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"Storia moderna", V. Criscuolo, Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto completo, paragrafo per paragrafo, del manuale "Storia moderna" del prof. V. Criscuolo.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica "Storia moderna", V. Criscuolo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! “STORIA MODERNA”, V. CRISC 1 - L’ECLISSI DELLA MODERNITÀ 1.11 LIMITI DELL'ETÀ MODERNA La parola “periodizzazione” indica una suddivisione della storia in fasi che si possono individuare in base alle loro caratteristiche in ambiti economici, politici, culturali e religiosi. Queste fasi o partizioni rispondono a motivi di ordine pratico e classificatorio. Ogni periodizzazione non è mai neutra ma presuppone un’interpretazione. L’inizio della storia moderna viene ricondotto al 1492, anno della scoperta dell’America, ma più in generale si deve parlare di un periodo tra la seconda metà del XV secolo e i primi decenni del XVI. Questo periodo fu caratterizzato da una serie di trasformazioni e innovazioni da far segnare una rottura nella continuità della storia. Per quanto riguarda la fine, nel 1961 si è iniziato a parlare di storia contemporanea. La fine dell’età moderna è collocata nella seconda metà del Settecento e nei primi decenni dell'Ottocento, con l’avvio della rivoluzione industriale. 1.2 MODERNO Il termine “moderno” deriva da “modernus”, ossia “recentemente”. Compare in una lettera scritta da Cassiodoro al re dei goti Teodorico. Il termine compare in un clima dove si aveva la consapevolezza che il mondo antico era tramontato per sempre e vi era l'esigenza di un termine per indicare l’attualità. Chi usò nuovamente il termine con un nuovo connotato furono gli umanisti del XV secolo, che vollero staccarsi dai precedenti medievali. Essi infatti si posero come i successori degli antichi nei campi letterari e filosofici: “antico” prese una connotazione positiva. Intorno alla fine del XVII secolo, i moderni presero consapevolezza della loro superiorità tecnica rispetto al passato e maturò una separazione tra la storia sacra dettata dalla rivelazione e la storia profana, determinata dall’opera dell’uomo. Si andava affermando l’illuminismo che superò il concetto ciclico del tempo assumendone uno lineare. Il concetto di moderno assunse una connotazione positiva in virtù del fatto che esso incarnava il nuovo rispetto al passato. 1.3 IL MITO DEL RINASCIMENTO La periodizzazione dell'età moderna si affermò definitivamente nel 1860 con lo storico svizzero Burkhardt che pose il concetto di Rinascimento come alba della civiltà moderna. Alla base vi era la fiducia nel progresso della borghesia europea che si apprestava a vivere la seconda rivoluzione industriale. Nel corso dell'Ottocento prese piede la parola “modernizzazione” che esprimeva l'imposizione del modello della civiltà europea al resto del mondo. Il concetto di età moderna è nato da correnti di orientamento democratico-radicale ed era l’espressione dei laici, sicuramente anti-cattolici. In quel periodo, l'individuo aveva reclamato la capacità di forgiare il proprio destino e conquistato la libertà di pensiero contro i dogmatismi. Si concludeva il processo di formazione delle grandi monarchie iniziato nel Quattrocento e nel Cinquecento. Il Rinascimento dunque è proprio il periodo di novità dirompenti che supera la mentalità medievale e che si esprime nella cultura dell’umanesimo, benché molti medievisti spieghino come non vi sia una frattura così grande. 1.4 L'INIZIO DELL'ETÀ CONTEMPORANEA Recentemente è stata smentita la visione marxista che vede la rivoluzione francese come la fine del sistema feudale. È difficile negare però la capacità periodizzante della rivoluzione francese che aprì una nuova fase nel corso della storia europea. In Inghilterra vi fu come periodizzante la rivoluzione industriale che portò dei mutamenti irreversibili. 1.5 NUOVI ORIENTAMENTI DELLA STORIOGRAFIA A partire dal 1929, con Bloch e Febvre, si è creata la categoria della “longue durée”, ossia “lunga durata”, che ha catturato l’attenzione dello storico su fenomeni come la vita quotidiana, l’alimentazione, la mentalità; questi conoscono un’evoluzione lentissima rispetto alla quale poco significato hanno le periodizzazioni tra le quali spicca quella economica di matrice marxista che vede come periodizzazione principale il passaggio al capitalismo. Un altro motivo che ha indotto a superare l’età moderna è la prospettiva eurocentrica di questo periodo, sentita come inattuale e insensibile rispetto al mondo globalizzato. Viene superato il pregiudizio storiografico su Africa e Asia e si passa a una prospettiva di storia globale, la “world history”. Questo ampliamento è la naturale conseguenza della crisi del concetto di modernizzazione ed oggi questa prospettiva è stata imposta a tutti, anche ai popoli dell’Africa e dell'Asia talvolta con violenza. Importante è stata anche la crisi dello Stato nazionale che era stato uno dei cardini dell’affermazione della modernità nella storiografia ottocentesca ma che oggi viene messo in discussione. Lo Stato nazione è accusato come principale responsabile delle tragedie provocate dai totalitarismi del XX secolo. 1.6 POSTMODERNO Il termine “postmoderno” indica il periodo di transizione verso il futuro. La società postmoderna è caratterizzata dalla centralità delle attività terziarie e dalla diffusione delle tecnologie informatiche. Il concetto è nato in architettura quando si iniziò ad ignorare lo stile tradizionale per sfruttare le potenzialità tecnologiche offerte dai nuovi materiali come vetro e acciaio. Elementi centrali della postmodernità sono il rifiuto delle concezioni generali del mondo e della storia e la sfiducia nella capacità di una interpretazione razionale e unitaria di una realtà caotica. In architettura, per esempio, si abbandona la progettazione urbanistica razionale: la post-metropoli è Con questi dati si possono costruire le piramidi della popolazione che rappresentano graficamente l'evoluzione demografica di una comunità nel tempo. Europa v 1950 rosone. D49,328,858 Maschio Femmina 0,0% 0.0% 0,0% 0.0% sonore Figura 1: Piramide della popolazione europea nel 1950. Esempio di lettura del grafico: il 4,7% della popolazione maschile europea aveva tra i 10 e i 14 anni. A partire dal secondo dopoguerra si è sviluppata una tecnica di utilizzo dei registri ecclesiastici che ha consentito alla demografia storica di compiere straordinari progressi nella conoscenza dei comportamenti delle popolazioni dell'età moderna, ossia la ricostruzione nominativa delle famiglie. Bisogna trascrivere in una scheda le date di nascita e morte di tutti i componenti del nucleo famigliare. Le informazioni vengono riaggregate per considerazioni di carattere generale. 2.3 L'ANDAMENTO DELLA POPOLAZIONE MONDIALE All’inizio dell'età moderna non si segnala una discontinuità nell’andamento della popolazione. Si individuano invece due punti di svolta. Il primo coincide con una radicale trasformazione nella storia dell'umanità nel neolitico: lo sviluppo dell’agricoltura. Si passò da uno a cinque milioni di individui. Dopo questa svolta la popolazione è aumentata lentamente fino alla metà del XVIII secolo quando prese avvio una fase di crescita, tutt'ora in atto, che ha fatto segnare una seconda rottura nell’andamento demografico rallentato negli ultimi anni dalla limitazione delle nascite di India e Cina. Il fenomeno è detto “transizione demografica” in quanto ha segnato la rottura dello statico sistema delle società di antico regime e aperto una fase completamente nuova per il mondo intero. | tassi di mortalità sono diminuiti, mentre la speranza di vita è aumentata. Si segnala anche la perdita di peso demografico dell'Europa in favore dell’Asia e dell’Africa. Le cause di questo boom demografico verranno studiate in seguito. 2.4 IL SISTEMA DEMOGRAFICO DELLE SOCIETÀ PREINDUSTRIALI La crescita piuttosto lenta della popolazione mondiale tra Trecento e metà Settecento fu garantita da una lieve prevalenza del tasso di natalità, 40%, su quello di mortalità, 35%. Il sistema demografico di antico regime era caratterizzato da andamenti ciclici e conosceva ricorrenti crisi dove il tasso di mortalità andava dal 100% al 300%. | principali fattori erano i tre flagelli spesso collegati tra loro: epidemie, guerre e carestie. 2.4.1 LE EPIDEMIE A partire dal Cinquecento regredì la lebbra che aveva imperversato nel Medioevo, mentre comparve la sifilide. Incisero sulla mortalità il tifo e nel Settecento il vaiolo. Nel XIX secolo sopraggiunese il colera. Tuttavia, la malattia più devastante fu la peste. La malattia, già nota in antichità, ricomparve nel 1350 circa e rimase fino ai primi decenni del Settecento. | responsabili furono le pulci che vivono sui topi. La forma più diffusa è la peste bubbonica, che si trasmette per via cutanea e si presenta con febbre alta e la formazione di bubboni. Famosa è la peste nera che tra il 1347 e il 1352 uccise 25 milioni di persone. La peste giunse in Europa a causa dei tatari che, assediando la colonia genovese di Caffa sul mar Nero, lanciarono all’interno delle mura i corpi appestati. Il bacillo fu portato dai genovesi in Sicilia e da lì si diffuse. L'ultima comparsa fu a Messina nel 1743, dopo sparì dall'Europa occidentale. 2.4.2 LE GUERRE | progressi nella tecnica militare segnarono una profonda differenza rispetto al Medioevo. Le guerre erano più letali a causa delle nuove armi e degli eserciti più numerosi. Gli effetti della guerra sull'andamento demografico furono indiretti: saccheggi e violenze, sfruttamento, diffusione di malattie. 2.4.3 LA CARESTIA Le carestie si presentarono periodicamente lungo l'età moderna. La causa principale era l'eccessiva dipendenza dell’alimentazione della maggioranza della popolazione dal consumo di cereali. Nell’età moderna diminuì per poi scomparire dalle mense contadine il consumo di carne. Le classi abbienti potevano permettersela, insieme a vino e birra. Nel Settecento si tentò di variare l'alimentazione introducendo i prodotti importati dall'America, come le patate o il mais ma la mentalità contadina oppose forti resistenze. Il mais si diffuse in Italia settentrionale e Spagna diventando l’alimento base e contribuì alla nascita della polenta. Quando il meteo sfavorevole provocava uno o più cattivi raccolti si innescava la crisi: i contadini andavano incontro a penuria mentre l'aumento da due a quattro volte del prezzo dei cereali colpiva i lavoratori e a sua volta questo colpiva l'economia. Inoltre, la malnutrizione favoriva il diffondersi di epidemie. 2.4.4. MORTALITÀ INFANTILE E NATALITÀ La mortalità infantile incideva molto: un quarto dei nati non raggiungeva il primo anno di vita e un altro quarto moriva entro il quinto anno. La colpa è imputabile a malattie endemiche quali dissenteria, polmonite e difterite. L'indice di natalità nelle società di antico regime era intorno al 40%, oggi siamo al 20%. Non esisteva alcuna limitazione delle nascite se non il coito interrotto, condannato dalla Chiesa. L’uso dei profilattici è documentato nel Settecento ma limitato alle classi più abbienti. La limitazione delle nascite era data dalla tarda età in cui ci si sposava: 25 anni per le donne e poco più alta per gli uomini. Le donne perdevano quindi diversi anni di fertilità mentre era frequente la morte di uno dei due coniugi. 2.5 LA POPOLAZIONE NELL'ETÀ MODERNA L’affossamento dovuto alla peste del Trecento non conobbe una veloce ripresa, ma fino al Cinquecento le ondate epidemiche rallentarono di molto l'incremento demografico. Il Seicento fu caratterizzato da una complessiva stagnazione, eccezion fatta per l'Olanda. Alcuni sostengono che la colpa è nell’abbassamento delle temperature, la cosiddetta “piccola glaciazione”, che avrebbe provocato nel Seicento carestie più frequenti e gravi. A partire dalla metà del Settecento iniziò una crescita accelerata, la transizione demografica. Non vi fu una sola causa, ma diversi fattori che fecero abbassare la mortalità e alzare la natalità. Non si può stabilire un rapporto diretto con la rivoluzione industriale in quanto l'aumento demografico si si deve parlare di potere signorile, non di potere feudale. La funzione del feudo fu delimitata all'ambito economico e smise di essere una funzione pubblica. All’inizio del Cinquecento il servaggio era scomparso e i contadini erano liberi. Le corvée erano limitate a qualche giornata di lavoro. La riserva signorile era ridimensionata e non più coltivata gratuitamente ma vi erano contratti agrari di lunga durata. La maggior parte delle aziende agricole erano suddivise in “mansi”, unità di coltivazione sulle quali risiedevano famiglie coloniche. La proprietà era condivisa tra famiglia e signore: il contadino aveva la proprietà utile ma era soggetto alla proprietà eminente del signore a cui era dovuto un pagamento annuo per il censo. Il contadino poteva lasciare la terra e venderla ma doveva pagare un’imposta al signore che aveva anche il monopolio della caccia, della pesca e dei corsi d’acqua. Il contadino aveva il diritto di usare il mulino e i forni del signore in cambio del pagamento di bannalità dato che il signore aveva un monopolio anche su di essi, oltre che sui ponti e sulle strade. Tutti questi diritti signorili potevano essere ereditati e venduti per cui potevano appartenere a un signore o a un ente ecclesiastico, come un’abbazia. AI signore spettava la giurisdizione nel suo territorio ma di fatto le cause più importanti erano di competenza dei tribunali reali. Fino alla rivoluzione francese però la bassa giustizia fu amministrata da corti signorili. 3.3 IL SERVAGGIO CONTADINO NELL’EUROPA ORIENTALE L’Europa Orientale, eccetto i paesi scandinavi, conobbe un “secondo servaggio” a partire dalla metà del Quattrocento, laddove in Occidente si conobbe un maggior aumento della libertà contadina. L'Europa Orientale è caratterizzata da distese di fertili pianure adatte alla coltivazione ma scarseggiava la manodopera. La struttura sociale era rigida a causa del predominio della nobiltà: non vi erano gruppi forti che potessero reagire. Le città, importanti per l'emancipazione occidentale, erano poco sviluppate. L'aumento demografico determinò un aumento della domanda agricola e i proprietari si garantirono il controllo della manodopera vincolando i contadini alla terra e sfruttandoli maggiormente. Anche in queste regioni le famiglie contadine disponevano di unità di coltivazione ma non in proprietà, bensì in usufrutto. Il nucleo familiare assumeva una forma allargata nelle generazioni ed era legato alla terra. In cambio, il signore riceveva servizi di lavoro: la riserva signorile, rispetto all'Occidente, era molto più estesa e vi erano corvée molto più alte. | servi non potevano lasciare le terre del signore, non potevano contrarre matrimonio senza il suo permesso e potevano essere venduti o scambiati. Tutta l'economia dell'Europa Orientale, anche quella manifatturiera, era basata sul lavoro coatto del contadino. | servi inoltre non potevano appellarsi contro la decisione del tribunale. Lo stabilirsi di un secondo servaggio assai più pesante di quello occidentale dell’XI secolo fu favorito dalla debolezza delle istituzioni statali. Nel XVII secolo, quando gli apparati statali divennero più solidi, la situazione non cambiò in quanto erano originati spesso dall’aristocrazia. Si determinò quindi un clima di profondo malessere che provocava fughe collettive e violenze contro la famiglia del signore. 3.4 L'ECONOMIA CONTADINA Nella società di antico regime la coltivazione della terra era garantita dal lavoro della famiglia contadina, cellula base dell'economia. Nel corso dell'età moderna vi era in molte zone dell’Europa Occidentale una diffusa proprietà contadina soggetta ai diritti eminenti del signore. Non c’era terra senza signore in teoria, ma in pratica non mancavano terre in piena proprietà, libere da vincoli signorili. Il panorama era eterogeneo: i residui del feudalesimo erano cancellati da tempo in Italia centrale e nelle Fiandre mentre erano molto presenti in Irlanda e in Italia meridionale, significativi anche in Francia, Germania, Spagna e Italia settentrionale. La struttura della famiglia contadina era condizionata dalla disponibilità di terra e dal tipo di contratto agrario. Dopo la peste del 1350, la terra a disposizione era abbondante dunque si formarono famiglie nucleari, composte da genitori e figli. Con l'incremento demografico accrebbe la pressione sul terreno coltivabile e risultò difficile per le giovane coppie rendersi autonome: si manifestò quindi la tendenza a formare famiglie allargate a più generazioni. Anche qui, comunque, il panorama era eterogeneo in base all'area geografica. 3.5 UN’AGRICOLTURA DI SUSSISTENZA Il modello dell'economia contadina fu sempre di sussistenza, ossia mirava a produrre gli alimenti di cui la famiglia aveva bisogno e il ricorso al mercato era marginale. Il concime era fornito dagli animali, si metteva da parte ogni anno circa un quarto del raccolto per la semina seguente, gli attrezzi erano costruiti e riparati dagli stessi contadini. La famiglia non viveva però isolata ma era integrata nella comunità del villaggio che condizionava ogni aspetto della vita. Il paesaggio dove vigevano contratti agrari era caratterizzato dalla presenza di case coloniche sparse nelle campagne ma in Inghilterra e nella maggior parte dell'Europa Occidentale le case contadine si trovavano riunite nei villaggi coincidenti con la parrocchia. Si trattava di un’agricoltura comunitaria e la frammentazione era data da muretti o siepi. Si coltivavano perlopiù frumento e segale ma fondamentale era la rotazione triennale delle colture che garantiva il necessario riposo al terreno per tenerlo fertile. Il territorio del villaggio era diviso in tre parti, ciascuna delle quali era coltivata il primo anno a cereali a semina invernale, il secondo ad avena o orzo, la cui semina è primaverile, e infine il terzo anno era lasciata a riposo (maggese). Dopo il raccolto, i campi erano soggetti a una serie di usi collettivi di cui tutti si potevano avvalere come il diritto di spigolatura, ossia la raccolta dei chicchi rimasti sul terreno, e il diritto di pascolo. Al momento della semina si ristabilivano le proprietà individuali. Molto importanti erano i campi comuni, formati da boschi e pascoli. Qui si portavano gli animali e si raccoglieva la legna per l'inverno. Lo status della famiglia era spesso dato dagli animali: i più benestanti avevano dei buoi o cavalli, mentre i braccianti non avevano terra. Nel villaggio erano presenti anche artigiani, il fabbro, il maniscalco, il calzolaio ma anche essi avevano un lotto da coltivare. Vigeva comunque uno spirito comunitario che aiutava la sopravvivenza di tutti. 