Scarica Storia della lingua italiana Trifone e più Sintesi del corso in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! CAPITOLO 1 L'italiano tra le lingue d'Europa L'italiano appartiene alla famiglia linguistica dell'indoeuropeo, in cui rietrano la maggior parte delle lingue parlate in Europa e Asia meridionale, che risultano affini tra loro per una serie di corrispondenze linguistiche, spiegate attribuendo loro una comune origine, anche se non documentata. In Europa esistono tre grandi gruppi linguistici maggioritari: . Gruppo romanzo, che include le lingue derivate dal latino, in cui rientrano: . italiano e i suoi dialetti; . portoghese; . spagnolo; . catalano; . francese; . provenzale; . dalmatico, oggi estinta. . Gruppo germanico; . Gruppo slavo. Dove si parla italiano? . Italia; . Stato Vaticano; . Repubblica di San Marino; . piccole aree della Slovenia; . alcuni cantoni della Svizzera; . comunità di italiani emigrati nel mondo; . ex colonie italiane (Corno d'Africa). Alloglotti d'Italia Alloglotti dal greco "allos" altro e "glotta" lingua: * gruppialloglotti non romanzi: tedescofoni in Alto Adige, per "continuità transfrontaliera", greco, albanese e slavo; * francofoni in Val d'Aosta, per "continuità transfrontaliera" (Toso); ® Minoranze linguistiche: catalano, greco, croato, sloveno, provenzale (Piemonte), ladino (valli alpine dolomitiche), sardo (considerato una vera e propria lingua per le sue caratteristiche all'interno del gruppo romanzo, che è la più conservativa rispetto al latino). I dialetti d'Italia E' possibile distinguere in Italia tre aree dialettali: ® areasettentrionale; * area centrale; ® area meridionale. L'area settentrionale è separata da quella centrale dall'isoglossa La Spezia-Rimini, che divide i dialetti settentrionali da quelli centrali-meridionali; L'area centrale è separata da quella meridionale dall'isoglossa Roma-Ancona, che separa i dialetti centrali d quelli meridionali e meridionali estremi. A parte si trova il sardo, onsiderato una vera e propria lingua per le sue caratteristiche all'interno del gruppo romanzo, che è la più conservativa rispetto al latino. ISOGLOSSA = Linea che delimita il confine di un dato fenomeno linguistico in un certo spazio geografico. Isoglossa La Spezia-Rimini: corre in corrispondenza dell'Appennino tosco-emiliano, che costituì una vera e propria barriera fisica rispetto al diffondersi di fenomeni di mutamento linguistico. I fenomeni che caratterizzano le parlate dialettali a nord di questa linea sono: ® scempiamento delle consonanti geminate; ® apocope delle vocali finali; ® contrazione delle sillabe atone; * sonorizzazione delle consonanti in posizione intervocalica. Isoglossa Roma-Ancona: molti fenomeni linguistici propri del fiorentino sono passati all'italiano standard. Altri, ritenuti eccessivamente marcati dal punto di vista diatopico, non sono stati accolti dai parlanti. Tra i fenomeni linguistici che caratterizzano le parlate dialettali di questa zona ci sono: ® gorgia toscana: spirantizzazione delle occlusive sorde intervocaliche; * sostituzione della prima persona plurale del verbo all'indicativo presente con il costrutto si + 3a persona singolare; * assimilazione progressiva dei nessi consonantici -ND- e -MB-. Dialetti meridionali: i fenomeni linguistici tipici di queste varietà sono: ®* metafonesi; * sonorizzazione delle sorde in posizione post-nasale; ® "tenere" per "avere" ® uso del possessivo in posizione enclitica. insegnata a scuola e usata prevalentemente nello scritto. Dal punto di vista del parlato e della pronuncia, invece, la varietà standard è molto meno comune. Sabatini ha introdotto il concetto di italiano dell'uso medio, o neostandard (Berruto), per indicare tutti quei fenomeni linguistici dell'italiano parlato che riflettono una maggior colloquialità. I suoi tratti caratteristici principali sono: * usodilui, lei, loro come soggetti; * usodigli generalizzato, al posto di le e loro; ® impiego di costrutti preposizionali con il partitivo; * dislocazione a destra o a sinistra; * uso dell'imperfetto al posto del congiuntivo e condizionale nel periodo ipotetico dell'irrealtà. CAPITOLO 3 Gli strumenti della disciplina La storia della lingua italiana è una disciplina accademica relativamente giovane, insegnata all'università a partire dal 1937 per interesse diretto dell'allora ministro dell'Educazione Nazionale Giuseppe Bottai. A ricoprire la cattedra fu Migliorini. Prima di lui, esistevano studi dedicati alla storia dell'italiano, che sono stati ricostruiti da Marazzini: ® Storia dellalingua italiana, Migliorini, 1960. Pubblicazione a 1000 anni dall'atto di nascita dell'italiano (Il Placito di Capua, 960). Il volume è strutturato per secoli e parte dalle origini latine per arrivare fino all'inizio del Novecento. Un capitolo è interamente dedicato a Dante. L'autore sceglie di interrompere la sua ricostruzione al 1915 perché spiega che gli anni successivi, segnati dai conflitti bellici e dall'influenza dei nuovi mezzi di comunicazione sulla lingua, avrebbero richiesto una trattazione separata, come effettivamente avvenne in "Lingua contemporanea" e "Saggi sulla lingua del 900" All'interno del volume sono presenti informazioni sugli eventi storico-politici, sulla vita culturale e sul lessico, compresa l'origine delle parole. Per Migliorini, infatti, la storia linguistica va inserita all'interno della storia politica e culturale. ® Questione della lingua, Vitale, 1960; ® Storialinguistica dell'Italia unita, De Mauro, 1972. In questo volume si collega la storia linguistica dell'Italia alle vicende sociali delle classi popolari. Inoltre, è innovativo l'inserimento di dati statistici ed economici. Nel 1992 è stata fondata l'ASLI: Associazione per la Storia della Lingua Italiana. Riviste scientifiche: accolgono contributi di storia della lingua italiana, linguistica, italianistica e dialettologia: . Lingua Nostra, prima rivista dedicata all'italiano, fondata da Devoto e Migliorini nel 1939; . Studi linguistivi italiani, fondata da Castellani nel 1960; . Lingua e stile, oggi diretta da Serianni; . Studi di grammatica italiana, Studi di filologia italiana e Studi di lessicografia italiana, pubblicate dall'Accademia della Crusca. Grammatiche storiche: si occupano dello sviluppo diacronico della lingua, descrivendone l'evoluzione fonetica, morfologica e sintattica a partire dal latino: . Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Gerhard Rohlfs, che comprende non solo l'analisi del toscano e la lingua letteraria, ma anche indagini dialettologiche e forme del parlato, così come elementi di onomastica e toponomastica. Grammatiche descrittive e normative: che descrivono la lingua e ne illustrano le regole: . Trabalza, 1908; . Patota, 1993; . Grammatica dell'italiano antico, 2010. Manuali di filologia, metrica e retorica: di cui lo storico della lingua si serve per leggere, commentare e interpretare i testi letterari. Atlanti linguistici: che rappresentano in forma cartogafica, su base lessicale o grammaticale, la variazione dialettale di una certa area, regione o subregione, ma anche di un'intera nazione o più di una: . Primo atlante linguistico per il territorio francese, 1902-1910 di Gilliéron; . Atlante linguistico ed etnografico dell'Italia e della Svizzera meridionale, 1928-1940. Per portare a termine l'opera ci si servì della collaborazione di informatori nativi del luogo, in modo da raccogliere dati provenienti dalla viva voce dei parlanti. Le inchieste per la compilazione degli atlanti linguistici sono svolte da dialettologi che usano dei questionari prestabiliti. Nell'atlante appaiono le località di inchiesta, ma al posto dei toponimi figura la trascrizione fonetica dei tipi lessicali, per mostrarne la distribuzione. Dizionari dell'uso: che documentano la lingua corrente e vengono consultati per risolvere dubbi su ortografia, divisione sillabica, pronuncia. Tra i più noti ci sono: . GRADIT, De Mauro, che presenta le marche d'uso accanto a ogni parola per indicare il grado di diffusione del lessema su base statistica; . Vocabolario della lingua italiana Treccani, Duro. Dizionari storici: che documentano il passato della lingua sulla base di testi scritti, attestando usi e significati dei lessemi nel corso dei secoli: . Grande Dizionario della Lingua Italiana, Battaglia, contenente esempi tratti da un vastissimo corpus di scrittori di tutti i secoli, con grande spazio per gli autori del 900; . Vocabolario storico di tutte le varietà dell'italiano antico, dalle origini al 1375 (data morte Boccaccio). Contiene testi in versi e in prosa delle tre corone e di altri autori, compresi documenti non letterari. Dizionari etimologici: che indicano l'origine delle parole di una lingua: . Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Cortelazzo, Zolli Toponomastica: attraverso i nomi dei luoghi è possibile ricostruire percorsi storici e fasi di popolamento; Onomastica: nomi e cognomi, sviluppatisi a partire dal Medioevo da patronimici, matronimici, mestieri, soprannomi; Deonomastica: parole comuni derivate da nomi propri. CAP 4: ORIGINI E PRIMI DOCUMENTI Dal latino all'italiano 4. L'iscrizione di San Clemente. L'INDOVINELLO VERONESE Si tratta di un testo datato da perizia paleografica tra la fine dell'VIII secolo e l'inizio del IX secolo (770-780 d.C.), scritto in Spagna e ritrovato nella biblioteca capitolare di Verona. L'indovinello risulta quindi antecedente ai Giuramenti di Strasburgo, datati 14-02-842, giorno in cui venne siglata l'alleanza tra Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo davanti ai loro eserciti. Gli imperatori giurarono l'uno nella lingua dell'altro. Il codice al cui interno si trova l'indovinello veronese contiene un'orazionale mozarabico. Nel margine superiore di un foglio, uno scrivente inserisce il testo di un indovinello, seguito da una forma di ringraziamento: + se pareba boves alba pratalia araba et albo versorio teneba et negro semen seminaba + gratias tibi agimus omnipotens = Ti ringraziamo onnipotente eterno Iddio in lat. Classico . Due interpretazioni di 'pareba': (vedi dopo); . Versor = aratro, ancora oggi presente nei dialetti settentrionali. "Spingeva avanti i buoi, arava un prato bianco e reggeva un aratro bianco e seminava un seme nero." I VOLGARISMI NELL'INDOVINELLO 1. Lae tonica di negro (lat. nigrum); le desinenze -a per -at (pareba, araba, teneba, seminaba) e -o per -um (albo, versorio e di nuovo negro); la forma se per sibi. 2. Alcuni latinismi, come la b di pareba e di altre forme verbali, potrebbero essere puramente grafici. 3. Neppure per boves è necessario ipotizzare un latinismo — La -s finale si è conservata a lungo nei dialetti dell’area. 4. Nel lessico versorio per ‘aratro’ = versòr del dialetto veronese; il latino classico designava l’attrezzo con aratrum, riservando versorium al solo vomere. 5. Anche pratalia ‘prato, campo’ è un volgarismo; probabile che sia femminile singolare: cfr. la pur desueta e rara parola italiana pratalia. I LATINISMI NELL'INDOVINELLO 1. Probabile latinismo semen ‘seme’, come pure la i di seminaba, anziché semenaba con passaggio di i a e; stesso discorso per la t di pratalia, anziché pradalia con sonorizzazione settentrionale della dentale intervocalica. 2. L’assenza di articoli non certifica la prevalenza del latino sul volgare. L'articolo determinativo non è indispensabile né prima di boves (plurale indeterminato, ‘spingeva buoi o dei buoi’), né prima di semen (singolare di valore collettivo). In alba pratalia mancherebbe un articolo indeterminativo, che ha avuto uno sviluppo più lento del determinativo. L’articolo sarà omesso anche in documenti di sicuro carattere volgare come i Placiti capuani (960 e 963). L'indovinello potrebbe rappresentare un parallelo metaforico tra aratura e scrittura: i buoi rappresentano le dita, il prato bianco è il foglio, l'aratro bianco è la piuma d'oca usata per scrivere e il seme nero è l'inchiostro. Il soggetto dell'azione può essere lo scrittore, o la stessa mano che scrive, o le dita della mano che scrive. Un problema è rappresentato dal clitico iniziale: "Se pareba boves". Il divieto di cominciare la frase con il pronome atono (Legge Tobler-Mussafia) vigeva già in latino (Legge Wackernagel). Non si poteva cominciare mai una frase con il pronome atono, ma sempre postporlo al verbo. Ci sono una serie di ipotesi per spiegare perché abbiamo "se pareba" e non "parebasi": ® De Angelis, 2003: leggere "se pareba" come "separeba" = separava con metaplasmo di coniugazione: da parabat (I coniugazione) a pareba (II coniugazione). Tuttavia, l'azione di separare i buoi non è un trattro caratterizzante dell'aratore quanto quello di spingere l'aratro; ® Lazzerini, 2012: lettura inesatta del copista, ch ha confuso V con il signum crucis: Separeba boves ‘[il contadino] separava i buoi’ (De Angelis 2003) ® quinquese pareba boves ‘[il contadino] spingeva avanti a sé cinque buoi’ (Lazzerini 2012: v ‘5’ scambiato per +). Punti a supporto di questa tesi: . migliore metrica del testo; . adyunaton ache all'inizio del testo, che si omologa con gli altri presenti dopo. L'ipotesi potrebbe essere avvalorata anche dal frequente paragone tra 5 dita e 5 buoi. Tuttavia, non c'è un riscontro di equivoco interpretativo da parte di altri copisti. Sembra difficile pensare che un professionista abbia fatto un errore tanto grande; . Il clitico iniziale, in quanto né latino né volgare, potrebbe essere un significativo indizio della natura sperimentale e alternativa di un testo inconsueto come l’Indovinello veronese. L’ipercaratterizzazione e l’ipercorrettismo sono fenomeni frequenti nelle produzioni di chi si sforza di imitare una lingua diversa dalla propria e tende a evidenziarne la diversità, anche oltrepassando la misura del reale. In casi del genere normalizzare, assoggettare a regole prestabilite o a una disciplina coerente l’irregolare e l’indisciplinato può risultare una pratica pericolosa. . Un'ultima ipotesi è rappresentata dal fatto che lo scrivente nel ripetere l'indovinello a memoria abbia confuso l'ordine delle parole "se pareba boves" sarebbe dovuto essere "boves se pareba". Da qui si produrrebbero anche una serie di rime con "araba" e "teneba". Il testo dell'indovinello rivela i limiti della nuova varietà: non c'è una tradizione scritta con cui confrontarsi. All'interno di un testo di natura colta, si fa ricorso a un idioma caratterizzabile alla stregua di un latino rustico-volgareggiante. L'abbassamento di registro da parte del copista è volontario. Probabilmente doveva fare una prova di penna. Per Castellani l'indovinello veronese è simile ai testi di letteratura dialettale riflessa, ovvero non spontanea. Infatti, presuppone la consapevolezza dell'esistenza di una dicotomia tra due sintemi linguistici distanti dal punto di vista diastratico. IL GRAFFITO DELLA TOMBA DI COMMODILLA Si tratta del primo caso di scrittura esposta in una chiesa romana. Il graffito si trova su una parete decorata della cappella della Catacomba di Commodilla, all'interno della cornice di un affresco. Francesco Sabatini ha datato la scritta secondo un criterio storico, paleografico e linguistico, collocandola intorno alla prima metà dell'IX secolo, tra l'830e l'840. Si tratta del più antico testo in volgare di Roma: "Non dicere ille secrita abboce": "Non dire le segrete della messa a voce alta". La scritta fa riferimento all'usanza delle oratio secretae, che prevedeva di leggere silenziosamente o sussurarre le "orazioni segrete" della messa. Questo uso si affermò solo in età carolingia (700-800). Per questo, i sacerdoti meno aggiornati sulle novità della liturgia avrebbero potuto continuare a recitare