Scarica Storia di Roma tra diritto e potere e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Diritto Romano solo su Docsity! STORIA DI ROMA TRA DIRITTO E POTERE Capitolo 1: La genesi della comunità politica Il paesaggio fisico dell’ultimo millennio A.C. caratterizzante l’origine di Roma non è molto diverso da quello odierno, solo più scosceso e segnato da maggiori dislivelli. Il territorio era segnato: - a nord dal Tevere - a est dai primi rilievi che segnavano il confine tra i Latini e le popolazioni sabelliche ( ricordiamo i due centri principali: Tivoli e Palestrina ) - a sud dai Colli Albani - a ovest dal mare Il territorio si caratterizzava di importanti vie di comunicazione e rotte commerciali. Gli spostamenti, i trasporti, il commercio avvenivano sia per terra sia per mare. Via Salaria, via importante ancor oggi a Roma, costituiva il passaggio principale per il commercio del sale ( prodotto fondamentale ) in epoca antica. Nel territorio del LATIUM VETUS si estendevano una moltitudine di comunità. L’elemento caratterizzante queste era il vincolo di parentela ( vincolo di sangue ). Infatti a capo di ogni comunità vi era: il patres. Il patres era l’uomo più anziano della comunità e quindi colui che custodiva la saggezza e la capacità di guidare la popolazione. Accanto a questa figura vi era l’assemblea degli uomini in arme ossia un gruppo di uomini cui spettava prendere le decisioni più importanti relative alla vita della comunità. Le comunità si trovavano sparse nel territorio a poca distanza le une dalle altre. Ciò contribuì allo sviluppo di una lingua comune ( latino ) e alla presenza di riti\culti comuni. Inoltre similari erano anche gli interessi economici e commerciali. Tali comunità si fondavano sull’agricoltura e sull’allevamento. Ad ogni modo un primo fattore che contribuì a segnare una certa ineguaglianza fra queste comunità fu: la guerra. La guerra comportava una diversa distribuzione dei beni. Infatti intorno ai gruppi ( popoli\comunità ) di maggior forza e valore si distribuivano i beni di maggior prestigio. Da questo fattore nacquero le prime differenze sociali fra comunità, che iniziarono a seguire uno schema gerarchico piramidale: al vertice la comunità di comando e successivamente le comunità seguaci. Si inizia a intravedere un primo passaggio dalle forme di comunità minori alle forme di comunità cittadine. Questo avviene attraverso: - mercato ( scambi commerciali ) - forme di proprietà individuale di beni ( terre, bestiame, strumenti agricoli e di allevamento ) - guerra ( concentrazione del potere intorno alle comunità più forti ) Fondazione di Roma Roma viene fondata il 21-aprile-753 A.C. La nascita di Roma avviene dalla “rottura” delle piccole e precedenti comunità che abitavano il territorio del Latium vetus. Nasce una nuova forma di comunità, che prende il nome di: polis. Il termine polis indica una comunità di persone che abitano all’interno del medesimo territorio, seguendo le stesse regole e godendo dei medesimi diritti. A capo della polis sta il rex. La polis nasce dalla fusione di più comunità e per questo motivo il suo elemento caratterizzante non è il vincolo di parentela ( vincolo di sangue ) bensì l’appartenenza alla medesima struttura istituzionale. A capo della polis non vi è il patres bensì il rex. Roma nasce lungo il corso del fiume Tevere dalle gesta di Romolo. Romolo diede vita alle prime forme di proprietà individuale distribuendo ad ogni suo seguace un lotto di terra, di circa mezzo ettaro, che prende il nome di heredium. Roma, primo centro istituzionale di rilevante importanza, deve la sua fortuna a due fattori: la sua posizione strategica e le gesta di importanti rex. Infatti Roma si trova su di un territorio centrale, che favorisce le vie di comunicazione e le forme commerciali per terra e per mare. I suoi condottieri, che si sono succeduti nel corso del tempo, hanno saputo ampliare la società attraverso le conquiste di territori limitrofi e più lontani. In tal modo si è rafforzato l’apparato militare, politico, sociale dell’intera polis. Ciò garantiva un notevole trasferimento di denaro all’interno della polis. Le strutture sociali che caratterizzano la storia di Roma ruotano intorno a due termini: • FAMIGLIA La famiglia, che caratterizza il mondo romano, è la familia proprio iure ossia l’unità familiare che si fonda sul matrimonio monogamico, in cui vi sono moglie e marito e i diretti discendenti. In questa vige il principio del vincolo parentale attraverso la linea maschile fino al sesto o settimo grado. Si tratta della parentela “agnatizia” ( dal latino agnatus indica il vincolo di parentela\sangue secondo quella determinata linea ). In sostanza la familia proprio iure è composta da: madre, padre, figli maschi e loro mogli insieme ai relativi discendenti, figlie non sposate. Le figlie escono dalla famiglia nel momento in cui si sposano ed entrano a far parte della famiglia del marito. Infatti si parla di matrimonio cum manu ossia della totale integrazione della moglie nella famiglia del marito e della sua condizione di “figlia del proprio marito”. Al vertice di ogni famiglia sta il patres ossia il soggetto più anziano, custode di saggezza e della capacità di organizzare e dirigere la comunità familiare. Alla sua morte la famiglia viene meno e si costituiscono tante famiglie quanti sono i diretti discendenti maschili. In epoca romana la famiglia riveste un’importanza rilevante. All’interno della società si segue infatti uno schema gerarchico piramidale al cui vertice si trova proprio l’unità familiare e solo successivamente i singoli individui. • GENS La gens implica l’unione di più famiglie che portano lo stesso nomen ( Iulius, Claudius, Cornelius ). L’appartenenza al gruppo gentilizio dipendeva infatti dal proprio nomen. Ad ogni modo l’onomastica romana è costituita dalla tria nomina: prenomen ( nome ) - nomen ( cognome ) - cognomen ( indica il lignaggio ). Con il passare del tempo Roma espande il proprio territorio e accresce la propria popolazione. Questo avviene grazie alla posizione strategica che la città ricopriva e alla forte organizzazione militare-politica-sociale che la caratterizzava. I romani conquistano i territori limitrofi e assoggettano le loro comunità al potere del rex. Esempio → Alba Longa viene assorbita con la vittoria di re Tullio Ostilio. La sua popolazione viene trasferita dentro Roma per essere assorbita all’interno della società romana; mentre i patres e gli uomini di maggior valore entrano a far parte dell’aristocrazia romana. Accade anche che sono i singoli individui che decidono di abbandonare il proprio territorio per trasferirsi a Roma. Solo in casi eccezionali un’intera gens decide di abbandonare il proprio territorio per entrare a far parte di un altro. Questo è accaduto con la comunità gentilizia dei Claudi. Esempio → Nel V secolo A.C. Appio Claudio decide di abbandonare il proprio territorio per trasferirsi a Roma. I componenti della sua comunità acquistano la cittadinanza romana ed entrano a far parte del tessuto sociale romano, mentre lui viene ammesso direttamente in senato. Il senato aveva il potere dell’ interregnum ossia, nel momento in cui veniva a mancare il re, faceva da ponte fra il vecchio e il nuovo rex. Nel periodo di tempo in cui si doveva eleggere il nuovo re il senato assumeva il potere militare-politico-giuridico dell’intera città. I senatori venivano identificati con il nome di interreges. I senatori divisi in gruppi di dieci assumevano a turno il comando della città per cinque giorni ciascuno. Allo scadere dei cinquanta giorni se non era stato eletto il nuovo re allora subentrava un nuovo gruppo di dieci senatori, che a loro volta assumevano il comando della città a rotazione. Il potere dell’interregnum svolto dai senatori, che identifichiamo parzialmente nei patres, possiamo identificarlo come un ritorno del potere in mano ai patres. Utilizziamo il termine “ritorno” poiché con la nascita di Roma il potere dei patres viene meno, in quanto ad esso si sostituisce il potere del rex. Il POPOLUS originariamente rappresentava l’esercito e solo successivamente arrivò ad indicare la popolazione ossia la comunità cittadina di Roma. All’interno della città la popolazione era divisa in tre tribù ed ognuna di essa a sua volta si divideva in dieci curie. Il criterio mediante cui si stabiliva l’appartenenza ad una determinata curia si fondava sulla discendenza e sul lignaggio ( si era di una curia se i propri antenati apparteneva a quella determinata curia ). La popolazione svolgeva un ruolo importante nel rapporto fra: re\senato ( istituzioni di comando ) e la vita cittadina. La popolazione esprimeva determinate funzioni attraverso il “comizio curiato” ossia l’insieme di tutti gli uomini facenti parte della comunità cittadina romana. Il comizio curiato si esprimeva mediante il suffragium, che inizialmente avveniva con un applauso ( segno favorevole ). Solamente in un tempo successivo esso implicava il voto. In questo caso era necessaria la maggioranza delle trenta curie presenti nella città. Il comizio centuriato aveva un ruolo marginale, ma era comunque presente davanti alle questioni che riguardavano la vita cittadina. Vediamo in quali: • partecipazione all’investitura del nuovo rex inauguratus • ricezione di notizie di delibere del rex Il ruolo del comizio centuriato era maggiore in ambito privatistico. Vediamo i casi: • presenziare ed approvare l’adrogatio ossia l’atto mediante cui un pater familias decide di assoggettarsi e quindi acquistare lo status di figlio di un altro pater familias • formare testamento • presenziare a provvedimenti che modificano la condizione delle gentes ( la fuoriuscita di un soggetto da una determinata gens ) o provvedimenti relative all’ammissione di uno straniero. I COLLEGI SACERDOTALI erano prevalentemente costituiti da uomini patrizi ( aristocrazia ), che godevano di determinati riconoscimenti e benefici sociali. Solo una piccola parte di questi si dedicava esclusivamente al culto religioso, prendendo le distanze dalla sfera politica-sociale della città. L’altra parte, quella maggioritaria, riguardava uomini che si dedicavano al contempo alla sfera religiosa e alla sfera politico-sociale della città. Soprattutto in età antica i collegi sacerdotali avevano un potere e un riconoscimento meramente marginale all’interno della città e questo era data dal fatto che il ruolo fondamentale era ricoperto dal rex, come custode e garante della vita cittadina. Tra i collegi sacerdotali ricordiamo i principali: • Collegio degli “auguri” Gli augurium ( dal latino augere che significa “aumentare” => crescita di potenza, arricchimento della condizione e dell’azione umana a seguito di un richiesto intervento degli dei ) implicano delle situazioni lontane nel tempo e non definite in modo specifico. Il collegio è composto da tre persone, e solo successivamente il numero dei membri aumenta a nove. Le interpretazioni e le tradizioni proprie di questo collegio sono state raccolte in testi e libri, trasmessi di generazione in generazione. Degli augurium se ne occupano esclusivamente gli auguri. • Collegio degli “auspici” Gli auspicia implicano delle situazioni vicine e immediate nel tempo che sono definite in modo specifico. Degli auspicia se ne occupano il rex e i magistrati. • Collegio dei feziali Il collegio era composto da venti membri nominati a vita. Il collegio non sembra essere presieduta da un supremo sacerdote, anche se al suo interno vediamo una serie di funzioni che si differenziano per importanza e in via consequenziali i soggetti che le svolgono si differenziano a loro volta. Infatti notiamo una figura di rilievo essere: il pater patratus. Questo collegio si occupava di questioni internazionali ossia garantiva la buona fede circa i rapporti tra popoli e soprattutto i rapporti tra la città di Roma e la altre popolazioni. Infatti il collegio si occupava di garantire una “guerra giusta” e una “pace legittima”. Questo attraverso la corretta interpretazione e traduzione delle richieste di un popolo nei confronti dell’altro, traducendo queste secondo quanto previsto dall’ordinamento giuridico delle due parti. Ad ogni modo la funzione svolta dal collegio segna un primo passo verso quel che noi chiameremo: diritto internazionale. La religione nasce a Roma attraverso la fusione di elementi religiosi, propri delle tradizioni e consuetudini di ogni popolo. Nascono e si sviluppano dei rituali e dei culti. Fra quelli di massima importanza ricordiamo il culto delle vestali. Le vestali erano delle sacerdotesse che godevano di un riconoscimento sociale elevatissimo. Esse erano in stretto rapporto e alle dipendenze del rex, per poi passare in stretto legame con il pontefice massimo negli anni a venire. Il compito di queste donne era di custodire il fuoco e l’acqua. La loro funzione primaria era di mantenere la fiamma del fuoco costantemente accesa. Ciò aveva un alto valore simbolico. Parlando proprio di simboli e valori vediamo come i romani s’interrogassero costantemente sul volere degli dei e proprio su questo volere ( volontà divina ) prendevano le decisioni riguardanti la propria vita e quella della stessa città. I sacerdoti appunto erano i custodi di questo sapere ( chiamato anche “scienza dei segni\simboli” ) e depositari di questo. Il COLLEGIO PONTIFICALE è il collegio più importante. Esso venne istituito da Numa. Il collegio pontificale originariamente era composto da cinque membri, aumentati nel corso del tempo a tredici. Il collegio era poi presieduto dal pontefice massimo. Il pontefice massimo era il custode e garante della vita religiosa. Egli operava in stretto rapporto con il rex, in quanto custode e garante della vita cittadina. Il pontefice massimo svolgeva essenzialmente funzioni di consulenza nei confronti del rex e di collaborazione. Queste due operazioni si ritrovavano nella celebrazione di cerimonie e nell’enunciazione del calendario [ Il rex era considerato anche come “custode del tempo” poiché scandiva la vita cittadina. All’epoca dei romani non vi era un calendario fisso corrispondente al ciclo annuale del sole. Per tale motivo il tempo era scandito attraverso un “calendario mobile” che seguiva il ciclo della luna. Ad ogni inizio mese il rex indicava le scadenze del mese con le relative festività ]. Nel quadro, relativo alla struttura sociale, che abbiamo appena delineato dobbiamo parlare adesso del ruolo che ricopre il DIRITTO. Ai tempi dell’antica Roma il diritto è un diritto consuetudinario, che nasce dagli usi, tradizioni, e culture delle civiltà e popolazioni. Parliamo di un diritto che viene trasmesso oralmente attraverso la memoria degli uomini. Il diritto ossia la legge era elemento primario. Solo in via secondaria veniva il ruolo del rex ( legislatore e giudice ) e del pontefice massimo. Infatti queste due figure andavano solamente a conoscere, interpretare e applicare il diritto. Essi avevano solo la possibilità di integrare e modificare le leggi per garantire il corretto svolgimento della vita civile e religiosa all’interno della città. Solo nel corso del tempo il rex e il pontefice massimo hanno rappresentato