3.6 UN’AGRICOLTURA STATICA A partire dall’XI secolo furono introdotti l’aratro pesante asimmetrico e l’aratura del cavallo che permisero di arare terreni più pesanti e duri. Nel corso dell’età moderna invece non vi furono novità significative. La risposta non fu tecnologica, ma estensiva, e vennero ampliati i terreni coltivati attraverso bonifiche e dissodamenti di pascoli e disposcamenti. La diminuzione di pascoli ridusse la disponibilità della carne e si creò un conflitto tra agricoltura e allevamento. Questa situazione era tipica dell'Europa mentre negli altri continenti vennero introdotti sistemi di irrigazione e altre innovazioni. Sui campi europei gravava il rallentamento del campo maggese e il modello medievale fu superato solo a partire dal XVII secolo. Un primo passo verso l'eliminazione del maggese fu l'introduzione di legumi che rilasciavano sali di azoto e anche di foraggere che forniscono nutrimento al bestiame senza impoverire il terreno. Lo sviluppo dell’allevamento portò alla produzione di latte, burro, formaggi e concime. Nacque, soprattutto in Olanda e Inghilterra, l’*agricoltura mista”, che si sostituì a quella a maggese. Una condizione importante per l’avvio delle innovazioni era la disgregazione dell’economia di villaggio con lo sviluppo dell’individualismo agrario. Ciò avvenne in Inghilterra con le recinzioni, le famose “enclosures”, che superavano l’agricoltura comunitaria attraverso una ricomposizione delle proprietà. Ciascun proprietario recintava il terreno e introduceva miglioramenti adottando la novità della rivoluzione agraria o promuovendo coltivazioni diverse da quelle cerealicole. Questo processo complesso fu favorito dal Parlamento nel Settecento che intervenne con degli appositi decreti per ridistribuire le terre grazie agli “enclosures acts”. Ciò avvantaggiò i proprietari più ricchi perché i piccoli e i medi proprietari dovettero vendere le terre. Il processo fu lento ma anche chi perdette la terra trovò opportunità di impiego agricolo. Il mondo del villaggio oppose una tenace resistenza alle innovazioni. Le recinzioni si espansero in Europa a partire dal XIX secolo ma furono assenti nell'Europa mediterranea. 4 - LA SOCIETÀ PREINDUSTRIALE: MANIFATTURE, COMMERCIO E MONETA 4.1 LE INNOVAZIONI E L'ENERGIA Nell’età moderna vi furono diversi progressi tecnologici ma mai tali da determinare una svolta importante. Le innovazioni principali avvennero nel basso medioevo con i mulini ad acqua. Dal XII secolo comparve anche il mulino a vento e l’uso della camma che trasformò l’energia idraulica del mulino per due tipi di macchine che si diffusero in tutta Europa: la gualchiera, un passaggio essenziale nella filatura della lana, e la cartiera, nella quale si batteva la pasta grezza Agli albori dell’età moderna vi furono due principali innovazioni: la stampa e la polvere da sparo. Non cambiarono molto invece le industrie tessili. Nel settore minerario, progressi vennero fatti nel Quattrocento grazie alle ruote idrauliche che drenavano l’acqua nelle gallerie. Grazie all'energia La crescita economica determinò un aumento degli scambi commerciali. Rimase prevalente il trasporto su acqua, più veloce ed economico, rispetto al trasporto via terra. La tecnica marinara e la cartografia progredirono. Tradizionalmente, nel Mediterraneo non ci si allontanava dalla costa e ci si basava sui “portolani”, manuali che riportavano approdi, fondali, ecc. A partire dal XV secolo i perfezionamenti della bussola, l’uso del quadrante e dell’astrolabio per trovare la stella polare, i miglioramenti delle carte nautiche resero possibile l'applicazione della scienza matematica. Si crearono le premesse per la navigazione in mare aperto. Fondamentale fu l’opera del cartografo Kremer che nel 1569 pubblicò un mappamondo per l’uso nautico che consentiva di rappresentare il reticolo terrestre con dei meridiani e dei paralleli. Nelle costruzioni navali rimase a lungo attiva la galea, impiegata anche in guerra con delle artiglierie. Essa si serviva di remi o di vele e necessitava di molti rifornimenti. | paesi atlantici invece puntarono sulle navi a vela: i loro velieri erano superiori di stazza rispetto alle galee, tondeggiante e con una stiva capace. Un’evoluzione di queste imbarcazioni fu la caravella portoghese, maneggevole e veloce, non necessitava di molto equipaggio, per questa adatta ai lunghi viaggi. Altro sviluppo fu il galeone, un vascello a due ponti e quattro alberi, adatto alla battaglia o al trasporto di merci. Altra nave fu il “fluyt”, nave mercantile a tre alberi. Figura 3: La galea. Figura 4: La caravella. Figura 5: Il galeone. Figura 6: Il "fluyt". Uno dei rischi del commercio marittimo era l'attacco dei pirati. Oltre a questo, vi era la “guerra di corsa”, esercitata con il consenso di un governo contro le navi di uno stato nemico. Il fenomeno si diffuse tra il XIII e il XVI secolo. Nel Cinquecento si sviluppò la pirateria atlantica ai danni dei galeoni spagnoli che trasportavano oro e argento dal nuovo mondo. Sul piano pratico, è difficile distinguere pirateria e guerra di corsa. Essa fu abolita nel 1856 al congresso di Parigi. Dunque, a causa di pirati e possibili naufragi, il commercio marittimo era usato per carichi ingombranti, il resto veniva trasportato a terra. Anche questo trasporto aveva difficoltà tra dazi, pedaggi e cattiva condizione delle strade. 4.5 IL COMMERCIO All’inizio dell'età moderna il bacino mediterraneo era uno snodo fondamentale tra Europa e Asia: vi era il commercio di cereali, cuoio, lana, rame, piombo, seta, spezie, medicine. L'importanza era dovuta al grande valore delle merci portate da Oriente da mercanti musulmani. | principali porti erano Tripoli e Alessandria d’Egitto e il trasporto era garantito dalle navi veneziane e genovesi che giungevano nel Mediterraneo ma anche in Germania. Grande sviluppo ebbero i commerci nei mari del Nord. Nel basso medioevo si era affermata la potenza della “Hansa”, la lega che riuniva città portuali del Baltico (Amburgo, Lubecca, Danzica, Riga, ecc.) e che si estese a città non marinare ma legate alle prime da rapporti commerciali. Tuttavia, a partire dal XV secolo il ruolo della Lega venne ridimensionato. Lubecca fu sconfitta nel 1535 dalla Svezia che si liberò dal ruolo subalterno che aveva nei confronti della Hansa. Nel Seicento i traffici nordici furono guidati dagli olandesi che portavano il legname dal Baltico verso sud, tornando con vino, sale, tessuti, ecc. Un posto importante in queste rotte lo ebbe anche la marineria inglese che erose il primato olandese. L’età moderna fu però soprattutto caratterizzata dallo sviluppo dei traffici oceanici resi possibili dai viaggi di esplorazione e dalle scoperte geografiche (Capitolo 10). | portoghesi nel 1498 raggiunsero l’India circumnavigando l'Africa e acquistarono le spezie senza l’intermediazione veneziana che comunque rimase una valida opzione per tutto il Cinquecento. Il suo declino iniziò nel Seicento con l’arrivo di olandesi e inglesi che appoggiandosi a Livorno portavano materie prime da scambiare con i prodotti mediterranei o dell’oriente. Il ruolo del Mediterraneo quindi diminuì di centralità a favore delle tratte nordiche, portoghesi e spagnole, quest’ultime soprattutto attraverso l'Atlantico. Dall’America gli spagnoli importarono zucchero, tabacco, oro, argento e legnami pregiati. 4.6 LA MONETA METALLICA Le origini del sistema monetario moderno risalgono alla riforma carolingia che istituì un sistema di monometallismo fondato su un'unica moneta d’argento, il denaro (ripreso da Roma). Si diffuse la cosiddetta “lettera di cambio”, un atto notarile dove un datore dava una somma a un prenditore il quale gli consegnava una lettera di cambio nella quale si impegnava a restituire la somma ricevuta in un’altra località a un agente del datore. In questo modo si evitavano i rischi connessi al trasporto delle monete. 4.8 LA RIVOLUZIONE DEI PREZZI L’età medievale fu caratterizzata da scarsità di metalli preziosi rispetto alle esigenze monetarie. Nel XV secolo ciò cambiò grazie alla scoperta di giacimenti d’argento in Europa centrale. Fu però soprattutto l'afflusso di oro e argento spagnoli dall'America a incrementare la massa monetaria. L'aumento della moneta è direttamente collegato all’inflazione e ciò scatenò una “rivoluzione dei prezzi”. Questa è spiegabile con la “teoria quantitativa della moneta” di Fisher. Se in un dato periodo una certa quantità di moneta “M” è scambiata con una certa quantità di merci “Q”, i prezzi “P” sono dati dal loro rapporto: P = M/Q. Se c’è poca moneta, il livello dei prezzi sarà basso e viceversa. Bisogna inoltre integrare il numero degli scambi effettuati in media dallo stesso pezzo di moneta, “v”. P= MV/Q. Tuttavia, l'aumento dei prezzi fu solo del 2% perché la società era ancora in larga misura autosufficiente dunque non si può parlare di una vera e propria rivoluzione. Inoltre, molto argento era diretto verso l’Asia in cambio di spezie. L'aumento dei prezzi non interessò in maniera omogenea tutti i prodotti ma si concentrò su quelli più richiesti, come i cereali il cui prezzo aumentò quattro volte. 4.9 IL SISTEMA MONETARIO DELL'ETÀ MEDIEVALE E MODERNA Un problema legato alle monete era la “tosatura”, ossia ricavare da esse una quantità di polvere che ne modificava il peso previsto dalla zecca. Per evitare questo problema, le monete furono coniate con un orlo zigrinato. Spesso i principi tosavano il metallo prezioso e sostituivano un metallo non nobile per ripagare i debiti. Questo processo, secondo la “legge di Gresham”, portò la moneta “cattiva” a escludere dalla circolazione quella “buona”. Le svalutazioni realizzate nel Medioevo furono condannate ma in realtà a volte fecero fronte alla scarsità di metalli. 4.10 MONETA GROSSA E MONETA PICCOLA Dal XIII secolo, le monete d’oro o “grosse” vennero usate per il commercio all'ingrosso, mentre le monete “piccole” vennero usate per le compravendite quotidiane e il pagamento dei salari. La svalutazione colpì le monete piccole che erano il riferimento per i prezzi. Nell’età moderna le monete avevano un valore nominale superiore al valore di mercato del loro intrinseco metallo, per cui non si fondevano; al contrario le monete in oro o argento ebbero sempre stabilità. Il fenomeno della tosatura portò a una distinzione tra due sistemi monetari: le monete di conto, ideali e non esistenti, con le quali si fissavano i prezzi, come la lira e i soldi, e le monete effettivamente coniate per i pagamenti. Il sistema monetario risultava quindi complesso e disordinato. Oltretutto, gli stati non avevano una piena sovranità monetaria. Le monete di conto servivano a uniformare il caos monetario e differivano da paese a paese ma erano sempre basate su questo schema: 1 lira = 20 soldi = 240 denari. Per esempio, un mercante che riceveva effettivamente 6 ducatoni d’argento fiorentini scriveva di aver ricevuto 8 lire, 7 soldi e 6 denari mentre se riceveva una dobla d’oro genovese scriveva 25 lire, 7 soldi, 6 denari. 4.11 LE MUTAZIONI DEL CAMBIO Il problema del cambio fu molto sentito nell'età moderna, anche all’interno di uno stesso stato. Quando le monete in oro o argento acquistano in valore nominale si determina una svalutazione della moneta di conto. Spesso i principi svalutavano le monete di conto per ripagare i debiti e i banchieri per tutelarsi ponevano i prestiti ripagabili con monete dello stesso valore, contenenti la stessa quantità di metallo che avevano al momento del prestito. 4.12 SVILUPPI SUCCESSIVI DEL SISTEMA MONETARIO La rivoluzione francese rivoluzionò la storia monetaria: nel 1795 la Convenzione stabilì che l’unica moneta sarebbe stata il franco d’argento che era diviso in centesimi. Questo portò alla fine del calcolo con le monete di conto. Il nuovo ordinamento si diffuse in tutta Europa grazie alle conquiste napoleoniche. Solo in Inghilterra rimase il vecchio ordinamento. Nel 1803, in Francia si formò un sistema bimetallico ma nel corso del secolo si manifestò la tendenza in tutti i paesi a un monometallismo aureo durato fino al XX secolo. La circolazione era composta da monete d’oro e biglietti di banca. Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu il dollaro a prendere le redini internazionali. Nel 1971, Richard Nixon vietò la conversione tra dollaro e oro di fatto ponendo fine a ogni rapporto tra moneta e oro. Oggi tutte le monete sono fiduciarie. 5 - LA SOCIETÀ DI ORDINI: LA GERARCHIA SOCIALE 5.1 ORGANIZZAZIONE SOCIALE Nella società di antico regime il posto dell'individuo era stabilito da una scala gerarchica perfetta decisa dalla volontà divina. Ognuno era inserito nella comunità e fino al 1789 vi erano tre ordini: gli “oratores”, coloro che pregano; i “bellatores”, coloro che combattono, ossia i nobili; i “laboratores”, coloro che producono i beni per la sussistenza. La società di antico regime aveva una base corporativa e ben definita giuridicamente con ordini cavallereschi, ecclesiastici e corporazioni. La rivoluzione francese sancì l’uguaglianza giuridica cancellando questo particolarismo. L'appartenenza a un ceto comportava l'acquisizione di una certa mentalità e di valori ma non implicava una conformità economico-sociale: all’interno di una classe potevano esserci dei dislivelli. La distinzione tra individui non era quindi fondata sul piano economico ma sullo status, ossia la condizione giuridica alla nascita e il ruolo nella società. Inoltre, non si può parlare di classe sociale, ma solo di ceto, perché non vi era una consapevolezza comune. Già ai contemporanei però era chiaro che lo schema era difettoso poiché esisteva di fatto un gruppo intermedio più ricco dei laboratores ma non nobile: i mercanti, i finanzieri e i proprietari terrieri non nobili. Questo gruppo prende il nome di “borghesia”, letteralmente “abitanti delle città”. Tuttavia questo termine è improprio per le società di antico regime. 5.2 IL PRIMO ORDINE: IL CLERO Il primo ordine era il clero che comprendeva gli ecclesiastici secolari e regolari. A partire dalla Riforma protestante, però, i paesi che si separarono da Roma rifiutarono l’idea di un clero con uno status diverso dai fedeli e la Chiesa venne messa in discussione come organismo giuridico autonomo. La Chiesa di Roma deteneva ovunque una quota delle proprietà fondiarie. | beni ecclesiastici, chiamati “manomorta”, erano esenti da imposte. La Chiesa riscuoteva annualmente la decima parte del raccolto per il mantenimento del clero, degli edifici e dei poveri. La ricchezza ecclesiastica riguardava i membri altolocati gran parte provenienti dalla nobiltà. 5.3 ORIGINI E CARATTERI DELLA NOBILTÀ Non è chiaro quando si configurò l’ordine nobiliare. Importante fu nell’età carolingia l'emergere di una classe feudale votata al servizio militare, principale obbligo del vassallo. | “bellatores” trovavano nella guerra la propria vocazione e la giustificazione della propria superiorità rispetto agli altri corpi sociali. A questi guerrieri si aggiunsero i signori rurali che esercitavano ordine e giustizia sul territorio. La ricchezza, il prestigio e il potere determinarono la nascita di dinastie familiari e alla progressiva identificazione di un ceto stabilmente al vertice sociale. | caratteri erano ereditari per dare continuità allo status giuridico. Le famiglie nobili assumevano il nome della residenza tramandata dagli avi e spesso adottavano uno stemma. All’interno del ceto aristocratico vi erano posizioni differenziate. In Francia, chi viveva a corte era più importante di chi viveva nelle campagne per esempio. Un ruolo decisivo nella formazione nobiliare ebbe la mentalità cavalleresca che impose i modelli della virtù, dell'onore e della difesa della fede come tratti tipici del cavaliere cristiano e che poi sfociarono nelle crociate. La proprietà della terra era nell'antico regime la fonte principale della ricchezza, del prestigio sociale e del potere politico. Rappresentava il patrimonio dei nobili che, pur essendo pochi, possedevano molte terre. Da queste i nobili ricavavano i proventi dell’agricoltura, dell'allevamento, i diritti signorili e i canoni d'affitto. Era vietato ai nobili esercitare professioni vili come le arti meccaniche o uffici pubblici minori. Erano esclusi anche dalle attività mercantili salvo il commercio all’ingrosso e la gestione di miniere. In Europa Orientale, invece, i nobili erano polacchi. Tuttavia, nel 1648, gli ebrei furono ritenuti responsabili dell’azione oppressiva che la nobiltà polacca esercitava sui contadini ucraini. Esempi di ebrei ricchi e influenti non mancano. Samuel Oppenheimer, vissuto nel XVII secolo, anticipò ingenti somme di denaro all'imperatore d’Austria Leopoldo I. La famiglia Rothschild creò attività commerciali e finanziarie in tutta Europa. Nel Settecento, grazie al pensiero illuministico e un avvicinamento dell'ebraismo alla modernità, il clima si modificò leggermente. Ovviamente non vi fu un’integrazione ma vi furono alcuni provvedimenti favorevoli agli ebrei. Fu la rivoluzione francese a decretare la completa emancipazione ebraica conferendo agli ebrei lo status di cittadini francesi. Nell’età della Restaurazione il clima cambiò nuovamente: in molti stati vi fu una ripresa delle discriminazioni. Nel XIX secolo, in buona parte dell’Europa si aprì una fase nuova per l'ebraismo. Gli ebrei erano liberi di spostarsi e scegliere la residenza e la professione, ma l'integrazione nella società allentava il vincolo comunitario creato in tempi difficili. Il ghetto aveva avuto la funzione di proteggere il patrimonio religioso che ora rischiava di disperdersi. Da qui il senso di spaesamento di molti gruppi e la nascita del movimento sionista animato dall’idea di un ritorno alla terra degli avi. 5.7 POVERI, MARGINALI, VAGABONDI Nel periodo di passaggio dall'età medievale all’età moderna mutò il pauperismo, un fenomeno economico e sociale caratterizzato dalla presenza di larghi strati di popolazione, o anche di intere aree, in condizioni di profonda miseria. La società medievale, fondata sui valori cristiani, considerava l’elemosina e la carità come occasioni per meritare la salvezza eterna. Nel basso Medioevo, le autorità si occuparono del problema per evitare disordini pubblici. Spesso la figura del povero e la povertà come fenomeno erano distinte. Coloro la cui povertà dipendeva da motivi strutturali come malati, invalidi, orfani, vecchi, trovavano un sostegno nelle comunità rurali o nelle reti di solidarietà urbane, come confraternite e associazioni. | “poveri vergognosi” invece erano persone di status normale cadute in miseria ma erano comunque aiutate. La svolta nella considerazione del pauperismo si determinò quando divenne un fenomeno endemico. La crescita demografica e una maggior pressione sull'agricoltura innescarono un aumento della disoccupazione. | poveri crebbero nell’emarginazione sociale. In questa situazione prevalse nelle classi agiate un sentimento di diffidenza: si distinsero tra poveri “buoni”, meritevoli di assistenza” e poveri “cattivi”. Emblematico è il caso di Lione nel 1530 con migliaia di poveri in cerca di aiuto: le autorità distribuirono pane fino al 1534. In Inghilterra, a partire dal 1572, ogni comunità parrocchiale dovette provvedere ai vecchi e ai poveri che vennero rieducati con il lavoro forzato. Vennero combattute aspramente la mendicità e il vagabondaggio. Nel XVII secolo si ebbe la “grande reclusione dei poveri”, una sorta di misure penitenziarie e indottrinamento morale. Nel 1656 a Parigi venne realizzato l'Ospedale maggiore, un carcere enorme dove la morale del lavoro veniva inculcata con violenza. In Italia furono realizzati alberghi per accogliere vagabondi e mendicanti mentre in Inghilterra vennero realizzate le “workhouses”, delle prigioni orribili dove si effettuavano lavori forzati. 