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Storia di Roma tra Diritto e potere, Appunti di Storia del Diritto Romano

Riassunto completo dell'ultima versione

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 06/01/2020

mariarosasapienza
mariarosasapienza 🇮🇹

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Scarica Storia di Roma tra Diritto e potere e più Appunti in PDF di Storia del Diritto Romano solo su Docsity! STORIA DEL DIRITTO ROMANO I. La genesi della comunità politica 1. Le condizioni materiali nel Lazio arcaico Il paesaggio fisico in cui si situavano gli insediamenti umani che, agli inizi dell’ultimo millennio a.C., avrebbero dato origine a Roma e alle altre città del Latium vetus, non doveva essere molto diverso da quello odierno. Soprattutto la presenza di aree boschive e di vasti acquitrini, negli avvallamenti, contribuiva all’isolamento delle comunità umane ivi stanziate. Le dimensioni complessive del territorio erano relativamente modeste. Esso era limitato a nord dal Tevere, a ovest dal mare, a est dai primi altipiani che segnano il confine fra i latini e le popolazioni sabelliche e a sud dagli ultimi contrafforti dei colli Albani che si sporgono sulla grande pianura che apre verso Cisterna, Circeo e Terracina. Nella primitiva economia delle popolazioni laziali un ruolo importante era rappresentato dall’allevamento, dove, accanto alla pecora, per molto tempo ebbe fondamentale importanza il maiale. Era però già praticata anche una forma primitiva di agricoltura, legata anzitutto alla coltivazione del farro; ma abbastanza antico pare anche lo sfruttamento di certi alberi da frutto, come il fico e probabilmente l’ulivo, mentre la vite avrebbe assunto maggiore rilevanza in età successiva. Sin dagli inizi dell’ultimo millennio a.C. vennero sviluppandosi forme di circolazione di uomini e cose: le principali rotte commerciali univano l’Etruria alla Campania, due aree di più precoce sviluppo economico. Uno dei punti di passaggio è costituito proprio dall’area su cui sorgerà Roma. Ma non meno importanti erano anche le vie di comunicazione dal mare verso l’interno. Quest’area, sin dagli inizi dell’ultimo millennio a.C., era caratterizzata dalla presenza di numerosi villaggi vicini gli uni agli altri e costituiti da poche capanne, la cui struttura è rappresentata in alcune urne cinerarie trovate nei sepolcreti arcaici della zona. La loro aggregazione interna si fondava sulla presenza di forme familiari o pseudo parentali, legate alla memoria di una o più meno leggendaria discendenza comune. Queste comunità non sempre e non tutte erano destinate a evolvere verso forme cittadine. Contro ogni accelerazione della loro crescita materiale giocava la persistente difficoltà di assicurarsi lo sfruttamento di zone adeguate di territorio. Ciò infatti non implicava solo la capacità di difesa contro l’esterno, ma anche e soprattutto un adeguato controllo dell’uomo sulla natura, né facile né rapido. L’elevata quantità di insediamenti in un’area territoriale relativamente circoscritta non solo è confermata dalle continue e importanti scoperte archeologiche degli ultimi decenni, ma anche dalla memoria storia degli antichi. 2. Villaggi, distretti rurali e leghe religiose. Non è facile individuare forme culturali e strutture univoche per quanto riguarda i primi insediamenti. Dallo studio dei reperti archeologici è emersa chiaramente la credenza comune in una vita ultraterrena, in quanto nelle tombe sono stati trovati, accanto ai defunti, oggetti della vita quotidiana. Da queste tombe è risultata ben visibile un’uniformità di condizioni economiche. I vincoli parentali erano rafforzati dal culto degli antenati. Una posizione preminente era quella occupata dai Patres, anziani, anziani, saggi, in grado di guidare la comunità e forse anche implicati nell’assolvimento di funzioni religiose. Un ruolo fondamentale era rivestito anche dall’assemblea degli uomini in arme i quali, insieme ai Patres, prendevano decisioni riguardanti la comunità. Tuttavia è probabile che nei momenti di pericolo il potere venisse assegnato a guerrieri di particolare valore. Questi piccoli insediamenti, viste anche le dimensioni modeste del luogo, erano caratterizzati da un fitto sistema di relazioni: usavano la stessa lingua, celebravano alcuni culti insieme e condividevano interessi di carattere economico (controllo degli scambi commerciali, spartizione di pascoli e terre agricole…). Tuttavia a ridosso della fondazione di Roma assistiamo a delle profonde trasformazioni, riguardanti in particolare la differenziazione di condizioni e economiche, visibile per la presenza di una maggiore opulenza 1 nelle tombe e soprattutto dovuta ad una maggiore accumulazione della ricchezza e ad uno strumento di distribuzione ineguale della ricchezza: la guerra (in essa infatti degli individui riescono ad assumere delle posizioni di prestigio). Pian piano si passa da una produzione domestica (principalmente oggetti in terracotta) ad una produzione specializzata (oggetti metallici, che necessitano l’utilizzo di strumenti più complessi), ma soprattutto si arriva ad uno scambio tra prodotti agropastorali e manufatti. Iniziano inoltre le prime appropriazioni di beni mobili, capanne e campi coltivati, cosa che differenzia ulteriormente i diversi gruppi. Spesso si giunge alla presenza di fenomeni di sinecismo (vivere insieme). 3. La fondazione di Roma Pian piano si creano dei centri insediativi di un certo rilievo; troviamo un sinecismo dei vari villaggi situati sul Palatino, che si protendeva anche ai colli vicini (Esquilino, Celio, Quirinale e Campidoglio), che avevano una fondamentale importanza strategica in quanto costituivano una fortificazione naturale. Pian piano si sviluppano nuovi centri, tra cui spicca la nascita di Roma il 21 Aprile del 753 a.C, in quanto Roma si distingue per la sua affermazione come realtà nuova. Ci sono infatti forme aggregative che seguono un percorso alternativo, ma che si dissolvono di fronte alla forma storicamente vincente della polis. La città d’altro canto prenderà consistenza pian piano, ma questo non vuol dire che non esistesse sin dalla metà dell’VIII secolo a.C. Essa risulta infatti essere un nuovo centro di funzionamento, diverso dagli antichi villaggi e non mera somma confederale di questi (pur consentendo uno sviluppo dei processi sociali ed economici). Romolo portò a delle grandi novità organizzative (creò una costituzione come espressione di qualcosa che non esisteva prima). Vi fu infatti la distribuzione della cittadinanza in tre tribù: 1) Ramnes; 2) Tities; 3) Luceres. Ognuna di esse era divisa in dieci curie a loro volta suddivise in dieci decurie. Organizzarono un sistema piramidale di distribuzione per lo più finalizzato alla guerra perché ognuna avrebbe dovuto fornire: cento uomini armati e dieci cavalieri, dando così luogo alla primitiva legione di tremila fanti e assicurando trecento cavalieri. Da una parte questa nuova nascita porta ad una rottura rispetto alla fase precedente, dall’altra raccoglie, fonde e organizza realtà preesistenti (fusione dei villaggi preistorici del Palatino e del Quirinale con le relative tradizioni). All’inizio vi era anche una divisione di carattere urbano in montes, ed in strutture periferiche costituite da un insieme di pagi. 4. Le strutture familiari e le più ampie aggregazioni sociali Secondo molti la città sarebbe il punto di arrivo di un processo di crescita della società umana il cui inizio sarebbe da identificarsi nella famiglia naturale, cioè il padre ed i suoi discendenti. Due strutture centrali nel corso di tutta la storia di Roma sono famiglia e gens: 1) Familia proprio iure-> è l’unità elementare di un sistema fondato sul matrimonio monogamico che vede una coppia di sposi e i relativi discendenti, che vivono tendenzialmente nella stessa casa (anche se il vincolo di parentela è stabilito attraverso la linea maschile-> i figli di una sorella e di un fratello non sono agnati tra di loro). Nella famiglia proprio iure sono sottoposti alla potestas del padre la moglie, i figli e le figlie non sposate, i successivi discendenti per linea maschile e le loro mogli. Le figlie e le nipoti, una volta sposate, entreranno a far parte della famiglia del marito (matrimonio cum manu, in cui la moglie era perfettamente integrata nella famiglia del marito, con la finzione che fosse figlia del proprio marito. I rapporti giuridici e i diritti (soprattutto economici), erano gestiti dai patres. Il sistema era infatti un sistema patriarcale dove i singoli individui venivano imprigionati in vincoli di sangue. In realtà però la famiglia romana era transitoria, perché l’unità familiare si dissolveva con il passaggio di ogni generazione (alla morte del pater familias, i figli di questo diventano tutti pater familias, e i loro figli sono sotto la potestas del padre), tale che la famiglia romana non poteva assumere una forte valenza politica; 2) Gens/gentes-> la gens non è un gruppo parentale, ma un’aggregazione di famiglie che portano lo stesso nomen. Non fanno parte della gens individui che hanno subito una degradazione legale 2 5) Feziali-> si occupavano delle relazioni internazionali e vedevano come figura preminente quella del pater patratus. Ogni richiesta rivolta ai popoli stranieri da Roma e viceversa doveva passare attraverso questo canale; attraverso essi veniva dichiarata una guerra giusta e veniva stabilita e poi firmata la pace legittima; essi non tolsero la competenza al rex in ambito di materia internazionale, si limitarono soltanto a tradurre le decisioni politiche nella forma richiesta dall’ordinamento romano (per far si che avesse validità); si sviluppa quindi uno ius fetiale, che prospetta un diritto non più ristretto alle sole mura della città; 6) Auguri-> si occupano della scienza dei segni per comprendere la volontà degli dei; è necessario operare una distinzione tra auguria e auspicia, distinzione che non è dovuta a diversi tipi di manifestazioni a a diverse categorie di persone: rex e poi magistrati per gli auspicia e auguri per gli auguria. Gli auspicia si occupano di situazioni immediate (il magistrato interpella gli dei e magari non svolge un rito perché il dio è contrario, ma potrà svolgerlo all’indomani), mentre gli auguria si occupano di situazioni lontane nel tempo (anche del destino di Roma) e contemplano, con un chiaro riferimento al verbo latino augere, una crescita di potenza sulla figura dell’uomo. Vennero creati una scienza augurale e un diritto augurale, e tradizioni e interpretazioni vennero raccolte in testi. Per molti secoli a questi collegi appartennero solo elementi patrizi, ma soprattutto erano pochi i ruoli che richiedevano una totale consacrazione del sacerdote alla divinità con conseguente distacco dalla vita pubblica. La società non è più infatti una società teocratica in senso stretto perché si affermano in fretta un’aristocrazia guerriera e un esercito cittadino. Questo non vuol dire che però la religione non abbia importanza, in quanto si trasferisce da un livello più familiare a livelli nuovi. 5. I pontefici Il collegio pontificale ebbe un ruolo fondamentale nella formazione e nello sviluppo delle forme giuridiche, in quanto il campo privilegiato della sua azione è la sfera giuridica. Esso svolge un’attività di innovazione e conservazione, perché applica le prime tecniche analitiche ad un insieme di pratiche giuridiche e religiose. Nasce così la scienza giuridica romana, in grado di gestire il passato in funzione del futuro, in grado di usare il materiale antico per costruire nuove realtà. Il collegio era presieduto dal pontifex maximus (ruolo di grande prestigio) e da cinque membri, tra cui i flamines maggiori, destinati a restare in carica tutta la vita come il pontifex maximus. Il pontefice massimo aveva il controllo su tutte le forme della vita religiosa romana, inoltre aveva anche una funzione di consulenza nei confronti del rex e presiedeva i comizi calati. Soprattutto grazie alla sua funzione di consulenza nei confronti del rex si può dire che esso garantiva la pacifica convivenza tra i singoli cittadini e i vari gruppi familiari e gentilizi, portando alla repressione criminale e ad un diritto privato e uno processuale. Il ruolo del pontefice si intreccia ancora maggiormente a quello del rex se prendiamo in considerazione le leges regiae, in quanto primario era il ruolo pontificale nella loro elaborazione e conservazione. Queste leggi innovavano e modificavano un tessuto istituzionale preesistente. 6. Le radici arcaiche del diritto cittadino L’area dei fenomeni giuridici è un processo si cui possiamo solo immaginare le origini. Il termine ius è lungi dal corrispondere alla nostra idea di diritto (e sono due i termini che si riferiscono ad una regola: ius e fas, però fas è riferito alla sfera religiosa). Vi è stata nella Roma antica, una fusione nel blocco unitario della città della grande moltitudine di riti e tradizioni, vi è stato quindi un vero e proprio travaso delle forme preciviche nelle istituzioni cittadine (e la sfera religiosa è riuscita a resistere alla forza devastante del tempo e all’antinomica struttura politica cittadina), che ha portato ad un corpo omogeneo di istituzioni che regolavano la vita della comunità. Queste pratiche sociali caratterizzate da un intreccio di: legami di sangue, subordinazione alle potenze ultraterrene e presenza di norme giuridiche. Quindi l’antico patrimonio è divenuto cemento istituzionale della civitas e le tradizioni antiche sono sopravvissute nella misura in cui esse non contraddicessero il sistema unificato di valori condivisi. Infine a Roma il diritto è concepito come preesistente al legislatore, che interviene solo a modificare i singoli punti; il fondamento del diritto sono infatti i mores e sebbene vi siano delle modifiche, le strutture fondanti dell’ordinamento sono solo assai raramente modificate. 5 L’importanza dei pontefici e del rex consiste nel passaggio da una pluralità di istituzioni locali ad un corpo unitario. III. I re etruschi 1. Le basi sociali delle riforme del VI secolo In questo periodo vi fu una grande rottura, determinata dall’avvento al potere di una serie di re di origine etrusca, sotto cui si assistette ad una forte modernizzazione dell’apparato politico-istituzionale. Tali trasformazioni furono rese possibili dalla crescita politica e sociale di Roma, che divenne una delle più importanti città del Lazio, sia per dimensioni sia per popolazione. Inoltre vi fu un’espansione delle attività artigianali e mercantili e iniziò ad esservi la circolazione monetaria (l’aes signatum-> cioè il bronzo marcato con cui si intende il peso e la qualità del bronzo come bene di scambio risale al regno di Servio). Vi fu inoltre un grande incremento delle opere pubbliche, che portò una massa crescente di popolazione a concentrarsi nella città. Questo clima portò allo sviluppo di nuovi gruppi sociali e di nuovi ceti, non più facenti parte delle gentes (molte delle quali si erano erose o erano scomparse), che aspiravano ad uno status sociale proprio. Molto importante in questo ambito fu anche la famiglia proprio iure, che, a differenza delle gentes, era caratterizzata da una grande compattezza dovuta al numero più ristretto di componenti che essi aveva; nell’ambito di queste famiglie c’era la cooperazione di più individui sotto la potestas dell’avus, con la conseguente possibilità della trasmissione di un sapere tecnico. Tuttavia questo crescente sviluppo economico non attenuò le distanze tra i vari strati sociali, ma al contrario finì per accentuarle, creando una distinzione tra il mondo aristocratico delle gentes e il resto della popolazione (distinzione che però risulta essere diversa da quella di patrizi e plebei, dove i patrizi erano qualcosa di ben definito, mentre i plebei erano non patrizi). 2. La fisionomia della nuova città L’avvento dei re etruschi (che avevano anche un maggiore livello culturale) coincide con un generale avvicinamento di Roma alle potenti città etrusche (non in un rapporto di subordinazione, ma per la necessità di un appoggio vista l’intenzione di espandersi in Campania. Il potere dei nuovi re si accentuò, ma fu anche caratterizzato da un aspetto particolare: la sua connotazione irregolare, in quanto: vi furono ascese al regnum in modo irregolare (si racconta che Servio Tullio fosse un militare che dopo essersi impadronito del Celio conquistò il regnum spodestando Tarquinio Prisco; oppure Tarquinio il Superbo che fece cadere dalle scale Servio, finito dalla figlia Tullia Minore che lo schiacciò con un cocchio, negandogli anche la sepoltura), mancarono l’inauguratio o l’interregnum o la presentazione ai comizi curiati. Un carattere comune a tutti questi governi fu quello della spinta militare e del carattere autoritario, che permise di ottenere un appoggio del popolo grazie anche all’adozione di una politica filopopolare (che ricorda quella dei tiranni greci). Vennero anche introdotte le insegne della sovranità e del comando (corona d’oro, toga purpurea, corona d’alloro…) e venne adottata un’intensa politica di riforme, che fece si che l’ordinamento curiato e le strutture gentilizie fossero sostituite dalla ricchezza individuale e dalla proprietà privata. Il concetto romano di proprietà privata è molto diverso da quello attuale, in quanto esso non riguardava tutti i cittadini, ma solo i pater familias, che erano gli unici ad avere un potere giuridico-economico. 3. Le prime riforme A Tarquinio Prisco si devono delle importanti riforme: 1) L’ampliamento del senato; 2) L’ampliamento dell’organico della cavalleria (allargando così la compagine aristocratica); 3) Incremento del numero dei patres (da duecento a trecento)-> porta ad un rafforzamento quantitativo dei gruppi al vertice della società romana. A rendere memorabile la vicenda non fu la nomina di nuovi membri del senato, ma la quantità. Viene quindi a crearsi un nuovo gruppo sociale che è quello delle minores gentes. Inoltre il meccanismo delle curie avevano trasformato gruppi familiari in nuove genti; era tuttavia difficile stabilire ed evidenziare il punto di non ritorno da un raggruppamento familiare a una gens; i fattori 6 economici infatti non risultano sufficienti per determinare ciò, mentre potrebbe essere considerato punto di non ritorno il l’inserimento, da parte del rex, di un membro della nuova gens nei ranghi del senato. Questo portò non ad una crescita graduale, ma ad un’elevazione in blocco del gruppo sociale. Tarquinio ampliò la cavalleria aggiungendo una nuova centuria di celeres alle tre già esistenti, in modo da rafforzare la potenza romana (Atto Navio, un augure, cercò di impedirglielo per motivi religiosi, ma lui raggirò il problema e raddoppiò le tre antiche centurie di celeres. Procedette inoltre ad un potenziamento di un’altra struttura base dell’esercito: la fanteria. Vennero infatti utilizzate le ricchezze individuali per ottenere un armamento uniforme e potenziato di tutto l’organico (ricordiamo che i cittadini dovevano armarsi a loro spese). 4. L’ordinamento centuriato Al centro della sua riforma si impone una nuova organizzazione militare, in funzione di un tipo di combattimento più moderno. La primitiva legione fornita dalle curie e costituita secondo i genera hominum, fu così soppiantata da quello schieramento oplitico che costituì, in Italia come in Grecia, la grande novità delle forme di combattimento proprie della città giunta a un adeguato livello di crescita. La sua denominazione deriva dalla parola greca oplites, che significa armato. Tali trasformazioni ebbero un evidente fondamento di carattere economico che si espresse nella disponibilità di una maggior quantità di armamenti individuali. Il che fu infatti reso possibile dagli sviluppi tecnologici, con l’aumentata produzione del metallo lavorato, nonché dalla presenza di un maggior numero di individui abbastanza ricchi da procacciarsi gli armamenti così prodotti. Anche per Roma, l’affermazione di questo sistema bellico coincise con un profondo mutamento dei rapporti sociali e politici: entrò in crisi infatti il fondamento guerriero del predominio gentilizio. Con l’armamento oplitico le differenze di classe non si attenuarono, ma si spostarono. Si accentuava anzitutto il rilievo della ricchezza individuale. Lo schieramento oplitico presupponeva un numero maggiore di cittadini abbienti, in grado di procacciarsi un armamento abbastanza costoso. Di qui la netta distinzione intervenuta tra costoro e una schiera ancora più numerosa di individui privi di mezzi destinati ad avere funzioni meramente subalterne di ausilio e assistenza agli opliti. La massa più elevata di armati presupposti dalla riforma serviana non postulava solo una crescita complessiva di ricchezza dei romani, ma richiedeva anche una più precisa stratigrafia, fondata su un sistema di inquadramento della popolazione diverso da quello basato sulle curie. Di qui una nuova forma di distribuzione dei cittadini, fondata sulla ricchezza individuale. Con un effetto indiretto ma gravido di conseguenze per il futuro: che ormai l’individuo si trova in diretto rapporto con la città per quel che vale, anzitutto economicamente e per quel che è. La creazione del cittadino è ora perfezionata. Ciò avrebbe comportato la sostituzione del comizio curiato con un nuovo sistema di carattere timocratico: tutti i cittadini sarebbero stati distribuiti in cinque classi corrispondenti ai diversi livelli di ricchezza, suddivise a loro volta in centurie. Il disegno compiuto dei nuovi comizi centuriati consisteva in un totale di 193 centurie di cittadini, ripartite in cinque classi: la prima era composta da coloro che avevano un capitale di 100mila assi, la seconda di 75mila, la terza di 50mila, le quarte di 25mila e la quinta di 12.500 assi. La prima classe forniva all’esercito, oltre alle centurie dei cavalieri, che ammontavano a 18, comprensive però anche quelle i cui cavalli erano forniti dalla città (equo publico), ben quaranta centurie di juniores, cittadini tra i 18 e i 46 anni che costituivano il vero corpo combattente della città e 40 centurie di seniores, soldati più anziani che servivano da riserve. La seconda, la terza e la quarta classe fornivano invece ciascuna dieci centurie di juniores e dieci di seniores. A queste 188 centurie si devono aggiungere ancora 5 centurie: due di soldati del genio, di tecnici che collocavano accanto alle centurie della prima classe, due centurie di musici, posti accanto alla quarta classe e infine un’unica centuria di capite censi, in cui erano inclusi tutti i cittadini privi di qualsiasi capitale e estranei alle specializzazioni. L’antico patriziato dovette in origine essere ben presente anche nelle classi più elevate delle centurie di fanteria. 7 Dopo la caduta dei re vi fu: 1) Un collegio di due consoli seguito poi da un collegio di dieci membri che doveva essere in grado di raccogliere e redigere il testo delle leggi romane: i decemviri legibus scribundis; 2) Nel 449 viene sciolto il colleggio dei d.l.s.ma non c’è un ripristino costante dei due consoli, perché viene creata la nomina dei tribuni militi consulari potestate; 3) Nel 367 a.C. le leggi Linicie-Sestie permisero che uno dei due consoli potesse essere plebeo. Tuttavia, il periodo che va dal 449 al 367 è troppo lungo e può quindi essere considerato un periodo di sperimentazione istituzionale. Ci sono degli elementi di fondo che caratterizzano il nuovo assetto politico: 1) Forte limite temporale; 2) Concentrazione dell’imperium; 3) Maggiore ruolo dell’esercito centuriato; 4) Consesso (adunanza di persone importanti) dei patres. 2. Patrizi e plebei La chiusura dell’aristocrazia gentilizia portò un corpo sociale a coagularsi per unità ed interesse di azione. La fisionomia della plebe fu destinata ad innescare un prolungato conflitto, sviluppato su più piani: 1) Quello politico-> l’esclusione plebea dal governo della città; 2) Contrasto economico-> chiedevano alleggerimento dei debiti, che a causa degli interessi rovinavano i piccoli contadini (bastava un raccolto andato male per rovinare una famiglia); 3) Sfruttamento della terra-> la plebe chiedeva che le terre strappate ai nemici fossero distribuite in forma di proprietà privata a tutti i cittadini-> i patrizi volevano invece tenerli sotto forma di ager publicus, che era da loro sfruttato in modo esclusivo (Spurio Cassio venne ucciso per avere supportato i plebei); 4) Assenza del conubium-> impossibile un matrimonio tra patrizi e plebei e quindi vi era anche la degradazione dei figli nati da tale matrimonio; ciò venne annullato grazie all’introduzione, nel 445 a.C. della Lex Canuleia (che annulleva il divieto di matrimonio. Il ricompattamento della plebe minacciò l’esistenza stessa della comunità, cosa che risulta ben visibile dalle due secessioni: Monte Sacro (494) e Aventino (471). A guidare la secessione plebea si erano posti dei magistrati, i “tribuni militum” che sarebbero poi diventati i tribuni della plebe; essi possedevano: l’inviolabilità e il diritto d’aiuto a favore della plebe-> cosa che no gli permise di avere un ruolo attivo nel governo. Essi possedevano però l’intercessio, cioè un vero e proprio diritto di veto, contro qualsiasi atto o delibera dei magistrati o dello stesso senato. Questi magistrati avevano poi un carattere sacrosanto, affermato con una lex sacrata (giuramento assunto collettivamente dalla plebe, ma vincolante tutta la comunità per il suo fondamento religioso). Venne poi creata un’assemblea (il concilium plebis) che votava sulla base della distribuzione delle tribù territoriali, che votava proprie delibere: i plebisciti ed eleggeva magistrati propri, come i tribuni e gli edili. Tuttavia, non era ancora stato rimosso il monopolio delle cariche magistraturali e non erano state soddisfatte le pretese economiche; il mondo plebeo restava quindi una realtà sociale autonoma, con tradizioni e templi propri e avente una sua sfera territoriale: l’Aventino. Nella metà del V secolo a.C. si ebbero i primi passi in avanti. Tuttavia, bisogna ricordare che lo spazio per i civis era limitato dagli interessi della città. Importante fu una legge introdotta nel 449 a.C., una legge Valeria Orazia, che vietava di mettere a morte un cittadino romano colpevole di una colpa capitale senza prima consultare il popolo riunito nei comizi. Questo vietava anche di istituire una magistratura sottratta a tale tipo di provocatio-> interesse plebeo per tale garanzia, in quanto le magistrature con queste limitazioni erano allora solo patrizie. 