le segrete a voce alta. Questo spiegherebbe la posizione della scritta, in prossimità dell'altare della Basilichetta dei Santi Felice e Adautto e all'altezza di 1,26 metri, all'altezza degli occhi del celebrante. Inoltre, ciò spiegherebbe anche le dimensioni ridotte del graffito, che per rimanere all'interno dei bordi della cornice viene scritto in senso longitudinale. La frase è quasi interamente in volgare: . Imperativo negativo non + infinito; . Illes usato come articolo e non come dimostrativo; . Abboce è un vocarismo marcato con un fenomeno linguistico tipico del centro meridione, noto come betacismo. Con il betacismo abbiamo il passaggio della fricativa labiovelare sonora alla bilabiale occlusiva sonora, oppure alla fricativa bilabiale. All'iniziale singolo grafema "b" ne è stato aggiunto un secondo, più piccolo, per segnalare il raddoppiamento fonosintattico prodotto dalla preposizione AD in protonia sintattica, con il probabile intento di chiarire la pronuncia e renderla più aderente al parlato; . In secrita si legge in secreta: nella scrittura merolingica (VII-VIII secolo) era tipico l'uso di i al posto di e (caratteristica presente anche nei giuramenti di Strasburgo). MISTERO DI COMMODILLA: Non è chiaro se la frase sottintenda un'intenzione di censura verso qualcuno o raccomandi in generale l'osservanza di una regola. Infatti, ci sono tre possibili interpretazioni del messaggio: ® Sitratta di un ammonimento di un celebrante rivolto a uno o più confratelli non aggiornati come lui. Tra gli elementi a supporto di questa tesi ci sono il carattere informale del messaggio, inciso abusivamente, oltre che la scelta di scrivere in volgare (varietà consona al tono critico e di rimprovero del messaggio, ma anche pertinente per l'abusività dell'incisione); ® Infinito negativo iussivo impersonale, che ci porta ad intenedere la scritta come un avviso generico, alla stregua di un cartello informativo. Gli elementi a supporto della tesi sono la Secondo un'ipotesi, il monastero ha orchestrato questo piano per evitare ulteriori pretese future da parte di altre persone, perché: . Rodelgrimo non dispone di documenti per dimostrare l'eredità del terreno; . Nel 963 si verificarono eventi simili a Sessa Aurunca e a Teano. Tutti insieme, i tre placiti costituiscono i "placiti capuani" o "placiti campani". Si tratta della quadruplice comparsa di brani in volgare, quasi uguali tra loro. Non esistono esempi simili: in tutti gli altri verbali, infatti, il contenuto delle deposizioni veniva tradotto dal volgare in latino. A cosa si deve, dunque, la presenza del volgare? L'esperienza professionale e la cultura degli scriventi, così come il luogo di produzione dei testi e la loro natura ufficiale, infatti, fanno propendere per l'uso del latino, in grado di attribuire prestigio e valore legale ai documenti. Per giustificare l'uso del volgare sono state formulate alcune ipotesi: . Esigenza di maggiore pubblicità degli atti, poiché i monasteri avevano interesse che si sapesse di questi passaggi processuali per scoraggiare altre offensive legali. Tuttavia, bisogna tenere in considerazione che i potenziali destinatari della campagna informativa erano soggetti che avrebbero potuto rivendicare il possesso delle terre e quindi 1) conoscere il latino perché erano colti 2) aver bisogno di un intermediario che leggesse per loro perché erano analfabeti; . Volontà da parte del giudice di accentuare con il volgare l'effetto di veridicità e credibilità della testimonianza. Placito di Sessa Aurunca, marzo 963: «Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette». “So che quelle terre, entro quei confini che ti mostrai, che qui si contengono, furono di Pergoaldo, e trenta anni le possedette” Memoratorio di Teano, luglio 963 [è una specie di verbale provvisorio del placito]: «Kella terra, per kelle fini que bobe monstrai, Sancte Marie è, et trenta anni la posset parte Sancte Marie». “Quella terra, entro quei confini che vi mostrai, è di Santa Maria, e trenta anni la possedette il monastero di Santa Maria”. . "posset" anziché "possette". Per Fiorelli questa forma è da collegare all'incertezza nella trasposizione dal parlato allo scritto. La desinenza del verbo è stata assimilata alla congiunzione latina et, che si leggeva "ette". "Posset" potrebbe essere anche stato frutto dell'analogia con desinenze latine di III persona singolare, come "amat, cantat". Placito di Teano, ottobre 963: «Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, trenta anni le possette parte Sancte Marie». “So che quelle terre, entro quei confini che ti mostrai, trenta anni le possedette il monastero di Santa Maria”. . Que tebe: che ti da "tibi" e Que bobe: che vi da "vobis". Presentano betacismo cassinese: si pronunciavano con fricativa bilabiale o fricativa labiodentale. L'ISCRIZIONE DI SAN CLEMENTE Si tratta di un affresco della basilica sotterranea di San Clemente, a Roma, considerabile il primo "fumetto" della lingua italiana. Per quanto riguarda la datazione, la realizzazione dell'affresco di colloca tra due lassi temporali: . Il restauro della basilica nel 1084, durante il quale è stato costruito il muro di sostegno su cui si trova l'affresco; . La consacrazione della nuova Basilica di San Clemente, edificata su quella sotterranea, nel 1128. L'affresco, pertanto, è datato intorno al 1100, tra l'XI e il XII secolo. Il dipinto ritrae una storia miracolosa: il patrizio romano Sisinnio ha ordinato ai servi Albertello, Carboncello e Gosmari di catturare Clemente, il cui corpo, per sfuggire loro, si trasforma in una pesante colonna. L'antefatto della scena rappresentata dall'affresco spiega perché il patrizio e i suoi scagnozzi volessero catturare San Clemente. Sisinnio era mosso oda spirito di vendetta nei confronti di San Clemente, che aveva convertito la moglie del patrizio al cristianesimo e l'aveva convinta a mantenere la castità. Sisinnio aveva già tentato di arrestarlo mentre celebrava la messa, ma il santo era riuscito ad accecarlo. Quella che viene rappresentata è considerabile una vera e propria scena teatrale, perché la lingua del teatro è caratterizzata dai dialoghi e da una maggior vicinanza al parlato. Dal punto di vista linguistico c'è l'alternanza del volgare, considerato il giusto mezzo di espressione dei pagani per via della sua trivialità, e del latino, per dare voce al santo. Ogni personaggio è indicato con una targhetta identificativa. A differenza del fumetto moderno dove la battuta pronunciata dal personaggio è collocata accanto alla sua raffigurazione, la didascalia si trova accanto al ricevente del messaggio. ANALISI DELLE BATTUTE: - . AI centro dell'affresco, infatti, appare la dichiarazione di San Clemente, che è incorniciata da due solenni archi per attrubuirle maggior prestigio: "Duritiam cordis vestris saxa traere meruistis": "per la durezza del vostro cuore avete meritato di trascinare delle pietre". 2. Per quanto riguarda le battute in volgare, abbiamo un'iscrizione dietro alle spalle di Carboncello che recita: "Fagliti dietro con il palo, Carboncello"/ ""Falite dereto co lo palo Carvoncelle" 3. Dereto dal lat. De retro, con asincope della vibrante post-tonica, a differenza dell'italiano in cui c'è una aferesi prima dell'univerbazione. Inoltre c'è il mancato dittongamento della tonica. 