6 - LE FORME E LE STRUTTURE DEL POTERE 6.1 LO STATO MODERNO Lo Stato moderno è storicamente definito nel tempo e nello spazio. Si è affermato in Europa occidentale agli inizi del XIX secolo ed è stato adottato da tutti i popoli. Esso si caratterizza come un organismo politico dotato di piena sovranità sul territorio e sugli individui, in quanto dispone del monopolio legittimo della forza per garantire l'ordine interno e all’estero. Lo Stato moderno è uno Stato di diritto, che regola la vita della società attraverso un ordinamento giuridico basato su norme astratte e impersonali, che persegue i suoi scopi secondo la legge in modo imparziale. Dal XIX secolo il carattere è diventato nazionale, in quanto organizzazione politica di una popolazione che ha maturato una coscienza della propria identità sulla base di comuni caratteri etnici, linguistici e culturali. Questo tipo di Stato è sorto dalla rivoluzione francese e ha dato nascita alla contemporanea idea di nazione. Lo Stato nazionale è il principale protagonista della scena politica internazionale, ma sta vivendo una fase di crisi. In una società globale, il concetto di sovranità perde di significato davanti ai grandi centri internazionali e alle guerre nucleari. 6.2 LO STATO DI ANTICO REGIME Alcuni storici fanno risalire le origini dello Stato moderno alle monarchie di indirizzo assolutistico tra XV e XVIII secolo. Tuttavia, non tutti sono d'accordo con questa interpretazione. Sicuramente verso la metà del XV secolo in molti stati dell'Europa occidentale si rafforzò il governo centrale a discapito della nobiltà feudale, della Chiesa e delle altre autorità. La parola “Stato” cominciò allora ad affermarsi nel significato attuale e la si ritrova nel “De principatibus” di Machiavelli del 1513. Egli indica lo stato come l’autorità sull’ambito territoriale e umano dove essa si esercita. Prima si parlava di monarchia o “res publica” e questi termini andarono per la maggiore fino al XVI secolo. “Stato” stentò ad affermarsi nel pensiero politico e non comparve, per esempio, nell’enciclopedia. Importante fu, tra XVI e XVII secolo, la definizione di sovranità. Nel Medioevo il potere sovrano non aveva carattere assolutistico, a differenza dell’età moderna. Era una “summa potestas”: non era esclusivo, ma si poneva al di sopra di una molteplicità di poteri ai quali era affidata l’amministrazione della giustizia, la riscossione di imposte, la chiamata alle armi. Il sovrano non esercitava la sua autorità con un comando diretto ma tramite poteri subordinati. Nel diritto romano si parla di “imperium”: chi lo detiene ha il comando. Nell'opera di Bodin si indica come principale caratteristica della sovranità il potere di dare leggi ai sudditi senza il loro consenso. Egli distingue tra consuetudine, che si impone con il tempo e il consenso comune, dalla legge, che esprime la volontà di chi ha l’imperium. La legge prevale sulle altre fonti del diritto: il sovrano è sciolto dalle leggi, al di sopra di esse poiché ne è l'artefice. AI di là delle teorie politiche, la monarchia moderna fu lontana dall’assolutismo descritto dai teorici. Il potere del monarca non era illimitato. Le sue decisioni dovevano essere rispettose dei precetti del diritto naturale e della legge divina. In questo periodo si cominciò a distinguere due enti diversi: la “corona” e il “re”. Questo fu il primo passo verso l'elaborazione di Stato come persona giuridica. Per quanto riguarda i confini essi non erano chiari e definiti: un territorio apparteneva a un sovrano per diritto dinastico e il confine era il limite di tale diritto ottenuto per eredità o cessione o trattato. Vi erano circoscrizioni ecclesiastiche, interessi privati e pubblici, pedaggi, concessioni, ecc. Solo dopo la rivoluzione francese il confine assunse il significato di limite della sovranità e assunse una tipica forma lineare. Non è dunque esatto definire, per esempio Francia e Inghilterra, “monarchie nazionali”, perché non si era affermata l’idea di nazione intesa come coscienza di una comunità storicamente determinata. Anche il patriottismo era più legato alla dinastia regnante più che alla patria. Prima della rivoluzione francese è incauto usare riferimenti allo Stato moderno ed è meglio parlare di Stati di antico regime come forme intermedie tra politica medievale e Stato ottocentesco. Solo nel XIX secolo il concetto di Stato si impose come fulcro della riflessione politica. Venne alla luce la nozione di “società civile” come entità autonoma rispetto al piano politico. Hegel definì per primo la società civile come la sfera dell'economia nella quale ciascuno persegue il proprio particolare interesse. Distinta è invece la sfera statale che Hegel pone al culmine della storia, come piena realizzazione della libertà. Nella società civile gli individui concorrono al bene comune indirettamente, mossi dall’egoismo; lo Stato si pone come supremo regolatore neutrale promotore di libertà. Marx rovesciò questa tesi affermando che lo Stato non è astratto: sono i rapporti di forza a determinare la forma dello Stato. 6.3 L'ESPERIENZA POLITICA DELL’ITALIA RINASCIMENTALE Le vicende politiche italiane sono un laboratorio che l’Europa osservò. Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini furono due grandi teorici politici del tempo. Le forme di governo, signorili, repubblicane e i principati, rimasero legati alla civiltà comunale. Le repubbliche verranno trattate dopo; ora si parla delle monarchie in Europa nell’età moderna. 6.4 LA CONCEZIONE DEL POTERE La pluralità di ordinamenti giuridici determinava l’esistenza di una pluralità di giurisdizioni che limitavano le prerogative del sovrano. La giustizia primaria era signorile e riguardava le cause di minore importanza. Altre funzioni erano esercitate da magistrature cittadine e da corporazioni. La giustizia regia era limitata anche dalla giustizia ecclesiastica che rivendicava le cause riguardanti i membri del clero e le eresie. Il potere di questi tribunali fu limitato durante l’età moderna e si stabilì che tutte le sentenze dovevano essere pronunziate in nome del re. Tuttavia l'autorità regia regolava e controllava soltanto ma non soppresse mai queste forme di giustizia. 6.10 I RAPPORTI CON LA CHIESA La sacralità del potere monarchico si rifletteva nei rapporti con la Chiesa. Il monarca voleva spesso accreditarsi come difensore della fede e spesso era, soprattutto in Francia, un “re cattolico”. Enrico VIII fu nominato da Papa Leone X “defensor fidei”, ossia “difensore della fede” per essere andato contro Lutero anche se il titolo gli venne poi rimosso. Il problema dei rapporti tra politica e Chiesa si pose in termini diversi nei territori che aderirono alla Riforma protestante. Per quanto riguarda i paesi cattolici, si seguì la tradizionale divisione dei poteri: Chiesa e Stato. Lo Stato tendeva ad affermare le prerogative spettanti al sovrano in materia di religione cercando di controllarla per riformarne gli abusi. Tuttavia, gli stati erano attenti a evitare che gli atti del papa potessero avere validità esecutiva nel territorio. L'esigenza di limitare e controllare la Chiesa nei suoi aspetti istituzionali, giuridici ed economici, fu una componente centrale nel rafforzamento delle monarchie. 6.11 LE FINANZE Tradizionalmente le imposte erano concepite come contributi straordinari. Le esigenze militari e la gestione degli affari interni richiesero però agli stati risorse che non era più possibile ricavare dal patrimonio della dinastia regnante. Bisognava stabilire un prelievo fiscale sistematico: questo fu l’obiettivo degli stati di antico regime e fu terreno di scontro tra monarchia e assemblee. Il sovrano necessitava fondi per difendere il territorio dai nemici esterni poiché le spese militari crebbero notevolmente. Tuttavia gli sforzi dei monarchi spesso fallirono e tutti gli stati furono assillati dalla cronica difficoltà finanziaria. Non vi era un bilancio attendibile delle spese e delle entrate in quanto i flussi erano gestiti da casse particolari, senza una centralizzazione. Il sistema fiscale non era uniforme perché vi erano regimi diversi con esenzioni e privilegi. Le imposte dirette rimasero fondate su basi approssimative in quanto riscosse per individuo o famiglia. Spesso quindi gli stati si affidavano a investitori privati che anticipavano i soldi al tesoro pubblico. Nel Settecento si provò a razionalizzare il sistema e si richiamò nelle mani dell’amministrazione centrale l'imposizione diretta; ciò ebbe successo solo con la rivoluzione francese. 6.12 LA POLITICA ESTERA Nell’età medievale le relazioni fra stati erano affidate ad ambascerie occasionali che dovevano risolvere conflitti o negoziare alleanze. Il papa svolgeva una funzione di mediazione e guida spirituale. Furono gli stati italiani umanistico-rinascimentali a porre le basi della diplomazia moderna, inviando un rappresentante permanente presso i governi stranieri. La repubblica di Venezia diede vita ad un corpo di ambasciatori di primo ordine e fu seguita dagli stati europei all’inizio del Cinquecento. In questo periodo si posero anche le prime basi del cerimoniale e delle norme diplomatiche; si stabilì l’ordine nel quale i rappresentanti venivano ricevuti o come ci si doveva sedere. Vi furono però anche incidenti diplomatici e duelli. 6.13 GLI SVILUPPI DELLA TECNICA MILITARE Lo storico inglese Parker definisce i progressi militari dell'età moderna una vera e propria “rivoluzione militare”. Un aspetto centrale dell’evoluzione tecnica fu l’uso della polvere da sparo arrivata in Occidente dal mondo musulmano agli inizi del XIV secolo. Il perfezionamento delle armi da fuoco fu lento. Il primo elemento di novità fu la formazione di eserciti interarmi, dove la cavalleria pesante era affiancata da balestrieri e arcieri, a piedi e a cavallo, e da nuclei di fanteria. La cavalleria pesante era ancora il nucleo dell'esercito ma iniziava ad apparire come superata. Durante la guerra dei Cent'anni la cavalleria francese per esempio perse in modo importante contro gli arcieri inglesi ad Azincourt. Risultò decisivo l'avvento delle fanterie. Lo schieramento di fanteria, in particolare svizzero, si presentava come una muraglia di picche sul modello della falange greco-macedone. Lo schieramento era arricchito da un certo numero di alabardieri e protetto ai fianchi da arcieri, balestrieri e tiratori dotati di archibugi e moschetti. Le cariche della cavalleria risultavano inefficaci. La centralità della fanteria cambiò il metodo di reclutamento: il re poteva liberarsi dai vincoli dei signori feudali, che prima fornivano la cavalleria, e assoldava fanterie assicurandosi il monopolio delle forze pur essendo un impegno fiscale gravoso. Le fanterie svizzere furono a lungo considerate invincibili e molti sovrani tentarono di assoldarle o di imitarle, come fecero Austria e Spagna. Il predominio svizzero durò fino al XVI secolo quando l’avvento definitivo delle armi da fuoco presentò la necessità di un’ulteriore evoluzione militare. Decisive furono le migliorie dell’artiglieria e delle armi da fuoco per fermare i picchieri. La Confederazione elvetica iniziò il suo declino nel 1515 nella battaglia di Melegnano quando i fanti svizzeri vennero sconfitti dalle artiglierie francesi. L'evoluzione delle armi da fuoco permise una maggiore maneggevolezza e leggerezza. Si passò dallo schioppo all’archibugio per arrivare al moschetto. Scomparvero l’arco e la balestra non tanto per potenza o portata, quanto perché richiedevano un lungo addestramento. Le armi da fuoco permisero una maggiore mobilitazione militare. Tuttavia vennero considerate armi ignobili e solo alla fine del Settecento la pistola venne ammessa nei duelli al posto dell’arma bianca. Nel corso del XVI secolo le armi da fuoco conquistarono uno spazio sempre maggiore e furono la totalità nel Settecento. A fine Seicento venne introdotta la baionetta che faceva le veci della picca. La cavalleria venne dotata di armi leggere, come sciabole e pistole, e venne usata per la sorpresa e l'inseguimento. Rimase il problema della lentezza della ricarica, un minuto o due a colpo, un tempo troppo lungo per fermare la carica nemica. Alla fine del Cinquecento si risolse il problema quando l’esercito olandese mise in atto contro gli spagnoli la tecnica del fuoco a salve successive: i moschettieri sparavano a file alterne mentre gli altri ricaricavano. L’artiglieria incise solo a partire dalla seconda metà del XV secolo. | cannoni divennero più robusti, leggeri e precisi, soprattutto contro le fortificazioni. Il castello medievale era indifendibile contro le bombarde, simbolo della nobiltà feudale, e si trasformò in una residenza di campagna. La risposta difensiva alle bombarde fu la costruzione di fortezze bastionate di forma poligonale che però aveva costi enormi. Le mura divennero più basse e spesse; i torrioni divennero quadrati e non cilindrici. Gli eserciti divennero permanenti e più grandi. Il soldato divenne un mercenario professionista addestrato. Per quanto riguarda la guerra sui mari, gli scontri navali rimasero a lungo legato alla tradizione dell’arrembaggio e dello speronamento. La situazione cambiò con l’uso dell'artiglieria. | cannoni divennero il fattore decisivo nelle battaglie navali. 7 - IL SISTEMA DEGLI STATI ALLE SOGLIE DELL'ETÀ MODERNA Il quadro politico dell’Europa all’inizio dell'età moderna è segnato dal declino del papato e dell'impero. La Chiesa era in crisi da quando la sede si era trasferita ad Avignone (1305-1378) ed era caduta sotto al giogo della monarchia francese, e poi nel periodo del grande scisma d'Occidente (1378- 1417) che aveva contrapposto tre papi in lotta tra loro. Quanto all'impero era connotato un’idea di universalità risalente alla “translatio imperi” di Carlo Magno quando aveva ridato la dignità all'Occidente ponendosi come successore degli imperatori romani. Tuttavia da tempo era caduta l’idea di un solo imperatore al mondo. Agli inizi del XIV secolo l'impero si era dimostrato incapace di sostenere le sue aspirazioni verso l’Italia e si era concentrato sull’area tedesca che a partire dal 1512 venne indicata con il nome di Sacro Romano Impero. 7.1 IL SACRO ROMANO IMPERO L'impero era una confederazione di più 350 stati differenti per status ed estensione largamente autonomi con una massima frammentazione nelle zone occidentali. Nel 1356, Carlo IV di Boemia emanò la “Bolla d’oro” che assegnava l’elezione della corona imperiale a sette principi: il re di 7.4 MASSIMILIANO DI ASBURGO Massimiliano | d'Asburgo divenne imperatore nel 1493. Era descritto come un uomo intelligente e ambizioso ma ostacolato dalla mancanza di risorse. Egli rafforzò la propria autorità nei domini ereditari creando una solida amministrazione finanziaria ma dovette scontrarsi con i principi territoriali riluttanti a rinunciare alle proprie prerogative. Negli organi federali, il Consiglio imperiale e il Tribunale camerale, la legislazione e l’amministrazione della giustizia rimasero condivise. Nella Dieta del 1495, Massimiliano ottenne l’istituzione di una tassa, il “soldo comune”, che la Dieta avrebbe dovuto approvare annualmente. Ciò però non bastò a Massimiliano per assoldare le truppe di cui aveva bisogno e spesso viveva di stratagemmi con i principi territoriali. | risultati delle sue iniziative furono deludenti. Ottenne dal re di Francia Carlo VIII l’Artois e la Franca contea ma non riuscì a ripristinare l’autorità imperiale in Italia. Massimiliano 1 d'Asburgo Maria di Borgogna | Ferdinantio Il d'Aragona ì È (1452-1516) SSL Leal (1459-1519; (1ABT.A4B2) [Regno d'Aragor sat [Corona Imperiale; [Fiandre, Pansi Bassi, Rogno di Napoli, pene di basti] domini di Casa d'Asburgo Lussemburgo 3 è Sardegna] è d'Austria] Franca Gontea] Giovanna la Pazza Filippo Il Bello (1479-1555) {1478-1506) Carlo d'Asburgo (1500-1558) Figura 13: Politica matrimoniale asburgica. I maggiori successi vennero dalla politica matrimoniale. Il suo matrimonio con Maria di Borgogna gli valse l'acquisizione dei Paesi bassi. Da questa unione sarebbe arrivata a suo nipote Carlo un'eredità straordinaria. Nel 1515 Massimiliano organizzò il matrimonio di suo nipote Ferdinando con la sorella del re di Boemia e Ungheria, di fatto includendoli nell’eredità asburgica. 