3. Le XII tavole Furono un punto di svolta nelle vicende del V secolo a.C. in quanto rappresentarono il successo plebeo nell’ottenere la redazione scritta delle regole che presiedevano la vita della città; veniva così meno il monopolio della conoscenza e dell’interpretazione del diritto cittadino, fino a quel momento esercitato dal corpo dei pontefici. Questo avvenne anche perché il capo autorevole della gens claudia, Appio Claudio, si schierò a favore di questa richiesta. 10 Per l’anno 451-450 a.C. si deliberò di istituire un collegio di dieci membri rispetto alla coppia consolare, i decemviri legibus scribundis, che avevano il compito di leges scribere, cioè di redigere per iscritto le leggi della comunità cittadina, Appio Claudio fu chiamato a presiederlo. Questo per raggiungere la certezza che solo la norma scritta può dare, arrivando così a ridefinire la concezione romana del diritto. Alla preminenza originaria dei mores quindi, andò a sostituirsi la centralità della legge scritta approvata dalla comunità politica, creando così l’idea di una legge uguale per tutti, cosa nuova per i romani (ma simile al mondo greco). Ai dieci membri vennero dati poteri assoluti (sottratti alla provocatio che limitava l’imperium); si pensa infatti che il decemvirato si affermasse come organo generale do governo della città e delle sue leggi, determinando quindi un mutamento della forma della città, portando così ad una rifondazione della città e ad un’integrazione sociale più radicale, dove c’era il desiderio di: una conoscenza pubblica delle norme, la sperimentazione di una forma di governo, e la realizzazione di un nuovo modo di formazione del diritto. Sappiamo che il secondo anno, per completare la redazione delle dodici tavole, il collegio integrò anche elementi plebei: ed è quindi incomprensibile la fisionomia tirannica attribuita ai decemviri. Vi fu infatti una crisi del decemvirato dovuta alla violenza arrecata ad una fanciulla plebea di nome Virginia; tuttavia la violenza celava in realtà una crisi politica. La verità che si cela dietro la caduta di Claudio è legata al concetto di libertas, libertas che non ha né carattere democratico, né eguaglianza politica. Tutti coloro che venivano meno alla compattezza del sistema aristocratico vengono definiti tiranni e vengono accusati della massima colpa verso la libertas: l’adfectatio regni, cioè l’aspirazione al regno (ciò accadde per Spurio Cassio, Appio Claudio, i Gracchi e Giulio Cesare), in quanto il desiderio era di colpire tutti coloro che avrebbero indebolito i suoi interessi. Forse la riforma sarebbe stata accettata se tutto il diritto non fosse stato sotto la sovranità del demos: questo durò per poco in quanto la fine di Claudio fece rientrare il sistema giuridico nel suo alveolo tradizionale; l’unica differenza presente fu l’approvazione (finita nel 449 a.C.) delle dodici tavole, che costituirono la nuova realtà istituzionale. Queste furono la base dello ius civile, sebbene in esse non fosse contenuto tutto il diritto vigente (per questo non possono essere definite un codice); esse presuppongono infatti un tessuto di regole e di meccanismi esistenti su cui innestarsi (in questo tessuto si sostanziano i mores ancestrali); nonostante ciò non verrà mai meno la loro importanza. Iniziarono quindi ad essere più evidenti i limiti imposti ai pontefici nel controllo e nella modifica delle antiche tradizioni, a fronte di un diritto scritto, noto e controllato da tutta la comunità. Le XII leggi si concentrano soprattutto sul sistema dei diritti privati e dei rapporti tra i cittadini, mentre il diritto pubblico rimane al margine. Esse inoltre risultano essere uno spartiacque tra vecchio e nuovo: tra il serbatoio di mores raccolti dai decemviri e le nuove regole da essi introdotte. Per esempio: 1) Il debitore è sottoposto anche personalmente al potere del creditore; 2) Nel caso di azioni dannose e illegittime vi è la possibilità di giungere ad un accordo privato, il pacisci, da cui deriva il pactum, che supera lo stadio della vendetta. Tuttavia, appare ancora poco evidente l’intervento della comunità a reprimere i comportamenti illeciti dei singoli; 3) Prima dei decemviri il pater familias era l’unico titolare dei diritti; con i decemviri vengono introdotti dei fattori di elasticità riguardo alla sua autorità. Vi è per esempio il superamento del matrimonio cum manu, che assimilava la moglie alla condizione di una figlia di famiglia sottoposta completamente all’autorità del pater familias. 4) Le XII tavole descrivono inoltre una società agraria relativamente stabile, dove il singolo proprietario non viene isolato, ma inserito in un assetto territoriale (per procurare maggiori vantaggi per i fondi interessati); 5) Riorganizzazione territoriale fondata sulla centuriatio, volta ad assicurare un sistema di viabilità locale e di controllo delle acque; 6) Distinzione di rec mancipi e nec mancipi, che hanno due diversi sistemi di circolazione; per le res mancipi (immobili, animali da lavoro e schiavi) c’era una sola forma di trasferimento della proprietà: la mancipatio, una forma negoziale solenne (importante è la presenza dell’usus, per cui una situazione di fatto, durata due o tre anni si trasformava in un vero e proprio diritto). Le res nec mancipi (elefante e cammello) erano beni individuali senza importanza sociale e senza valore economico-sociale; la loro circolazione era meno rigorosa e bastava usare il semplice negozio giuridico non formale della traditio (consegna), con cui la traslazione della proprietà era immediata; 11 7) Il sistema della successione dei familiari nel patrimonio del defunto era ben disciplinato, in quanto il defunto poteva disporre del suo patrimonio mediante testamento. Pian piano vi fu un’applicazione sempre più ampia delle regole dei decemviri, con un adattamento alla società in continua trasformazione. Questa è una fase molto importante da considerare in quanto una società del genere richiedeva un tale processo di sperimentazione. 4. La conclusione di un percorso Numerose furono le tappe: l’istituzione dei tribuni e la loro elezione da parte dei comizi tributi con la Lex Publilia, la legislazione decemvirale, le leggi Valerie Orazie e la Lex Canuleia. In seguito per evitare di dover escludere i plebei dal consolato e forse anche per esigenze consolari, venne sospesa la nomina di tali magistrati e venne introdotto un numero di magistrati cum imperio maggiore. Così, dal 444 al 368 a.C., venne attribuito l’imperium consulare agli ufficiali delle legioni, i tribuni militum, eletti in un numero che varia da 3 a 6 (essi potevano convocare il senato solo in casi eccezionali, in seguito avevano un rango inferiore rispetto agli ex-consoli e non potevano partecipare al trionfo. Tra essi c’erano anche elementi plebei. Venne poi creata una nuova magistratura: la censura, dove i censori avevano la funzione di censimento della città. Vi erano dunque stati numerosi progressi nell’equiparazione politica dei due ordini, anche se rimaneva: il monopolio patrizio sulle terre pubbliche e l’indebitamento della plebe. Tuttavia, vi furono diverse conquiste militari (prima Veio e quindi espansione verso Nord e poi espansione verso il Lazio meridionale), che permisero di raddoppiare l’Ager Romanus. Questo comportò che a tutti i cittadini venisse dato un appezzamento di terra pari a sette iugeri, cosicchè le famiglie numerose ebbero un cospicuo appezzamento di terra-> ciò alleggerì anche l’indebitamento, fece espandere la proprietà agraria e dei meccanismi finanziari e mercantili che avrebbero in seguito permesso opere militari e opere pubbliche (su ciò non vi furono ripercussioni negativi a causa del sacco dei Galli avvenuto nel 390 a.C.). I tempi erano ormai maturi per un compromesso politico. Vennero emanate nel 367 a.C le leggi Licinie Sestie che permisero alla plebe di raggiungere tutti gli obbiettivi che si era prefissata (nuove strutture politico-sociali e dissoluzione delle strutture gentilizie): 1) La prima prevedeva che uno dei due consoli potesse essere plebeo (partecipazione della plebe alla vita politica); 2) La seconda poneva un limite al possesso individuale di terra (per tutta la terra, non solo ager publicus), per un massimo di 500 iugeri (125 ettari)-> le restanti terre sarebbero poi state frammentate e date ad altri; 3) La terza regolava i debiti: gli interessi già pagati dovevano computarsi come parte del capitale da restituire; in seguito, nel 326 a.C. ci sarà la lex Poetelia Papiria, che faceva si che l’indebitato fosse sottratto all’asservimento personale da parte del creditore, rimanendo così vincolato solo sul piano giuridico e sul piano economico. La lex Manlia del 357 a.C., riferita alla schiavitù, prevedeva una tassa del 5% sulle manomissioni in modo da avere introito fiscale. Il tutto determinò una spinta espansionistica: tra il 387 e il 332 8 nuove tribù si aggiunsero alle 17 rustiche e poi nel 241 a.C. si giunse al numero definitivo di 31. Inoltre, si definì l’architettura costituzionale, in cui i censori avevano un ruolo ben definito e dovevano inserire nel rango del senato gli ex magistrati sia patrizi sia plebei. Venne inoltre creata una nuova figura: quella del pretore. V. Il compiuto disegno delle istituzioni repubblicane 1. Il consolato e il governo della città Vi era una totale assenza di una costituzione scritta e vi erano una serie di leggi (che per il loro essere ellittiche sono di difficile interpretazione) che avevano man mano introdotto figure nuove di governo e nuove regole per le magistrature già esistenti. Per questo ebbero una grande importanza l’interpretazione e le pratiche applicative che regolavano interi settori dell’apparato politico, e spesso furono messi in discussione criteri già seguiti e ci si allontanò dalle consuetudini. Questo è un modo di essere dell’ordinamento romano non sempre interpretato correttamente dai moderni: essi hanno infatti interpretato l’ordinamento romano 12 Accanto alle magistrature ordinarie non c’erano funzionari o uffici esecutivi, ma c’erano segretari e specialisti dei vari settori che permisero di avere più competenze e specializzazioni nella gestione di settori fondamentali della vita cittadina. C’erano poi altri magistrati minori: 1) Prafecti Capuam Cumas-> e altri prefetti delegati dal pretore per assolvere funzioni giurisdizionali nelle località italiche dove si era esteso il diritto romano; 2) Tresviri capitales e quiquenviri cis Tiberim-> funzione di polizia criminale; 3) Agris dandis adsignandis et coloniae deducendae-> preposti alle attività per la fondazione di una colonia, con la complessa procedura di divisione e redistribuzione delle terre coloniali mediante la centuriazione. 3. Il senato Inizialmente composto solo da patrizi era indicato con il nome di patres (sia capo famiglia sia patrizi). Solo quando i plebei iniziarono ad avere le magistrature superiori cum imperio, come pretori e consoli iniziarono ad inserirsi nel rango del senato con il nome di conscripti. Il senato inizialmente aveva il potere di approvare le delibere dei comizi in tema di leggi. Successivamente questa approvazione senatoria non confermava la delibera dei comizi, ma interveniva preventivamente autorizzando i vari magistrati a presentare una proposta ai comizi (avevano così solo un filtro preventivo e un’importanza indiretta). Il senato ebbe inoltre il ruolo di assistenza e consulenza per l’azione dei magistrati superiori, consulenza non facoltativa visto che il magistrato doveva chiedere il consultum del senato e poi rivolgerne l’orientamento. Il monopolio del senato era dovuto al carattere strettamente temporale delle cariche magistraturali: in un anno non si poteva stabilire una stabile politica interna e un’efficiente politica estera. Il senato si occupava inoltre dell’aerarium populi romani, delle spese ordinarie ed eccezionali, delle entrate mediante il tributo ordinario (commisurato alla ricchezza soprattutto fondiaria), i diritti di dogana e gli appalti per i beni pubblici. Quando si concluse la lotta tra patrizi e plebei il senato si fece più compatto e diresse la politica senza opposizioni. Vi fu una connessione tra senato e magistrature perché alla fine della loro carica i magistrati sarebbero entrati a far parte dei ranghi consolari, oppure già vi facevano parte. Questo creò una grande omogeneità, che è una delle caratteristiche principali insieme all’indipendenza, presente per il fatto che la nomina dei senatori non era a termine e questo ne consolidava ampiamente la forza. Il senato non poteva autoconvocarsi e la sua organizzazione interna era gerarchica: la presidenza era affidata al censore più anziano. In seguito, esso ebbe anche il ruolo di inviare ambascerie, con i cosiddetti legati, i cui compiti erano predeterminati da un senato consulto. In conclusione, il carattere principale delle magistrature romane era quello consociativo, in quanto vi era la presenza dei veti e anche quella del tribuno della plebe. L’ordinamento romano mancò del criterio della maggioranza (anche se esso era presente in alcuni ambiti come l’orientamento dei comizi e il consenso comune aveva rilevanza per il fatto che in caso contrario vi sarebbe stato il veto e la conseguente paralisi dell’organizzazione) e della divisione del potere, perché il governo richiese sempre una compartecipazione di tutti i titolari dei singoli centri del potere politico. Questo sistema creò una grande compattezza. 4. Il popolo e le leggi I magistrati erano eletti dalla comunità cittadina mediante un voto del popolo riunito in assemblea (i comizi centuriati ebbero tale funzione); in essi il peso dei cittadini era diseguale sia in relazione al censo sia in relazione all’età, in quanto era maggiore il peso del ricco rispetto al povero e dell’anziano rispetto al giovane. Le 193 centurie infatti non votavano contemporaneamente ma secondo un ordine progressivo (prima il voto era orale e poi divenne scritto); così spesso le 18 centurie dei cavalieri e le 80 della prima classe realizzassero da sole la maggioranza, tagliando fuori dalla votazione il resto della popolazione, in quanto una volta raggiunta la maggioranza la votazione era chiusa e i ceti più bassi non potevano esprimere il proprio voto. Erano di competenza di tali comizi le delibere riguardanti la vita della comunità e gli atti vincolanti per la città stessa-> quello dei comizi non era un meccanismo sofisticato. Il magistrato legittimato a radunare i comizi doveva annunciarne la convocazione con anticipo rendendo pubblica la sua proposta di legge: davanti al comizio si svolgeva un dibattito per poi passare alla votazione. L’assemblea poteva accettarla o respingerla perché non potevano essere fatte modifiche sul testo proposto. 15 Invece per l’elezione dei magistrati veniva presentata una lista molto ristretta di nomi. Il monopolio dei comizi centuriati si modificò grazie alle nuove forme organizzative raggiunte con le lotte plebee-> infatti era stato dato un ruolo maggiore ai concilia plebis (convocati sul criterio territoriale delle tribù) che avevano il compito di eleggere i magistrati plebei: tribuni ed edili. In seguito alla parificazione dei due ordini vennero creati i comizi tributi (costituiti per lo più da piccoli e medi proprietari fondiari che portarono ad una componente conservatrice, ad un’esaltazione degli interessi del ceto dei proprietari terrieri e solo in seguito ad un’esaltazione degli interessi mercantili), modellati sui vecchi concilia plebis: con la presenza dei patrizi venivano infatti eletti i magistrati minori, sine imperio. I comizi centuriati mantennero un ruolo più marginale, legato alla nomina dei magistrati cum imperio. Con la parificazione aveva assunto un ruolo importante il plebiscito: alcuni fanno risalire addirittura alle leggi Valerie Orazie la parificazione dei plebisciti alle leggi comiziali, anche se secondo alcuni questo deve farsi risalire alle leggi Publilie. Pian piano il tribunato della plebe divenne non più un organo di antagonismo ma un elemento di un sistema politico unitario (il senato utilizzò l’azione di qualche tribuno per paralizzare la condotta politica troppo indipendente di qualche magistrato). Nelle XII tavole l’autonomia del processo legislativo è associata al popolo. La centralità della legge e il potere sovrano dei comizi parrebbero intaccare il carattere consuetudinario del diritto romano e il ruolo dell’interpretazione pontificale e dei giuristi. In realtà però lo strumento legislativo intervenne in modo episodico a modificare il diritto civile dei Romani e quando ciò avvenne fu per una particolare rilevanza sociale o politica dell’argomento trattato o per qualche specifica esigenza. Vi furono alcune tendenze nella legislazione: provvedimenti relativi alle singole magistrature (ampliate o modificate le competenze e posti limiti ai poteri magistratuali), leggi relative alla disciplina dei comizi, organizzazione delle varie figure sacerdotali, dichiarazioni di guerra, accordi internazionali, fondazione delle colonie, statuti municipali, concessione della cittadinanza (a singoli o a comunità). Oltre che nel diritto pubblico vi furono delle leggi nel diritto privato: leggi in tema di debiti per ridurre il peso sul debitore ed evitare l’usura, legislazione agraria e distribuzione di grano alla plebe gratis/prezzi ridotti. Poi altre riguardarono manutenzione delle strade e coniazione delle monete. Furono quindi modificate o abrogate moltissime regole sia nell’ambito del diritto pubblico sia nell’ambito del diritto privato, anche se solo raramente l’innovazione legislativa che introduceva un nuovo divieto legislativo comportava la nullità dell’atto vietato. Queste erano chiamate leges perfectae, mentre le altre leggi (quam minus perfectae) conseguivano questo risultato rendendo impossibile o dannoso per i privati perseguire le antiche forme giuridiche ancora valide. Lo ius civile venne modificato ma non perse mai l’autonoma esistenza. 5. La sovranità del legislatore e i suoi limiti Sin dalla metà del IV secolo a.C. ci sono una pluralità di organismi autonomi gli uni rispetto agli altri in una nuova unità politica. Non è per noi facile comprendere la fisionomia dell’ordinamento romano: basti solo pensare che per noi il termine res publica è pressoché intraducibile (non può essere tradotto come stato perché si deformerebbe l’idea di integrazione collettiva nella vita della città che caratterizzava Roma). Infatti a Roma non era così accentuata la separazione tra il cittadino e il governo della comunità. Ci sono concezioni contradditorie riguardo alla natura della res publica (vedi diversi termini per indicare l’ordinamento politico) ed è anche ambiguo il rapporto tra l’entità politica e il suo diritto: c’è da una parte l’idea che alcune strutture fondanti preesistano ad essa consistendo nel patrimonio ancestrale dei mores: Cicerone dice che nel “consenso fondato sul diritto” c’è la base della stessa comunità politica. Dall’altra è la città a produrre il suo diritto e la sua forma istituzionale. Con la res publica si crea un nuovo concetto di legalità che consiste nell’eguaglianza dei cittadini di fronte alle norme della città e nella consapevolezza che la res publica poneva limiti a tutti gli organi della città. C’erano dei principi connaturati all’esistenza stessa della res publica, tra cui la libertà individuale. Era inoltre espressamente vietato di legiferare a danno di specifiche persone vietando così i privilegia negativi e ogni norma di diritto particolare-> la legge non può stravolgere i principi fondanti della città (non può togliere la cittadinanza ad alcuni)-> limite della legge (delibere popolari schiacciate da un superiore principio di legalità). Si creò quindi un nucleo di principi che non potevano essere eliminati senza modificare l’essenza della res publica: ciò trova riscontro nel carattere autonomo del diritto della città, lo ius civile, la cui natura era inviolabile. 16 Questi principi non sono predeterminati e conoscibili ex ante, ma sono incorporati nella storia della costruzione repubblicana (per esempio il potere del senato e dei tribuni non potrebbe essere messo in discussione perché da tutti condiviso). Questo nucleo di principi è affiancato da un sistema di regole che possono variare nel tempo e che spesso sono prive di una formale evidenze, finché un comportamento sembra intaccarne l’esistenza: solo allora se ne coglie l’esistenza-> sembra quasi che la violazione crei la norma stessa. È quindi incompatibile l’idea di una carta e di un disegno predeterminato di regole fondanti e ancora meno l’esistenza di un organo che ne valuti la possibile violazione. Questo aspetto indeterminato è un carattere di fondo dell’esperienza giuridica romana. Anche il sistema dei diritti privati romani è non compiuto, soggetto a molteplici interpretazioni, anche a causa delle numerose e radicali trasformazioni che questo patto sociale ha dovuto subire, trasformazioni che hanno permesso si di modificare la sua fisionomia istituzionale, creando un disegno istituzionale in continuo divenire-> concezione opposta alla nostra. VI. La strada per l’egemonia italica 1. Cittadini e stranieri Nel giro di pochi anni Roma ampliò i suoi territori (di circa nove volte) e anche la sua popolazione. Andò quindi ad accentuarsi la separatezza tra la comunità cittadina e ciò che c’è fuori: questa idea è diversa da quella degli ordinamenti statali moderni dove vige la territorialità del diritto (il diritto dello stato si applica a tutti coloro che si trovano nel territorio indipendentemente dalla loro cittadinanza); nel mondo antico invece l’individuo era legato alla sua patria d’appartenenza e quindi al diritto proprio di questa-> si parla di personalità del diritto. Chi era estraneo non godeva della protezione legale e per questo erano importanti i templi aperti a tutti, anche se vennero poi creati meccanismi più efficaci per una tutela adeguata: 1) Hospitium-> ospitalità da parte di privati o della città; essa creava tra chi aveva concesso l’hospitium e il beneficiario un vincolo volto a garantire al secondo adeguata protezione. Inizialmente l’hospitium era solo privato e solo in seguito intervenne un hospitium pubblico, grazie al quale gli stranieri potevano rivolgersi ai tribunali locali per avere protezione legale; essi divennero sempre più numerosi tanto da estendersi ad intere città; 2) Trattati-> fu lo strumento primario; erano già incorsi numerosi accordi tra Roma e i suoi vicini durante il periodo monarchico, vista la presenza dei feziali che erano adibiti alla loro stipula; questi non erano volti alla tutela legale dei singoli cittadini, ma soprattutto concernevano gli interessi politici della città stessa. Il campo privilegiato di questi accordi fu innanzitutto il Lazio (dove c’erano forme consociative caratterizzate da comunanza etnica); Roma in essi affermò la sua superiorità che non si esaurì nelle forme d’incorporazione ma portò alla conclusione di numerosi foedera (spesso non distinguibili dalle leghe religiose che avevano significato anche politico). La supremazia di Roma nel Lazio è visibile con il trattato tra Romani e Cartaginesi, firmato l’anno successivo rispetto alla cacciata di Tarquinio il Superbo; evidentemente i cartaginesi volevano essere certi dell’alleanza con Roma ora che la sua permanenza nell’ambito di influenza etrusco non era più certo. Questo trattato mostra le pretese egemoniche di Roma, in quanto in esso sono stabiliti i limiti a possibili aggressioni da parte dei cartaginesi, limiti estesi a tutte le città del Lazio (divise in non soggette e alleate dipendenti) a dimostrare che Roma non aveva il controllo di tutto il Lazio ma mirava ad averlo. In esso erano contenuta anche la reciproca tutela ai propri cittadini che si fossero trovati nell’ambito di influenza della controparte. Non sappiamo quali regole e istituti fossero applicati agli stranieri nei loro rapporti d’affari con i Romani: c’erano delle pratiche consolidate con il tempo che dovettero giocare più che l’ammissione di uomini con lingue e culture diverse alla ritualità dello ius civile, il valore degli accordi fondati sulla buona fede (fides). Successivamente, si creerà un sistema di tutela degli stranieri indipendentemente dall’esistenza di trattati internazionali che li vincolassero a proteggere la controparte. VEDI POLIBIO. 