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Appunti relativi al manuale di Nifosi: "L'arte svelata - Rinascimento, Barocco e Rococò". Cenni storici e artistici che vanno dal secolo XIV al primo ventennio del XVIII. Appunti completi e discorsivi usati per la preparazione di un esame del corso Lettere: arte, moda e design a Bergamo.
Tipologia: Appunti
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-Il professore da molta importanza alle corti rinascimentali, essendo queste il centro del potere che s’irradia in tutta Europa. Lettura facoltativa: pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento. (approccio marxista/storicista) L’artista è un esecutore, il committente comanda. Così fino agli impressionisti. TESTO E CONTESTO: l’uno non prescinde l’altro; OBIETTIVI E STRUMENTI storia e storiografia (chi ha scritto della storia); terminologia (glossari su moodle); geografia (prevalentemente nelle corti) |geografia artistica centro, periferia ed economia; cronologia (ch’è un problema che si lega perlopiù sulla periodizzazione del medioevo) Quando? Chi? Perché? Artista e committente
Il senso della firma : I MARMORARI ROMANI come a Roma, San Clemente (XII secolo) e San Giovanni Luterano (XIII). Pavimenti cosmateschi, con pattern geometrici; quella dei Cosmati è una dinastia importante e rinomata per la produzione di tali opere. Queste botteghe avevano ottenuto il monopolio sui marmi imperiali, provenienti dagli edifici spoliati. È il riutilizzo dell’arte che si veste di materiali antichi per impreziosire il presente. Questo tipo di arredi sono un segno di appartenenza di Roma. MAGISTER COSMATUS FECIT HOC OPUS. Abbazia di S. Croce di Sassovivo è un’abbazia in Umbria, sotto l’egemonia di Roma e le sue committenze, che ne fecero una sorta di cenotafio della propria architettura. LA BOTTEGA DEI PISANO GIOTTO uno dei primi pittori-imprenditori, dato che coordinava addirittura due botteghe (Firenze e Napoli). La firma diventa una sorta di logo. Per quanto riguarda l’epoca moderna tedesca, l’artista chiave fu Albrecht Durer. Egli s’inventa un monogramma che sia suo; funziona da sigillo d’identità dell’opera, visto il plagio ricorrente.
Nel XIV secolo prevalsero cinque stati nella frammentarietà dell’Italia:
per il disegno, il padre lo mise a bottega da un orafo, dove imparò a fondere i metalli e a costruire orologi. L’artista non si limitò a trasformare il repertorio del gotico ma, imitando gli antichi, elaborò un metodo progettuale rigoroso e fu il primo a creare una nuova figura professionale di architetto, dato che diventò un progettista in grado di garantire, con la sua personale responsabilità, l’intero processo esecutivo senza corpo collettivo di esecutori, come accadeva ancora nel Trecento. Nel 1401 fu deliberato dall’Arte dei Mercanti (la più potente corporazione fiorentina) un concorso per la costruzione della seconda porta bronzea del battistero di Firenze, perché dalla morte di Andrea Pisano (che fra il 1330-6 aveva realizzato la prima porta) non v’erano dei maestri che potessero lavorarci degnamente. Fu chiesto di presentare un bassorilievo in bronzo racchiuso in una cornice; il soggetto era il Sacrificio di Isacco (Genesi, Antico Testamento). Chi lo vinse non si capisce bene; abbiamo però due formelle a confronto, l’una di Lorenzo Ghiberti (1381-1455) e l’altra del Brunelleschi. Sappiamo che della decorazione della porta se ne occupò solo Ghiberti, ma Vasari stesso ci dice che era stato proposto un sodalizio tra il suddetto e Brunelleschi, che però rifiutò. Nella formella di Ghiberti l’opera è tecnicamente ineccepibile e astutamente capace di accontentare tutti, i sostenitori delle tradizioni e i più aggiornati umanisti. C’è del classicismo, guardando al corpo di Isacco, ma anche l’estetica tardogotica se si guarda le linee delle vesti e la postura di Abramo. Nella formella di Brunelleschi si guarda all’arte classica: la figura del servo che si toglie una spina dal piede è l’esplicita citazione di una celebre scultura ellenistica, lo spinario. Nella sua opera egli vuole assegnare all’uomo un ruolo e una dignità che sembravano perduti. Se Ghiberti raffigura l’episodio con una pacata compostezza, Filippo rappresenta un dramma agitato , un esempio di fede obbediente e disperata. Alla ricerca di freschezza si trasferì a Roma nel 1402; secondo Vasari si fece accompagnare da un giovane Donatello (1386 c.a.- 1466). Nella città papale i due poterono studiare le statue e architetture antiche, con l’intento di scoprire i segreti dell’arte classica.