un punto di svolta nella sfera giuridica: essi sono stati il ponte ( passaggio ) da un diritto vasto e variegato fondato sulla consuetudine ad un diritto chiaro e unitario fondato su regole scritte. Capitolo 3: I re etruschi Siamo a Roma nel corso del VI secolo A.C. Questo periodo storico è caratterizzato da una serie di trasformazioni a livello istituzionale-sociale e culturale tale da modificare la realtà cittadina conosciuta a Roma fino a questo momento. Tali mutamenti nascono dall’avvento al trono di una serie di re etruschi: Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo. Le fonti comuni rilevano una fortificazione del potere nelle mani dei re etruschi. Un potere però che per certi aspetti appare “irregolare”, poiché assunto in modi difettosi: in assenza dell’ inauguratio, in assenza della procedura dell’interregnum, in assenza della presentazione ai comizi curiati. L’altro aspetto che le fonti associano ai re etruschi è l’aumento del potere, ossia della loro autorità, a livello militare e sociale. Infatti si modificano le dinamiche interne politico-sociali, andando ad indebolire le antiche aristocrazie per avvalersi di un diretto consenso popolare. Infine nascono i simboli imperiali ( corona d’oro, toga purpurea, calzature rosse, corona d’alloro, trono d’avorio, scettro d’avorio ) che evidenziano l’importanza del ruolo del rex all’interno della città, fino ad arrivare all’ideologia di imperium. A livello economico si incrementa la proprietà privata. La proprietà privata e quindi una serie di diritti, doveri, obbligazioni, facoltà erano nella disponibilità giuridica e materiale esclusiva del pater familias. A livello economico si incrementa l’utilizzo del bronzo. Il bronzo era considerato unità di misura e valore di scambio di beni. Il bronzo era un bene di scambio ( aes signatum ), che rappresenta la prima forma verso quel che sarà una vera e propria circolazione di denaro come elemento di scambio. A livello sociale si da maggior importanza al singolo individuo, anziché ai gruppi sociali, ed alle singole unità familiari seppur molto piccole. Viene meno quindi il sistema legato alle gentes ( sistema gentilizio ). Capitolo 4: Dalla monarchia alla repubblica L’età repubblicana ebbe inizio con la cacciata degli etruschi da Roma. Nel 509 A.C. ci fu il colpo di Stato da parte dell’aristocrazia romana, mediante il quale si estromise Tarquino il Superbo dal trono e si abolì definitivamente questo istituto ( la carica regia ). Ed è proprio in questo momento, quando viene meno la figura del rex, riacquista valore e importanza la figura delle gentes. Sappiamo che, prima dell’instaurarsi dell’età monarchica, la società si fondava sulla figura della gens, nella quale si sviluppava il rapporto fra patrono e cliente. Con l’età monarchica e quindi con la nascita della realtà cittadina la gens viene sostituita dalla figura del rex, il quale aveva il pieno comando politico-sociale-militare della città. I primi anni dell’età repubblicana sono anni di confusione. Nel 493 A.C. i Romani raggiunsero la pace con i Latini per un tempo lungo cinquant’anni. Questo fu il frutto di un accordo ottenuto per mano di Spurio Cassio, che la storia ricorda con il termine “Foedus Cassianum”. L’aristocrazia cittadina ( ordinamento gentilizio instaurato negli anni della monarchia etrusca ) non era d’accordo nel riprendere quell’assetto sociale che era proprio dell’epoca arcaica e che caratterizzava le società Latine e Sabine. Per tale motivo si puntò a riprendere in mano le riforme di Servio Tullio modificandole e rendendole adeguate al tempo corrente. La novità più importante fu l’instaurazione del supremo collegio composto da due consoli. Questi avrebbero sostituito la figura del rex e sarebbero stati due soggetti membri del senato. Ciò si consolidò definitivamente a partire dal 449 A.C. Utilizziamo il termine “definitivamente” perché a seguito dell’instaurazione del supremo collegio è seguito un periodo in cui a questo venne sostituito un collegio composto da dieci membri, avente il compito di redigere e raccogliere il testo delle leggi romane ( essi erano i decemviri legibus scribundis ). Nel 449 A.C. viene ripristinato il supremo collegio e nel 367 A.C. avviene la parificazione dei patrizi e dei plebei, tanto che membro del supremo collegio può essere anche un plebeo. Nel periodo che intercorre tra il 449 e il 367 si susseguono una serie di novità che è bene sottolineare. Queste sono: - Tra il 444 A.C. e il 368 A.C. si attribuì l’imperium consulare agli ufficiali delle legioni ossia i tribuni militum, che potevano essere di un numero variabile fra tre e sei. Questo imperium ( potere ) era minore di quello dei due consoli. Esempio → I tribuni militum potevano convocare il senato solo in casi eccezionali. Inoltre alla fine della loro carica avevano un rango inferiore rispetto agli ex consoli e non godevano del trionfo. - Nel 442 A.C. viene introdotta la censura. Si tratta di una nuova magistratura, la quale svolgeva la funzione di effettuare il censimento della città. Inoltre il censori avevano il compito di inserire nei ranghi del senato gli ex magistrati, sia patrizi sia plebei. In tal modo nacque una nuova classe aristocratica, identificata con il termine di nobilitas. Si era parte di questa classe sociale in base alla funzione politica svolta ossia la magistratura e in base all’appartenenza al senato. - Nel 442 A.C. viene introdotta la figura del pretore. Il pretore è un nuovo magistrato avente la funzione di dirimere le controversie fra privati e amministrare la giustizia in merito a determinate controversie. - Nel 396 A.C. Roma riuscì ad espandersi verso i territori del Nord con la conquista di Veio. Successivamente l’espansione romana si ebbe anche verso sud. *La conseguenza diretta dell’espansione fu l’aumento dei terreni. Per tale motivo si decise di accontentare le richieste della classe plebea e quindi di consegnare a ciascun cittadino romano un fondo di 125 ettari. Originariamente patrizi e plebei erano due ordini interni alla realtà cittadina situati su due livelli diversi e contrapposti: i primi al vertice e i secondi su di un piano subordinato. Vi erano numerose differenze fra questi due ordini. Vediamole: • Assetto politico I plebei non potevano accedere alla vita politica della città e quindi non potevano essere membri delle istituzioni e organi politici. • Assetto economico I plebei erano gravati da pesanti pagamenti, che portavano loro a indebitarsi pesantemente. • Assetto privato I plebei richiedevano che parte dei territorio conquistati fossero donati loro nella forma di proprietà privata. Questo non accadeva poiché i territori conquistati erano considerati formalmente come ager publicus, ossia terre della città, ma in sostanza erano sfruttate esclusivamente dai patrizi. * Non era ammesso il matrimonio fra un patrizio e un plebeo. Gli eventuali figli che nascevano da tale rapporto matrimoniale non erano riconosciuti come patrizi. Ciò venne superato definitivamente con la Lex Canuleia del 445 A.C., la quale consentiva e riconosceva legittima il matrimonio fra membri di questi due ordini. L’ottenimento di una parificazione fra questi due ordini si ottenne a seguito di un lungo periodo di contrasti, caratterizzato dalle secessioni avvenute sul Monte Sacro nel 494 A.C. e sull’Aventino nel 471 A.C. Questi scontri terminarono quando si riconobbe alla plebe la possibilità di utilizzare una serie di strumenti volti ad ottenere tutela giuridica nei confronti dell’aristocrazia patrizia. Le secessioni furono guidate da dei magistrati, che presero il nome di “tribuni della plebe”. I tribuni ottennero ✔ Riconoscimento a livello politico della propria persona ✔ Diritto di aiuto a favore della plebe ✔ Intercessio → potere di veto nei confronti di qualsiasi atto o delibera dei magistrati o del senato ✔ Concilium plebis → assemblea che votava i propri magistrati, ossia i tribuni, e le proprie delibere, ossia i plebisciti Inoltre al singolo individuo, identificato come criminale ( colpevole ) da parte di un magistrato, era riconosciuta la possibilità di rivolgersi direttamente al popolo prima di essere definitivamente condannato. Questa facoltà si esplicava nel diritto di provocatio . Infatti il magistrato non poteva condannare a morte un soggetto senza aver previamente consultato il popolo. In questo periodo storico vengono redatte le XII TAVOLE. Venne proprio dai plebei la richiesta di un diritto scritto e certo, che si doveva sostituire ad un diritto fondato sulla memoria e sulla libera interpretazione di coloro che venivano definitivi “gli specialisti della materia”. Tale richiesta fu positivamente accolta da Appio Claudio. Questo portò negli anni che intercorrono tra il 451-450 A.C. alla sostituzione del supremo collegio, composto dai due consoli-magistrati, con la formazione del collegio decemvirale. Quest’ultimo era un collegio composto da dieci membri. Essi avevano il compito di governare la vita cittadina di Roma e di redigere un testo di Leggi Romane. Essi sono definiti con il termine “decemviri legibus scribundis”. Appio Claudio era colui che presiedeva tale collegio. Nel 449 A.C. vengono ultimate le ultime due tavole e pubblicate definitivamente le XII TAVOLE. Queste rappresentano il punto di partenza dei diritto cittadino, di quel che noi identificheremo con il termine di “diritto civile”. Le XII TAVOLE implicano un diritto scritto, certo e determinato, che può essere letto e compreso da ogni singolo cittadino membro della comunità. Si tratta di un diritto che rappresenta uno spartiacque fra i mores, ossia il diritto consuetudinario, e il diritto nuovo. Parliamo di un diritto che regola e disciplina gli aspetti privatistici della società. Punto centrale di questa raccolta di leggi era: la proprietà fondiaria. Il riconoscimento e la disciplina della proprietà fondiaria portò ad una riorganizzazione territoriale. Inoltre i beni di proprietà venivano divisi in due categorie: res mancipi e nec mancipi. Nel primo gruppo rientravano i beni di valore maggiore ( immobili, terreni, animali da lavoro, schiavi ) e il trasferimento della loro proprietà era possibile solo attraverso un atto negoziale: la mancipatio. Si trattava di un atto solenne che avveniva seguendo determinate prescrizioni scritte e in presenza di un pluralità di testimoni. Viene riconosciuto l’usus che implica il fatto che una situazione di fatto, durata uno o due anni, diventava una situazione di diritto ( si trasformava in un vero ed effettivo diritto ), sanando ogni vizio attinente al trasferimento della proprietà. Altro punto importante di questa raccolta di leggi era: la famiglia. Venne meno la figura solenne del pater familias, in quanto furono riconosciuti ai membri del nucleo familiare degli strumenti e dei diritti da opporre a questi. La potestas del pater familias viene venne indebolita. Inoltre si abolì il matrimonio cum manu e per questo la moglie non veniva più considerata figlia del marito e figlia del pater familias del marito. Questo avveniva con l’interruzione temporanea del matrimonio ossia con l’assenza della moglie dal tetto coniugale per tre notti consecutive. Questa possiamo definirla una forma di usus. Un altro punto importante di questa raccolta di leggi fu: l’obbligazione. L’obbligazione era concepita come un rapporto di dipendenza reciproca fra due individui, in cui uno era creditore e uno debitore. Il primo aveva la facoltà di manifestare determinati diritti nei confronti del secondo e quest’ultimo era titolare di determinati doveri nei confronti del primo. L’obbligazione nasceva attraverso un accordo stretto fra questi due individui ossia un pactum. Infine ultimo punto importante di questa raccolta di leggi fu: il sistema sanzionatorio. A seguito di condotte dannose seguono una serie di sanzioni a capo del colpevole. Nel 367 A.C. vennero redatte tre leggi importanti: Leggi Licinie Sestie. Queste tre leggi rappresentano un punto di svolto nel conflitto patrizi-plebei, poiché questi ultimi riescono a veder soddisfatte la maggior parte delle richieste avanzate. Infatti tale legislazione segnò il primo passo verso una trasformazione del sistema politico-istituzionale e sociale di Roma. I patrizi e plebei rimangono sempre due ordini distinti,ma a livello politico-istituzionale e sociale sono equiparati. 1. Prima legge Si stabilisce che uno dei due consoli del supremo collegio può essere un plebeo. 2. Seconda legge Si stabilisce che ogni cittadino romano può possedere fino a 125 ettari di terreno. 3. Terza legge Si stabilisce in relazione ai debiti che gli interessi già pagati devono essere computati come parte del capitale da restituire. Nel 326 A.C. viene redatta: la Poetelia Papiria. Si stabilisce che il cittadino indebitato è sottratto dall’asservimento personale nei confronti del suo creditore e quindi non è tenuto a prestare lavoro nei confronti del creditore. Egli resta vincolato solo sul piano giuridico ed economico. Parliamo poi dei questori ( quaestores ). I questori vennero introdotti nel numero di due, per poi aumentare a quattro ed arrivare ad otto. La funzione principale svolta da questi era: la gestione delle finanze cittadine. Infine troviamo i tribuni della plebe ( tribuni militum ). Essi erano ventiquattro e la loro funzione principale era: potere d’intervento e di sanzione nei confronti di coloro che ponevano in essere delle condotte dannose nei confronti dei plebei. I tribuni della plebe potevano anche esercitare il potere di intercessio nei confronti delle delibere della magistratura ( consoli, censori, magistrati, pretori, questori, senato ). La Repubblica romana fonda l’ordinamento politico-istituzionale sul SENATO. Fino a questo momento abbiamo descritto gli organi politici-isituzionali. Adesso osserviamo l’organo che sta a fondamento dell’intero sistema. Il sistema politico e istituzionale della Repubblica romana vede a fondamento il senato poiché tale organo, diversamente dai consoli e dagli altri organi politici, garantisce certezza e indipendenza. Infatti i senatori non ricoprono una carica temporanea bensì permanente, i suoi componenti sono eletti e la sua funzione principale è il controllo dell’intera “macchina” politica-istituzionale. Ciò ha garantito per tutta l’epoca repubblicana romana un governo efficace nelle decisioni da prendere e negli interventi da porre in essere oltre alla tempestività con cui questo avveniva. La composizione interna del senato si sviluppa secondo una logica gerarchica. Al vertice vi era l’ex censore più anziano e in via subordinata gli altri senatori. Nel momento in cui Roma consolidò il proprio potere all’interno della città e iniziò ad espandere la propria egemonia allora il potere si consolidò anche all’esterno e per tale motivo vi era il bisogno di ambasciatori che andassero nei territori esteri per intrattenere rapporti e concludere accordi con le popolazioni straniere. Questi erano senatori denominati “legati”. Essi avevano compiti predeterminati e specifici che venivano stabiliti in via preventiva all’interno del senatoconsulto ( assemblea ). Le funzioni svolte dal senato sono le seguenti: • Approvare