2. Latini e cittadini di colonie 17 Per quanto riguarda ius commercii e ius conubii coloro che ne godevano erano assimilati ai cittdini romani per quanto riguarda il diritto privato-> 2 punti di vista: ammissione del latino allo ius civile romano e partecipazione al diritto locale del Romano ubicato in territorio straniero. Tuttavia, la reciprocità si blocca e lascia spazio ad un meccanismo centripeto-> nei rapporti tra colonie latine, colonie romane, municipes optimo iure e sine suffragio scompare ogni dimensione di reciprocità, in quanto vi era sempre l’applicazione del diritto romano dove vi fossero negozi tra vecchi e nuovi cittadini. L’esclusivo utilizzo del diritto romano costituì un grande collante e insieme all’espansione del latino fu uno dei fattori determinanti della romanizzazione d’Italia. Pian piano l’organizzazione di governo e le forme istituzionali si sono avvicinate con l’affermarsi progressivo di magistrature uniformi e dei senati locali-> ciò è confermato dall’introduzione di un’autorità incaricata di amministrare la giustizia in ambito locale-> si tratta dei prefetti, magistrati delegati dal pretore, preposti alla giurisdizione in ambito territoriale anzitutto dei cittadini romani (dopo una prova si trovarono i praefecti iure dicundo). Sebbene vi fosse una persistenza parziale delle forme giuridiche locali non si capisce come esse potessero persistere in una zona d’influenza del diritto romano. Un vincolo all’espansione del diritto romano fu l’uso della lingua latina che, essendo il diritto romano un diritto romano con carattere formalistico e orale che prevedeva l’uso di formule ben determinate per porre in essere alcuni atti, fu molto presente; questo impediva a chi non parlava latino di accedere al diritto romano-> infatti i Romani non solo non imponevano la loro lingua ma vietavano di usarla negli atti ufficiali senza la loro autorizzazione. Così i municipi sine suffragio continuarono ad usare lingue autoctone anche se vi fu un processo di romanizzazione graduale dovuto soprattutto alle elitès che erano spinte ad usare maggiormente il diritto romano. I municipes potevano imitare gli usi, la lingua e il diritto dei Romani ma l’introduzione di questi fattori spesso avveniva dal basso e in maniera disordinata (dato che a Roma compariva anche lo ius honorarium). Alle città del Lazio a cui era stata inizialmente data la cittadinanza senza diritti politici era stata poi data la civitas optimus iure per l’omogeneità culturale e linguistica era maggiore-> perciò niente scossoni. Negli altri territori più lontani il passaggio fu più graduale e vi fu uno status intermedio più lungo. Pian piano i linguaggi, le tradizioni e le culture tramontarono permettendo l’espansione del diritto romano. 5. Città, fora, conciliabula, pagi e vici. Importante è il carattere cittadino della società romana, evidente anche nel fatto che, nella sua progressiva espansione politica costante fu il riferimento a questo modello; l’importanza data al modello cittadino è evidente in quanto la massima sanzione ad una comunità è la sua cancellazione come città (a Capua dopo la sua defezione ad Annibale vennero tolte le magistrature, il senato e l’assemblea pubblica oltre che ogni imaginem rei publicae, cioè l’idea e i simboli della comunità cittadina). Anche tra una serie di villaggi essi cercavano di trovare il più promettente da trasformare in una città. Per quanto riguarda la specifica organizzazione del paesaggio agrario, sia la grande villa schiavistica di età imperiale, sia la piccola proprietà contadina in organico rapporto con la centuriatio ripetono sul territorio gli schemi urbani connessi alla città e ad essa funzionali. Sebbene poi il sistema coloniario e quello municipale siano le strutture portanti c’erano anche nuclei minori, soprattutto nelle aree in qui i processi di urbanizzazione erano più lenti o addirittura inconsistenti. In questi luoghi si ricordano i fora, i conciliabula, i pagi e gli stessi villaggi (vici), quali località in cui popolazioni rurali venivano ad incontrarsi per mercati stagionali e si saldavano in comuni luoghi di culto. Erano strutture con una loro più o meno accentuata autonomia situate all’interno dell’Ager Romanus, rispetto alle quali intervenivano, con funzioni di controllo e coordinamento i magistrati romani. La giurisdizione sui loro cittadini fu di pertinenza dei praefecti iure dicundo (in particolare i fora e i conciliabula s’identificavano con quei minori insediamenti di cives romani beneficiari di distribuzioni di terre in piena proprietà quiritaria, effettuate viritim anche esse nella forma della centuriatio). Non si capisce perché i romani abbiano preferito in queste sistema nelle aree interne alla penisola, circoscrivendo in generale le colonie romane alle sole aree costiere. (Queste figure inoltre non erano realtà residuali ma Roma favoriva e rispettava le strutture insediative minori, mediante distribuzioni individuali di terra ai cittadini romani). Nel corso della rapida estensione gli antichi alleati vennero assorbiti nell’ordinamento romano, mentre moltissimi nuovi rapporti di alleanza furono stretti dai Romani con le varie popolazioni e città italiche. Il foedus continuava ad essere stretto tra soggetti sovrani sancendo o una subalternità politica o mantenendo solo il carattere formale di un’alleanza tra pari. In queste alleanze vi era un obbligo, cioè quello di aiutare 20 l’alleato in caso di guerra: queste piccole popolazioni non avrebbero mai potuto dichiarare guerra da sole, mentre Roma avrebbe potuto servirsi del loro aiuto (decidendo cosa avrebbero dovuto fornire). Nella sua politica estera Roma fu impegnata a sostenere continuamente i gruppi aristocratici all’interno di ciascuna città alleata a danno delle forze popolari: questo per il carattere conservatore delle classi dirigenti romane, che avevano una comunanza di interessi con le aristocrazie locali (era più facile controllare un ceto interessato alla conservazione della legge e dell’ordine rispetto a gruppi più estesi e più fortemente legati alle loro radici autoctone. Il risultato di questa politica fu la crescita degli organici cittadini. VII. Un’aristocrazia di governo 1. La nuova direzione politica patrizio-plebeo Il compromesso patrizio-plebeo del 367 a.C. aveva sanato un punto dell’assetto aristocratico: il suo esclusivismo, che alle lunghe avrebbe portato ad un forte indebolimento. La nuova aristocrazia di governo era costituita da ex magistrati ascesi ai ranghi del senato e ai loro discendenti. Questo rango era stato tuttavia allargato al di là del ristretto gruppo dei patrizi e questo porterà ad una storia di successo raggiunta grazie ad una grande abilità politica e diplomatica, una storia in cui tradizione e innovazione si combinarono perfettamente. Come funzionava la carriera di un ragazzo destinato ad arrivare al senato? Innanzitutto solo un cittadino ingenuus, cioè nato da padre libero poteva aspirare ad una carica magistratuale, a cui tendenzialmente potevano accedere solo i figli di patrizi ma anche altri, chi e come? Innanzitutto dovevano essere soldati e uomini che partecipavano alla vita politica cittadina senza dedicarsi all’attività economica: il sostentamento suo e della famiglia era ricavato da una proprietà fondiaria lavorata da altri soggetti (schiavi, contadini pagati a giornata o con parte del prodotto del fomdo); necessitavano poi di amicizie e protezioni altolocate. In seguito al servizio militare prolungato (circa un decennio, il giovane poteva presentare la sua candidatura ai comizi (ovviamente essere nello stato maggiore del generale agevolava il giovane ufficiale che poteva distinguersi e se gli andava bene era anche eletto come tribuno militare); finito ciò poteva candidarsi alle cariche minori: quella di questore e quella di edile. Poi lì gli servivano di nuovo amicizie e protezioni, perché si sceglieva tra una rosa di candidati e bisognava poi attuare una campagna elettorale, per cui spesso dovevano indebitarsi. Colui che veniva eletto veniva inserito in una rete di protezione e di alleanze. Gli uomini nuovi vennero coinvolti nelle logiche dell’oligarchia romana. Essi erano immediatamente al di sotto della nobilitas senatoria e appartenevano al rango dei cittadini equestri (così chiamati in base all’ordinamento centuriato), e il fondamento della loro ricchezza era la proprietà fondiaria e la ricchezza agraria, anche se poi si erano formati sottogruppi con una fisionomia imprenditoriale e commerciale più marcata (opere pubbliche). La selezione era basata sulla nascita e sulle qualità personali-> esito era senato. I quadri di governo accrebbero poi le loro esperienze militari (e infatti le legioni furono guidate da uomini in grado di guidarle. L’aspetto militare era poi molto importante e ciò è ben visibile considerando l’importanza data ai trionfi (in cui il magistrato vittorioso, indossando le insegne vittoriose sfilava per la città), che erano un riconoscimento ambitissimo. 2. Il cursus honorum È la carriera pubblica dei cittadini romani: aveva inizio con l’elezione alle magistrature minori, per poi passare alle cariche superiori e infine giungere al vertice della repubblica diventando console o censore. Non poteva esservi l’immediata rielezione alla stessa carica in modo da evitare un’eccessiva concentrazione di potere. La vita politica continuò a essere controllata dalle consorterie nobiliari e con le gentes, che costituivano un potente legame sociale e un sistema di alleanze naturali entro cui l’individuo si trovava ad operare; le gentes (anche gli strati superiori della plebe iniziarono ad organizzarsi in gentes) erano un sicuro punto di riferimento, in quanto la loro condotta politica si ispirava alla tradizione familiare (durante i funerali di un importante personaggio della repubblica la famiglia sfilava con le effigi degli antenati che avevano servito gloriosamente la repubblica) e si rafforzava anche la memoria dei personaggi di queste famiglie. I rapporti di parentela e i legami di amicizia erano i collanti su cui si fondava il consenso sociale. 21 Queste famiglie erano in grado di riscrivere la loro storia familiare per gli interessi del presente. La durata di tali lignaggi gentilizi fu dovuta alla pratica dell’adozione (che limitava gli effetti dell’alta mortalità e della bassa durata della vita. Il popolo minuto aveva una funzione di mero controllo o di semplice comparsa. Importante è anche la clientela, relazione molto diffusa nell’antichità, che è diversa dalla clientela arcaica, in quanto crea un reticolo di alleanze e di rapporti di dipendenza di natura più complessa; consisteva innanzitutto nel largir protezione ai ceti più deboli. Questa clientela creò un reticolo di forme di lealtà subalterna che permettevano di sostenere le ambizioni dei grandi (anche gli uomini nuovi avevano dei chiari legami di protezione forniti dai gruppi nobiliari), in quanto la gente del popolo doveva procurarsi un protettore. Su una logica simile si fondò anche la costruzione dell’egemonia di Roma: quando un magistrato romano aveva ottenuto la resa di una città, ne assumeva la protezione, facendosi intermediario tra gli interessi di questa comunità e il volere del senato, potendo anche diventare referente delle richieste che tale popolazione dovesse fare ai Romani. Questo sistema varrà poi anche per intere province. 3. Gli sviluppi sociali tra il IV e il III secolo a.C. Grazie anche al ricompattamento politico-sociale iniziò una grande spinta espansionista, che permise a Roma di giungere prima ad un’unità regionale e in seguito ad una espansione anche verso le pianure campane. I maggiori conflitti in questo periodo si riscontrarono con la popolazione dei Sanniti. Importante fu però anche la sconfitta di Pirro (macedone chiamato da Taranto) che permise a Roma di conquistare il mezzogiorno (prima Taranto e poi Brindisi), in un periodo di numerose e continue campagne militari. Questo comportò un processo di crescita economica grazie ai numerosi bottini ricavati e alle acquisizioni territoriali (l’idea del popolo romano era quella di un popolo dedito all’agricoltura). Forse i romani del IV secolo a.C. non avevano ancora conosciuto la ricchezza, ma già allora la stratificazione aveva visto numerosi e significativi mutamenti a causa della saldatura degli strati superiori della plebe con le famiglie patrizie (cosa che aveva comportato la formazione di una discreta proprietà fondiaria e di patrimoni sufficientemente importanti). Da sempre l’ordinamento politico romano si era fondato su attività di carattere gratuito (il vir bonus era quello che serviva la patria come guerriero e poi nella vita politica). Tuttavia, questa gratuità comportava una selezione economica ai potenziali aspiranti, che appartenevano solo alla nobilitas. Tuttavia, mancò uno sviluppo di amministratori e burocrati nonostante l’apparato pubblico dovesse far fronte ad esigenze sempre più complesse (infatti c’era una struttura molto leggera costituita dai magistrati e pochi collaboratori): opere pubbliche, patrimonio pubblico (terre conquistate che andavano amministrate), entrate finanziarie aumentate e eserciti sempre più importanti. La strategia utilizzata da Roma fu quella di appaltare moltissimo ai privati: 1) Terre pubbliche-> fu affidato ai privati mediante il pagamento di un canone, ma non direttamente a coltivatori e allevatori ma a coloro che erano grandi mediatori in grado di pagare le elevate somme richieste dai magistrati romani; essi poi suddividevano le terre tra i piccoli agricoltori ricavandone ovviamente un grande guadagno: Roma guadagnava di meno ma lavorava anche meno; 2) Riscossioni tributarie-> i privati riscuotevano ma avevano anche degli introiti; 3) Vettovagliamento e strutture logistiche agli eserciti. Ad occuparsi di ciò fu un gruppo sociale distinto dalla nobiltà, ma che costituiva uno degli strati più ricchi della popolazione: gli equites; essi avevano infatti i capitali, le competenze e le tecnologie finanziarie. Essi assunsero un ruolo sempre più importante nella società romana, ruolo che era però diverso da quello della nobilitas, preposta alla politica (tra gli equites c’erano anche i publicani che dovevano riscuotere le tasse nelle province ed erano quindi considerati sfruttatori di queste). Alcuni sostengono che l’affermarsi di questi gruppi sociali si verificò in seguito al IV secolo a.C., ma in realtà, viste le grandi opere pubbliche sorte, nacquero sicuramente in questo periodo. 4. Le regole di un’oligarchia I meccanismi istituzionali furono modificati di volta in volta mediante riforme di notevole importanza (divieto di duplicare le cariche per più anni di seguito, il percorso per giungere alle massime cariche secondo scadenze preordinate, norme volte a regolare il governo provinciale, la riduzione degli spazi di autonomia lasciati ai censori nella designazione dei nuovi senatori, norme per l’intervento legislativo nei comizi- composizione dell’unità di voto intervenendo sulle centurie- e ridefinizione del rapporto tra le centurie e il sistema di distribuzione della popolazione per tribù territoriali). 22 ciascun caso pratico, ma anche incertezze nel comportamento da mantenere, in quanto spesso ci si doveva orientare secondo opinioni contraddittorie e mai uniformi-> veniva quindi sacrificata l’idea di certezza. Certi casi furono anche delle palestre per nuove elaborazioni o per verificare la validità delle soluzioni già adottate. Questo lavoro distoglieva i giuristi dalla formulazione di regole e teorie di carattere generale e sistematico, ma al contrario prevedeva una grande forza creativa, mediante la quale i giuristi laici crearono nuovi istituiti e nuovi diritti estranei alle regole delle XII tavole (limitare l’antico diritto di proprietà, usufrutto, servitù prediali, tutelate mediante strumenti analoghi a quelli utilizzati a difesa della proprietà). Lo sforzo teorico permise di distinguere il concetto di possesso da quello di proprietà e si sforzò anche di creare un nuovo sistema processuale volto a cancellare le legis actiones (fu allora che vi fu l’autonomia legale della donna visto il nuovo tipo di matrimonio che escludeva la pienezza dei poteri del marito sulla sposa, o il contratto che, in qualità di accordo, assunse il carattere di una situazione giuridicamente protetta e generatrice di obblighi specifici-> diversa dalla stipulatio e dal mutuo contratti mediante l’utilizzo di fatti o parole tra debitore e creditore). Quindi per descrivere questa attività è inopportuna la dizione moderna di interpretazione, che non è in grado di farci capire la forza creatrice di questo lavoro. In questo ambito non tutti i pareri avevano la stessa forza, ma al contrario una soluzione si imponeva non solo per la sua intrinseca validità ma spesso anche per l’autorità che l’aveva formulata, senza a volte nemmeno considerare le giustificazioni razionali che avevano permesso di considerarla valida (per avere autorità bisognava essere legittimati dal solo gruppo dei giuristi). Pian piano i responsa prudentes saranno considerati come una delle fonti del diritto romano (iura populi romani). 2. Il pretore e l’innovazione del processo civile romano Il pretore aveva una forte autonomia rispetto all’ordinamento esistente. Tuttavia, a causa delle legis actiones il suo ruolo era sottoposto ad un serio limite: l’esistenza di circoscritti schemi verbali bloccava l’ampliamento delle possibili pretese dei litiganti a situazioni non previste dalle forme arcaiche. A rendere più difficile la sua emancipazione fu anche la consulenza dei pontefici. Tuttavia, con l’intervento del nuovo ceto di giuristi si riscontrarono notevoli innovazioni, dovute anche alla crescita politico-militare e economico-culturale che si conobbe a Roma nel III secolo a.C., che portarono numerosi stranieri a Roma. Ma la maggior parte di questi stranieri non aveva il diritto di ius commercii con i romani e necessitava quindi di una protezione giuridica, che doveva essere fornita al di fuori delle regole e delle forme dello ius civile dal quale erano esclusi (ed erano esclusi ovviamente anche dalle legis actiones). Tutto ciò si ottenne grazie al pretore, il quale con la sua iurisdictio investì una serie sempre più ampia di questioni e litigi che dovevano prescindere dagli schemi dello ius civile e che erano ispirati a una logica più equitativa (perché dovevano essere più semplici e accessibili a culture giuridiche lontane dalla lingua latina). Fu per questo che nel 242 a.C. fu creato il praetor peregrinus, cosa che accentuò lo sviluppo di quelle forme di litigio sottratte alla logica delle legis actiones a tutela di situazioni nate dalla pratica commerciale e fondate sulla buona fede delle parti; si andò oltre la rigidità di atti o frasi che dovevano essere rispettate perché certi effetti legali avessero luogo e che divenivano vincolanti. Questi rapporti furono infatti tutelati con forme processuali meno rigide delle legis actiones (e che vennero poi estese anche ai rapporti riguardanti i Romani), cosa che insieme alle forme di protezione giuridica offerta del praetor peregrinus portò al definitivo tramonto delle legis actiones. Questo nuovo processo prende il nome di processo formulare in quanto fondato su formule predeterminate in modo circostanziato che il pretore rilasciava alla fine delle discussioni preliminari; queste formule fornivano al giudice i criteri da seguire nel decidere la controversia accertando la verità materiale dei fatti adottati dalle parti: la loro struttura e il loro contenuto prescrittivo potevano variare all’infinito, adeguando l’astrattezza delle antiche regole alla varietà dei casi pratici-> il pretore poteva attribuire un peso adeguato ad elementi di fatto rilevanti sotto il profilo della giustizia sostanziale che la rigidità delle legis actiones aveva impedito. C’era quindi la libertà d’azione del pretore che comportava il superamento del patrimonio giuridico ancestrale e la sua rigidità, creando invece la necessità di un’equitas, cioè una necessità di eguaglianza tra le parti che la soluzione adottata doveva rispettare. 3. L’editto del pretore: il ius gentiume il ius honorarium. I criteri sostanziali a cui il pretore si atteneva si coagularono in regole e prescrizione generali, mediante l’emanazione di editti, in cui essi rendevano noto quali situazioni avrebbero trovato tutela da parte loro e in quale modo. Le previsioni introdotte dal pretore peregrino erano una serie di situazioni giuridiche nuove e diverse dai diritti riconosciuti dal diritto civile-> essendo aperta a tutti gli stranieri essa fu considerata come 25 espressione di un diritto di tutti gli uomini (ius gentium), che fu esteso a tutti i cittadini per i vantaggi che comportava-> arricchimento del patrimonio giuridico (secondo alcuni lo ius gentium è la parte comune dei diritti positivi dei vari popoli). Incidenza ancora maggiore sulla storia del diritto romano ebbe l’introduzione del processo formulare, che permise al pretore di esplorare i grandi spazi che il suo imperium/iurisdictio gli apriva e dove egli era veramente il sovrano (i suoi atti potevano essere bloccati solo dall’intercessio di un console): il pretore non era servo della legge e perciò poteva evitare di applicarla o poteva intervenire a condannare o ad assolvere anche in casi che la legge non prevedeva se ciò era necessario. Quindi si creò un nuovo diritto che correggeva, integrandolo, lo ius civile (gli ordini del pretore erano per esempio gli interdetti e nelle stipulationes e nelle cautiones-> poteva obbligare i litiganti ad assumere specifiche obbligazioni processuali per conseguire risultati lontani dal diritto civile ma conformi a criteri di giustizia; essi potevano poi imporre ai giudici di tenere conto di fatti di per sé irrilevanti). Questa vasta gamma di interventi era ormai però previsto, in quanto anche il successore di un pretore che aveva ben amministrato la giustizia aveva interesse ad azzerare il già fatto e al massimo modificava qualcosa. La giustizia non era caso per caso ma l’editto rese conoscibili ex ante i vari criteri seguiti dal pretore: questo creò quindi un nuovo diritto che innovava nella sostanza e prevaleva rispetto allo ius civile, tanto che creò un nuovo sistema di regole che si sovrapponevano in modo autonomo: il diritto pretorio, che permise uno sviluppo del sistema del diritto romano in funzione delle grandi trasformazioni economico sociali. Altri magistrati minori oltre ai pretori potevano emanare editti (come gli edili curuli e i provinciali). Si crearono quindi due logiche parallele: il diritto in senso stretto e il diritto onorario (fondato sul potere magistratuale e illustrato dall’editto pretorio). Tra i due si creò un grande punto di sutura, in quanto senza la sanzione processuale assicurata dal pretore l’interpretazione delle regole dello ius civile avrebbe difficilmente portato le innovazioni portate; dall’altro l’elaborazione del contenuto dell’editto fu assistita dai giuristi. Una caratteristica dell’ordinamento romano fu il suo orientamento verso gli aspetti processuali: il diritto romano non si costruisce sui precedenti giudiziali ma compone una serie di soluzioni secondo logiche coerenti che dovranno fornire le linee guida dei casi futuri (i giuristi creavano anche casi immaginati). 4. La scienza giuridica romana come sapere aristocratico Nell’ambito del diritto privato romano l’intervento della comunità politica è secondario, in quanto le leggi che disciplinano la vita dei cittadini nella sfera giuridica non dipendono da una legge votata dall’assemblea cittadina, ma viene data una delega prima ad un collegio religioso e poi ad una comunità di sapienti, che avevano il potere di enunciare ciò che è il diritto della città. Il diritto non si identifica quindi con la legge (cosa per noi inconcepibile), ma la legge è si vincolante per la comunità ma ad avere un ruolo ancora maggiore è l’interpretatio dei giuristi senza cui la norma avrebbe avuto applicazioni più circoscritte. Il problema è che se a noi oggi basta aprire un codice civile, i Romani dovevano far fronte all’oscurità e alla generalità delle XII tavole, oggetto solo di un sapere specialistico: pontefici e poi giuristi laici. La iurisdictio aveva funzione abrogativa dell’ordinamento, mentre l’interpretatio incideva sullo ius civile (ed era infatti fonte autonoma di diritto), ed era propria di un gruppo, i prudentes, che appartenevano alla sola nobilitas e che avevano il compito di cavere, agere e respondere per i cittadini, cose che essi effettuavano gratuitamente-> perciò erano esclusi a priori coloro che per vivere dovevano lavorare. Pian piano a Roma si aprirono nuovi orizzonti culturali: furono fondamentali lo studio della retorica greca, del diritto e delle grandi correnti filosofiche greche tra cui lo stoicismo, che diede una maggiore profondità alla scienza giuridica. Il diritto si è saldato alla politica come arte di governo ed è stato utilizzato per organizzare il dominio politico: dà alla nobilitas repubblicana lo strumentario intellettuale per determinare i confini entro cui ciascun potere pubblico poteva e doveva esercitarsi; questo permise di creare le regole del gioco per il potere, dall’altra disciplinò il funzionamento della società nei suoi rapporti d’interesse ed economici. Si produssero sempre nuovi spazi del diritto a due condizioni: in fortissimo controllo sociale e un’ancora maggiore compattezza di ceto. Quindi questo sistema poté funzionare anche in assenza della legge grazie alle deleghe (possibili perché il gruppo sociale era compatto) date ai soggetti e anche perché nello scontro tra opinioni scientifiche e interessi pratici, vi era la coscienza di un superiore insieme di ragioni comuni, rafforzate dall’appartenenza ad un blocco sociale egemone ed omogeneo che comprendeva i magistrati, i giuristi ma anche i fruitori di questo diritto. 26 Nonostante la lotta politica che segnò le sorti della libertas repubblicana, l’autonomia della scienza giuridica romana era così consolidata da resistere alla crisi. 