Va specificato che nel XV secolo le rovine romane si trovavano in uno stato di abbandono, per quella damnatio memoriae che la civiltà romana ancora subiva. Brunelleschi scavò, misurò, improvvisandosi archeologo ma senza basi scientifiche; questo fu un suo limite, dato che dagli studi romani ricavò un’architettura solo parziale. Ma fu il primo a rendersi conto dell’importanza del classicismo e le generazioni di architetti future sarebbero riusciti a padroneggiare con assoluta competenza gli ordini architettonici greco-romani. Negli anni accettò per le varie città incarichi come ingegnere militare, mentre Donatello tornò a Firenze per lavorare con Ghiberti. Nel 1418 la corporazione fiorentina dell’Arte della Lana bandì il concorso per la realizzazione della cupola di Santa Maria del Fiore , rimasta incompiuta da mezzo secolo. Mancava la cupola e costruire una copertura di quasi 42 metri di diametro non era cosa facile; Brunelleschi guardava all’esempio del Pantheon romano, ma questo era realizzato in calcestruzzo, tecnica ormai sconosciuta. La cupola fiorentina doveva per forza essere costruita in pietra o mattoni, come le volte delle cattedrali gotiche. Tante furono le opinioni e la ricerca delle soluzioni portò al concorso sopraddetto. Brunelleschi propose un’idea semplice e geniale: una cupola “autoportante”, costruita senza le costose centine che dovevano partire da terra. La cupola presenta una struttura a doppia calotta, ossia due cupole distinte l’una dentro l’altra, unite da ventiquattro speroni legati da archi orizzontali; la struttura di pietra è nella parte inferiore, quella in mattoni superiore; quest’ultimi sono disposti “a lisca di pesce”, di modo che la struttura sia più stabile. Anche nelle rifiniture il genio progettuale si riconosce: la superficie della cupola fu ricoperta con tegole rosse e spartita da otto creste di marmo bianco (che non hanno una funzione portante, anche se sembrano l’effettivo scheletro della struttura). L’effetto cromatico è semplice ma colpisce. La cupola fu finita e benedetta nel 1434 , Vasari scrive: “ E nel vero pare che il cielo ne abbia invidia, poiché di continuo le saette tutto intorno lo percuotono ”. Gli antichi, infatti, non andarono mai così in alto. Il rinascimento riprende e supera il classicismo. Durante il cantiere di Santa Maria del Fiore, l’architetto si dedicò ad altri progetti:
parete dell’altare. Brunelleschi e Donatello litigarono e, per quanto ne sappiamo, non si rivolsero più la parola. 1429 i francescani di Santa Croce volevano la ricostruzione della sala capitolare (luogo di riunione della comunità monastica) sul chiostro. L’opera fu finanziata da Andrea dei Pazzi e per questo oggi è nota come Cappella Pazzi. Filippo non vide l’opera completata. Il progetto denota una ricerca spaziale che si configura come un’attenta riflessione sul modello della sagrestia, rispetto alla quale la Cappella presenta una pianta più complessa; vano centrale quadrato in cui s’immettono due braccia voltate a botte, sviluppando una pianta rettangolare. Come nella Sagrestia, le membrature sono in pietra serena e l’intonaco bianco, sul quale spiccano le lesene. 