le delibere dei comizi in tema di leggi In origine ogni decisione deliberata dai comizi in tema di leggi doveva poi essere approvata dal senato, altrimenti veniva considerata nulla e inesistente. Con il passare del tempo il ruolo del senato si modificò e divenne meramente preventivo, di conseguenza il senato autorizzava preventivamente i magistrati a presentare delle proposte di legge ai comizi. • Assistenza e consulenza ai magistrati In settori giuridici particolarmente delicati ed importanti ( Esempio: scelte di politica estera guerra o pace, questioni religiose, gestione delle entrate e uscite ) si doveva seguire un iter preciso che vincolava fortemente l’azione del magistrato. Quest’ultimo infatti doveva chiedere prima un consulto al senato sulla questione da dirimere e successivamente emettere sentenza seguendo l’orientamento espresso proprio dal senato. • Approvare la selezione dei candidati per ricoprire la carica di magistrato • Supervisione della gestione delle risorse finanziarie Il senato dava istruzioni ai censori e questori sulla gestione delle finanze delle Stato. Dopo aver analizzato in modo approfondito il sistema politico-istituzionale della Repubblica Romana passiamo ad analizzare l’altro lato della “medaglia” ossia il popolo. Il popolo esprimeva voto in due casi specifici: • Nomina dei magistrati superiori ( magistrati cum imperio ossia potere di comando ) • Delibere disciplinanti la vita della comunità ( “leggi della città” ) Originariamente il popolo votava attraverso i comizi centuriati ( assemblee popolari ). All’interno del comizio centuriato il voto dei singoli cittadini era diseguale, poiché dipendeva dall’età e dal ceto sociale di appartenenza. Ad ogni modo per ogni classe sociale, ricordiamo essere cinque, vi era un certo numero di centurie. In totale si contavano 193 centurie. Le centurie non votavano contemporaneamente bensì seguendo un ordine progressivo. Spesso accadeva che le 18 centurie dei cavalieri e le 80 centurie della prima classe erano idonee da sole a raggiungere la maggioranza, in modo da chiudere la votazione ed escludere dal voto le centurie appartenenti alle classe inferiori. Le decisioni prese dal comizio centuriato erano denominate: leggi comiziali. Si seguiva un iter prestabilito: 1. Il magistrato legittimato a radunare i comizi centuriati stabiliva una data in cui si sarebbe svolta l’assemblea, una volta aver consultato il calendario religioso e il calendario politico, dandone comunicazione in anticipo. Contemporaneamente il magistrato rendeva pubblica la sua proposta di legge. 2. Durante l’assemblea si svolgeva il dibattito, che culminava con la decisione finale del comizio centuriato: accettare o respingere la proposta di legge. Non era possibile modificare la proposta di legge originaria né proporre emendamenti. Per tale motivo vi era una forma di “democrazia limitata”. L’esempio primario di “democrazia limitata” lo abbiamo nel momento in cui il comizio centuriato deve nominare i magistrati superiori, ma deve farlo scegliendo questi da una lista scritta già prestabilita dai magistrati attualmente in carica e autorizzata dal senato. Con il passare del tempo e soprattutto con la parificazione dell’ordine patrizio e dell’ordine plebeo vediamo affiancarsi ai comizi centuriati un’altra forma di assemblea cittadina. Stiamo parlando delle assemblee della plebe. Le delibere assunte in questa assemblea erano i plebisciti. Nel 449 A.C. in forza delle Leggi Valerie Orazie si stabilì che le leggi comiziali e i plebisciti avevano lo stesso valore e il medesimo riconoscimento giuridico. Si arrivò poi ad un’unica assemblea, in sostituzione delle due precedenti, che prese il nome di: comizi tributi. I comizi tributi erano costituiti da patrizi e plebei ed avevano la funzione di nominare magistrati superiori ( cum imperio ) e magistrati inferiori ( sine imperio ) insieme alla delibera delle proposte di legge riguardanti la vita della comunità cittadina. L’insieme delle leggi in cui erano competenti i comizi tributi riguardavano la sfera del diritto pubblico e solo in piccola parte anche il diritto privato. In relazione al diritto pubblico ricordiamo le seguenti leggi: - Leggi sull’organizzazione cittadina - Leggi sulla disciplina dei comizi tributi - Leggi sull’organizzazione delle figura sacerdotali - Leggi sull’organizzazione internazionale In relazione al diritto privato ricordiamo le seguenti leggi: - Leggi in tema di debiti - Leggi in tema di spese - Leggi in tema di diritto agrario - Leggi in tema di strade e acquedotti - Leggi sull’attività amministrativa Capitolo 6: La strada per l’egemonia italica Osserviamo una differenza sostanziale tra gli ordinamento giuridici moderni e gli ordinamenti giuridici antichi. Nei nostri giorni vige il principio della “territorialità del diritto” ossia ogni individuo che si trova su un determinato territorio statale segue il diritto di quello stesso Stato. In epoca antica invece vigeva il principio della “personalità del diritto” e quindi indipendentemente dal territorio in cui ci si trovava ognuno seguiva e rispettava sempre il proprio diritto, quello di propria appartenenza. Soffermando l’attenzione sull’ordinamento giuridico romano vediamo come vi erano degli strumenti utilizzati per garantire una forma di tutela giuridica agli individui stranieri che si trovava sul territorio romano. Uno di questi principali strumenti era: l’hospitium ( ospitalità ). In un primo momento si utilizzava l’hospitium privato e quindi il privato cittadino romano garantiva al proprio amico straniero una forma di tutela dentro l’ordinamento giuridico cittadino. In un secondo momento si iniziò ad utilizzare anche l’hospitium pubblico e quindi l’intera città garantiva una determinata forma di tutela agli stranieri, come ad esempio la possibilità di chiedere protezione legale. Con il passare del tempo l’hospitium pubblico si trasformò nella stipula di accordi internazionali ( foedera ) fra le varie comunità cittadine. Oggetto di tali accordi era, oltre alla tutela giuridica dei propri cittadini, anche la determinazione del proprio ruolo e dei propri interessi politici in relazione reciproca.Vediamo come proprio in questo contesto, su scala internazionale, emerge la superiorità di Roma. Tale superiorità politica di Roma viene riportata in un importante documento: il trattato fra Roma e Cartagine. Il Trattato di Cartagine in questione viene stipulato nell’anno immediatamente seguente alla cacciata di Tarquinio il Superbo da Roma. Dal trattato rileva l’egemonia romana nei territori del Lazio ossia il suo prevalere su di essi. Tanto da fare una distinzione fra le città considerate “soggette a Roma” e le città considerata “non soggette a Roma” ossia “alleate dipendenti”. Dal trattato emerge però principalmente l’impegno reciproco da parte di queste due comunità a rispettare l’una i cittadini dell’altra. Un successivo documento importante fu il Foedus Cassianum ossia il patto di alleanza tra i Romani e i Latini. I Latini che si trovavano sul territorio romano godevano di due diritti principalmente, diritti appartenenti allo ius civile e quindi al diritto privato. Tali diritti erano: - Ius commercii→ diritto di commercio - Ius conubii → diritto di sposarsi con un cittadino romano Solo in un momento successivo subentrò un terzo ed ulteriore diritto: - Ius migrandi → diritto di emigrare in territorio romano acquistando la cittadinanza romana In questo periodo inizia a svilupparsi il fenomeno delle COLONIE. Il termine “colonia” indicava: piccola comunità urbana creata ex-novo dalla città madre e situate in un punto strategico per quest’ultima, anche se spesso distante dalla città fondatrice. Inizialmente Roma e la Lega ( l’insieme delle città del Latium Vetus ) svilupparono ognuna le proprie colonie. Solitamente le colonie romane erano composte da una minore quantità di persona, circa trenta, e si trovavano spesso situate lungo le coste della penisola in modo tale da svolgere più efficacemente la funzione di controllo per le vie di comunicazione e per eventuali difese contro atti aggressori di stranieri. La fondazione di una colonia avveniva su delibera del senato e approvazione dei comizi, nei quali si andavano a designare i magistrati che avrebbero istituito la colonia oltre allo statuto di questa. Quest’ultimo avrebbe disciplinato e regolato l’organizzazione e la vita della comunità coloniale. Nel campo politico un personaggio importante fu: APPIO CLAUDIO. Appio Claudio fu censore nel 312 A.C. e durante la sua carica pose in essere una politica innovatrice e di modernizzazione, pur rimanendo in linea con le tradizione dei suoi antenati. Al tempo fu costruita la Via Appia, soprannominata dai Romani come la “regina delle vie”. Questa era la via di comunicazione fra Roma e la Campania, per poi arrivare fino a Brindisi. La Via Appia, oltre a rappresentare un’importante svolta nel campo delle comunicazione terrene, diede anche e soprattutto la possibilità di raggiungere le coste del Mediterraneo in modo tale da sviluppare nel corso del tempo il commercio per terra e per mare e per raggiungere importanti successivi politici fino al controllo di tutto il Mediterraneo. A livello sociale Appio Claudio decise di riformare la distribuzione dei cittadini nelle varie tribù e quindi nelle singole classi sociali. L’appartenenza ad una classe dipendeva sia dai beni immobili posseduti ( terreni\fondi ) sia dai beni mobili ( denaro ). A livello politico l’aspetto più importante fu l’introduzione nella nobilitas senatoria dei liberti, di quei cittadini romani che non erano nati “liberi” ma che avevano ottenuto la libertà solo in seguito grazie al proprio signore\padrone. A livello giuridico nel 304 A.C. furono resi pubblici i calendari e formulari delle azioni processuali, prima di esclusivo accesso del collegio pontificale. Adesso invece ogni singolo cittadino romano aveva la possibilità di conoscere gli strumenti fondamentali per la tutela processuale dei propri diritti. Questa importante riforma avvenne nel momento in cui il diritto non riguardava più solamente il diritto della persona, il diritto familiare, le successioni bensì riguardava anche gli atti negoziali che andavano formandosi sempre più. Grazie alla circolazione del denaro e alla nascita di spazi comuni di scambio, come il mercato, si concludevano continuamente atti negoziali in forza dei quali nascevano dei diritti e doveri in capo ad ambo le parti. Venne poi istituita la Lex Aquilia mediante cui si disciplinava il sistema dei comportamenti dannosi e delle conseguenze legali provenienti da tali comportamenti. Capitolo 8: L’evoluzione del diritto romano e gli sviluppi della scienza giuridica Tra il III e II A.C. si conclude la stagione di un sapere giuridico monopolizzato da un gruppo chiuso di specialisti, quali i pontefici, per affermarsi un sapere giuridico laico. Fino a questo momento il sapere giuridico era di esclusiva competenza dei pontefici. Questi erano considerati i depositare della conoscenza delle norme e totale era la loro autorità nell’andare ad interpretare ed applicare dette norme. Il punto di partenza del loro lavoro consisteva nella comprensione ed esplicazione letterale del testo di queste norme, un’interpretazione resa difficoltosa dall’oscurità della lingua arcaica. Da questo punto di partenza di andava ad applicare la norma ed estendere la sua portata a diverse situazioni di fatto, in modo da gestirle e risolverle. Sovente avveniva una forzatura della portata precettiva e dell’applicazione ai casi concreti di dette norme, attraverso gli strumenti dell’analogia e della finzione giuridica. Nuovi risultati si ottenevano andando a modificare consapevolmente il significato di una norma o di un istituto giuridico, arrivando a finalità diverse da quelle sue proprie originarie. Ruolo determinante nel processo di laicizzazione del diritto romano lo ebbe, oltre ad Appio Claudio, anche il pontefici Tiberio Coruncanio ( primo pontefice plebeo ), poiché rese pubbliche le sedute del collegio pontificale, in modo tale che i cittadini romani potessero venire a conoscenza delle norme giuridiche, della loro interpretazione e applicazione al caso concreto, seguendo l’iter di ragionamento svolto dagli specialisti. Con il passare del tempo al collegio pontificale si sostituirono i primi giuristi. Questi ultimi iniziarono un lavoro di riflessione sistematica sulle norme, sugli istituti giuridici, sulle forma processuali. Si trattava di un lavoro scisso fra il teorico e il pratico, andandosi poi a sfociare nell’orientare e nell’assistere i cittadini romani nella singole situazione di fatto meritevoli di tutela. Adesso i giuristi ricevano a casa amici, clienti, estranei che necessitavano di un parere legale. Tenevano incontri pubblici con il fine di prestare parere legale. Fra queste persone vi erano anche coloro che ascoltavano per imparare, per conoscere e comprendere il ragionamento del giurista ossia l’interpretazione e l’applicazione di norme giuridiche per arrivare ad un determinato risultato. Ecco che nel III secolo A.C. i giuristi iniziarono a produrre un diritto scritto, che assicurerà una trasmissione del sapere giuridico certa, chiara a determinata. Si avrà un diritto trasmesso da generazione in generazione, modello di testimonianza del passato e fonte innovatrice per il futuro. Nasce così quella che noi oggi chiamiamo: scienza giuridica. Con la laicizzazione della scienza giuridica attraverso il ruolo dei giuristi e la scrittura del diritto nasce lo ius controversum ossia un diritto la cui portata prescrittiva e il cui significato delle singole regole derivano da un continuo dibattito fra giuristi. In questo andranno a prevalere le idee più convincenti, le interpretazione e soluzioni proposte da chi si rivela essere più autorevole. L’autorevolezza era un concetto che dipendeva fortemente dal consenso degli altri giuristi e dell’opinione pubblica. I primi giuristi laici crearono nuovi istituti giuridici del diritto civile. Ad esempio: - Si differenziò la proprietà dal possesso - Si differenziarono varie sottoforme del diritto di proprietà ( usufrutto ; servitù ) - Si riconobbe l’importanza del contratto ( atto negoziale ) da cui derivano una serie di diritti e dovere in capo di ambo le parti e in via conseguenziale si riconobbe importanza anche a tutti quei comportamenti dannosi, illeciti, in ambito extracontrattuale Il pretore magistrato cum imperio svolgeva un ruolo importante e rilevante all’interno dell’ordinamento politico-istituzionale romano ed al contempo subiva delle forte limitazione a livello giuridico, poiché il suo ruolo era subordinato al rispetto del formalismo delle legis actione. Il pretore infatti nell’esplicare le proprie funzioni in ambito giuridico doveva rispettare gli schemi verbali prestabiliti da queste leggi e doveva sempre confrontarsi con il collegio pontificale. Ciò rendeva difficoltoso lo svolgimento del suo operato, in quanto non era libero di esaminare i fatti di una controversia fra privati attraverso la prova della loro esistenza materiale e attraverso l’interpretazione e l’applicazione di norme giuridiche