5. La giurisprudenza dalle guerre annibaliche alla crisi della repubblica. Fu un arco di tempo lungo quello che separò le prime generazioni di giuristi da quelle dell’ultimo grande giurista (Labeone): due secoli. In questo periodo vi fu una vera e propria rivoluzione nell’ambito dello ius civile, che permise di rinnovare le categorie fondanti, creando i pilastri del diritto romano classico. Nacque allora il carattere scientifico del lavoro dei giuristi in quanto vi erano logiche classificatorie che permettevano di distinguere i fatti in base a elementi comuni. Questi raggruppamenti erano distinti tra loro in base alla diversa presenza di elementi: si passava così ad elementi omogenei classificati in modo uniforme. Alcuni di questi elementi potevano essere dati materiali, facendo parte della struttura concreta del fatto, altri no, essendo risultato di una determinata rappresentazione intellettuale. Se una persona affermava che un’altra persona era sua: se era uno schiavo era una questione di proprietà, se invece era il proprio figlio si parlava di statuti familiari: in nessun modo il diritto portato in giudizio poteva inferirsi dalla natura materiale dell’oggetto della controversia-> bisognava prendere in considerazione una sempre maggiore quantità di elementi; però la circolazione della conoscenza permise il consolidamento di un sistema di regole e di categorie organizzato secondo i sistemi della dialettica greca per generi e specie. Ad una prima generazione di giuristi (Sesto Elio Peto Caro con i Tripartita) seguì una stagione più matura dove la ricca messe di risultati iniziò ad essere organizzata e sistemata: Quinto Mucio Scevola e Servio Sulpicio Rufo furono i due principali esponenti. Quinto Mucio Scevola-> autore di una prima organizzazione del sistema giuridico, pontefice e cultore del diritto sacro insieme a quello civile presenta la tradizione di studi trasmessa di padre in figlio (padre era iurista); crea un libro di definizione, i libri iuris civilis-> la materia del diritto civile romano aveva una prima importante sistemazione e quest’opera fu oggetto di successivi commentari. Cicerone non lo apprezza. Servio Sulpicio Rufo-> eleva lo studio del diritto a rango di scienza; vi è l’organizzazione di categorie basata su una tecnica più matura, punto di partenza per i successivi giuristi e a chiarire la struttura sostanziale dei problemi di fondo relativi alle grandi categorie giuridiche e alla disciplina specifica dei molteplici istituti che non saranno poi modificati nei secoli successivi. Usa inoltre un quadro concettuale nuovo caratterizzato da una coerenza di sistema (assente anche nei giuristi imperiali). Abbiamo solo frammenti e grazie ai suoi allievi (auditores Servii) che saranno nei responsa dove vi è la soluzione di casi pratici-> più numerose citazioni di giuristi successivi. Cicerone lo apprezza. Labeone-> rifiuta l’influenza di Augusto-> aderisce alla nobilitas ma rinuncia al cursus honorum perché non è amico del potere. Si dedica a riflessione scientifica, insegnamento e responsa e scrisse numerose opere spesso citate dai giuristi successivi. IX. I nuovi orizzonti del III secolo a.C. e l’egemonia romana del Mediterraneo 1. Le guerre puniche e l’eredità di Annibale. In seguito alla conquista di Taranto Roma inizierà la sua espansione verso una realtà ancora sconosciuta: il mare. La svolta iniziò con il coinvolgimento di Roma negli affari interni di Messina città orbita di interessi cartaginesi in Sicilia. Scelta questa molto importante giacché inevitabilmente portò all’urto tra Roma e Cartagine, conclusosi nel 202 a.C. con la sconfitta di Annibale. Limitiamoci ad elencarne le scansioni temporali: 1) 264-241 a.C.-> prima guerra punica; 2) 238-237 a.C.-> conquista di Sardegna e Corsica sottratte ai Cartaginesi; 3) 238 a.C.-> conquista della Liguria e della Gallia Cisalpina; 4) 231 a.C.-> alleanza di Roma con Sagunto; 5) 218-202 a.C.-> seconda guerra punica. Questo scontro con Cartagine accentuò le divergenze all’interno della classe dirigente romana: parte dei più cauti e parte dei più avventurosi ( tra cui Appiu Claudius Caudex-> discendente di Appio Claudio): i primi infatti pensavano di potere e dovere interrompere lo scontro con un ragionevole compromesso, ma in realtà prevalsero le posizioni più radicali. Nello stesso tempo però il partito conservatore ottenne un successo: l’espansione verso l’Italia Centro- Settentrionale (Piceno e Pianura Padana) sotto il comando di un grande dirigente plebeo: Gaio Flaminio, 27 Il fine del governo del governare le province era quello di arricchirsi e perciò vennero emanate una serie di leggi contro concussione ed estorsione: le de repetundis, volte a reprimere questo tipo di reati: esse furono in realtà teoriche e non incisive fino a che le giurie dei tribunali furono composte da persone di rango senatorio. 4. L’innesto della cultura ellenistica Dopo la sconfitta Annibale si recò in Oriente cercando di creare un’alleanza antiromana in quei territori, cosa che avrebbe provocato un grande problema per Roma vista la presenza di popoli che, se si fossero uniti, non avrebbero lasciato scampo a Roma. Tuttavia, Roma riuscì ad esasperare le tradizionali divisioni, stringendo alleanze con alcuni e escludendo invece altri. Essa sconfiggerà la Siria nel 188 a.C. ad Apamea e la Macedonia nel 168 a.C. a Pidna. Nel conquistare questi territori Roma non si era fatta contaminare dei pregiudizi religiosi e culturali che caratterizzano il colonialismo moderno; anzi, la continua importazione di idee, valori e tecniche nuove portò ad un vero bilinguismo culturale della classe dirigente, mediante un processo che fu inarrestabile. La classe dirigente imparò il greco e si acculturò nei campi del sapere dove Atene era stata maestra, andando a scuola da filosofi e oratori greci. Da una parte c’è un arricchimento culturale e spirituale dall’altro una brutalità cinica, che porterà a distruggere intere città e a renderne schiavi i suoi abitanti non appena ci sarà una minima violazione alla fides (lealtà) romana. Vennero anche meno i valori costitutivi della res publica: all’idea della civitas e del senso di appartenenza che essa comportava vi furono più generali interessi e preoccupazioni. Si creò inoltre una tendenza di tipo universalistico (dignità umana scissa da gerarchie e statuti sociali). Eppure, si diffuse la paura che Roma seguisse il destino di ogni storia umana: nascita, sviluppo, grandezza massima, decadenza e morte. Questa paura si vide nello sforzo di ripristinare le antiche tradizioni (condanna di Catone a Roma per il comportamento con Rodi-> Roma abuso di potere perché sanzioni perché loro non avevano aiutato Roma in guerra anche se non era previsto dai trattati). Si creò una nuova paura con la fine metus punicum e cioè la paura dell’arrivo di nuovi pericoli per Roma a causa di quel senso di onnipotenza per cui nessuna forza sembrava in grado di opporsi ad essa. 5. L’espansione imperialistica e la trasformazione della società romana La Roma uscita dagli scontri con Annibale era diversa e destinata a mutare ulteriormente nel profilo dell’accumulazione di ricchezze e nella trasformazione dei rapporti sociali. L’aristocrazia romana e il ceto equestre avevano portato alla concentrazione di grandi capitali nelle mani di pochi privilegiati anche grazie allo sfruttamento provinciale. Iniziò da parte del ceto equestre un controllo dei flussi di ricchezza grazie al commercio, anche marittimo; la nobilitas ebbe sì a lucrare ma era vincolata alla politica cittadina e non poteva quindi dedicarsi al lavoro di gestione: grazie però alla cooperazione di banchieri e finanzieri degli equites i patrimoni della nobilitas vennero investiti in attività finanziarie e mercantili, ma anche in investimenti immobiliari (erano proprietari delle case a più piani: le insulae), e soprattutto in investimenti agrari: nelle aree agricole si creò un sistema produttivo volto a soddisfare le esigenze dei mercati cittadini (grandi tenute in cui lavoravano contadini liberi e schiavi)-> pian piano queste proprietà si ampliarono (le terre private erano alla base delle villae a cui vennero poi aggiunte nuove aree di terre pubbliche). Nonostante ciò non si assistette, contrariamente a ciò che si pensava, ad una grande attività di spopolamento delle campagne; vi furono certo coloro che abbandonarono le campagne per le leve militari e i processi di urbanizzazione, ma questo ridusse semplicemente il sovrappopolamento. In questi terreni vennero utilizzati gli schiavi; da una parte vi fu uno sfruttamento brutale di questa forza lavoro, non solo nell’agricoltura, ma anche nelle miniere e sulle navi come rematori; dall’altro vi fu l’utilizzazione delle capacità tecniche di alcuni schiavi o ex-schiavi (pedagoghi, scribi, segretari e medici), che venivano comprati a prezzi più elevati e lavoravano a stretto contatto con il padrone. Il padrone aveva la facoltà di concedere loro la libertà e anche la cittadinanza romana-> questo favorì il processo di ellenizzazione facendo penetrare nuovi elementi portatori di culture molto lontane da quella romana e che con la cittadinanza acquistarono uno statuto permanente. Questo permise a Roma di superare l’esclusivismo giuridico che aveva rovinato le poleis greche e sebbene vi fossero altri gradi di cittadinanze (peregrinus, latina) da dare agli schiavi, venne utilizzata proprio quella romana. Questo comportò un arricchimento di Roma e fu una delle ragioni del suo durevole successo: 30 divenuti liberi gli schiavi crearono un nuovo gruppo sociale, ricco di energie, conoscenze e saperi (se eri figlio di un liberto già libero al momento della tua nascita eri un ingenuo e potevi salire la scala sociale). Si verificò quindi un ampliamento di orizzonti e un mutamento di costumi. 6. La teoria della <<costituzione mista>> Polibio nel sesto libro delle sue Storie si interrogò sul motivo dello straordinario successo politico di Roma, osservando il tutto da una prospettiva privilegiata essendo stato egli al seguito di Scipione Emiliano (vince terza punica e Pidna). Egli ritiene che il grande vantaggio di Roma stia nell’equilibrio mutevole e sempre più difficile delle tre forme di governo: governo monarchico (potere monarchico nei consoli), aristocratico (potere aristocratico nel senato) e democratico (potere democratico nei comizi). In realtà però un romano non avrebbe compreso questa tripartizione, in quanto più che la divisione dei poteri vi era una confusione dei poteri nello stesso soggetto e la scissione di uno stesso tipo di potere tra soggetti diversi, creando una macchina che funzionava mediante cooperazione e integrazione (non si poteva immaginare il potere legislativo disgiunto da quello esecutivo: c’erano si i comizi ma anche gli edicta del pretore). Questa divisione del potere impedì una degenerazione in senso unilaterale della costituzione mista- > gli equilibri che avevano retto Roma per secoli erano però in crisi. X. La prospettiva delle grandi riforme e la crisi della classe dirigente romana 1. La rottura del patto I successi della politica romana finiranno per incidere negativamente sul destino della città; infatti essa aveva ancora una struttura e delle istituzioni proprie della città stato, ma ormai il latino era diventato il medium linguistico dominante e il diritto romano era diffuso. E non era forse ora di estendere l’appartenenza politica, di porre fine alla politica di rapina delle province, di controllare lo sfruttamento feroce che aveva portato a numerose insurrezioni servili? La nobilitas romana aveva iniziato a porsi questi problemi, ma mancava per essi una risposta condivisa e non era possibile trovare la soluzione nelle consolidate tecniche di governo, perché il problema non era ridisegnare un modello organizzativo, ma era il fatto che vi fosse stato uno scardinamento di un ordinamento politico dal suo necessario fondamento sociale e quindi dal consenso. Questo aveva portato a visioni politiche differenti: per alcuni era possibile solo la difesa delle antiche tradizioni, per altri il sistema tradizionale non reggeva più, ma era divenuto un fattore di crisi e squilibri. Se infatti l’interesse di Roma era perseguire il valore, la domanda da porsi è come era possibile perseguire ciò senza accentuare l’ulteriore azione di fattori eversori dell’ordine aristocratico. Infatti, forza militare portava ricchezza che portava sfruttamento che comportava un moltiplicarsi di quei poteri straordinari conferiti ai comandanti militari. questo aumentò le divergenze che finirono così per esplodere verso soluzioni opposte: da una parte sollecitudini per conservare il fondamento rurale (con coloritura filopopolare) e dall’altro il senato che cercava di accentuare il suo potere arbitrale sino a ledere la libertas repubblicana-> l’urgenza di arrivare a rapide risposte rese impossibile un compromesso e una mediazione determinando così un conflitto tra l’aspirazione ad una democrazia più radicale e un principio aristocratico. I gruppi politici che avevano caratterizzato la vita della repubblica si divisero in: ottimati e populares; essi erano una consociazione di individui legati da un comune e simile visione della politica e degli obbiettivi da conseguire (diverso partito)-> la lotta politica finora svoltasi con legalità divenne una forza bruta, ledendo così l’edificio repubblicano. Senatus consultum ultimum-> maggiore potere ai consulta del senato; nel caso di un pericolo eccezionale permetteva sulla base del solo giudizio del magistrato proponente e della connessa delibera senatoria, di sospendere le ordinarie garanzie di libertà e di tutela giuridica dei cittadini. Un caso evidente fu quello dei culti dionisiaci, considerati un complotto a danno del senato->il senato autorizzò i consoli a mettere a morte i seguaci del culto (cosa che valeva sia a Roma sia nelle province)-> il senato era così esonerato dalla garanzia della provocatio (che assicurava la libertas repubblicana). 2. Tiberio Gracco e la distribuzione dell’ager publicus Verso la seconda metà del II secolo a.C. erano ormai evidenti i fattori di crisi e vi era inoltre la preoccupazione per il parziale spopolamento delle campagne. L’organizzazione dell’esercito era ancora basata sull’ordinamento centuriato che si erano però modificate; esso si fondava per lo più sul ceto dei piccoli e medi proprietari fondiari, mentre ne restava al margine la 31 massa di nullatenenti che vivevano a Roma grazie alle liberalità pubbliche o private e che erano concentrati nelle centurie di proletarii-> si era anche abbassata la soglia di proprietà fondiaria richiesta per la collocazione tra gli assidui anche con piccolissimi proprietari. C’erano già state tendenze volte a difendere il fondamento agrario, come dimostra il De Agricoltura di Catone e la rivitalizzazione del de modo agrorum già contenuto nelle leggi Licinie Sestie e che prevedeva un limite dei possessi da parte di ciascun cittadino; anche Gaio Lelio avviò un progetto di riforma agraria ma fece poi marcia indietro. Nel 133 a.C. divenne tribuno della plebe Tiberio Gracco, la cui madre era imparentata con Scipione Emiliano; egli avviò immediatamente una politica riformatrice che scatenò profonde avversioni ma anche profonde adesioni; con questa riforma si riaffermava infatti un limite ai possessi di terre pubbliche che ciascun cittadino poteva detenere: 500 iugeri per ogni pater familias, 250 per ogni figlio maschio sino a un totale complessivo di non più di 1000 iugeri. Così facendo la comunità cittadina interveniva su un bene di sua pertinenza e offriva ai grandi possessori di tradurre quella parte di terre pubbliche in proprietà privata (?). Le terre pubbliche che avevano superato i limiti sarebbero state recuperate alla res publica e redistribuite tra i cittadini meno abbienti; il compito di recuperare queste terre fu affidato ad un triumvirato appositamente eletto dai concilia plebis. Essa toccava notevoli interessi perché sottraeva ai grandi membri dell’aristocrazia senatoria terreni agricoli già colonizzati e coltivati (già quasi proprietà privata). Questa fazione si avvalse dell’altro tribuno, C.Ottavio, convinta di poter contare sull’intercessio. Tuttavia Tiberio aggirò questa intercessio facendo votare dagli stessi concilia la sua deposizione, affermando riguardo al suo collega che non potesse essere tribuno della plebe chi andasse contro gli interessi di quest’ultima-> provvedimento grave. A rafforzare questa riforma fu un evento esterno: il testamento di Attalo III, re di Pergamo, a favore dei cittadini romani-> Tiberio fece approvare dai concilia un plebiscito con cui si affidava il tesoro alla commissione appena istituita. Tiberio era un politico che rappresentava interessi e valori condivisi: sia dal popolo minuto sia da alcune branche dell’aristocrazia che condivideva i motivi di fondo del suo gesto. Questa riforma fece però giungere ad esiti incontrollati, in quanto egli si ripresentò alle elezioni dell’anno successivo andando perciò contro ciò che prevedeva il cursus honorum-> rielezione era necessaria per rendere effettiva la riforma ma anche per tutelare la sua sicurezza. Quando venne rieletto i suoi oppositori diffusero il sospetto che egli aspirasse ad un potere monarchico: Tiberio e i suoi seguaci furono così assassinati vicino alla curia del senato da alcuni dei suoi membri. Venne proclamato un senatus consultum ultimum per la salvezza suprema della res publica. Il tentativo del partito antigraccano fu però fermato da Quinto Mucio Scevola; l’anno successivo però i seguaci di Gracco furono dichiarati nemici della repubblica e rinviati al giudizio di tribunali eccezionali, cosa che non permetteva l’appello al popolo per la provocatio. Tuttavia, gli interessi e gli appoggi permisero che la legge di Gracco non venisse abrogata o completamente disapplicata (anche se vi erano difficoltà riguardo alla confusione tra terre pubbliche e proprietà privata, oltre al malessere dato dal fatto che le terre che in teoria erano dell’ager publicus continuarono ad essere sfruttati dai vecchi possessori). L’ostilità di Scipione fu dovuta alla lesione degli interessi dei possessori italici che non erano ammessi a partecipare alla distribuzione delle terre; si cercò di ovviare a questo vantaggio quando nel 125 a.C. fu proposta da Fulvio Flacco la concessione di cittadinanza ai socii italici e poi si cercò di dare ai socii il privilegio della provocatio del popolo-> entrambi falliti. 3. L’eredità politica di Tiberio e il programma di Gaio Gracco La crisi si sarebbe esplosa nuovamente un decennio dopo la caduta di Tiberio, a opera del più giovane fratello, Gaio, che ne riprese il programma politico potenziandolo e ampliandolo. Eletto tribuno della plebe nel 123 e rieletto nell’anno successivo, egli fece approvare un complesso intreccio di leggi che appaiono corrispondere a un progetto politico ormai ben più ampio e ambizioso di quelle limitate riforme a suo tempo propugnate dal fratello. Anche le leggi agrarie furono riprese e ribadite da Gaio, benché di ciò non abbiamo una chiara e precisa conoscenza. È probabile che la nuova legislazione recuperasse e insieme sostituisse integralmente quella di Tiberio. In essa si dovette rivitalizzare, tra l’altro, il lavoro dei triumviri agris dandis, restituendo ai commissari gli originari poteri giusdicenti loro attribuiti. 32 Le violazioni delle regole, l’assassinio politico e le persecuzioni mortali diedero il via ad una lotta politica che durerà un secolo. XI. Il tentativo di restaurazione sillana e la crisi italica 1. Le riforme militari di Mario e la crisi italica Le crescenti tensioni tra Romani e Italici erano diventate perniciose; inoltre non si arrestavano la crisi demografica, i fenomeni d’inurbamento e la proprietà schiavistica. Vi erano inoltre nuove esigenze militari di grande rilevanza: Roma si trovò a difendersi dalle invasioni delle popolazioni germaniche; i Galli avevano già conquistato e incendiato Roma nel IV secolo a.C., ma episodi del genere non si erano più verificati grazie alla presenza di Roma nell’Italia settentrionale. La vittoriosa difesa fu guidata da un generale plebeo: Gaio Mario, a cui venne in seguito affidata un’altra importante guerra: quella contro Giugurta, re di Numidia. Le difficoltà della leva per questa guerra furono superate arruolando volontari dai proletarii, cioè i nullatenenti, che si arruolarono nella speranza di ottenere vantaggi economici grazie al bottino di guerra. Si tagliavano così le radici di un ordinamento militare fondato sulla costituzione centuriata avviandosi così alla formazione di un esercito di mestiere: dalla fedeltà dei piccoli proprietari terrieri alla res publica nel combattere si passò alla fedeltà dei veterani verso il loro generale-> questa è la premessa per un potere personale dei grandi comandanti militari, che non erano più disposti ad essere considerati solo come semplici membri dell’aristocrazia senatoria (sarà un grave problema). Dopo le campagne il prestigio di Mario aumentò determinando una svolta in senso popolare; la guida effettiva restava però quella di Saturnino e Glaucia che si rivelarono i due veri cervelli del partito popolare; i loro obbiettivi erano: 1) Distribuzione di grano alla plebe a prezzi irrisori; 2) Fondazione di colonie oltremare; 3) La distribuzione di terre ai veterani di Mario; 4) Una nuova legge giudiziaria; 5) Lex Appuleia de maiestate minuta-> più pericolosa perché ampliava la figura del crimen maiestatis con cui si colpivano i reati di carattere politico. Tale imputazione, per l’indeterminatezza dei comportamenti annoverabili come un attentato alla maiestas populi romani era facilmente utilizzabile in una lotta politica grave. I disordini aumentarono quando vi fu l’approvazione della legge relativa alla redistribuzione delle terre della Gallia Cisalpina conquistate da Mario contro i cimbri. La crisi si aggravò ulteriormente quando Saturnino e Glaucia per farsi rieleggere al tribunato compirono l’assassinio del candiato avversario-> venne proclamato un senatus consultum ultimum che incaricò Mario di intervenire contro i suoi antichi alleati: egli non fu in grado di intervenire contro l’uccisione di Glaucia e Saturnino e questo determinò il tramonto politico di Mario, bravo generale ma politico incerto e poco abile: era infatti inviso sia ai popolari per la repressione condotta, sia all’aristocrazia per la sua precedente condotta-> si allontana da Roma. La guida dei popolari venne affidata a Cinna, anche egli tribuno della plebe (carica che valorizzava lo strumento legislativo). Venne inoltre modificata la carica del consolato, divenendo di fatto lecita la rielezione della stessa persona per più anni di seguito. Negli stessi anni il figlio di Druso arrivò al centro della politica romana, avviando una politica contraria a quella paterna (che era opposta ai gracchi)e rifacendosi alle linee riformatrici del partito avversario: 1) Lex Livia Agraria-> riprendeva il contenuto delle riforme graccane; 2) Restituiva al senato le competenze giudiziarie togliendole ai cavalieri; 3) Avviò la duplicazione dell’organico dei senatori: diventarono 600 e fu possibile quindi l’ingresso in esso dei membri del ceto equestre; 4) Aveva previsto la progressiva concessione della cittadinanza romana agli italici->l’oligarchia senatoria bloccò l’approvazione della legge e assassinò Druso-> questo portò alla ribellione degli italici. Iniziò così la guerra sociale che si configura come una grande alleanza di popoli tra cui principalmente i Sanniti. Tuttavia sono contraddittorie le aspirazioni degli Italici: 1) Piena assimilazione e parità con Roma (Latini); 2) Radicale orientamento anti-romano-> per riconquistare la piena libertà (Sanniti). 35 Viene inoltre dichiarato che lo strato propulsivo di ciò furono gli strati più popolari delle varie comunità e non le aristocrazie locali che erano in teoria le più interessate alla cittadinanza (vantaggi economici e circolazione giuridica), perché di fatto ai contadini non cambiava molto avere o meno la cittadinanza romana. È però vero che l’arroccamento romano abbia fatto provare il desiderio di parificazione politica oppure nostalgia per l’antica libertà-> per questo molte comunità, avendo la possibilità di trasformarsi in municipi, di vivere secondo le leggi o accettare la cittadinanza romana. Si rese sempre più evidente che i ceti dirigenti di Roma non erano stati in grado di conservare l’impero acquistato: non riuscirono a piegare gli alleati italici solo con le armi-> perciò venne stabilito e accordato di concedere quei benefici prima negati a coloro che avessero deposto le armi: così la lotta si placò tra l’89 e l’88 a.C., in quanto la Lex Iulia de civitate latinis et sociis danda, insieme ad altre due leggi sancì la concessione della cittadinanza romana ai Latini e agli alleati italici rimasti fedeli o che avevano subito deposto le armi. La conseguenza era la trasformazione in municipi che avrebbe comportato la perdita delle istituzioni giuridiche e quindi motle furono incerte se acquistare questa lex de civitate romana. La partecipazione nel sistema comiziale romano fu molto complessa: le riunioni comiziali si svolgevano a Roma e perciò solo i ricchi e solo per decisioni importanti poterono qui recarsi a votare, non determinando di fatto degli squilibri. Le nuove popolazioni furono divise in tribù ma non ne conosciamo il numero preciso e non sappiamo né se esse si aggiungessero alle antiche 35 tribù oppure se si inserissero in una parte delle antiche tribù. I tempi erano maturi e ciò fu visibile con la svolta linguistica a favore del latino e la vasta assimilazione culturale che mostrò il deperimento delle tradizioni autoctone innanzitutto giuridiche. 2. Le guerre in Oriente e l’affermazione del nuovo potere personale: Silla. Vi fu una situazione di crisi anche nell’Oriente ellenistico, a causa di un gravissimo episodio : il re del Ponto, Mitridate, provocato da un’avventurosa spedizione di una popolazione locale aiutata dai Romani, dette alle piccole città e ai luoghi il clamoroso segnale di sollevazione romana contro il suo dominio-> massacro dei commercianti romani e italici per molteplici speculazioni-> si vide l’odio antiromano. Roma si occupò di ciò solo dopo aver pacificato la penisola: l’oriente era ricco sia di popolazione sia di mezzi economici. Lucio Cornelio Silla guidò ciò in quanto si era già messo in vista nella guerra sociale-> fu un’assegnazione estorta con la forza alla testa delle legioni da lui arruolate per tali guerre d’oltremare (episodio di prevaricazione del senato e dei comizi). Tuttavia vi era sempre stato un carattere illusorio delle vittorie via via conseguite con provvedimenti legislativi destinate a durare solo il breve momento della vittoria; c’era sempre però un ossessivo richiamo alle leggi, come a far capire che c’era una la necessità di una forma giuridica senza la quale non poteva esserci alcun successo politico. Vi furono quindi continue delibere e leggi comiziale, emanate in gran disordine (liberalizzazione dell’iscrizione degli italici nelle tribù territoriali, rafforzandone il ruolo nei comizi cittadini. Iniziarono inoltre i processi criminali: 1) De maiestate-> avviati dalla parte popolare per eliminare esponenti dell’aristocrazia; 2) Senatus consultum ultimum per spezzare la forza dei populares. A questi si aggiungeva spesso il delitto politico. Questa guerra civile assunse particolare evidenza durante la prolungata assenza da Roma di Silla (in Asia contro Mitridate); il partito popolare (prima Mario e poi Cinna) iniziò forti persecuzioni ed assassinii nei confronti dei membri del partito senatorio compresi gli stessi familiari di Silla-> tornato in Italia nell’82 a.C. marciò militarmente contro Roma, debellando l’armata dei capi popolari messa davanti alle porte della città-> entrato in città pose un ordine legale fondato sul terrore. Vi furono stragi e massacri dei membri del partito popolare a cui seguirono le liste di proscrizione, mediante le quali capi popolari e avversari personali di Silla furono dichiarati nemici della repubblica, i loro beni vennero espropriati (essendone una parte consistente data a chi lo aveva denunciato) e poi uccisi. La lex valeria de Sulla dictatore attribuì a Silla un potere assoluto in qualità di dittatore per ricostruire la repubblica e riscrivere le leggi. Il termine dictator aveva perso la sua originaria rilevanza da tempo e riconduce alle origini della repubblica. La legge di conferimento della dittatura rei publicae constituendae funzionò: egli restò in carica due anni (in cui aveva l’obbiettivo di restaurazione dell’ordinamento politico) e si ritirò poi a vita privata, perché la sua carica, dopo una serie di provvedimenti, non era più necessaria. 