1418 e 1421 la Signoria di Firenze, su richiesta del priore, abbatte la basilica paleocristiana di San Lorenzo , per ricostruirla in chiave moderna; il committente è Giovanni de Medici, che chiese al suo architetto Brunelleschi il solito aiuto. Questo propose soluzioni troppo costose per la famiglia Medici e, dopo diversi diverbi, l’architetto abbandonò il cantiere, completato più avanti. L’innovazione della basilica consiste nella pianta, ottenuta dalla ripartizione di campate quadrate tutte uguali, ognuna adottata come modulo di base. La dimensione del modulo è quella dell’Ospedale degli Innocenti ; proprio al portico rimandano visivamente le due navate laterali. La soluzione brunelleschiana degli archi impostati su colonne non è propriamente classica e guarda alle strutture paleocristiane e medievali. Gli antichi percepivano come contraddittoria la combinazione tra colonna e arco, perché quest’ultimo era parte del muro entro il quale è ritagliato, mentre la colonna è un elemento plastico autosufficiente. Le colonne, infatti, erano sostenute dalla trabeazione, mentre gli archi erano impostati su pilastri. Dunque, guardando al gusto classico, nel Portico degli Innocenti, Brunelleschi avrebbe commesso un errore; mantenne questo motivo degli archi su colonne nella sua attività, ma introdusse sopra i capitelli il moncone di trabeazione, completo dei tre elementi canonici (architrave, fregio e cornice), chiamato per tradizione “dado brunelleschiano”.
Vasari riporta: “O lo spirito di Donato opera nel Buonarroti, o quello di Buonarroti anticipò di operare in Donato”. Donatello (1386 ca – 1466) visse una vita lunga e fruttuosa, lasciando una mole straordinaria di opere che hanno cambiato la storia dell’arte. Grande amico di Brunelleschi, che accompagnò a Roma per lo studio dell’antichità, con questi superò l’antichità, dando il benvenuto alla stagione rinascimentale. Se giustamente è ricordato dalle fonti come colui che per primo recuperò il naturalismo vigoroso della statuaria antica, il suo amore per la vita lo spinse in più occasioni ad abbandonare l’idealismo estetizzante dell’arte classica in favore di un realismo brutale; Donatello fu, per questo, una mistura tra classicismo e anticlassicismo. Proveniva da una famiglia modesta ma restò sempre umile; si ipotizza una fanciulla formazione orafa, dove avrebbe incontrato Brunelleschi. Con lui studiò i monumenti antichi fino al 1404, quando tornò a Roma per lavorare nella bottega di Ghiberti; le prime opere dell’artista, infatti, si accostano allo stile ghibertiano per quanto riguarda l’articolazione delle pose. Risale al 1406 il Crocifisso Ligneo scolpito per la Chiesa di Santa Croce; secondo un aneddoto del Vasari, Donatello chiese a Brunelleschi cosa ne pensasse e questi, pur essendo liberalissimo, gli risponde che gli pareva di vedere un contadino in croce. Donatello si offese e commento: “Se così facile fusse fare come giudicare, il mio Cristo ti parrebbe Cristo; piglia del legno e prova a farne uno tu. Sicché Brunelleschi scolpì a sua volta un crocifisso, identificato in quello di Santa Maria Novella ; vedendolo Donatello ammise umilmente: “a te è conceduto fare cristi, a me contadini”. I due cristi a confronto quello donatelliano presenta caratteristiche gotiche evidenti, come l’eccessivo allungamento delle membra; il punto di vista è frontale. Il suo naturalismo è senza precedenti, soprattutto nel volto rappresentato nel momento dell’agonia con gli occhi socchiusi e la bocca semiaperta. È chiaro che Donatello si concentrò sulla sofferenza e umanità di Cristo, assecondando il gusto dei committenti francescani.