astratta da applicare al singolo caso concreto. Il III secolo A.C. fu un momento di forte cambiamento, di crescita militare e politica oltre alla crescita demografica di Roma. Questo portò una consistente quantità di persone a voler commerciare con quella che stava diventando la città più importante del Mediterraneo. Cosa accadeva però? Le legis actiones non disciplinavano situazioni diverse e variegate bensì solamente situazioni giuridiche specifiche che si riproponevano nella realtà quotidiane con una certa frequenza. Il crescente numero di persone che entravano nella realtà romana e il crescente sviluppo della realtà negoziale, portò ad una serie di controversie e litigi nuovi che necessitavano di essere disciplinate. Inoltre queste persone che entravano a Roma per svolgere attività commerciale avevano il diritto di ricevere tutela giuridica in quei rapporti commerciali che intrattenevano con i Romani. Lo ius civile del momento non prevedeva tutela per tali soggetti né disciplina per questi rapporti di tipo commerciale. Per tale motivo il pretore creò nuovi procedimenti, volti a garantire un certo livello di tutela per tutti gli individui che intrattenevano rapporti economici nel territorio romano. Con il tempo accanto alla figura del pretore che già consociamo venne istituita una nuova figura di pretore: il praetor peregrinus ( nel 242 A.C. ). Queste nuove norme giuridiche e questi nuovi procedimenti venivano applicati anche ai rapporti economici e commerciali fra Romani stessi, con il fine di evitare che questi rimanessero ancorati ad un formalismo giuridico ormai inadeguato. Con il superamento del formalismo delle legis actiones , con l’introduzione di nuove norme e procedimenti a tutela dei veri rapporti di tipo commerciale ed economico, con la creazione della nuova figura del praetor peregrinus → si arrivò al tramonto delle legis actiones. Adesso nacque un nuovo processo: processo formulare. Il processo formulare nasce tra la fine del III secolo e l’inizio del II secolo A.C. Il processo formulare si fonda su delle formule predeterminate che il giudice deve pronunciare una volta che abbia esaminato i fatti dedotti in giudizio dalle parti e che ne abbia confermato la veridicità ( reale esistenza materiale ) di questi. Successivamente all’esame dei fatti e alla discussione preliminare con le parti in causa, il pretore rilasciava determinate formule mediante le quali andava ad indicare il contenuto degli esami svolti e il ragionamento da esso effettuato. Tali formule erano aperte a molteplici interpretazione e applicazioni. Erano infatti formule flessibili ed elastiche che presupponevano un’analisi precisa della controversia, in modo da assicurare un trattamento giuridico e processuale equo per ambo le parti. In questo contesto nacque l’importanza del concetto di aequitas. Questo era un criterio guida e un valore di riferimento per la giurisprudenza, che aveva lo scopo di garantire un’eguaglianza fra le parti di una controversia. Perchè fu importante nella storia giuridica romana il ruolo del pretore? Il pretore urbano e peregrino all’inizio del loro anno di carica pubblicavano sempre un editto, all’interno del quale rendevano note quali situazioni sostanziali avrebbero ricevuto tutela giuridica da parte loro. In questo senso si andavano delineando una serie di nuove situazioni meritevole di tutela per l’ordinamento giuridico romano a cui se ne aggiungevano sempre di nuove. In modo particolare il pretore peregrino garantiva tutela giuridica agli stranieri e quindi a quelle situazioni sostanziali che venivano a crearsi fra stranieri o fra straniero e romano. Si trattava di situazioni sostanziali nuove, che non venivano regolate dal diritto romano ossia dallo ius civile. Per tale motivo nacque un diritto “di tutti gli uomini” che prese di “ius gentium” ( = diritto delle genti ). Questo con il tempo verrà applicato anche a situazioni sostanziali sorte fra Romani stessi, per evitare che si rimanesse ancorati a degli schemi normativi e prescrittivi rigidi del passato, non aperti a nuove interpretazioni e applicazioni e discipline giuridiche della realtà attuale. Quindi… accanto al diritto civile ( ius civile ) si andò delineando il diritto pretorio ( ius honorarium ). Vediamo coesistere questi due diritti: da una parte vi era il diritto romano proprio della tradizione giuridica romana e dall’altra vi era il diritto pretorio nato da una serie di editti propri dei pretori. Da questa coesistenza se ebbe una crescita esponenziale del sapere giuridico, della disciplina giuridica, delle situazioni considerate adesso meritevoli di tutela. Il ruolo del giurista non si limitava solamente, come avveniva in passato, ad una mera consultazione e consiglio da fornire a coloro che ne avevano bisogno bensì riguardava un esame della situazione sostanziale posta in essere da due o più soggetti, un’interpretazione delle norme giuridiche esistenti e la loro applicazione al caso concreto. Da qui iniziò a delinearsi una giurisprudenza consolidata. Si andavano così a formare delle regole, delle norme giuridiche per disciplinare singole situazioni sostanziali che potevano essere astratte e\o concrete. Tra i personaggi storici di maggior rilievo dobbiamo citarne tre in particolare: L’aspetto sostanziale che dobbiamo sottolineare è la facoltà riconosciuta dall’ordinamento giuridico romano di concedere la libertà ad uno schiavo e la susseguente cittadinanza romana, assumendo questo la denominazione di “liberto”. Sovente il padrone di uno schiavo che svolgeva importanti funzioni fra quelle citate nel secondo gruppo e che lavorava a suo stretto contato concedeva questo duplice diritto al suo schiavo. Ottenendo la libertà si otteneva in via consequenziale anche la cittadinanza romana. Un importante personaggio della letteratura latina si pronunciò sulla realtà della Roma tardorepubblicana. Questi era: Polibio. “Il grande vantaggio di Roma fu l’aver fuso insieme tre forme di governo all’interno di un sistema giuridico-politico unitario. Queste forme di governo sono a capo di diversi titolari, i quali condividono il potere attraverso un necessario consenso e riconoscimento reciproco. Ciò dà vita alla cosiddetta “Costituzione mista”. Le forme di governo che ritroviamo in questa sono: forma monarchica ( potere nelle mani dei consoli ), forma aristocratica ( potere nelle mani del senato ), forma democratica ( potere nelle mani dei comizi ). Capitolo 10: La prospettiva delle grandi riforme e la crisi della classe dirigente romana Siamo nel II secolo a.c quando Roma mantenne la sua struttura e organizzazione interna come “città-stato”, una struttura e un’organizzazione politica interna non più adeguata alle dimensioni di questa realtà. Infatti nel corso del tempo abbiamo visto come Roma ampliò i sui possedimenti, si espanse fino a raggiungere l’egemonia del Mediterraneo e fuse le proprie tradizioni\culture con quelle di nuovi popoli arrivando ad una crescita sotto diversi aspetti. Il latino era divenuta la lingua ufficiale, anche se al contempo non si era perso totalmente delle lingue italiche. Il diritto romano era divenuto invece lo strumento principale di comunicazione e disciplina. Vediamo come con il tempo si arrivò ad una divaricazione sempre più accentuata fra la classe dirigente romana e il resto della popolazione, oltretutto assoggettato a crescenti obblighi di pagamento ( obblighi economici ). Inoltre la decisiva forza militare romana che aveva garantito una serie di successivi e di conquiste si scontrava con la contraddizione di vedere aumentare il prestigio ed anche il potere nelle mani dei comandanti militari, potere che ponevano in essere nei confronti dei cittadini romani. Ciò portò al venire meno di quel “patto” sul quale si era fondato il sistema romano fino a quel momento e che aveva caratterizzato la realtà romana per tutta l’età repubblicana. Questa situazione creò una divisione interna nella classe dirigente romana con la seguente formazione di due gruppi “politici” portatori di due ideologie differenti: da una parte vi erano gli “ottimati” ossia coloro che volevano accrescere sempre più il potere politico nelle mani di una stretta cerchia di persone ossia della classe dirigente romana allontanandosi da quei meccanismi di consenso e approvazione sociale che avevano caratterizzato il sistema politico fino a quel momento, mentre dall’altra vi erano i “popolari” ossia coloro che volevano mantenere un diretto contatto con il popolo e garantire la garanzia riconosciuta da sempre con il termine di libertas repubblicana. Questi due schieramenti politici si scontrarono inizialmente in maniera civile per poi passare però a dei meccanismi che volti a ledere il sistema politico stesso che aveva caratterizzato la Roma repubblicana fino a quel momento. La prima modifica riguarda i consulta. In origine i consulta erano dei meri pareri o consigli provenienti dal Senato nei confronti dei magistrati nell’espletare la loro funzioni politiche e giudiziarie. Successivamente si trasformano in “senatus consultum ultimum” ossia nella decisione avente forza di legge presa dal senato su proposta del magistrato. Attraverso questo istituto giuridico era possibile per la prima volta nella storia di Roma sospendere provvisoriamente, davanti ad importanti motivi e ragioni, quella garanzia riconosciuta ai cittadini romani identificata con il termine di libertas repubblicana. Questo fu il primo strumento in cui si manifestò la supremazia del potere politico sulla popolazione cittadina romana. La prima sperimentazione di questo istituto giuridico avvenne in un episodio rivelatosi poi falso e ingannevole. Si tratto di un finto complotto nei confronti del Senato e dei dirigenti romani proveniente da alcuni culti dionisiaci di origine greca ormai diffusi nella penisola italica. Davanti a queste finte minacce il Senato autorizzò attraverso un senatus consultum una dura repressione nei confronti di tutti coloro che praticavano questo culto e nei confronti dei meri sostenitori. Si condannarono a morte questi soggetti e per la prima volta non si rispettarono quei diritti di tutela\garanzia riconosciuti ai cittadini romani e identificati nella libertas repubblicana. Venne meno quindi lo strumento diffuso della provocatio ossia la possibilità del singolo cittadini romano di appellarsi al popolo, davanti ad una condanna a morte o una condanna al pagamento di una sanzione eccessiva, chiedendo a questo di pronunciarsi decidendo la sua condanna definitiva o assoluzione. Uno dei momenti più importanti lo segnò Tiberio Gracco. Tiberio nel 133 a.c. iniziò la sua carriera politica come tribuno della plebe. Egli avviò dal principio una politica riformatrice che suscitò reazioni differenti allo stesso tempo. Stiamo parlando della riforma agraria proposta e votata dai concilia. La riforma prevedeva i seguenti punti: • Ciascun cittadini poteva possedere una porzione di terre pubbliche nel rispetto di certi e determinati limiti prestabiliti dalla legge. I limiti erano i seguenti: 500 iugeri per ogni pater familias ai quali se ne potevano aggiungere altri 250 per ogni figlio maschio, per arrivare ad un max consentito di 1000 iugeri. • Superato il limite max consentito le terre venivano sottratte e ridistribuite ad altri cittadini. Ad occuparsi della sottrazione e ridistribuzione delle terre era un triumvirato di persone costituito appositamente per svolgere tale funzione e denominato concilia plebis. • Divieto di alienazione del lotti Questa riforma andava a toccare principalmente le condizioni di favore nelle quali era abituata a vivere la classe dirigente romana fino a quel momento. Infatti le terre pubbliche ( ager publicus ) fino a quel momento erano state nel possesso materiale dei dirigenti romani e venivano da loro considerati nel concreto parte della loro proprietà privata, ossia un bene intangibile quando in realtà erano terre pubbliche e per tale motivo oggetto di revoca in ogni momento. Per tale ragione coloro che prima vantavano dei benefici e vantaggi oggi se ne vedevano privati e per tale motivo parte della classe dirigente romana elesse un altro tribuno, Ottavio, con lo scopo di impedire la discussione e la votazione della riforma avanzata da Tiberio Gracco. In realtà quest’ultimo fu scaltro e furbo nell’espletare il suo ruolo e nel raggiungere i suoi obiettivi. Infatti basò la sua proposta di legge ossia la sua riforma agraria su un principio base ossia il fatto che la funzione di tribuno della plebe era funzionale e finalizzata a garantire un certo livello di beneficio e vantaggio al popolo cittadino romano e non ad andar contro ai loro interessi e proprio per tale motivo sosteneva la necessità di avanzare tale riforma e la susseguente discussione e votazione di questa in senato. Quest’ultimo non riuscì a fronteggiare l’abilità politica di Tiberio Gracco e dovette perciò approvare la sua riforma. Da questo momento in poi la figura del tribuno della plebe era legata all’immagine di un mandato speciale fra popolo e tribuno, che stava a simboleggiare un rapporto vincolante fra queste due parti. Ad ogni modo conclusasi la sua carica ( un anno ) Tiberio si ricandidò per essere nuovamente eletto a ricoprire il ruolo di tribuno della plebe. Questo atteggiamento andava a scontrarsi con i criteri del cursus honorum, secondo cui non si poteva essere rieletti per ricoprire la medesima carica politica. Tiberio aveva l’obiettivo di assicurare un proseguio alla sua riforma politica e garantirsi un certo grado di tutela per la sua persona. La carica di tribuno gli avrebbe fatto raggiungere entrambi questi obiettivi. Per tale motivo aumentarono ancor di più i suoi nemici e per questo venne assassinato di li a poco. La sua riforma e le leggi che questa comportava riuscirono però a rimanere in vigore e non essere totalmente abrogate e\o disapplicate. Nel 123 a.c. viene eletto tribuno della plebe Gaio Gracco ( fratello di Tiberio ). Gaio su ispirazione del fratello portò davanti all’approvazione del senato una serie di leggi che riprendevano le linee della tradizione agraria, della politica popolare con attenzione al fenomeno delle colonie romane. Vediamo le più importanti: • Lex Sempronia Vengono fondate due nuove colonie: Taranto e Capua. Segue un processo di ripopolamento in questi territori. • Lex Rubria de colonia Carthagine Viene fondata la colonia di Cartagine. • Lex de provinciis consularibus Si obbliga il senato a sorteggiare quali province saranno assegnate ai futuri consoli prima ancora che questi vengano eletti. In tal modo si impediva al senato di scegliere quali province erano destinate a chi, andando così a garantire una politica paritaria per ognuno. • Lex Sempronia de capite civis Romani Ogni fattispecie penale riconosciuta come reato deve essere determinata e definita previamente dai comizi e quindi dalla legge comiziale. In tutti i casi in cui la condanna implica la pena capitale deve esservi il consenso dei comizi. Inoltre il tribuno della plebe, terminato il suo anno di carica, può essere rieletto per ricoprire la stessa posizione. Inoltre si modifica il sistema di voti dei comizi centuriati, prima