36 3. Le riforme sillane Le linee di forza della sua politica appaiono evidenti: egli era un radicale esponente della cultura e dei valori dell’aristocrazia (sistema gerarchico con punta nel senato). A colpire è la coerenza del disegno ma anche la complessità delle correzioni approntate-> in realtà però il disegno istituzionale non poteva reggere senza un riassestamento dell’intera struttura dell’ordinamento politico e del suo fondamento sociale: 1) Riaffermare la centralità del senato; per fare ciò si trovò ad affrontare due problemi: - Stemperare il ruolo rivoluzionario del tribunato della plebe e la connessa autonomia legislativa-> bisognava quindi evitare l’azione eversiva di questi magistrati; - Bloccare la pericolosa crescita di peso politico dei comandi militari. Quindi doveva esserci la preventiva approvazione dei candidati all’elezione di tribuno e introdusse il divieto di ricoprire altre cariche, comprese quelle cum imperio, utilizzando tale magistratura; inoltre furono ridotti l’ambito di intervento e l’efficacia di tale carica, in quanto il diritto di veto fu intaccato e limitato solo ad interventi a favore del singolo cittadino-> non più condizionamento del gioco politico; 2) Controllo senatorio sui processi legislativi mediante la rivitalizzazione dell’auctoritas patrum interposta alle leggi comiziali; questo si attuò con il contemporaneo ridimensionamento dell’assemblea tributa (vengono così intaccati gli equilibri consolidatisi da secoli; 3) Per evitare che altri utilizzassero come lui aveva fatto, l’esercito per imporsi nel gioco politico romano, ribadì la tradizione che vietava l’imperium militaie nei confini sacri di Roma (pomerium), ma i limiti civili di Roma furono da lui estesi a tutta l’Italia peninsulare, rendendo illegale ogni attività di tipo militare-> spoliazione dei consoli del loro imperium militiae in quanto loro erano vincolati a risiedere e ad esercitare le loro funzioni in ambito italico ; il comando militare era quindi proprio solo delle promagistrature-> finì per rompere l’unitarietà dell’imperium in quanto rendeva inermi le supreme magistrature della repubblica; 4) Riattribuzione al ceto senatorio del controllo dell’intero sistema criminale con la rinnovata composizione delle quaestiones perpetuae (membri del senato)-> 5) Soppressione delle frumentationes alla plebe che consentivano di avere il supporto della base elettorale; 6) Il senato mantenne un organico di 600 individui, permettendo la presenza di individui appartenenti al ceto equestre e permettendo di integrare i due gruppi sociali al vertice della repubblica: nobiltà senatoria e cavalieri; 7) Disciplina del cursus honorum-> proibito rinnovare le cariche magistratuali per più anni di seguito e stabiliti criteri d’età per l’ammissione a tali cariche-> certus ordo magistratum fissava lo schema di carriera che i cittadini romani potevano seguire; 8) Competenza del senato nell’assegnazione delle province ai promagistrati elevando il numero di organici nel governo provinciale ed accrescendo il numero di magistrati minori e dei pretori-> per limitare le prevaricazioni stabilì che fosse annullato l’appalto delle imposte ai pubblicani e stabilì che il tributo fissato dovesse essere riscosso dal governatore della provincia; 9) Con le prescrizioni vi fu la violenta persecuzione dei suoi avversari e questo incise sulla composizione dell’aristocrazia di governo: l’espropriazione dei territori fece impoverire alcuni gruppi e fece accumulare un vasto demanio territoriale da redistribuire ai suoi veterani; 10) Modifica del processo criminale-> per ridurre il ruolo delle assemblee popolari e quindi i margini di arbitrio dei singoli magistrati e dei tribuni-> tecnicizzazione di questo settore del diritto. 4. L’evoluzione del diritto e del processo criminale Per quanto riguarda la repressione dei comportamenti delittuosi, il ruolo dell’ordinamento romano è circoscritto. Limitata è infatti la tipologia dei crimina inizialmente perseguiti direttamente dalla città, mentre in seguito esso andrà ampliandosi, coinvolgendo i magistrati cum imperio e i pretori; a questi si aggiunse poi la funzione repressiva dei tribuni della plebe: la facoltà di irrogare sanzioni a chi avesse attentato alla loro persona si era estesa, anche in virtù dello ius auxilii, alla persecuzione di molti altri comportamenti illeciti dei cittadini e dei magistrati. Da tale facoltà si era sviluppata la più generale azione a tutela della maiestas populi romani: un reato più moderno della perduellio e che la soppiantò. 37 Vi fu poi inoltre la formazione di poteri personali a base militare agevolata dalla dicotomia tra sistema ordinario delle magistrature cum imperio e delle promagistrature, e dall’esigenza della prorogatio imperii (attribuzione a magistrati decaduti dalla carica il compito di portare a termine le campagne militari iniziate oppure l’amministrazione delle province conquistate). Pompeo era ormai il più chiaro esempio: essendo stato la chiave del successo di Silla aveva ottenuto diversi imperia pretori e il trionfo. Console nel 70 a.C. la sua ambizione e il sospetto del senato a concedere poteri straordinari spiegano la resistenza del senato ad attribuirgli il comando per combattere il dilagante flagello della pirateria nel Mediterraneo orientale e nell’Adriatico (che mettevano a repentaglio le comunicazioni marittime e le fonti di approvigionamento di Roma). Questi poteri gli furono poi attribuiti con una Lex Gabinia de piratis persequendis (67 a.C.): erano quindi stati attribuiti ad un privato, al di fuori degli schemi della prorogatio imperii e anche con il superamento dei limiti territoriali dello stesso imperium, oltre che di quelli temporali (oltre l’anno). Avendo egli così ottenuto il controllo di più province territoriali e dell’intera flotta, aveva ottenuto la signoria su tutta la parte orientale dell’impero, senza alcun limite posto da controllori esterni-> aveva così raggiunto il potere personale che Silla aveva cercato di emarginare. Inoltre egli era riuscito a strappare a Lucullo il controllo della guerra contro Mitridate aumentando così il suo potere personale: tuttavia si sarebbe scontrato con il senato per il suo progetto di creazione di nuove province, anche se di regola spettava allo stesso magistrato che aveva conquistato l’inquadramento nell’ambito dell’organizzazione provinciale romana, diventandone così aumentando così il prestigio politico. Se approvato questo progetto avrebbe dato un immenso potere a Pompeo che avrebbe ottenuto il controllo dell’area più ricca dell’impero. Lo sviluppo di questi poteri personali si rese ancora più evidente con un accordo personale che esautorò il ruolo del senato affermando nuovi equilibri: il triumvirato (60 a.C.). I tre esponenti erano due importanti seguaci di Silla: Marco Licinio Crasso e Pompeo, e l’altro era Cesare, appartenente alal famiglia aristocratica della gens Julia, ma legato con la tradizione popolare per il suo matrimonio (di grande valenza politica e non sciolto nemmeno su richiesta di Silla) con la figlia di Cinna, Cornelia. 2. Cesare Cesare aveva già dato prova della sua influenza sui comizi mediante l’elezione a pontifex maximus, con cui aveva battuto numerosi membri dell’oligarchia senatoria. Pompeo e Crasso gli garantivano il loro appoggio nella sua candidatura come console: il consolato era infatti necessario per ottenere i comandi provinciali che gli avrebbero garantito il prestigio militare. Pompeo dal canto suo pensava di ottenere l’appoggio dei comizi per l’approvazione del suo progetto di sistemazione delle province d’Asia che il senato era restio a concedergli e voleva rompere il suo isolamento dovuto al fatto che fosse sospetto all’aristocrazia senatoria ed essendo inviso alla fazione popolare. L’obbiettivo di Crasso era quello di rinverdire il suo prestigio militare guidando una nuova guerra contro i Parti. Questo triumvirato sottolineò quindi la debolezza del sistema di governo. Era ormai evidente che il diritto si piegasse al fatto e ciò lo mostra la rilevanza assunta dal rinnovo in pubblico dell’accordo politico tra i 3 che si verificò a Lucca nel 56 a.C.-> qui si recarono a rendere omaggio numerosi senatori e magistrati cum imperio. Nel 53 a.C. Crasso venne a mancare per la morte durante una battaglia con i Parti e rimasero solo gli altri due. L’azione di Cesare era caratterizzata da una complessità di registri che trascendeva i circoscritti orizzonti della tradizione politica: 1) Legge agraria-> riprendeva il programma di parte popolare dell’età dei Gracchi; prevedeva una nuova distribuzione dell’ager publicus (sia in Italia sia nelle province) e una nuova disciplina per le terre restate pubbliche; 2) Lex Iulia de pecuniis repetundis-> volta a riorganizzare l’intera disciplina di questo reato ed il relativo processo; 3) Politica di alleanze e provvedimenti legislativi volti a favorire l’ordine equestre; 4) Presa sulla parte popolare-> ciò fu assicurato durante gli anni della sua assenza da Roma dall’azione dei tribuni della plebe; era nata infatti l’amicizia con Clodio che amministrò i suoi interessi mentre lui si trovava nella Gallia Cisalpina-> dopo la scomparsa violenta di Clodio i rapporti con Pompeo si incrinarono e dovette quindi avvalersi dell’azione di altri tribuni contro le varie iniziative legislative. La vittoria di Cesare (45 a.C.) portò ad una trasformazione inevitabile che mostrò: 1) La debolezza delle strutture politiche cittadine rispetto agli immani compiti che si ponevano per il governo e il controllo di un potere esercitato sul mondo mediterraneo; 40 2) La concessione della cittadinanza dimostrò l’inadeguatezza della forma di governo della res publica: molteplici civitates vennero raccolte in un’unica civitas; 3) Si dovette abbandonare la concezione per cui si identificava l’ordinamento politico e giuridico con la struttura materiale di una città e dei suoi abitanti-> si era già superata con l’esperienza municipale e coloniaria ma non aveva avuto riflessi sugli equilibri interni alla civitas; 4) L’intero sistema costituzionale romano si era fino ad allora identificato con la cittadinanza romana coincidente con gli spazi dell’Urbs-> qui era intervenuta una improvvisa dilatazione della cittadinanza, estesa a tutta la penisola con la conseguente scomparsa di quella gerarchia tra alleati italici e Romani consolidata da secoli; 5) Una volta ampliata la polis era impossibile pretendere di conservare gli stessi principi fondanti della libertas repubblicana. Infatti l’espressione della partecipazione popolare risiedeva in quei comizi che presupponevano non una delega ad altri organismi ma la diretta partecipazione di tutto il popolo alle decisioni e alle scelte della città. Come era però possibile la partecipazione alla vita della città? Esistevano si altri modelli organizzativi, ma per trovarli ci si deve rifare alla autocratica volontà del sovrano presente negli stati orientali-> crisi di legittimità difficile da comprendersi e impossibile da risanarsi; 6) Problema del controllo politico della forza militare, aggravatosi con la restaurazione sillana-> non essendovi un meccanismo istituzionale che saldava il governo militare e quello civile, era inevitabile che l’ultimo cadesse alla mercè del primo (accade nel conflitto tra Cesare e Pompeo-> i senatori seguivano l’uno o l’altro spostandosi da un luogo all’altro. Alla fine vinse quello più bravo nella guerra, ma che aveva chiaro l’obbiettivo da perseguire, gli strumenti da utilizzare per realizzarlo e il prezzo da pagare. La situazione precipitò dopo il 52 .C.-> il senato voleva disarmare Cesare che aveva una grande popolarità per i successi in Gallia: i suoi avversari volevano costringerlo a presentare di persona la sua candidatura al consolato, ma lui chiedeva di poter restare in Gallia e di ritornare una volta rieletto (infatti non poteva seguire la prassi costituzionale perché se no si sarebbe ridotto alla mercè dei suoi avversari e non poteva fidarsi a causa dei numerosi provvedimenti legislativi fatti votare da Pompeo per indebolire la sua posizione- > pesava la sua posizione nelle province ma aveva l’aiuto a Roma dei tribuni della plebe). Ben conscio che rientrare a Roma come privato cittadino sarebbe stata una dichiarazione di resa, cambiò i termini del gioco: il 10 gennaio del 49 a.C. egli attraversò il Rubicone, il fiume che segnava lo spazio civile dove era illegale condurre eserciti, in modo da affermare una nuova legalità repubblicana. Pompeo si allontanò dall’Urbs, che divenne campo di Cesare, ma Pompeo aveva scelto il teatro del loro conflitto: l’Oriente, dove godeva di amicizie e protezione. A Farsalo Pompeo venne sconfitto, si diede alla fuga ma venne ucciso da Tolomeo. Mediante le successive battaglie (Tapso e Munda) Cesare sconfisse gli ultimi pompeiani e il suicidio di Catone, difensore degli ideali della repubblica sancì la conclusione della vicenda. 3. Governo e riforme all’ombra di un potere monarchico Cesare iniziò a costruire una nuova realtà politica, basata su una nuova legalità: c’era una concentrazione nella sua persona di una serie di cariche e poteri magistratuali ma da sempre conferiti a distinti titolati. Egli superava così la scissione tra potere civile e militare ora ricongiunti: egli ebbe l’ufficio di console ma manteneva il controllo sull’esercito mediante l’imperium proconsolare-> il potere assoluto si vide però con il conferimento della carica di dittatore e con il titolo a vita di Imperator (dato ai magistrati che avevano concluso imprese vittoriose). I comizi gli attribuirono la potestà censoria, cosicché poté intervenire sulla struttura della cittadinanza, sui diversi ordini e ceti, compreso l’assetto del senato, di cui acquistò alcune prerogative: attribuire il governo delle province, decidere nuove guerre e avere il controllo dell’erario (controllo dei flussi di entrata e di uscita), e quindi di tutte le finanze pubbliche (grazie alla potestas censoria). Nel 48 a.C. la dittatura era stata temporanea (anche se oltre i limiti normalmente previsti), mentre in seguito (45 a.C.) divenne un attributo permanente (cosa al di fuori di qualsiasi precedente repubblicano). Tuttavia l’attribuzione del consolato per dieci anni, la facoltà di designare i magistrati e l’aver svuotato i comizi del loro significato facevano di lui non un caso anomalo rispetto alle magistrature ma la loro stessa negazione. Acquistò anche delle innovazioni a livello simbolico: toga purpurea, corona d’alloro e guardia personale (senatori e cavalieri)-> sembrava dirigersi verso la fisionomia di un monarca ma non sappiamo se andò 41 davvero verso questa direzione. Non vi fu però aspetto delle sue istituzioni e della società che non sia stato investito dalla sua azione, ma due sono i settori particolari: 1) Cittadinanza romana-> egli rilancia il processo di integrazione e estende la cittadinanza romana a tutta la Gallia Cisalpina-> unificazione politica della Penisola. Porta l’organico del senato a 900 membri, di cui molti esponenti della borghesia italica (tra cui alcuni Galli e alcune figure di seguaci politici o militari del dittatore. La struttura politica consistette in un potenziamento dei minori centri cittadini pur lasciando grandissimi spazi di autogoverno-> il sistema periferico di città voleva riprodurre in piccolo il modello romano (l’impero municipale creato da Augusto trova qui le sue radici); 2) Mutamento nel governo delle province-> fino a quel momento erano state devastate dalla politica di sfruttamento dei governanti: questa politica andava però abbandonata perché produceva tensioni e resistenze locali oltre che depauperamento dei popoli e dei territori . Cesare così inserì dei limiti agli arbitri nel governo provinciale e favorì il processo di urbanizzazione (crea nuove colonie latine); 3) Altre riforme-> calendario di 365 giorni, sistemazione urbanistica della capitale mediante una serie di opere pubbliche con cui si finanziarono gli strati più deboli (perché così lavoravano) a cui erano state tolte le distribuzioni si grano gratuite che avevano devastato l’erario; legislazione d’emergenza per fronteggiare le conseguenze delle guerre civili con la sospensione del pagamento dei canoni abitativi, e intervento sul problema delle insolvenze debitorie ed infine frenare le dissipazioni e i lussi eccessivi. Questa sua opera è titanica ma coerente ed è l’opera “di un monarca geniale, inserita tra i residui della costituzione repubblicana”-> monarca nella sua fisionomia di fondo, ma rivoluzionario perché non esitava a investire l’autorità ancestrale delle forme giuridiche; a lui spetta la compiuta codificazione, sovvertendo la logica casistica. In conclusione, aveva lo spirito rivoluzionario del dittatore e il distacco dai vecchi schemi repubblicani. 4. L’Italia romana Con la concessione della cittadinanza e le leggi de civitate pesanti erano state le conseguenze per le varie comunità: la condizione per l’acquisizione della cittadinanza romana era infatti la rinuncia agli antichi sistemi giuridici-> questo processo non fu sicuramente di breve durata in quanto la sostituzione del diritto romano era difficile e richiedeva tempo. Tuttavia con Cesare si concluse la lunga storia della graduale assimilazione del mondo italico. Le magistrature locali furono progressivamente unificate secondo schemi generali adottati da Roma conservando un’autonoma sfera di competenze giurisdizionali e il criterio di attribuzione della controversia alla giurisdizione centrale o a quella municipale fu costituita dall’entità economica della causa, com’è confermato in due grandi documenti epigrafici: lex Rubria de Gallia Cisalpina e fragmentum Atestinum: ma ora si trattava solo dei livelli di un giudizio in cui si applicava sempre il diritto romano. Pian piano l’insieme dei diritti privati venne indicato con l’espressione Ius Italicum, che assunse la fisionomia di un vero statuto giuridico concesso a comunità e individui nelle province-> i territori soggetti a tale regime e oggetto del dominium ex iure quiritium (si ricollega alla denominazione arcaica dei romani come quirites) furono esonerati, dal 167 a.C. dal pagamento dell’imposizione tributaria ordinaria. Bisognava intervenire sull’assetto delle tribù territoriali per inquadrare il nuovo organico di cittadini romani, anche se non sappiamo se il numero delle tribù aumentò e se si fosse preservato l’antico criterio di distribuzione dei cittadini in base alla localizzazione delle proprietà fondiarie oppure se si fosse imposto un nuovo criterio fondato sulla loro residenza-> gli abitanti municipali vennero considerati da un lato come appartenenti alla comune patria romana ma anche distinti per la minore patria d’origine: la prima sanciva la comune identità giuridico-istituzionale, la seconda definiva l’appartenenza concreta, cioè l’origo. Tuttavia già in passato una molteplicità di cittadini aveva dovuto inquadrarsi nelle tribù territoriali senza quell’origo, ma soprattutto già nel IV secolo a.C. con Appio Claudio Cieco si era registrata l’iscrizione nelle tribù di coloro che non avevano una proprietà fondiaria (infatti nel caso di schiavi manomessi, di Latini che avevano fruito dello ius migrandi e nel caso di stranieri non c’erano né la proprietà fondiaria né l’origo, dato che la loro patria d’origine non era la civitas romana). Questa nuova distribuzione non ebbe rilevanza nel piano politico, in quanto era impossibile per coloro che non fossero di Roma recarsi ai comizi, ma soprattutto c’era stato un deperimento dei comizi. Così la fisionomia giuridico-amministrativa dell’Italia si era ormai risolta in una civitas che comprendeva l’intera Penisola e ogni centro cittadino moltiplicò in piccolo il sistema di governo romano: con il suo senato 42 l’adozione di questo il suo praenomen: Imperator, a significare l’eredità politica del suo predecessore, ma anche a sottolineare il suo ruolo di preminenza nella res publica e il fondamento militare di tale potere. Nel 23 a.C. completò il percorso costituzionale rinunciando al consolato, carica che avrebbe ricoperto altre due volte cercando di evitare ogni magistratura repubblicana; ottenne così la pienezza dei poteri tribunizi, senza però la titolatura della carica, ottenendo così: potere di convocare i comizi, potere di veto e carattere sacrosanto della sua persona. Così il suo imperium da quell’anno divenne maius cioè superiore a quello degli altri magistrati titolari di imperium. Assunse anche lo ius agendi cum patribus che gli dava il potere di convocare e presiedere il senato e probabilmente si ampliarono i suoi poteri proconsolari avendo il controllo anche delle province senatorie. Avrebbe poi assunto l’imperium consulare e lo ius auxilii (diritto dei tribuni dellla plebe a difesa del singolo cittadino), esteso al pomerium-> aveva anche il diritto di modificare la decisione delle corti giudicanti nei processi criminali, aggiungendo il suo voto a quello dei componenti. Si andò quindi a sopprimere l’antica dicotomia tra ordinamento politico e potere militare, in quanto il comando andò a concentrarsi nelle mani del principe, che poteva: decidere sulla guerra e sulla pace, ma anche sulla stipula dei trattati internazionali e sulla definizione degli assetti amministrativi dei municipi, delle colonie e di tutte le altre comunità e popoli sottoposti alla sovranità di Roma. Rifiutò le cariche di: cura legum et morum, censor perpetuus e dictator rei publicae constituendae, non perché non volesse il potere, ma perché non voleva ricollegarsi alle antiche cariche magistratuali. Non esitò invece ad esercitare il potere censorio (censimenti e lectio senatus), anche se ripristinò una coppia di censori scelta tra due senatori. C’era un governo che conservava la forma della costituzione repubblicana ma si basava su un potere personale garantito dal controllo dell’esercito e di tutte le sfere della politica e dell’amministrazione-> egli fece quindi concentrare in sé le competenze proprie delle più importanti magistrature repubblicane. Le competenze che aveva lo sottraevano al controllo del senato, che aveva da sempre controllato l’attività dei magistrati, anzi poteva convocare e presiedere questo organo, di cui aveva preso il compito di orientare i magistrati nelle proprie cariche. Cesare Ottaviano era scomparso; rimaneva solo: Imperator Caesar Augustus, titolo che non conservava tutte le sue origini familiari e il vertice di capopopolo di una fazione macchiatasi di delitti, ma solo il legame con Cesare, ormai divinità. Nel 12 a.C divenne pontifex maximus, cioè intermediario tra sfera umana e divina e nl 2 a.C. pater patriae, ricordando la dimensione arcaica e patriarcale. Egli ebbe quindi sapienza politica e fortuna che la sua vita sia durata così a lungo, permettendo di giungere alla stabilità e alla sicurezza a cui tutte le parti dell’impero ambivano. 