7.5 IL REGNO DI FRANCIA La monarchia francese all'alba dell’età moderna presentava un carattere feudale. Il re era il vertice di molti vassalli che di fatto erano però indipendenti. Un primo passo verso l'unificazione fu la vittoria sui re inglesi del 1453 nel nord della Francia; agli inglesi rimase solo il porto di Calais. Successivamente, con la morte di Carlo il Temerario, venne eliminata la minaccia borgognone e la monarchia si espanse in Provenza e sull’Anjou. L'altro stato feudale, la Bretagna, fu interessato da un matrimonio tra Carlo VIII, erede al trono di Francia, e la figlia dell’ultimo duca bretone. Nel 1515 il regno di fatto fu unificato. Figura 14: Il regno di Francia. La France en 1477 [1borane roya Maisons capétiennes Autres maisons Maison de Bourgogne Valois-Alengon Fox Bourgogne Valois-Anjou [Armagnac Bourgogne-Nevers Valois-Orléans Albret Dunois (Orléans) Autres Valois-Angouléme Bourbon Meat Bourbon-Vendòme |suentse; î onpeefu NORMANDIE scan Ù D. AE Hora ves \ VALOIS Remee tum Alnegian * pliéné d'ALENGONAz0 pe ‘tgncon (egnige Prina Se du ture usi > C. dir sg VMAINE, tali Le bitaa (0 _DUNOIS] È. de vete uti PERCHE Duché * d'ANJOU olpur Prego ehmm, TOURAINE Sane Sip para BERRY" Possessions Dn 2 anglaises paia og re [7 Fossessions mi 6 de l'Eglise tend GIUMÒ, [ag Miles Ibres d'Empire i OLA [0] Autres 27 iti En L i: ili È Dai im z 4 © ravcui Seigneurie Cas nie | a LT, Duché e? Vicomte & FÉRIGORD è d' a 7) (pucné È # J cm, de china mul Marquisat Duée n. RI » 3 SNO A A sona Gi ca spe D'AUPHIMÉ | Me RE? fa erat rn Arch. : Archevéché | AS x VEOMTAT. | ono en {Qletatpontiicali 463, omne, COME Ri si er cò: d'ORANGE Forni Royaume de av times, Goro gl * CASTILLE ; Î “am prene To Comte de a n LANGUEDOC pinta pel BROVENCE pezzi Tiabonay orzuani amnez Sita ie tres La monarchia con Carlo VIII iniziò a rafforzarsi dotandosi di un esercito permanente per sconfiggere gli inglesi. Egli istituì nel 1439 la taglia, una tassa annuale che gravava sui contadini e che serviva a finanziare l’esercito. Grazie alle entrate regolari, la monarchia potette liberarsi dalla necessità di ricorrere ai tre ordini riuniti negli Stati generali che spesso furono marginali nella storia della monarchia francese a partire dal 1484. Nel 1515 salì al trono Francesco I che si assicurò il controllo delle compagini ecclesiastiche. Nel concordato di Bologna del 1516, egli rinunciò a sostenere la superiorità del concilio sul papa ma ottenne da egli il diritto di nominare tutte le cariche ecclesiastiche superiori della Chiesa “gallicana”, una Chiesa autonoma sul piano organizzativo rispetto a Roma. Nel 1522, Francesco | sancì formalmente il sistema della venalità delle cariche istituendo un ufficio per amministrare le entrate dagli uffici e dalle vendite di essi. Gli uffici però iniziarono a sfuggire al controllo reale e furono amministrati dal Parlamento di Parigi, il supremo tribunale di appello. Il Parlamento di Parigi, ma ve ne erano anche altri, aveva funzioni giudiziarie e registrava gli editti del re. Esso rappresentò il principale ostacolo all’assolutismo monarchico in quanto svolgeva di fatto un ruolo politico inamovibile mentre in principio al Parlamento spettava solo un controllo formale degli atti reali. La monarchia si scontrava quindi con i privilegi e le immunità che caratterizzavano le società di antico regime. La struttura burocratica ideata per rafforzare lo Stato non cancellò i corpi e le magistrature. Nel 1542 Francesco stabilì delle circoscrizioni fiscali per riscuotere la taglia ma nelle province annesse dovette scendere a patti con i tre ordini. Vi erano infatti diverse strutture e amministrazioni locali che permasero: inoltre nel sud del paese era in vigore il diritto romano, nel nord il diritto consuetudinario. Il regno era si teoricamente unificato ma rimase un mosaico di città e province. 7.6 LA SPAGNA Alla fine del XV secolo la Spagna cristiana contava quattro regni (Castilla, Aragona, Navarra e Portogallo) mentre la Spagna musulmana era ridotta al regno di Granada. Si può parlare di Spagna moderna a partire dal matrimonio tra Isabella di Castilla e Ferdinando di Aragona nel 1469. Dopo il matrimonio vi fu una contestazione e una guerra civile durata cinque anni, fino al 1479, anno della definitiva unificazione dei regni. “Spagna” da quell’anno non indicava più l’intera penisola iberica ma solo i due regni di Castilla e Aragona che però mantennero ciascuno le proprie leggi ed istituzioni. REGNO di DI NORVEGIA Mea n REGNO DI SVEZIA PRINGIPATI RUSSI Oceano Ù Le = GRANDULATO Atlantico ee PER Varsatia®, DI LITUANIA È REGND DI POLONIA 7 capard'aicumea - REGNO DI FRANCIA prime ni (MOLDAVIA » REGNO D'ARAGONY POL maRINIDÌ _ AIMANIDI POST HAFSIDI Dominazione veneziana e genovese o Mar [ESE Venezia Mediterraneo (_d va Impero romano-germanico [OT Territori Confini BEDUINI ARABI ) SULTANATO DEI MAMELUCCHI Figura 16: Europa Orientale e Settentrionale nel XV secolo. Nel 1386 il regno di Polonia fu unito al Granducato di Lituania, uno stato molto esteso che andava fino al Mar Nero. La federazione polacco-lituana era il più grande Stato dell'Europa orientale. Sotto la guida degli Jagelloni, la Polonia sconfisse nel 1410 a Tannenberg i cavalieri teutonici e acquisì nel 1466 la Prussia occidentale ottenendo Danzica. La Prussia rimase all'Ordine teutonico che però fu reso vassallo della corona polacca. La Polonia tuttavia era uno Stato fragile perché dominato da potenti aristocratici che impedirono una solida monarchia. Il re era infatti fortemente condizionato dalla Dieta formata da un senato composto da latifondisti e vescovi. Le città e i contadini erano sottoposti a un pesante servaggio. Nel 1505 la Dieta impose al re Alessandro Jagellone una convenzione per cui il consenso dell’assemblea era necessario per ogni decisione. Tuttavia, alla fine del XV secolo, gli Jagelloni si estesero ulteriormente in Ungheria e Boemia. I regni di Danimarca, Svezia e Norvegia erano invece uniti in regime di legame personale sotto l’egida danese dall’unione di Kalmar del 1397. 7.9 LA RUSSIA Agli inizi del Trecento, il ducato di Moscovia si ampliò notevolmente. Il fondatore dello Stato russo fu Ivan III il grande nel 1462 che occupò la repubblica di Novgorod e il suo vasto territorio, assumendo il titolo di sovrano russo. Egli limitò il potere aristocratico dei “boiari” a cui contrappose un nuovo ceto nobiliare legato alla monarchia attraverso la cessione di terre che potevano essere revocate dal sovrano. Egli importò da Occidente le armi da fuoco e adottò costose tecnologie per costruire le fortezze. Ciò gravò fiscalmente sui contadini. Importante fu il trasferimento dell’ortodossia religiosa da Kiev a Mosca in quanto la Chiesa contribuì all'identità religiosa e culturale russa. Ivan sposò una nipote dell’imperatore di Costantinopoli e si pose come erede spirituale dei bizantini assumendo il titolo di “zar”, unendo il titolo romano di “caesar” a quello asiatico di “khan”. Mosca si poneva come la terza Roma, erede di Bisanzio e lo Stato russo aveva quindi il compito di garantire la vittoria del cristianesimo ortodosso sul cattolicesimo dopo lo scisma d’Oriente del 1054. Nel 1505 subentrò il regno di Basilio IIl e poi nel 1533 di Ivan IV il Terribile che nel 1547 assunse il titolo di zar. L'opera di Ivan IV fu brutale e limitò i poteri della nobiltà. Egli contrappose alla Duma, ossia il Consiglio russo dominato dai boiari, un'assemblea territoriale composta di esponenti dei ceti. Egli asservì il mondo contadino e formò un nucleo permanente nell’esercito con soldati pagati regolarmente. Instaurò relazioni commerciali con Olanda e Inghilterra creando la prima rete commerciale della Moscovia. Ivan IV inoltre sconfisse i tatari e si espanse fino al mar Caspio. Nel 1560 la morte della moglie scatenò il lato violento dello zar che colpì tirannicamente tutti i suoi oppositori. Nel 1570 la città di Novgorod fu saccheggiata a causa di presunti legami con la Polonia. Si arrestò solo davanti alla sconfitta in Livonia contro Polonia e Svezia e allo stato di grave crisi del mondo contadino gravato dalle spese militari. Il regno passò al ministro Godunov, dato che il figlio di Ivan aveva problemi mentali. Godunov, uomo di fiducia di Ivan, proseguì il rafforzamento del potere centrale e nel 1589 istituì il patriarcato di Monza. Tuttavia, agli inizi del Seicento, Mosca fu colpita da una carestia e da un'invasione di cosacchi e polacchi. Nel 1605 in Russia si aprì un periodo di anarchia con dei falsi sovrani ed eredi al trono. Solo nel 1613 la situazione si stabilizzò con l’elezione a zar di Michail Fedorovic Romanov che diede il via alla dinastia che regnò fino al 1917. 7.10 L'IMPERO OTTOMANO All’inizio dell'età moderna l’impero ottomano si espanse notevolmente. Il primo nucleo fu un piccolo emirato dell’Anatolia occidentale. Nel XIV secolo gli Ottomani estesero i loro domini fino ai Balcani e nel 1388 il califfo di Bagdad assunee il titolo di sultano. Nei primi decenni del XV secolo l'impero bizantino era ridotto alla sola Costantinopoli che fu presa nel 1453 da Maometto Il il Conquistatore. La città assunse il nome di Istanbul. Regno d'Ungheria mar Mediterraneo ° A «a / Il primo nucleo Espansione alla dell'Impero ottomano fine del XV secolo (1301-26) Espansione Territori e formazione veneziani di stati vassalli Figura 17: L'impero ottomano. Maometto si espanse in Grecia a discapito di Venezia, in Serbia, in Bosnia, in Albania e in Moldavia. A est vennero occupate Crimea, Kurdistan e Armenia, verso sud la Siria. L'influenza ottomana giunse anche in Egitto e in Nord Africa dove gli stati barbari divennero vassalli dell’impero. Nel XVI secolo l'espansione interessò Rodi, Malta e l'Egitto. | sultani acquisirono il controllo del califfato e si posero come guide dell’Islam sunnita. Le cause del successo ottomano vanno ricercate nella solida struttura dell'impero, imperniata sull’autorità assoluta del sultano che era coadiuvato dal Consiglio del Divan, formato dai visir. Le entrate erano fornite dalle imposte, tuttavia non gravose, pagate dai musulmani per le terre avute in concessione, dalle tasse dei non musulmani e dai dazi doganali provenienti da ponti e strade. La giustizia era fondata sui precetti coranici ed era amministrata dai giudici, i “kadì”. Sul piano militare l’esercito era costituito dalla fanteria dei giannizzeri, ossia prigionieri di guerra o bambini cristiani rieducati. La cavalleria era composta da notabili che in cambio di esenzioni sulle imposte erano tenuti a fornire delle truppe. L'esercito inoltre aveva una potente artiglieria che risultò decisiva nella conquista di Costantinopoli. Il regime Tokugawa a partire dal XVII secolo rese il Giappone un “paese chiuso”. Prima i contatti con le altre civiltà erano commerciali con il traffico di armi da fuoco, tabacco, patate, ecc. Dal 1635 fu vietato ai giapponesi di lasciare il paese e vennero richiamati coloro che vivevano all’estero. | mercanti furono scacciati fatta eccezione per gli olandesi. La società era fondata sulla divisione in quattro classi: guerrieri, agricoltori, artigiani e mercanti. L’ordine seguiva per i giapponesi una legge naturale e ognuno era vincolato alla propria condizione. Lo sviluppo economico modificò questa gerarchia: grazie al miglioramento dei trasporti vi fu un aumento del commercio interno e i mercanti videro crescere la loro popolarità. Furono incentivate colture non volte alla sussistenza e si frantumò l'omogeneità del villaggio rurale e crebbe anche l’alfabetizzazione. Alcuni proprietari terrieri si arricchirono e si diede il via al processo di industrializzazione. Il Giappone è il solo paese extraeuropeo ad approdare al capitalismo pur essendo un paese chiuso. 8.4 L'IMPERO SAFAWIDE DI PERSIA Nel 1478 i turcomanni regnavano su Armenia, Persia e Mesopotamia. Nel 1501, dopo un periodo di anarchia, Ismail | sottopose al suo dominio gran parte della Persia e si proclamò primo “shah” dell'Iran, fondando la dinastia dei Safawidi che regnò fino al 1722. Lo Stato persiano ebbe come suo principale nemico l'impero ottomano per il possesso dell’Iraq e dei principati musulmani e cristiani lungo il Caucaso. Mentre l’impero ottomano si poneva come erede dell’Islam sunnita, i Safawidi erano islamici sciiti e consideravano usurpatori i primi tre califfi che invece venivano riconosciuti dai sunniti. Un periodo di conquista si ebbe a cavallo tra XVI e XVII secolo con Abbas I il Grande. Egli assunse mercenari e ottenne vittorie sugli ottomani conquistando Georgia e Azerbaigian. L'agricoltura era possibile solo con un complesso sistema di irrigazione e la terra era nelle mani dei grandi proprietari. Abbas sviluppò l'agricoltura ma la popolazione rimase fedele all’allevamento. Egli incentivò il commercio fondando nel 1632 sul golfo Persico la città di Bandar-e Abbas. Dopo la sua morte l'impero entrò in declino e perse la Mesopotamia. Nel 1722 fu travolto dall'invasione afghana. Gli afghani, guidati da Nadir Quli, conquistarono l’India ai danni dell’impero Moghul ma nel XVIII secolo la Persia fu contrassegnata da diverse guerre civili. 8.5 L'IMPERO MOGHUL Nel XIII secolo nella parte settentrionale dell’India si era stabilito uno Stato musulmano, il sultanato di Delhi. Dopo un’invasione nel 1398, il sultanato ebbe una fase anarchica. Il processo di riunificazione fu avviato da un capo militare afghano, Babur, che intorno al 1530 conquistò Delhi creando un ampio dominio, il nucleo dell'impero Moghul. | principi locali induisti si opposero alla nascita dell'impero che rimase fragile per qualche tempo. Con Akbar, nipote di Babur, l'impero Moghul si consolidò ed estese il suo controllo a tutta l’India settentrionale ma anche verso l'Afghanistan e il Bengala. Figura 18: Gli imperi extraeuropei. L’impero era estremamente eterogeneo soprattutto in campo religioso. La maggior parte della popolazione era induista. Questo culto non ha fondatore o chiesa, ma è un modo di concepire la vita. La società per l’induismo è divisa in quattro classi: i sacerdoti, i guerrieri-governanti, gli artigiani-mercanti e i servi. AI di sotto delle caste vi erano gli impuri. Un'altra grande fetta di popolazione era legata all’Islam. Altra corrente religiosa era il movimento “sikh” e vi fu anche una penetrazione del cristianesimo. Akbar cercò di superare queste divisioni con una riforma e abolì la tassa prescritta dal Corano per i non musulmani. Fu largamente tollerante e stabilì un nuovo culto cercando di attingere a quelli presenti sul territorio. La riforma mirava a modernizzare l'India ma quando morì andò in fumo. L'impero Moghul ebbe una struttura amministrativa solida con la figura del “faujdar”, comandante militare e amministrativo nelle varie circoscrizioni. Egli aveva competenze militari ed economiche locali. L'economia si fondava su un'agricoltura di sussistenza arretrata. L'impero Moghul fu caratterizzato da un alto livello di civiltà e di cultura. La fine dell'impero Moghul è dovuta all'invasione persiana di Nadir Shah. 8.6 L'AMERICA PRECOLOMBIANA Agli inizi del XVI secolo, quando arrivarono gli spagnoli, in America esistevano civiltà millenarie: Aztechi e Maya nel Messico e nell'America centrale, gli Inca nella regione delle Ande. La base economica era l’agricoltura con il mais e l'artigianato. Anche la patata e i pomodori erano fondamentali. Nelle zone più sviluppate si coltivavano anche fagioli, peperoni e zucche. Nelle zone andine si praticava l'allevamento di lama e alpaca. Queste civiltà però erano ferme all’età della pietra, non conoscevano il ferro e la ruota, ma costruirono grandi opere pubbliche come canali di irrigazione e strade e grandi città. La civiltà dei Maya si distingue per raffinatezza culturale e artistica. Questo popolo raggiunse il massimo splendore tra 200 e 900 d.C. e conosceva la scrittura e la numerazione. | maya furono attenti osservatori del cielo. Quando giunsero gli spagnoli, i Maya erano in declino e frammentati in stati minori. Gli Aztechi invece erano in un periodo positivo perché a partire dal XIV secolo si erano stabiliti definitivamente in Messico. Sotto il regno di Montezuma Il l'impero si allargò notevolmente anche ai danni dei Maya tuttavia non si può parlare di uno Stato unitario, ma di una sorta di federazione di popoli sottomessi che però godevano di un’ampia autonomia. Gli Aztechi sapevano scrivere e la loro struttura sociale era articolata in classi. Al vertice vi erano il re e la nobiltà che avevano vari privilegi ed esenzioni da tributi. Vi erano poi i mercanti, riuniti in corporazioni, e infine i contadini. Vi erano schiavi e servi, ma non erano privi di diritti. Gli Aztechi avevano un grande numero di divinità e i loro dei erano personificazioni delle forze naturali. Gli aztechi vivevano nel terrore degli eventi naturali e frequenti erano i sacrifici anche umani. L’impero inca era il più potente dell’America precolombiana. “Inca” era il titolo del sovrano della città stato di Cuzco in Perù, nucleo originario dell’impero. L'espansione inca si realizzò nel XV secolo giungendo fino all’Ecuador. Occuparono Bolivia, Cile e Argentina. Alla morte del sovrano si scatenò però una guerra civile e in questo scenario arrivarono gli spagnoli. Gli Inca, a differenza degli Aztechi, crearono un impero centralizzato grazie a un’efficiente burocrazia. Il sovrano, di matrice divina, guidava il regno con pochi fidati. Le province erano rette da governatori che amministravano localmente la giustizia. Le terre erano divise in tre parti: una per il culto, una per gli Inca e una per le comunità di base. 9 - UMANESIMO E RINASCIMENTO 9.1 LE ORIGINI DELL’UMANESIMO L’umanesimo è un movimento sviluppatosi in Italia tra Trecento e Quattrocento che persegue un programma di rinnovamento culturale incentrato sui grandi modelli dell'antichità classica nella convinzione di una nuova era di progresso dopo il periodo medioevale di barbari e ignoranza. Gli umanisti trovavano nelle opere greche e latine il modello di formazione dell’uomo. L’umanista era Da questa concezione nacque l’idea di una società armonica e razionale e idealizzata. “Utopia”, opera di Thomas More del 1516, racconta di un’isola perfetta e armoniosa, fondata sulla ragione naturale. L’opera è ispirata alla “Repubblica” di Platone. 9.6 LA NUOVA CONCEZIONE DELLA NATURA Lo sviluppo della scienza moderna fu complesso e tortuoso. La rinascita del sapere condannato dai medievali portò a valorizzare la natura. Nel 1463, Marsilio Ficino curò il “Corpus hermeticum”, una raccolta di scritti filosofici e teologici risalenti al Il secolo d.C. dove erano esposte dottrine risalenti all’antico dio egizio Thot che prendono il nome di “ermetismo”. Questo sapere era occulto, riservato a pochi iniziati attraverso arti magiche. Queste dottrine ebbero un primo piano nella cultura rinascimentale. Altri importanti esponenti furono Keplero, Ruggero Bacone, Cartesio, Leibniz e Copernico che pose al centro del cosmo il sole. Astrologia, chimica e alchimia vennero approfondite, insieme alla matematica. La definitiva frattura tra scienza moderna e teorie magico-alchimiste è data da Newton nel 1687 con i “Principi matematici di filosofia della natura”. Gli umanisti si interessarono anche a geometria, astronomia, geografia e medicina degli autori greci. Niccolò Cusano ipotizzò un universo infinito senza centro che mise in crisi la fisica aristotelica e tolemaica. Cadde la distinzione aristotelica tra mondo sublunare e mondo celeste. Il contributo dell’umanesimo nel processo di affermazione del metodo scientifico va individuato nel rifiuto del principio di autorità. Leonardo da Vinci negava il valore scientifico delle dottrine fondate esclusivamente sull’autorità degli antichi maestri. 