4. Carvoncelle per spirantizzazione della bilabiale sonora dopo vibrante: fenomeno tipico di alcune varietà dialettali tra cui il romano. Erba erva. 5. Verso destra, lo sgherro Albertello porta la colonna e alle sue spalle si legge: "Albertello tira(te)"/ "Albertel trai(te)": si tratta della battuta che costituisce il principale punto di discussione. Secondo alcuni, infatti, il verbo è alla seconda persona singolare, mentre per altri è alla seconda persona plurale. Questo, di conseguenza, provoca problemi nell'attribuzione delle battute ai personaggi. Ci sono due ipotesi: 6. II persona singolare, ad ogni personaggio è assegnata una dichiarazione. La sillaba finale "te" potrebbe essere stata realizzata per errore e successivamente cancellata. Gli afferschi, però, sono praticamente incancellabili perché essendo realizzati su una superficie umida il dipinto si amalgama e diventa un tutt'uno con la calce sottostante, impedendo di intervenire. Un modo di rimediare è di non ripassare il colore. Questo potrebbe spiegare perché "te" risulta sbiadito rispetto al resto; 7. II persona plurale, Sisinnio pronuncia tutte le battute in volgare. In questo caso, i nomi di Gosmari, Albertello e Carboncello non sarebbero didascalie per identificare il personaggio dipinto, ma farebbero parte della battuta. In realtà, però, per la regia teatrale del testo è più probabile che ogni personaggio ritratto faccia e dica qualcosa. 8. Infine, c'è il prefetto che incita i suoi scagnozzi, apostrofandoli con una parolaccia: "Fili dele pute traite". Ancora una volta, l'uso del turpiloquio serve a marcare la netta opposizione tra la nobile parola del santo e la bassezza dei pagani. 9. "Fili" si legge "figli". Già dal III secolo la pronuncia della laterale + jod si era palatalizzata, ma il latino non disponeva di un grafema in grado di indicare il corrispondente fonema. IL DUECENTO: Il linguaggio poetico dai provenzali ai siciliani In Italia la più nota produzione medievale in lingua volgare fu poetica: la prima scuola fu quella siciliana, fiorita all'inizio del XIII secolo nella Magna Curia di Federico II di Svevia. I poeti siciliani trassero ispirazione dalla poesia provenzale, sostituendo la lingua d'oc con un volgare locale. La scelta del siciliano non era frutto del gusto per un idioma popolare percepito come naturale. Infatti, molti dei poeti appartenenti alla scuola siciliana non erano siciliani e la corte di Federico II era un ambiente internazionale. Ciò dimostra che si trattò di una scelta formale. Infatti, il volgare della poesia siciliana è altamente raffinato, e caratterizzato da dalla presenza di numerosi termini provenzali, come le forme in -agio e in -anza. Il corpus della poesia medievale è giunto a noi attraverso i codici medievali scritti dai copisti toscani. La trascrizione delle opere non era un'operazione neutrale: gli amanuensi eliminarono i tratti siciliani che alle loro orecchie suonavano astrusi, toscanizzando le opere. La forma toscanizzata fu presa per quella originale anche dallo stesso Dante, che sosteneva che i siciliani si fossero totalmente liberati dai tratti locali. Da qui si dipana una compelssa questione filologica legata alla scuola siciliana. Infatti, stando alla testimonianza di Giovanni Maria Barbieri, in realtà testi poetici siciliani presentavano una forma molto diversa da quella comunemente nota. Lo studioso del '500 esperto di poesia provenzale esaminò il Libro siciliano, andato definitivamente perduto, di cui trascrisse alcuni versi all'interno di un'opera incompiuta dal titolo L'arte del rimare. Oltre a Barbieri, un altro studioso del '500, Ludovico Castelvetro, raccontò di aver preso visione di alcune liriche della scuola poetica siciliana, che gli erano state mostrate da Bembo. Mentre quest'ultimo credeva che si trattasse delle testimonianze originarie, Castelvetro sosteneva che le operer fossero state successivamente tradotte in siciliano. con rapporti di parentela e derivazione). Per la Commedia di Dante esistono oltre 600 codici manoscritti, più frammenti parziali, caratterizzati da: ® assenza di apostrofi e accenti; ® assenza di segni di punteggiatura; ® parole univerbate. Da qui, difficoltà di applicare il metodo Lachman per numero enorme di opere. Petrocchi ha selezionato i codici più antichi, che trasmettevano il testo secondo l’antica vulgata, per ridurre il numero di opere da confrontare. Le varianti riguardano la presenza di settentrionalismi in luogo di toscanismi. IL DE VULGARI ELOQUENTIA DI DANTE Nel De Vulgari Eloquentia Dante inserisce esempi e citazioni tratte dai diversi volgari. Egli prende le distanze da ogni forma di parlata rustica, tra cui il sardo. Secondo Dante hanno carpito la loro lingua dall’imitazione del latino. (Somiglianza tra sardo e latino) Dante cita i poeti siciliani, promuovendo il loro come il miglior modello linguistico. In particolare, cita Guido delle Colonne, senza però sapere che quei testi fossero stati toscanizzati. Nel cap XII il discorso si sposta dalla poesia alla politica. Dante esprime sdegno nei confronti dei principi italiani del suo tempo, indegni in confronto a Federico II e suo figlio Manfredi. In questo sfogo fa uso di sarcasmo e termini latini diversi dalla tradizione classica, tipici del latino medievale. IL LINGUAGGIO LIRICO DI PETRARCA La caratteristica predominante del linguaggio lirico di Petrarca è la sua selettività. Petrarca esclude molte parole usate da Dante nella Commedia, ritenute inadatte al genere poetico. Inoltre, la produzione in volgare di Petrarca è molto più esigua rispetto a quella in latino. Lo stesso Canzoniere per lo scrittore rappresentava un divertimento, non un'opera con cui pensava di essere ricordato dai posteri. Il titolo dell'opera, comunque, è in latino (Rerum Vulgarium Fragmenta), così come le annotazioni apposte dallo stesso Petrarca. In realtà, il Petrarca aveva molta più famigliarità con il latino che con il volgare: lo usava come strumento di comunicazione e di riflessione. Per questo, l'uso del volgare nel Canzoniere va inteso come un raffinto gioco poetico omaggio alla scuola siciliana. Caratteristiche del linguaggio lirico di Petrarca: . mutamento dell'ordine regolare delle parole; . chiasmi, antitesi, anafore, allitterazioni; . binomi di aggettivi (solo et pensoso); . segni di abbreviazione; . latinismi grafici (huomo); . mancanza dell'apostrofo (introdotto nel 500); . sistema di interpunzione scarno; . possessivi, preposizioni e articoli uniti al nome. IL CANZONIERE DI PETRARCA E LA FILOLOGIA D’AUTORE Il Canzoniere costituisce la forma di codificazione poetica che per secoli sarà tipica della lirica italiana. La poesia di Petrarca è caratterizzata da: ® Sapiente strutturazione retorica; * musicalità; * postillee correzioni in latino + lingua con cui si trovava più a suo agio. LA PROSA DI BOCCACCIO A differenza della poesia, non c'era ancora una salda trazione della prosa nel 300. Il Novellino poteva costituire un buon modello per la prosa narrativa, ma non offriva un campiorario sufficiente di situazioni e spunti. Il salto di qualità si ebbe con il Decameron di Boccaccio, in cui ricorrono situazioni narrative in contesti sociali diversi, con personaggi di tutte le classi sociali. Per conferire realismo alla propria opera, Boccaccio non rinuncia ad inserire elementi linguistici diversi dal fiorentino. Inoltre, si fa molta attenzione ai moduli linguistici del parlato, con tanto di espressioni popolari e strutture tipiche comegli anacoluti. Nella cornice delle novelle e nelle parti più nobili lo stile di Boccaccio risulta caratterizzato dall'ipotassi, con inversioni latineggianti e posposizioni dei verbi in clausola. Fu proprio questo stile ad essere maggiormente imitato e a pesare sulla stabilizzazione normativa della lingua italiana. Le altre caratteristiche dello stile boccacciano sono: . Uso di elementi ritmici; . Figure retoriche, allitterazione, omoteleuto; . latinismi grafici; . Abbreviazioni; . Un maggior numero di interpunzioni rispetto a Petrarca. Boccaccio è anche autore di uno dei più antichi testi in volgare napoletano. Si tratta dell'Epistola Napoletana, esempio di letteratura dialettale riflessa, con cui l'autore si rivolge in tono scherzoso all'amico Francesco De Bardi, in cui Boccaccio ricostruisce a orecchio il parlato vivo dell'epoca. IL DECAMERON DI BOCCACCIO Il Decameron