2. Il compromesso augusteo Per costruire il proprio consenso avrebbero dovuto fare i conti con la tradizione politica repubblicana; per questo Augusto non compirà mai le brusche accelerazioni di Cesare. Per non offendere la tradizione repubblicana era necessario che le antiche istituzione mantenessero un ruolo non solo formale, anzitutto il senato (che avrebbe potuto essere ostile a lui in quanto si era messo contro di lui quando era contro Antonio e aveva ucciso Cesare), serbatoio che non poteva essere soppresso anche perché la dissoluzione della vecchia nobilitas avrebbe smentito il programma di stabilizzazione della società, che prevedeva si trasformazioni ma non l’integrale cancellazione della fisionomia della città; inoltre evidente era l’importanza dell’ordo senatorius, in quanto tutti i comandi militari erano affidati al ceto senatorio. I valori repubblicani erano quindi ancora molto presenti (se non lo fossero stati no dissanguamenti). Il richiamo all’impasto ideologico della res publica era stato il suo punto forte nella propaganda contro Antonio e restava il cemento della nuova costruzione; ciò si associa alla libertas aristocratica che gli era propria. Da qui deriva la complessa fisionomia della sua condotta e il carattere di compromesso tra vecchio e nuovo rappresentato dalla costruzione istituzionale. Il suo potere è si in continuità con le istituzioni repubblicane, perché la tensione tra vecchio e nuovo si rifletteva nelle sue qualificazioni dove appariva da un lato come detentore del comando militare e dall’altro come il principes del consesso senatorio (come prevedevano le antiche regole repubblicane). Inoltre, egli continuò a compiere atti di ossequio nei confronti del senato, pur iniziando a eroderne i poteri effettivi-> questa ambivalenza si ritrova anche nel fondamento dei suoi poteri derivati dall’investitura del senato e del 45 popolo: i due pilastri dell’ordinamento repubblicano che erano espressine del suo ruolo militare evocato dal titolo di Imperator. La politica religiosa fu importante per creare consenso-> egli era pontifex maximus e fece erigere l’Ara Pacis Augustae (9 a.C.) per celebrare la pacificazione dell’impero (evocati i miti di Enea, degli dei della città e presenza di una copia delle res gestae). Ma le forme tradizionali della politica religiosa assunsero anche delle novità: culti secolari, divinizzazione di Cesare, rilancio dei culti gentilizi e del culto della dea Venere (da cui la gens Julia si vantava di discendere). I veri titoli di legittimità del potere erano però l’esercito e il popolo: l’imperium proconsulare e la tribunicia potestas esprimono questo speciale rapporto-> ne risaltava l’immagine di un governo fondato sul consenso popolare e sul supporto di un’armata il cui organico proveniva dalle diverse province di Roma romanizzate; il fattore militare creava così una nuova base rappresentativa degli interessi collettivi presenti nell’impero forse non meno efficace del ruolo dei comizi. Se vista solo attraverso la grande concentrazione di potere la situazione emersa dopo il 27 o il 23 a.C. poteva essere interpretata come la signoria di un monarca. Oggi non è possibile fermarsi ad un’interpretazione del genere, in quanto forniremmo un quadro sfalsato, svalutando così l’intelligenza politica di Augusto e la sua sapienza nel compiere il percorso da Ottaviano a Imperator Caesar Augustus. Non solo non si comprende la complessità ma nemmeno le difficoltà affrontate nella successiva evoluzione. Alcuni storici hanno considerato il principato come una forma di monarchia militare o come una forma di diarchia tra il vecchio sistema repubblicano e il superiore protettorato del principe (ci sono state interpretazioni dominate da pesanti preconcetti ideologici). Non bisogna circoscrivere l’analisi al solo programma ideologico di Ottaviano-Augusto, ma deve esserci la considerazione delle strutture sociali. Per esempio l’aristocrazia senatoria era coinvolta nel sistema di governo e nel sistema economico ancora basato sulla ricchezza fondiaria (e in più attività militare, da sempre connessa a loro e ora sotto il controllo di Augusto); il princeps non si differenziava da questo ceto: era il più ricco, con un patrimonio personale immenso ma non diverso da quello della classe senatoria. Il princeps aveva un potere sovrastante che metteva alla sua mercé qualsiasi cittadino-> sembrava quindi un potere così espansivo ma in realtà informali limiti erano posti dalla persistenza dei vari blocchi e in generale della struttura stessa della società imperiale. La sua azione politica non mirava a intaccare il fondamento del mondo che egli voleva controllare e consolidare e per questo andava salvaguardata l’antica gerarchia nobiliare: era il singolo alla mercé del princeps, non l’intero gruppo. Il rapporto tra questo suo nuovo ruolo e i suoi equilibri viene indicato con il termine auctoritas: il termine auctoritas ha un significato non ben determinato; Augusto dice di aver avuto “potere, nulla più di quello che ebbero i suoi colleghi” tutti però sovrastando per l’auctoritas. Il termine auctoritas ha un’ampia valenza tecnico-giuridica: essa ricorre i molti aspetti del diritto sia privato sia pubblico, esprimendo una funzione di sorveglianza e integrazione da parte di un soggetto nei confronti dell’azione e dei poteri di un altro (auctoritas si incontra anche relativo a comiti del tutore di un impubero o di una donna-> perché essi possano compiere atti giuridici vincolanti deve subentrare l’auctoritas del tutore). Il princeps sembra così perfezionare i processi decisionali propri degli altri organi di governo: ha l’auctoritas sulla res publica, ma non ne è il sovrano, è il protettore, il supremo garante. 3. Un sistema dualistico Con Augusto vi fu un ridimensionamento del potere del senato, in quanto il controllo della politica estera e di quella militare passarono sotto il controllo del principe. Tuttavia, non diminuì l’aspirazione a fare parte di questo consesso, in quanto il senato aveva l’antica funzione di selezione sociale e di garanzia dell’apparato militare e di governo-> i senatori furono ridotti di nuovo a 600 e ne furono esclusi molti provinciali introdotti da Cesare in quanto l’obbiettivo di Augusto era quello di riaffermare la centralità politica della società romano-italica. Del senato facevano parte: i diretti discendenti di un membro del senato o coloro che fossero stati scelti dallo stesso princeps; in seguito venne anche stabilito un criterio di ricchezza: era necessario possedere almeno 1 milione di sesterzi, anche se in molti casi il princeps intervenne a integrare le insufficienti ricchezze personali dei prescelti. La selezione dei nuovi senatori doppiamente dipese dal princeps: 1) Del senato facevano parte ex-magistrati, ma per designare i candidati aveva la commendatio vincolante per gli stessi comizi; 2) La selezione successiva dei senatori era effettuata dal princeps con la sua lectio. 46 Entrare nel senato consacrava la precedente carriera, ma consentiva di avere un ruolo importante nel nuovo assetto politico-amministrativo, dove le possibilità di carriera erano ancora più numerose (molti uffici da ricoprire). Il senato era coinvolto nelle iniziative più pubblicizzate, aveva competenze nel controllo delle finanze e per quanto riguarda le province restavano di competenza le sue più antiche e pacificate, in cui non erano stanziate significative unità militari e dove il senato provvedeva alla nomina dei governatori (affiancati da legati e questori come collaboratori). I senatus consulta assunsero quindi un nuovo valore di fonte normativa: in un primo momento non avevano trovato applicazione attraverso l’imperium magistratuale ma in seguito (I e II secolo d.C.) assunsero il ruolo di autonoma fonte del diritto civile, con efficacia identica a quella delle antiche leges comiziali-> così ridisegnati ampi spazi del diritto privato romano. Il controllo dell’iniziativa restò costantemente nelle mani del princeps in quanto alle sue proposte di delibera era difficile opporsi. Il senatoconsulto era emanato su una proposta del princeps e pian piano la delibera del senato si discostò sempre meno dal testo sottopostogli, sicché i giuristi parlarono di “oratio in senatu habita” cioè “discorso tenuto dal principe in senato”. Inoltre, il senato mantenne il controllo della repressione criminale, controllando il crimen maiestatis e il crimen repetundarum (con Tiberio giudicarono reati di ogni tipo se vi fossero stati coinvolti personaggi di rango senatorio o equestre). 4. Gli antichi organi della res publica Lo spazio dei comizi fu ridimensionato, in quanto essi avevano perso le loro competenze giudiziarie a favore delle quaestiones perpetuae, ma con Augusto persero anche gran parte del loro ruolo nella scelta dei magistrati, perché Augusto possedeva una commendatio che faceva si che la nomina dei magistrati fosse trasferita dai comizi al senato, rendendo di fatto la loro elezione un atto dovuto dei comizi. Augusto diede però rilievo all’altra funzione dei comizi: la legislazione, mediante la creazione di un corpo di leggi- riformando interi settori del sistema sociale. Si trattò di una fase breve: con i suoi successori questa attività comiziale fu sostituita dai senatoconsulti e dalle costituzioni imperiali (nel I secolo d.C. persero importanza e non furono nemmeno convocati). Mostra attenzione per le procedure di voto: egli ridisegna anche le procedure di voto, ridisegnando un complesso sistema di precedenze tra le varie centurie in ordine dell’andamento della votazione-> questo perché Augusto poteva così perseguire il controllo dell’assemblea comiziale, in quanto sospettoso di essa come del senato. Della numerosa serie di leggi comiziali ricordiamo: 1) Lex Iulia iudiciorum privatorum-> comportava la definitiva scomparsa del processo per legis actiones; 2) Lex Iulia iudiciorum publicorum-> riforma del processo penale romano, intervenendo sulle quaestiones; 3) Leggi per il campo familiare-> dovute a delle preoccupazioni di carattere demografico: per il ruolo che la nobilitas e il ceto equestre continuavano a rivestire era necessario un incremento demografico di questi gruppi sociali (invece c’era stato un calo della natalità per le guerre civili prima e poi per l’inizio di una vita lussuosa e rilassata). Vengono quindi create le legis Iuliae de maritandis ordinibus, mediante le quali vi erano una serie di meccanismi incentivanti e sanzioni economiche per stimolare la natalità della nobilitas e per favorirne i matrimoni legittimi. Si creò quindi un sistema normativo organico, passato con il nome di Lex Iulia et Papia volto a disciplinare tutto il sistema familiare e i rapporti coniugali, mentre erano state introdotte regole di moralità e disciplina sociale all’interno dei vincoli matrimoniali, reprimendo le condotte scandalose e i disordini sessuali. Per quanto riguarda le altre magistrature c’era stata una generale decadenza, soprattutto per quanto riguarda i consoli, in quanto le loro funzioni politiche e militari erano state avocate dal principe-> oltre ai consoli ordinari vennero creati dei consoli suffecti, in modo da soddisfare un maggior numero di persone e in modo da ridurre l’effettiva rilevanza della carica. Questo non fece venir meno l’interesse per tale carica, anzi: essa garantiva infatti l’elevata posizione in senato per gli ex consoli e perché da essi provenivano i governatori provinciali, il praefectus urbi e coloro che erano impegnati nella macchina del governo imperiale. La stessa perdita di ruolo fu subita da: censori, tribuni ed edili. I censori in quanto, sebbene Augusto avesse cercato di ricostruire tale magistratura, il suo contenuto era divenuto elemento integrante del ruolo del principe (con Domiziano scomparve definitvamente). 47 sia sulle statue (presenti in municipi ma anche in luoghi privati), cosa consuetudinaria anche con gli imperatori successivi. In un mondo stabilizzato erano però ancora presenti inquietudini di un tempo, il che portava a cercare certezze e valori diversi-> ciò porterà alla formazione della concezione di un dio unico e salvatore, seppure espressa da una molteplicità di fedi, tra cui il cristianesimo: per la sua autonomia dai valori della politica esso entrerà in collisione con l’ordinamento politico romano. XIV. Un’architettura di governo 1. L’assetto istituzionale Il disegno istituzionale venne sottoposto a continui riaggiustamenti, dove il riferimento all’antica architettura repubblicana segna il limite all’affermazione di un potere altrimenti assoluto. La concentrazione di poteri e la nuova macchina furono perfezionate nel corso della lunga vita, a tal punto che dureranno efficacemente per secoli. Quattro sono gli aspetti caratterizzanti: 1) Instabile ma durevole compromesso tra il ruolo preminente dei vecchi gruppi dirigenti e i processi di integrazione di assorbimento dei nuovi gruppi ed elementi a supporto dell’ordine imperiale; 2) La creazione di un corpo di amministratori e di un sistema di uffici per governare l’immenso apparato politico e territoriale controllato da Roma con un articolato sistema di rapporti tra centro e periferia; 3) La riorganizzazione militare romana, con una precisa definizione dei suoi compiti permanenti; 4) Il riordino del sistema finanziario e tributario, centrale e periferico. Il primo è già stato trattato, il secondo ci dimostra come funzioni imperiali e ruolo cittadino si intrecciassero tra loro. È inoltre importante capire che la città di Roma e l’impero furono i due poli su cui si fondò il governo del principe, rispetto a cui l’Italia restava un qualcosa di indeterminato: non era l’urbs ma non era nemmeno assimilabile al mondo provinciale. Roma era infatti la città che era stata sede esclusiva del potere politico ed era di fondamentale importanza il controllo su di essa: fu perciò creato il praefectus urbi, in occasione dall’allontanamento da Roma da parte di Augusto (questa figura diventerà però permanente con Tiberio) nel 26 a.C.-> le competenze del praefectus urbi erano compiti di polizia connessi alla sfera giurisdizionale, ma si estero poi alla repressione criminale entro le cento miglia da Roma oltre che in Roma. Il praefectus urbi non è identificabile con una magistratura tradizionale in quanto egli era eletto dal principe. La carica più elevate per il ceto dei cavalieri era invece il prefetto del pretorio, il quale era a capo delle truppe scelte poste a presidio di Roma e poi dall’intera Italia peninsulare; esse derivavano dalla vecchia guardia personale, la cohors pretoria: il loro organico venne però ampliato fino a giungere al numero di nove coorti (di mille uomini ciascuna), di cui tre stanziate a Roma: coloro che ne facevano parte godevano di un trattamento economico privilegiato e avevano grandi opportunità di carriera nell’esercito. Il prefetto del pretorio assunse un ruolo fondamentale, perché avrebbe dovuto evitare i complotti a danno del principe e crebbe di importanza perché avrebbe pesato in modo drammatico nei momenti di crisi del principato o nel momento di designazione del nuovo principe. Anche il praefectus praetorio ampliò la sua sfera d’azione fino ad esercitare un diretto controllo sull’apparato amministrativo dell’Italia estendendo poi il controllo anche al campo della giurisdizione; si aggiungevano poi altre funzioni di repressione criminale fuori di Roma e del territorio circostante. Sul piano più strettamente militare aveva il generale comando delle armate romane accanto all’imperatore. Quindi ben si comprende la sua posizione di primo piano nelle campagne militari che spesso lo videro impegnato in prima fila. Altro gruppo di funzioni attribuite ad Augusto e ai suoi successori furono quelle dell’annona, cioè dell’approvvigionamento di Roma-> un compito molto difficile visto il milione di persone che abitava il luogo, ma un compito di grande rilevanza politica-> il trasporto del grano avveniva soprattutto via acqua (dalla Sicilia e dall’Egitto attraverso il porto di Ostia); questo determinò la supervisione da parte del principe del rifornimento della capitale e il controllo della sicurezza delle rotte marittime. Per questo Augusto e i suoi successori eserciteranno queste funzioni attraverso funzionari delegati: praefectus annonae (ordine equestre), con un rango inferiore solo al praefectus praetorio e praefectus urbi. Vi fu poi un il praefectus vigilum, incaricato con le sue cohortes vigilum della prevenzione e della difesa della città dagli incendi. Accanto al praefectus urbi c’erano quattro cariche di praefecti (praetorio, annonae, vigilum ed Egitto) assegnate all’ordine equestre. Tre di queste erano legate alla vita di Roma, ad indicare che essa era il centro 50 della vita urbana, divenuta riferimento di interessi politici di dimensione universali e la sede di governo dell’impero. 2. L’impalcatura amministrativa Le innovazioni perseguite da Augusto nella riorganizzazione del sistema amministrativo riguardarono tutta la capillare rete periferica. Possiamo quindi nuovamente cogliere le due logiche parallele: l’una riferita all’antico sistema repubblicano, l’altra al potere personale-patrimoniale del princeps, a cui corrispondeva il ruolo dei due vertici all’ordine: quello senatorio e quello equestre. In virtù delle sue funzioni censorie il princeps assunse attraverso l’opera di una molteplicità di curatores, quasi tutti di rango equestre, la gestione dell’immenso patrimonio immobiliare costituito da monumenti pubblici e religiosi (curatores aedium sacrarum operum locorumque publicorum), vie, acquedotti e fognature (curatores viarum, acquarum, alvei Tiberis et riparum et cloacarum urbis e i curatores regionum). In parallelo molteplici altre incombenze di carattere amministrativo furono deferite ai procuratores. All’originale preminenza dei liberti subentrarono i procuratores Augusti, di rango equestre, con ruoli più elevati (si collocarono poi altri procuratores prima liberti e poi equites). Tale sistema fu generalizzato a tutti i settori di interesse pubblico in cui rilevava una responsabilità del governo del princeps: amministrazione delle finanze, segreteria del principe e coordinamento di tutti i vari uffici del governo centrale con la rete dei governatori provinciali. Questo trasferimento di logiche privatistiche nella sfera pubblica fu evidente nel campo dell’amministrazione finanziaria-> il patrimonio privato dell’imperatore fu gestito secondo le logiche delle grandi signorie aristocratiche che si erano fondate sui liberti e sugli schiavi. Tuttavia la presenza di due logiche parallele (sistema burocratico-amministrativo e vecchie istituzioni repubblicane) trovava il punto di saldatura nel principe e nei suoi collaboratori. Ai suoi collaboratori confluiva un flusso di informazioni a cui pervenivano richieste e quesiti, da cui aveva origine ogni decisione in merito alle richieste-> da qui deriva l’importanza degli uffici centrali e dell’uniformazione delle procedure da essi seguite . Tutto ciò spiega le costanti comunicazioni con i governi periferici, attestata dalle costituzioni imperiali e dalla corrispondenza (tipo quella tra Traiano e Plinio il giovane). L’ambiguità è ancora presente in ciò: tutti i magistrati superiori e i promagistrati si erano avvalsi di un consilium fatto di amici e di esperti e lo stesso fece il princeps. Il consilium principis aveva l’elemento della consorteria politica: alleanze personali, ereditarie, dipendenza clientelare e scambio di benefici. Dopo Claudio esso venne prendendo una maggiore consistenza sino alla svolta intervenuta con la riorganizzazione di Adriano-> anche allora non avrebbe perso la fisionomia di un organo del princeps, costituito da amici del princeps, anche se era più evidente la sua funzione di supporto e coordinamento del governo imperiale, anche nell’ambito dell’attività giurisdizionale-> ciò spiega perché oltre ai personaggi più autorevoli del governo imperiale fossero presenti in tale consilium anche i migliori giuristi dell’epoca. Allora l’appartenenza al consilium non solo venne formalizzata, ma venne anche retribuita, anche se quando veniva convocato non era necessaria la convocazione di tutti i suoi membri vista la gamma estesa di consulenze che esso era chiamato a fornire. Il componente più autorevole del consilium il prefetto del pretorio, venne chiamato a presiederlo nel caso di assenza del princeps. Vi fu inoltre una moltiplicazione degli archivi pubblici e quindi di delineò un quadro conoscitivo sempre più completo. 3. Il centro del potere e del governo provinciale L’architettura era stata pensata in modo razionale, garantendo gli equilibri sociali e politici e il potere militare; questo, insieme alla fine dell’espansionismo militare romano, consentì un lungo periodo di pace all’interno dell’impero. Non vennero meno omicidi, delitti e complotti in quanto la storia del primo secolo del principato è costellata di atrocità (Seiano, persecuzioni sotto Domiziano), che però poco si riflettevano sulla popolazione (a differenza di ciò che era accaduto), ormai esclusa nella lotta per il potere, e ancora meno sulle deboli province. La macchina creata da Augusto continuò a funzionare fino a Marco Aurelio e portò ad un processo di stabilizzazione volto a riequilibrare il rapporto tra centro e periferia provinciale: Augusto aveva ottenuto il controllo unitario e costante esercitato dal potere centrale su tutti i governi provinciali-> fortissima integrazione delle elite locali-> ciò si vede nel discorso pronunciato da Claudio in senato, in quanto egli inserì nel senato alcuni esponenti provinciali e si impegnò anche in una politica di concessione della civitas romana a numerose comunità provinciali-> riprendevano così vigore i circuiti di integrazione che 51 consentivano per i nuovi cittadini forme di ascesa sociale attraverso la carriera militare o al servizio del princeps (Vespasiano era di origine italica e Traiano di estrazione provinciale). Questo non portò a diminuire però la distanza tra centro e periferia ed è qui che interviene l’esercito, dove un bravo ufficiale poteva ascendere ai massimi livelli a fare un salto verso il potere supremo, entrano nel rango equestre o addirittura a volte nella nobilitas senatoria. Augusto riprese la distinzione tra province senatorie (populi romani), istituite da tempo e pacificate e le province imperiali, ancora sotto il controllo delle armate romane. Nelle province imperiali il principe nominava come governatori dei legati Augusti muniti in genere di imperium pro praetore (alcuni di rango consolare) e invece le province populi romani erano governate da proconsules di rango senatorio provenienti dalle fila degli ex consoli e degli ex pretori. Pur essendo formalmente designati dal senato su di essi vi era la sorveglianza del principe in ragione del suo imperium maius, gerarchicamente superiore agli imperia dei singoli governatori-> poteva infatti inviare istruzioni con contenuto analitico in forma di mandata; d’altro canto gli imperatori si orientano sempre di più ad informare il princeps su tutte le questioni di un certo rilievo. Vennero poi introdotti anche funzionari e magistrati inferiori, cosicché il governatore aveva ancora minore autonomia; venne poi introdotta una durata più circoscritta delle province senatorie, tale da ostacolare qualsiasi velleità di costruire poteri autonomi o dal far mettere radici in profondità. Ancora più complesso è il ruolo dei governatori nell’assetto amministrativo e in ciò che concerne gli aspetti finanziari essenziali per l’organizzazione imperiale. Sin dall’età augustea erano stati posti dei procuratori imperiali anche se non era chiaro il rapporto tra questi e il governatore provinciale (anche se a questo rimase un potere residuale). Vi fu inoltre la scomparsa delle forme d’appalto delle imposte e anche la scomparsa dello sfruttamento a cui si sostituì un sistema più stabile e più immediatamente sottoposto al controllo centrale-> vennero poi creati dei vincoli posti alla condotta anche privata del governatore in modo da impedire arricchimenti illeciti e prevaricazioni; le costituzioni imperiali introdussero limitazioni alla libertà negoziale, il divieto di contrarre matrimonio con una provinciale e non potevano gestire attività commerciali. Inoltre la politica di lavori pubblici faceva capo al governatore che si avvaleva di diretti collaboratori oltre a interagire con le amministrazioni delle varie civitates. Inoltre divenne sempre maggiore la supervisione sui bilanci cittadini al fine di scongiurare i pericoli di dissesto delle finanze locali. Il governatore era inoltre punto di riferimento nell’amministrazione della giustizia e la sua competenza si estendeva sia all’ambito privatistico sia a quello penale con un limite costituito dall’autonomia a favore dei centri cittadini, che potevano essere: civitates liberae, liberae et immunes o foederatae con un’autonomia quasi sovrana-> questo comportava un complesso intreccio di situazioni giuridiche. La condizione dell’Egitto era particolare per le ricchezze e la produzione granaria fondamentale per l’approvvigionamento di Roma-> Augusto agli occhi degli egiziani appariva come un erede dei faraoni che assumeva gli stessi onori divini e umani goduti dai Tolomei. L’Egitto era sottoposto ad un controllo diretto, attraverso un praefectus aegypti (carriera più elevata per coloro che erano di rango equestre)-> era vietato ai senatori e ai più importanti membri del ceto equestre recarsi in Egitto senza l’autorizzazione imperiale-> era infatti strategico e fondamentale per l’approvvigionamento. La situazione dell’Egitto non unica, ma c’erano altre province governate da praefecti o procuratores scelti da Augusto in quanto successore dei governatori locali: Alpes Cottiae e Poeninae, Rethia, Noricum, Tracia, Giudea e Epiro. Sebbene l’espansione territoriale si fosse conclusa si avviò un’opera di riorganizzazione interna, che portò le province da: 15 a 30 a 45 (II secolo d.C.), cosa che permise di rafforzare il controllo capillare del princeps. 