dette la sua impronta al processo di nazionalizzazione delle masse attraverso i mezzi di comunicazione di massa, come il cinema e la radio che si aggiunsero alla stampa . La natura stessa dell'informazione e dell'intrattenimento fece così un salto di qualità, riunendo nei locali pubblici e nelle piazze folle numerose e raggiungendo un numero crescente di cittadini nell'intimità delle loro case. “Industria della comunicazione”: consapevole sue potenzialità, il potere politico se ne servì per stabilire un rapporto diretto con il pubblico. 3.2 Negli Stati Uniti si attivò un circolo virtuoso tra produzione e consumo: la produzione in serie di beni di consumo durevole teneva bassi i prezzi di queste merci, mentre gli alti livelli di occupazione e i salari relativamente elevati ne consentivano l'acquisto anche alle classi lavoratrici. Grazie all'applicazione delle prime catene di montaggio, Ford aveva cominciato a produrre in serie la Ford modello T: un'auto destinata al consumo privato. Per sostenere lo sforzo bellico, gli stati Europei avevano moltiplicato il debito pubblico: la Gran Bretagna per 11 volte e la Germania per 28. Gran parte di questi debiti erano stati contratti con gli USA, che erano diventati creditori di una somma enorme: 3,7 miliardi di dollari. L'ascesa dell'economia era anche il frutto di trasformazioni strutturali che anticipavano le linee di tendenza delle economie europee, nonché di alcuni mutamenti del commercio internazionale. Linea politica: rinnovato l'isolazionismo – alle spalle di tale atteggiamento stavano la paura e la diffidenza per le condizioni politiche dell'Europa, responsabile del più grande massacro della storia. Si aggiunse anche il timore che un “contagio” rivoluzionario si propagasse dalla Russia: l'ondata di sciopero che bloccò l'industria siderurgica americana rafforzò tali timori. Il red scare, la “paura dei rossi” che allora attraversò il paese, si combinò con “l'americanismo”: orgoglio nazionale misto a un senso di rivincita, separazione nei confronti della civiltà europea, in sottofondo puritano, tradizionalista e conservatore. Warren Harding vinse le elezioni presidenziali che furono anche le prime nelle quali parteciparono anche le donne. Furono approvate misure protezionistiche di aumento dei dazi doganali sulle importazioni e la prima di una serie di leggi sull'immigrazione. Nel sud del paese raggiunse i 5 milioni di aderenti il movimento del Ku Klux Klan, che coniugava la difesa dell'americanismo con il razzismo e praticava la violenza nei confronti degli avversari, considerati nemici della patria. (Simbolo di questa ondata di intolleranza nei confronti degli oppositori e degli stranieri fu la condanna a morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, due anarchici italiani arrestati nel 1920 per omicidio, la cui colpevolezza non venne provata al processo. ) Il proibizionismo favorì la diffusione di organizzazioni criminali dedite al contrabbando di alcolici, al taglieggiamento delle imprese e alla gestione del gioco d'azzardo e della prostituzione. 4.2 Quelli che dopo la guerra si aprirono per gli Stati Uniti furono i “ruggenti anni venti”. Durante i quali l'indice della produzione industriale salì di quasi due terzi mentre la disoccupazione oscillò al 3-4% della popolazione attiva. Nei nuovi settori industriali e particolarmente in quello automobilistico l'applicazione del taylorismo accompagnò una crescita degli investimenti in macchinari, impianti, attrezzature specializzate. Si diffusero nuovi consumi di massa e nuovi stili di vita, fondati sull'acquisizione e l'ostentazione di status symbol. Nacque il pagamento a rate e si ricorreva in misura crescente alla pubblicità. A risentire del calo mondiale dei prezzi fu soprattutto il mondo agricolo, che vide dimezzarsi il proprio reddito. Circa un milione di contadini, indebitati, lasciò allora le campagne per cercare fortuna nelle grandi città. (Es. Rockefeller creò impero finanziario che controllava un intero comparto produttivo nell'ambito del petrolio.) I profitti di queste grandi corporation salirono e i loro titoli azionari ebbero rialzi verticali nelle trazioni di borsa, lasciando ampi spazi alle manovre speculative che ebbero parte non piccola nel successivo tracollo. Era l'età del jazz e del charleston. Vinse le elezioni Hoover. La prosperità americana si sposava con un'ideologia liberista in politica interna e isolazionista in politica estera. Al crollo della borsa nel 1929, Hoover rispose minimizzando l'accaduto e riducendolo ad una semplice crisi. Il presidente alzò ancora le già consistenti barriere doganali contro l'importazione di merci straniere, nel disperato tentativo di proteggere l'industria nazionale e arginare la disoccupazione. Il rimedio di dimostrò tuttavia peggiore del male, perché incoraggiò provvedimenti analoghi negli altri paesi e danneggiò le esportazioni americane con ulteriori effetti depressivi sulla produzione e sull'occupazione. I tempi erano ormai maturi per un cambiamento radicale e questo si verificò alle elezioni nelle quali Roosevelt si aggiudicò con una maggioranza. New deal: nuovo patto. I provvedimenti più urgenti riguardarono la svalutazione del dollaro e la separazione tra banche di deposito e di investimento per contenere la speculazione borsistica e separarla dall'economia reale di famiglie e imprese. Per l'agricoltura fu approvata una legge speciale che prevedeva l'intervento dello Stato per regolare la produzione ed evitarne gli eccessi. Creazione del Tennessee Vally Authority, un ente pubico incaricato di grandi opere idrauliche, di rimboschimento e irrigazione per regolare le acque del fiume Tennessee e sfruttarle per la produzione di energia elettrica. Il successo di questa iniziativa incoraggiò Roosevelt a dirottare consistenti quote di bilancio nei lavori pubblici per creare occupazione e quindi sostenere i consumi e la produzione. In vista della scadenza del mandato presidenziale Roosevelt decise di accelerare la realizzazione del suo programma per queste prese tre importanti provvedimenti: ● Il primo fu la costruzione della WPA, un ente governativo per il coordinamento di una rete di opere pubbliche che estendesse l'esperienza realizzata nel Tennessee. ● Il Wagner Act. ● Il terzo fu il Social Security Act, che stabilì un regime di collaborazione tra autorità federale e singoli stati per costituire fondi a favore di anziani bisognosi, disoccupati e invalidi. Attraverso imposte sui salari e contributi obbligatori dei datori di lavoro fu così attuato il principio dell'assicurazione pensionistica, anche se limitatamente ai lavoratori dell'industria. Alle elezioni del 1936 Roosevelt stravinse, il reddito pro capite del paese era risalito ai livelli degli anni venti. Alle radici del successo elettorale di Roosevelt stava il fatto che il New Deal era riuscito a coagulare i consensi delle classi lavoratrici, dei ceti medi e anche della popolazione di colore del Sud. GRAN BRETAGNA In Gran Bretagna il problema più grande fu quello della questione irlandese. La guerra aveva fatto rinviare l'applicazione dell'Home Rule (l'autogoverno concesso nel 1914) e una rivolta scoppiata nell'isola nel 1916 era stata duramente repressa. La guerriglia che si oppose alla repressione inglese terminò solo nel 1921, quando lo Stato libero d'Irlanda fu riconosciuto da Londra come dominion, con un proprio parlamento e poteri autonomi. Ne rimasero escluse le contee a maggioranza protestante dell'Ulster e tale soluzione non soddisfece le componenti più radicali del nuovo Stato, che visse una permanente tensione al suo interno e nei rapporti con Londra fino a quando conseguì la piena indipendenza. Il nuovo premier e il ministro Winston Churchill attuarono una politica economica di rigore per restituire alla sterlina la sua supremazia internazionale: nel 1925 fu recuperato il livello di cambio con l'oro e la valuta inglese poté riprendere la sua funzione di guida nel gold exchange standard. L'obiettivo fu però pagato a caro prezzo soprattutto dai settori industriali più arretrati e in particolare da quello minerario. La linea di rigore finanziario dei conservatori, che esclusero misure protezionistiche a favore dell'industria nazionale, non riuscì tuttavia a far uscire il paese dalla stagnazione. Si formò un governo di unità nazionale comprendente 4 ex laburist, 4 conservatori e 2 liberali. Furono adottati pesanti tagli alla spesa pubblica e prelievi straordinari sugli stipendi del pubblico impiego. Neville Chamberlain si mise alla guida del governo. Nacque anche un nuovo partito: La British Union of Fascists, fondata nel 1932, non riuscì mai ad esercitare un peso significativo. Austria: All'assenza di particolari divisioni etniche faceva riscontro in Austria il contrasto tra città e campagna. “Vienna la Rossa”=apparvero milizie legate ai diversi partiti e si avviò una spirale di attentati che culminò nel 1927 con l'incendio del palazzo di giustizia di Vienna. La crisi del '29 ebbe in Austria ripercussioni molto pesanti, al governo il cristiano-sociale Dollfuss scelse la via di una involuzione autoritaria, varando una costituzione che attribuiva poteri dittatoriali al capo del governo e sciogliendo i partiti nazista e socialista. L'Austria divenne così il laboratorio di un nuovo tipo di regime “clericofascista”. Un'insurrezione fu repressa nel sangue e segnò la sconfitta definitiva del movimento operaio, ma l'ondata di violenze non si arrestò e lo stesso Dollfuss fu assassinato nel corso di un fallito tentativo di Putsch nazista. L'Austria venne annessa alla Germania. Cecoslovacchia: Le coalizioni di governo attuarono una politica di riforme, a partire da quella agraria che nel 1919 espropriò oltre un milione di ettari di latifondo. Le tensioni derivante dalle differenze etniche, religiose e culturali della Cecoslovacchia furono contenute entro i limiti della legalità repubblicana attraverso un sistema di amministrativo fondato sull'autonomia delle province. I conflitti etnici si aggravarono anche per effetto della crisi economica. Dopo l'ascesa al potere di Hitler tali conflitti trovarono il loro epicentro nella regione di frontiera dei Sudeti, abitata da cittadini di lingua e cultura tedesca. Di fronte alle pretese espansionistiche della Germania, la repubblica cecoslovacca non trovò alleati decisi a difenderla e dovette subire lo stesso destino dell'Austria. Polonia: La nuova repubblica di Polonia era uscita dal trattato di Versailles con frontiere sicure ad occidente, ricavate del ridimensionamento della Germania. I conflitti interni suscitati dalle diverse minoranze nazionali mirarono alla vita politica del paese, la quale divenne successivamente una dittatura. Ungheria: Il problema di fondo del paese rimase la questione agraria, che i governi non risolsero: 3 milioni di contadini erano senza terra e un quarto del territorio era in mano a un migliaio di latifondisti. Il movimento nazista delle Croci Frecciate conquistò crescenti consensi, fino ad affermarsi come la maggior forza di opposizione. Romania: Il problema della terra dominò anche la Romania. Nel 1937 furono introdotte leggi antisemite: fu il preludio allo “strappo” con cui il re sospese la costituzione, mise fuorilegge i partiti e formò un governo di unità nazionale, che sarebbe stato sostituito durante la guerra da una dittatura militare. Capitolo 5. - IL FASCISMO 5.1 Mussolini dopo la marcia su Roma poteva contare su 34 deputati fascisti. Si impegnò subito in una decisa opera di trasformazione delle istituzioni liberali: ● Fu istituito un Gran consiglio del fascismo, un organo consultivo incaricato di elaborare la linea del governo. ● Fu istituita la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, un corpo militare in cui furono inquadrate le “camicie nere” (non per questo lo squadrismo smise di intimidire e uccidere gli oppositori). ● 1923: Legge Acerbo, con cui si distribuiva il 65% dei seggi alla coalizione che raggiungesse il 25%dei voti. ● Per le elezioni del 1924 i fascisti prepararono il cosiddetto “listone” comprendente liberali e cattolici. Grazie anche a molte violenze squadriste le forze di governo ottennero una vittoria schiacciante. Nel 1924 il fascismi visse il suo unico momento di crisi. Il leader socialista riformista Giacomo Matteotti, che denunciò alla Camera i brogli e le violenze commessi dei fascisti nella campagna elettorale, fu sequestrato e ucciso da un gruppo di squadristi. Il suo assassinio ebbe un'eco vastissima nell'opinione pubblica, in cui si diffuse la convinzione che a deciderlo fossero stati i vertici del governo. I partiti di opposizione reagirono abbandonando il parlamento e dando vita alla “secessione dell'Aventino”, ad osteggiare tale scelta fu il solo Partito comunista che rimase isolato a proporre uno sciopero generale. Gli “aventiniani” miravano a incrinare l'intesa tra fascisti e fiancheggiatori provocando un intervento del re, ma le loro aspettative furono deluse dallo stesso, che si astenne da ogni iniziativa. Nel 1925 fu svincolato il governo dal voto di fiducia del parlamento e abolito di fatto la distinzione tra potere esecutivo e legislativo. Nel 1926 uscì una legge “per la difesa dello Stato” introducendo pesanti restrizioni alla libertà personale e alla vita politica: scioglimento dei partiti antifascisti, confino di polizia per gli oppositori, pena di morte per chi attentasse alla sicurezza dello Stato, istituzione di un Tribunale speciale per la difesa dello Stato composto da ufficiali della Milizia e dell'esercito, soppressione delle libertà di associazione e di stampa. Nel 1928, con il varo di una legge elettorale che prevedeva una lista unica da approvare o respingere in blocco, la costruzione dello Stato fascista poteva dirsi completata. Mussolini definì il suo regime con l'aggettivo “totalitario”. Secondo alcuni storici in realtà le pretese totalitarie del fascismo furono ridimensionate dall'esistenza di altri centri di potere (Chiesa, Corona, forze armate), che sostennero il fascismo ma la cui stessa esistenza costituiva la possibilità di un'alternativa in un'eventuale situazione di crisi. L'interpretazione del fascismo come totalitarismo imperfetto è stata però efficacemente contraddetta da Emilio Gentile, che ha ridimensionato il rilievo di tali limiti, considerando il primo esperimento compiutamente totalitario e sottolineando in particolare il ruolo del “partito milizia” e dell'ideologia “assoluta” del regime. Nel 1929 il Papa concluse quindi con Mussolini quell'atto di conciliazione che la Chiesa si era sempre rifiutata di concedere allo Stato liberale. I “Patti lateranensi” prevedevano il reciproco riconoscimento tra il Regno d'Italia e lo Stato della Città del Vaticano, cui veniva assicurato un congruo risarcimento per la rinuncia allo Stato Pontificio, e venne proclamata la religione cattolica come “sola religione dello stato”. Un concordato concesse infine alla Chiesa notevoli privilegi: effetti civili del matrimonio religioso, insegnamento obbligatorio della dottrina cattolica nella scuola pubblica, rispetto dell'autonomia dell'Azione cattolica. Sostenuto da potenti alleati, il fascismo godeva ormai di un consenso pressoché generalizzato. 5.2 Per sottolineare l'ampiezza del consenso goduto dal fascismo, il leader comunista Palmiro Togliatti coniò la formula “regime reazionario di massa”. Il problema del consenso fu tuttavia rimosso dopo la seconda guerra mondiale: la nuova repubblica democratica si fondava sull'antifascismo e in quel contesto si sottolinearono anzitutto i tratti repressivi del regime. Una dura repressione si abbatté in primo luogo sull'opposizione politica antifascista, contro la quale furono emanate le “leggi eccezionali”. La repressione del dissenso non si limitò ai soli militanti politici, alla conflittualità operaia e alla disciplina sindacale, ma riguardò anche le “manifestazioni sediziose”, i comportamenti trasgressivi dell'ordine costituito e della morale cattolica. Contro ogni forma di anticonformismo i controlli, le intimidazioni e le violenze intervennero spesso prima e con maggiore efficacia della persecuzione poliziesca e giudiziaria. Il tentativo del fascismo di coinvolgere le masse nella vita pubblica, organizzandole e mobilitandole per ottenere il consenso, fu il principale elemento di novità del regime rispetto ad altre forme di governo autoritario. Quanto alle politiche sociali, nel campo delle assicurazioni dei lavoratori si affermò un sistema che destinò le pensioni e le provvidenze contro infortuni, malattie e disoccupazione anzitutto all'industria, penalizzando l'agricoltura e il lavoro femminile. Il sistema previdenziale, unificato nel 1933 nell'Istituto nazionale fascista per la previdenza sociale (INFPS) e nell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL). Godeva soprattutto di una politica che relegava le donne al ruolo di madri di famiglia e riproduttrici della razza. Alle famiglie con più figli si concessero sgravi fiscali e i celibi vennero tassati, ma i risultati di questa politica furono poco lusinghieri: negli anni trenta la natalità calò. Garantiti nella sicurezza del posto di lavoro, privilegiati nell'accesso alle proprietà della casa, nelle strutture per il tempo libero e nei regimi assicurativi e pensionistici, i dipendenti pubblici furono gli unici a incrementare i propri salari. In cambio il regime trovò nelle loro file i suoi più convinti sostenitori. Tuttavia gran parte degli italiani, fedele al regime per conformismo e per questi piccoli privilegi, non si adeguò alle durezze né alle pratiche militaristiche. I loro comportamenti si identificarono solo con alcuni aspetti dell'ideologia e della propaganda fascista. Il ruolo della Chiesa e del mondo cattolico fu in questo senso fondamentale sia nel favorire il consenso sia nel temperare i tratti più aggressivi e intolleranti del regime. 