convergono verso Giorgio a cavallo; l’effetto è di profondità al centro e espansione ai lati. Tra il 1408 e il 1435 Donatello fu chiamato per scolpire una serie di statue destinate al Duomo di Firenze. Tra queste prendiamo in analisi quella del profeta Ababuc : v’è qui un rifiuto dei canoni classici della bellezza; i tratti somatici sono irregolari, con una magrezza ascetica e gli occhi incavati a conferirgli un che di grottesco. Tanto era bello San Giorgio, tanto questo Ababuc è sgradevole. Giorgio è un eroe impavido, e come tale non poteva che essere giovane e bello. Ababuc, invece, è un profeta ascetico, che ascolta dio. Dunque, Donatello se lo immagina brutto ma con una dignità indiscutibile: il rigore morale dell’uomo è anzi accentuato dalla bruttezza; il concetto classico di “bello uguale buono” non ha valenza per l’artista, dato che la povertà e la bruttezza non contraddicono la grandezza interiore. Intorno al 1440, prima che Donatello partisse per Padova, Cosimo dei Medici commissionò all’artista un piccolo David in bronzo per il cortile del palazzo signorile. Fu esposta sopra una colonna alta due metri e decorata con foglie e arpie (oggi perduta). Con la cacciata dei medici la scultura fu spostata a Palazzo Vecchio , come simbolo della conquistata libertà repubblicana. Dopo vari spostamenti oggi trova sede presso il museo del Bargello , come la maggior parte delle opere di Donatello. La base è composta da una ghirlanda circolare, il corpo è nudo, a parte un cappello a punta e dei calzari. Tiene in mano una spada e un sasso, con il quale ha tramortito il gigante. Il viso del giovane dai capelli lunghi rivela un’espressione maliziosa e compiaciuta, tipica dell’adolescenza. La testa di Golia è brillantemente lavorata: l’elmo è decorato con una danza di putti. Per quanto sia il più “classico” dei capolavori donatelliani, quest’opera non è poi così devota all’antico: i ragazzini scolpiti in età classica erano atleti in erba, muscolosi; questo ha il fisico di un adolescente vero, con il torace stretto e il ventre rotondo. L’antico, infatti, non rappresentò mai un modello assoluto per l’artista, ma piuttosto una via maestra da seguire con le giuste integrazioni. La scelta del bronzo non è casuale, ma guarda agli originali antichi, come anche la nudità; la statua è progettata per essere vista anche da dietro. Sul fatto che questa sia un’opera a carattere religioso si è
molto discusso: parte della critica ha voluto identificarci Mercurio vincitore su Argo. Probabilmente Donatello stesso giocò sull’equivoco, poiché la statua presenta gli attributi dell’eroe biblico, la spada e la testa di golia ai piedi, ma anche quelli del dio romano, ossia i calzari e il cappello decorato da una ghirlanda di alloro. Mercurio, oltretutto, era il dio protettore del commercio, attività principale della famiglia Medici. Nel 1443 Donatello si trasferì a Padova, dove lavorò all’altare della Basilica di Sant’Antonio e al Monumento equestre di Gattamelata. Padova era sotto il controllo di Venezia e Gattamelata (Erasmo da Narni), morto l’anno in cui Donatello arriva in città, fu un grande condottiero al servizio di Venezia che particolarmente si contraddistinse per il suo coraggio. Si dice che fosse anche amico di Cosimo, che autorizzò la partenza di uno dei suoi artisti preferiti. Erano secoli che non ci si confrontava con un monumento equestre, tecnicamente impegnativo e che doveva confrontarsi coi giganti dell’antichità. L’opera, fusa in bronzo e completata nel 1453 , guardava al monumento equestre di Marco Aurelio e a tutta quella statuaria antica. Il basamento è alto e la figura dell’uomo è idealizzata : Gattamelata morì vecchio e malato, mentre il monumento mostra un uomo pieno di vigore, in piena concordanza con la ritrattistica romana. Ha in mano un bastone del comando, che assieme alla lunga spada foderata, fanno da contrappunto agli assi orizzontali del corpo del cavallo e verticali del condottiero. L’opera di Donatello diventò un modello di riferimento per tutti i successivi monumenti equestri. Come detto, sempre a Padova, l’artista realizzò l’Altare del Santo (1446-50) nella Basilica, il cui aspetto odierno non corrisponde all’originale, dato che venne smembrato nel tempo e arbitrariamente rimontato nell’Ottocento. Al centro troviamo una Madonna in trono con bambino, concorde alla tradizione antica bizantina. L’invenzione figurativa dell’artista è geniale: la madonna si sta alzando, come per porgere allo spettatore il suo bambino. Di un realismo crudo è poi il Crocifisso, rappresentato a grandezza naturale, con un’anatomia ch’è il più grande risultato della ripresa naturalista europea. I muscoli sono tesi, le vene della fronte pulsano. Non vi è nulla di idealizzato in questo Cristo agonizzante.