4. Una rete di governo La traduzione della res publica in impero universale fu un processo lungo e complesso. Il sistema sperimentale sviluppato da Augusto non era chiuso e definitivo, ma sarebbe stato poi perfezionato. Vi fu un vero e proprio salto di qualità accentuato dai meccanismi conoscitivi e decisionali posti in essere dal sistema- > la cancelleria imperiale, cioè lo strumento indispensabile per governare l’universo imperiale; in questo modo il sistema periferico era soggetto ad una costante opera di monitoraggio ed inoltre questa cancelleria comportava una specializzazione del personale reclutato dal principe. Il potenziato rapporto tra centro e periferia fu possibile perché fu messo in opera un complesso sistema di circolazione delle informazioni e delle direttive imperiali-> operazione complessa visto il mosaico di popoli e destinatari del potere imperiale. In questo sistema assume importanza l’ufficio ab epistulis, strumento di comunicazione con l’esterno del principe e diviso in due per la corrispondenza in latino e in greco (le due lingue dell’impero), sotto la 52 Dopo la catastrofe di Teutoburgo (9 d.C.) dove tre legioni romane guidate da Varo furono dai guerrieri germanici sotto il comando di Arminio, la politica imperiale mirò solo al consolidamento delle frontiere dell’impero, in particolare quelle orientali, per evitare tentativi espansionistici. La dislocazione delle armate romane si sostanziò fuori dall’Italia: mentre i pretoriani rimasero per la maggior parte Italici, l’organico delle altre legioni era per lo più costituito da provinciali. Nei due porti di Ravenna e Miseno ripararono le flotte militari alle dipendenze dei praefecti classis, che avevano il compito di garantire la sicurezza delle coste italiche e anche di controllare le comunicazioni marittime. Questo portò a diminuire notevolmente l’organico militare e portò ad una concentrazione maggiore dell’organico delle legioni in alcune zone e la diminuzione di questo in altre. Il grosso fu messo a consolidare i confini dell’impero (corpi d’armata in Germania superior e inferior, in Pannonia, in Cappadocia contro i Parti e in Siria quattro legioni). I soldati spesso vivevano separati dalla civiltà urbana e secondo logiche di autosufficienza, vista la durata del servizio e la dislocazione in luoghi dove raramente sorgevano centri urbani. Ai soldati era anche vietato di contrarre matrimonio con le donne locali anche se si crearono delle unioni permanenti poi regolate dai governanti romani. Inoltre lo sfruttamento dei territori più marginali costituì uno stimolo di avvio ai processi di urbanizzazione-> effetti sul territorio. Inoltre i quadri ricoprivano funzioni amministrative. Tuttavia l’accentuarsi dei presidi militari portò a forme di sospetto nei confronti di quelle armate che erano indispensabili per la sicurezza. Il conflitto tra società civile ed esercito divenne sempre più evidente a causa dell’intervento di questo nella politica-> le coorti di pretoriani furono fondamentali per la successione imperiale e per la partecipazione ai complotti. Questo portò le armate provinciali a intervenire in questo gioco acclamando i loro comandanti come imperatori-> questo perché le legioni erano composte per lo più da provinciali e per questo vi fu il crescente riferimento al princeps come vero e unico titolare della fedeltà di questi soldati in parte estranei alla cittadinanza di Roma. La delicatezza dei sistemi di controllo delle varie armate fece si che il controllo venisse affidato al comando di uomini di immensa fiducia del princeps (legati imperiali, legati preposti a funzioni militari), e in più altri personaggi di rango senatorio ebbero poi funzione di osservazione e di controllo delle situazioni legali. XV. La fisionomia dell’ordinamento imperiale 1. Il problema della successione Un problema erano i meccanismi di trasmissione del potere ed egli si preoccupò della successione nella sua lunga vita: non si trattava di una monarchia con le sue logiche dinastiche, ma di una serie di investiture formali da parte del senato e dei comizi, investiture richieste anche dal successore di Augusto. C’erano però delle logiche dinastiche nelle forme aristocratiche in quanto le nuove generazioni acquisivano il capitale politico dei padri-> fu uno degli strumenti necessari in quanto vi era la necessità di inventare un successore. Per fare ciò investì l’erede prescelto della rilevanza politica e sociale da lui acquista: fece sposare Giulia, sua unica figlia, prima con Marcello poi con Agrippa e infine, dopo la morte di questi, con Tiberio. Tuttavia oltre allo strumento del matrimonio ne fu usato un altro: l’adozione (usata poi per i successivi imperatori-> Caligola no adottato da Tiberio ma solo designato). Nonostante ciò la scomparsa del princeps portò ad un vuoto istituzionale in quanto concerneva la sfera privata dei diritti, non la sfera pubblica-> poteva rivendicare il patrimonio del princeps, non il potere imperiale. Per questo si attuò un’integrazione del successore nella sfera di potere e di governo durante la vita del predecessore; per esempio Tiberio fu investito dell’imperium proconsulare e della tribunicia potestas, poteri destinati a consolidare il successore della scomparsa dell’imperatore in carica. Inoltre andavano coinvolti nel processo il senato e il popolo; tutti i poteri che Ottaviano aveva acquistato le aveva acquistate per iniziative del senato ed era quindi necessario che il pacchetto di quei poteri venisse riaffermato in blocco-> venne poi creata la legge sull’imperium (lex de imperio Vespasiani, con cui il senato aveva attribuito in blocco i poteri che erano stati assegnati ad Augusto). Mentre il popolo aveva perso importanza, non poteva mancare la forza militare-> spesso i pretoriani acclamavano il nuovo imperator, e perciò nei momenti di crisi si assistette ad un intreccio di rapporti di forza e rivendicazioni degli antichi ruoli, in particolare nei momenti in cui la caduta improvvisa di un imperatore impediva un’ordinata successione imperiale. Infatti il problema della successione riesplodeva in modo molto acuto, tale che molti organi rivendicavano il proprio diritto di nomina del princeps e vi era la contesa di più aspiranti all’impero che sfociò in un vero e proprio scontro militare (fine della gens Giulio-Claudia con la morte di Nerone)-> determina il tramonto del sistema del principato. 55 2. Una strada già segnata Tra gli immediati successori si stagliano da un lato Tiberio, dall’altro Claudio . Tiberio era il figlio della moglie del principe, Livia. Legato agli antichi valori repubblicana dell’aristocrazia guerriera e designato da Augusto tardi sembra aver esitato ad accettare il potere imperiale. Nonostante la sua apparente era quella di valorizzare il senato ma si giunse ad esiti opposti. Sotto di lui si accentuarono gli aspetti autoritari a causa anche del praefectus pretorio Seiano, che durante gli anni di esilio volontario di Tiberio a Capri ne approfittò per infierire sul ceto senatorio. Tuttavia anche dopo l’uccisione di questo non vi fu una rivalutazione del senato. Egli contribuì però a risanare una situazione finanziaria dell’impero e a consolidare la strategia militare, evidenziando la funzione difensiva delle frontiere (limes) e si completò il disarmo di gran parte dei territori provinciali-> vi fu una reazione per vendicare (morto per cause misteriose), sotto la brillante guida di Germanico, l’umiliazione di Teutoburgo. Il governo di Claudio-> seguì gli anni turbolenti del governo di Caligola; vi fu una ripresa dell’espansionismo territoriale (conquista Gran Bretagna) e un potenziamento della macchina amministrativa imperiale, in cui furono coinvolti i giuristi romani e i liberti imperiali, cosa che provocò una grande ostilità del senato, diminuito nei suoi spazi d’azione e spiega il giudizio negativo che molti senatori dettero all’imperatore. Tuttavia, sebbene Claudio avesse indebolito il ruolo politico del senato, esso aveva portato ad un ampliamento nel campo legislativo (i senatoconsulti si sostituirono alle antiche leges, costituendo uno strumento). Sotto esso vi fu anche la prima persecuzione cristiana, persecuzioni poi destinate ad incidere sulla società romana e sulla sua forma imperii. Fine cruenta spettò a Caligola e Nerone, cioè quei personaggi che accentuarono eccessivamente il loro carattere autocratico isolandosi rispetto alle altre componenti istituzionali (Domiziano) o mostrandosi impari ai grandi compiti gravanti su di loro. C’erano quindi limiti che non potevano essere superati senza stimolare congiure e complotti di palazzo. Gli aspiranti per la successione di Nerone erano tutti di origine senatoria e appartenenti alla nobilitas romana-> invece Vespasiano era un homo novus appartenente ad una famiglia sabina della tipica borghesia italica. 3. Il principato dei Flavi L’ascesa al potere di Vespasiano comportò una rottura con la precedente tradizione, in quanto essa derivava dall’acclamazione e dal sostegno delle truppe che comandava in Giudea (infatti data l’inizio dell’impero da quel giorno e non da quello successivo all’investitura del senato). Egli fu un grande amministratore e portò quei valori tradizionali del mondo municipale che consistevano in: sapienza contadina, risparmio e duro lavoro. Le origini di Vespasiano diedero una nuova fisionomia al governo imperiale in cui ormai il funzionamento della macchina imperiale prevalse sull’etica aristocratica. Egli aveva come obbiettivo il potenziare le finanze pubbliche e ciò fu testimoniato da una grande lotta per recuperare all’erario quelle parti di terre pubbliche restate indivise ma fruite dai privati. Questo comportò una ridefinizione delle strutture territoriali dell’impero e stimolando conseguentemente il lavoro degli agrimensori (riprendeva e sviluppava ciò che Augusto aveva già fatto-> sotto di lui sistemazione degli ordinamenti municipali e censimenti che avevano permesso di capire le rilevazioni materiali dell’Italia). Oltre alla piena integrazione italica sotto i successori, i figli Tito e Domiziano vi fu un processo di assimilazione delle popolazioni extraitaliche (romanizzazione più facile a occidente che nelle zone ellenistiche). Claudio aveva già previsto l’ascesa di alcuni provinciali nei ranghi del senato e questo processo ora si accelerò: dopo l’interregno di Nerva ci fu il primo imperatore provinciale: Traiano-> concessione dello Ius Latii a molte città provinciali e tutte le comunità della provincia iberica. L’ascesa delle élite provinciali nelle fila del senato comportò un processo di unificazione e arricchimento della società imperiale-> la nomina a senatore comportava un obbligo alle sedute del senato e vi erano numerosi incarichi di governo; vi era inoltre uno spostamento di ricchezza per l’obbligo dei senatori d’investire le ricchezze delle terre italiche. Cambiò anche le strategie difensive dell’impero: prima c’erano piccoli stati dipendenti ma autonomi ad ammortizzare le pressioni esterne, mentre egli inglobò tali staterelli (semplificazione linee difensive ma relativo irrigidimento, linee difensive che sfruttavano le barriere naturali)-> l’aumento della spesa venne sostenuto dalla sua politica finanziaria. Il collaudo di questa politica si effettuò sotto Domiziano in quanto vi fu la pressione sui confini delle popolazioni germaniche; Domiziano mostrò delle grandi capacità militari, ma anche delle grandi capacità 56 amministrative-> tensioni con il senato, del cui complotto egli fu vittima-> in seguito fu dato spazio al senato con Nerva. Pian piano venne ad accentuarsi l’elemento militare-> la fedeltà dei legionari in quanto essi erano legati più che alla forma impersonale della res publica all’immagine forte e rassicurante dei loro comandanti e del principe che essi servivano, una fedeltà che si riversava sui discendenti. Per quanto riguarda l’elemento dinastico vi era una particolare posizione dei parenti del princeps per linea agnatizia-> pur cercando di evitare la superiorità formale rispetto ai membri dell’élite senatoria, vi erano onori tributati ai membri dei più eminenti personaggi (istituzionalizzazione pubblica del rispetto sociale). Il principio dinastico non fu mai totalmente determinante per il peso del senato-> pian piano si potenzierà il meccanismo dell’adozione sino a diventare la base del sistema di investitura del potere (alternativa alla libertas conciliando le virtù antiche alle esigenze del presente e riuscendo ad integrare i valori della tradizione senatoria). 4. Il governo dei migliori La successione imperiale fu quindi sottratta ad un’immediata logica familiare, per realizzarsi in base alla designazione dei più meritevoli. Da Nerva (96-98) a Traiano (98-117) ad Adriano (117-138) ad Antonino Pio (138-161) a Marco Aurelio (161-180 d.C.) non intervenne un rapporto di parentela ma un meccanismo di adozione. In realtà in questa investitura dell’optimus princeps agli interessi privati della repubblica c’è molto di costruito (influenze e giochi che condizionarono e influenzarono le scelte del princeps-> questi fattori si dispiegarono all’interno del senato romano, dove trovarono riferimento molteplici forze e dove ricorrono nomi gentilizi di origini recenti ma destinati poi a riemergere al vertice dell’impero). Il prestigio di Traiano fu dovuto ai successi militari, anche se la conquista della Dacia fu incompiuta e non si riuscì a giungere ad una vittoria contro i Parti. Adriano preferì ritornare al consolidamento del limes romano; egli era un grande viaggiatore, amante della cultura ellenistica e percorse le province stimolandone lo sviluppo urbano e sociale. Egli inoltre sviluppò ulteriormente l’apparato di governo, definendo i diversi tipi di carriera e attribuendo ad essi quattro livelli stipendiari: 60, 100, 200 e 300 mila sesterzi annui. Vi fu inoltre una pubblicizzazione dell’apparato di governo che attenuò il carattere di burocrazia semi-personale del princeps in quanto vi fu un organico maggior e no liberti. Egli inoltre definì l’organico delle cariche che potevano essere aperte all’ordine equestre. Inoltre vi fu la presenza di giuristi adrianei nella burocrazia imperiale e vi fu anche la codificazione dell’editto del pretore ad opera di Salvio Giuliano (giuridizzazione della forma imperii grazie a giuristi nel consilium principis). Il governo centrale sotto Antonino Pio e Marco Aurelio non avrebbe conosciuto grandi innovazioni-> fu l’ultima fase alta dell’impero in quanto in seguito si svilupparono difficoltà interne ed esterne. In questo momento lo sviluppo della città urbana sembra allo zenit e la forza di questa stagione, raggiunta grazie all’equilibrio di centro e periferia, è visibile nei resti. Da Traiano a Marco Aurelio l’impero è una signoria pacifica e universale e secondo Gibbon è la stagione più felice non solo della storia di Roma ma di quella dell’intera umanità. Questo grazie alla presenza del bilinguismo, anche culturale, dove latino e greco erano le lingue ufficiali che assicuravano la conservazione di un enorme patrimonio intellettuale. In seguito vi fu l’indebolimento dell’attività municipale a causa della nuova guerra contro i Parti che dissanguò l’impero e portò ad una pestilenza destinata a far cambiare la faccia di numerosi territori. La crisi demografica e i dissesti portarono ad una grave crisi economica (che si espresse in un’inflazione dovuta per lo più alla perdita del valore intrinseco della moneta). Il calo demografico contribuisce a spiegare, con la mancanza di nuove leve, un parziale mutamento dei criteri di arruolamento. Il problema di Marco Aurelio fu l’investitura del figlio Commodo, completamente inadeguato per il compito; egli fu ucciso così come il successore da lui designato, Pertinace da parte dei pretoriani. Questo portò ad una grande crisi politica. La risposta fu in termini militari ad opera delle legioni impegnate nella difesa delle frontiere di Roma-> questo si vide con l’ascesa al potere di Settimio Severo, il quale forte del sostegno delle truppe, era un ottimo comandante militare appartenente alla nuova aristocrazia neopunica-> con lui e con i suoi successori divenne centrale il problema della difesa delle frontiere, difesa per cui furono investite le risorse disponibili in un contesto in cui né l’economia né le condizioni demografiche si erano riprese dalla peste Antonina, tanto che non verrà nemmeno notata l’estensione della cittadinanza a tutti gli abitanti dell’impero ad opera di Caracalla. 57 una specifica res publica-> forse una realtà più antica riferita ai municipia sine suffragio (forse anche un eco statuario delle comunità municipali in età precedente); inoltre anche per i municipi di diritto latino poterono porsi problemi analoghi-> benché i loro ordinamenti fossero estranei al diritto romano, tuttavia tendevano a modellarsi sugli schemi giuridici romani. La diffusione della cittadinanza romana non comportò una totale e radicale uniformità degli statuti locali e degli ordinamenti interni ai municipi-> questo comportò l’eterogeneità e la difformità che non furono sacrificate a favore di una generalizzata unità delle forme giuridiche. In Italia quegli spazi si erano disseccati in modo indolore per la crescente efficacia del diritto romano e della giurisdizione del pretore; quindi il diritto locale venne sacrificato a favore di un unico diritto destinato a regolare i nuovi cittadini romani; ciò avvenne nello stesso arco di tempo in cui le lingue locali si dissolsero a favore del latino (necessario per comprendere il diritto romano). I magistrati giusdicenti si impegnarono di applicare l’antico diritto civile romano ampliato attraverso il loro editto e dall’interpretatio dei giuristi. Gli statuti coloniari e municipali furono un formidabile strumento di assimilazione di popoli e territori-> Roma favorì un orientamento filocittadino e favorendo l’assimilazione di tali territori. L’ottica romana si identificava con la città e quindi si cercò di riprodurre tale modello in tutto l’impero (più facile in Oriente dove c’erano state le poleis); la parte occidentale era originariamente meno evoluta perché l’impatto dell’organizzazione sociale romana aveva operato in profondità plasmando i nuovi modelli socioculturali destinati a sopravvivere al destino di Roma. In certi casi i territori conquistati mantennero intatta la loro condizione precedente alla conquista-> civitas foederatae, cioè legate con un trattato mediante il quale Roma tollerava la sovranità che non era però autonomia; ci sono poi le civitates liberae et immunes (esonerate da obblighi fiscali verso Roma) e le liberae. Il duplice stato di municipium e colonia fu utilizzato a qualificare le nuove istituzioni cittadine quanto a modificare la condizione di una serie di comunità indigene-> la distinzione tra le due condizioni sopravvisse connotando la crescente romanizzazione di un insieme di aree e comunità. Negli altri territori della provincia vi fu invece una sempre maggiore distanza tra governanti e governati (sudditanza popolazioni provinciali)-> di esse furono solo le élite ad integrarsi e ad essere ammesse alla cittadinanza romana. Sebbene la condizione delle diverse civitas venne uniformandosi, solo nel 212 d.C., con la concessione a tutti della cittadinanza romana da parte di Caracalla, scomparve la dicotomia tra coloro che possedevano la civitas romana e i peregrini. I governatori emanavano un edictum in cui chiarivano le pratiche dell’amministrazione provinciale, una serie di indicazioni relative all’attività giurisdizionale di sua competenza, ma anche potere di sorveglianza e controllo sull’azione in questo settore delle civitates liberae e delle foederatae, in particolare nell’ambito della repressione criminale (ciò portava anche a dei privilegi giurisdizionali dei cittadini romani residenti nelle province in ragione delle garanzie legate alla provocatio). La grande fioritura del mondo cittadino si basava sullo sfruttamento delle risorse locali. In tutto ciò vi era l’evergetismo privato: benefici largiti alla comunità dai suoi membri più ricchi (i quali erano praticamente obbligati): gladiatori, opere pubbliche. Di ciò restano numerose testimonianze-> l’imperatore era il principale centro di munificenza di ciò in quanto numerose opere ed edifici furono eretti a sue spese. 2. Diritto romano e diritti locali nel mondo provinciale Pian piano il termine latinus e peregrinus aveva cessato di indicare una comunità sovrana estranea all’ordinamento romano, ma indicava un individuo variamente soggetto al potere romano (il secondo termine in particolare indicava i sudditi provinciali o gli ex-schiavi)-> questa trasformazione semantica ci aiuta a comprendere un limite nell’espansione del diritto di Roma nelle province, in quanto in esse troviamo il mosaico del mondo italico prima della definitiva estensione della civitas romana. C’erano infatti: 1) I sudditi dei territori provinciali non organizzati in forma di civitates-> i peregrini erano direttamente dipendenti dal potere del governatore romano; 2) Civitas stipendiariae-> i cittadini erano soggetti fiscalità romana ma avevano una loro identità istituzionale e un’autonomia amministrativa; 3) Peregrini delle civitates foederatae e delle sine foederae loberae-> vivevano secondo gli istituti cittadini (oltre agli abitanti delle città a cui era stato concesso lo stato di colonia o municipio). Le colonie romane si collocavano su un piano elevato; è in relazione ad esse che prese consistenza lo Ius Italicum, che indica la condizione generale di privilegio modellata sullo statuto giuridico degli italici e del suolo italico. Tuttavia non è ben chiaro quale fosse il regime giuridico e se il diritto romano si applicasse in tutta la sua estensione. 60 All’interno della stessa comunità c’erano poi una stratificazione di più condizioni giuridiche personali-> in questa situazione si trovavano diversi cittadini romani stanziati nelle province, i quali continuavano a fruire del loro diritto, potendo, specialmente in campo criminale, rivolgersi alla giurisdizione centrale sottraendosi allo stesso potere di intervento del governatore. Ad essi si devono poi aggiungere altri cittadini romani in teoria uguali ai primi ma in pratica di più recente promozione: i membri dell’élite provinciale promossi alla cittadinanza romana a titolo individuale (tipo i veterani che al momento del congedo-> cittadinanza con i loro figli). È indubbio che questa miriade di concessioni della civitas romana a singoli individui costituisse un efficace meccanismo di integrazione delle province, ampliando il reclutamento dei vertici politici e sociali-> ciò comportò però alcune difficoltà pratiche: per quanto riguarda l’assetto interno delle civitates liberae, liberae et immunes, foederatae il fatto che ad alcuni dei cittadini fosse attribuita la civitas romana generò una situazione ambigua perché costoro non cessavano di far parte della vecchia comunità, né potevano costringere i loro concittadini a subordinarsi al nuovo diritto a cui essi avevano iniziato ad appartenere. L’autorità imperiale disciplinava in modo particolare questi nuovi cittadini romani, come membri di comunità semisovrane-> mentre nei loro rapporti con i romani avrebbero fruito del diritto romano e dei tribunali romani, nei loro rapporti con i concittadini dovevano restare soggetti al diritto locale ed essere giudicati dai tribunali locali. Questa particolare situazione portò in realtà ad un meccanismo di assimilazione, ma anche ad uno strumento di promozione sociale: potersi differenziare dalla comunità era un fattore di affermazione gruppi di questa comunità non si staccavano dalla loro comunità ma si sentivano integrati in virtù di queste gerarchie. Nello stesso tempo dipendevano da Roma che se ne era così assicurata la lealtà (questa circolazione culturale è testimoniata in modo evidente). Se le pratiche e le tradizioni locali sopravvivevano in una pluralità di situazioni e se all’interno delle varie civitates foederatae e liberae sussisteva una sicura autonomia giurisdizionale è pur vero che il garante ultimo dell’intero ordine legale era il governatore e a lui si ricorreva in ultima istanza. Egli aveva inoltre un potere di intervento sull’autonomia normativa delle varie città, oltre ad avere la competenza delle singole nell’amministrazione della giustizia per i sudditi non organizzati in forma cittadina-> sebbene il diritto applicato si rifacesse alle tradizioni locali i governatori pensavano in termini di diritto romano e questo finì per creare il medium di comunicazione tra governatori e governati, in loro terreno d’incontro (lo divenne più spesso dove vi era l’intreccio di comunità diverse e dove erano richiamate funzioni di arbitrato e mediazione dei governanti romani (ciò lo vediamo in documenti epigrafici relativi a interventi romani nel conflitto tra comunità e provinciali-> qui emergono schemi processuali romani applicati in contesti estranei al diritto romano). Il potere ha esercitato si un’attrazione culturale (adozione dei costumi romani, uso del sistema onomastico dei tria nomina) ma anche un’influenza nel campo giuridico: troviamo infatti documenti contrattuali stipulati tra i provinciali estranei al diritto romano anche se redatti nelle forme proprie dei negozi del diritto civile romano (eventualmente traducendo nelle lingue locali gli schemi propri del latino). Così il diritto romano si impose come punto di riferimento anche se spesso quello che si affermava non corrispondeva al modello culto della scienza dei giuristi ma a sistemi più elementari e semplificati rispetto alla vita giuridica di Roma (le forme del governo provinciale si presentarono in forme impoverite). Soprattutto nelle province orientali vi erano un insieme di tradizioni giuridiche sviluppate ed elementi diversi, che originarono una fusione tra esperienze diverse: le forme del diritto romano si confrontavano con tradizioni locali che rimanevano in vigore anche nei rapporti tra questa e i cittadini romani (per esempio nel diritto romano era prevalente l’aspetto orale in seguito, con l’influenza dell’Oriente, la scrittura assunse nuova rilevanza). Questa situazione diede quindi origine a situazioni giuridiche nuove rispetto allo ius civile- > l’editto provinciale dovette tutelare tali situazioni. Il diritto romano-ellenico (cioè quello delle aree orientali) ebbe efficacia sugli sviluppi della successiva riflessione giuridica in Roma. 3. La certezza del diritto C’è una grande tensione tra gli alti livelli della riflessione condotta e il livello tecnologico su cui si fondava la circolazione delle idee e delle conoscenze. La circolazione di opere di commento e di responsa era limitata dalla costosa produzione manoscritta, ma raggiungeva sicuramente i gruppi sociali primariamente interessati ad un’adeguata conoscenza del diritto (giuristi e avvocati). Nella repubblica si era creata una raccolta di testi legislativi votati dai comizi con una generale funzione di certificazione del diritto. Un mutamento di questa situazione si ebbe quando un numero maggiore di persone si trovò a fruire del diritto romano. Allora lo strato sottile in cui circolavano i mores, gli scritti dei giuristi e le opere di interpretatio si ampliò notevolmente-> 61 tuttavia nei lontani municipi non era semplice informarsi sulle modifiche annuali del pretore o sulla conoscenza della ricca produzione scientifica che definiva la soluzione partica dei casi, spesso innovandone la disciplina e incidendo sulla iurisdictio del pretore. La situazione dovette complicarsi nel corso del principato con l’espansione del diritto romano nel mondo provinciale, anche se già molte erano le zone che fruivano del diritto romano. Tuttavia in queste zone vi erano delle gravi lacune nella conoscenza e conoscevano probabilmente solo regole decemvirali, leggi repubblicane e senatoconsulti (conoscenze limitatissime su senatoconsulti e costituzioni imperiali oltre che interpretazioni dei giuristi). Quando le difficoltà si aggravarono vediamo emergere le prime linee di difesa che l’organizzazione giuridica eresse per assicurare un livello minimo di certezza del diritto. Infatti lo ius respondendi ex auctoritate principis è un criterio di orientamento per i privati e per i giudici-> esso assicurava una selezione delle opinioni diminuendo i margini pratici d’incertezza nella vita pratica del diritto. Anche il principe intervenne con rescripta, epistulae e decreta a dirimere le incertezze dei privati e dei giudici-> questo anche perché il principe voleva assicurare un orientamento vagamente unitario alla periferia dell’impero anche se in realtà un ostacolo nella corretta conoscenza del diritto era dato dal fatto che in ogni area non si poteva avere conoscenza di ciò che era il diritto nelle altre singole aree dell’impero. Tuttavia in realtà una sostanziale unità venne assicurata dai governi provinciali in quanto vi è un’aderenza delle regole e dei criteri in ambito provinciale rispetto ai modelli romani. 