9.7 IL PREZZO DELLA MODERNITÀ Se da una parte vi fu un progresso e una rinascita, dall’altra vi fu una profonda insicurezza. La mentalità medievale assegnava a ciascuno il suo posto mentre l’età moderna assegnava responsabilità sconosciute e il crollo di alcune certezze. Vi fu un nuovo rapporto tra uomo e cosmo che non era più chiuso e rassicurante. Venne celebrata la virtù a cui si contrappone la fortuna e il destino avverso, tema ripreso dal Machiavelli. 9.8 ERASMO DA ROTTERDAM Erasmo da Rotterdam nacque nel 1466 e fu il più importante esponente della cultura umanistica cristiana. La sua opera di rinnovamento culturale e religioso si espresse nell’applicazione di un criterio critico in filologia, l’arte più utile di tutte per Erasmo. Egli afferma di non accettare l’autorità degli antichi e dei padri della Chiesa. Erasmo portò a compimento il suo progetto nel 1516 stampando il “Novum instrumentum”, una versione in latino del Nuovo Testamento con annotazioni critiche. L’opera interpretò la Bibbia come un libro storico e pose le basi per la moderna critica biblica. Erasmo infatti si fece promotore di un ritorno alle origini religioso con dei valori semplici e puri con critiche agli eccessi di devozione e ai digiuni. Il suo ideale di vita cristiana si trova espresso nell’”Elogio della follia” del 1511. La follia è intesa nel senso di insensatezza. La follia dimostra nella prima parte che senza di lei nessun aspetto della vita potrebbe esistere perché se gli uomini si lasciassero guidare dalla saggezza sarebbero indotti a non compiere molte azioni. Erasmo, per bocca della follia, afferma che ognuno porta una maschera. Nella seconda parte, l’opera è simile a una satira sferzante nei confronti di tutti: re, nobili, poeti, filosofi, clero, ecc. Tutti ostentano una falsa sapienza che è in realtà follia. La parte conclusiva presenta un parallelo tra platonismo e cristianesimo, concordi nell’interpretare la realtà sulla base di una contrapposizione fra anima e corpo. L'anima, per Platone, è prigioniera del corpo e tende a staccarsene; analogamente, coloro che vivono sforzandosi di seguire Cristo disprezzano le cose terrene. Erasmo svaluta l'aspetto esteriore dei sacramenti evidenziandone l'aspetto razionale. Il sacramento per Erasmo è una cerimonia simbolica attraverso la quale il cristiano si impegna a seguire la strada di Cristo. Questa prospettiva venne ripresa nella Riforma protestante. Il cristianesimo di Erasmo di Rotterdam è un “cristianesimo etico” dove non è importante ciò che si crede, ma come si vive. 10 - LE SCOPERTE GEOGRAFICHE E GLI IMPERI PORTOGHESE E SPAGNOLO 10.1 UNO SGUARDO NUOVO SUL MONDO Alla base delle grandi scoperte geografiche vi furono esigenze economiche dettate dal trovare commerci con le indie e aggiudicarsi le spezie. Un'altra causa è il clima umanistico che pose le basi per la sfericità della Terra e per un'apertura mentale in generale. 10.2 L'ESPLORAZIONE DELL’AFRICA SPEDIZIONI PORTOGHESI P_i CE iosa sfArt — garoimi Dias AMERICA caso teto 1) —— Vascoda Gana veLsUR _/ VE 21 — Alvares Cabral © Meta: Gabo Buena Eoporanzo WWW.PROFUMODIMARE.FORUMF REE.IT Figura 21: Le spedizioni portoghesi. Fu il Portogallo ad avviare, nel XV secolo, dei viaggi esplorativi sistematici in Africa occidentale. | primi approdi erano Ceuta, l’isola di Madera e le Azzorre. Il Portogallo era dipendente dai commerci data la limitata possibilità di sviluppo agricolo. Decisivo fu il ruolo dei principi che finanziarono l’esplorazione e gli studi geografici. Nella prima fase di esplorazione, i portoghesi controllavano i terminali del commercio transahariano garantendosi oro, avorio e schiavi ed esportando tessuti. Essi crearono diversi scali commerciali che trasformarono in basi fortificate. L’importazione aurea serviva a limitare le difficoltà monetarie in patria e ciò avvenne nel 1471 quando approdarono in Ghana, terra molto ricca d’oro tanto da essere chiamata la “Costa d’oro”. Nel XV secolo la Chiesa legittimò queste spedizioni in quanto diffondevano la fede cristiana e concessero ai portoghesi il diritto di sottomettere musulmani e pagani, vietando ad altre potenze di interferire. 10.3 UNA NUOVA VIA PER LE INDIE Alla fine del XV secolo la natura dei viaggi cambiò sotto al regno di Giovanni II. Maturò la convinzione che fosse possibile circumnavigare l'Africa per raggiungere le Indie e ottenere le spezie senza la mediazione veneziana. Questo era vantaggioso perché le spezie erano aumentate di prezzo a causa delle maggiori difficoltà commerciali nel Mediterraneo dovute alla caduta di Costantinopoli. Il primo a tentare l'impresa fu Bartolomeu Dias che nel 1487 doppiò la punta meridionale dell’Africa, Capo di Buona Speranza. 10.4 L'IMPRESA DELLE INDIE DI CRISTOFORO COLOMBO Il genovese Cristoforo Colombo propose al sovrano portoghese di finanziare un viaggio verso Occidente e arrivare in Oriente nella terra di Marco Polo. Bisogna sottolineare che Colombo pensava che la circonferenza terrestre fosse assai minore di quella reale. Giovanni Il rifiutò il finanziamento perché i soldi erano deputati alla cirrumnavigazione africana. Colombo trovò un clima favorevole nella Spagna cattolica. Nel 1492 Colombo fu nominato ammiraglio, viceré e governatore delle terre scoperte. Il finanziamento fu sostenuto dalla corona e da alcuni banchieri. Colombo viaggiò a bordo di due caravella, la Nina e la Pinta, e una “nau”, un veliero più grande, la “Santa Maria”, e salpò da Palos lo stesso anno. Dopo uno scalo alle Canarie, dopo circa un mese secondo i calcoli si sarebbe dovuto vedere il Giappone ma ciò non avvenne e il clima era teso tra l'equipaggio. Tuttavia dopo poco raggiunsero la terra delle Bahamas, l’isola chiamata San Salvador. La spedizione raggiunse anche Cuba e Haiti, detta “Hispaniola”. La Santa Maria però fece naufragio e Colombo tornò con sole due navi giungendo a Lisbona. Tornato in Spagna ricevette un'accoglienza trionfale portando sette indiani piumati con pappagalli e oggetti d’oro. Colombo fece altri tre viaggi con vere flotte nel 1493-1496, 1498-1500 e 1502-1504. Egli scoprì il Costarica, l’Honduras e Panama ma solo nel terzo viaggio scoprì il continente americano. Egli lo Nel 1520 la rivolta azteca costrinse gli spagnoli alla ritirata. Cortes strinse alleanza con la città di Tlaxloco e alla guida di alcuni indigeni cinse d'assedio nuovamente la città. Anche grazie ad un’epidemia di vaiolo, Cortes conquistò Tenochtitlan nel 1521 e sottomise tutto l'impero; sulle rovine della capitale sorse Città del Messico. Nel 1522 Cortes fu nominato capitano generale e governatore dei nuovi territori ma nel 1529 questi titoli decaddero. La caduta dell’impero inca iniziò nel 1522 quando giunsero informazioni su questo impero a Panama. Francisco Pizarro ottenne nel 1529 da Carlo V re di Spagna la nomina a governatore e capitano e partì da Panama nel 1531. L’anno successivo catturò l’imperatore e ottenne un grosso riscatto in oro e nonostante questo uccise l’ostaggio. Nel 1533 Pizarro saccheggiò e prese Cuzco, la capitale dell’impero, segnando la fine degli Inca. Nel 1535 Pizarro fece costruire l'odierna Lima ma si scontrò con Almagro, l’altro conquistadores della spedizione. Almagro fu sconfitto ma nel 1541 suo figlio lo vendicò pugnalando Pizarro. L'ultimo imperatore Inca fu decapitato a Cuzco nel 1572. 10.10 LA DISTRUZIONE DELLE CIVILTÀ PRECOLOMBIANE Molte sono le cause che consentirono a pochi uomini di sottomettere popolazioni più numerose. In una prima fase un impatto notevole ebbe il terrore delle armature, dei cavalli e delle armi da fuoco. Gli spagnoli sfruttarono l’odio verso gli aztechi dei popoli sottomessi. Inoltre, gli europei portarono seco malattie come il vaiolo. Inoltre molti soldati inca ma anche Montezuma non si opposero fermamente in quanto credevano che l’arrivo spagnolo coincidesse con il verificarsi di una profezia. 10.11 L'IMPERO SPAGNOLO Fino alla metà del XVI secolo una schiera di conquistadores partì alla ricerca del mitico “EI Dorado” e la corona spagnola assoggettò un territorio enorme, dalla California e dalla Florida fino al Cile. Questo fu detto “regno delle Indie”: non era una colonia, ma un regno con lo stesso status degli altri sottoposti alla corona spagnola. Nel 1524 al sovrano fu affiancato un Consiglio delle Indie e il regno dipendeva amministrativamente dalla corona di Castilla. Nel 1503 fu costruita la “Casa de contratacion” di Siviglia che regolava i flussi di merci e persone fra madrepatria e nuovo mondo. La struttura amministrativa fu ricreata sulla base della Spagna e furono creati due vicereami, la Nuova Spagna e il Perù. L’amministrazione della giustizia fu affidata a dei tribunali regi, le “audiencias”, con giudici provenienti dalla Spagna. La colonizzazione si realizzò con la fondazione di città che permisero di controllare la popolazione indigena dispersa nelle campagne. L'altra istituzione fondamentale dell’ America fu l’’encomienda”, di matrice feudale. Per indurre la nobiltà a impegnarsi in guerra contro gli arabi, la monarchia promise loro lo sfruttamento dei territori occupati. In America le terre erano proprietà della corona che poteva girarle in usufrutto a un “encomendero”, un colono che poteva esigere dagli indios servizi e tributi in cambio di protezione e istruzione nella fede cattolica. La corona spagnola però evitò la formazione di un modello feudale europeo. Nel 1514 inoltre la corona spagnola autorizzò i matrimoni misti. 10.12 L'ECONOMIA Il motivo delle spedizioni era soprattutto cercare di imporsi sugli indigeni per farli sfruttare la terra. Dopo la caccia all’oro dei primi anni, l'economia fu caratterizzata dall’allevamento di pecore, buoi e cavalli. Minore importanza ebbe l'agricoltura. Furono abbandonati i sistemi di irrigazione e questo ebbe drammatiche conseguenze sulla sopravvivenza degli indios. Dall’Africa venivano importati degli schiavi a causa della rapida estinzione degli indigeni. Dal continente americano furono importati prodotti nuovi come mais, patate, zucchine, pomodori, peperoni, girasoli, ananas, tabacco e cacao. Il Portogallo raggiunse l’obiettivo prefissato mentre la Spagna non raggiunse le Indie e non ottenne tutte queste ricchezze. La situazione però cambiò quando vennero scoperte le miniere d’oro e d’argento in Bolivia nel 1545, nella città di Potosi. Venne sfruttato il lavoro coatto di migliaia di indios in condizioni di lavoro durissime. Il trasporto in Europa dei metalli preziosi fu garantito da galeoni spagnoli scortati che però venivano attaccati da inglesi, francesi e olandesi. 10.13 L’EVANGELIZZAZIONE Fin dall’inizio i portoghesi vollero diffondere il cristianesimo e ben vi riuscirono in Congo. L'espansione portoghese assunee i tratti di una crociata contro l’Islam che stringeva l'Europa dall'Africa e dall'impero ottomano. Anche in America venne diffuso il cristianesimo che però era animato dallo spirito di crociata, propenso cioè all’uso della forza per ottenere la conversione. Il papato legittimò i diritti di Portogallo e Spagna in virtù del loro impegno a diffondere la religione cristiana e questo concesse ai sovrani il pieno controllo delle istituzioni ecclesiastiche nei nuovi territori. Il re nominava i titolari delle diocesi e incamerava la decima dovuta dagli indigeni alla Chiesa. Anche nei nuovi territori vi furono fenomeni di intolleranza analoghi a quelli visti durante la Reconquista. Nel nuovo mondo non potettero recarsi eretici ed ebrei. Gli indios venivano convertiti con battesimi di massa e giunse in America l’Inquisizione. 10.14 L'IMPATTO DELLA SCOPERTA Le esplorazioni geografiche cancellarono la concezione medievale di un blocco di tre continenti. | moderni avevano superato le colonne d'Ercole, confine del mondo antico. | conquistadores dapprima imposero il loro modello ma il confronto con realtà sconosciute fece maturare l'esigenza di una riflessione critica in Europa. Alcuni iniziarono a difendere i diritti degli indios tra cui Bartolomé de Las Casas che entrò nell'ordine domenicano per denunciare le violenze dei conquistadores nella sua “Brevissima relazione della distruzione delle Indie”. Carlo V nel 1542 promulgò delle leggi che equiparavano gli indios agli altri sudditi e riconobbe l’autorità di capi dei villaggi. Carlo ebbe a cuore la sorte dei sudditi americani e trasmise le istruzioni al figlio Filippo. Diversi erano i dibattiti su come fosse opportuno comportarsi con gli indios. 10.15 LA STORIA DELLA CONQUISTA DAL PUNTO DI VISTA DEI VINTI | templi indios furono abbattuti come simboli di idolatria così come furono distrutti i monumenti. La storiografia è rimasta a lungo eurocentrica e solo nell’ultimo periodo ci si è concentrati sugli indios: proprio questo termine è considerato il primo danno alle civiltà precolombiane. 11 - LA RIFORMA PROTESTANTE 11.1 LE PREMESSE Da tempo era viva l'aspirazione a una riforma che ponesse fine alla corruzione della Chiesa. La crisi dello scisma di Occidente, durata dal 1378 al 1417, contrappose fino a tre papi, e fu risolta al concilio di Costanza del 1414 con l’elezione di Martino V. Il ruolo del papato fu messo in discussione a Costanza e poi a Basilea e il concilio si pose in una posizione di superiorità rispetto al pontefice. | papi del Quattrocento si impegnarono a ripristinare la propria autorità attraverso un processo di centralizzazione degli affari ecclesiastici e dell'assegnazione delle cariche clericali. Tuttavia la spregiudicata gestione del potere di Roma provocò un malcontento tra i fedeli in Germania che spesso erano soggetti a uno sfruttamento a causa dell’assenza del potere centrale. Urtava l’attribuzione dei benefici a uomini che incassavano i proventi delle mense vescovili e trascuravano i doveri pastorali. Le critiche al papato condannavano il lusso e la mondanità della curia e vi era un desiderio di rinnovamento spirituale, anche grazie alla cultura umanistica, ispirata al modello evangelico del Nuovo Testamento. Questi orientamenti erano ben espressi da Erasmo, dai contemporanei ritenuto un precursore di Lutero. Insieme ad Erasmo altri riformatori furono Wyclif e Jan Hus. Hus aveva negato il magistero papale e proclamato Cristo il solo capo della Chiesa. Solo il pane venne offerto ai fedeli e anche ai laici venne offerta la comunione. La Riforma luterana ebbe quindi degli antecedenti e poggiò su un terreno fertile e si intrecciò con aspetti politici, economici e sociali. 11.2 LUTERO Martin Luther nacque in Turingia nel 1483 da madre borghese e padre contadino. Egli studiò giurisprudenza e nel 1505 entrò negli eremiti agostiniani e prese il sacerdozio. Scampato per poco alla morte senza essersi confessato, da lì iniziò la sua ossessione per il problema della salvezza dell’uomo. Egli, non ancora influenzato dall’umanesimo, concepiva la vita come una lotta contro il demonio. Studiando le parole di Paolo di Tarso, Lutero giunse a una concezione pessimistica dell’uomo a cui egli negò qualunque ruolo: per la sua natura corrotta a causa del peccato originale, le opere All’influsso di Erasmo fu legata la formazione di Ulrich Zwingli, riformatore della Svizzera tedesca. Nel 1519, egli seguì l'esempio di Lutero e si schierò dalla parte della Riforma rielaborandola. Diverso era il contesto: Zurigo era una città ricca e borghese, governata da un’oligarchia patrizia. Grazie all'appoggio del Consiglio civico egli smantellò l’edificio della Chiesa cattolica ed il vescovo fu esautorato. Zwingli abolì con l'appoggio del Consiglio le immagini sacre e la musica, presentando un tempio austero, nudo e disadorno. Il razionalismo umanistico lo portò a negare ogni presenza reale nell’eucarestia che egli vide solo come una semplice commemorazione. Nel suo operato fu influenzato dall’Elogio della follia di Erasmo. Da Zurigo la Riforma si diffuse in Svizzera, a Berna e Basilea, innescando un conflitto con i tre cantoni rimasti cattolici. Zwingli inoltre si oppose al servizio militare all’estero e per contrastare i cantoni cattolici, il papa e l’imperatore, concepì nel 1529 una lega europea cercando l’accordo con i luterani che però si rivelò impossibile. | cantoni protestanti furono sconfitti da quelli cattolici nella battaglia di Kappel del 1531 dove Zwingli morì. L'espansione della Riforma in Svizzera tedesca si arrestò e proseguì nella Svizzera francese grazie a Calvino che sancì nel 1549 con Heinrich Bullinger un accordo tra Chiesa calvinista di Ginevra e Chiesa svizzera che sanciva l’unione delle due confessioni riformate elvetiche. 11.8 CALVINO Jean Cauvin nacque in Francia nel 1509 da padre notaio. Egli ebbe una formazione umanistica e aderì ai principi della Riforma. Nel 1534 lasciò la Francia per sfuggire alle persecuzioni contro gli eretici di Francesco I. Egli si rifugiò a Basilea dove pubblicò nel 1536 la sua opera principale, la “Institutio religionis christianae”, dove esponeva la sua dottrina. Lasciò Basilea per recarsi a Ferrara e poi a Ginevra dato che la città mirava a sottrarsi al controllo feudale del vescovo. Tuttavia, venne esiliato nel 1538 dal governo cittadino e si recò a Strasburgo. Nel 1541 fu richiamato a Ginevra dove l’oligarchia lo pose come guida per contrastare le mire egemoniche di Berna. Fino al 1564 egli riformò la città. 11.9 LA DOTTRINA DI CALVINO Il pensiero di Calvino è incentrato sull’onnipotenza di Dio. Da questa premessa deriva la “dottrina della doppia predestinazione” che sviluppò a partire dalla riflessione luterana. Secondo tale teoria, Dio crea solo pochi preordinati alla salvezza mentre destina la maggior parte dell’umanità alla perdizione eterna. La giustizia divina sfugge all'uomo ed è insindacabile. | prescelti non hanno alcun merito e i dannati non hanno diritto di lamentarsi. Questa concezione diventa per il calvinista una fonte di energia positiva perché non si ha responsabilità sulla propria salvezza. È inutile essere nel timore del proprio destino perché è immodificabile. La grazia obbliga però il cristiano a vivere nella fiducia che Dio lo abbia scelto. Esistono dei segni presuntivi che possono suggerire il proprio destino benevolo come l'adesione alla Chiesa e l'attuazione della vocazione a cui Dio ci ha destinato. Un rilievo centrale ha il concetto di vocazione infatti. Dio ha stabilito per ciascuno il dovere da compiere e ogni atto che compiamo quindi ha un valore religioso. Si parla infatti di “attivismo calvinista” e di Chiesa calvinista come Chiesa militante, che agisce nel quadro della storia per realizzare i disegni divini. 