5.5 Fin dalle origini il mito della “vittoria mutilata” e il risentimento contro la pace di Versailles alimentarono velleità “revisioniste”. Tuttavia il regime recuperò il controllo della Libia attuando una sanguinosa repressione. Nel 1930 le truppe italiane deportarono decine di migliaia di abitanti della Libia e li radunarono in campi di concentramento lungo la costa, dove morti per malattia ed esecuzioni capitali divennero la norma. Nel 1933 l'Italia firmò con Francia, Gran Bretagna e Germania un patto che espresse la volontà di inserire il regime di Hitler nel concerto europeo, ma l'uscita della Germania dalla Società delle Nazioni e l'avvio del riarmo tedesco spinsero Mussolini in direzione contraria. La minaccia tedesca all'indipendenza dell'Austria fu un forte motivo di attrito con la Germania, Mussolini manifestò la sua volontà di tutelare l'Austria schierando le proprie truppe al Brennero e avvicinandosi alla Francia. Ma in quel momento l'Italia fascista stava già preparandosi all'azione che ne avrebbe radicalmente mutato la politica estera: l'attacco all'Etiopia. L'aggressione iniziò nel 1935 con l'avallo francese e una schiacciante superiorità militare consentì all'Italia di piegare nel 1936 la resistenza etiopica. Le truppe italiane condussero una spietata “guerra totale”, con bombardamenti di villaggi, deportazioni in massa e un uso massiccio di gas asfissianti. L'attacco all'Etiopia provocò una dura reazione della Società delle Nazioni, che adottò nei confronti dell'Italia sanzioni economiche, bloccando i rifornimenti esteri all'industria bellica. Il regime fece un abile uso propagandistico della polemica contro le “inique sanzioni”. La guerra d'Etiopia rovesciò gli equilibri europei. L'Italia ottenne infatti la solidarietà dalla Germania e le ricambiò ponendo fine alla sua ostilità all'annessione dell'Austria. Nel 1936 la nascita dell'Asse Roma-Berlino consacrò l'intesa tra i due dittatori. L'affinità ideologica si coniugava così ad una ritrovata sintonia diplomatica. La guerra civile spagnola fu il primo banco di prova di questa alleanza. Germania e Italia appoggiarono la sedizione del generale Francisco Franco e Mussolini inviò in Spagna un corpo di spedizione formato da oltre 70 000 “volontari” ben retribuiti. Nel 1937 firma del patto sovietico con Germania e Giappone e uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni; annessione dell'Austria al Terzo Reich nel 1938. La Conferenza di Monaco aprì la strada all'occupazione tedesca di Moravia e Boemia. Subito dopo la stipula del “Patto d'Acciaio” impegnò Germania e Italia a entrare in guerra l'una a fianco dell'altra anche nel caso di un conflitto offensivo. Quando la guerra mondiale infine scoppiò, la “non belligeranza” dell'Italia si trattò di un tentativo di guadagnare tempo, dettato dai timori suscitati dall'impreparazione militare italiana. Capitolo 6. - IL NAZISMO 6.1 Il fallito tentativo di Putsch nel 1923 spinse Hitler verso una tattica meno eversiva e più legalitaria. In una società moderna la conquista del potere non poteva avvenire con una sollevazione militare, ma andava preparata ottenendo il consenso di ampie masse. L'ascesa del Partito nazista avvenne sfruttando tre risorse principali: un'efficiente organizzazione paramilitare della violenza sul modello del fascismo italiano; un'abile propaganda attuata attraverso i nuovi mezzi di comunicazione; un leader carismatico che nelle parole e nei comportamenti esprimeva l'adesione totale e disinteressata a un'idea. Alle strutture di partito si affiancarono organismi di massa e soprattutto formazioni paramilitari come le SA (squadre d'assalto): create nel 1921, queste furono le protagoniste della violenza, indirizzata soprattutto contro socialisti e comunisti. Nel 1926 erano poi comparse le SS che fungevano da guardia del corpo di Hitler. Composte da giovani che dovevano incarnare la purezza dello stato razziale voluto dal nazismo. La propaganda fu opera principale di Joseph Goebbels, principale creatore del mito del führer e regista delle coreografie di massa delle manifestazioni naziste, che avevano il compito di suscitare emozioni e adesione fideistica nei militanti. Hitler interpretò infine nel modo più efficace il ruolo di leader carismatico. Hitler illustrò l'ideologia nazista in Mein kampf, dove descrisse il progetto di Stato razziale che era il cuore del suo programma. Per sopravvivere il Volk germanico aveva bisogno di un Lebensraum, uno “spazio vitale” in cui abitare preservando la sua purezza dalla contaminazione di altre razze. Controparte negativa del dominio razziale degli ariani era la figura dell'ebreo, perché dimorante nello spazio degli altri popoli. Assiame ai socialisti e ai comunisti, gli ebrei erano indicati come i responsabili dello stato di prostrazione della Germania. La Germania doveva conquistare il proprio spazio vitale contro il tradizionale nemico russo, asiatico e comunista. In realtà la chiave propagandistica fu il nazionalismo: l'idea di una riscossa contro l'umiliazione subita dalla Germania con la sconfitta nella guerra e la pace punitiva inflittale dai vincitori. Per raggiungere tale obiettivo il popolo tedesco doveva costruirsi in una comunità nazionale organizzata secondo rigidi modelli militari di gerarchia e obbedienza che escludesse gli ebrei e le sinistre. Guadagnò infatti ampi consensi tra i contadini, gli operai e dopo l'affermazione del 1930, tra i ceti medio-alti: imprenditori, aristocratici, esponenti dell'alta burocrazia statale. Alla crisi della repubblica di Weimar e all'avvento del nazismo dette un contributo decisivo la crisi del 1929, le cui conseguenze furono particolarmente gravi in Germania. La politica economica deflazionistica di contenimento del debito pubblico e dell'inflazione approfondì gli effetti laceranti della crisi sui ceti più poveri e meno protetti. Anche Hitler si giovò della divisione e della paralisi delle altre forze politiche. La destra tedesca si divideva tra Hitler e il Partito nazionalpopolare che insieme ai vertici militari e al presidente propendeva per una dittatura militare come soluzione definitiva della crisi in corso. Alle elezioni presidenziali dell'aprile 1932 Hindenburg venne votato anche dai socialdemocratici e ottene il 53% dei suffragi, mentre Hitler si fermò al 37%. Questo risultato però non ebbe conseguenze perché il capo dell'esercito Kurt von Schleicher, accordatosi con Hitler, manovrò per far cadere Brüning. Segno distintivo del regime nazista fu la politica razziale. Cercò un forte sostegno all’incremento demografico per accrescere la forza militare della Germania. Prestiti agevolati vennero concessi alle coppie nelle quali la moglie rinunciasse al lavoro per dedicarsi esclusivamente alla famiglia e trattamenti privilegiati furono riservati alle famiglie con più figli. Una legge del 7 Aprile 1933 epurò gli ebrei impiegati nelle amministrazioni statali e comunali; altri provvedimenti esclusero dall’esercizio della loro professione docenti universitari, avvocati, medici, artisti di origine ebrea. Nel 1935 le cosiddette leggi di Norimberga approvate per acclamazione del Parlamento, vietarono i matrimoni misti tra ariani ed ebrei, esclusero dalla cittadinanza chi non fosse di sangue tedesco e privarono tutti gli ebrei dai diritti civili. I primi a sperimentare sulla propria pelle tecniche per la morte di massa furono i cittadini tedeschi portatori di malattie mentali, che per il nazismo erano esemplari umani difettosi a cui bisognava impedire di riprodursi. Tra il 1939 e 1941 in luoghi segreti della Germania 70.000 persone furono uccise rima con iniezioni letali, poi con gas asfissianti: le famiglie che chiedevano informazioni vennero costrette al silenzio Un salto di qualità nella repressione ebraica fu segnato dalla cosiddetta “notte dei cristalli”, durante la quale le SS saccheggiarono più di 7000 negozi rompendo le vetrine, incendiarono 200 sinagoghe e uccisero 91 persone. Il disegno nazista era infatti di indurre questa minoranza a espatriare: prima della guerra, seguendo le orme di migliaia di oppositori politici del nazismo, emigrarono dalla Germania oltre 300.000 ebrei, tra essi figurano premi nobel come Albert Einstein. Soltanto la guerra e le conquiste del Terzo Reich, che fecero salire a diversi milioni la popolazione ebraica controllata dai nazisti si passò a una sistematica politica di sterminio di massa. Fu allora che alcuni Lager si trasformarono in campi di sterminio, con strutture appositamente dedicate alla morte di massa. 6.3 Il regime nazista dovette fronteggiare crisi economica e disoccupazione. Fino al 1934 vennero stanziati 5 miliardi di marchi per creare posti di lavoro. Furono favorite l'edilizia pubblica e privata e le industrie che lavoravano al potenziamento delle Wehrmacht. Particolare rilievo ebbero la costruzione della Volkswagen per incrementare la motorizzazione privata- La ripresa di produttività favorì una crescita dei redditi e dei consumi privati portando un relativo benessere alla popolazione, specie rispetto agli anni durissimi della crisi. Tali risultati furono ottenuti in primo luogo con una decisa scelta al riarmo. Da allora la preparazione militare ebbe un'assoluta priorità nella politica economica del nazismo. Questa opzione determinò nell'apparato industriale un singolare intreccio tra pubblico e privato. Lo Stato controllava il mercato, manovrando i prezzi e privilegiando alcune industrie nell'assegnazione di materie prime e mezzi di produzione: ne derivò una forte dipendenza dei privati dalle scelte della burocrazia pubblica. Pressoché inesistente fu la meccanizzazione, e la modernizzazione delle campagne. In termini economici i contadini non avvertirono insomma sensibili miglioramenti, ma le promesse di una colonizzazione dello “spazio vitale” a est li allettarono con la prospettiva di entrare in possesso di grandi estensioni di terra. Ci fu una modifica in modo paradossale i consumi privati: i tedeschi comprarono più auto ed elettrodomestici, ma dovettero sostituire la carne, lo zucchero e il burro con margarina e marmellata. L'economia tedesca appariva in un vicolo cieco perché il deficit dello Stato era aumentato e mancavano risorse risorse essenziali come materie prime e generi alimentari. Il risultato più importante della politica di riarmo fu il quasi completo riassorbimento della disoccupazione. Nel 1934 una legge per l'ordinamento del lavoro nazionale impose una rigida gerarchia nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro: tutti i lavoratori dovevano obbedienza ad un capo. Nel 1937 i salari reali tornarono ai livelli precedenti alla crisi. Il relativo benessere che ne derivò fu tuttavia il prodotto di un allungamento della giornata di lavoro piuttosto che dell'incremento delle retribuzioni. In cambio furono estese alcune provvidenze già concesse dalle grandi imprese negli anni venti: cibi caldi nelle mense aziendali, aree verdi e spazi ricreativi in fabbrica, colonie estive per i figli dei dipendenti. L'aumento delle ferie retribuite aprì infine la strada alla gestione statale del tempo libero. Il regime incoraggiò un uso del tempo libero a fini di intrattenimento ed evasione, come compenso per la sottrazione dei diritti essenziali di libertà: oltre alla radio, vennero così promossi il cinema e lo sport. In Germania – come in Giappone a differenza dell'Italia e di altri paesi poi sottomessi al Reich come la Francia – non si sviluppò alcun consistente movimento di resistenza al nazismo. Anche le Chiese svolsero un ruolo importante. Solo una minoranza dei pastori protestanti si schierò contro il regime; la maggioranza ne condivise i progetti, pur prendendo le distanze dalla dottrina della razza e dalle violenze delle SA, considerate mali necessari per la causa di un riscatto nazionalista e della lotta al comunismo. Né la Chiesa cattolica né quella protestante si pronunciarono in maniera davvero chiara e pubblica contro il regime. La distruzione del sistema dei partiti e i comportamenti delle autorità religiose privarono insomma la popolazione tedesca di ogni punto di riferimento alternativo al regime. A favore di quest'ultimo giocarono dall'altra parte il superamento della crisi economica e il riassorbimento della disoccupazione. Le grandi manifestazioni coreografiche resero concreto e visibile il mito della “comunità di popolo”. Queste manifestazioni trasformarono la politica in un'estetica di massa. 6.4 Lo spirito di rivalsa suscitato dalla sconfitta del 1918 e dalla pace di Versailles venne infatti soddisfatto dai successi di una politica estera aggressiva e dalle annessioni territoriali che si succedettero a partire dal 1935. L'uscita della Germania dalla Società delle Nazioni nell'ottobre 1933 manifestò tale determinazione nel modo più eloquente: il regime nazista intendeva perseguire una revisione della pace di Versailles facendo affidamento sulla forza piuttosto che su una politica di accordi diplomatici come negli anni venti. Il fallimento nel 1934 di un primo tentativo di annessione dell'Austria, in seguito a un colpo di stato dei nazisti locali, non dissuase la Germania dall'obiettivo di riunire tutti i tedeschi nel proprio territorio. Nel 1935 un plebiscito sancì intanto il ritorno nel Reich della regione carbonifera della Saar. Hitler ribadì la priorità strategica dell'espansione a est per conquistare la “spazio vitale” necessario al popolo tedesco, ed espose per la prima volta la strategia del Blitzkrieg, la “guerra lampo”: attraverso l'uso congiunto di aviazione e mezzi corazzati veloci le campagne militari dovevano essere rapidissime, in modo da acquisire le risorse necessarie alla prosecuzione della guerra ed evitare di sottoporre l'economia e la società tedesca a una pressione intollerabile. Imboccata la strada della guerra, la pressione totalitaria all'interno del paese non ebbe allora più limiti. Trasformato il paese in una macchina da guerra, l'espansione tedesca non si fermò più: nel 1938 vennero annesse l'Austria e i Sudeti, nel 1939 la Boemia e la Moravia. Il 1° settembre 1939, con l'invasione della Polonia, la Germania nazista scatenò infine la seconda guerra mondiale. Uno dei rari ordini firmati da Hitler autorizzava i medici tedeschi alla pratica dell'eutanasia: partiva così, approfittando del clima di emergenza nazionale, il programma i sterminio di massa di cittadini tedeschi affetti da handicap fisici o mentali. Per i kulaki l'obiettivo dichiarato fu la loro “liquidazione in quanto classe”. Questi risultati furono ottenuti ricorrendo a durissimi mezzi repressivi, che andarlo dall’esproprio dei fondi alla deportazione in massa, alla fucilazione. Gli effetti economici e sociali della collettivizzazione furono disastrosi. I contadini reagirono dimezzando le semine e riducendo il bestiame. Per sopperire alla mancanza di rifornimenti delle città si ricorse a violente requisizioni annuali di grano, i cui proventi furono destinati in parte ad approvvigionare le città e in parte all'esportazione in cambio di macchine per l'industria. Per attuare queste requisizioni lo stato condusse una vera guerra sociale contro i contadini. Privati di ogni diritto, discriminati e oppressi, i contadini risposero lavorando per lo stato il minimo possibile. Così tra il 1928 e il 1937 la produzione agricola declinò. 7.3 Favorito dai fenomeni di disgregazione prodotti dai sommovimenti in quegli anni, lo Stato sovietico rimodellò dall'alto l'intera società con la repressione di massa e con un capillare sistema di controlli statali, che accrebbero il ruolo di una onnipresente polizia politica: la GPU. In fabbrica fu reintrodotto il cottimo e si fece ricorso a differenziazioni salariali, premi e privilegi per favorire uno spirito di “emulazione Socialista”. → Stacanovismo, da Stachanov. L'obbedienza e il conformismo divennero virtù e strumenti di promozione sociale, mentre un semplice dubbio era considerato boicottaggio e poteva costare il posto di lavoro. Il conformismo ideologico e politico non risparmiò la vita culturale, il partito aveva mantenuto una relativa neutralità di fronte alle varie espressioni artistiche e letterarie. Evocare e demonizzare i nemici interni non bastò tuttavia a eliminare le tensioni e i conflitti, che specie in campo economico furono alimentati dalle imposizioni di obiettivi irrealizzabili. L'esigenza di un rallentamento era sostenuta da esponenti di spicco dell'oligarchia stalinista, ma Stalin reagì come di fronte a un complotto e sferrò un attacco a fondo alla burocrazia. Si aprì allora una nuova fase: il grande terrore. Il dominio di Stalin si fondò sempre più su un rapporto diretto con la polizia politica, che esercitò un controllo praticamente illimitato sull'amministrazione statale e su un partito ormai privo di potere. L'occasione per questo salto di qualità fu offerta nel 1934 dell'assassinio di Kirov, le cui circostanze non furono chiarite ma che scatenò un'ondata repressiva contro i “trockisti” e i dirigenti dell'economia. La parola “purga” assunse un significato molto più sinistro dal 1936, quando fu inscenato uno spettacolare processo-farsa contro 16 oppositori. Sottoposti a dure pressioni fisiche e morali perché si confesassero colpevoli dell'uccisione di Kirov, di deviazionismo e di cospirazione, gli imputati furono tutti i giustiziati. Nel 1940 anche Trockij, che era stato espulso dal paese 10 anni prima, fu assassinato in Messico da un sicario di Stalin. Oltre a tutta la vecchia guardia bolscevica, nelle purghe scomparve anche gran parte della stessa dirigenza stalinista. 