4. La naturale conclusione di una lunga vicenda Ma quante copie potevano circolare, quante potevano raggiungere le comunità ammesse alla cittadinanza nel 212 d.C.? Fino a che punto erano già emerse scuole di diritto atte alla conservazione di una cultura giuridica omogenea? Numerosi sono i mutamenti intercorsi a partire dai Severi, ma l’oscurità è rotta da un evento: la Constitutio Antoniniana, che estendeva a tutti i sudditi o quasi dell’impero la cittadinanza romana. La legge aveva probabilmente motivi pratici, ma storici contrari, come Cassio Dione affermano che essa fosse finalizzata ad incrementare le entrate fiscali, estendendo a tutti coloro che non erano cives romani, e quindi ne erano esenti l’imposta sulle successioni. Essa inoltre non cancellò l’esperienza sincretistica alla base del diritto romano-ellenico, ma rese ancora più permeabili le forme romane alle pratiche locali, tanto che si parla di mores regionis come fattore normativo. Essa invece non diminuì le differenziazioni sociali, ma al contrario vi fu l’irrigidimento della gerarchia connaturata alla società romana-> vi fu infatti nel II secolo d.C. la distinzione in due categorie dell’intera popolazione dell’impero: gli honestiores e gli humiliores, il cui rango comportava notevoli diversità sotto il profilo giuridico, in ambito processuale e nell’ambito della repressione criminale: gli humiliores potevano essere sottoposti alla tortura nelle inchieste criminali. La constitutio antoniniana ha però dato nel tempo il riconoscimento del diritto romano come espressione universale. La normalizzazione dell’Italia avrà degli effetti maturati nella riorganizzazione del sistema imperiale affrontata da Diocleziano e Costantino-> allora si completò il processo di saldatura tra sovranità e legalità e la sfera politica e il sistema giuridico furono ricondotti a quell’unità di cui l’imperator è garante ultimo. I prodotti della scienza giuridica ebbero grande impatto al centro, nelle grandi città, ma man mano che ci si allontanava dal centro la vita del diritto romano si attenuava e si semplificava. 5. La crisi del III secolo Già prima della crisi del regno di Marco Aurelio erano evidenti segni di crisi nel mondo municipale: grave indebitamento di alcune città e sottrazione da parte delle élite locali alle cariche municipali a causa delle liberalità che esse comportavano-> in seguito il governo iniziò a curare le politiche finanziarie delle varie città mediante il curator civitatis, posto al vertice delle gerarchie locali. L’indebolimento del fattore cittadino si aggravò con la pestilenza negli anni del governo di Marco Aurelio che imperversò nei centri urbani. C’era inoltre poi una debolezza dell’economia imperiale in quanto fenomeni inflazionari si erano verificati portando alla svalutazione della moneta d’argento (la retribuzione dei militari iniziò ad essere fondata su prelievi di natura). La crisis i aggravò nel cinquantennio che va dalla morte di Severo all’ascesa di Diocleziano sia sotto il profilo politico sia sotto il profilo militare: difficoltà nella difesa delle frontiere imperiali per la pressione delle popolazioni esterne e indebolimento del governo centrale per il susseguirsi di una serie di imperatori la cui caduta fu più rapida della nomina (venti titolari in 50 anni-> erano stati 27 da Severo ad Alessandro). Vi fu inoltre un mutamento del ruolo dell’imperatore in quanto aumentarono le esigenze militari che richiedevano la presenza del principe sui luoghi in cui gli eserciti erano impegnati nella 62 Dal I secolo a.C. iniziarono ad apparire i vasti commentari dedicati allo ius civile e allo ius honorarium dove sembra affiorare, rispetto alle vecchie raccolte di responsa un interesse teorico. C’erano poi commentari riguardanti i singolari rami del diritto, i singoli istituti o figure di magistrati oltre che le opere istituzionali destinate alla didattica: le institutiones, le regulae e le sententiae-> carattere espositivo abbastanza semplice e diverso dalla restante letteratura giuridica. C’erano anche commentari riferiti allo ius civile e al diritto onorario fondato sull’editto del pretore. Nell’ambito di diritto onorario e diritto civile la successione degli argomenti evidenziava un ordine legato ai vari istituti-> il pensiero del giurista continuava ad essere espresso mediante l’analisi dei singoli casi e la loro soluzione, senza che fossero ricondotti a regole di carattere generale. Bisogna non solo cogliere la coerenza dell’insieme delle soluzioni proposte ma anche l’utilizzazione degli schemi: quasi come una teoria inespressa. Vi era così una vera e propria costruzione della tradizione giacché il lavoro di ciascun giurista parte dal costante riferimento alle opinioni e soluzioni propugnate dalle generazioni precedenti, che sono accolte corrette o integrate-> accresciuto interesse per una conoscenza più sistematica. L’esplorazione delle logiche dei testi dei giuristi romani ha fatto si che dai testi dei primi doctores medievali si formasse una scienza del diritto. 3. La matura stagione della scienza giuridica Già nell’età repubblicana e nell’età augustea si poté denotare un mutamento nella composizione sociale dei giuristi romani con la presenza di quadri di origine equestre accanto a quelli di tradizione nobiliare. Pian piano il ceto dei giuristi si aprì sempre di più al ceto equestre, ma iniziarono ad esserci elementi di estrazione più modesta o di origine provinciale. Nel I secolo d.C. si formarono due scuole: i proculiani (fondata da Labeone ma prende il nome dal suo successore Proculo) e i sabiniani (fondati da Masurio Sabino). La divisione vi fu per la maggiore indipendenza politica di Labeone, in quanto la scuola sabiniana si occupava di operazioni più speculative e astratte. Pian piano il lavoro del giurista iniziò a trasformarsi in un lavoro retribuito sia nell’insegnamento sia nella partecipazione al governo imperiale. Con Adriano, nel II secolo d.C., vi fu poi il consolidamento in un testo ben definito dell’editto del pretore, che l’imperatore affidò a Salvio Giuliano, oltre che al potenziamento del consilium principis con una maggiore presenza di giuristi. Questa nuova fisionomia del consilium legittimava il potere imperiale (che aveva già il suo fondamento militare), principe nella cui persona erano stati concentrati i processi di produzione e di amministrazione del diritto (il legiferare e il rendere giustizia integrarono quella funzione di governo politico e militare). L’introiezione della scienza giuridica spiega perché vi fosse il ridimensionamento dello ius respondendi. Ora la legittimazione e il coinvolgimento dei giuristi nel processo di formazione di nuovo diritto si erano fusi nel potere imperiale-> non impedisce la fioritura della scienza giuridica romana nell’età di Antonini e Severi (con cui si pone fine alla fase della giurisprudenza classica). Numerosi furono i giuristi che rivestirono numerosi ruoli nel governo imperiale (Cassio Longino, Giuvenzio Celso, Giavoleno Prisco, Pomponio, Papiniano, Paolo e Ulpiano)-> amministrazione provinciale, consilium del principe, prefetto del pretorio…Papiniano fu ucciso a causa di Caracalla e Ulpiano venne ucciso dai pretoriani sotto gli occhi si Severo Alessandro. 4. Una lacuna dei giuristi romani? Il coinvolgimento nell’apparato di governo ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione delle categorie portanti della nuova amministrazione (sembrerebbe esserci un certo disinteresse nel modo di funzionare del diritto regolatore dei nuovi organi di governo dell’impero). I giuristi paiono infatti disinteressarsi del diritto amministrativo della macchina di governo del principato. Secondo Grelle infatti l’attenzione dei giuristi era rivolta alla rilevazione dei poteri propri delle varie figure magistratuali, in quanto in età repubblicana si erano solo delineata la sfera di competenza dei vari organi della repubblica, e così come era sfumato il gioco di competenze-doveri del magistrato repubblicano lo sarebbe poi stato anche per il funzionario imperiale. Già in età repubblicana la protezione del cittadino rispetto al magistrato era protetta da altri magistrati (tribuni della plebe) e non dai tribunali. Potrebbe anche essere che i silenzi della scienza giuridica potrebbero essere dovuti alla selezione della produzione scientifica dei giuristi romani, ma in realtà abbiamo molte notizie riguardo alle opere della giurisprudenza romana e sono rari i temi relativi al funzionamento degli uffici imperiali. Non solo sono scarsi gli argomenti riguardanti l’organizzazione della repubblica, ma ci si concentra sempre sul complesso 65 di doveri e funzionari dei vari funzionari e magistrati (de officio proconsulis, de officio rectoris provinciae, de officio praefecti urbi). Abbiamo quindi, come dice Grelle, dei trattati di buon governo che restano però lontani da una scienza interessata a definire le relazioni tra gli organi della res publica e tra questi e i cittadini, e in particolare dei rapporti legali tra i portatori dell’autorità e i privati-> pensiamo all’amministrazione finanziaria, dove i procuratores provinciali cercavano di sottrarsi a tale tipo di rapporti per instaurare altri contenziosi con i privati facendo prevalere l’elemento pubblicistico da essi rappresentato- > (avrebbe potuto favorire una prima riflessione de iure fisci mettendo a fuoco la specificità del rapporto tra gli organi del potere con i cittadini). Era quindi oscura la tutela dei privati di fronte alle prevaricazioni dell’amministrazione (il nodo di un diritto amministrativo), quasi come se il principe fosse disinteressato a definire i rapporti tra uffici centrali e governo centrale e sistema periferico o a disciplinare la posizione dei vari funzionari rispetto ai privati-> anche nel corpus iuris, dove ci sono citazioni di diverse costituzioni imperiali, questo tema non sembra essere trattato. C’è quindi una lacuna di sapere che riguarda tutto il diritto relativo ai rapporti tra i privati-> ma perché non si erano interessati? Per dare una risposta si deve andare a riflettere sul rapporto di signoria del principe sull’apparato istituzionale da lui costruito che faceva riferimento esclusivamente alla sua figura-> questo ostacolò la spersonalizzazione dei ruoli; certo si stabilì chi faceva cosa ma sempre come regole interne ad un corpo che apparteneva al principe e che non poteva conformarsi alla sua volontà. Non era un caso che i privati si rivolgessero a questa volontà superiore del principe mediante suppliche e per disciplinare giudici e giudizi-> contrasti con i funzionari imperiali tra queste richieste. Di queste richieste abbiamo testimonianza nel Corpus Iuris, ma la cosa importante è che a queste richieste venivano date delle risposte che restavano come precedenti assumendo un valore precettivo che orientava sia i tribunali sia gli amministratori imperiali che le stesse successive decisioni del principe-> i giuristi avviarono un’opera di massimizzazione delle costituzioni imperiali, cioè cercarono di trarre delle massime generali applicabili ad ogni caso analogo-> primi embrioni di un diritto amministrativo. Sarebbe continuato a mancare un sistema arbitrale di giudizi tra il privato e l’amministrazione-> l’esperienza romana non giunse a ciò ma non vi furono neppure i tempi perché tutto ciò potesse svilupparsi-> quando tali processi avrebbero potuto svilupparsi vi fu infatti la crisi dell’apparato politico e della scienza giuridica romana. Ad ostacolare questo processo fu forse anche la modestia della sfera amministrativa romana, in quanto l’organico continuò ad essere poca cosa rispetto all’ordinamento statale moderno, e quindi fu ridotta la sfera delle relazioni e sociali su cui dovette intervenire l’azione di tali apparati, troppo poco per ingenerare quella quantità di relazioni pubblico-privato dalla cui pressione sarebbero sorti gli embrioni dei diritti amministrativi. 5. Memoria e continuità del sapere giuridico L’ampiezza delle trattazioni scientifiche svolte dalle ultime generazioni di giuristi classici ci dimostrano l’accresciuta dimensione di una tradizione di sapere con cui dovevano confrontarsi-> essi dovettero fare i conti anche con le nuove costituzioni imperiali, anche se ciò non influì in modo immediato sul loro lavoro. Essi erano caratterizzati da una duplicità del loro ruolo: collaboratori del principe e custodi di una tradizione scientifica ormai vetusta che continuava però a fungere da collante per la società romana. La crescita dei testi della giurisprudenza romana dovette rendere sempre più difficile una conoscenza esaustiva di quel sapere che era alla base della scienza giuridica; sebbene le opere antiche fossero irreperibili esse potevano sopravvivere nelle citazioni e nelle discussioni da parte dei giuristi più recenti. Essendo discusso, accolto o rigettato il pensiero più antico venne tramandato; Ulpiano e Paolo fecero un inventario del passato e queste summae resero ancora più trascurati gli antichi testi. Ciò che invece non mutò è a latenza aristocratica che aveva ispirato l’autorità sociale su cui si era fondato il valore creativo della loro interpretatio e ne restò traccia anche nella formazione di nuovi quadri di questa tradizione scientifica-> per molti saperi tecnici erano state create delle scuole (retorica importante per pratica poltiica) in cui i professori avevano uno stipendio spesso pagato dall’erario. Il sapere giuridico non venne coltivato e trasmesso in questo modo, in quanto non vi furono nel principato scuole di questo tipo-> vi era una tradizione per cui vi era un rapporto del giurista con il suo allievo; le scuole si affermeranno solo con Costantino e Diocleziano che resero possibile una ripresa della vita giuridica seppure in condizioni completamente diverse da quelle precedenti, dovute alla divisione dell’impero-> la produzione normativa facente carico agli imperatori era destinata a ridefinirsi in funzione di questo dualismo che aveva reso Roma marginale. Con essi si potenziarono i centri di studio del diritto, specialmente nella Pars Orientis (Costantinopoli). 66 Non si può capire fino a che punto il collasso politico e la crisi si siano riflesse sull’apparato burocratico-> essi continuò a funzionare finché non vi fu la restaurazione di Aureliano, Diocleziano e Costantino. La documentazione dell’attività legislativa imperiale fu fatta negli uffici centrali ma anche nelle scuole di diritto. La crisi si rifletté anche sul diritto in quanto diminuì la produzione legislativa e vi fu un indebolimento della genealogia del sapere-> era destinato a modificare un metodo che aveva rielaborato un patrimonio stratificato. Su tale mutamento dovette pesare la fisionomia del potere imperiale derivante dalla restaurazione di Diocleziano. Si giunse alla fine di quel processo di concentrazione del potere ed era quindi incompatibile con il nuovo assetto la persistenza di ogni altro protagonista autonomo della vita giuridica e del suo fattore si sviluppo: il libero dibattito delle élite. Ora non solo i processi normativi ma anche la sfera del diritto erano di esclusiva competenza del giurista, mero strumento di un potere superiore. Dopo Modestino sotto Severo Alessandro non abbiamo più importanti giuristi a parte Aurelio Arcadio Carisio (scrive sui munera gravanti sui privati a favore dello stato embrione della scienza dell’amministrazione e riflessione sul praefectus pretorio) e Aurelio Ermogeniano (raccolta di costituzioni imperiali e testi giuridici) sotto Diocleziano. Con Diocleziano e Costantino vi fu la ripresa della cancelleria e l’apparato burocratico fu centro di un nuovo diritto-> redazione sempre più numerosa di costituzioni degli imperatori. I cultori del sapere furono assorbiti nell’amministrazione imperiale e fu lasciato spazio solo agli avvocati e ai professori delle scuole di diritto. Si era conclusa la pluralità delle fonti giuridiche e quindi questo processo di centralizzazione fu favorito e necessitato dalla condizione di questo sapere giuridico. Per comprendere il lavoro delle nuove generazioni basta osservare che quello che nel IV e V secolo d.C. era diritto si trovava conservato nelle opere dei giuristi tardorepubblicani dell’età del principato. XVIII. Crisi e trasformazione 1. Diocleziano La crisi che vi fu non deve essere interpretata come un collasso, ma al contrario come l’inversione di tendenza sul piano militare e nel governo civile per far fronte alle cattive condizioni economiche. Questo rese possibile l’ascesa al trono di un comandante militare di umili origini: Valerio Diocle, detto Diocleziano- > egli diedi una svolta risanatrice che si configura come un’opera di restaurazione dell’edificio imperiale, resa possibile per la modifica delle strutture di potere e delle forme organizzative oltre che l’intero apparato amministrativo. Innanzitutto, come a voler recuperare il dualismo delle magistrature repubblicane venne istituito un collega minor del principe, che nel caso di Diocleziano fu Massiminiano; questo comportò una più netta ripartizione territoriale: Diocleziano si riservava il controllo della parte orientale e Massiminiano di quello della parte occidentale. L’impero conservava così la sua unità sotto i due Augusti. Sotto i due Augusti furono nominati due Cesari, legittimi successori, ciascuno del proprio Augusto-> questo portò ad un efficace governo degli eserciti e a garantire un sistema ordinato di successione che evitasse complotti. Fu anche creato un complesso sistema di matrimoni che però non funzionò, mentre funzionò la logica sottostante a tale costruzione: la divisione territoriale che permise la riorganizzazione dell’apparato imperiale e soprattutto un suo immediato coinvolgimento nella difesa dei confini-> tale esigenza spiega lo spostamento delle sedi imperiali da Roma ormai troppo lontana dalle aree strategiche: 1) Massiminiano-> s’insediò a Treviri, poi a Milano a Aquileia e infine a Ravenna; 2) Diocleziano-> Sirimione, Antiochia e poi Nicomedia. Vi furono quindi numerose modifiche dell’organizzazione statale sia nel campo militare che nell’organizzazione. Nell’ultimo vi fu la frammentazione delle antiche province che giunsero ad essere da 50 a 100 e che furono raggruppate in dodici diocesi. A capo di ogni diocesi fu posto un vicarius, delegato diretto del prefetto del pretorio, accanto a cui si trovavano ad operare delegati responsabili centrali del fisco e della res privata. La quadripartizione del potere imperiale si rifletté anche sul prefetto del pretorio, ormai anche essa suddivisa tra due funzionari. Tuttavia, anche con Diocleziano questo sarebbe rimasto al vertice del governo conservando sia le supreme funzioni militari sia quelle di diretta collaborazione con ciascun imperatore. Alle 67 delle antiche costituzioni al diritto vigente e in modo che si potesse estrarre da esse la norma. Il testo venne pubblicato il 7 aprile del 529 d.C. accompagnato dalla Costituzione summa rei publicae con cui si sanciva la sua entrata in vigore come testo legislativo unitario. Ma questo testo non fece altro che stimolare Giustiniano il quale, il 15 dicembre 530 d.C. con la costituzione Deo auctore indirizzata a Triboniano che poteva scegliersi i suoi collaboratori, il compito di redigere la nuova opera, che doveva consistere in una raccolta di tutti i testi degli antichi giuristi romani, modificando i loro scritti per uniformarli al diritto vigente. Nel 533 d.C. con la costituzione bilingue tanta o dedoken pubblicava il Digesto-> i 16 commissari inclusero testo dei giuristi dell’età del principato (in teoria solo quelli con ius edicendi) e dell’età repubblicana, selezionandone gli aspetti significativi e copiandoli secondo un ordine logico. Il testo è costituito da 50 libri divisi in titoli che concernevano uno specifico argomento-> oltre a modificarli per adeguarli alle norme vigenti, vennero modificati per renderli congruenti tra loro sopprimendo le incogruenze tipiche dello ius controversum. I frammenti del digesto ammontano a più di 9.000, i giuristi presi in considerazione furono 39, i libri consultati circa 2000 in 200 opere. In testa a ciascun frammento vi era il nome dell’autore e l’indicazione dell’opera e del libro da cui era stato ricavato. Egli volle in seguito redigere un’opera didattica che introducesse allo studio del diritto nelle varie scuole giuridiche; il compito venne affidato a Triboniano, in parallelo alla realizzazione del Digesto, in quanto con la costituzione imperatoriam. Giustiniano poté rivolgersi nel 533 d.C. alla cupida legum iuventus, presentando le sue nuove Institutiones in quattro libri, dove le istituzioni vigenti erano esposte in forma semplificata. Essi si rifecero alle istituzioni gaiane ma anche ad altro materiale classico (Paolo, Ulpiano, Marciano). Ciascun libro è diviso in titoli in base alla materia: 1) Diritto delle persone; 2) Proprietà e diritti reali; 3) Contratti ed obbligazioni; 4) Obbligazioni per fatto illecito e procedure giudiziali. Nonostante l’intento pedagogico c’era un valore legislativo. Prima di tutto ciò Giustiniano aveva orientato il lavoro dei compilatori mediante costituzione che dovevano incidere o chiarire diversi aspetti (quinquaginta decisiones). Dal momento che la raccolta del vecchio Codex era ormai obsoleta egli si rivolse a Triboniano per aggiornare il codice-> il codice repetitae selectiones fu promulgato nel 534 d.C. rendendo così completo il Corpus iuris civilis. Il nuovo codex era diviso in 12 libri ciascuno dei quali suddiviso in titoli; in essi si collocano i frammenti delle costituzioni imperiali con i nomi degli imperatori e i destinatari. L’opera fu molto complessa perché dovettero prendere il nucleo preciso del dettato normativo. Le opere furono scritte in latino: la lingua di Roma e dei giuristi dell’età del principato-> molti giuristi avevano un alto livello di cultura giuridica. Giustiniano sostenne di aver prodotto un’opera definitiva tanto da vietarne modifiche e ogni lavoro di interpretazione-> in realtà a smentire tale idea fu proprio il suo comportamento in quanto legiferò nuove costituzioni: le novellae constitutiones, molte di esse furono redatte in lingua greca; la raccolta più importante conta 158 novelle giustinianee e di imperatori successivi conservate nella loro lingua originale (greco o latino che fosse); c’è poi L’epitome Iuliani che contiene un riassunto latino di 124 novelle, nonché l’Authenticum in cui ci sono 134 novelle nel testo originale latino o le greche in traduzione latina. I testi latini non ebbero diffusione nel luogo in cui il latino si parlava perché qui c’era una coesistenza delle tradizioni romane con le realtà giuridiche del mondo germanico (circolarono solo Insitutiones e codex). Però ebbero una grande diffusione in oriente tanto che vi furono opere in greco che traducevano i testi giuridici e le costituzioni imperiali in greco (i Basilici dove tutti i testi del corpus iuris civilis sono stati raccolti e tradotti). La moderna civiltà europea ebbe come prima origine lo studio del corpus iuris civilis insieme alla vita intellettuale nelle unversitates. 4. L’eredità salvata Si è tracciata una storia a partire dall’esperienza giuridica primitiva. Non c’è un’invenzione del diritto romano, in quanto il suo nucleo è considerato il fondamento su cui si innestava la vita cittadina. In seguito all’esperienza giuridica primitiva la nobilitas patrizio plebea si consolidò in: guerra, arte del governo e scienza del diritto, essenziale per l’esercizio del potere politico-> attraverso l’interpretatio dei prudentes sono create nuove istituzioni. 70 È anche vero però che soprattutto con il passare del tempo lo spazio per la legge esisteva ma vi era un limite delle legislazioni comiziali che erano circoscritte alla sfera politica e poco operavano nella sfera giuridica caratterizzata dalla scienza dei giuristi. Il rapporto tra la vita giuridica e il vertice politico romano portò alla capacità di assorbimento di individui e gruppi rendendo assenti le barriere culturali: le distinzioni erano operate in base al diritto (manomissione degli schiavi). Con Augusto la produzione normativa e la giurisdizione vedono l’intervento del principe e la vita del diritto si concentra nella sua figura mediante la redazione di costituzioni imperiali ad opera dei giuristi. C’è quindi la centralità della legge conquistata mediante un percorso lungo e complesso (anche se il diritto per molto tempo mantenne connotazione aristocratica in quanto no scholae e solo rapporto diretto maestro allievo). Nel III secolo d.C. l’imperatore diventa unica fonte del diritto e i giuristi sono, pur non avendo più vita propria, gli strumenti essenziali della sua attività. Giustiniano volle che tutto fosse raccolto nel corpus iuris civilis, in cui c’erano opinioni dei giuristi che lasciavano in ombra senza però poterlo cancellare lo ius controversum. Tutto ciò divenne legge e permise la conservazione di un immenso patrimonio da cui avrebbe avuto origine un’altra storia: quella della civiltà giuridica dell’Europa medioevale e moderna. 71 72