Masaccio dipinse la Madonna col bambino e uno dei tre angeli reggicortina; Masolino Sant’anna e gli altri angeli. Masaccio potente senso del rilievo, del volume e della luce. Il volto della vergine è un perfetto ovale, ben marcato è il vigore del collo e delle gambe sotto il vestito. Il piccolo gesù è saldo e monumentale. Masolino i risultati della sua santa sono meno naturalistici; il corpo appare come uno sfondo colorato che fa paradossalmente risaltare la figura della vergine: la sua mano sx protesa a proteggere il bimbo e rappresentata in prospettiva, è incerta e priva d’autorità. Dipinge, insomma, alla maniera tardogotica. Nel 1924 Brancacci, ricco mercante fiorentino di sete, commissiona alla bottega la decorazione della cappella di famiglia nella chiesa del Carmine a Firenze. Il ciclo d’affreschi scelto per le pareti erano le Storie di san Pietro. Ripartiti i compiti, il lavoro fu interrotto diverse volte (sia a causa di impegni di Masolino che di Masaccio), e Masaccio non vide l’opera completata; il ciclo della Cappella Brancacci fu completato solo a fine Quattrocento da Filippo Lippi (1457-1504). Come racconta Vasari, tutti i più grandi artisti rinascimentali – da Leonardo a Michelangelo – si recarono alla Cappella per diventare “ eccellenti e chiari ”. Sullo spessore dell’arcone d’ingresso della Cappella, i due realizzarono episodi della genesi apparentemente estranei al ciclo suddetto. Si tratta del Peccato originale , dipinto da Masolino a dx, e della Cacciata di Adamo di Masaccio a sx. La presenza di Adamo ed Eva, in realtà, non è casuale: il peccato originale e la cacciata sono l’antefatto all’opera di redenzione di Cristo, poi continuata dai rappresentanti di Cristo in terra (tra cui Pietro) L’affresco di Masolino Adamo ed Eva nudi e quasi fluttuanti (maniera tardogotica di rappresentare) stanno per mordere il frutto proibito che il serpente dal volto di donna gli offre. Le figure sono inespressive e illuminate da un generico bagliore; nell’intenzione dell’artista, i corpi dovrebbero essere eterni e celesti, giacché il peccato non è ancora compiuto. Si noti che le conoscenze in campo anatomico di Masolino non sono molte. La cacciata di Adamo ed Eva di Masaccio è un manifesto pittorico del Primo rinascimento. Eva ha le gambe un po' tozze, i