1 su 10 dei condannati del 1936-38 subì la pena capitale e altri vennero costretti al suicidio, ma la grande maggioranza fu arrestata e deportata in campi di lavoro forzato, dove si unì a centinaia di migliaia di contadini “dekulakizzati” → Gulag Nel 1940 esistevano 53 campi con oltre un milione di detenuti impegnati nella costruzione di grandi opere, nelle miniere, nel taglio del legname. Questa forza lavoro schiavizzata fu impegnata in condizioni proibitive: in alcuni Gulag il tasso di mortalità per freddo, senti ed epidemie raggiunse il 30%. Il risultato fu un numero di morti che viene stimato attorno al milione di persone. Colpendo la macchina che egli stesso aveva costruito e mantenendo la classe dirigente in uno stato di costante precarietà, Stalin eliminò ogni condizionamento del proprio potere personale, che divenne praticamente illimitato. Al culto di Stalin, propagandato da giornali, manifesti, radio, contribuirono le parodie giudiziarie fondate sulla confessione e sul sentimento dei "colpevoli" e sulla persecuzione dei “nemici del Popolo" e dei controrivoluzionari. Nel 1938 la destituzione e l'esecuzione dello stesso Nikolaj Ezov, segnò la fine del "grande terrore". L'anno dopo Stalin -eliminato ogni potenziale oppositore- si permise di riconoscere che le grandi purghe, erano state accompagnate da "numerosi errori" e dichiarò che non ne occorrevano altre. 7.4 Nel 1922 l'URSS adottò una politica estera volta a normalizzare le relazioni internazionali con gli stati capitalistici, senza tuttavia rinunciare al ruolo di centro della rivoluzione mondiale e di punto di riferimento per tutti i partiti comunisti del mondo. Assorbita dalle vicende interne negli anni del primo piano quinquennale, l’URSS si chiuse in un isolamento da cui uscì soltanto nel 1934. L’'aggressività e l'antisovietismo della Germania nazista e del Giappone spinsero allora Stalin a una politica estera distensiva di accordo fra le potenze e di cauta apertura alle democrazie occidentali. Durante la guerra civile spagnola: mentre migliaia di comunisti e antifascisti di tutti i paesi accorrevano a difesa della Repubblica, l'Unione Sovietica fornì aiuti limitati per non danneggiare la propria politica estera e promosse un'aspra lotta interna contro anarchici, trockisti e altri gruppi non stalinisti del fronte repubblicano. Nel 1939 Stalin operò infatti una spregiudicata inversione di rotta e stipulò un trattato di non aggressione con la Germania. Quel fatto (noto come ribbentrop-molotov dai nomi dei ministri degli esteri che lo firmarono) ebbe conseguenze esiziali: screditò la politica unitaria dei comunisti europei, disorientò i movimenti antifascisti per la pace e facilitò l'aggressione nazista alla Polonia. Né l’URSS potè evitare di essere a sua volta attaccata da Hitler nel 1941: non avendolo previsto, Stalin si trovò anzi impreparato a fronteggiare le armate tedesche. Nel 1943 Stalin sciolse il Comintern per rassicurare gli alleati sul fatto che la rivoluzione mondiale non era più tra gli obiettivi dell'Unione Sovietica. Capitolo 8. - ASIA, AFRICA E AMERICA LATINA TRA LE DUE GUERRE GIAPPONE Mentre in Europa e in Russia si combatteva, il Giappone sviluppò l'industria pesante, particolarmente nei settori metallurgico, meccanico, chimico ed elettrico. La popolazione attiva era ancora in maggioranza agricola, ma crebbero le esportazioni di prodotti finiti e le importazioni di materie prime e di macchinari. Questa proiezione diretta all'estero era l'effetto di un pesante vincolo geografico. Quello nipponico era infatti un territorio ristretto, montagnoso e pressoché privo di risorse naturali, che fissava dei limiti invalicabili alla crescita del mercato interno e subordinava lo sviluppo alle importazioni, ponendo il Giappone alla mercè delle politiche doganali delle altre nazioni. Sul piano culturale l'impero giapponese impugnò la bandiera del "panasiatismo": una parola d'ordine propagandistica che puntava a eliminare ogni influenza straniera in un estremo Oriente unificato sotto l'autorità giapponese. La flotta giapponese mantenne la sua superiorità concentrata nell'oceano Pacifico, per molti aspetti e non solo per la politica di potenza navale, la modernizzazione del Giappone cercò di imitare i modelli occidentali. La crisi del 1929 provocò anche in Oriente un crollo generalizzato dei prezzi, che mise in crisi lo sviluppo economico giapponese. Sempre più spesso i militari si ingerivano nelle scelte di governo, cercando di imporre una linea panasiatica. Nel settembre 1931 in Manciuria, l'armata giapponese, di propria iniziativa, provocò un incidente con le truppe cinesi e occupò la città di Mukden. Nel febbraio 1932 fu proclamata l'indipendenza del Manciukuo. La Società delle Nazioni condannò immediatamente l'iniziativa e non riconobbe il nuovo stato, ma nel 1933 il Giappone uscì da essa. Uno dei suoi primi atti fu nel novembre 1936 la firma del patto anticomintern con la Germania nazista. Nel 1937 il Giappone dette quindi inizio alla conquista della Cina. Nel 1938 una legge di mobilitazione nazionale attribuì pieni poteri allo stato nella vita economica della nazione. LA CINA E IL SUD-EST ASIATICO La Repubblica cinese istituita nel 1912 era rimasta uno stato debole incapace di imporre il proprio potere ai governatori militari delle province, i cosiddetti "Signori della Guerra". All'indomani della guerra non mancarono però i segni una reazione alla presenza straniera e alla disgregazione del paese. Nel 1919 studenti, impiegati e commercianti manifestarono a Pechino contro la subordinazione della Cina agli interessi stranieri e nel 1921, sulle ceneri di quel movimento, fu fondata a Shanghai il partito comunista. scontrò con le tradizionali rivalità dinastiche e politiche, oltre che con le amministrazioni coloniali europee. ARABIA SAUDITA: Solo in Arabia si riuscì a costruire un regno indipendente esteso, e nel 1932 prese il nome di Arabia Saudita. Questo paese fu profondamente mutato negli anni 30 dalla scoperta del petrolio. Nei suoi mandati la Francia praticò una politica di autonomia e frammentazione delle diverse comunità, senza per questo riuscire a evitare Siria una grande rivolta originata dalla comunità dei drusi. Diversa la politica della Gran Bretagna, che accordò l'indipendenza alla Transgiordania e al Iraq, mantenendo però il controllo dei pozzi petroliferi. Anche in Iraq si verificarono comunque insurrezioni autonomiste. Venne sollevato il problema di una patria per gli ebrei sparsi nel mondo: uno stato che non poteva collocarsi in Palestina, a Sion, il luogo biblico del tempio di Salomone. Si creò allora un movimento d'opinione denominato sionismo. Nel 1917 il ministro degli Esteri inglese Arthur Balfour affermò in una dichiarazione ufficiale i diritti degli ebrei sulla Palestina. I nuovi insediamenti suscitarono ripetuti, sanguinosi tumulti, ma la presenza ebraica salì ancora dopo l'avvio delle persecuzioni antisemite nella Germania nazista. Nel 1937 una commissione promossa dal governo inglese per sedare I disordini propose la creazione di uno stato ebraico, di uno stato arabo e di una zona sotto mandato britannico comprendente Gerusalemme. Approvato a maggioranza nel congresso mondiale sionista, il piano fu respinto dai rappresentanti di maggiori stati arabi. La loro controproposta consisteva nella creazione di un unico stato palestinese alleato della Gran Bretagna, che tutelasse la minoranza ebraica ma ponesse fine a ogni ulteriore immigrazione ebraica nella regione. Durante la Seconda Guerra Mondiale la necessità di ottenere l'appoggio dei paesi arabi spinse gli inglesi ad adottare una politica restrittiva verso l'immigrazione ebraica in Palestina e ciò, assieme alle notizie provenienti dall'Europa sullo sterminio nazista degli ebrei, radicalizzò fino al terrorismo le scelte dei dirigenti sionisti contro l'amministrazione Britannica. L’AFRICA SUBSAHARIANA Nel resto del continente africano colpiva l'assenza di quei requisiti condivisi, che erano alla base dei movimenti nazionali. Gli stati coloniali dell'Africa subsahariana erano infatti formazioni artificiali, i cui confini ignoravano quelli degli Stati preesistenti o attraversavano le società senza stato diffuse nel continente, al cui interno diversi popoli venivano integrati negli stessi territori. I sistemi sociali e le istituzioni delle popolazioni indigene ne uscirono talora distrutti, in ogni caso profondamente modificati. Sta di fatto che la fine della prima guerra mondiale vide una crescita della presenza anglo-francese nel continente. La Francia prosegui la propria politica di imperialismo e assimilation dividendo in entità distinte i propri possedimenti in Africa occidentale ed equatoriale. Il potere era esercitato da governatori che rispondevano direttamente a Parigi e controllavano consigli consultivi composti da funzionari coloniali e da rappresentanti delle ristrette aristocrazie locali, a cui venne concessa la cittadinanza francese in cambio di una piena lealtà. Furono fatti sforzi per porre definitivamente fine alla schiavitù e combattere l'analfabetismo, Ma i risultati più consistenti furono raggiunti nel campo delle Infrastrutture, con il potenziamento della rete ferroviaria e stradale. Nell'Impero britannico la maggiore autonomia politica introdotta dal Commonwealth portò al fallimento della legislazione razziale in Sudafrica. Fin dal 1926 i neri furono esclusi dagli impieghi qualificati e 10 anni dopo una nuova legge elettorale stabilì registri separati che attribuivano ai neri tre rappresentanti bianchi nel Parlamento e un consiglio consultivo riservato. Proprio in Sudafrica nei primi anni del secolo Gandhi aveva svolto il proprio apprendistato politico guidando le campagne di disobbedienza civile contro le misure di discriminazione fiscale adottate nei confronti della minoranza indiana. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, con l'affermarsi di una nuova sensibilità antirazzista prodotta dallo scontro con il nazismo, l'attenzione internazionale si concentrò sulla politica di Apartheid del Sudafrica. Nel 1946 l'organizzazione delle Nazioni Unite avrebbe approvato la prima di una lunga serie di mozioni contro questa politica. L’AMERICA LATINA Mentre in Europa si combatteva la Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti avevano intensificato una politica di intervento militare in America Centrale. Le ragioni di questo impegno erano al tempo stesso strategiche ed economiche: la debolezza dei regimi politici latinoamericani poneva a rischio, oltre alla sicurezza militare, anche gli investimenti finanziari degli Stati Uniti. Tra il 1914 and 1929 le esportazioni dagli USA all'America Latina triplicarono di valore. Alla vigilia della crisi del 1929 gli Stati Uniti coprivano il 40% delle importazioni di tutti gli stati latino-americani, mentre un terzo delle esportazioni del Sudamerica andavano sui mercati nordamericani. Gli Stati Uniti scambiavano i prodotti finiti con materie prime, impedendo agli Stati latino-americani uno sviluppo industriale autonomo. Nel 1937 gli USA controllavano l'ottanta per cento delle esportazioni cubane, lo 88% di quelle dell'Honduras, il 91% di quelle panamensi. la crisi del 29 provocò il crollo di prezzi, esportazioni e profitti. Molti contadini furono rovinati, molti lavoratori delle piantagioni e molti delle miniere rimasero disoccupati. Spinti dalla miseria, questi emigrarono in massa verso le città alla ricerca di nuove opportunità, dando vita a un processo di urbanizzazione passiva, frutto di una fuga dalla povertà ma senza prospettive di impiego. Il risultato fu la crescita delle cosiddette favelas. La crisi del 1929 determinò anche una rottura degli equilibri politici del continente. Delle 20 nazioni che ne facevano parte, ben 11 conobbero un colpo di stato violento organizzato delle Forze Armate. Tra questi paesi fece eccezione il Messico, posto ai confini degli Stati Uniti e quindi oggetto di attenzioni strategiche speciali. La lunga presidenza di Porfirio Diaz aveva guidato la modernizzazione del paese all'insegna del dominio della grande proprietà terriera. Nel 1917 una nuova Costituzione che introdusse il suffragio universale e la giornata lavorativa di otto ore, avvia un programma rivoluzionario di riforma agraria fondato sugli espropri dei latifondi e sulla restituzione ai contadini di tutti i territori occupati dai latifondisti. Seguirono anni di guerre e rivolte, questo lungo periodo di instabilità si chiuse con l'avvento alla Presidenza del generale Lazaro Cardenas. Forte del consenso Popolare così guadagnato, cardenas arrivò a mettere in discussione i rapporti di subordinazione economica che legavano il Messico all'occidente, nazionalizzando nel 1987 i diritti di compagnie straniere e rilevandone l'anno dopo i giacimenti petroliferi. Per rappresaglia il governo degli Stati Uniti sospese l'importazione di argento messicano e quello inglese ruppe le relazioni diplomatiche, ma quei provvedimenti segnarono una svolta decisiva nei rapporti tra Paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. L'eccezione messicana confermò tuttavia la regola di un predominio degli Stati Uniti dell'America centrale, spesso sostenuto dalla presenza militare diretta. Populismo: Un progetto politico neoconservatore che intendeva ampliare le basi sociali dello Stato con la formazione di partiti di massa, o comunque con una forte mobilitazione dei ceti popolari urbani, senza per questo intaccare il predominio della grande proprietà terriera. I partiti operai socialisti e comunisti furono invece relegati in una posizione marginale dalla ristrettezza dell'apparato industriale. Brasile→ Maggiori successi il progetto populista riscosse in Brasile, il suo governo si avvalse dello scontro tra il partito integralista, un movimento a carattere fascista, e il Partito Comunista, la cui influenza era cresciuta molto tra i minatori e gli operai dell'industria leggera sviluppatasi grazie ai proventi nella coltura del caffè. Argentina→ Dal 1930 il paese fu retto da governi conservatori, espressione degli interessi dei grandi proprietari terrieri e di grandi allevatori legati all'esportazione di frumento e carne sui mercati europei. Ne derivò una radicalizzazione e fece sì che un progetto populista prendesse corpo soltanto nel 1946, con l'elezione a presidente del colonnello Juan Domingo Peron. Capitolo 9. - LE ORIGINI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 9.1 A differenza della prima, la Seconda Guerra Mondiale fu un evento largamente previsto: il riarmo nazista, l'aggressione giapponese alla Manciuria, quella italiana all’Etiopia, la guerra civile spagnola. Nella seconda metà degli anni venti era sembrato che i problemi lasciati irrisolti dai Trattati di Pace del 1919-20 -anzitutto l'isolamento della Germania- potessero trovare una soluzione pacifica, ma la crisi del 1929 aveva distrutto, insieme al sistema Monetario Internazionale, gli spazi di collaborazione diplomatica: ogni paese, non solo sul terreno economico, aveva deciso di fare da sé. Il vento di un nazionalismo autoritario si era propagato dall'Europa fino al Giappone. Il piano Dawes e il trattato di Locarno potevano chiudere una fase di collaborazione tra la Germania, gli Stati Uniti e le altre nazioni dell’Europa occidentale, ma il patto firmato nel 1928 dal ministro degli Esteri francese Aristide Briand e dal segretario di stato americano obiezioni britanniche, che si limitano a condannare un eventuale uso della forza. Chamberlain fece anzi pressioni sul governo di Praga perché accettasse un compromesso. Ne seguì una lunga schermaglia diplomatica che si concluse con un ultimatum di Hitler alla Cecoslovacchia perché cedesse alla Germania non solo i Sudeti, ma anche altri territori rivendicati da Polonia e Ungheria. Per iniziativa di Chamberlain venne allora convocata la conferenza di Monaco. senza consultare né Praga né Mosca, Chamberlain, Hitler, Mussolini e il Primo ministro francese Daladier si accordarono per concedere i Sudeti alla Germania. I 4 leader furono acclamati come salvatori della pace, nella speranza che questa estrema concessione esaurisse la spinta espansionistica della Germania nazista. Nel frattempo si rafforzarono i legami tra Germania e Italia. Nell'aprile 1939, per bilanciare l'iniziativa tedesca, Mussolini invase l'Albania e subito dopo la convergenza di due espansionismi venne ratificata nel cosiddetto "Patto d'Acciaio", che impegnava Italia e Germania a entrare