basato su un ordine di voto in base alla classe centuriata di appartenenza. Adesso invece si doveva sorteggiare ogni volta le classi centuriate in modo tale da stabilire l’ordine di votazione. In tal modo si garantiva parità e la medesima rilevanza di voto ad ogni classe centuriata. • Lex Sempronia iudicaria Si modifica la composizione dei tribunali. Adesso i giudici non vengono più nominati tra una rosa di nomi di membri appartenenti al rango senatorio. In tal modo si evita che queste stesse persone in sede di processo vadano a favorire coloro che appartengono alla medesima classe sociale svantaggiando altrui persone. • Lex Sempronia militaris Si stabilisce che le spese per le vesti e per l’equipaggiamento sono a carico dello Stato e inoltre si stabilisce un limite max di età per l’arruolamento. Questo sistema di leggi mirava a ridurre la forza politica, ossia il potere, del Senato garantendo un certo equilibrio e una condizione di parità all’interno del sistema politico-istituzionale romano. Al contempo mirava a garantire la tutela di quelle libertà per i cittadini e principi di legittimità che avevano caratterizzato la storia di Roma fino a poco tempo prima. Al senato viene sottratta la gestione delle province romane Vediamo le RIFORME di Silla: • Lex Valeria de Sulla dictatore Questa legge attribuisce a Silla un potere assoluto in qualità di “dittatore” per ricostruire la Repubblica e riscrivere le leggi. • Centralità del Senato nella scena politica La riconquistata centralità del Senato deve però fare i conti con due problematiche: - l’importanza acquisita negli anni, soprattutto durante il tribunato dei fratelli Gracchi, e soprattutto forza legislativa del tribunato della plebe. - la crescita e la determinazione sulla scena politica del comando militare, cresciuto proprio con Silla. Per quanto concerne il tribunato della plebe Silla stabilì la preventiva approvazione del Senato dei candidati all’elezione di questa carica politica. Inoltre si stabilì il divieto per chi aveva già ricoperto questa figura di ricoprire altre cariche della magistratura, sine imperio e cum imperio. Venne poi limitata la funzionalità del tribunato della plebe ed infatti il suo ambito di intervento veniva limitato solo al potere di veto a favore del singolo cittadino e non dell’intera comunità. Infine per quanto riguarda l’iter legislativo si stabilì che il Senato avrebbe avuto un ruolo in questo attraverso l’auctoritas patrum interposta alle leggi comiziali. Per quanto concerne invece l’aspetto militare Silla volle impedire che il comando dell’esercito fosse una via per accedere più facilmente alla scena politica, proprio come aveva fatto lui stesso. Per tale motivo accentuò la distinzione fra governo civile e comando militare e determinò l’esercizio dell’imperium militiae entro i confini. • Il sistema criminale romano viene rinnovato Fin’ora l’ordinamento giuridico romano non aveva mostrato attenzione e importanza al sistema criminale del diritto romano, un ramo in realtà fondamentale della vita giuridica romana. Originariamente venivano represse e condannati solo alcuni reati. Con il trascorre del tempo l’intervento diretto della città nei confronti di questi crimini si ampliò con il coinvolgimento dei magistrati cum imperio, dei pretori e dei tribuni della plebe. Questi si occupavano dei reati maggiori. Dei reati minori invece se ne occupavano i questori e gli edili. Infine dei reati colti in fragranza o nei riguardi di persone di poco conto se ne occupava la “polizia” identificata con il termine tresviri capitales. Il processo penale a confronto con il processo civile era sprovvisto di tecnicismi e determinatezza giuridica. Infatti il processo civile era affidato a professionisti e specialisti della materia giuridica, in modo tale da creare interazione fra realtà astratta ( norma giuridica ) e realtà concreta ( fattispecie posta in essere ). Diversamente il processo criminale, quello che noi oggi chiamiamo “penale”, era svolto dal magistrato che si occupa della fase istruttoria e dalla giuria che si occupava di dichiarare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Era poi il magistrato a prendere la decisione finale ed irrogare la relativa sanzione nei confronti del colpevole. I giudizi che comportavano la pena di morte dell’imputato potevano essere sottratti alla competenza del magistrato attraverso la provocatio ad populum, nella quale il magistrato svolge solamente la fase istruttoria e sarà direttamente il popolo a svolgere la fase decisoria e quindi a prendere la decisione finale. Nel tempo questa facoltà ( provocatio ad populum ) dell’imputato di rivolgersi al popolo per la decisione finale venne estesa anche a reati diversi da quelli che comportavano necessariamente la pena capitale. Stiamo parlando infatti dei seguenti reati: reati represse con multa pecuniaria, reati repressi con l’incarcerazione del colpevole, reati repressi con la fustigazione. Furono poi le Leges Porciae del II secolo a.c. ad estendere questa facoltà non solo ai reati commessi entro le mura di Roma ma anche ai reati commessi nelle province romane. Certo era che l’assemblea popolare non poteva garantire un sistema criminale efficace, in quanto si trattava di una moltitudine di persone non istruite e non specialiste della materia. Originariamente le lamentele dei provinciali nei confronti degli ex magistrati venivano portate all’attenzione dei tribuni della plebe, i quali si occupavano egli stessi di irrogare sanzioni adeguati nei confronti del colpevole. Parliamo di reati di cattiva amministrazione a danno dei singoli individui. Successivamente le lamentele dei provinciali su tali questioni vennero portate direttamente all’attenzione del Senato, il quale andava a istituire un collegio provvisorio di giudici ( i reciperatores ) che doveva stabilire la colpevolezza o meno dell’imputato e irrogare eventuali sanzioni. In casi particolarmente complessi in cui l’imputato era un membro stesso del Senato allora questo organismo andava ad affidare la questione ad un magistrato cum imperio assistito da un consiglio di senatori. Nel corso del II secolo a.c. il processo criminale passò sotto l’esclusivo controllo del Senato. Questo nuova forma di controllo si manifestò attraverso una serie di delibere e provvedimenti legislativi atti a istituire dei veri e propri tribunali che avrebbero disciplinato i singoli casi venuti in essere. Questi venivano identificati con il termine “quaestiones”. I tribunali erano composti da un corpo di giurati e presieduti da un console o pretore. Questi tribunali si occupavano di: - reati politici - reati nei confronti della sicurezza del res publica - reati riguardanti crimini privati di particolare gravità ( Esempio → omicidio e avvelenamento ) Il tribunale più importante era quello chiamato a disciplinare il crimen repetundarum ossia il reato di concussione dell’aristocrazia e degli affaristi perpetrato ai danni dei provinciali. L’istituzione dei tribunali caso per caso, la loro provvisoria funzionalità, non garantiva un sistema penale certo e determinato e non era adeguato all’importanza della sua funzione. Ciò portò all’istituzione di corti\tribunali permanenti che fossero in grado di gestire una determinata gamme di reati. La Lex Calpurnia del 149 a.c. → stabiliva che per i giudizi relativi ai reati di repetundae, ossia i casi in cui si contestava il reato di concussione dell’aristocrazia o degli affaristi ai danni dei provinciali e per i quali si richiedeva la restituzione del maltolto ingiustamente, si istituivano dei tribunali permanenti che trattassero del reato specifico. Si passa perciò a parlare di quaestiones extraordinariae ( = questioni\indagini eccezionali ) a quaestiones perpetuae ( = questioni\indagini permanenti ). Con il tempo le questioni permanenti raggiungere un numero sempre più elevato arrivando ad essere sette con Silla. Quest’ultimo apportò una seria di riforme al sistema criminale romano e con ciò reintrodusse il forte potere del Senato in questo, andando così a ridurre la distanza fra controllati e controllori e alimentando sempre più un atteggiamento di favore e vantaggio del Senato verso i membri del ceto senatorio-aristocratico-equesre creando un netto disequilibrio con il ceto popolare e provinciale. Inoltre forte era ancora il principio di diritto privato legato all’autodifesa personale e secondo cui era il singolo individuo o chi per lui ne aveva concreto interesse a dover lamentale un danno subito e a cui seguiva un determinato controllo da parte delle autorità. Non vi era però la garanzia di un controllo preventivo, a- priori, da parte degli organi politici e istituzionali romani. Un altro aspetto caratteristico del sistema criminale romano era la possibilità per l’imputato di evitare la condanna alla pena capitale con l’esilio. Questa possibilità per il condannato può essere concepita oggi come una via di fuga dalla realtà dei fatti e dalla responsabilità non assunta del colpevole. In realtà in quel tempo era sì un diritto\facoltà per il singolo imputato ma al contempo era una scelta dolorosa questa in quanto la città stava a simboleggiare il proprio status personale ed uscire da questa significa perdere quell’insieme di diritti e libertà che fino a quel momento gli erano stati riconosciuti. Ad ogni modo Silla apportò un grande contributo al sistema penale romano con esiti positivi. Dal suo lavoro emerse un principio fondamentale nel diritto criminale romano: nessuno poteva essere perseguito penalmente e quindi vedersi imputata una condotta se questa non era prevista dalla legislazione cittadina come un vero e proprio reato. • Modifica composizione Senato Si mantenne il numero di aristocratici a 600. Si aggiunsero personalità del rango equestre con lo scopo di raggiungere una più forte interazione e intesa fra questi due gruppi sociali di vertice: ceto senatorio e ceto equestre ( cavalieri ). • Determinata la disciplina del cursus honorum Si stabilirono delle regole chiare e precise che disciplinassero questo percorso relativo alla carriera politica. Quindi: si proibì il rinnovo a ricoprire la medesima carica per più anni consecutivi e si stabilì un’età min\max per l’ammissione alle cariche politiche. In sostanza… Silla era un convinto esponente della cultura e dei valori aristocratici romani e ideò un sistema di riforme legislative atto a creare un sistema politico gerarchico, al cui vertice si trovava proprio il Senato. Capitolo 12: L’età delle guerre civili Nei tempi successivi alla morte di Silla l’assetto politico-istituzionale romano si andava indebolendo sempre più e con esso veniva meno la centralità e autorità del Senato. Ciò lo dimostra un accordo privato stretto fra tre personalità in quel momento rilevanti: Marco Licinio Crasso, Pompeo, Giulio Cesare. Questi tre personaggi strinsero un accordo privato con lo scopo di raggiungere, ognuno, dei benefici e vantaggi personali arrivando a sovvertire il sistema politico e istituzionale romano. Il fatto che un mero accordo fra privati, avvenuto nel 60 a.c., sia arrivato ad avere delle importanti conseguenti e degli effetti rilevanti sulla politica romana, dimostra come quest’ultima andava via via perdendo forza e determinazione. Obiettivi: • L’obiettivo di Cesare era di ottenere un determinato supporto finanziario e l’appoggio di Crasso e Pompeo alla sua candidatura al consolato. Questa carica era necessaria per raggiungere quella tale forza e quel tale potere a cui Cesare aspirava nell’esercito. • L’obiettivo di Pompeo era di ottenere l’approvazione del suo progetto da parte dei comizi centuriati ossia da parte del ceto popolare. Il progetto in questione riguardava la sistemazione delle terre conquistate da lui stesso in Asia. • L’obiettivo di Crasso era di riottenere un certo prestigio militare e guidare la spedizione contro i Parti. Questo dimostra come “ il diritto si piega al fatto” e ciò lo possiamo dedurre quando notiamo l’avvenuto rinnovo di tale accordo avvenuto quattro anni dopo presso Lucca, quando 200 senatori e numerosi magistrati cum imperio si recarono in codesta località per assistervi. Il secondo invece seppe sfruttare al meglio la propria furbizia e riuscì con questa a conquistare il rispetto e il sostegno da parte del ceto popolare. Inoltre con l’aiuto di Agrippa riuscì a sconfiggere Sesto, figlio di Pompeo, che da anni svolgeva una lotta nel Mar Mediterraneo contro i nemici del padre, bloccando però ogni forma di traffico commerciale per mare, importante fonte di ricchezza e sostentamento per l’impero. Seppur non abile in campo militare Ottaviano seppe scegliere al meglio i generali e condottieri del suo esercito, così da ottenere la vittoria definitiva su Antonio. Nel 32 a.c. Ottaviano schierò il suo esercito contro quello di Cleopatra. Antonio suo fedele alleato decise di entrare in campo con le sue truppe arrivando a perdere la guerra ad Azio. Ormai sconfitti Antonio e Cleopatra si tolsero la vita davanti al vincitore. Questo momento segna il tramonto definitivo della Repubblica romana e delle guerre civili. Capitolo 13: Augusto e la costruzione di un nuovo modello politico-istituzionale Ottaviano ebbe la fortuna di vivere una lunga vita: nacque nel 63 a.c., diviene triumviro a soli ventuno anni e dopo la vittoria ad Azio diviene l’assoluto padrone dell’impero fino alla sua morte avvenuta nel 14 d.c. La fortuna di vivere a lunga insieme alla sua astuzia, tenacia e capacità politica gli permisero di ottenere un titolo di enorme valore e prestigio. Ottaviano infatti nel lungo percorso della sua carriera politica fu designato: Imperator Caeser Augustus ( Il termine Augustus deriva dalla sua designazione a Princeps Senatus divenuta poi Princeps Universorum per poi giungere alla designazione finale di Augustus ). ( Il termine Imperator gli spetta per eredità in quanto figlio adottivo di Cesare per testamento ). ( Il termine Cesaer deriva dal padre direttamente ossia dalla famiglia di appartenenza ). Questa designazione conferiva a lui: potere, prestigio, autorità e sacralità. Proprio il termine latino “auctoritas” stava a significare: potere e prestigio ed al contempo era un tecnicismo giuridico-istituzionale importante sia nel campo del diritto privato sia nel campo del diritto pubblico, tanto da indicare la funzione di indirizzo, sorveglianza e integrazione. Colui che era titolare di questa auctoritas era il protettore e garante della Res Publica. La designazione sopra citata è il risultato di un’ampia e vastissima serie di potere e prerogativa che ottenne Ottaviano nel lungo corso della sua carriera politica e militare. Il punto centrale e fortemente caratteristico della sua figura e importanza era il fatto che il suo potere non era frutto di una seria di cariche ricoperte al contempo da lui stesso bensì era frutto di un conferimento di poteri a lui concessi e disposti. Egli non ricoprendo formalmente alcuna carica relativa alle magistrature romane era esente da ogni forma di controllo da parte del Senato. Era invece egli stesso che controllava l’operato dei magistrati romani e che aveva la facoltà di convocare e presiedere il Senato