fianchi larghi; Adamo ha le braccia troppo magre in rapporto al largo torace. I due non sono “belli” nel senso classicistico, ma di certo sono umani. I loro corpi hanno una concretezza senza precedenti. I piedi ben saldi, la mano di Adamo che copre il volto mentre piange, Eva ch’è quasi una Venere, la quale pudicamente si copre il seno e il pube. Entrambe, nella disperazione, mantengono la dignità tutta umana, tipica del rinascimento, di chi ha sbagliato ma può ricominciare. Scena emblematica del ciclo di San Pietro (tutta di Masaccio) è quella del tributo. Il capolavoro del maestro presenta contemporaneamente tre momenti di questa pagina evangelica, secondo l’antica consuetudine (di origine medievale) di riunire più episodi in un'unica scena. Al centro Gesù, imperturbabile, che ordina ad un San Pietro perplesso di andare a pescare. In fondo a sx, San Pietro estrae la moneta del pesce, con la quale a dx paga l’esattore. Tutti i fatti rappresentati sono collegati da una rete di sguardi. Uno dei possibili significati dell’opera, infatti, è questo: l’esaltazione delle radici dell’autorità di Pietro (che dubita), e, dunque, della chiesa di Roma. L’opera offre una precisa misura dello spazio, affidata alle posizioni degli apostoli, che circondano ad esedra Cristo. I loro corpi, coperti da panneggi morbidi e chiaroscurati, appaiono massicci e scultorei (solo Giotto aveva ottenuto risultati analoghi). La fonte di luce coincide con la reale finestra della cappella, posta in alto a destra rispetto all’affresco. Le figure risentono molto della frequentazione di Masaccio con amici scultori, tanto da poter vedere una possibile ispirazione, almeno per il concepimento dell’opera, nella formella di San Giorgio contro il drago di Donatello. Infine, tutte le espressioni sono umanissime. P.31 per capire meglio l’affresco (arriccio – intonaco – intonachino) e la pittura “a giornata”. Una delle opere meglio documentate del Masaccio (che segnò i pagamenti, tra cui risulta anche un mastro Donatello) è il Polittico di Pisa (1426). L’artista fu costretto ad adottare la tipologia dei polittici trecenteschi e dovette adattarsi ad una carpenteria (cornice) preparata col fondo oro. La struttura era ancora medievale, divisa in scomparti, ma l’artista scelse per la prospettiva
Se Masaccio nella sua Crocifissione del polittico di Pisa aveva affrontato il tema dell’uccisione di un innocente sotto lo sguardo disperato degli amici, in questa Trinità scelse di riflettere sul significato concettuale della venuta di Cristo sulla terra. Masaccio, attraverso il gesto esplicito della vergine, dimostra la concretezza della fede. La potenza illusionistica della botte fa affermare al Vasari: “pare sia bucato quel muro” dato che sembra quasi che vi sia un’ulteriore cappella nella forma architettonica della cattedrale. Abbiamo motivo di pensare, infatti, che Brunelleschi abbia seguito da vicino il lavoro dell’amico.