in guerra l'una a fianco dell'altra se una delle due fosse stata coinvolta in operazioni belliche non solo per effetto di un'aggressione, ma per iniziativa propria. Le modalità della stipula del Patto d'Acciaio chiariscono bene la subalternità dell'Italia alla Germania, ma la definizione di un asse militare tra i due paesi contribuì in modo decisivo a rompere gli indugi delle nazioni democratiche. Sia pure con grandi oscillazioni, le potenze occidentali avviarono un mutamento di strategia rispetto alla politica di appeasement, che aveva raggiunto risultati opposti a quelli sperati. Il problema era che una strategia antihitleriana, per essere efficace, avrebbe dovuto coinvolgere l'Unione Sovietica, ponendo Hitler di fronte alla minaccia di una guerra su due fronti. Stali, che pure aveva interpretato l'accordo di Monaco come antisovietico, si mostrò aperto a questa prospettiva e dette avvio a negoziati, che tuttavia si arenarono di fronte alla richiesta di lasciare attraversare la Polonia da truppe sovietiche. Gli orientamenti dell'opinione pubblica americana restavano isolazionisti e per il momento gli Stati Uniti si tennero fuori dalle controversie europee. Per Hitler, quindi, il fattore tempo era decisivo: sapeva di non poter contare su un aiuto immediato dei suoi alleati e di dover sfruttare l'indecisione di Francia e Gran Bretagna, a patto di non essere costretto a combattere su due fronti, a Occidente e ad Oriente. Ne derivò l'offerta spregiudicata di un patto di non aggressione al proprio nemico naturale, l'Unione Sovietica. Stalin la accolse con forti perplessità dovute all'impatto rovinoso che avrebbe avuto sui partiti comunisti europei impegnati in fronti antifascisti. Con il patto di non aggressione firmato il 23 agosto 1939 tra Germania e URSS (Ribbentrop-Molotov), i due provvisori alleati definirono anche segretamente le rispettive zone d'occupazione: la Polonia occidentale alla Germania; Polonia orientale, parte degli Stati baltici e Bessarabia all'Unione Sovietica. Il primo settembre 1939 la Wehrmacht varcò il confine con la Polonia. Gran Bretagna e Francia dichiararono allora guerra alla Germania, ma due settimane dopo anche l'Armata rossa entrò in Polonia da est. Capitolo 10. - IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE 10.1 Seconda Guerra Mondiale fu la prima guerra globale della storia. Mentre la prima si combatte soprattutto in Europa, infatti, la seconda si estese all'oceano Pacifico ed ebbe nel Giappone uno degli attori determinanti. Fu una guerra di movimento, i cui fronti attraversarono continenti e oceani per effetto dell'impiego congiunto di aviazione e mezzi corazzati veloci, che resero obsolete fortificazioni e trincee. Su un conflitto ideologico, basato sulla contrapposizione radicale dei sistemi politici, che perciò tese a mobilitare anche le popolazioni civili. Fu infine una guerra che, a differenza della prima, non venne combattuta per spostare frontiere e guadagnare territori, ma per annientare il nemico. Globale, quel conflitto lo fu anche perché cambiò radicalmente gli equilibri del mondo intero, segnando il definitivo tramonto della centralità dell'Europa e l'inizio del predominio di Stati Uniti e Unione Sovietica. Fu proprio l'entrata in guerra di queste due potenze a mutare le sorti del conflitto nel 1941. L'offensiva tedesca partì dalla Polonia nel settembre 1939, si estese alla Norvegia e alla Danimarca e nel maggio 1940 si concentrò a occidente contro Belgio, Olanda e Francia. I suoi successi furono dovuti a una strategia militare pianificata da tempo, il blitzkrieg, la "guerra-lampo":campagne veloci di movimento condotte utilizzando i bombardamenti aerei per aprire la strada e penetrando in profondità con i carri armati i territori conquistati avrebbero poi fornito materie prime, fabbriche, derrate agricole e manodopera per incrementare la produzione e continuare la guerra. L'invasione tedesca segnò una prima significativa rottura delle convenzioni internazionali. il secondo passo l'ho mossi contro Danimarca e norvegia. I tedeschi erano superiori in uomini e soprattutto in divisioni corazzate. Lo stato maggiore francese, che seguiva ancora gli schemi strategici del primo conflitto mondiale, si era attrezzato per una lunga guerra di posizione: un sistema di fortificazioni chiamato linea Maginot era stato edificato lungo la frontiera con la Germania e la Svizzera. L'attacco tedesco scattò Il 10 maggio 1940 verso Olanda e Belgio. Il 20 maggio i tedeschi avevano già raggiunto la Manica, costringendo alla ritirata le truppe alleate: subendo gravi perdite, dalla città di Dunkerque le navi inglesi riuscirono a trasportare in patria quasi tutto il contingente britannico. Il 14 giugno le truppe naziste occuparono Parigi: ciò che non era riuscito ai tedeschi nei 5 anni della "grande guerra", Hitler lo ottenne in poco più di un mese. Il maresciallo Pètain assunse allora la guida del governo, firmò un armistizio e la Francia fu divisa in due: il Nord sotto diretto controllo tedesco, il Sud e le colonie sotto l'amministrazione collaborazionista di Pétain, con capitale a Vichy. L'Italia entrò in guerra a cose fatte il giugno 1940. Nel continente europeo la vittoria tedesca era completa. L'ultimo ostacolo rimaneva la Gran Bretagna. Londra, dove erano stati accolti i rappresentanti dei paesi sconfitti, divenne così la capitale della resistenza europea al nazismo. Churchill chiese aiuti agli Stati Uniti, che da giugno 1940 cominciarono a inviare armi e munizioni. Dal luglio 1940 Hitler preparò un attacco all'Unione Sovietica, rinviando un piano di invasione dell'Inghilterra e puntando su una strategia di bombardamenti sull'isola. L'aviazione tedesca concentrò in effetti i bombardamenti sull'area abitata di Londra, per indebolire il morale della popolazione e costringere il governo a trattare la pace. Le cose non andarono secondo i piani nazisti grazie all'efficace difesa dell'aviazione e delle postazioni antiaeree inglesi, le prime a sperimentare il radar. 10.2 La sconfitta della Francia e l'intervento dell'Italia avevano allargato l'area del conflitto, coinvolgendovi le rispettive colonie. Da Londra il generale Charles De Gaulle lanciò un proclama ai francesi chiamandoli alla resistenza. Al suo movimento per la "Francia libera" aderirono le colonie. Nell'agosto 1940 gli italiani attaccarono quindi l'Egitto, con l'obiettivo di acquisire le aree petrolifere del Medio Oriente è il nodo strategico di Suez. Le truppe italiane avanzarono in territorio egiziano, ma la loro superiorità numerica fu presto bilanciata dall'artiglieria e dei mezzi corazzati britannici. Iniziata nel dicembre 1940, la controffensiva inglese prevalse rapidamente. All'insaputa di Hitler, nell'ottobre 1940 l'Italia invase la Grecia. Ma anche in questo caso, dopo alcuni successi iniziali, il suo esercito venne ricacciato in Albania. Nel marzo 1941 uno sbarco britannico rese evidente il fallimento dell'iniziativa e costrinse Mussolini a chiedere aiuto alla Germania. L'intera area passò così sotto il controllo tedesco e anche la Grecia subì la stessa sorte. La Gran Bretagna occupando l'Iraq e liberando la Siria e il Libano, riuscì ad allontanare dal Medio Oriente la minaccia tedesca. La controffensiva Britannica costrinse gli italiani ad abbandonare l'Etiopia. Le cose cambiarono con il coinvolgimento dell'Unione Sovietica e degli Stati Uniti. Per Hitler l'attacco all'URSS era cruciale sul piano ideologico e coerente sull'obiettivo di aprire alla Germania uno "spazio vitale" a est contro popoli slavi "inferiori" governati da un regime comunista. L'operazione Barbarossa -questo il nome in codice dell'attacco all'URSS- iniziò nel 1941 e fu la più colossale operazione militare della storia. Il numero di vittime militari e civili sul fronte orientale superò di molto la somma di quelle di tutti gli altri teatri di guerra. L’Armata Rossa non resse l’urto e in breve i tedeschi giunsero a poche centinaia di chilometri da Mosca. La controffensiva Sovietica, i rigori dell'inverno e la stessa arretratezza del paese ( che costrinse i tedeschi, sparsi in un territorio sterminato, a costruire ex novo vie comunicazione guerra", fu presidente del consiglio e poi capo di uno stato che si dette una nuova Costituzione, sancendo formalmente la fine della Terza Repubblica. Il regime di Vichy sintetizzò un modello di stato autoritario e corporativo che si ricollegava a una tradizione antidemocratica di destra con profonde radici nel paese. Anche per questo godette di un consenso notevole, almeno in una prima fase: quando cioè Pètain si presentò come colui che aveva posto fine alla guerra e si appellò all'unità dei francesi nella prospettiva di una collaborazione che conservasse alla Francia alcuni margini di autonomia. In realtà quei margini vennero meno rapidamente sia per la durezza dell'occupazione nazista, sia per lo sviluppo di un movimento armato di resistenza. Dopo il 1942, quando Pètain venne sostituito, il collaborazionismo divenne totale. La legislazione antisemita varata nei primi mesi di vita del regime fu particolarmente severa e venne applicata con zelo: Francia e Ungheria furono gli unici paesi europei a deportare ebrei da zone non occupate dalle truppe tedesche. I movimenti di resistenza incarnano un'opposizione attiva dettata da ragioni diverse: esistenziali, politiche, sociali, di dignità nazionale. La guerra fu vinta dagli eserciti alleati, ma senza la resistenza la liberazione dal dominio fascista sarebbe stata il frutto di una concessione e non una conquista. Le minoranze che scelsero di rischiare la vita volevano invece dimostrare che in ogni paese era presente e attivo un nucleo di patrioti in grado di combattere contro l'invasore e di diventare un autonomo soggetto politico dopo la guerra. Nei Balcani il movimento più forte fu quello jugoslavo, che riuscì a creare un vero esercito capace di liberare il paese, infliggendo durissime perdite a italiani e tedeschi. Il controllo della situazione restò nelle mani di Tito, che -grazie anche a una politica filocontadina di redistribuzione delle terre- conquistò anche l'Istria e la Dalmazia. Gravi episodi di violenza si verificarono allora nei confronti dei residenti italiani, non solo fascisti o collaborazionisti: alcune migliaia di persone furono uccise e gettate nelle Foibe. In Italia i comunisti costituirono la maggioranza dei combattenti ed ebbero un ruolo di primo piano nella direzione della guerra partigiana. In Francia, l'unità del movimento fu incarnata dalla figura di De Gaulle. In Germania, la resistenza ebbe difficoltà a crescere e non riuscì a unire forze politiche contrapposte dai tempi della Repubblica di Weimar. Una durissima repressione, la passività e il consenso diffusi impedirono che nascesse un'opposizione forte e visibile. 10.6 Hitler divise le proprie forze per mirare simultaneamente a 3 obiettivi: raggiungere Stalingrado; indirizzare l'offensiva principale a sud verso il Caucaso; conquistare Leningrado all'estremo nord. Era un azzardo, volto a conseguire un vantaggio strategico prima del prevedibile intervento americano. Assorbito il colpo di Pearl Harbor, nel 1942 anche gli Stati Uniti prima bombardarono Tokyo e poi inflissero pesanti perdite alla flotta giapponese nella battaglia delle Isole Midway, che segnò la fine dell'iniziativa nipponica del Pacifico. Nel novembre 1942 partì la controffensiva Sovietica nella zona di Stalingrado. Stretta in una morsa e inutilmente costretta da Hitler a resistere a oltranza la armata tedesca del generale von Paulus si arrese nel febbraio 1943, disobbedendo agli ordini. I tedeschi e i loro alleati iniziarono allora una lunga ritirata, funestata dagli attacchi sovietici ed ai rigori del clima, che durò due anni e non si arrestò fino a Berlino. Alla battaglia di Stalingrado si aggiunsero infatti il ribaltamento della situazione nel Pacifico e la sconfitta subita in Africa nel ottobre 1942 dalle Armate italo-tedesche a El Alamein, a un centinaio di chilometri da Alessandria: da lì iniziò la controffensiva delle truppe britanniche al comando del generale Bernard Montgomery. Il 10 luglio gli alleati sbarcarono in Sicilia, il 25 luglio l'arresto di Mussolini su ordine del re d'Italia segnò la caduta del fascismo e a settembre il suo successore Pietro Badoglio siglò un armistizio con gli alleati. L’unità della coalizione antifascista non era priva di tensioni e di problemi. Le strategie di guerra vennero affrontate in un primo incontro tra Roosevelt, Churchill e Stalin, svoltosi a Teheran nel novembre 1943, dove si prefigurarono le future zone di influenza delle tre potenze, stabilendo intanto di porre l'Italia sotto il controllo degli eserciti che l'avessero liberata. Fu deciso di aprire un "secondo fronte" in Europa. Stalin lo chiedeva da tempo per alleggerire il peso della guerra, che nel continente gravava tutto sulle spalle dell'Unione Sovietica, ma quella decisione fu ritardata fino a giugno 1944. Ciò fu dovuto alla strategia seguita dagli Stati Uniti per mantenere il consenso interno: risparmiare al massimo le vite dei propri uomini, impegnandosi in battaglia solo in presenza di una sicura superiorità di mezzi. In Europa il 1944 fu dominato dalla lenta ritirata dei tedeschi. mentre l'Armata Rossa avanzava sul fronte orientale, il 6 giugno gli alleati aprirono infine il secondo fronte per un colossale sbarco in Normandia. Le difese tedesche cedettero e ad agosto gli alleati entrano a Parigi, dove De Gaulle costituì un governo provvisorio. Tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1945 giunse infine a compimento il crollo del Terzo Reich. Cadute l'Italia e Vienna, assediata Berlino dall'Armata Rossa, Hitler si tolse la vita il 30 Aprile, due giorni dopo la fucilazione di Mussolini da parte dei partigiani italiani. Il 6 agosto 1945 un bombardiere statunitense lanciò la prima bomba atomica sulla città di Hiroshima: un solo aereo e una sola bomba ebbero lo stesso effetto dei mille aerei alleati che nel febbraio precedente avevano raso al suolo la città tedesca di Dresda. Una seconda bomba venne lanciata il 9 agosto su Nagasaki. Il 14 agosto 1945 il Giappone accettò la resa incondizionata con l'unica richiesta che l'imperatore restasse al suo posto. La bomba atomica era il risultato del cosiddetto progetto Manhattan, un piano di ricerca avviato dagli Stati Uniti nel 1941 in un laboratorio segreto ad Alamogordo, nel deserto del Nuovo Messico. Gli scienziati del gruppo conclusero il proprio lavoro dopo la morte di Roosevelt, e consigliarono al nuovo presidente Harry Truman un uso dimostrativo della bomba su un'isola deserta. Alla conferenza alleata che si riunì a Potsdam nel mese di luglio Truman annunciò invece la possibilità di utilizzare direttamente la nuova arma contro il Giappone. Nell'immediato il possesso della bomba consegnava una posizione di leadership agli Stati Uniti. Questi erano anche la nazione che più si era impegnata nella costruzione di una nuova struttura sovranazionale che sostituisse la Società delle Nazioni sulla base dei principi nella Carta Atlantica. Nel 1945 a San Francisco i delegati di 50 paesi dettero vita all'Organizzazione delle Nazioni Unite, successivamente ne ratificano l'ho statuto e nel gennaio 1946 nacque l'ONU. 10.7 Nonostante le ambizioni di Mussolini, le "imprese" di Etiopia e di Spagna avevano messo a nudo i limiti delle forze armate italiane. Così allo scoppio della guerra l'Italia si dichiarò " non belligerante", pur confermando l'alleanza con la Germania, e solo dopo la vittoria offensiva tedesca contro la Francia Mussolini si risolse all'intervento nel errata previsione di una guerra breve è scontata. La vita quotidiana fu profondamente alterata dalla guerra. Soggette bombardamenti, le città persero parte dei loro abitanti, che "sfollarono”verso le campagne in cerca di sicurezza e cibo. Le distruzioni, i disagi economici, i lutti, le sofferenze e la paura provocati dal conflitto determinarono un progressivo indebolimento del "fronte interno": dalla seconda metà del 1942 le fonti di polizia segnalarono una crescente ostilità per il fascismo, che aveva voluto la guerra senza avere mezzi sufficienti per combatterla. Nel marzo 1943 scoppiarono nelle città del Nord i primi scioperi dopo vent’anni. Ai loro occhi gli scioperi mostrarono così la necessità di sbarazzarsi di lui e trattare la pace, resa ancora più urgente il 10 luglio dallo sbarco degli alleati in Sicilia. Il fascismo cadde quindi a seguito di una congiura di Palazzo, attuata da una parte dei gerarchi fascisti dissidenti e dai vertici dell'esercito sotto la cauta direzione della monarchia. Messo in minoranza nel gran consiglio, il 25 luglio 1943 fu fatto arrestare il re, che affidò il governo al maresciallo Pietro Badoglio, ex capo di stato maggiore delle Forze Armate. Badoglio seguì invece una condotta ambigua. Si proclamò infatti la prosecuzione della guerra e si richiesero alla Germania aiuti e truppe per contrastare gli alleati, ma nel contempo si intavolarono trattative segrete con gli angloamericani per l’armistizio, nella speranza che il loro appoggio salvasse governo e monarchia dalla reazione tedesca. Di fronte al fatto compiuto, Badoglio, una parte del governo, i vertici delle forze armate, il re e la famiglia reale fuggirono da Roma