11.10 L'ETICA PROTESTANTE E LO SPIRITO DEL CAPITALISMO Nel 1920, il sociologo Max Weber affermò che il concetto di vocazione calvinista ha contribuito al sorgere della mentalità capitalistica. Calvino considerò lecito l’interesse sul prestito di produzione o investimento. Non ci sono però indizi negli scritti di Calvino per poter parlare di una teoria economica. L’attivismo calvinista si esplicava sul terreno religioso, come testimonianza e divulgazione della parola di Dio. La tesi di Weber deve essere quindi interpretata sul piano sociologico e non storico: egli individuò un tipo di mercante che considerava il guadagno come una benedizione divina e quindi lo reinvestiva. 11.11 GINEVRA CITTÀ DI DIO Nel 1541, Calvino gettò le basi della sua Chiesa. Egli istituì quattro ordini: i pastori, che erano responsabili della predicazione; i dottori, che dovevano educare e difendere l’ortodossia; i diaconi, che si occupavano di assistere i malati; dodici anziani laici scelti dal Consiglio cittadino, che dovevano vigilare sui distretti della città. Gli anziani e i pastori formavano il Concistoro che controllava casa per casa vita morale e sociale. A differenza di Lutero, Calvino garantì l'indipendenza della Chiesa dallo Stato. A Ginevra non si stabilì una teocrazia quindi e il governo fu sempre nelle mani del Piccolo consiglio, espressione del patriziato. Solo nel 1559 Calvino ottenne lo status di borghese che gli permise di votare nelle elezioni delle magistrature. Egli tuttavia impose una ferrea disciplina che trasformò la città in una “repubblica di santi”: fu proibito il gioco, i balli, il lusso e i comportamenti non consoni. Si parla di “bibliocrazia” perché la legge biblica è posta a fondamento della vita politica, religiosa, economica e sociale della città di Ginevra che nel corso del tempo si identificò con la fede calvinista. 11.12 IL CASO SERVETO Il concetto di Chiesa militante spiega l’intransigenza di Calvino nei confronti dei dissidenti. Miguel Serveto era un medico spagnolo che aveva divulgato posizioni contrarie al dogma calvinista. Di passaggio a Ginevra, fu bruciato vivo nel 1553 per antitrinitarismo. L'episodio suscitò critiche in Europa da parte dei dissidenti calvinisti. 11.13 GEOGRAFIA DELLA RIFORMA La diffusione del luteranesimo fu favorita dal desiderio dei principi di confiscare le proprietà della Chiesa. La guerra dei contadini segnò un’involuzione conservatrice nell’organizzazione della Chiesa luterana che arrestò la sua espansione per il timore di rivolgimenti sociali. Dopo il 1525 il cattolicesimo riguadagnò varie zone toccate dalla Rifora e rimase saldamente in Germania. Carlo V, convinto che il suo ruolo comportasse ripristinare l’unità della cristianità, si impegnò a superare la divisione religiosa. Dopo aver sconfitto la Francia e aver ottenuto il controllo dell’Italia, minacciò alla Dieta di Spira del 1529 di rimettere in vigore gli editti contro i luterani approvati a Worms. Sei principi e 14 città protestarono e l’anno dopo, alla Dieta di Augusta, il collaboratore di Lutero, Filippo Melantone, presentò una versione moderata della teologia luterana, la “Confessio augustiana”. Tuttavia l’intransigenza dei teologi cattolici e dei principi luterani portò alla formazione della lega di Smalcalda, formata dai secondi, e guidata dai duchi di Sassonia (vedi capitolo 13). Il luteranesimo si stabilì anche nell'Europa settentrionale dove nel 1397 si era formata l’unione di Kalmar sotto il dominio danese e comprendeva Danimarca, Norvegia e Svezia. | sovrani vollero confiscare i beni della Chiesa e attribuire le cariche ecclesiastiche, dunque la Riforma era un pretesto favorevole. Nel 1523 la Svezia si sollevò e si rese indipendente costruendo nel 1527 la prima Chiesa protestante nazionale. Nel 1536 il luteranesimo fu proclamata religione di Stato in Danimarca dopo alcune successioni e insurrezioni. Il luteranesimo fu imposto con la forza alla Norvegia e all’Islanda. Dopo il luteranesimo posto sotto la protezione dei principi, toccò al calvinismo penetrare in Germania, in Francia e nei Paesi Bassi. Il calvinismo si ebbe soprattutto però nell’est Europa, in Ungheria, Polonia e Boemia ma anche in Inghilterra. 11.14 LA NASCITA DELLA CHIESA ANGLICANA In Inghilterra, le dottrine di Wyclif non avevano lasciato tracce e l'influenza del luteranesimo fu limitata. In Inghilterra il distacco dalla Chiesa di Roma avvenne per motivi politici. Enrico VIII fondò la Chiesa anglicana nel 1534 con l’Atto di supremazia, soppresse i conventi e introdusse la Bibbia in volgare. Nella seconda metà del Cinquecento, sotto Elisabetta I, si sviluppò una corrente ispirata al calvinismo, il “puritanesimo”. L’anglicanesimo e il puritanesimo verranno esaminate più avanti. 11.15 LA RIFORMA RADICALE La Riforma radicale indica un insieme di gruppi, sette e conventicole che portarono alle estreme conseguenze il principio di un ripristino del cristianesimo evangelico. L’ANABATTISMO Il primo tema sul quale si staccarono le correnti radicali fu il battesimo che avrebbe dovuto essere praticato, secondo la Bibbia, agli adulti. | gruppi che seguirono il testo furono detti “anabattisti”, ossia ribattezzatori, termine improprio perché non ci si battezzava due volte ma una sola da adulti. L’età adulta pone nell’individuo un ingresso consapevole nel mondo cristiano e non si forma una Chiesa ma una setta. La condotta morale era un requisito per entrare in queste ristrette comunità mentre minore importanza si dava alla dottrina. Era un “cristianesimo etico” in linea con Erasmo, che si traduceva in una vita austera, umile e onesta. Essi fecero coincidere Chiesa visibile e invisibile, ponendosi membro della casata. Alessandro VI si impegnò per erigere uno stato per Cesare Borgia per esempio. 12.1.3 SVILUPPI DELLA CIVILTÀ COMUNALE Nell’Italia centro-settentrionale il modello comunale era stato superato con l’esclusione delle classi popolari dalla partecipazione politica a favore di oligarchie composte da mercanti, banchieri e nobili. Dal XIII secolo il controllo delle città fu assunto da un signore, spesso straniero, che lo trasmise agli eredi, creando delle dinastie. La signoria si trasformò in principato e i titoli di duca, conte o marchese venivano concessi o dal papa o dall'imperatore. Si superò nel Quattrocento anche la tendenza alla frantumazione territoriale tipica dei comuni. Solo poche città mantennero gli ordinamenti repubblicani e sorsero invece molti principati. Altri stati avevano origine feudale come i possessi dei Savoia che nel 1416 ottenne titolo ducale e creò uno Stato culturalmente più vicino alla Francia che all’Italia. Solo nel XV secolo la capitale sarebbe stata spostata da Chambery a Torino. 12.1.41L DUCATO DI MILANO Lo Stato di Milano comprendeva nove province tra odierna Lombardia e Piemonte. Il titolo di duca, conferito dall'imperatore, passò nel XV secolo dai Visconti a Francesco Sforza, importante condottiero. Lo Stato milanese era uno snodo strategico per il controllo dei passi alpini che erano importanti per ottenere la supremazia europea. 12.1.5 LA REPUBBLICA DI FIRENZE Firenze nel XIV secolo superò la fase comunale in favore di un’oligarchia. Si espanse verso Pisa e Livorno. Nel XV secolo l'egemonia passò alla famiglia di banchieri dei medici. Cosimo il vecchio instaurò una signoria garantendosi il controllo delle magistrature repubblicane. L’opera fu proseguita dal nipote Lorenzo il Magnifico, promotore della cultura umanistica e rinascimentale. Nel 1492 egli morì e la signoria fu messa a dura prova sia dal popolo, a cui mancava la repubblica, sia dalle altre famiglie oligarche escluse dal potere. 12.1.6 LA REPUBBLICA DI VENEZIA Venezia conservò ancora formalmente la repubblica ma grazie a una serie di leggi, la “serrata del maggior consiglio”, ciò cambiò di fatto. Questi provvedimenti stabilirono che il Maggior consiglio sarebbe stato composto da maschi adulti delle famiglie che ne facevano parte a quel tempo o in passato. Queste famiglie quindi diedero vita a un patriziato, un governo ereditario chiuso. Il Maggior consiglio eleggeva tutte le principali cariche dello Stato e delegava funzioni politiche e giudiziarie ad organi più ristretti formati dagli stessi membri come il Senato. Le magistrature erano temporanee e collegiali con l'eccezione del Doge, capo simbolico dello Stato ma privo di poteri. Nel Quattrocento Venezia si espanse arrivando fino a Bergamo e Crema sulla terraferma mentre sul mare arrivò in Istria e Dalmazia toccando il suo periodo di massimo splendore. 12.2 L’AVVENTURA DI CARLO VIII Il precario equilibrio politico fu rotto dal re di Francia Carlo VIII che fece valere i diritti sul regno di Napoli della casa di Angiò, domini acquisiti nel 1481. Carlo VIII si garantì la neutralità della Spagna e di Massimiliano l in cambio di alcune cessioni territoriali. Fu sostenuto dal duca di Milano Ludovico il Moro. Carlo VIII scese in Italia con un forte esercito dotato di artiglieria. Passò da Milano e poi da Firenze, dove Piero dei Medici gli consegnò le chiavi delle piazzeforti dello Stato in cambio dell’incolumità: questa decisione fece ribellare il popolo e Piero fuggì e si instaurò una repubblica. Ruolo decisivo in questi eventi lo ebbe il frate domenicano Girolamo Savonarola, che predicava l’Apocalisse a causa della corruzione della Chiesa e attaccò il papa simoniaco, Alessandro VI. Con Carlo VIII sembrò realizzarsi la punizione annunciata da Savonarola che divenne punto di riferimento a Firenze che si modellò sul volere del frate. Egli fu tuttavia scomunicato dal papa e condannato al rogo nel 1498. La repubblica fiorentina resistette fino al 1512. Carlo VIII scese poi a Roma dove si accordò con il papa e conquistò Napoli senza combattere. Il re di Napoli Alfonso di Aragona abdicò in favore del figlio Ferdinando Il che fuggì ad Ischia, mentre Carlo VIII nel 1495 entrava a Napoli ricevuto dai baroni antiaragonesi. Gli Stati italiani, anche Ludovico il Moro, realizzarono che l'insediamento francese a Napoli era una minaccia. Si formò una lega formata da Venezia, Milano, il papa, Ferdinando Il e Massimiliano I. Colto di sorpresa Carlo VIII abbandonò Napoli e risalì la penisola. Si scontrò con le forze della lega a Fornovo nel 1495 e riuscì a fuggire. Il regno di Napoli tornò aragonese: l’avventura di Carlo VIII ebbe come unica conseguenza la nascita della repubblica fiorentina, sostenuta dai francesi, ma dimostrò la debolezza politica italiana. 12.3 IL DUCATO DI MILANO AL CENTRO DELLA CONTESA Carlo VIII morì nel 1498 senza lasciare eredi. La corona francese passò al cugino Luigi XII che riprese i progetti italiani di Carlo putando alla conquista di Milano poiché era discendente dei Visconti. Egli si accordò con Venezia, Confederazione elvetica e papa Alessandro VI; Ludovico il Moro si rifugiò presso Massimiliano d'Asburgo e provò a riconquistare il suo Stato ma fu sconfitto a Novara nel 1500. Luigi XII conquistò così Milano. Dopodiché, egli si volse verso Napoli. Si accordò con il re di Spagna nel trattato segreto di Granada del 1500 che prevedeva la spartizione del meridione tra Spagna e Francia. Federico III, re di Napoli, fu colto di sorpresa e cedette senza combattere. Alla Francia andarono Campania, Abruzzo e il titolo di re di Napoli: alla Spagna andarono Calabria, Puglia e Sicilia. Presto scoppiò un conflitto che si volse a favore della Spagna e nella battaglia del Garigliano, nel 1503, Luigi XII fu sonoramente sconfitto. Nell’armistizio di Lione del 1504 si sancì l'esclusiva appartenenza del regno di Napoli alla Spagna. 12.4 L’AVVENTURA DI CESARE BORGIA Alessandro VI, con l'appoggio francese, cercò di creare uno Stato per il figlio Cesare Borgia. Questi fu nominato cardinale ma lasciò l’incarico per creare un dominio fra la Romagna e le Marche eliminando signorotti locali di quelle zone. Egli fu preso a modello da Machiavelli nella descrizione della figura del principe. Cesare Borgia consolidò il dominio papale laddove l'autorità era prima di fatto solo nominale. La morte improvvisa di Alessandro VI però pose fine all'impresa perché fu eletto Giulio II, nemico di Cesare Borgia. 12.5 LA LEGA ANTI-VENEZIANA Giulio Il cercò di ricondurre tutto il territorio dello Stato sotto il controllo romano arrivando a Perugia e Bologna. Si urtò con lo Stato veneziano, da molti odiato per la sua forza e il suo efferato espansionismo. Nella lega di Cambrai organizzata da Giulio Il entrarono Ferdinando il cattolico, Luigi XII e Massimiliano I. Nel 1509 le truppe francesi sconfissero i veneziani ad Agnadello. Tutte le conquiste in terraferma di Venezia furono perdute e la città stessa venne minacciata. Tuttavia, con un’abile azione diplomatica, Venezia fece leva sui contrasti tra papa e Francia e così si salvò, pur avendo terminato ogni possibilità espansionistica. Da quel momento Venezia assunse un atteggiamento esclusivamente difensivo. 12.6 “FUORI | BARBARI!” Ripristinato il potere, Giulio Il volle riprendersi Ferrara, sostenuta dalla Francia. Egli cercò un accordo con la Confederazione svizzera contro Luigi XII. Il papa creò una coalizione contro la Francia che comprendeva Svizzera, Venezia, Ferdinando e il re d'Inghilterra. La giustificazione fu “fuori i barbari”. La Francia sconfisse dapprima le forze alleate a Ravenna nel 1512 ma l’arrivo svizzero costrinse Luigi XII ad abbandonare Milano dove rientrò il figlio di Ludovico il Moro, Massimiliano. La sconfitta francese segnò la fine della prima repubblica fiorentina, da sempre mantenuta dalla Francia. Nel 1513 Machiavelli prendeva atto della crisi del sistema politico italiano e del modello repubblicano. 12.7 LA CONCLUSIONE DELLA PRIMA FASE DELLE GUERRE D’ITALIA Nel 1515 morì senza eredi Luigi XII e al trono salì Francesco I. Il sovrano scese in Italia e affrontò a Melegnano le truppe di Spagna, impero e ducato di Milano. La battaglia fu vinta dal monarca francese e diede inizio al declino svizzero. La Francia rioccupò Milano e stipulò un contratto di pace con gli svizzeri. L’equilibrio raggiunto fu sancito con la pace di Noyon del 1516 che lasciava i francesi a Milano e gli spagnoli a Napoli. 12.8 CARLO V NI I REGNO. ET] impero di Cato v D' io) a Gobi, confini del Sacro Imperò. % Roman germanico Atlantico di Oceano Atlantico Verano Mare Mediterraneo «gf Tunisi® Figura 23: L'impero di Carlo V. 13.2 LA SVOLTA DEL 1530 Gattinara morì nel 1530. Da quell’anno, Carlo V non si occupò dei problemi specifici nei territori, ma gestì una strategia generale. Nel 1531 egli fece eleggere re dei romani il fratello Ferdinando per candidarlo alla successione imperiale. Egli fu circondato da comandanti e consiglieri perlopiù spagnoli e divenne, dopo Gattinara, il cancelliere di se stesso. Con la pace delle due dame, il conflitto franco-asburgico raggiunse un punto di equilibrio che non poteva essere modificato. Il predominio spagnolo nella penisola sarebbe stato sancito nella pace di Cateau Cambrésis del 1559 e la centralità dell’Italia diminuì nei pensieri universali di Carlo V. Egli infatti doveva occuparsi delle sortite ottomane ma anche dei possedimenti americani e della riforma luterana. 13.3 GLI OTTOMANI ALLE PORTE DI VIENNA Dal 1520, gli Asburgo dovevano fronteggiare la minaccia ottomana che premeva sullo Stato cuscinetto del regno cristiano di Ungheria. Nel 1526, Solimano il Magnifico passò il Danubio e sconfisse gli Ungheresi. Ferdinando rivendicò i territori del re di Ungheria e Boemia, suo cognato, ma la sua successione fu ostacolata. L'esercito turco avanzò e nel 1529 giunse a Vienna ma le difficoltà logistiche dell’impresa, troppo lontana dal territorio d’origine, indussero Solimano a firmare la pace nel 1533. Ferdinando e Solimano si spartirono l'Ungheria. Nel 1540 il conflitto si riaprì e il sultano occupò il territorio ungherese. Questa situazione si protrasse fino al 1562 quando Ferdinando e Solimano firmarono un nuovo trattato. | domini asburgici si trovavano a diretto contatto con l'impero ottomano e l'impero asburgico divenne l’avamposto cristiano davanti alla minaccia islamica. 13.4 LA LOTTA CONTRO I TURCHI NEL MEDITERRANEO Il problema turco si poneva anche nel Mediterraneo, dove i paesi berberi dell’Africa settentrionale, soggetti all’autorità del sultano, devastavano le coste spagnole e italiche e assalivano le navi cristiane. Ferdinando il cattolico cercò di contrastare queste iniziative ma nel 1535 Francesco I strinse u’ alleanza con il sultano cercando di riaprire la questione italiana. Carlo V allora scese di persona in Africa e conquistò Tunisi. Vi erano però divergenze tra gli alleati: Venezia voleva difendere solo i propri commerci mentre Carlo V voleva salvaguardare il Mediterraneo occidentale. Nel 1538, nella battaglia di Prevesa, gli alleati persero contro i Turchi. Un ultimo tentativo fallimentare fu fatto nel 1541 quando Carlo V provò a conquistare Algeri. Fino alla battaglia di Lepanto del 1571 le potenze cristiane non furono in grado di contrastare gli ottomani. 13.5 LA RIPRESA DELLA GUERRA FRANCO-IMPERIALE Nel 1535, alla morte di Francesco Il Sforza, Carlo V occupò lo Stato di Milano. Francesco | penetrò però in Savoia e nel 1536 occupò Torino. Carlo V attaccò la Provenza e i Paesi Bassi. Nessun evento fu risolutivo e nel 1538 la pace di Nizza segnò una tregua di dieci anni. Nel 1542 però Francesco | riprese le ostilità ma senza successo. Carlo V invece ampliò i suoi domini nei Paesi Bassi. Nel 1544 venne firmata la pace di Crepy che ribadiva lo status quo. Si provò ad attuare una politica matrimoniale che aveva come obiettivo la pacificazione francese ma il figlio di Francesco | morì precocemente. 13.6 OPPOSIZIONI AL PREDOMINIO SPAGNOLO NELLA PENISOLA Nei confronti del predominio spagnolo si manifestarono tentativi di congiure. Nel 1537, a Firenze, il duca Alessandro fu assassinato e Cosimo I avviò lo Stato verso il principato, ricevendo l’incarico di duca di Firenze da Carlo V. Carlo dovette fare i conti anche con papa Paolo IIl Farnese che volle limitare l'egemonia spagnola nella penisola. Egli mercanteggiò il sostegno all'imperatore in cambio della creazione di uno stato per la sua famiglia. Carlo V aveva bisogno della sua alleanza e questo permise a Paolo III di condurre una politica apparentemente indipendente. Un altro focolaio di resistenza fu Siena dove la popolazione scacciò il presidio spagnolo e si pose sotto la protezione francese. 