è ricco di grande varietà di registri: * dialoghi, battute del parlato, conversazioni quotidiane; ® cornicie passi dallo stile elevato e nobile, che furono considerate per secoli il modello per eccellenza della prosa italiana. Caratteristiche della lingua elevata di Boccaccio: * univerbazione; * raddoppiamento fono-sintattico; * subordinate; *. gerundi; ® avversative; * verbo posposto. LA CRONICA DI ANONIMO ROMANO: Quest'opera documenta il volgare di Roma nel Medioevo nella fase anteriore alla sua toscanizzazione, avvenuta nel 500. La cronica è stata scritta intorno al 1357-58 e raccoglieva gli avvenimenti il 1325 e il 1357. Un tempo la si riteneva di un autore anonimo, mentre il filologo Billanovich ha cercato di dimostrare che ne fu autore il nobile laziale Bartolomeo di Iacovo da Valmontone. Tra le caratteristiche linguistiche del volgare di Roma ci sono: . dittongamento metafonetico tipico dei dialetti del sud; . spirantizzazione di labiale sonora non solo in posizione intervocalica, ma anche dopo vibrante, in posizione iniziale o all'interno di frase; . Conservazione della vibrante dal nesso latino R+J (anziché conservazione di j); . Assimilazione; . Palatalizzazione di laterale preconsonantica altri aitri . Raddoppiamento fono-sintattico. Il testo ha un grande valore letterario, perché quello romano è un volgare caratterizzato da ben poca tradizione letteraria, ed artistico. Infatti, il Novellino dell'Anonimo Romano è caratterizzato da una grande forza espressiva che si esprime sia attraverso il realismo linguistico, come quando in occasione della narrazione della vita di Cola di Rienzo, quest'ultimo si traveste da campagnolo e si esprime con una parlata rustica, sia attraverso le costruzioni sintattiche. LATINO E VOLGARE NEL QUATTROCENTO Petrarca, iniziatore dell'Umanesimo, avviò un processo determinante per lo sviluppo della lingua, che prevedeva il confronto con il latino degli autori classici, come Cicerone, Virgilio, Seneca, Catullo, e l'imitazione dei grandi modelli letterari. Di conseguenza, si verificò una crisi del volgare, che venne screditato agli occhi dei dotti, anche se nell'uso pratico continuava a farsi strada. Nella prima metà del secolo vi furono umanisti che si rifiutarono di usare il volgare, come Coluccio Salutati, che per anni diresse la cancelleria fiorentina ed ebbe modo di diffondere il proprio stile improntato ai classici latini. A partire dalla seconda metà del Quattrocento si riscontrò un duplice atteggiamento: . Da un lato chi disprezzava il volgare contrapponendogli il latino, considerato ben più nobile per in grado di garantire l'immortalità letteraria. Secondo l'opinione di questi dotti il volgare poteva essere usato solo per le scritture pratiche, ma mai per la scrittura d'arte; . Dall'altro c'era chi iniziò a riconoscere il principio della parità potenziale delle lingue antiche e di quelle moderne, in particolare nella città di Firenze, nell'ambiente della corte di Lorenzo. GLI UMANISTI, appassionati delle vicende del mondo classico, si chiedevano quali cause avessero portato al crollo di una civiltà tanto splendida come quella degli antichi romani.Tra i loro interessi di ricerca c'era quello per la lingua parlata dagli antichi romani. Ponendosi il problema delle origini dell'italiano, c'erano due ipotesi: . Lo studioso di antichità romane Biondo Flavio sosteneva che al tempo dell'impero romano si parlasse esclusivamente il latino, corrotto ad opera delle infiltrazioni barbare. Dalla corruzione linguistica per opera dei Longobardi era così nato l'italiano; all’interno del discorso diretto, si sia troppo avvicinato alla lingua popolare. Lo stile di Bembo è caratterizzato da: ® articolazione sintattica complessa, con inversioni, ipotassi e incisi; ® i prostetiche prima di s+consonate (isforzi) ® registrazione grafica del raddoppiamento fono sintattico; * imperfetti in-ea anziché —eva. Pietro Bembo fu il grande regolarizzatore della lingua italiana. La sua autorità venne immediatamente riconosciuta dopo la pubblicazione delle Prose della Volgar Lingua. Le sue riflessioni, però, erano iniziate già agli inizi del 500. Nel 1501 e nel 1502 aveva dato alle stampe il Canzoniere di Petrarca e la Commedia di Dante curandone il testo in qualità di filologo. Solo successivamente divenne grammatico e teorico. Nella prefazione del Petrarca Aldino, Manuzio sottolinea la maggior correttezza di questa edizione rispetto a tutte le altre, perché basata su un manoscritto dello stesso Petrarca. All’epoca, però, non c’era ancora una regolarizzazione delle norme e il dibattito intorno alla questione della lingua stava facendosi acceso. Manuzio infatti prevede che il titolo dell’opera “Cose volgari”, sarebbe stato criticato per l'assenza della u latina in “vulgari”. Si trattava di un latinismo tipicamente usato dalla lingua cortigiana, da cui Bembo prende le distanze. All’epoca si faceva forte l’esigenza di adeguare sotto un unico canone linguistico la polimorfia che caratterizzava le edizioni diverse delle stesse opere. Nell'edizione aldina Bembo si distacca rispetto al passato, eliminando: ® grafie latineggianti; * scempiamenti; ® abbreviazioni tipiche della scrittura manoscritta. QUESTIONE DELLA LINGUA: TEORIE ALTERNATIVE A QUELLA BEMBIANA Oltre alla teoria Bembiana possiamo delineare quella dei cortigiani e degli italiani: . teoria cortigiana, formulata da Calmeta, secondo cui il volgare italiano era quello usato nelle corti italiane, e specialmente in quella di Roma. La sua posizione è stata ricostruita nel dettaglio da un letterato del 500, Ludovico Castelvetro. Per Calmeta la fiorentinità della lingua doveva sì essere appresa sui testi di Dante e Petrarca, ma poi affinata attraverso l'uso della corte di Roma, che rappresentava un luogo al di sopra del particolarismo municipale, trattandosi di una città cosmopolita. A differenza di Bembo, quindi, i fautori della lingua cortigiana non volevano limitarsi all'imitazione del toscano arcaico, ma preferivano fare riferimento all'uso vivo della corte. Bembo obiettava che la lingua cortigiana era un'entità difficile da definire in maniera precisa. Proprio a causa della sua mancata omogeneità, la lingua cortigiana non uscì vincente dal dibattito cinquecentesco; . La teoria di Trissino, strettamente legata alla riscoperta del De Vulgari Eloquentia di Dante. Nel 1529 Trissino pubblicò un dialogo dal titolo il Castellano, in cui sosteneva che la lingua poetica di Petrarca era composta da vocaboli provenienti da ogni parte d'Italia, e non era quindi considerabile fiorentina, ma italiana. La sua tesi negava la fiorentinità della lingua letteraria e faceva appello alle pagine in cui Dante aveva condannato la lingua fiorentina, contestandone ogni pretesa di primario letterario. Inoltre, Trissino propose l'intruzione di epsilon e omega dal greco, per distinguere l'apertura delle vocali e o. Le posizioni in merito alla questione della lingua vennero riprese successivamente: . Benedetto Varchi, 1570 'L'Hercolano'. Si trattava di un fiorentino in esilio a causa delle sue posizioni antimedicee. A Padova aveva frequentato l'Accademia degli Infiammati, dove si sosteneva la teoria di Bembo, che aveva anche avuto modo di incontrare di persona. Tuttavia, Varchi risultava diffidente nei confronti della sua posizione. Rientrato a Firenze per il perdono accordatogli da Cosimo De' Medici, si oppose al bembismo. Tra le idee contrastanti c'erano: . la naturale tendenza alla varietà propria della natura umana alla base della pluralità dei linguaggi, e non la maledizione babelica; . il principio dell'autorità popolare da affiancare ai grandi scrittori; . il modello della lingua parlata di Firenze. LA RIVOLUZIONE DELLA STAMPA L’invenzione della stampa a caratteri mobili fu una vera e propria rivoluzione per la cultura europea. Tra le conseguenze