senza emanare alcun ordine. Il 9 settembre gli alleati sbarcarono a Salerno, ma furono accanitamente contrastati dai tedeschi e il fronte si attestò sulla cosiddetta “linea Gustav”, lasciando l’Italia centro settentrionale in mano tedesca. Le drammatiche vicende del 8 settembre segnarono il crollo istituzionale e il fallimento di un'intera classe dirigente, ma il giorno dopo il comitato di Liberazione Nazionale (CLN), costituito a Roma clandestinamente dai partiti antifascisti, chiamò gli italiani alla resistenza contro i tedeschi. Uniti nella lotta al nazifascismo, questi partiti esprimevano diversi orientamenti politici. I liberali pensavano a un ritorno allo Stato prefascista, mentre comunisti, socialisti e azionisti auspicavano a una profonda trasformazione della società e dello Stato. Comunisti e 11.2 L’instabilità economica andava combattuta con una ripresa del commercio internazionale e delle esportazioni di merci statunitensi da vendere a consumatori di Paesi stranieri che andavano aiutati sulla strada della prosperità. Espandere gli scambi mondiali di prodotti e materie prime faceva quindi tutt’uno con la necessità di contenere il comunismo. Era un piano sul quale l’URSS non fu mai in grado di competere. La guerra fredda fu pertanto una questione strategica di geopolitica e interessi economici, ma anche una questione ideologica e culturale: anticapitalismo sovietico e anticomunismo americano furono strumenti di una competizione mondiale per conquistare l'alleanza degli altri paesi. Marshall illustrò le linee generali del piano di aiuti economici all'Europa e avrebbe preso il suo nome. Tredici miliardi di dollari furono destinati, a fornire crediti e merci ai paesi europei per ricostruire le infrastrutture civili, sviluppare la produzione industriale, sostenere la crescita di occupazione e consumi. Solo un blocco politico-economico garantito dalla potenza industriale e finanziaria statunitense avrebbe potuto rimettere in moto la produzione europea e dare stabilità ai governi più deboli e ai paesi più esposti alla minaccia comunista. Il piano si rivolgeva anzitutto ai paesi occidentali, ma rimase aperta la possibilità che vi aderissero anche quelli dell'est europeo e la stessa Unione Sovietica. Il ministro degli Esteri sovietico Molotov si dichiara favorevole ad aiuti bilaterali, ma rigettò le proposte americane. L’URSS temeva di non riuscire a tenere insieme la cintura di stati amici nell'est europeo di fronte alle profferte economiche degli USA. Nell’estate 1947 la divisione dell'Europa e la guerra fredda erano ormai una realtà. Il piano Marshall segnò insomma la nascita del "blocco occidentale", che con il Patto Atlantico nell'aprile 1949 si sarebbe anche dotato di un organismo militare: la NATO. In risposta al piano Marshall nel settembre 1947 i delegati di 9 partiti comunisti si riunirono in Polonia e dettero vita al Cominform, ufficio di informazione comunista. Epicentro del confronto USA-URSS era la Germania, che tutti auspicavano riunificata ma sul cui futuro USA e URSS mantenevano posizioni diverse. Nel febbraio 1948 inglesi e americani crearono un governo provvisorio nelle zone controllate da loro e dai francesi. Per tutta risposta, in aprile il comandante sovietico rese noto che le persone in entrata e uscita dalla parte orientale della città dovevano ottenere la sua autorizzazione. A giugno nella zona occidentale fu introdotta una nuova moneta, che i sovietici condannarono perchè rompeva l’unità economica della Germania, concordata a Potsdam. Nella notte tra il 23 e 24 giugno Berlino venne infine isolata dal resto della Germania orientale, posta sotto il controllo sovietico: le vie di comunicazione furono interrotte e la parte occidentale della città, in mano agli alleati, fu esclusa dei rifornimenti energetici e alimentari. Per rifornire i berlinesi isolati gli Stati Uniti organizzarono un ponte aereo che ogni giorno scaricava a Berlino migliaia di tonnellate di merci, mentre le potenze occidentali interrompevano le forniture di carbone e acciaio alla Germania orientale. In quello stesso mese fu costituita a ovest la Repubblica federale tedesca e in ottobre nacque a est la Repubblica democratica tedesca. Nell'URSS la psicosi dell'accerchiamento e del pericolo di guerra servì a Stalin per giustificare l'esercizio di un pugno di ferro repressivo nel proprio paese e nelle Nazioni satelliti dell'Europa orientale. Agli Stati Uniti l'idea di un nemico globale, forte e aggressivo, servì per giustificare la dottrina Truman, abbandonando ogni propensione isolazionista e affidando alla nazione americana la missione altrettanto globale di difendere ovunque lo sviluppo capitalistico e la prosperità dalla minaccia comunista. Entrambe le superpotenze rispondevano ormai a una logica globale, dettata dalla preoccupazione di raccogliere consenso all'interno e di legittimare un chiaro punto di riferimento all'esterno. 11.3 La guerra fredda significò infatti un'enorme corsa agli armamenti. Dopo il 1945 USA e URSS salirono a oltre il 70% della produzione mondiale di armi. La crescente complessità della tecnologia incrementò le spese militari delle due superpotenze a un ritmo geometrico. Era una corsa che gli Stati Uniti potevano reggere ma per l’Unione Sovietica implicò una costante penalizzazione dell'Industria leggera produttrice di beni di consumo e una conseguente compressione della qualità della vita dei suoi cittadini. La sperimentazione di ordigni nucleari sempre più potenti - nel 1952/53 americani e sovietici fecero esplodere le prime bombe all'idrogeno - accrebbe la paura di un conflitto nucleare, ma la capacità di distruzione globale dei nuovi ordigni costituirà anche un fattore di dissuasione. La politica di "deterrenza" teorizzata e praticata da Washington rappresentò quindi una spinta al riarmo e insieme un tentativo di mantenere a vantaggio degli Stati Uniti il cosiddetto "equilibrio del terrore". Lo stesso mese in cui la Germania occidentale entrò nella NATO, gli otto paesi orientali del blocco sovietico stipularono il Patto di Varsavia: in trattato di cooperazione e mutua assistenza che stabilì un comando militare unificato sotto la guida di Mosca. USA e URSS rinsaldavano le proprie aree di influenza grazie a una potenza distruttiva armata mai sperimentata nella storia. Il conflitto si congelava al centro dell'Europa ma si decentrava nelle periferie del pianeta. La temporanea e parziale stabilizzazione di questa fase venne sancita da 2 conferenze internazionali che si tennero nel 1954. La prima, svoltasi a Berlino con la partecipazione delle Nazioni vincitrici della guerra si concluse con un nulla di fatto. La seconda, convocata a Ginevra, fu estesa alla Cina comunista. Si raggiunse allora una soluzione provvisoria alla questione del Vietnam, dividendo il paese lungo il diciassettesimo parallelo in due stati appartenenti alle opposte sfere di influenza: il nord fedele al blocco sovietico, e il sud in appoggio alla residua presenza francese e alla crescente influenza americana. A metà degli anni cinquanta la logica dell'equilibrio bipolare stringeva il pianeta in una morsa. Erano però diversi i paesi interessati a una collocazione internazionale il più possibile autonoma dai due blocchi, per impulso di India e Indonesia nell'aprile 1955 si riunirono a Bandung i rappresentanti di 29 paesi "non allineati" di Africa e Asia. Il documento da essi sottoscritto ribadiva i principi della Carta delle Nazioni Unite sulla limitazione degli armamenti e l’autodeterminazione dei popoli. 11.4 Per il blocco sovietico il 1956 fu un anno drammatico. A febbraio il nuovo leader Kruscev denunciò i crimini di Stalin al congresso del Partito Comunista dell'URSS. A giugno nuove sommosse operaie furono represse nel sangue in Polonia. A novembre l'intervento dell'armata Rossa pose fine a una rivolta antisovietica scoppiata in Ungheria. Tuttavia, come ha notato Paul Kennedy, USA e URSS andavano soggetti a una sorta di legge non scritta nell'evoluzione dei grandi imperi: più cresceva l'estensione spaziale della zona di influenza, più aumentavano le difficoltà di esercitare efficacemente il proprio potere. In modo particolare, il processo di decolonizzazione moltiplicava il numero degli Stati sovrani, ponendo sempre maggiori problemi di controllo. Fino dal 1948 la regione del Medio Oriente era stata organizzata sulla base di un voto preso a grande maggioranza dalle Nazioni Unite per far posto a un nuovo Stato: Israele. La nuova nazione si costituì sulla base della consapevolezza condivisa che la tragedia della Shoah era stata resa possibile dall'assenza di uno stato ebraico. Si realizzavano così gli obiettivi del movimento sionista, ma la nascita di Israele venne vissuta come un sopruso dagli Stati arabi confinanti, soggetti a limitazioni territoriali e spostamenti di popolazione. Ci fu inoltre l’iniziativa europeista. Soprattutto per opera del presidente della Comunità Europea del carbone e dell'acciaio, il francese Monnet, il processo di integrazione europea avviò i suoi primi passi. Il progetto di Monnet prevedeva di allargare la sfera di integrazione comunitaria dalle politiche industriali del comparto siderurgico ad altri settori chiave dello sviluppo economico: trasporti, fonti energetiche tradizionali, energia nucleare. Nel 1957 furono firmati a Roma i trattati per la costituzione dell’Euratom e della Comunità economica europea. 11.5 La guerra fredda costava. A partire dalla metà degli anni cinquanta USA e URSS ridussero la quota di bilancio destinata alle forze armate tradizionali, incrementando invece quella dedicata a mantenere l’equilibrio del terrore atomico. Bombe a testate nucleare furono collocate su sottomarini e bombardieri capaci di lunga autonomia, missili a media e lunga gittata furono installati in Europa. Come notò Schurmann, la tecnologia degli armamenti seguiva ormai una propria logica di sviluppo, sempre più autonoma rispetto al potere politico: quest'ultimo anzi era indotto a modulare le sue scelte non più soltanto in base alle proprie considerazioni strategiche, ma anche in base alla disponibilità o meno di determinate armi. Nel 1957 il lancio sovietico dello Sputnik, rafforzò la convinzione degli Stati Uniti che il loro territorio non potesse più essere considerato un "Santuario" al riparo da ogni attacco nemico. L’URSS trovò nella Cina popolare un nuovo sfidante. La crisi del 1956 aprì infatti un conflitto ideologico tra sovietici e cinesi, con Mao zedong nei panni di custode dell'ortodossia stalinista, contrario alla politica di coesistenza pacifica delineata da Kruscev, che sembrava escludere la Cina. Nel 1959 l'Unione Sovietica interruppe così la collaborazione nucleare con Pechino e nel 1960 ritirò i propri tecnici dalla Cina, sospendendo tutti gli accordi di Cooperazione tra i due paesi. Nel 1947 la conquista dell’indipendenza da parte dell'India mostrò a tutta l'Asia che l'obiettivo era concretamente raggiungibile. Di lì a poco ciò fu confermato dalla vittoria di Mao Zedong in Cina, che rappresentò anche un modello di strategia politico-militare più facilmente esportabile della non violenza di Gandhi e adeguato alla realtà dei movimenti di molti paesi. INDIA: In India l'indipendenza proclamata il 15 agosto 1947 aprì un grave problema tra la maggioranza Indù e la maggioranza musulmana. Gandhi aveva sostenuto la possibilità di integrare la popolazione di fede islamica in uno stato unitario, ma la Lega musulmana rivendicava da tempo la creazione di una nazione separata. La soluzione che fu adottata -quella di costituire due diversi stati: l'unione indiana a maggioranza Indù, il Pakistan a maggioranza musulmana- spinse a migrare 12 milioni di persone e questo esodo di proporzioni bibliche dette luogo a violenze tra Indù e musulmani. Lo stesso Gandhi fu assassinato nel 1948 da un fanatico Indù che lo accusava di eccessiva tolleranza verso gli islamici. I rapporti stati furono costellati da ripetuti conflitti. FILIPPINE: Durante la guerra, insieme alla Birmania e all'Indonesia, le Filippine avevano ottenuto dal Giappone la promessa di una piena sovranità e difficilmente la restaurazione della tutela statunitense avrebbe potuto non tenerne conto. nel 1946 furono il primo paese asiatico a raggiungere l'indipendenza. Le attività di guerriglia proseguite dopo il conseguimento dell'Indipendenza in diversi paesi asiatici rispondevano a una doppia logica. La prima era la protesta contro le ineguaglianze della società rurale, che il colonialismo aveva gravato. L'incontro con l'economia monetaria dei Paesi sviluppati e lo sviluppo di monocolture destinate all'esportazione, assieme alla crescita demografica favorita dall'introduzione di antibiotici e insetticidi, sconvolsero infatti gli equilibri sociali delle campagne. Nelle Filippine due terzi della popolazione rurale erano composti da coloni e braccianti senza terra; Nel Vietnam del Nord un quinto delle campagne era posseduto da meno di 200 latifondisti. Come era già accaduto in Cina, queste masse di contadini poveri furono “l'acqua” nella quale nuotò il pesce della guerriglia: una riserva naturale di consenso, assistenza, protezione. La seconda logica era legata alla guerra fredda e all'appoggio dell'Unione Sovietica, che puntava a mutare i rapporti di forza globali attraverso il sostegno politico e finanziario ai movimenti di guerriglia. In alcuni casi, infine, alle ragioni sociali si aggiunsero divisioni etniche e la guerriglia fu alimentata da minoranze. 12.2 A differenza della Gran Bretagna, la Francia cercò fino all'ultimo di conservare il proprio impero. La nuova Costituzione francese evitava con cura ogni riferimento esplicito alla loro indipendenza. Il problema si pose con particolare acutezza in indocina, dove la Francia intendeva conservare il potere su una federazione dei propri possedimenti continuando a gestire la difesa militare, l'emissione di moneta, la politica estera e quella economica. Vietminh: Il fronte per l'indipendenza del Vietnam creato dei comunisti nel 1941. Con l'appoggio delle truppe britanniche, intanto, i francesi avevano conquistato il sud del paese, reprimendo duramente i Vietminh e creando le condizioni per restaurare il proprio potere su tutta la regione. Per tutta risposta nel 1945 il leader comunista Ho Chi-minh proclamò l'indipendenza del Vietnam annunciando l'elezione di un'assemblea Costituente, introducendo la giornata lavorativa di 8 ore, l'eguaglianza dei sessi e un sistema di istruzione pubblica rivolto a una popolazione per 80% analfabeta. Seguì una trattativa, che nel 1946 portò alla sostituzione delle forze cinesi con reparti francesi e all'apertura di un negoziato per definire la sovranità del paese, che tuttavia registrò notevoli divergenze e si concluse con una semplice tregua militare. Decisi a difendere i propri interessi nelle piantagioni di caucciù del paese, nello stesso 1946 i francesi presenti nel Vietnam passarono all'azione, bombardando il porto di Haiphong. I reparti nordvietnamiti attaccarono allora le forze francesi, ritirandosi poi nella giungla: era l'inizio della guerra d'Indocina. Nel 1954 la conferenza internazionale di Ginevra cercò di trovare una soluzione negoziata alle guerre di Corea e Vietnam. Cina e Unione Sovietica riuscirono a imporre la presenza della repubblica del Vietnam del Nord, premettero su Ho Chi-minh perché accettasse su compromesso, dividendo il paese in due stati indipendenti separati dal 17esimo parallelo. Nel Nord si avviò una involuzione autoritaria che vide l'esodo di un milione di cattolici verso il sud, la costruzione di un regime a Partito Unico, la nazionalizzazione della vita produttiva e l'esproprio della grande proprietà terriera. Nel Sud si aprì una fase di instabilità politica che portò nel 1955 alla proclamazione di una repubblica, che tuttavia rimase costantemente travagliata da lotte tra le fazioni politiche e religiose. Nel 1960, alcune di queste fazioni si unirono con il nome di VietCong nel fronte di Liberazione Nazionale del Vietnam del Sud. L'anno dopo il FNL lanciò un'offensiva armata nella regione del delta del fiume e sugli altopiani del Sud, che provocò l'immediata reazione degli Stati Uniti: Kennedy inviò ingenti quantitativi di armi e denaro, oltre ad alcune centinaia di consiglieri militari. Nel 1962 si stabilì nella capitale un comando americano per intensificare l'iniziativa militare del Vietnam del Sud. Niente riuscì comunque a frenare L'offensiva dei Vietcong: l'ipotesi di una riunificazione del Vietnam per via militare diventava reale. Per non perdere la loro ultima base nel sud-est asiatico, agli Stati Uniti non rimaneva che l'intervento diretto. Il nord del paese venne sottoposto a pesanti bombardamenti aerei e il numero di soldati americani aumentò fino a superare il mezzo milione nel giro di tre anni. Ciò nonostante nel 1968 l'esercito nordvietnamita lanciò una controffensiva che risultò inutile sul piano militare e costosissima in termini di perdite umane, ma fu decisiva per convincere gli Stati Uniti che una vittoria sarebbe stata pagata a un prezzo troppo alto. Washington annunciò la fine dei bombardamenti e la volontà di arrivare al più presto a negoziati di pace. Le trattative ebbero una gestione lunga e complicata, ma il nuovo presidente degli Stati Uniti Nixon portò avanti il ritiro delle truppe, che fu completato nel 1973. La guerra civile vietnamita proseguì fino a quando le forze del Nord Conquistarono la capitale e unificarono il paese. 