13.7 IL PROBLEMA PROTESTANTE La formazione della lega di Smalcalda aveva posto il partito protestante come una forza politica e militare. Carlo V ottenne l’aiuto di Clemente VII e rinnovò le pressioni su papa Paolo III. Carlo, cercando di evitare l’uso delle armi, puntò su una serie di incontri tra luterani e cattolici ma non ebbe risultati. Dopo la pace di Crepy decise di passare all’azione e posse guerra alla lega di Smalcalda e la sconfisse nel 1547 a Mulnberg. Carlo V convocò quindi una Dieta ad Augusta e impose l’”interim”, ossia una regolamentazione provvisoria delle relazioni tra cattolici e luterani in attesa del concilio di Trento. 13.8 IL FALLIMENTO DELLA PACIFICAZIONE RELIGIOSA Il concilio di Trento però approvò decreti che chiudevano la porta al dialogo con i protestanti. Carlo V provò a riformale la costituzione in senso federale con leve regolari e tributi fissi, ma trovò l'opposizione della maggioranza. Carlo V non riuscì a compiere il suo piano politico. | principi protestanti si riorganizzarono e nel 1551 realizzarono un accordo segreto con il nuovo re di Francia, Enrico II, promettendogli diversi vescovati in cambio del suo appoggio. L'offensiva colse di sorpresa Carlo V che diede incarico al fratello Ferdinando di negoziare un compromesso che arrivò nel 1555 con la pace di Augusta, che segnò l'avvenuta rottura dell’unità cristiana. Fu concessa la libertà religiosa solo agli ordini dell'impero e non ai sudditi: spettava al sovrano scegliere la religione, cattolica o luterana (non calvinista). 13.9 LE ABDICAZIONI Sul piano militare si arrivò a una situazione di stallo. | francesi rimasero insediati in Savoia e in Piemonte. Nessuno dei due contendenti, per mancanza di denaro, poteva ottenere risultati significativi e concordarono nel 1556 una tregua di cinque anni a Vaucelles. Già a questa data Carlo pensava di rinunciare al potere. L’anno prima aveva abdicato alla sovranità dei Paesi bassi e l’anno della tregua lasciò la corona di Castilla e Aragona al figlio Filippo II. Carlo girò la dignità imperiale al fratello Ferdinando. Morì in Spagna, nel 1558. 13.10 LA PERSONALITÀ DI CARLO V Carlo V presenta una personalità molto complessa. Egli adottò il motto “plus ultra” per simboleggiare le sue ambizioni di impero universale, lotta agli infedeli e l'estensione dei suoi domini. Carlo fu animato da un sincero sentimento religioso dovuto al suo precettore Adriano di Utrecht. Egli era taciturno e la decisione finale la prendeva sempre da solo. Fu una persona estremamente introversa. 13.11 L'IMPERO DI CARLO V NELLA STORIA D'EUROPA In un discorso del 1536, Carlo respinse le accuse di voler essere il monarca del mondo e ribadì che intendeva solo combattere gli infedeli e che era stato Francesco | a infrangere il codice cavalleresco. Nella storiografia, ad alcuni è parsa decisiva l'impronta laica e umanistica dell’impero 14.9 IL CONCILIO DI TRENTO Nel 1545 si aprì il concilio di Trento indetto da Paolo III. Avevano il diritto di voto i vescovi e i generali degli ordini mendicanti. Alla prima sessione era presente una rappresentanza italiana e basta e Carlo V suggerì di non trattare per prime le questioni teologiche cercando di promuovere innovazioni morali. Questa linea era condivisa da alcuni ma fu sconfitta: il concilio decise di affrontare le questioni teologiche subito. Nel 1547, con la condanna del principio della giustificazione per sola fede, venne chiusa la porta ad ogni dialogo. In quell’anno il concilio di spostò a Bologna inasprendo i rapporti tra papa e Carlo V. Il papa morì nel 1549 e il concilio si riaprì a Trento nel 1551 con Papa Giulio Ill ma fu sospeso a causa della guerra. Nel 1555 la situazione cambiò con papa Paolo IV, fortemente antispagnolo. Egli era favorevole a una dura oppressione dell’eresia e non riconvocò il concilio. Perseguì una politica di accentramento fondata sulla centralità dell’Inquisizione. Nel 1559 promulgò il primo Indice dei libri proibiti, che comprendeva anche le opere di Erasmo. La morte di Paolo IV fu accolta con gioia dalla popolazione romana e il suo successore, Pio IV Medici, riconvocò il concilio nel 1562. Nella prima fase del concilio vennero condannate le dottrine protestanti e sul piano dogmatico non vi furono cambiamenti nella dottrina cattolica. Il concilio però provvide a un rinnovamento morale della compagine ecclesiastica. Furono istituiti dei seminari per il clero e l'obbligo della registrazione di battesimi e matrimoni. Un ruolo centrale fu affidato ai vescovi che non potevano cumulare benefici e dovevano risiedere nella diocesi di cui dovevano fornire rendiconti a Roma periodicamente. 14.10 L'AFFERMAZIONE DELL’ASSOLUTISMO PAPALE La scelta di Trento volle essere una soluzione di compromesso rispetto a chi chiedeva un concilio non sottoposto all’autorità romana. Tuttavia, di fatto, il papa mantenne crazie ai cardinali uno stretto controllo. Fu creata la Congregazione del concilio che si riservò ogni decisione riguardo l’interpretazione e l’attuazione dei decreti del concilio. La Chiesa di Roma uscì con una struttura verticistica e gerarchizzata, dove il papa era il monarca assoluto. 14.11 LA RIORGANIZZAZIONE DELLO STATO DELLA CHIESA Gli organi centrali della curia furono riorganizzati successivamente per aumentare il centralismo papale. Il Concistoro fu progressivamente privato della sua funzione di organo supremo del governo della Chiesa. AI suo posto furono poste le congregazioni cardinalizie dipendenti dal papa dedicate a Indice dei libri, Inquisizione, concili, Università, acque e strade, ecc. Il cardinale era posto al vertice della gerarchia e dell’amministrazione statale e si trasformò in un burocrate. Lo Stato della Chiesa si dotò di una burocrazia volta ad amministrate i problemi temporali e spirituali. Il papato acquisì notevole prestigio e nel 1582 venne effettuata la riforma del calendario da papa Gregorio XIII. Tuttavia, l’orbita di azione della Chiesa rimase confinata nella penisola e il peso internazionale del papato andò declinando tanto che non fu coinvolto nella pace di Vestfalia. 14.12 LA FIGURA DEL VESCOVO La figura del vescovo è ben simboleggiata da Carlo Borromeo. Egli abbandonò la curia per diventare arcivescovo di Milano, dove diede grande prova di rigore morale nella guida dei fedeli ma fu altrettanto intransigente con gli eretici. Egli non esitò a scontrarsi con le autorità politiche. Il centralismo papale però impedì una piena realizzazione della figura del vescovo ed esercitò un controllo sulle diocesi. | vescovi quindi venivano controllati e spazio veniva loro tolto dagli ordini regolari di francescani e domenicani a cui era affidata la predicazione. Spesso il ruolo del vescovo era ridotto ad esecutore delle direttive della curia. 14.13 LA CHIESA POSTRIDENTINA Nel Cinquecento si determinò una profonda evoluzione della spiritualità. Il sacramento della confessione fu la risposta cattolica alla riforma a livello spirituale. Essa nel Medioevo era solo un rito collettivo, mentre nell’età moderna divenne individuale. Si affermò una religiosità più consapevole e cambiò il modo di vivere l’eucaristia: nacque la pratica della comunione frequente. Tuttavia, dietro alla confessione vi era anche un modo della Chiesa per controllare l'umore del popolo e dietro al confessore vi era l'ombra dell’Inquisizione. Dunque, la confessione aveva il duplice ruolo di consolazione e di controllo. 14.14 L'OPERA DELL’INQUISIZIONE L’Inquisizione fu uno strumento di potere creato da Paolo IV e perfezionato da Sisto V. Attraverso l’Inquisizione, l’ala intransigente della curia promosse una lotta con i riformatori. La sconfitta degli ambienti favorevoli a un ritorno evangelico segnò il clima della Controriforma. L’Inquisizione fu un'istituzione italiana, presente su tutta la penisola. L'obiettivo primario era l’abiura dell’inquisito o la sua condanna a morte. L’Inquisizione ebbe successo nell’estirpare gli eretici. Nel 1551 fu distrutta la rete anabattista dell’Italia centro-settentrionale. La lotta all’eresia culminò con Pio V che sterminò i valdesi e durante il suo pontificato la frequenza dei roghi fu altissima. 14.15 GLI ERETICI ITALIANI Molti eretici aderivano alle nuove chiese generate dalla Riforma. Tuttavia, in Italia, l'eresia assunse caratteri specifici, quasi un’eresia rispetto a tutte le chiese, in quanto critica di ogni forma confessionale. Alla radice di questo fenomeno vi è un forte legame con la tradizione umanista. Bernardino Ochino, dopo la fuga verso Calvino, si scontrò con la rigorosa ortodossia elvetica e dovette lasciare Zurigo. 14.16 IL DISCIPLINAMENTO DELLA SOCIETÀ Dal 1580, la Congregazione rivolse la sua attenzione verso bestemmie, rispetto del digiuno e la sfera sessuale, inoltre combatté la stregoneria. La caccia alla stregoneria interessò molte zone dell'Europa e fu condotta anche dalle autorità laiche. L’Inquisizione si trovò di fronte al persistere di elementi pagani e magici. Questa lotta faceva parte di un più ampio programma di indottrinamento delle masse tramite predicazioni e catechismi. Sul piano intellettuale, l'Inquisizione difese la Scolastica aristotelica e combatté l'eredità umanistica. Emblematiche sono le vicende di Giordano Bruno e di Galileo Galilei. Attraverso l’Indice dei libri proibiti l'autorità ecclesiastica colpì gli scritti ereticali e controllò ogni opera stampata. Gravida di conseguenze fu l’opposizione alla circolazione della Bibbia in volgare perché faceva venire meno la mediazione del clero. 14.17 IL CONCILIO DI TRENTO NELLA STORIA Hubert Jedin ha definito gli aspetti della Riforma cattolica come dei rigagnoli che non riuscirono a creare un fiume. | provvedimenti persero la forza iniziale a causa dell'assetto centralistico della Chiesa. Il concilio di Trento fu l’ultimo grande concilio della Chiesa prima del Vaticano secondo. Il mondo cattolico ne fu segnato e si può parlare di Chiesa post-tridentina. Il concilio fu proprio uno spartiacque. 15 - L’ETÀ DI FILIPPO II 15.1 CONSEGUENZE POLITICHE DELLA CONTRORIFORMA L’affermazione del primato del papa pose agli Stati il problema di difendere l'autonomia delle Chiese nazionali e le loro prerogative religiose. L'accettazione dei decreti ebbero difficoltà, soprattutto in Spagna e in Francia, la quale non accettò formalmente la bolla. 15.2 ESPANSIONE DELLA RIFORMA PROTESTANTE Dopo la pace di Augusta, il luteranesimo lasciò l'espansione in favore del calvinismo. In Germania i calvinisti erano detti “riformati” mentre i luterani erano gli “evangelici”. Una penetrazione del calvinismo si ebbe in Polonia e Boemia. In Scozia venne adottato come religione nazionale e la regina cattolica Mary Stuart fuggì in Inghilterra. 15.3 LA CHIESA ANGLICANA ASSUME UN’IMPRONTA PROTESTANTE Il distacco inglese da Roma era stato originato da cause politiche. Il re Enrico VIII, uomo esuberante e impulsivo, desiderava avere un erede maschio che la moglie Caterina di Aragona non riusciva a dargli. Inoltre, aderendo alla lega di Cognac, si pose contro Carlo V e la Spagna. Alla sua richiesta di annullamento del matrimonio, il papa Clemente VII, legato alla Spagna, rifiutò. Enrico VIII allora fece votare dal Parlamento provvedimenti che nel 1534 ruppero con la Chiesa di Roma e si formò la Chiesa anglicana. Enrico ottenne un tribunale ecclesiastico che annullò il matrimonio e si sposò con Anna Bolena. Il distacco inglese fu uno scisma senza eresia: sul piano dottrinale e liturgico non cambiò nulla. In pratica i vescovi, con a capo l'arcivescovo di Canterbury, riconobbero come capo della Chiesa il re La reggente fu obbligata a sospendere il tribunale e approfittando di ciò i calvinisti devastarono le città cattoliche. Filippo Il inviò delle truppe per sedare la rivolta di Guglielmo di Orange, fuggito in Germania. | ribelli resistettero fino al 1572. 15.12 LE GUERRE DI RELIGIONE IN FRANCIA La morte di Enrico Il nel 1559 aprì un periodo di debolezza monarchica e religiosa. Da tempo si erano formate comunità calviniste, gli “ugonotti”. | calvinisti si erano dati una solida organizzazione e nel 1559 celebrarono clandestinamente un sinodo. Il calvinismo attecchì nelle grandi città nel ceto commerciante ed artigiano, ma anche nell’alta aristocrazia. La religione riformata fu un’occasione per la nobiltà di approfittare della debolezza della monarchia per riconquistare spazi politici. A Enrico Il successe il figlio Francesco II, sposato con Mary Stuart, futura regina di Scozia. Egli morì però dopo un anno e salì al potere la madre Caterina dei Medici. Ella desiderava riaccentrare il potere monarchico e concesse ai calvinisti il culto privato entro le mura urbane e quello pubblico fuori dalle città. Ciò fece scatenare una violenta reazione cattolica che culminò nel massacro di Vassy, dove furono uccisi molti ugonotti, e quella fu il primo episodio delle guerre di religione che durarono dal 1562 al 1592 e di svolsero in otto fasi. Caterina fu molto pragmatica e cercò di districarsi nella spinosa situazione politica. Fece molte concessioni agli ugonotti e rafforzò il partito protestante. Tuttavia, non trascurò il potente ducato cattolico del Guisa e chiuse un occhio quando i membri del ducato di Guisa sterminarono nella notte di San Bartolomeo migliaia di ugonotti. L’episodio più tragico delle guerre di religione provocò una radicalizzazione delle posizioni. Si affermarono le teorie dei “monarcomachi”, che giustificavano l'uccisione dei monarchi che opprimevano la vita religiosa dei sudditi. Gli ugonotti si erano organizzati come uno stato nello stato, con una propria milizia e piazzeforti. | cattolici si unirono in una lega santa capeggiata dal duca di Guisa. La monarchia era turbolenta e Caterina fu accusata di aver fatto il doppio gioco. Tuttavia si sviluppò anche un partito pacifico, dei “politiques”, formato da cattolici moderati. 15.13 L'INGHILTERRA DI ELISABETTA I Elisabetta mirò a consolidare il suo potere fragile poiché non era nata da un matrimonio riconosciuto dalla Chiesa romana. Nel 1568, Mary Stuart, regina di Scozia, fu dichiarata decaduta dal trono scozzese dalla nobiltà calvinista e si rifugiò in Inghilterra dalla cugina Elisabetta. L'ex regina era la pretendente cattolica alla corona inglese e fu tenuta d’occhio. Elisabetta si legò quindi al campo protestante, il solo che la legittimava. Ella però fu cauta ed evitò di farsi coinvolgere in conflitti. Dal 1570, iniziò una politica più dura nei confronti dei cattolici dopo essere stata scomunicata da Papa Pio V. 15.14 L'INDIPENDENZA DELLE PROVINCE UNITE La rivolta dei Paesi Bassi e la lotta calvinista in Francia diventarono problemi internazionali. | successi di Filippo Il contro gli olandesi e la strage della notte di San Bartolomeo posero i cattolici in vantaggio. Ma i costi enormi sostenuti dalla Spagna portarono Filippo Il a una nuova bancarotta: le truppe spagnole, non pagate, si ammutinarono e saccheggiarono Anversa. Questi episodi provocarono un malcontento nelle province meridionali che chiesero il ripristino delle autonomie. La protesta accomunava protestanti e cattolici ma a causa di alcuni dissidi le province meridionali tornarono sotto Filippo Il con l'unione di Arras del 1579. Rimasero invece ostili alla Spagna le province settentrionali olandesi che si unirono nell’unione di Utrecht e si dichiararono formalmente indipendenti nel 1581. Si realizzò la separazione dalle province meridionali, l’odierno Belgio, rimaste fedeli alla Spagna. | calvinisti migrarono verso nord, i cattolici verso sud. Filippo Il non aveva più la possibilità di riconquistare i territori ma solo alla fine della guerra dei Trent'anni riconobbe l'indipendenza delle Province unite. La lotta per sottrarsi al dominio spagnolo è chiamata anche la guerra degli Ottanta anni. 15.15 LA FINE DELLE GUERRE DI RELIGIONE IN FRANCIA Nel 1574 salì al potere Enrico III e nel 1584 il suo erede divenne Enrico di Borbone, capo del partito calvinista. Si aprì l’ultima fase delle guerre religiose, la guerra dei tre Enrichi: Enrico III, Enrico di Guisa ed Enrico di Borbone. Enrico III decise di liberarsi della lega di Guisa, sostenuta dalla Spagna, e fece assassinare il duca di Guisa. Si alleò con Enrico di Borbone e nel 1589 assediò Parigi, schierata con la lega. Tuttavia, in quell’anno, fu assassinato e indicò come successore Enrico di Borbone, che prese il nome di Enrico IV. La presenza di un sovrano calvinista era una novità. Il paese era stanco della guerra civile per cui acquistò credito la posizione moderata dei politiques. Enrico si pose quindi non come il capo calvinista ma come il difensore del regno contro la Spagna. Egli si convertì al cattolicesimo nel 1594 creando le condizioni per la fine della guerra civile. Enrico, finite le guerre, respinse gli spagnoli e stipulò nel 1598 la pace di Vervins che ribadiva le clausole di Cateau Cambrésis. Nello stesso anno, il re emanò l’Editto di Nantes che pose fine alle guerre. Il cattolicesimo rimase religione di Stato ma i calvinisti furono lasciati liberi e agli ugonotti venne riconosciuto il possesso delle piazzeforti. 15.16 L’INVINCIBILE ARMATA Il sostegno di Elisabetta ai ribelli olandesi e agli ugonotti creò una tensione con Filippo Il che invano tentò un matrimonio con la regina. Elisabetta rifiutò infatti tutti i pretendenti e si dedicò a trasformare l’agricoltura, le attività manifatturiere e pose le basi per la marina inglese. Altro motivo di conflitto con la Spagna era il sostegno di Elisabetta nella guerra di corsa contro le navi spagnole. Nel 1587, Elisabetta condannò a morte Mary Stuart, accusata di tradimento. Filippo Il allora attaccò l’Inghilterra con una flotta e un esercito assai numeroso, l’invincibile armata. Tuttavia la flotta fu dispersa da una tempesta e attaccata dalle veloci navi inglesi. L'attacco fallì miseramente. 15.17 IL DECLINO DELLA SPAGNA: CRISI FINANZIARIE E DIFFICOLTÀ DELL'ECONOMIA L’indipendenza delle Province unite, l'affermazione della monarchia di Enrico IV in Francia e il fallimento dell'attacco in Inghilterra resero evidente i mancati obiettivi di Filippo II. Rimase il problema del separatismo dei regni di Aragona e Catalogna. Nel 1591 Filippo Il represse con la forza una rivolta della nobiltà in Aragona. Grave era la situazione finanziare, tartassata da continue bancarotte. L’afflusso di metalli era già impegnato per pagare i prestiti e pesavano le negative condizioni dell'economia. L'agricoltura era limitata dall’allevamento ed era controllata dall’alta nobiltà che non soddisfaceva la domanda di cereali. Il debito pubblico era alle stelle e una serie di carestie e pestilenze diede il colpo di grazia. Quando Filippo Il morì nel 1598, in molti ambienti castigliani apparve chiaro che la Spagna imperiale era terminata. 