stesso. In tal modo Ottaviano andava ad indirizzare l’azione dell’organismo senatorio, organo politico centrale di Roma, e allo stesso tempo andava a controllare tutto l’operato dei magistrati romani all’interno dell’urbe cittadina e all’esterno ossia nelle province. Ottaviano ottenne anche la designazione di Pontefice Massimo . Questa designazione stava a significare la sua importanza all’interno della vita religiosa romana. Infine egli ottiene la designazione di Pater Patriae. Questa designazione stava ad indicare che egli fosse il padre di Roma, del suo impero. In tal modo vediamo come AUGUSTO riuscì ad unificare in un’unica persona la sfera politica, composta anche della sfera militare, alla sfera religiosa. Poteri principali di Augusto: • Presiedere e convocare il Senato • Tribuno della plebe a vita con il potere di decidere in difesa dei singoli cittadini • Potere di modificare ogni decisione dei magistrati ( giudici ) all’interno dei processi criminali, aggiungendo il suo voto a quello dei componenti i tribunali • Potere su ogni decisione di guerra e pace • Potere decisione in ambito amministrativo e finanziario • Stipula accordi internazionali • Potere all’interno dell’urbe cittadina e all’interno delle province Quando parliamo di “compromesso augusteo” intendiamo il fatto che la politica riformatrice di questo importante personaggio aveva l’obiettivo di unificare insieme la tradizione romana repubblicana, portatrice di determinati valori e principi, con l’idea innovatrice a cui aspirava di giungere. Questo è un punto fondamentale nella politica di Augusto e possiamo definirlo il caposaldo dei suoi successi, in quanto Augusto ben sapeva che doveva continuare a garantirsi il consenso della dirigenza romana ( aristocrazia e senato ) e al contempo il consenso popolare ( comizi centuriati ). Questo suo atteggiamento si mostra nettamente differente da quello posto in essere anni prima da Cesare. Quest’ultimo infatti più istintivo e impulsivo avallò le tradizioni romane per giungere direttamente alla realizzazione del proprio progetto politico, ma la storia ci insegna come questo sua modus operandi non fu premiato anzi al contrario egli fu ucciso proprio dai membri del ceto senatorio, fra questi anche un suo amico e sostenitore ( Bruto ). Tale “compromesso” lo ritroviamo descritto più dettagliatamente nel Testamento politico proprio di Augusto: Res Gestae → Si tratta di una preziosa testimonianza che riporta le idee, pensieri, progetti e fatti propri di Ottaviano/Augusto. In quest’opera egli afferma di aver sciolto la Res Publica dal potere istituzionale e di averla restituita al senato e al popolo romano. Quanto detto lo ritroviamo nella pratica nel momento in cui Ottaviano va ad abrogare le disposizioni eccezionali del triumvirato. In realtà nonostante queste sue affermazioni Ottaviano rimase comunque in carica al consolato e investito dei poteri del tribuno della plebe; in aggiunta fu designato princeps senatus e il senato stesso gli conferì nuovi e straordinari poteri. In questo nuovo quadro politico vediamo esservi un assetto dualistico. L’assetto dualistico riguarda lo stretto rapporto tra: Augusto e Senato. Questi due organismi politici operavano a stretto contatto e in stretto rapporto l’uno accanto all’altro, in una continua collaborazione nel gioco forza politico. Vediamo le novità riguardanti il senato: • Viene ridimensionato il numero dei suoi membri a 600. Di questo organismo ora possono farne parte solamente coloro che sono legati per via ereditaria ( agnatizia o adottiva ) ad un membro del senato o coloro che fossero stati scelti direttamente da Augusto. Inoltre si eliminano diverse personalità da questo organismo appartenenti alle province romano e non all’urbe. Per poter accedere al senato si doveva inoltre possedere un consistente patrimonio equivalente a un milione di sesterzi. Alcune volte accadeva che fosse lo stesso Augusto ad aiutare economicamente dei soggetti al fine di farli accedere a questo organismo. • La selezione per accedere al Senato avveniva tenendo conto di due fattori: → Si tendeva a considerare maggiormente gli ex magistrati → Augusto sceglieva coloro che avrebbero avuto accesso a questo organismo • Il Senato era direttamente coinvolto nelle iniziative di Augusto e in particolar modo in quelle maggiormente pubblicizzate. • Il Senato mantenne una funzione parziale nella gestione delle finanze pubbliche • Il Senato mantenne una funzione parziale nella gestione delle province, limitandosi a nominare i governatori di queste e in via consequenziale i questori e legati ( suoi collaboratori ) • Cambia la funzione del senatus consulto. In origine questo implicava la decisione del Senato avente una certa rilevanza sull’azione di governo dei magistrati superiori ( cum imperio ), fino a vincolarla. Adesso invece si sostanzia in una normativa deliberata dal Senato su iniziativa di Augusto. Infatti Augusto convocava e presiedeva il Senato e a questo mostrava la sua proposta di legge attraverso un testo scritto che veniva letto da un magistrato o esposto oralmente da lui stesso. Seguiva una delibera normativa del Senato partendo dalla proposta di legge avanzata da Augusto. Con il passare del tempo vedremo come il Senato andava semplicemente a confermare quanto proposto dall’Imperator. A questo punto i senatus consulta arrivarono ad avere la stessa valenza ed efficacia delle leggi comiziali, fino a sostituirle. Come mutò la gestione delle cariche politiche all’interno dell’Impero ? Abbiamo già parlato dello stretto rapporto tra Senato e Imperatore\Principe. Adesso vediamo le altre cariche della struttura politica: • Nel tempo i comizi centuriati persero importanza e arrivarono a non essere nemmeno più convocati. Ad ogni modo vi è un insieme di leggi comiziali importanti e fra queste ne emergono alcune in particolare: Lex Iulia iudiciorum pravatorum => si sancì la scomparsa del processo per legis actiones. Lex Iulia iudiciorum publicorum => si introdusse una riforma del processo criminale, intervenendo soprattutto sulle quaestiones. Lex Iulia et Papia => si trattava di un sistema di leggi volte a disciplinare il diritto di famiglia e quindi: rapporti coniugali, moralità ed etica matrimoniale, condotte scandalose. Vedremo come con i successori di Augusto in realtà l’importanza delle leggi comiziali venne integralmente sostituita con i senatoconsulti. • Il consolato perde valore e rilevanza nel gioco delle forze politiche. Infatti l’elezione dei consoli dipendeva direttamente dalla volontà del Principe e le loro antiche funzioni politiche-amministrative-militare vennero fortemente limitate, in quanto acquisite ormai dal Principe stesso. Pur tuttavia questo non creò malcontento, in quanto erano molti coloro che aspiravano a ricoprire questa carica. Ciò in ragione del fatto che il consolato garantiva un’elevata posizione in senato e che proprio dai ranghi consolari provenissero importanti governatori provinciali. • Il censore vide il suo ruolo ridimensionato notevolmente. • I tribuni della plebe videro il loro ruolo ridimensionato notevolmente. • Gli edili videro il loro ruolo ridimensionato notevolmente. • I pretori mantennero soprattutto nei primi anni la medesima importanza. • I questori mantennero soprattutto nei primi anni la medesima importanza. Vediamo come le cariche del sistema politico subirono delle trasformazioni a livello di immagina e di funzionalità. Ciò fu dovuto soprattutto dal fatto che il Principe in quel momento aveva raccolto nella sua persona tutti quei poteri, facoltà e prerogative che prima spettavano ai singoli organismi del sistema politico romano. Ora invece raccolti su di un’unica persona. Il governatore all’interno della provincia aveva importati funzioni: • Funzioni amministrative ( bilancio, fisco, approvvigionamento ) • Funzioni giurisdizionali ( in campo privato e penale ) • Funzioni politiche La provincia più importante era L’Egitto. Successivamente alla vittoria di Augusto ( Ottaviano ) su Cleopatra e Antonio, per gli egiziani il Principe era il diretto successore della dinastia dei faraoni, assumendo in tal modo gli stessi onori divini e umani di questi. Identifichiamo questa regione come la provincia più importante per Roma in quanto essa era la forza maggiore del Mediterraneo per quanto riguardava le ricchezze e l’approvvigionamento del grano. Il rapporto fra centro e periferia fu possibile grazie ad una efficace “rete di governo” ossia ad un sistema attraverso il quale avveniva la circolazione delle informazioni e delle direttive imperiali, un sistema garantito da una serie di strumenti attraverso i quali emergeva la volontà del Principe. Cominciamo a parlare dell’ufficio ab epistulis → ufficio di comunicazione del potere centrale con le province. Tale ufficio si divise in due settori: ufficio che si occupava della corrispondeva in latino e ufficio che si occupava della corrispondenza in greco. Queste infatti erano le due lingue ufficiali dell’impero. Quest’ufficio, diviso appunto al suo interno in due uffici, era sotto il controllo dei procuratores. Proseguiamo con l’ufficio ab libellis ( istituito con l’imperatore Claudio ) → ufficio competente a trattare delle suppliche che i privati rivolgevano all’Imperatore su problemi legali. Continuiamo con l’ufficio a cognitionibus ( istituito sempre dall’imperatore Claudio )→ ufficio che si occupava delle questioni giurisdizionali deferite all’Imperatore. Vediamo adesso gli strumenti giuridici attraverso i quali vi era la manifestazione di volontà del Principe: • Edicta I destinatari immediati di queste erano i magistrati e funzionari preposti a governare le province. I destinatari mediati ( e quindi in indiretta ) erano invece le province, colonie municipi o le singole comunità che si trovavano al loro interno. Gli edicta avevano un contenuto normativo con portata generale. • Mandata Con questi il Principe dava precise istruzioni ai governatori e funzionari. Questi potevano riguardare anche istruzioni circa l’ambito giuridico. La loro efficacia era limitata dal tempo, in quanto aveva valore fino a quando il Principe rimaneva in vita. L’efficacia andava persa con i successori del Principe che l’aveva prodotta. • Decreta Con questi il Principe formulava una decisione giudiziale circa una questione a lui sottoposta al di fuori del sistema ordinario del processo romano. Con i decreta il Principe formulava dei nuovi criteri giuridici che sarebbero valsi per orientare la futura giurisprudenza. • Epistulae e Subscripta Questi due strumenti erano utilizzati dal Principe quando venivano a lui sottoposte delle questioni da parte di governatori\funzionari o privati cittadini a cui lui dava una risposta fornendo così una soluzione al problema. In tal modo il Principe formulava una regola giuridica fonte di nuovo diritto. L’epistula veniva utilizzata quando la questione proveniva da un governatore o funzionario e la risposta ossia la soluzione data dal Principe gli veniva inviata in un testo separato. Il subcriptum veniva utilizzato quando la questione proveniva da un privato cittadino e la risposta ossia la soluzione data dal Principe veniva redatta direttamente in calce del testo da lui ricevuto. Ad ogni modo entrambi questi strumenti rientrano nella categoria dei “rescritti”. Con il passare del tempo questi strumenti di manifestazione della volontà del Principe vennero tutti ricompresi all’interno delle Costituzioni. Le Costituzioni, frutto del lavoro congiunto della “cancelleria imperiale” e dei giuristi, divennero il nuovo testo normativo dell’Impero. Importante è sottolineare che la trasmissione e la diffusione di questi strumenti di manifestazione della volontà del Principe fu possibile grazie ad un efficiente sistema di comunicazione per terra e per mare sviluppatosi ormai in tutto l’Impero. Inoltre di non minore importante era il cursus publicus ossia una rete di supporti come le stazioni di posta e le tappe per i rifornimenti che si trovavano all’interno del territorio romano. Ciò era importante per la politica e il Governo e secondariamente per l’economica e il commercio. Nella gestione del Governo romano uno dei settori più importanti era: sistema finanziario. Il fisco è uno dei settori più importanti nella gestione politica dell’impero. In questo sistema vedremo, sotto molteplici aspetti, il dualismo di competenza Imperator e Senato. • Il diritto di “battere moneta” ossia di coniare la moneta era di competenza dell’Imperator per quanto rigurda l’oro e l’argento e del Senato per quanto riguarda il bronzo. Da ciò possiamo notare lo squilibrio che vi era nella spartizione di questa competenza. Infatti l’equilibrio monetario e il potere d’acquisto del denaro si fondavano essenzialmente sull’oro e sull’argento. • Accanto all’antico aerarium populi Romani,di competenza del Senato, si andava formando il fisco imperiale ossia il sistema finanziario autonomo dell’Imperator. Il primo era amministrato dal praefecti aerarii di rango senatorio, il quale era però sotto il controllo dell’Imperator. Considerato il continuo controllo di quest’ultimo sulla gestione del patrimonio pubblico e considerata la confusione fra patrimonio personale del Principe e tesoro pubblico si andava sempre più riducendo l’importanza dell’aerarium populi Romani rimanendo così solamente il fisco imperiale. Con il termine fisco imperiale si suole indicare un’insieme di attività di natura economico- finanziaria di diretta pertinenza e competenza del Principe ( Imperator ). Vennero introdotte delle “casse separate” ( rationes ) ossia delle casse individuali, ognuna riferita ad un determinato settore costituente la macchina imperiale: settore economico, settore amministrativo, settore militare, settore politico, settore cittadino, etc… Queste casse separate permettevano di avere sempre un bilancio chiaro ed equilibrato. Adesso i grandi mezzi finanziari dell’epoca presero il posto, andando a sostituire, il vecchio sistema degli appalti. Uno fra i più importanti era l’aerarium militare gestito da tre prefetti di rango pretorio, che rispondevano direttamente al Principe. Nell’aerarium militare confluivano una serie di entrate composte da: - imposte di successione ( il 5% dei patrimoni entrati in successione ) - vendite all’incanto - contributi diretti del Principe dalle sue casse private\personali Dalla cassa dell’aerarium militare si prelevava il denaro per il congedo dei militari al termine della loro carriera. Parlando del congedo militare dobbiamo sottolineare come nel caso dei legionari, ossia di militari combattenti per decenni in località lontane, spettava oltre alla liquidazione anche un appezzamento di terra. Questa tradizionale forma di liquidazione venne sostituita nel tempo con una consegna esclusiva di denaro, in quanto le campagne italiche ne stavano risentendo in maniera negativa. Una delle figure più importanti era il procurator a rationibus ossia il procuratore che si occupava del bilancio generale dello Stato, al fine di permettere ai poteri centrali ( Principe e Senato ) di avere un quadro complessivo chiaro e determinato della situazione finanziaria dell’impero. Uno