12.3 In una conferenza svoltasi nel 1944 Egitto, transgiordania, Iraq, Libano, Arabia Saudita e Yemen avevano promosso la formazione di una Lega araba e l'anno dopo approvarono una Carta che tra i propri obiettivi poneva l'indipendenza dei popoli arabi e una soluzione equa dei rapporti tra palestinesi e coloni ebrei. Alla fine della guerra la causa araba registrò un primo successo: nel 1946 le truppe anglo-francesi, dopo una breve resistenza armata, dovettero evacuare la Siria e Libano, che rimasero nelle mani dei movimenti nazionali. Fino dal 1945 il leader della comunità ebraica in Palestina, guidò azioni di protesta contro il mandato inglese che governava l'intera area. Gruppi terroristici si resero responsabili di attentati a edifici e persone arabe e inglesi. Nel 1947 la Gran Bretagna rinunciò al proprio mandato e l'ONU si espresse a favore della divisione della Palestina in due stati (uno ebraico e uno palestinese) ma gli scontri armati non si arrestarono. Subito dopo fu proclamato lo Stato di Israele, che con l’appoggio occidentale sconfisse le truppe inviate contro di lui dai paesi arabi. Nel 1949 Israele si estendeva su un territorio quasi doppio rispetto a quello fissato dall'ONU e quanto restava del previsto stato palestinese fu annesso rispettivamente dalla transgiordania e dall'Egitto. La sconfitta rafforzò i movimenti nazionalisti arabi. Paesi arabi indipendenti -dal 1946 Libano, Siria e transgiordania, Libia, Egitto, Marocco, Tunisia e Iraq, dove presero il potere i militari. Più solido è incisivo anche se limitato al piano economico, risulta il cartello formato nel 1960 nei paesi produttori di petrolio -OPEC- comprendente Venezuela, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Libia, Indonesia, Emirati Arabi Uniti, Algeria, Nigeria, Ecuador e Gabon. Nata per realizzare un controllo congiunto di produzione e prezzi, l’OPEC agì in un rapporto ora convergente ora contraddittorio con gli interessi delle compagnie petrolifere occidentali. Le risorse finanziarie garantite dalle esportazioni di petrolio favorirono la scolarizzazione di base e un innalzamento generale del livello di vita, ma anche la crescita di una burocrazia molto vulnerabile alla produzione. Sviluppi analoghi caratterizzarono l'intero scenario medio-orientale, che fu segnato dalla fermarsi di regimi autoritari. Tali furono le monarchie di Marocco, Giordania, e Arabia Saudita, che assunsero spesso posizione filo-occidentali. 12.4.Nell'africa subsahariana l'indipendenza fu acquisita solo dopo la metà degli anni 50, generalmente in forme meno traumatiche di Asia e Medio Oriente. In pratica tra il 1956 e il 1968 tutti i paesi dell'area uscirono dal colonialismo, tranne le colonie Portoghesi dove si svolsero lunghe guerre di liberazione e a cui solo la caduta del regime salazarista aprì le porte dell'Indipendenza. L'indipendenza fu guidata da leader formatisi spesso nelle università europee e sostenuta dalle Élite urbane collaboratrici delle amministrazioni coloniali. Questi ceti dirigenti si resero protagonisti di un processo di modernizzazione che in parte si appoggiò a dinamiche di sviluppo economico che si valse dei buoni rapporti stabiliti con gli Stati Uniti e di ingenti investimenti americani. Capitolo 13. - LA GOLDEN AGE 13.1 Il profondo mutamento intervenuto nelle relazioni internazionali con il ridimensionamento dell’Europa, l’avvento del sistema bipolare della guerra fredda e il dispiegarsi del processo di decolonizzazione possono essere considerati come altrettanti fattori di un nuovo ciclo di globalizzazione, che si aprì all’indomani della “guerra dei Trent’anni” del Novecento. Al suo interno, tuttavia, è possibile individuare due fasi diverse, con un momento di svolta e come vedremo è collocabile nei primi anni Settanta. In quella che non a caso è stata chiamata golden.age, Fino al 1973, si verificò uno sviluppo economico impetuoso che, non fu interrotto da alcun momento di stasi o di crisi congiunturale. Interessò soprattutto i paesi a capitalismo sviluppato, accentuando così la tendenza a uno sviluppo diseguale e aggravando le distanze tra Nord e Sud del globo. Specie in Europa, alla crescita impetuosa dell'economia si accompagnava una forte riduzione delle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi grazie al welfare state. Il boom di questi paesi (in Italia si parla di un vero "miracolo economico") fu reso possibile da un elevato livello di Cooperazione e da una notevole stabilità monetaria. Nel 1944 una conferenza anglo americana svoltasi a bretton-woods, aveva definito il sistema economico e Monetario Internazionale del dopoguerra. Vi erano state accolte molte idee del capo delegazione britannico, il grande economista Keynes, che era stato uno dei critici più severi delle scelte operate dopo la “grande guerra”. La stabilità degli scambi internazionali era stata garantita dall'adozione del sistema monetario del Gold Dollar standard, basato sulla convertibilità del dollaro in oro, facendosi carico della quale gli USA assunsero il proprio ruolo di superpotenza economica, soppiantando definitivamente la Gran Bretagna e la sterlina. Erano stati inoltre creati un Fondo Monetario Internazionale per regolare le crisi delle valute nazionali e una banca mondiale per promuovere lo sviluppo dei paesi più arretrati. Su queste basi, alla Golden Age contribuirono diversi fattori. Il primo fu la grande disponibilità di manodopera industriale a basso costo . La meccanizzazione dell'agricoltura lasciò Infatti senza lavoro milioni di persone e, assieme alla aprirsi di nuove opportunità dell'industria, determinò un gigantesco processo migratorio dalle campagne alle città. Fu un processo traumatico, che tuttavia consentì a milioni di persone di raggiungere condizioni di vita migliori, le quali contribuirono a contenere la conflittualità sociale. In Europa si diffuse il fordismo cioè un modello sociale fondato sulla produttività della grande impresa e sui consumi di massa. Un ulteriore strumento di tale intervento fu in effetti la messa in atto di politiche di redistribuzione del reddito e di difesa dei ceti più deboli attraverso il fisco:in breve, lo sviluppo dello Stato Sociale. Nel periodo della Golden Age un forte consenso sociale accompagnò così l'aumento delle imposte necessario a finanziare i servizi sociali. La continua crescita dell'economia permise di coprire la crescente spesa sociale, mantenendo in equilibrio le entrate e le uscite, e l'esperienza del welfare state toccò il suo apogeo. La fine di questa accessionale fase di espansione viene di solito collocata nel 1973, quando l'OPEC quadruplicò il prezzo del grezzo, che salì da tre a dodici dollari al barile. Si trattò di una decisione politica, presa per danneggiare i paesi favorevoli a Israele, che aprì una prolungata fase di crisi economica mondiale perché tutti i paesi industrializzati, tranne gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, importavano quasi per intero questa fonte di energia. Già Prima dello shock petrolifero del 1973, il meccanismo che aveva governato lo sviluppo dell'Occidente aveva dato inequivocabili segni di crisi, il più evidente dei quali fu la fine del sistema dei Gold Dollar standard. Nel 1971, gli Stati Uniti posero fine alla convertibilità del dollaro in oro e con essa al modello di cooperazione internazionale del 25ennio precedente. L’impetuosa crescita economica del 1945-73 ebbe comunque effetti molto pesanti sull'ambiente, accentuando la pressione umana sulle risorse naturali non rinnovabili e aggravando l'inquinamento del pianeta. Si intensificarono infatti fenomeni quali la contaminazione dei suoli e delle acque causata dall'uso di fertilizzanti chimici e antiparassitari nell'agricoltura, lo smog urbano, gli scarichi industriali, le "piogge acide" dovute allo sviluppo di gas inquinanti. 13.2 La guerra aveva lanciato l'economia degli Stati Uniti alla velocità di una locomotiva: dal 1939 al 1945 la produzione industriale raddoppio, i disoccupati calarono e le famiglie con redditi superiori salirono. A guerra finita questa locomotiva dovete però rallentare per riconvertirsi alla produzione di pace senza provocare crisi deflattive. La pace fu seguita da una forte inflazione: i prezzi aumentano quasi del 50% e un’ondata di scioperi rivendicò aumenti salariali. Truman reagì richiamandosi al New Deal rooseveltiano e nel 1945 lanciò il Fair Deal: un piano che prevedeva l'aumento dei minimi salariali, lo sviluppo dell'edilizia popolare e ospedaliera, l'estensione delle leggi di assicurazione. La minoranza repubblicana però si oppose contro quella che considerava un’indebita invadenza dello Stato, denunciando presunte infiltrazioni comuniste nella pubblica amministrazione. Indebolito da questo risultato, il presidente si adeguò allo spostamento a destra dell'opinione pubblica. Nel 1947 venne portato in campo un programma di indagini personali contro i potenziali “sovversivi” fra i dipendenti pubblici, che coinvolse milioni di persone creando una spirale di sospetti e delazioni che inclinò il sistema Democratico. Nel contesto della guerra fredda, un acceso anticomunismo accumulava comunque i due partiti. Si esasperò così un clima di “caccia alle streghe”, che non colpì soltanto il piccolo Partito Comunista o persone ree di spionaggio a favore dell'URSS, ma anche sindacalisti, intellettuali e artisti sospettati di simpatie per l'Unione Sovietica. La bomba atomica Sovietica e la guerra di Corea alimentarono ancora le ansie del paese, che trovarono Il portavoce più oltranzista nel senatore Joseph McCarthy. Questi si disse in possesso di una lista di agenti comunisti infiltrati nel dipartimento di stato e, pur essendo smentito da una commissione del Senato, scatenò una vasta campagna inquisitoria. Il “maccartismo” diffuse nel paese un clima di intimidazione e conformismo, limitò la libertà di opinione e si ripercosse sul sistema giudiziario riducendo la tutela dei diritti degli imputati. I repubblicani se ne valsero per tornare al potere dopo 20 anni, portando alla presidenza l'eroe della Seconda Guerra Mondiale, il generale Eisenhower. La Guerra di Corea stimolo un nuovo ciclo di sostenuta crescita economica. Ne avvantaggiato in primo luogo il “complesso militare-industriale”, ma la prosperità si estese a gran parte del corpo sociale. Negli anni cinquanta il reddito pro capite crebbe tenendo il passo del forte incremento demografico, e la durata della vita salì, l’occupazione femminile raddoppiò e le famiglie con reddito inferiore scesero. Il luogo d’elezione dell’American way of life furono i sobborghi delle metropoli, che si estesero fino ad ospitare un quarto della popolazione. La sua chiave di volta fu un imponente aumento dei consumi e dei servizi privati. Il consumo di elettricità triplicò, comparvero le carte di credito e il tempo libero assorbì una quota crescente delle spese dei cittadini, 8 milioni dei quali fecero viaggi turistici all’estero. Nel 1954 l’indice della borsa di Wall Street tornò ai livelli precedenti la crisi del 1929, mentre l’industria automobilistica e aeronautica conoscevano un vero boom. Costruito sullo stile dei ceti medi, l’American way of life fu concepito come un modello da esportare in tutto il mondo. La Coca-Cola divenne il simbolo di questa società di massa aperta e consumista. La prima emergenza che Eisenhower dovette affrontare dopo la sua rielezione nel 1956 fu quella della segregazione razziale ancora vigente negli stati del Sud, benché nel 1954 la corte suprema avesse dichiarato incostituzionale le leggi che istituivano scuole separate per i neri. Sotto la guida di organismi come la National Association for the advancement of the colored people, il movimento per i diritti civili sviluppò agitazioni non violente come i sit-in con cui i neri occupavano gli spazi riservati ai bianchi negli autobus, nelle scuole, negli uffici pubblici. Nel 1957 il lancio in orbita dello sputnik lanciò l'allarme sui ritardi della Ricerca Scientifica statunitense. Nel 1958 gli Stati Uniti ebbero il loro satellite, ma nel 1961 l'URSS vinse anche la gara per il lancio del primo astronauta. In realtà la ricerca scientifica americana non era in ritardo rispetto a quella Sovietica, egli risentiva semmai del peso condizionate nell'industria bellica. 13.3 La campagna elettorale del 1960 fu vinta di strettissima misura dal giovane democratico John Kennedy, il quale coniò l'immagine di una “nuova frontiera” costituita dai “territori inesplorati della Scienza e dello spazio, dei problemi non risolti della pace e della guerra, delle sacche di ignoranza e di pregiudizio, delle questioni irrisolte della povertà e degli sprechi”. Assorbita dalla politica estera la breve presidenza Kennedy -che morì in 1963- non riuscì a risolvere questi problemi, ma sostenne il movimento per i diritti civili. Nel 1963 questo organizzò una grande marcia a Washington, dove il leader nero Martin Luther King auspicò una società priva di discriminazioni. Ma le riforme a cui Kennedy pose mano passarono in eredità al vicepresidente Johnson. Tra il 1965 e il 1967 il malessere dei ghetti neri delle metropoli di Nord esplose in numerose rivolte e la dirigenza non violenta del movimento fu contrastata dall’ascesa di leader radicali contrari all’integrazione , che diffusero l’idea separatista di un contropotere nero. Ai movimenti neri si sommavano una grande ribellione giovanile contro l'autoritarismo e il conformismo della società americana, che si partì dai campus universitari, e lo sviluppo di movimenti femministi che contestavano il ruolo domestico assegnato alle donne, rivendicando parità di diritti e opportunità contro le disuguaglianze retributive e gerarchiche. L'insieme di tali movimenti configurò una “nuova sinistra”. Sull'altro fronte la maggioranza moderata costituita dall'America provinciale e rurale si opponeva invece all'innovazione sociale e culturale e alle stesse riforme di Johnson in nome della difesa dei valori della tradizione. Nel 1967 una grande manifestazione per la pace a Washington culminò in scontri tra dimostranti ed esercito. Fu solo il preludio delle tensioni che caratterizzarono la campagna presidenziale del 1968, segnata dalla rinuncia di Johnson costava il doppio a causa del precoce ritorno all'economia di pace, l'autorità della monarchia non era mai venuta meno e la presenza di partiti antifascisti era più dispersa e frammentata. Nel Nord la lotta partigiana aveva invece conferito grande autorità alle forze del CLN, incutendo nello stesso tempo a industriali e agrari la paura di un governo di sinistra. Nel 1943, dopo lo scioglimento del comintern, il Partito Comunista d'Italia diretto da Palmiro Togliatti si era ribattezzato Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista aveva preso il nome di partito socialista italiano di unità proletaria. Dalla metà degli anni trenta le necessità della battaglia antifascista avevano spinto questi partiti a smorzare la rivalità che gli aveva divisi. La Democrazia cristiana,Si proponeva di organizzare politicamente i cattolici, grazie alla ricucitura dei rapporti con la Santa Sede operata negli ultimi anni del conflitto del suo leader Alcide De Gasperi. Anche il partito d'Azione era nato nel 1942 insieme a quello di Giustizia e Libertà. La destra dello schieramento politico era occupata dal Partito liberale e dalla Democrazia del lavoro. Con la partecipazione alla resistenza i partiti avevano acquisito un peso di massa, riempiendo il vuoto politico aperto dalla crisi del fascismo e offrendo canali di organizzazione e rappresentanza a masse disabituate da vent'anni di dittatura. Primo ministro: Alcide De Gasperi. Già nel corso del conflitto, nonostante l'occupazione militare alleata, i contadini meridionali avevano rivendicato una redistribuzione della terra. Nel 1944-45 una grande ondata di manifestazioni, scioperi e occupazioni di terre aveva chiesto l'assegnazione del latifondo ai contadini. Anche nell'Italia del centro nord le campagne furono percorse da scioperi e moti di protesta per la conquista di più eque condizioni di lavoro, per il miglioramento dei patti colonici con una ripartizione del prodotto più favorevole ai contadini, per il controllo del collocamento al lavoro dei braccianti e degli altri lavoratori agricoli. Il 2 giugno 1946 si tennero il referendum istituzionale per decidere la forma (monarchia o repubblica) del nuovo stato e le elezioni per l’Assemblea costituente incaricata di redigere la nuova Carta costituzionale. La Repubblica vinse e le larghe zone del mezzogiorno espressero schiaccianti maggioranze monarchiche: un segno delle profonde differenze esistenti tra Nord, che aveva vissuto l’esperienza politica della Resistenza, e il Sud che vi aveva partecipato in minor misura. La DC risultò di gran lunga il partito più forte. 