più grandi di questa innovazione ci fu la diminuzione del prezzo dei libri e il conseguente aumento delle tirature, che raggiunsero una diffusione che non aveva conosciuto precedenti. L'innovazione della stampa influenzò anche la storia della lingua, promuovendo una regolarizzazione sempre maggiore della scrittura e sottraendola alle oscillazioni tipiche della coinè 400esca. Invenzione stampa Magonza, Germania, Gutemberg 1456. I primi tipografi attivi in Italia furono tedeschi, ma l’arte tipografica divenne anche nostrana e si concentrò soprattutto a Venezia, che divenne la capitale della stampa italiana. Inizialmente, la tipografia imitava la forma del manoscritto, mentre successivamente se ne distaccò, aggiungendo elementi nuovi come frontespizio, editore e anno di stampa. Tra gli stampatori più attivi a Venezia ci fu Manuzio. Altre città attive furono Roma, Firenze, Milano e Bologna. Principalmente venivano stampati libri in latino. Il primo libro in volgare italiano oggi conosciuto è un testo popolare devoto: Fioretti di S. Francesco. Un libro di preghiere di incerta datazione è il Parsons Fragment, che potrebbe risalire al 1462 ed essere il più antico mai stampato in Italia. IL RUOLO DELLE ACCADEMIE L’Accademia padovana degli Infiammati fu fondata nel 1540, e fu frequentata oltre che da Benedetto Varchi anche da Sperone Speroni, autore del dialogo “Delle lingue”, 1542. Nel dialogo è inserito a sua volta un altro dialogo, di cui fu testimone uno scolaro, che esplicita del filosofo aristotelico Pomponazzi, detto Peretti. Egli dichiarava che la filosofia avrebbe dovuto essere trasportata dalle lingue classiche a quella volgare. Secondo lui il latino e il greco erano un ostacolo alla diffusione del sapere: c’era bisogno di un processo di democratizzazione e modernizzazione. Ogni lingua era adatta per parlare di filosofia. Le sue idee non trovarono appoggio nel 500. Le accademie erano luoghi in cui si affrontano molte questioni linguistiche di attualità. Tra le più importanti ricordiamo: * Accademia fiorentina, 1541; ® Accademia della Crusca, 1582 e ancora oggi attiva. L’anno successivo alla fondazione dell’accademia fece il suo ingresso Leonardo Salviati, che orientò gli interessi dell’accademia verso la filologia. Nella prima fase della sua esistenza la Crusca divenne nota per la polemica, ad opera soprattutto di Salviati, contro la Gerusalemme Liberata di Tasso e a sostegno del primato di Ariosto. Salviati divenne celebre per la sua opera filologica e grammaticale “Avvenimenti della lingua sopra ‘l Decameron”, 1584-86. Egli operò un’epurazione dell’opera boccacciana, eliminando gli elementi che rischiavano di trasmettere immoralità e antireligiosità. L’opera di censura di Salviati fu commissionata dal granduca Francesco di Toscana, per compiacere Papa Sisto V, all’epoca della controriforma. Già precedentemente alcuni membri dell’accademia fiorentina avevano svolto un lavoro analogo, ma evidentemente giudicato insufficiente. Nel 1500 l’accademia deliberò di rivedere e correggere il testo della Commedia di Dante. Per far ciò vennero collazionati diversi codici, messi a confronto con la stampa aldina del 1502, curata da Bembo. IL VOCABOLARIO DEGLI ACCADEMICI DELLA CRUSCA L’accademia della Crusca ebbe un’importanza eccezionale perché pubblicò nel 1612 il primo grande vocabolario della lingua italiana, oltre che il primo dizionario monolingue europeo. Naturalmente, il vocabolario affermò il magistero fiorentino della lingua. Considerando il contesto storico, politico e sociale, la realizzazione dell’opera appare ancora più sorprendente: * la Cruscaera un’associazione privata, senza sostegno pubblico; ® l’Italia era divisa in Stati diversi, ognuno con propria tradizione ed era quindi poco adatta ad assoggettarsi a un’unica autorità normativa. Ciò fu alla base di una serie di polemiche. A partire dal 1591 l’accademia si interessò di lessicografia e gli accademici iniziarono a discutere su metodologia e procedure per la realizzazione del dizionario. Gli autori sottoposti a spoglio per il vocabolario furono prevalentemente quelli indicati in un elenco redatto da Salviati, che aveva già manifestato la volontà di redigere un vocabolario del toscano. Nel dizionario erano presenti anche autori minori del 300 fiorentino, che erano dei di stare al fianco dei grandi autori della letteratura per meriti di lingua. Inoltre, si integrarono anche parole dell’uso moderno. Questa impostazione contravveniva i canoni bembiani. Il vocabolario venne dato alle stampe dopo la morte di Salviati presso la tipografia veneziana di Giovanni Alberti. Nessuno fu in grado di raccoglierne l’eredità perché la maggior parte dei membri dell’accademia era costituita da giovani dilettanti. Sulla copertina del dizionario c’era il simbolo dell’accademia: un frullone che si usava per separare la farina dalla crusca, con su il motto “Il più bel fior ne coglie”, che allude alla selezione compiuta tra la farina e lo scarto, ovvero la crusca. CARATTERISTICHE DEL VOCABOLARIO: La poesia di Marino rappresenta una miscela tra vecchio e nuovo, fuoriuscendo dai confini del didascalico e facendo uso di simbologie che impressionano i lettori. IL ‘700: L’INFLUSSO DEL FRANCESE All’inizio del 700, il primato linguistico a livello internazionale spettava al francese. Lo spagnolo e l’inglese, che avevano goduto del vantaggio di essere lingue coloniali, persero di importanza. Il portoghese era marginale, le lingue slave non erano apprezzate. Il tedesco era considerato di uno status culturale insufficiente, tanto che in area germanica per l’uso colto prevaleva il francese. A livello internazionale, invece, il latino aveva ancora una posizione molto solida. Lo stesso Newton scelse il latino per la sua opera più importante Philosophiae Naturalis. Anche l’italiano aveva una posizione di prestigio: era di corte a Vienna e conosciuto a Parigi e dai membri dell’aristocrazia. In ogni caso, il primato era del francese, che rappresentava un erede dell’antico universalismo latino. La penetrazione del francese avveniva non solo attraverso il canale culturale, ma investiva anche aspetti del costume e della vita comune. Nel 1784 l’ Accademia di Berlino pubblicò un saggio di Rivalol dal titolo De l’universalité de la langue francaise, in cui si sosteneva che il successo internazionale del francese non fosse dovuto solo a cause storiche, ma anche a virtù connaturate nella lingua stessa, come logica, chiarezza, capacità di comunicazione razionale, in contrapposizione all’illogicità dell’italiano e delle sue inversioni sintattiche. Si fa qui riferimento ad uno dei temi più dibattuti del 600, ovvero l’ordine naturale della frase SVO. Quest’ordine era perfettamente rispettato dal francese, mentre in italiano c’era una grande libertà nella posizione degli elementi nel periodo, anche secondo lo stile boccacciano. Queste argomentazioni furono successivamente riprese in età napoleonica, quando la lingua francese fu esportata nei paesi conquistati. LA RIVISTA IL CAFFE’ Nel 700, la più decisa voce di protesta contro l’autoritarismo linguistico arcaizzante venne dagli intellettuali milanesi del Caffè, un periodico espressione degli ideali illuministici, pubblicato tra il 1764 e il 1766. I redattori si battevano contro tutte le forme di passatismo e di fiorentinismo. Essi erano particolarmente avversi nei confronti della Crusca e delle sue posizioni conservatrici. Tra gli articoli più importanti che riguardano la questione della lingua c’è quello di Alessandro Verri, dal titolo “Rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio periodico del Vocabolario della Crusca”. S tratta di un saggio in tono sarcastico in cui viene respinta l’autorità della lingua toscana e viene messo da parte in maniera provocatoria ogni ideale di ricerca stilistica. Secondo Verri, infatti, le