In Europa occidentale si rafforzarono le monarchie nazionali; in Spagna i Regni di Castiglia e Aragona (1469), il Regno Musulmano in Granada e Navarra. Il Portogallo si espanse in direzione delle coste africane, mentre al termine della Guerra dei cent’anni (1339-1453) i Regni di Francia e Inghilterra si affermarono sui poteri locali. In Europa continentale si espanse e acquisì notorietà il Ducato di Borgogna, strategico polo commerciale fra Francia e Germania. Le sue città, come Bruges o Anversa, ebbero una gloriosa crescita. La parabola del Ducato si sarebbe conclusa nel 1477 con la fusione col regno asburgico grazie ad un matrimonio. Nel medio-oriente, cade l’Impero Romano d’Oriente, conquistato dall’impero ottomano. L’Italia, divisa medievalmente in Comuni, si avvia verso un progetto di accorpamento dai centri minori a quelli maggiori. Si passò dai comuni alle signorie: il signore otteneva dall’autorità centrale (papa o imperatore) il titolo nobiliare, che istituzionalizzava la sua figura e garantiva ai figli l’eredità della guida politica e amministrativa dei territori acquisiti. Le Signorie divennero dei veri e propri Stati regionali, fino ad arrivare a cinque principali nel XV secolo: Il Ducato di Milano Visconti, sottomisero Bologna, Pisa, Siena ed ebbero degli scontri con Venezia e Firenze. La Repubblica di Venezia oligarchia di antiche famiglie ed ebbe delle rivalità con Genova. Stato Fiorentino divenne signoria dopo gli scontri violenti fra guelfi e ghibellini; venne governato inizialmente da un’oligarchia di ricche famiglie e poi esclusivamente dalla famiglia Medici grazie a Cosimo (1434-1464), erede della più ricca banca d’Europa fondata dal padre Giovanni. Con Lorenzo
Il Magnifico (1464-1492) Firenze assunse un ruolo guida in Italia e si rese promotrice della Lega Italica , un’alleanza che garantì un periodo di stabilità economica, sociale, politica e culturale fra i principali Stati della penisola. A questi tre se ne unirono altri in Italia Centro-meridionale: Stato Pontificio superata la crisi del Grande scisma d’Occidente, si configurò sempre più come un vero principato; stabilì alleanze politiche, favorendo il nepotismo e sfruttò il mecenatismo come fasto della corte ecclesiastica. Il Regno di Napoli si estese su tutto il mezzogiorno, anche sulle isole. La famiglia Aragona garantì un periodo di grande fioritura al meridione. Oltre a queste le corti, come quelle dei Savoia o dei Gonzaga, assunsero molta importanza. Nel Quattrocento chi praticava il mestiere di pittore era considerato poco più che un artigiano_. I mecenati consideravano questa come una categoria molto inferiore rispetto all’élite intellettuale umanista_. Pittura e scultura erano ancora considerate “ arti meccaniche ”, ossia attività di tipo pratico, pertanto ritenute inferiori alle attività intellettuali, le cosiddette “arti liberali” (grammatica, retorica, dialettica). I pittori, anche di umili origini, frequentavano botteghe e conoscevano mentori. Anche in proprio, non furono sempre consapevoli del proprio valore: nessuna firma, creavano capolavori assoluti senza esserne consapevoli. Erano pagati molto poco, meno dei poeti: convivevano con la fama e la fame, spesso morivano poverissimi (Masaccio ne è un esempio, impegnò tutti i vestiti suoi per ripagare i creditori). La pittura, la scultura e l’architettura del Rinascimento furono la testimonianza di un complesso rapporto sociale; per ogni artista c’era un committente, le cui ingerenze erano pesanti nell’operato del primo. Tale situazione mutò sul finire del Quattrocento, quando gli artisti più importanti iniziarono a ricevere compensi considerevoli. Botticelli poteva guadagnare per un quadro fino a 100 fiorini, cifra corrispondente al valore di una casa. Durante l’età rinascimentale la riscoperta dell’antico portò alla rivalutazione di miti ed episodi pagani, che però erano, nella cultura