degli aspetti più importanti è il processo di istituzionalizzazione del Principe nella sua figura e nel suo patrimonio. Infatti il Principe adesso andava perdendo la propria individualità divenendo un soggetto meramente pubblico, politico e istituzionale, e lo stesso andava accadendo al suo patrimonio che non era più privato e destinato al successore erede bensì pubblico e destinato al successore Principe. Da questo patrimonio pubblico si doveva però distinguere la res privata del Principe, che rimaneva nella sua piena ed esclusiva disponibilità. I giuristi diedero enorme contributo nella gestione del sistema finanziario imperiale. Essi andarono a coordinare il fisco imperiale centrale con i singoli ambiti politici-economici che da questo dipendevano fortemente. Nel tempo venne introdotta anche la figura dell’ “avvocato del fisco”, il quale rappresentava gli interesse dell’amministrazione finanziaria imperiale nei rapporti con i privati e nei rapporti con le province. Per quanto attiene alle province dobbiamo distinguere: - Nelle province imperiali il sistema finanziario venne affidato a dei procuratori. Questi dovano riscuotere un’imposta personale da parte di ogni privato e un’imposta fondiaria da parte di tutti coloro che erano in possesso di un fondo ( terreno ). - Nelle province senatorie invece il sistema finanziario venne affidato a dei questori. Il sistema militare all’inizio del primo secolo d.c. si stava trasformando. Adesso l’arruolamento avveniva esclusivamente su base volontaria. Il numero delle legioni venne ridotto da 28 a 25 con un massimo di 5.000 militari a legione. Gli anni di servizio erano in totale 20 + 5 anni di riserva. I militare in servizio dovevano condurre una vita solitaria, lontano dalla vita civile comune. Tanto che ad essi vi era il divieto di contrarre matrimonio, anche se nella realtà dei fatti questi stabilivano dei rapporti di fatto dando vita a delle vere e proprie famiglie, che poi al momento del loro congedo ( fine carriera militare ) venivano riconosciute. Infatti al momento del congedo il militare riceveva una tavoletta di bronzo, documento ufficiale di congedo. In essa era riportato il suo nome oltre al nome della legione di appartenenza. Inoltre era riportata anche la parte del decreto imperiale con cui si stabiliva che il legionario e la sua famiglia dovevano essere integrati nella vita civile romana, andando così ad acquisire tutti la cittadinanza romana. Nei primi secoli d.c. la politica militare era militare quasi esclusivamente al mantenimento dei possedimenti e alla tutela dei territorio già conquistati. Si andava limitando sempre più lo spirito di una politica milita espansionistica. Ad ogni le truppe militari di maggior presenza si trovavano lungo i confini orientali dell’impero, al fine di fronteggiare ogni eventuale attacco nemico, e lungo le coste del Mediterraneo, al fine di mantenere l’egemonia su tutto questo bacino. Le legioni si stanziavano in luoghi isolati, in cui non vi era forma di vita civile. I militare conducevano una vita solitaria e di autosufficienza. Da questo nacque un processo di urbanizzazione che portò alla nascita di città che si sono mantenute nel tempo. seguito della codificazione dell’editto del pretore e dall’accresciuta presenza dei giuristi nel consilium principis. Antonino Pio e Marco Aurelio furono gli ultimi due sovrani a beneficiare dello splendore dell’impero. Essi mantennero una politica fondata sul bilanciamento degli interessi fra centro e periferia. Ormai definitivo era il bilinguismo con l’utilizzo simultaneo del latino e del greco. Importante era il mantenimento di quella tradizione culturale e intellettuale che aveva caratterizzato la società romana da molto tempo. La crisi dell’impero esplose durante gli ultimi anni di gestione imperiale di Marco Aurelio. La matrice della crisi fu la guerra contro i Parti, antichi nemici dei romani, che si concluse con una sanguinosa sconfitta. Ad essa seguì un’importante crisi demografica ed economica. Le risorse dell’impero erano ormai insufficienti al sostentamento della vita delle persone. Alla morte di Marco Aurelio riprese il principio dinastico con la designazione alla carica di imperatore di Commodo. Quest’ultimo diversamente dal padre fu un imperatore dominato dalla rabbia e dalla presunzione, tanto che non riuscì a risanare la situazione di crisi che aveva caratterizzato e dominato gli ultimi anni dell’impero. I suoi successori furono: • Settimio Severo • Caracalla Settimio Severo attuò una politica di consolidamento volta a difendere le frontiere dell’impero con le uniche risorse economiche e demografiche rimaste disponibili. Caracalla invece attuò una politica improntata più sull’ambito sociale. Per tale motivo concesse la cittadinanza romana a tutti coloro che erano cittadini dell’impero. Ciò passò quasi inosservato a causa della forte crisi economica che stava caratterizzando l’impero in quel tempo. Con Augusto nel corso del I secolo d.c. il sistema economico imperiale subisce un capovolgimento nel rapporto centro-provincia, in cui giocava un ruolo da protagonista il prelievo fiscale. Analizziamo meglio ciò attraverso il modello economico di Hopkins, storico di Cambridge → Nel medio periodo il prelievo fiscale richiesto dall’apparato centrale imperiale alle province è destinato a produrre un certo equilibrio all’interno del sistema economico. Il pagamento di ingenti somme di denaro da parte delle province imperiali creava un plusvalore nelle casse del sistema centrale, generando invece un certo ammontare di debito nei confronti delle prime. Queste per fronteggiare tali pagamenti esportavano i prodotti che producevano e li esportavano proprio verso il centro dell’impero, in cambio di denaro. Questo generò un effetto contrario a quello che si era verificato fino a quel momento perché il sistema centrale imperiale importava prodotti dietro pagamento di un prezzo e il sistema provinciale imperiale esportava prodotti ricevendo somme di denaro, al contempo le province pagavano delle imposte ( prelievi fiscali ) al sistema centrale, che rientrava delle somme di denaro. In sostanza si creava un circuito di transazioni economiche ove a beneficiare erano al contempo sia il sistema centrale sia il sistema provinciale imperiale. Le somme oggetto del prelievo fiscale venivano utilizzate dal sistema centrale per la gestione dell’apparato politico-istituzionale, per le spese militari e per la costruzione di opere pubbliche e la prestazione di servizi pubblici. Tutti ciò fu possibile grazie alla politica augustea che portò all’unificazione della politica e alla stabilizzazione dell’Impero. La situazione economica prima di Augusto era nettamente differente. Il sistema centrale imperiale produceva e quindi esportava prodotti verso le province garantendosi un buon ritorno economico. Ciò avveniva soprattutto grazie all’impiego di una manodopera poco dispendiosa, grazie al lavoro degli schiavi, soggetti che aumentavano sempre più grazie alla conquista di sempre nuovi territori. Al contempo l’economia in un mercato in cui erano assenti regole e in cui il prezzo non nasceva dall’incontro della domanda e dell’offerta bensì dalla determinazione spontanea di chi si trovava in una situazione favorevole rispetto all’altro. In sostanza non vi era un sistema politico che rispecchiava il modello di Adam Smith ossia uno scambio fondato su di una reciproca utilità. Capitolo 16: Un impero di città Inizialmente con Cesare e definitivamente con Augusto il territorio dell’Italia venne suddiviso in 11 regioni. Da qui si crearono una serie di rapporti fra il sistema centrale e le province italiche, che generò una vasta serie di effetti: 1. Il sistema centrale riconosce autonomia e flessibilità amministrativa e giurisdizionale alle regioni. Questo prevedeva che le regioni mantenevano la propria fisionomia, amministrativa e giuridica, tanto che potevano, previa autorizzazione del potere centrale, andare a modificare il proprio statuto, pur sempre mantenendosi su dei criteri e principi propri del sistema normativo centrale. In tal modo si andava creando una unità imperiale, caratterizzata al contempo da una certa eterogeneità interna e propria delle singole regioni. 2. Il sistema centrale prevedeva però un diritto unico: il diritto civile romano. Parliamo di un diritto che nel tempo era stato arricchito e integrato dagli editti provinciali e dalla libera “interpretatio” dei magistrati\giudici. Inoltre era un diritto che si caratterizzava per le consuetudini, prima centrali e in seguito anche regionali. Seguiva una lingua unica imperiale: il latino. 3. Roma andava diffondendo uno schema sociale che si doveva seguire: lo schema cittadino. La città per i Romani era lo schema prediletto. Nelle province orientali, le province ellenistiche, questo schema era stato ben accolto e la motivazione nasceva dal fatto che le province ellenistiche avevano matrice nelle antiche poleis ( città greche ). Diversamente le province occidentali ci misero più tempo per adattarsi a tale forma sociale. Roma legava le città attraverso un trattato. Le città si distinguevano in: • Civitates foederate Città in cui vi è una certa tolleranza di autonomia, amministrativa e giurisdizionale, da parte del sistema centrale romano. Città gravate però dal pagamento di imposte e quindi di prelievi fiscali. • Civitates liberae et immunes Città in cui vi è un margine di tolleranza maggiore da parte del sistema centrale romano. Queste inoltre non sono soggette al pagamento di imposte e quindi di prelievi fiscali. Le province si distinguevano in: • Municipi ( città ) I municipi mantenevano il proprio diritto e le proprie leggi. • Colonie Le colonie erano assoggettate totalmente al diritto e alle leggi del sistema centrale romano. All’interno delle province valeva ancora la netta differenza tra: governanti e governati. Fino a Caracalla, vi era la netta distinzione fra coloro che acquisivano la cittadinanza romana, solitamente erano coloro che appartenevano ai ranghi più elevati della società, e coloro che rimanevano sudditi a tutti gli effetti e quindi definiti con il termine peregrini. Caracalla nel 212 d.c. decise di concedere a tutti coloro che abitavano nelle province imperiali la cittadinanza romana, di conseguenza la differenza appena descritta venne meno. Ad ogni modo nel momento in cui veniva istituita una città i governatori emanavano l’editto (edictum) ossia una testo normativo contenente le regole e i criteri disciplinanti: le pratiche amministrative e giurisdizionali oltre alla vita della comunità. Un’attenzione particolare era rivolta al diritto penale e soprattutto a quei crimini che comportavano la pena capitale. I membri delle comunità provinciali appartenevano a ranghi sociali diversi in base alla loro propria condizione giuridica. Questa distinzione si fonda in primo luogo sulla concessione della cittadinanza romana solamente ad alcuni membri di queste comunità e nello specifico a coloro che appartenevano alle élite provinciale. In tal modo questi soggetti vivano una duplice condizione sociale all’interno della propria comunità, poiché erano al contempo cittadini romani e cittadini della comunità provinciale. Nasceva una situazione complessa che veniva gestita nel seguente modo: nei rapporti con i romani essi seguivano il diritto romano e venivano giudicati dai tribunali romani, mentre nei rapporti con i concittadini provinciali essi seguivano il diritto locale e venivano giudicato dai tribunali locali. Questa loro condizione non li allontanava dalla comunità natia di origine anzi ne rafforzava sempre più l’appartenenza e l’integrazione a questa, in quanto al suo interno essi godevano di determinati benefici e privilegi ( esempio → Le prime file a teatro erano riservate a coloro che godevano della cittadinanza romana ). Questo creò in loro un sentimento di lealtà nei confronti di Roma. Ecco che in tal modo Roma si garantì una fitta rete di alleanze all’interno dell’impero. Possiamo definire tale processo come: promozione e circolazione culturale. Le città, i municipi, le colonie erano forme sociali organizzate semi-sovrane in quanto godevano di un proprio statuto giuridico e quindi di un proprio diritto ( diritto locale ), ma al contempo erano assoggettate alle linee guida e criteri imposti dal diritto romano se non che al costante controllo e supervisione esercitate da Roma. La carica massima all’interno di queste forme sociali organizzate era il: governatore. Il governatore aveva i seguenti compiti in via primaria: - potere d’intervento normativo - potere di gestione amministrativa - potere di gestione giurisdizionale All’interno delle province ( città, municipi, colonie ) il latino era la lingua comune e il diritto romano era la forma giuridica per eccellenza, da intendersi come il “diritto-madre”. Il latino e il diritto romano erano terreno d’incontro e mezzo di comunicazione fra le province e quindi fra i vari governatori. Tanto che in caso di conflitti e controversie interveniva il magistrato romano utilizzando forme giuridiche proprie del diritto romano e quindi: terminologie, logiche, schemi giuridici e processuali. Possiamo fare due esempi: → In Spagna sono state rinvenute, e quindi scoperte, la Tabula Contrebiensis ossia un documento normativo in cui viene riportata la decisione presa da un giudice romano intervenuto a regolare una controversia fra due comunità ispaniche, svolgendo una funzione di arbitrato e di conciliazione. L’oggetto e la forma della controversia appaiono formulati secondo la forma giuridica del diritto romano e quindi questa stessa è stata regolata secondo gli schemi propri del diritto romano. → In Transilvania sono rinvenuti testi, documenti, che riportano delle forme di mancipatio ossia di trasferimento della proprietà di diritti non di origine romana fra provinciali. Con il tempo si arrivò al processo formulare, che in un primo momento caratterizzò esclusivamente lo ius honorarium e quindi il diritto del pretore, poiché introdotto da questi. Per tale motivo questa forma processuale non poteva essere usata nelle controversie aventi ad oggetto diritti appartenenti allo ius civile. Con Augusto e precisamente con le leges Iuliae Iudiciarie il processo formulare divenne legittimo sia per lo ius honorarium sia per lo ius civile. Il processo formulare era scritto e infatti riprende il proprio nome proprio dall’utilizzo della formula. Era un processo bifasico: la prima fase era chiamata “in iure” e si svolgeva davanti al magistrato giusdicente nominato dal pretore, mentre la seconda fase era chiamata “in iudicio” e si svolgeva davanti al giudice privato, giudice di ultimo grado, tanto che non era possibile impugnare la sua sentenza. Nella prima fase le parti dovevano esporre le proprie ragioni e finire con il raggiungere un accordo che avrebbe determinato la litis contestatio ( oggetto della lite ) attraverso una formula scritta. Nella seconda fase il giudice privato andava ad analizzare la formula arrivando a prendere una decisione finale ossia pronunciando una sentenza. Il provvedimento giudiziario prevedeva esclusivamente sanzioni pecuniarie ( pagamento di una determinata somma di denaro ). Successivamente nel sistema processuale venne introdotto il processo della “ cognitio extra ordinem ”. Era un processo straordinario che si affiancava al processo formulare, processo ordinario. Questo processo veniva utilizzato solamente per quelle questioni più marginali, non trattate dal diritto vigente ( ius civile e ius honorarium ), per le quali si doveva agire secondo logiche equitative. Le questioni principali erano: successioni e diritto di libertà. Il processo era monofasico e quindi avveniva direttamente davanti al magistrato giusdicente individuato dal pretore, pretore diverso dal praetor urbanus. La sentenza di questi poteva essere impugnata direttamente davanti al Principe. Questa forma processuale coinvolse maggiormente l’ambito penale del diritto. Infatti si passò da un processo accusatorio ad un processo inquisitorio, nel senso che il giudice cercava direttamente le prove della colpevolezza dell’imputato, il quale doveva invece dimostrare ad ogni costo la sua innocenza. A ciò seguì una serie di sanzioni penali sempre più serrate: - Relegatio→ allontanamento dal domicilio - Deportatio→allontanamento forzato dal territorio di origine - Straniazione dalla vita civile → condanna ad uno stato sociale di semiservitù che comportava il dovere di eseguire lavori forzati che il più delle volte riguardavano le miniere, con la possibilità che la condanna non aveva un tempo limite bensì un tempo illimitato ( indefinito = a vita ). In un primo momento il processo ordinario e il processo straordinario si svolgevano contemporaneamente e parallelamente, fino a quando nel II secolo d.c. il secondo si sostituì interamente al primo. Vediamo come dal I secondo d.c. si iniziava a studiare il diritto in maniera più sistematica e quindi attraverso dei commentari dedicati al diritto civile e al diritto onorario ( dei pretori ). A questo si aggiungevano: le institutiones, le regulae, le sententiae che venivano utilizzate per la didattica. Il diritto continuava ad essere studiato attraverso la risoluzione di singoli casi o fattispecie, ma questa volta seguendo degli schemi e delle procedure predeterminate. Tanto che si arrivò a parlare di una certa: teoria inespressa. Tutto ciò si fondava sul lavoro dei giuristi passati e quindi sul diritto romano antico. Dal I secolo d.c. il giurista divenne una figura professionale retribuita che lavorava sia nel campo dell’insegnamento sia nel campo del governo imperiale. I giuristi infatti cominciavano a prendere posto anche nel consilium principis, organo del Principe che aveva l’ultimo grado decisionale in materia amministrativa e giuridica. Quest’organo contribuiva ad arricchire sempre più il potere imperiale del Principe. Si inizia a vedere una prima forma di “Stato” così come lo intendiamo noi oggi: un sistema politico-istituzionale che aveva il compito di legiferare e garantire giustizia seguendo determinate regole e procedure predeterminate e messe per iscritto. Perchè quando parliamo dell’amministrazione politica ( “di governo”) dell’impero parliamo di una “ lacuna giuridica ” ? I giuristi nel corso del tempo avevano definito e messo per iscritto dei mansionari, nei quali si stabilivano i doveri e le mansioni dei singoli funzionari e magistrati. Si trattava di “Trattati di buon governo” attraverso cui si definivano le responsabilità di coloro che lavoravano all’interno della macchina della Res Publica. Questi trattati però nulla prevedevano in merito ai rapporti tra organi amministrativi e in merito ai rapporti fra organi amministrativi e privati cittadini. Di conseguenza vi era una netta prevaricazione dell’amministrazione imperiale sui privati cittadini, che vedevano garantirsi una tutela giuridica sempre più debole e affievolita. Per tale motivo possiamo definire questa macchina politica-istituzionale-amministrativa caratterizzata da una “lacuna giuridica”. Allora la nostra riflessione risiede nel domandarci il perché una classe di giuristi che nel corso del tempo aveva elaborato un diritto romano così raffinato e illustre non aveva pensato ad elaborare anche un primo fondamento di quel che sarebbe diventato il nostro Diritto Amministrativo odierno. La risposta è semplice e risiede nel fatto che l’amministrazione imperiale, facente parte del governo imperiale, era sotto la diretta dipendenza della volontà del Principe e per tale motivo era questo stesso a prendere ogni tipo di decisione. Non poteva essere prestabilito un sistema di procedure e regole da seguire, perché in tal modo si sarebbe indebolito e avrebbe perso importanza il ruolo determinante del Principe. Ciò lo dimostra il fatto che i privati cittadini si rivolgevano al Principe per ogni singola questione: richiesta di suppliche, richiesta di decisioni d’ordine legale, richiesta di dirimere e quindi risolvere controversie relativi a giudici e giudizi. A queste richieste seguiva un arduo lavoro della cancelleria imperiale, che si impegnava ad elaborare soluzioni per i singoli casi. Tali soluzioni avevano efficacia precettiva e quindi valevano da precedente per casi successivi analoghi, in modo tale che questi ultimi seguissero la disciplina dei primi. Con Diocleziano e Costantino il ruolo dei giuristi si modificò arrivando ad essere un mero strumento del potere imperiale. Il giurista era infatti definito un funzionario dell’apparato amministrativo imperiale che stava al servizio dell’imperatore. La legislazione normativa era caratterizzata sempre più dalle Costituzioni Imperiali e quindi da un insieme di leggi stabilite direttamente dall’imperatore. Gli unici giuristi che continuarono a svolgere la loro professione in maniera più autentica erano: gli avvocati e i professori. Capitolo 18: Crisi e trasformazione Con il tramonto della dinastia degli Antonini e dei Severi, precisamente nel 235 d.c. quando morì Alessandro Severo, l’impero si trovò a dover fronteggiare un lungo periodo di crisi soprattutto economica. Nel 248 d.c. salì al potere nella figura di Imperator\Princeps ( Augusto ) un comandante militare di umili origini che prese il nome di: Diocleziano. Egli rimase al potere fino al 305 d.c. quando si dimesse per propria volontà. In tale arco di tempo Diocleziano attuò una serie di modifiche, apportando innovazioni, in campo politico e militare e non in via secondaria anche in campo economico. Diocleziano partì da una logica conservativa e quindi prese ispirazione dal lavoro posto in essere dai suoi predecessori per fondare le basi della sue opera restauratrice, con l’obiettivo di: - accrescere il potere centrale dell’imperatore attraverso un certo autoritarismo - garantire una maggiore sicurezza militare attraverso nuove strategie di difesa - ritornare ad un bilancio equilibrato al fine di garantire il sostentamento della comunità e soprattutto per finanziare l’apparato militare, prima voce del bilancio imperiale. La forte e carismatica personalità di Diocleziano lo portò ad assumere per primo le vesti del Dominus et Deus → profilo divinizzato e sacrale tipico della tradizione ellenistica, tale da conferigli un altissimo grado di importanza portando la sua figura a discostarsi sempre più fisicamente dal cuore della comunità. Inoltre pochissimi funzionari avevano il privilegio di essere ammessi al cospetto dell’imperatore e questo avveniva solo per coloro che vantavano l’ adoratio. Ammessi al cospetto dell’imperatore essi dovevano prima baciare l’orlo della sua veste in segno di rispetto e venerazione verso questi. Le innovazioni in campo politico furono le seguenti: 1. Venne nominato un imperator minor ossia una figura che assumeva gli stessi poteri dell’imperatori e che fiancheggiava questi nel governo dell’impero. Diocleziano nominò un suo compagno militare anch’esso di umili origini: Massimiano. Adesso vi erano due Augusti ( imperatori ) e quindi l’impero venne diviso in due parti: → impero orientale → Diocleziano → impero occidentale → Massimiano 2. Vennero nominati due Cesari ossia due figure che stavano, all’interno della scala gerarchica, sul piano immediatamente inferiore ai due imperatori e che erano destinati a prendere il posti di questi una volta che venivano meno per causa di morte. In tal modo si garantiva una certa e sicura linea di successione eliminando ogni possibile conflitto e colpo armato. 3. Il numero delle province aumentò arrivando a 100. Queste vennero suddivise in 12 diocesi, a capo delle quali si trovava un vicarius, nominato direttamente dal prefetto pretorio, e adiuvati da delegati del governo centrale che si occupavano del fisco e della res privata dell’imperatore. 4. La figura del prefetto del pretorio mantenne la sua importanza con l’unica novità che venne divisa in due soggetti: uno per ogni imperatore. Il prefetto del pretorio continuò a ricoprire un ruolo centrale e fondamentale all’interno del governo imperiale ed ora coadiuvato da funzionari che si occupavano della politica monetaria e fiscale e della res privata dell’imperatore. Le innovazioni in campo militare furono le seguenti: 1. Si modificano le legioni: si diminuiscono gli organici ma si aumentano i numeri di esse. Le legioni divengono delle unità operative flessibili e mobili tanto che seguivano l’imperatore nei suoi spostamenti militari. 2. Il numero complessivo di soldati arrivò ad essere pari a mezzo milione. Certo era che la maggior parte di questi individui erano di estrazione barbarica e provenivano da territori conquistati dagli stessi romani. Le innovazioni in campo economico furono le seguenti: 1. Blocco dell’inflazione → Questo obiettivo venne raggiunto attraverso una certa stabilizzazione monetaria ossia del valore della moneta. Ciò però non fu sufficiente, poiché probabilmente era necessario stabilire delle leggi e regole che disciplinassero il mercato economico stabilendo dei prezzi fissi per i singoli prodotti e servizi. 2. Riorganizzazione del sistema fiscale → Questo obiettivo venne raggiunto attraverso una sistema che prevedeva una serie di imposte finalizzate a favorire e beneficiare l’apparato militare, prima voce del bilancio imperiale. L’imposta fondiaria si calcolava in base al terreno di proprietà, tenendo conto anche delle forze produttive e quindi animali e schiavi. L’unità di misura era il caput: un uomo. Invece per coloro che non possedevano terreni allora era previsto il pagamento di una determinata somma di denaro destinata alle casse dell’impero. Al fine di aiutare e supportare i giuristi nella redazione delle singole opere giuridiche nel corso del tempo, Giustiniano aveva emanato una serie di Costituzioni chiarendo e decidendo delle questioni rimaste da sempre incerte. Queste vennero raccolte in un’opera che prese il nome di: Quinquaginta decisiones→ Queste Costituzioni andavano a chiarire degli aspetti del diritto romano antico rimasti obsoleti e incerti, in cui padroneggiava un forte velo di dubbio. Inoltre lo scopo era quello di rendere sempre più chiaro e determinato il diritto vigente, eliminando ogni tipo di incongruenza che potesse sorgere. Nel 534 d.c. venne promulgato il Corpus Iuris Civilis → Si tratta del Codice che ricomprende in sé ben 12 Libri, ciascuno di essi suddiviso a sua volta in Titoli al fine di trattare al meglio ogni singola tematica ed argomento. Questo rappresentava la Raccolta per eccellenza dell’intero materiale normativo e giurisprudenziale del diritto romano destinato a perdurare negli anni. Scritto in lingua originale ossia in latino: lingua dei giuristi romani. Giustiniano fino alla sua morte continuò a promulgare Costituzioni. Queste vennero denominate: Novellae Constitutiones → Di queste alcune erano scritte in latino mentre altre in greco. Di queste vennero fatte diverse raccolte ma la più importante era quella che conteneva ben 158 Costituzioni. Le importanti opere giuridiche di Giustiniano ebbero lunga vita ed ancora oggi se ne sottolinea la notevole importanza. Queste opere in un primo momento sopravvissero nella parte orientale dell’Impero e successivamente vennero tradotte e riassunte in opere giuridiche scritte in lingua greca. Questo era l’unico modo per mantenere in vita l’importante lavoro normativo di Giustiniano in un mondo che ormai aveva perso il cosiddetto bilinguismo e che ormai era caratterizzato esclusivamente dalla lingua greca. L’opera greca più importante che merita di essere menzionata fu: I Basilici → Al suo interno tutti i testi giustianei sono stati tradotti e riassunti in greco. Nella parte occidentale invece lo straordinario lavoro svolto da Giustiniano costituì le fondamento dell’insegnamento giuridico all’interno delle scuole e delle università, incominciando da Bologna. Conclusione… Il diritto romano, originariamente identificato nello ius civile, nasce da un diritto consuetudinario ed ha radici ben più antiche della fondazione di Roma e dei suoi Rex\Princeps\Imperator. Le XII Tavole, legge per eccellenza dell’epoca antica, dimostrano proprio questo: il diritto romano antico non è stato un diritto inventato dai giuristi dell’epoca bensì un diritto nato da modi di condurre la vita nel quotidiano ossia dalle consuetudini. Le XII Tavole hanno poi modificato e innovato questo diritto cercando di fissare i punti chiave al fine di dirimere situazioni e controversie. Ad ogni modo le XII Tavole non hanno mai preso e quindi sostituito interamente il diritto consuetudinario. Nel IV secolo a.c. il binomio patrizi-plebei si occupa direttamente della scienza giuridica attraverso l’ interpretatio dei prudentes ossia degli esperti e conoscitori del diritto. Arriviamo ad Augusto quando la vita del diritto subisce importanti modifiche. Adesso infatti è il Principe\Imperatore ad occuparsi del diritto e quindi della produzione normativo e della giurisdizione. Augusto si rapporta continuamente con i giuristi per far si di produrre e formulare una serie di leggi che abbiano una certa coerenza e chiarezza, seppur nella loro complessità. Con i Severi il diritto si identifica direttamente nella figura dell’Imperatore. Da lui dipendono i giuristi, in quanto suoi diretti collaboratori. Con Diocleziano il processo si è concluso ed ora l’Imperatore è l’unica fonte di diritto. Ora i giuristi sono dei meri strumenti utili ed essenziali alla sua attività normativa. Essi, diversamente da quanto avveniva all’epoca dei Severi, non hanno più una propria vita e di conseguenza non hanno la minima libertà di apportare delle novità a quel corpo normativo determinato esclusivamente dall’Imperatore. Arriviamo a Giustiano quale uomo determinante per raccogliere in maniera definitiva tutti i testi legislativi, normativi e giurisprudenziali che nel tempo hanno caratterizzato il diritto romano. Una figura importante nella storia giuridica romana senza la quale probabilmente tutto il materiale a noi pervenuto si sarebbe dissolto nel corso del tempo. A seguito di ciò noi oggi vantiamo un vasto patrimonio del diritto romano, accuratamente conservato e raccolto in importanti opere giuridiche. Possiamo affermare con certezza come nel corso degli anni e dei secoli il diritto si è andato modificando per raggiungere infine quel ruolo centrale che gli spetta.