questioni retorico formali hanno troppo spazio rispetto al concreto progresso della cultura. Secondo gli illuministi del Caffè, infatti, la parola doveva essere uno strumento al servizio delle idee. La Rinunzia è articolata in 7 punti, con brevi paragrafi numerati secondo la saggistica 700esca di ispirazione illuminista. Il modello francese, infatti, era caratterizzato da: ® sintassi semplice e agile; * chiarezza e concisione; ® organizzazione delle idee. Nel testo, l’autore fa appello a: * libertà espressiva; * facoltà di introdurre forestierismi; ® importanza del contenuto. Lo stile di Verri rappresenta una sorta di parodia a un contratto ufficiale. Ad esempio, all’inizio del testo ci sono formule ironicamente burocratiche come il cum sit latino. I grammatici sono accusati di porre un freno allo sviluppo dell’ingegno umano con le loro ossessioni sulla correttezza formale. Nella prima stampa, il titolo dell’articolo era Rinunzia avanti nodaro, settentrionalismo che si distingue rispetto al toscano per il suffisso e la dentale sonora. In realtà, infatti, la disinvoltura con cui Verri liquidava le questioni retorico-formali costituiva solo la facciata di un animo più intimamente tormentato dalle questioni linguistiche. Lo stesso Verri, infatti, dopo qualche anno si pentì per il tono eccessivamente provocatorio e aspro usato nell’articolo. Beccaria scrisse una risposta alla Rinunzia fingendo di prendere le parti dell’accademia della Crusca. Il tono dell’opera, però, è comico e parodico e intende ridicolizzare gli accademici. Gli argomenti a loro difesa, infatti, sono totalmente privi di senso. Tra gli altri articoli di Verri c’è il Saggio di legislazione sul pedantesimo, in cui esprime in chiave ironica le sue idee sul modo migliore di scrivere libri. Verri condanna i modelli formali tradizionali, che rallentano la lettura con parole vuote e uno stile eccessivamente pedante. Per l’autore, un libro deve entrare subito nel vivo dell’argomento, senza divagare inutilmente. La polemica è diretta in particolar modo contro la crusca e il toscanismo, che promuovevano l’uso di parole rare e raffinate, ma poco comprese dalla maggior parte dei lettori. Un ultimo intervento di Verri riguarda l’uso del lei come allocutivo di rispetto, verso il quale l’autore esprime la sua contrarietà: “Il tu, voi e lei”. La sua posizione fu ripresa durante il fascismo, quando si promuoveva l’uso del tu per i pari rango e del lei per i superiori. GOLDONI Nell'opera di Goldoni si trovano accenni riguardanti il problema della lingua, ma non ambì mai a imporsi come teorico dei problemi linguistici del teatro. In Italia non esisteva una vera lingua comune di conversazione. Per questo, chi voleva simulare il parlato senza imparare il toscano vivo era costretto a ricorrere al dialetto o a impiegare una lingua mista, caratterizzata dalla combinazione di elementi come colloquialismi, dialettismi e francesismi. Goldoni adottò entrambe le soluzioni: scrisse in italiano, veneziano e francese, una volta trasferitosi a Parigi. Nel 1750, in occasione della presentazione della raccolta delle sue opere, toccò la questione, sottolineando come l’uso del dialetto che in scena non rappresentava un problema necessitasse di alcuni riadattamenti nella trasposizione a stampa delle commedie: ® sparisce il tradizionale dottore avvocato bolognese tipico della commedia dell’arte; * il dialetto veneziano è corredato di chiose per far comprendere anche agli altri parlanti delle sfumature particolari; * i settentrionalismi vengono spiegati nelle note. La lingua teatrale di Goldoni è colma di venetismi, regionalismi lombardi e francesismi. Nelle battute, dialetto e lingua si alternano attraverso il code switching. Del resto, poiché il parlato oscilla tra lingua standard e dialetto la commistione di codice rappresenta un elemento che conferisce realismo e naturalezza. La concezione della lingua di Goldoni va contro le tendenze tradizionali della prosa accademica italiana: * Nonsi dà importanza all’eleganza ma alla lingua dell’uso; * si predilige l’innovazione, soprattutto sul piano della sintassi. La sintassi è di tipo paratattico, guistappositivo, asindetico e punta a far affiorare i caratteri propri del parlato, il registro colloquiale, le ridondanze pronominali. Dopo aver conquistato una solida fama in Italia, Goldoni si trasferì a Parigi, dove scrisse un paio di commedie in francese, oltre che le sue memorie. Oltre alle commedie in veneziano, Goldoni scrisse anche in italiano, per ragioni pratiche e di comprensione da parte di un pubblico non veneto. Le difficoltà, però, crescevano, perché l’italiano rischiava di suonare innaturale e artificioso in bocca ai vari personaggi. Egli cercò quindi di utilizzare una sorta di “lingua media”, ma fu aspramente criticato da alcuni critici per la sua scrittura considerata sciatta. Il campiello (da “campo” veneziano per “piazza”, la piazzetta): nella scena riportata ci sono due personaggi che dialogano: la veneziana Gasparina, che parla in dialetto, e un cavaliere forestiero, che parla in italiano. In particolare, Gasparina esibisce un vizio di pronuncia: parla pronunciando z al posto di s. In questo caso, le difficoltà linguistiche sono sfruttate per fini comici. Infatti, quando Gasparina capisce che il cavaliere che le fa la corte non è in grado di comprendere il veneziano, si sforza di parlare italiano, commettendo una serie di errori che modificano il senso della sua frase: * sbagliale voci verbali; * confonde ancora con anche; ® usail pronome personale soggetto al posto del pronome personale oggetto; ® non capisce il significato di parole come zitella e fanciulla. IL SAGGIO SULLA FILOSOFIA DELLE LINGUE DI MELCHIORRE CESAROTTI Dopo la pubblicazione della quarta edizione del vocabolario della Crusca, pubblicato tra il 1729 e il 1738, iniziarono a manifestarsi una serie di polemiche di stampo illuministico dell’autoritarismo della tradizione conservatrice. Nel 1785 Melchiorre Cesarotti diede alle stampe il Saggio sulla filosofia delle lingue, che pur facendo riferimento alla specifica situazione italiana mantiene un sistema universalmente valido, che è fondato su una concezione di linguaggio generale, elaborata a partire da idee diffuse nel 700 dalla cultura sensista francese. Il saggio si apre con una serie di enunciazioni teoriche: ® tutte le lingue nascono e derivano da un progetto casuale, non razionale; * il concetto di lingua barbara non è applicabile al confronto tra lingue, perché tutte sono funzionali all’uso della nazione che le parla. Cesarotti afferma il principio per cui la lingua ha bisogno del consenso della maggioranza, attraverso cui limitare l’azione dei grammatici e promuovere la lingua dell’uso; ® nessuna lingua è pura; * nessuna lingua è perfetta, ma tutte sono migliorabili. Qui in particolare Cesarotti fa riferimento al presunto ordine naturale SVO che rispecchia l’ordine naturale della ragione. Cesarotti concorda in parte con questa visione che ritiene che né il latino né l’italiano abbiano uno stile logico. Per l’autore lo stile del latino rende meno monotono il costrutto, Nel 1839 Manzoni iniziò a servirsi anche dell’aiuto dell’istitutrice fiorentina Emilia Luti. Alla fine del 1842, anno di uscita della quarantana, l’autore le inviò una copia con una dedica, dicendo che la donna aveva risciacquato i cenci in Arno, espressione diventata famosa. Non mancano tra i due scambi epistolari in cui Manzoni chiede a Luti consulenze linguistiche. In una lettera a Carena del 1847 Manzoni esplicitò la sua posizione definitiva: si aspettava che la lingua di Firenze portasse a termine un processo di unificazione linguistica. Nel 1868, Manzoni fu nominato dal ministro dell’istruzione Broglio all’interno d una commissione che aveva il compito di proporre delle strategie per diffondere