(1415 ca) notiamo le differenze stilistiche: nella seconda v’è un naturalismo più spiccato, se pur le figure sono elegantemente atteggiate nelle cornici. Fu poi impegnato a Orsanmichele, Siena e viaggiò a Roma per studiare la classicità. Conclusi i lavori per il suo capolavoro assoluto, la Porta del Paradiso (1452), si dedicò alla redazione dei commentarii, un trattato di tre libri sulla storia e la teoria dell’arte che non ultimò. Il testo tratta della storia degli artisti da Giotto ai suoi tempi. Affrontò i temi della prospettiva e delle proporzioni, sviluppando un pensiero originale e indipendente da Brunelleschi e Alberti. La porta del paradiso è la porta est del Battistero di Firenze, quello che sta dirimpetto al Duomo ed è interessante lo scontro tra il capolavoro di Brunelleschi (cupola) e quello di Ghiberti (porta). Ricevette questa commissione nel 1424; Vasari definì questa come “la più bella opera del mondo che si sia mai vista fra gli antichi e moderni”. Sempre secondo Vasari fu Michelangelo a ribattezzarla “Porta del paradiso”. Nel 1990 l’originale venne sostituito con una copia, dato che l’inquinamento atmosferico stava danneggiando l’opera, oggi conservata al Museo dell’Opera del duomo. Due ante, alte cinque metri e larghe un metro e mezzo ciascuna. Essa pesa nove tonnellate. Lunghi listelli dorati, ornati da figure bibliche, mezzi busti e autoritratti di Ghiberti stesso. Tutti i rilievi vennero fusi singolarmente, cesellati e dorati per essere incastonati nell’intelaiatura di bronzo. I battenti ospitano dieci pannelli istoriati; le scene a rilievo presentano cinquanta episodi tratti dal Vecchio testamento. Molti eventi sono trattati insieme all’interno di ogni riquadro, applicando il nuovo metodo prospettico. I personaggi sono composizioni fluide e di alto valore artistico. Primi tre pannelli peccato (Adamo ed Eva, Caino e Abele, Noè) quarto venuta di cristo (sacrificio di Isacco) pannelli successivi salvezza umana e intervento divino. Decimo e ultimo pannello incontro tra Salomone e la regina Saba. Una scelta di stampo politico più che artistico: in quegli anni era emersa la volontà di riunificare la Chiesa d’Occidente (salomone) e d’Oriente (Saba), tentativo fallito.
Nella sua Porta, Ghiberti ottenne un’ampia spazialità paesaggistica e architettonica, grazie alla prospettiva e alla tecnica dello schiacciato, imparata da Donatello. L’attenzione per il dettaglio, l’eleganza delle figure e la grazia delle pose denunciano tuttavia il permanere di un gusto di natura tardogotica. Il linguaggio Ghibertiano era apprezzato da tutti: morbido e raffinato, ma allo stesso tempo aggiornato allo stile moderno.
Poco si sa di Antonio di Banco (1380 ca – 1421), nemmeno la data di nascita è sicura; ma nel poco della vita sua brillò come uno dei più grandi artisti del primo rinascimento, amico di Brunelleschi e Donatello, con i quali condivideva la volontà di superare il linguaggio tardogotico. La sua carriera si svolse parallela a quella di Donatello: per esempio, nel 1408, quando l’Opera del Duomo di Firenze volle arricchire la facciata di Santa Maria del Fiore con “statuaria moderna” (come accadeva a Orsanmichele). Nanni e Donatello si fecero interpreti del nuovo corso, ponendo un interesse nuovo nei confronti dell’individuo. Scolpì un nobilissimo San Luca (1408-12), nel quale la testa classicheggiante, l’atteggiamento patrizio e le morbide pieghe delle vesti ben dimostrano l’interesse dello scultore per la statuaria antica; Donatello invece scolpì un San Giovanni Evangelista. Tanto distinto ed intellettuale è San Luca, tanto severo e intransigente e il San Giovanni, che pare quasi stanco. L’artista lavorò anche nel cantiere di Orsanmichele , dove tra il 1410 e il 1416 scolpì il magistrale gruppo dei Quattro Santi Coronati , capolavoro che fu uno dei modelli ai quali si ispirò Masaccio per il cerchio dei suoi apostoli attorno Cristo (affresco del tributo nella Cappella Brancacci). I quattro, che vissero nell’epoca di Diocleziano (III secolo dc) come dimostrano i vestiti, sono uniti tra loro da un colloquio di sguardi. La gravità del loro atteggiamento è senza dubbio l’espressione più avanzata del nuovo classicismo fiorentino.
Il pittore fiorentino Paolo di Dono (1397-1475) è ricordato come Paolo Uccello per la sua passione di ritrarre i volatili. Grazie ai suoi studi divenne uno dei più grandi pittori prospettici, differenziandosi