14.2 La Costituente rappresenta una svolta storica per il popolo italiano: per la prima volta si supera il limite di uno statuto concesso dall'alto com'era stato quello Albertino, mostratosi per di più incapace di contrastare il fascismo. L’Assemblea fu il luogo di incontro tra culture politiche e civili assai diverse: quella cattolica, quella liberale, quella marxista. La Costituzione prevedeva un patto tra cittadini fondato sul lavoro, ma anche sulla difesa della società civile da un'eccessiva ingerenza dello Stato, secondo il garantismo della tradizione liberale e l'insegnamento tratto dell'esperienza fascista. La Costituzione delineò quindi un percorso di trasformazione dello Stato, che prevedeva la creazione di alcuni nuovi strumenti per il controllo della legittimità delle leggi e per il decentramento amministrativo. Alcune di queste vennero realizzate subito “a statuto speciale” nei casi -considerati eccezionali per ragioni geografiche o etniche- di Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino Alto-Adige. Per molti aspetti l'attività dell'assemblea costituente, conclusa con l'entrata in vigore della nuova costituzione del 1948, fu il frutto più significativo dell'Unità dei partiti antifascisti. De Gasperi agì con decisione per assumere il ruolo di cerniera imprescindibile della nuova collocazione internazionale del paese: nel 1947 un viaggio negli Stati Uniti servì a definire i dettagli di questo asse privilegiato, che comportava l'esclusione delle sinistre filosovietiche dal governo. De Gasperi attuò un graduale distacco dai partiti di sinistra e strinse alleanze con i partiti laici minori: i repubblicani, i liberali e i socialdemocratici. Nacque così un diverso equilibrio politico, contrassegnato da governi “centristi” a guida democristiana e dall'opposizione a destra di monarchici e neofascisti, a sinistra da PSI e PCI. 14.3 La sconfitta della sinistra non attenuò le contrapposizioni, che emersero drammaticamente il 14 luglio 1948, quando Togliatti rimase gravemente ferito in un attentato. Milioni di lavoratori scesero in sciopero, convinti che si trattasse del primo atto di un colpo di stato reazionario. Il paese sembrò di nuovo sull'orlo di una guerra civile, ma i dirigenti comunisti e socialisti riuscirono a ricondurre i manifestanti alla calma. Sul piano economico la politica liberista di Einaudi venne proseguita dai governi centristi, che vi aggiunsero una serie di interventi pubblici di sostegno all’industria. Si inaugurò così una linea di politica economica destinata a durare nel tempo fondata su finanziamenti pubblici alle imprese private senza precisi intenti di programmazione dello sviluppo. Per parte loro, imprenditori e proprietari terrieri sfruttarono la congiuntura politica per ridurre i costi della manodopera ed eliminare la resistenza sindacale. Istituzione della Cassa per il Mezzogiorno nel 1950: A quest'ultima fu affidato il compito di finanziare gli interventi necessari per dotare il Sud del paese delle infrastrutture occorrenti per l'impianto di imprese produttive agricole, industriali e commerciali. La gestione delle risorse destinate a finanziare tali interventi fu rapidamente sottratta al controllo del Parlamento e contribuì a creare una base di consenso attorno al ceto di governo, che nei decenni seguenti scivolò sempre più palesemente verso forme di clientelismo e corruzione. La crisi del rapporto tra DC e grandi proprietari terrieri causata dalla riforma agraria aprì una spazio all’iniziativa dei partiti di destra, che riscossero significativi successi alle elezioni amministrative del 1951-52. La DC perse invece molti consensi a favore dei partiti di destra, mentre PSI e PCI migliorarono le loro posizioni. La seconda legislatura si aprì quindi nel segno dell'incertezza. Il rafforzamento dei partiti di sinistra rendeva fragile È rischiosa un'alleanza tra DC e destra, mentre gli equilibri internazionali, esasperati dalla guerra di Corea, impedivano ogni apertura a sinistra. Nel 1952 la Costituzione dell'ente Nazionale idrocarburi (ENI), azienda statale per lo sfruttamento del petrolio e del gas naturale, esemplifica il processo di crescita di un nuovo capitalismo, capace di muoversi in modo competitivo sul libero mercato e al tempo stesso saldamente legato alle istituzioni e ai partiti di governo. Ne derivò un'espansione del settore dell'Industria di Stato, oltre all’ENI, ne fecero parte imprese siderurgiche come Ilva, con investimenti che dal 1955 al 1962 crebbero più del doppio di quelli privati. Nel settore privato ebbero un ruolo importante Fiat e l’Olivetti produttrice di macchine per scrivere. A favorire l'export italiano intervenne dal 1957 il mercato comune europeo, che facilitò il libero Commercio nel continente. 14.4 Nella seconda parte degli anni 50, mentre gli equilibri politici erano congelati, la struttura produttiva del paese conobbe una profonda trasformazione. Nel 1951 e 1961 gli addetti all'agricoltura calarono dal 42 al 29% della forza lavoro e gli addetti all'industria e ai servizi crebbero di 2 milioni di unità: per la prima volta il settore industriale conquistò la maggioranza relativa della popolazione attiva. Questo vistoso aumento non fu peraltro sufficiente a compensare la perdita di posti di lavoro agricoltura. Anche se impetuoso, il processo di industrializzazione rimase inizialmente concentrato nel "triangolo industriale" Torino-Milano-Genova. In particolare l'industria italiana si afferma nel mercato mondiale dei beni di consumo durevole ( auto, moto, elettrodomestici, televisori) e nel settore chimico e petrolchimico, con grande impulso alle esportazioni. Il prodotto nazionale lordo fece segnare aumenti molto forti, era l'Italia del boom, del "Miracolo economico", come fu definita dai giornali dell'epoca quell'eccezionale crescita di produzione e consumi. Il carattere squilibrato dello sviluppo italiano su peraltro testimoniato dai flussi migratori interni. Tra il 1955 e il 1971 cambiarono residenza 26 milioni di italiani, con punte massime negli anni del boom: di questi oltre 9 milioni abbandonarono la loro regione d’origine e una quota minoritaria ma significativa si mosse dal sud verso il triangolo industriale. Di gran lunga maggiore fu comunque la quota dei migranti meridionali che si spostarono all'interno del Mezzogiorno dalle campagne verso la città. Nel Mezzogiorno si avviò uno spopolamento delle aree agricole e montane. Si verificò allora una grande mutazione dei valori e dei miti dell'Italia intera. Tradizioni, credenze, riti e costumi del mondo contadino si avviarono verso una sostanziale scomparsa sostituiti da comportamenti e abitudini del mondo cittadino, industriale, moderno, "americano". Medium determinante di questa mutazione fu la televisione: attraverso di essa la lingua italiana si affermò definitivamente nell’uso affiancandosi ai dialetti. Soprattutto attraverso la televisione i ceti sociali furono influenzati da un processo di secolarizzazione: si ridimensionò il peso della religione nei comportamenti quotidiani, Gli anni settanta furono così dilaniati da spinte contrapposte. La recessione economica indotta dalla crisi petrolifera del 1973 rialzò i livelli di disoccupazione, mentre il terrorismo cercava di sfruttare la crescente debolezza delle forze del centrosinistra e un sensibile spostamento a sinistra dell'elettorato. I comunisti italiani, spagnoli e francesi elaborarono la visione di una via al socialismo lontana da quella Sovietica, fondata sul pluralismo e la democrazia, che fu chiamata “eurocomunismo”. Gli elettori si erano quindi mossi in un senso chiaramente bipolare, dando quasi tre quarti dei voti ai due partiti maggiori.Il sistema politico rimase così bloccato e un’acuta conflittualità sociale, su cui gravava l’ombra del terrorismo di destra e di sinistra, non riuscì a trovare sbocchi istituzionali. Capitolo 15. - IL MONDO COMUNISTA 15.1 L’Unione Sovietica devastata dalla guerra aveva 2 punti di forza per ripartire: l'apparato industriale cresciuto con lo sforzo bellico e i territori occupati a Occidente dall'Armata rossa. Stalin agì con la consueta durezza per consolidarli. Tra il 1947 e il 1948 i paesi dell’Europa orientale furono sovietizzati con regimi monopartitici subordinati all’URSS sul piano economico, politico e militare. A fare le spese di questa politica furono l’agricoltura e il tenore di vita dei cittadini. Ma fu soprattutto la popolazione rurale a pagare il prezzo del piano quinquennale. La scomparsa di Stalin privò il regime del suo baricentro e aprì un periodo di lotte per il potere nel gruppo dirigente. Del conflitto tra militari e governo approfittò il leader del Partito Kruscev. Nel 1956, Kruscev affermò una linea di coesistenza pacifica e con il mondo capitalista che contraddiceva la previsione staliniana di un conflitto inevitabile e quindi sminuiva il potere dei militari. Ma il suo atto più clamoroso fu il rapporto segreto che denunciò il “culto della personalità”, le violazioni della legalità e i crimini del periodo staliniano. Lo strappo del Congresso portò lo smantellamento dei Gulag e alla riorganizzazione della polizia politica del KGB, guidato da funzionari di partito e alle dirette dipendenze del governo. Kruscev cercò di limitare i motivi di scontro con i militari, riducendo gli effettivi dalle forze armate ma dando grande impulso alla ricerca scientifica e tecnologica nel campo degli armamenti nucleari e missilistici. A coronamento di questi sforzi, nel 1957 l’URSS lanciò in orbita lo sputnik, il primo satellite artificiale della Terra. Un'accorta politica di bilanciamento tra i centri di potere gli permise infine nel 1958 di riunificare nella sua persona i ruoli di capo del governo e segretario del partito (Età del disgelo.) La burocrazia di partito venne sottoposta a una rotazione periodica degli incarichi; il ripristino della libertà di auto licenziamento per gli operai delle imprese di Stato consentì ad un terzo degli addetti di cambiare lavoro. Fu avviato un nuovo piano di edilizia popolare e le macchine agricole vennero vendute dallo Stato ai contadini: in concomitanza con una serie di buoni raccolti si ebbe una sostenuta ripresa della produzione agricola. Rimase tuttavia irrisolto il problema dell'espansione dei consumi, reso più urgente dalla crescita demografica ed dai processi di urbanizzazione che nel 1959 portarono gli abitanti delle città a superare quelli delle campagne. Nonostante i successi conseguiti sul piano tecnologico nel 1960 il reddito pro capite rimaneva un terzo di quello statunitense. Fin dalla guerra di Corea Mao Zedong seguiva una linea intransigente di lotta all'imperialismo degli USA, che rifiutava la coesistenza pacifica adottata dal Cremlino. Di conseguenza nel 1959 Kruscev ruppe la collaborazione nucleare con la Cina e nel 1960 ritirò i tecnici e i consiglieri sovietici. La frattura spinse i dirigenti cinesi a un’azione di “fronda” aperta nei confronti della leadership sovietica, che trovò sponde nei partiti comunisti asiatici e in quello albanese. Maturarono così anche all’interno del paese le condizioni per un avvicendamento al vertice: Kruscev venne deposto nell’ottobre 1964. 15.2 A partire dal 1970 l'economia Sovietica entrò in crisi. Nell’agricoltura il susseguirsi di cattivi raccolti si accompagnò all'esaurimento delle risorse estensive, assicurate dalla crescita demografica e dalla colonizzazione di nuove terre. Nonostante l'ormai sistematico ricorso alle importazioni, le grandi città affrontavano ricorrenti crisi di approvvigionamento anche di generi di prima necessità, che alimentavano l'inflazione e la piaga del mercato nero. 15.3 Nel blocco sovietico dei paesi dell'Europa orientale il Comecon, creato nel 1949, sovrintendeva alle relazioni economiche. La politica di trasferimento degli impianti industriali nell’URSS avviata nell'immediato dopoguerra, rivelatasi ben presto costosa e poco produttiva, lasciò il posto ad una politica di integrazione commerciale. Nel 1950 le esportazioni sovietiche verso i paesi del blocco coprivano più di una metà del totale, mentre dalla stessa area proveniva oltre un terzo delle importazioni. All'inizio degli anni 50 il declino della grande proprietà terriera Era ormai un fatto compiuto in Bulgaria, Romania e Jugoslavia; in Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria le terre nazionalizzate oscillavano tra un terzo e metà del totale. All’interno di questo rapporto di dipendenza, il Comecon incoraggiò il volume degli scambi tra i paesi membri, che Nel 1950 era aumentato di ben 6 volte rispetto al 1939. Anche per il timore che ne scaturissero intese bilaterali estranee ai propri interessi, Mosca promosse nel 1955 il trattato “di amicizia, cooperazione e mutua assistenza” che in seguito divenne noto con il nome di Patto di Varsavia. L’URSS dovette contrastare molti moti di insubordinazione in Cecoslovacchia, Germania Est, Polonia e Ungheria. Punto debole dell'intero blocco di paesi restava comunque la compressione dei consumi privati. Nel dicembre 1970 nuovi moti scoppiarono a Danzica, Stettino e in altri centri industriali della Polonia per protesta contro l'aumento dei prezzi e la caduta del potere d'acquisto dei salari: mentre due anni prima la rivolta si era limitata agli ambienti intellettuali, questa volta scesero in campo gli operai. In realtà dalla crisi del 1968 i paesi dell’Est europeo uscirono con piccoli aggiustamenti di politica economica , che valsero a quasi tutti una condizione nettamente migliore di quella sovietica, ma abbandonando la strada di riforme più radicali. L'isolamento culturale e informativo che nei decenni precedenti aveva accompagnato la propaganda ideologica di Stato era ormai venuta meno. Così il moltiplicarsi dei canali di contatto con l’Occidente rendeva evidente e sempre meno sopportabile la disparità di condizioni di vita e di opportunità tre paesi dei due blocchi. Perciò la tenuta di questi regimi fu garantita da un crescente irrigidimento autoritario. 15.4 All’atto della sua proclamazione, nel 1949, la Repubblica popolare cinese era retta da un consiglio centrale presieduto da Mao Zedong. Il primo imperativo del governo di Mao fu la prosecuzione della riforma agraria. Nel 1950 una legge estese a tutto il paese le misure adottate nelle “zone rosse” liberate dall’esercito popolare: esproprio forzato delle terre non coltivate direttamente dai proprietari, esclusione dei latifondisti dei diritti civili e politici, libertà per i possessori di piccoli e medi appezzamenti che coltivavano la propria terra. I valori della democrazia e del pluripartitismo continuarono essere sostenuti da una ristretta minoranza di intellettuali, ma non cambiò la loro sostanziale estraneità alla storia cinese. Questo blocco di potere fu il tramite di diverse campagne di propaganda: forme di coazione collettiva, controllo e repressione sociale fondate su un sistematico uso dell'ideologia e sull’intimidazione del dissenso, che spesso si prestarono ad abusi e violenze. Per la prima volta nella storia cinese fu eletta a suffragio universale un'assemblea Nazionale incaricata di redigere una Costituzione, che nel 1954 diede forma a nuovo stato: una repubblica presidenziale con un parlamento monocamerale, che rifletteva l'architettura dello Stato sovietico a partito unico. La definizione degli assetti istituzionali della Cina maoista si accompagnò a un riavvicinamento nei confronti dell'URSS, con la quale nel 1950 venne firmato un patto trentennale di mutua assistenza. A sancire il riallineamento del paese al modello sovietico fu soprattutto l'avvio del primo piano quinquennale, che prevedeva uno sviluppo programmato centralmente, fondato sull'industria pesante e sul sacrificio della produzione di beni di consumo. Diversa fu invece la strada seguita nelle campagne. Fedele al patto stipulato nel corso della guerra con i piccoli contadini, Mao zedong adottò una politica di modernizzazione graduale che evitò i rigori della collettivizzazione forzata staliniana. I ceti più poveri furono impiegati nella realizzazione di opere pubbliche, la scolarizzazione di base ricevette un forte impulso e a tutti i generi di prima necessità fu imposto un prezzo politico. L’avvio della destalinizzazione in Unione Sovietica favorì anche una maggiore autonomia nella politica interna. Nel 1957 si tentò di liberalizzare la vita culturale con la cosiddetta politica dei “Cento Fiori”, che invitava il confronto tra diverse scuole e impostazioni. vennero presi in numerose Nazioni occidentali. A partire dagli stessi anni, un contributo decisivo all'affermazione dei diritti delle donne fu dato dalle Nazioni Unite. Ma l'acquisizione di una parità dei diritti era tutt'altro che compiuta. Secondo dati annuali, tra il 2000 e il 2013 la percentuale globale di donne presenti nei parlamenti nazionali aumentò solo dal 14 al 21%. 