l’italiano tra la popolazione, per un’unificazione linguistica del Regno. Manzoni pubblicò una relazione dal titolo Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, spiegando le ragioni per cui riteneva che il fiorentino dovesse essere diffuso attraverso una capillare politica linguistica messa in atto dalla scuola e più in generale nell’educazione popolare. Manzoni mise per la prima volta in collegamento la questione della lingua con la questione sociale. Il modello di Manzoni favorì la prassi della cosiddetta risciacquatura dei panni in Amo, caratterizzato da uno stile piano e privo di artifici classicistici. Tra le proposte presenti nella relazione ci sono: * realizzazione di un vocabolario basato sull’uso vivo di Firenze; * obbligo di esporre insegne e avvisi in fiorentino; ® invito agli scienziati di realizzare una nomenclatura italiana uniforme per il lessico scientifico; * riflessione sui concetti di lingua e dialetto: sostiene che non si può parlare di dialetti senza una lingua comune, che nell’Italia 800esca ancora non esisteva. Per Manzoni dialetto e lingua avevano uguale natura e soddisfa vano entrambe le funzioni della comunicazione. La lingua, però, doveva essere dotata di maggior estensione e omogeneità, stabilendosi come strumento ufficiale di una nazione; Le teorie di Manzoni sono basate sul modello di unificazione linguistica del francese e del latino, lingue che si sono diffuse a partire da due grandi città, Parigi e Roma. Allo stesso modo, il fiorentino sarebbe dovuto diventare lingua di Italia. IL DISSENSO DELL’ASCOLI Il linguista Ascoli nel 1873 intervenne in risposta a Manzoni sulla questione della lingua, pubblicando nel Proemio al primo fascicolo dell’ Archivio Glottologico Italiano. Egli riteneva che l’taliano non potesse essere identificato con il fiorentino moderno, ma che dovesse accogliere forme linguistiche diverse tratte da altre regioni oltre la Toscana. Secondo Ascoli l’unificazione linguistica si sarebbe realizzata spontaneamente negli anni a venire, grazie alla crescita civile, all’ammodernamento dello Stato e alla maggiore circolazione della cultura. Per l’autore, il modello proposto da Manzoni, infatti, era inapplicabile: in Italia, infatti, a differenza della Francia e dell’Antica Roma, c’erano una situazione politica differente e molte città medio-grandi che costituivano un riferimento culturale, come Napoli e Milano. Il giusto paragone secondo Ascoli era quello con la Germania, dove il tedesco era divenuto lingua nazionale nonostante divisioni politiche, dialettali e religiose. Affinché ciò diventasse possibile anche in Italia, era necessaria una diffusione capillare della cultura. Tra le condizioni che ostacolavano l’unità linguistica italiana per l’autore c'erano: * analfabetismo; * culto ossessivo perla forma a scapito del contenuto. Inoltre, Ascoli sottolinea l’esigenza di mantenere un livello alto dello stile nello scritto, che è necessario in alcuni ambiti come quello della scienza e della politica, e che i segaci di Manzoni avevano reso eccessivamente colloquiale e familiare. Infine, Ascoli fa presente che in Italia mancava un gruppo sociale intermedio che si collocasse tra i pochissimi dotti e le masse ignoranti. L’elite era isolata rispetto al popolo. Per questo, c’era bisogno di operare sul tessuto culturale della nazione, senza far piovere dall’alto un’imposizione linguistica, poiché la lingua è frutto di fattori extralinguistici e va calata nel contesto sociale. LA LESSICOGRAFIA DELL’ 800 L’Ottocento è stato il secolo dei dizionari. Mentre tra il XVII e il XVIII secolo, infatti, ad occuparsi del lessico fu esclusivamente il Vocabolario della Crusca, in questo secolo si ebbero diverse realizzazioni lessicografiche degne di rilievo: - . Crusca Veronese, ampliamento del dizionario fiorentino di Cesari; 2. Vocabolario della lingua italiana di Manuzzi, purista come Cesari, che operò una revisione del vocabolario della Crusca fiorentino proponendo delle giunte senza però manifestare un’intenzione di innovazione e di taglio con il passato; 3. Vocabolario universale italiano, basato sulla Crusca ma dal taglio enciclopedico, con particolare attenzione a voci scientifiche, mestieri, lettere e arti. Gli aspetti innovativi dell’opera riguardano il superamento delle definizioni tradizionali. Al contrario degli altri dizionari, che avevano sempre fatto riferimento sulle conoscenze già note ai parlanti, questo vocabolario offre la precisa definizione anche di lemmi come cane e cavolo. 4. Il miglior vocabolario dell’ ‘800 è rappresentato dal Dizionario di Tommaseo, che illustrò attraverso la sua opera idee civili, morali e letterarie. Le definizioni di alcuni lemmi, come comunismo e positivismo, non erano definite in maniera oggettiva. Tra i punti di forza del dizionario c'erano l'abbondanza dei lemmi e la strutturazione delle voci. Il criterio su cui era basato il vocabolario era quello dell’uso moderno, pur documentando allo stesso tempo l’uso del passato; 5. Giorgini Broglio, vocabolario coerente con l'impostazione manzoniana improntata sul fiorentino dell’uso vivo. Lo stesso Manzoni, infatti, aveva proposto di realizzare un dizionario diverso dai precedenti, prendendo a modello il Dizionario dell’ Accademia Francese, che raccoglieva la lingua viva e aboliva gli esempi d’autore. Il Giorgini Broglio infatti presentava delle frasi anonime, che testimoniavano l’uso del fiorentino contemporaneo. Per Manzoni era opportuno separare nelle opere lessicografiche la funzione di illustrare gli esempi degli scrittori del passato e mostrare l’uso vivo del presente. Tuttavia, il Giorgini-Broglio fu pubblicato solo dopo la morte dell’autore. In ogni caso, non arrivò mai a un largo pubblico. 6. L’ottocento rappresentò anche il secolo d’oro della lessicografia dialettale. L'interesse per il tema era dovuto a una serie di cause covergenti: a. interesse romantico per il popolo e per la cultura popolare b. rivalutazione del dialetto come dotato di dignità c. riscoperta delle tradizioni italiane. DUE DIZIONARI DELL’800: GIORGINI BROGLIO E TOMMASEO BELLINI 1. Novo dizionario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Giorgini-Broglio (Ministro della pubblica istruzione) 1897. Novo + fiorentinità del repertorio (considerata da altri eccessiva, vedi Ascoli proemio all’ Archivio Glottologico Italiano). Si caratterizza per una profonda carica innovativa: a. orientamento sincronico, con esempi dall’uso per la diffusione della buona favella (lingua viva di Firenze); b. il compito del dizionario era di guidare i parlanti e gli scriventi all’uso della lingua viva; Presenza di numerosi sintagmi ed espressioni idiomatiche dell’uso; Attenzione peri proverbi e le espressioni del parlato (cavolo); Esclusione dei significati non appartenenti alla lingua viva fiorentina; Mancato riferimento a fonti scritte; Presenza di troncamenti ed elisioni, propri del parlato; Uso del pronome lui come soggetto; Uso sistematico dei monottonghi 2. Dizionario di Tommaseo (1861-1879): il più grande, ricco e importante dizionario della lingua italiana, che riscosse notevole fortuna editoriale. Alla morte di Tommaseo si era giunti alla lettera S. Il suo lavoro fu proseguito da un team di collaboratori che firmò le voci compilate. Le caratteristiche innovative del dizionario sono: a. abbandono dell’antico impianto della Crusca; b. struttura gerarchica che privilegia le accezioni più comuni e diffuse rispetto a quelle arcaiche; Documentazione sia dell’attualità che della storia della parola; Consistente numero di esempi tratti da fonti scritte di diversa natura; Apertura verso la tecnica, con voci di meccanica e marineria; piglio ideologico e soggettivo nella descrizione di alcune voci; Uso di due croci per bollare una parola da evitare (Comunismo) > Tommaseo Pa me po qu PA fervente patriota.