16.4 Come per l'economia Sovietica, in forme diverse anche per quella statunitense la fine degli anni 60 segnò un'inversione di tendenza. La ricostruzione postbellica di altri paesi e la crescita economica della Golden Age avevano ridimensionato la quota degli Stati Uniti nel prodotto lordo e sul valore delle esportazioni di tutto il pianeta. Nella seconda parte degli anni 60 il tasso di disoccupazione riprese a salire, i redditi medi fino ad allora in ascesa si congelarono e i progressi nella lotta alla povertà si arrestarono, mentre rallentava il ritmo di incremento della produzione industriale. In parallelo le imprese multinazionali con sede negli Stati Uniti estesero il raggio dei propri affari nei diversi continenti, stabilendo filiali estere di produzione. Sì crearono così gli “eurodollari”, dei dollari circolanti all'estero la Federal Reserve (banca di stato statunitense) ignorava ormai il volume e collocazione, pur rimanendone garante perché il sistema di Bretton Woods la impegnava ad assicurarne la conversione in oro. Il risultato fu che dal 1948 al 1970 le riserve auree degli Stati Uniti calarono profilando il pericolo di una crisi di insolvenza. Per la prima volta dal 1894, al deficit della bilancia dei pagamenti si aggiunge anche un deficit commerciale: gli Stati Uniti importavano più merci di quanti ne esportassero e in alcuni settori la prevalenza di prodotti stranieri era divenuta vistosa. La sospensione Della convertibilità del dollaro, che ne derivò nel 1971, la sua forte svalutazione e l'adozione di politiche protezioniste segnarono un ridimensionamento del ruolo di nazione guida dell’Occidente svolto dagli Stati Uniti. La fine degli accordi di Bretton Woods privò l’Occidente di un sistema regolatore degli scambi internazionali. Nel 1972 i paesi della CEE si accordarono per un “serpente monetario”: a ogni moneta europea vennero fissati dei limiti di oscillazione nel cambio con le altre valute. OPEC = Il cartello dei paesi produttori di petrolio dalle cui esportazioni dipendevano quasi tutti i paesi industrializzati. Nel 1973, per effetto delle sue decisioni volte a danneggiare l'economia dei paesi filoisraeliani, il prezzo del petrolio fu quadruplicato. L’economia mondiale, già messa a dura prova dal protezionismo americano, entrò in una fase di recessione e il petrolio -combustibile essenziale per l’industria e la motorizzazione- divenne un bene prezioso, soggetto addirittura a razionamento. Lo shock petrolifero del 1973 innescò un ciclo inflattivo che dagli Stati Uniti si estese al resto dell’Occidente. Questa impennata dei prezzi ebbe un effetto depressivo sulla domanda interna e sulla produzione industriale. L’inflazione si accompagnò così a una prolungata stagnazione delle economie occidentali: una congiuntura inedita e rovinosa, per definire la quale gli economisti dovettero ricorrere a un neologismo: “stagflazione”. Il processo innescato dalla Stagflazione si concretizzò nelle economie più avanzate sotto forma di una contrazione dei posti di lavoro industriali. Anche in risposta al conseguente calo dei profitti, molte compagnie multinazionali occidentali intensificarono i processi già in corso di “decolonizzazione”, cioè di spostamento degli stabilimenti e dei posti di lavoro in aree del mondo dove minori erano i salari e le resistenze sindacali, le imposte da pagare, le norme di tutela ambientale da rispettare. Dagli anni settanta il baricentro produttivo del mondo si venne spostando verso Oriente. Nelle economie dei paesi ricchi la deindustrializzazione venne compensata dallo sviluppo del terziario. Negli Stati Uniti l'aumento fu dovuto quasi per metà alla crescita di quella che venne chiamata la “società dell’informazione”: mass media della carta stampata, della radio e della televisione, tecnologie della comunicazione telefonica, agenzie di pubblicità e di marketing. Il mondo dell’informazione non solo guidò l’avvento della “società postindustriale”, ma fu anche un laboratorio sperimentale per nuove tecnologie che nei decenni successivi sarebbero state il motore di una vera e propria rivoluzione: quella informatica. 16.5 La cultura occidentale accompagnò questo insieme di rotture e mutamenti, in un quadro di lungo periodo che continuava a essere dominato dall'incubo atomico. Sulla base dei principi della fisica quantistica elaborati all’inizio del secolo, la conoscenza della struttura dell'atomo fece numerosi passi avanti e permise la proliferazione delle armi nucleari e l'installazione di numerose centrali energetiche a scopi pacifici. Sul piano mondiale il monopolio della Ricerca Scientifica approfondire ulteriormente il divario tra nord e sud del pianeta proprio mentre il processo di decolonizzazione richiedeva maggiore eguaglianza globale: alla fine del Novecento oltre il 90% della ricerca era localizzato nei paesi sviluppati. I suoi costi crescenti resero d'altra parte necessario l'intervento attivo dei governi nazionali, sollevando il problema della neutralità della scienza rispetto alle scelte compiute in sede politica e militare, che fu al centro delle tematiche sollevate dal 68. Capitolo 17. - DAGLI ANNI SETTANTA AGLI NOVANTA: UN'ETÀ DI TRANSIZIONE 17.1 La svolta compresa tra il contagio globale del Sessantotto e lo shock petrolifero del 1973 dette luogo a un mondo assai più instabile di quello della fase precedente. All’altro capo del pianeta la liberalizzazione dei mercati internazionali favoriva lo sviluppo di alcuni piccoli paesi del Sud-est asiatico specializzati nell'esportazione di prodotti finiti a basso costo: giocattoli, elettrodomestici, elettronica fine, informatica. L’America Latina viveva invece il travaglio di una risposta autoritaria e spesso militare alla rivoluzione di Cuba. 17.8 Solo in Germania il terrorismo politico ebbe un impatto paragonabile quello che conobbe in Italia: quasi 500 morti e più di mille feriti tra il 1969 e il 1987. Le difficoltà sociali ed economiche dell’Italia negli anni 70 non erano diverse da quelle degli altri paesi europei: stagflazione, conflittualità sindacale, instabilità governativa. Anche nei settori della DC che facevano capo al presidente del Partito, Aldo Moro, si fece strada l'idea della necessità di un cambiamento. Nel 1978 il nuovo Governo guidato da Andreotti nacque con l'attenzione dei comunisti, che molti interpretarono come un primo passo verso l'ingresso nel governo. Nelle stesse ore Moro fu rapito e poi ucciso dalle Brigate Rosse al termine di un'intricata vicenda che mostrò incertezze e divisioni ai vertici dello Stato e nei servizi segreti. Con quell'impresa Il terrorismo giungeva al culmine della sua parabola, segnando con una Cupa notte di violenza la nascita del governo di “solidarietà nazionale”, ti assunse come priorità l'obiettivo di stroncarlo anche con una dura legislazione repressiva. Ma gli “anni di piombo” furono superati solo a partire dal 1980, con l'adozione di decreti che premiavano con riduzioni di pena i collaboratori di giustizia, i cosiddetti “pentiti”, che uscivano dalle fila delle organizzazioni terroristiche avendo constatato il fallimento dei loro progetti rivoluzionari. Paralizzata dall’aprirsi di nuovo contesto internazionale e dalle proprie contraddizioni interne, l'intera impalcatura del sistema politico e degli equilibri fra i poteri dello Stato entro così in una convulsa fase di crisi e trasformazione. Un nuovo partito a carattere regionali, la Lega Nord, conquistò rapidamente consensi in base a un programma autonomista rispetto allo Stato centrale. La magistratura trovò la forza di indagare sui meccanismi occulti che regolavano il finanziamento dei partiti, rivelando una trama complessa di corruzione e portando alla rapida “decapitazione” per via giudiziaria di un intero ceto politico. Un movimento trasversale di politici, imprenditori e intellettuali si fece promotore di un referendum per modificare in senso maggioritario la legge elettorale proporzionale, con l'obiettivo di ridurre il numero dei partiti e spianare la strada a una democrazia bipolare fondata sull'alternanza. A quel Referendum gli italiani risposero nel 1993 con un'altissima percentuale di “sì”, ponendo fine al sistema politico che aveva governato il paese per oltre cinquant’anni. Capitolo 18. - LA FINE DEL COMUNISMO 18.1 La potenza militare di cui Mosca aveva dato prova nella Seconda Guerra fredda nascondeva le crescenti difficoltà di un paese la cui produttività sia agricola sia industriale era in costante calo dal 1970 e l'importazione di tecnologia dall'occidente in aumento. Da quella crisi interna al Cremlino emerse così, Michail Gorbaciov, che nel 1985 venne nominato segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Che la crisi del mondo comunista fosse grave lo aveva già reso evidente nel 1981 il colpo di stato guidato in Polonia, come ce ne furono anche in Cecoslovacchia, Ungheria, Romania. 18.2 Di questi sviluppi in Occidente si ebbe un’eco assai remota. Gorbaciov e la parte della dirigenza Sovietica che era con lui condividevano l'idea che tornando alle origini della Il mantenimento di un potere politico totalitario coniugato a una crescente liberalizzazione della sfera economica fu dunque il segno distintivo della sopravvivenza del comunismo cinese. Alla fine del secolo la Cina registrò un ulteriore raddoppio del prodotto nazionale lordo, diventando la seconda economia del mondo dopo gli Stati Uniti. Lo Stato mantenne il controllo delle aziende strategiche ma in tutto il paese si diffusero piccole imprese private nate dalle ceneri delle comuni e spesso controllate da funzionari di partito. Vietnam: Un'evoluzione analoga a quella cinese si verificò soltanto nel Vietnam. Uscito distrutto da 30 anni di guerra, dopo la riunificazione questo paese aveva iniziato la propria ricostruzione sotto la dittatura del Partito Comunista, ma era rimasto a lungo in condizioni estremamente precarie. Una politica detta del “rinnovamento economico” venne lanciata nel 1986 e conseguì effetti di liberalizzazione del mercato agricolo simili a quelli cinesi, riassorbendo l’originaria diversità privatistica del Sud. Il ritorno alle fattorie familiari rilanciò la produttività agricola e incoraggiò l’industria esportatrice, i cui ricavi arrivarono a coprire metà del prodotto interno lordo. Cuba: Fuori dall'Asia un regime comunista sopravvisse soltanto nell'isola di Cuba. Questa dovette affrontare la perdita delle forniture sovietiche con evidenti disagi per la popolazione e furono però compensati dall’efficienza del sistema sanitario. Dal 1944 le entrate previste dal turismo in valuta straniera superarono la produzione di zucchero nelle entrate di bilancio. Da un lato la lunga curvatura in direzione della piantagione estensiva da esportazione provocava un frequente ritorno all'economia di autoconsumo, che abbassava la produttività e rialzava la dipendenza dalle importazioni. Capitolo 19. - IL MONDO POSTBIPOLARE 19.1 La fine della guerra fredda poneva con urgenza il problema di un nuovo ordine internazionale. Fino ad allora ogni problema di carattere locale poteva essere ricondotto al negoziato complessivo tra due superpotenze, che si conoscevano e obbedivano entrambe a un principio di responsabilità globale. La fine della guerra fredda moltiplicò invece il numero degli Stati pronti a muoversi sulla scena internazionale. Con la fine dei regimi comunisti e dell’equilibrio bipolare, i punti di tensione nel mondo si moltiplicarono, anziché diminuire. Spesso le ideologie nazionali furono usate da élite politiche conservatrici, compromesse con i vecchi regimi comunisti e pronte a cambiare pelle per mantenere il potere. Le popolazioni dei paesi ex comunisti continuarono così a oscillare tra velleità di imitazione del capitalismo occidentale e ritorni alle rassicuranti forme di protezione statale del loro recente passato. Sebbene la crisi dell'URSS avesse origini lontane nella mancata liberalizzazione economica e politica del regime, a farla precipitare fu infatti innanzitutto un impetuoso processo di frammentazione nazionalistica. A partire dal 1992 la Federazione Russa venne dilaniata da conflitti armati interni. Con le elezioni del 2000 subentrò Vladimir Putin, un ex dirigente dei servizi segreti. Il nuovo presidente dominò ininterrottamente la scena politica del nuovo secolo con un orientamento nazionalista volto a restaurare la potenza Sovietica. Il modello di crescita interna funzionava però molto meglio: il reddito medio pro capite nel 2014 era risalito oltre il 40%. Il recupero di posizioni nella graduatoria dell'Indice di sviluppo umano fu invece minimo: ancora nel 2014 la Russia figurava al cinquantesimo posto, anzitutto per colpa di un sistema sanitario con larghe sacche di inefficienza nelle zone rurali. Le ineguaglianze si erano però ridotte assieme alla povertà. Il contagio nazionalista rapidamente i confini del blocco orientale. Nel 1990 il dittatore iracheno Saddam Hussein vorse le sue truppe alla conquista del Kuwait, ricco di giacimenti petroliferi, concludendola rapidamente e senza difficoltà. Era un azzardo, con cui Hussein tentava di presentarsi come leader arabo dell’intera regione mediorientale. Per il resto del mondo si trattò invece di un’aggressione ingiustificata, a cui si aggiungeva la minaccia della concentrazione di ingenti risorse petrolifere nelle mani di una sola e poco affidabile persona. Il presidente Bush scelse di rispettare il ruolo dell'ONU che chiese il ritiro delle truppe irachene e il ripristino della sovranità del Kuwait. L'ONU prima approvò a larga maggioranza un blocco commerciale e poi fissò un ultimatum per il 15 gennaio 1991. L’azione armata che ne seguì -battezzata dai media "Guerra del Golfo"- fu quindi autorizzata dalle Nazioni Unite e si fondò essenzialmente sullo sforzo militare degli Stati Uniti, seppure con la partecipazione di reparti inglesi, francesi, italiani esauditi. Dopo quasi due mesi di bombardamenti che provocarono un numero altissimo di vittime anche civili, il conflitto si chiuse con il ripristino dello status quo precedente l'invasione. L'embargo ai danni dell'Iraq fu proseguito, ma l'obiettivo di indebolire Saddam Hussein, uscito sconfitto ma indenne dalla guerra, non venne raggiunto. Il blocco commerciale ottenne l'unico risultato di un gran numero di morti per malattie e denutrizione nella popolazione civile irachena e soprattutto tra i bambini. La popolazione del Kurdistan fuggì in massa dall'Iraq per farvi poi ritorno sotto la protezione dell’ONU, fino a conquistare una relativa autonomia. In territorio turco, i curdi furono sottoposti a una dura repressione esercitata dal governo di Ankara provocando la deportazione forzata di almeno un milione di persone. 19.2 La guerra del Golfo sancì la fine dell’URSS come superpotenza e il suo contraccolpo non fu estraneo al colpo di stato fallito a Mosca nell’estate successiva. 19.3 Quello che venne genericamente definito dai media occidentali “fondamentalismo” era quindi una realtà composita ed eterogenea. In origine si trattava spesso di tendenze locali, strettamente legate a situazioni di diffuso scontento nei confronti di regimi che non garantivano né progresso economico né libertà democratiche. Però il fenomeno era anche globale, effetto di una reazione al diffondersi di merci, stili di vita e costumi occidentali, in contrapposizione ai quali si cercava di attingere alle radici di identità più antiche e profonde. Epicentri di dell’islamismo politico furono l’Algeria e l’Afghanistan. In quest’ultimo negli anni ottanta la guerriglia antisovietica aveva agito da potente richiamo internazionale per le milizie integraliste del mondo islamico. Nel 1922 si aprì però una nuova sequenza di conflitti tra le diverse tribù, che si concluse quando il gruppo dei taleban prese il sopravvento e acquisì il controllo della capitale e di buona parte del paese. 19.4 L'undici settembre 2001 un attacco terroristico senza precedenti dirottò alcuni aerei di linea statunitensi e li fece schiantare contro due luoghi-simbolo del potere americano: le torri gemelle del World Trade Center a New York e il pentagono a Washington. L'impressione in tutto il mondo fu enorme e la reazione della Casa Bianca fu di considerare quell'attacco come una sorta di tradizionale dichiarazione di guerra. Fu dichiarato responsabile Al Queda, l'organizzazione clandestina diretta da Bin Laden, che di fatto ne rivendicò la paternità negli anni successivi. Dopo due mesi di intensi bombardamenti il regime dei taleban venne rovesciato e a Kabul tornarono i mujahidin, senza tuttavia che gli Stati Uniti fossero riusciti a catturare bin Laden e a smantellare la rete terroristica. Nel 2003 Bush decise di completare la missione lasciata incompiuta dal padre in Iraq. Davanti all’assemblea delle Nazioni Unite il segretario di stato sostenne che Saddam Hussein era alleato di bin Laden e deteneva pericolose armi chimiche capaci di “distruzione di massa”. Non era vera, e nonostante il consenso di Hussein a ispezioni internazionali dirette dall’ONU fu comunque il pretesto per una nuova guerra convenzionale che, non ebbe il sostegno nè dell’ONU nè di una parte degli alleati della NATO. In poche settimane le truppe della coalizione diretta da Stati Uniti e Gran Bretagna conquistarono Bagdad, catturarono Hussein e insediarono un Governo guidato dalla minoranza sciita. Ma negli anni successivi dovettero scontrarsi con una sanguinosa resistenza terroristica appoggiata dai quadri dirigenti del vecchio regime Hussein e dalla maggioranza sunnita della popolazione, che non si riconosceva nel governo. Nel 2008 Barack Obama iniziò il graduale ritiro delle truppe occidentali dal territorio iracheno e il passaggio di consegne al governo di Bagdad. La resistenza terroristica contro l'occupazione straniera si trasformò allora in una “nuova guerra” tra diverse appartenenze religiose e innanzitutto tra sunniti e sciiti. Dietro i terroristi si cominciò quindi a intravedere il sostegno finanziario e militare delle due potenze della regione mediorientale: l’Iran e l’Arabia Saudita.