16 - LA GUERRA DEI TRENT'ANNI 16.1 LE PREMESSE La pace di Augusta del 1555 e l’editto di Nantes del 1598 erano concepiti come tregue temporanee. Si era preso atto della necessità di tenere distinti gli assetti politici e religiosi, ma restò la convinzione che non fosse possibile l’unità politica senza quella di fede. Le forze cattoliche volevano inoltre riconquistare gli spazi perduti. Furono queste le premesse dell’ultima guerra di religione, la guerra dei Trent'anni. 16.2 LA FRANCIA DA ENRICO IV AL CARDINALE RICHELIEU Pacificata la Francia, Enrico IV la ricostruì riordinando le finanze, riducendo le imposte e rafforzando la struttura amministrativa con commissari che limitavano il potere dell'alta nobiltà. Incentivò agricoltura e manifatture. Enrico IV regolò la questione della venalità delle cariche: i titolari degli uffici ebbero riconosciuta l’ereditarietà in cambio di una tassa annuale. Enrico IV riprese la politica in funzione antiasburgica ma fu assassinato da un fanatico cattolico nel 1610. Dato che il figlio Luigi XIII era giovanissimo, il regno passò alla moglie Maria dei Medici. Gli Stati Generali si riunirono su imposizione della nobiltà nel 1614; fu questa l’ultima riunione di questa istituzione prima del 1789. Il Terzo Stato si pronunciò contro la nobiltà e a favore della monarchia. La situazione pose le basi per i successivi sviluppi assolutistici. Maria affidò al potere Concino Concini che diede alla politica estera un indirizzo filospagnolo in rottura con l’opera di Enrico IV. Nel 1614, con la nobiltà sul punto di ribellarsi, prese il potere Luigi XIII e si vendicò della madre e di Concini che lo avevano emarginato. Il cardinale Richelieu fece da mediatore tra lui e la madre e nel 1622 entrò nel Consiglio di Stato diventando il responsabile della politica francese. Richelieu pose fine all’opposizione della nobiltà feudale con diverse condanne a morte e guadagnò seguito favorendo un’espansione coloniale. Egli regolamentò con l'Accademia l’uso della lingua cercarono di realizzare in Germania una pacifica convivenza tra cattolici e protestanti basandosi sulla pace di Augusta che però divenne presto inattuale. Alla morte di Massimiliano Il gli succedette il figlio Rodolfo Il. Sotto il suo regime ebbe inizio la grande offensiva cattolica che si servì dei gesuiti. In un clima teso, i principi protestanti risposero con l'Unione evangelica nel 1608. Si andava quindi verso la guerra civile tra i protestanti boemi e palatini contro i cattolici bavaresi. L'Unione evangelica era sostenuta dalla Francia mentre dietro alla lega cattolica vi era la Spagna. 16.9 LA GUERRA DEI TRENT'ANNI: LA PRIMA FASE (BOEMO-PALATINA) Nel 1617, Ferdinando duca di Stiria avviò la restaurazione cattolica. Gli Stati di Boemia si autoconvocarono per protestare, ma furono ignorati. Una loro delegazione invase nel 1618 il castello di Praga e gettarono dalla finestra, la “defenestrazione di Praga”, due legati imperiali. La defenestrazione fu il primo atto della Guerra dei Trent'anni. La rivolta fu sostenuta dai ceti delle province di Boemia e da quelli dell’Austria. La dieta nel 1619 elesse imperatore del Sacro romano impero Ferdinando II. Gli Stati di Boemia, volendo difendere la loro autonomia, offrirono la corona a Federico V, capo dell’Unione evangelica ed elettore del palatinato. Lo scontro fu inevitabile tra i tre elettori cattolici di Treviri, Colonia e Magonza e i tre protestanti di Sassonia, Brandeburgo e Palatinato. La risposta cattolica fu immediata. Mentre un esercito spagnolo invadeva il palatinato, l’esercito imperiale e quello bavarese sottomisero i territori austriaci e sconfissero gli insorti a Praga nel 1620. Federico V scappò e le province ribelli furono ricattolicizzate forzatamente. In Boemia i nobili fuggirono e si determinò una redistribuzione di terre a favore della nobiltà cattolica o di fedeli agli Asburgo. Nel 1627, Ferdinando cancellò l'autonomia della Boemia rendendo la corona ereditaria. 16.10 UN'APPENDICE ITALIANA: LE GUERRE DI VALTELLINA E MONFERRATO Nel 1621 con la salita al trono spagnolo di Filippo IV la Spagna si schierò contro l’Austria e aiutò i cattolici. Il duca di Olivares, il preferito di Filippo, riprese il conflitto con le Province unite e intraprese azioni militari anche in Italia. In Valtellina vi erano dei cattolici sottoposti all’autorità protestante: con l’aiuto del governatore spagnolo di Milano i cattolici si ribellarono e nel 1620 vi fu il “sacro macello” protestante della Valtellina. Le truppe spagnole occuparono la valle che era un punto strategico ma si formò una coalizione antispagnola tra Venezia, Francia e duca di Savoia. Il trattato di Mongon del 1626 lasciò il corridoio aperto e smilitarizzato in Valtellina. Nel Monferrato, in Emilia, si aprì un conflitto. Il duca di Savoia lo aveva occupato ma era stato sconfitto dalla Spagna e aveva reso il territorio ai Gonzaga. Nel 1627, gli Asburgo contestarono le successioni francesi perché Mantova era dipendente dall'impero che non voleva permettere alla Francia di avere possedimenti in Italia. Le truppe francesi e il ducato di Savoia furono fermate dall’esercito imperiale. La situazione di stallo e lo scoppio della peste indussero i contendenti a stipulare, nel 1631, il trattato di Cherasco che pose fine alla guerra del Monferrato che rimase ai Gonzaga che però riconoscevano l’autorità del duca di Savoia. 16.11 LA SECONDA FASE (DANESE) Con la destituzione dell’elettore palatino, i rapporti nella Dieta furono sbilanciati a favore dei cattolici. Nel 1625, Ferdinando Il attribuì al duca di Baviera la dignità elettorale del Palatinato. La Sassonia allora chiese aiuto al re di Danimarca Cristiano IV, luterano. Egli passò il fiume Elba ma fu sconfitto dalla lega cattolica che vinse grazie al contributo di un nobile boemo convertito, von Wallenstein. Egli aveva dei territori nella Boemia settentrionale e fu reso feudatario dell’imperatore nel 1624. Wallenstein fu un imprenditore della guerra che stipulava contratti coni sovrani. Cristiano IV vide i suoi territori invasi dai cattolici e firmò la pace di Lubecca nel 1629. Cristiano ottenne condizioni tutto sommato favorevoli in quanto Ferdinando Il aveva le truppe in Italia. Cristiano rinunciò ad ogni intervento nell'impero ma recuperò i territori occupati. Anche la seconda fase andò ai cattolici e Ferdinando Il decise di chiuderla con i protestanti. Nel 1627, con l’editto di restituzione, obbligò i protestanti a convertirsi. 16.12 LA TERZA FASE (SVEDESE) A difesa dei protestanti e per perseguire il suo interesse di egemonia sul Baltico intervenne nel 1630 il re di Svezia Gustavo Il Adolfo, alleato della Sassonia e aiutato finanziariamente dalla Francia. Nel campo cattolico inoltre era uscito di scena Wallenstein. Gustavo Adolfo ottenne una serie di successi con attacchi fulminei: egli venne definito il “leone del Nord”. Egli sconfisse a Breitefield le forze imperiali nel 1631 e occupò Magonza, Treviri e Colonia, giungendo fino a Monaco di Baviera costringendo il duca alla fuga. La Spagna provò ad inviare truppe a sostegno dell'impero ma si espose all’attacco delle Province unite che ottennero importanti successi. Ferdinando Il richiamò Wallenstein che ebbe pieni poteri. Scacciò i Sassoni dalla Boemia ma perse contro Gustavo Adolfo nel 1632 a Lipsia. Tuttavia, il monarca svedese morì in battaglia. Gli succedette il cancelliere Axel Oxenstierna che si pose a capo di una coalizione protestante di principi tedeschi. Nel frattempo, l'impero temeva gli interessi di Wallenstein che fu assassinato nel 1634. Sassonia e Brandeburgo uscirono di scena stipulando la pace di Praga nel 1635 in cambiò della sospensione dell’editto di restituzione. Restavano solo le truppe svedesi che si ritirarono nel 1635, quando la Francia entrò nel conflitto. 16.13 LA QUARTA FASE (FRANCESE) L’intervento francese mutò la natura della guerra: non era più una guerra civile tedesca per motivi religiosi, ma la ripresa dello scontro tra Asburgo e Francia ripropose la situazione dei tempi di Carlo V. Il cardinale Richelieu appoggiò i principi protestanti pur essendo cattolico. AI suo fianco combatterono la Svezia e le Province unite, impegnate contro la Spagna. 16.14 LA RIVOLTA DELLA CATALOGNA E LA SECESSIONE DEL PORTOGALLO La Spagna, fallito il progetto della Union de las armas, fronteggiava le difficoltà finanziarie e inasprì la pressione fiscale. Nel 1640 vi fu una rivolta in Catalogna che voleva rimanere autonoma dalla Castilla. Nel 1641 la Catalogna si pose sotto la protezione francese, conservando le proprie istituzioni. Negli stessi anni anche la nobiltà portoghese insorse e si proclamò indipendente eleggendo Giovanni IV come re. Filippo IV licenziò il duca di Olivares nel 1643 e dichiarò bancarotta. Solo dopo anni la monarchia riuscì a sedare la rivolta in Catalogna ma perse il Portogallo che nel 1668 si vide riconosciuta l'indipendenza. 16.15 LA PACE DI VESTFALIA Il corso della guerra divenne sfavorevole agli Asburgo. Nel 1637 gli olandesi tagliarono la via che univa la Spagna a Bruxelles e sconfissero gli spagnoli via mare nella battaglia della Dune nel 1639. Nel 1643 l’esercito francese inflisse una grave sconfitta agli spagnoli. Alla fine del 1648 furono stipulati tra Francia e impero, Svezia e impero, Spagna e Province unite, dei trattati di pace designati nell’insieme come pace di Vestfalia. Non posero fine alla guerra, che sarebbe andata avanti fino al 1659, la Francia e la Spagna. Quest'ultima riconobbe l'indipendenza delle Province unite e la Francia mantenne i territori conquistati dell'Alsazia e della Lorena. La Svezia ottenne una piccola parte della Pomerania. La guerra dei Trent'anni segnò il fallimento di Ferdinando Il di rafforzare la corona imperiale. | principi si videro riconosciuto il diritto di fare alleanze e promuovere guerre purché non contro l’imperatore. La Dieta doveva ora dare il consenso alle azioni imperiali. La Germania ricevette dal conflitto solo disordini e violenze e villaggi devastati. 17 - LA PRIMA RIVOLUZIONE INGLESE 17.1 L'AVVENTO DELLA DINASTIA STUART Nel 1603, morta Elisabetta | senza eredi, salì sul trono inglese il figlio di Mary Stuart, Giacomo | Stuart, che già regnava in Scozia. Si realizzò un'unione personale tra i due regni che nel 1707 si sarebbero fusi. 17.2 L'EREDITÀ ELISABETTIANA Sotto il regno di Elisabetta | vi era stata una forte crescita demografica e uno sviluppo dell'economia. Nel XVI secolo le “enclosures” avevano rotto l'economia di villaggio basata sugli “open fields” e ampliato i pascoli a beneficio della manifattura laniera. Elisabetta inoltre aveva sostenuto la crescita della flotta e favorito lo sviluppo dei commerci. 17.3 LE ISTITUZIONI Nel 1643, Carlo controllava tre quarti del paese che rimase per la maggior parte della guerra civile neutrale. Il Parlamento, che disponeva dei finanziamenti di Londra, aveva una flotta potente e si alleò con gli scozzesi. Nel 1644 l’esercito parlamentare ottenne una vittoria guidato da Oliver Cromwell, un calvinista esponente della gentry. Nel 1645, Cromwell riformò l’esercito e ottenne una grande vittoria a Naseby. L'esercito parlamentare era caratterizzato da una ferrea disciplina e da un forte spirito calvinista che animava i soldati. Nel 1646 Carlo si arrese ponendo fine alla prima fase della guerra civile. 17.10 LA SPACCATURA DEL FRONTE RIVOLUZIONARIO Nessuno pensava di fare a meno del re, dunque ci si interrogò su quali prerogative egli dovesse avere. Questo compromesso non andò bene a Carlo | ma creò divisioni anche sul fronte parlamentare. Emersero le differenze del movimento puritano. La maggioranza era detenuta dai “presbiteriani”, calvinisti austeri e intransigenti. L'altra ala erano gli “indipendenti”, che erano più favorevoli a una tolleranza per le altre confessioni, tranne il cattolicesimo. Proliferarono, a seguito delle diverse posizioni, sette come quelle degli anabattisti. A partire dal 1646 si creò il partito politico dei “Levellers”, i “livellatori”, radicati nelle classi lavoratrici urbane. Essi reclamavano misure per alleviare la miseria della popolazione come la riduzione delle tasse e l’abolizione della decima. Essi perseguirono un programma politico democratico e chiesero una riforma elettorale che concedesse il voto a tutti i maschi liberi adulti. Chiesero l'abolizione della Camera dei Lord ed erano tolleranti anche con i cattolici. Questo atteggiamento trovò consenso tra i soldati dell'esercito. Si aprì la seconda fase della rivoluzione che contrappose il Parlamento presbiteriano e l’esercito livellatore. Cromwell si mosse con prudenza perché temeva che i presbiteriani potessero accordarsi con il re. Tuttavia, egli era troppo distante dalle posizioni del partito dei livellatori. Nel 1647, si tenne un Consiglio generale di discussione e nel mentre Carlo fuggì alleandosi con gli scozzesi. Cromwell, veduto che l'accordo con il re era impossibile, sconfisse gli scozzesi a Preston nel 1648. La spaccatura tra esercito e Parlamento fu risolta con un colpo di stato: nel 1648 il colonnello Pride, agendo a nome dell’esercito, arrestò dei parlamentari e impedì l’accesso a molti deputati. Ciò che restava della Camera dei Comuni condannò a morte Carlo I, decapitato nel 1649. Dopo il Parlamento abolì la Camera dei Lord e proclamò la repubblica, il “Commonwealth”, di Inghilterra, Scozia e Irlanda. 17.11 LA LIQUIDAZIONE DEL MOVIMENTO LIVELLATORE La situazione politica era rimasta instabile. Molti erano fedeli al re ed inoltre il figlio di Carlo | fu riconosciuto da scozzesi e irlandesi con il nome di Carlo Il. Inoltre, bisognava far fronte alle richieste dei livellatori. Tra le sette, spiccò quella dei “diggers”, degli “zappatori”. Essi zappavano le terre comuni ed erano un movimento pacifico anabattista, ma fu stroncato dai proprietari terrieri. Altra setta fu quella degli “uomini della quinta monarchia” che ritenevano che il regno della giustizia divina stesse arrivando. Cromwell era consapevole di dover dare solide basi all’ordine repubblicano. Aveva realizzato due punti del programma livellatore, l'abolizione di monarchia e Camera dei Lord, ma non voleva promuovere la riforma elettorale. Il Parlamento stabilì che il potere sarebbe stato temporaneamente gestito da un Consiglio di Stato controllato dai capi dell’esercito. | livellatori si agitarono e il loro capo, John Lilburne, fu arrestato. La parabola del movimento era finita. 17.12 IL LUNGO INTERREGNO Nel 1650 Cromwell represse brutalmente le rivolte irlandesi e scozzesi costringendo Carlo Il a fuggire in Francia. Cromwell, durante il suo governo, ridiede slancio alla vocazione marinara iniziata con Elisabetta I. Nel 1651, con l’Atto di navigazione, stabilì che nei porti inglesi potessero attraccare solo navi inglesi o mercantili. Questo colpì gli olandesi e provocò tre guerre tra Inghilterra e Province unite. Inoltre, Cromwell strappò alla Spagna la Giamaica nel 1655. Tuttavia mancava sempre una legislazione. Il potere di Cromwell si fondava sull’esercito. Con il Parlamento dei nominati e lo Strumento di governo furono fatti due tentativi, però fallimentari, di dare un assetto istituzionale all'ordinamento repubblicano che non riuscì a mettere radici nel paese. Fu di fatto una dittatura militare che assunse un volto conservatore: questo è il periodo del “lungo interregno”. Nel 1658 Cromwell morì e gli successe il figlio che si rivelò però incapace. La monarchia venne restaurata nel 1660 con il ritorno di Carlo Il che si impegnava a garantire la libertà di coscienza, a rispettare le prerogative del Parlamento e a concedere il perdono ai rivoluzionari. 18 - IL SEICENTO: UN SECOLO DI TRANSIZIONE 18.1 UN SECOLO DI CRISI? La storiografia ha per molto tempo considerato il Seicento come un'epoca di crisi dovute alla crisi del feudalesimo o ai conflitti delle varie monarchie o dei ribelli. Quello che è certo è che nei primi due decenni si esaurì la crescita demografica del secolo precedente. In quel periodo vi fu anche una recessione economica generale con esiti diversi nelle varie parti del continente. Un'altra tendenza fu la marginalizzazione dell’area mediterranea a favore dell’Europa atlantica. Nel complesso, il Seicento è una fase di transizione chiaroscura e contraddittoria: un esempio è la rivoluzione scientifica ma si intensificò la caccia alle streghe, due cose contrapposte. 18.2 LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA Se nel Cinquecento si era affermata la cultura umanistico-rinascimentale, nel Seicento giunse a compimento la formazione della scienza moderna. Il punto di partenza fu la teoria eliocentrica di Niccolò Copernico, contrastante con la Bibbia e condannata da Roma. Keplero smentì la concezione aristotelico-tolemaica e provò che i pianeti seguono un'orbita ellittica. Galilei fece cadere la distinzione tra mondo celeste e mondo sublunare. Giordano Bruno sostenne che l’universo era infinito e privo di un centro. Insomma, cadde l’antropocentrismo e la convinzione che l’universo fosse stato creato per l’uomo. Si parla di rivoluzione scientifica non per le scoperte ma per il metodo scientifico che forma il moderno concetto di scienza. Venne superata la concezione di un mondo animato da forze occulte grazie a Cartesio. Prese piede una concezione meccanicistica della natura che poteva venire studiata con un metodo scientifico sperimentale. La figura del filosofo naturale assunse una dimensione professionale. Il sapere scientifico diventava risultato del lavoro comune degli studiosi e non più legato a pochi iniziati. Vennero create diverse accademie. L’affermazione della scienza moderna pose le premesse per il superamento del principio di autorità. Vennero infatti superate le verità bibliche in campo scientifico anche grazie all’opera di Newton. 18.3 LA CACCIA ALLE STREGHE Nel Seicento raggiunse il culmine la caccia alle streghe. Nel mondo antico vi era la convinzione che esistessero individui straordinari, in grado di predire il futuro, di influenzare e provocare il male attraverso magia e sortilegi. Su queste credenze si innestò nel Medioevo la tradizione cristiana che si pone contro il diavolo, origine di questi mali. Il patto con il maligno avveniva nella “sabba”, la riunione degli adepti del demonio. Importante per la diffusione di queste credenze fu il “Malleus maleficarium” di due inquisitori tedeschi, Sprenger e Kramer. Le teorie sulla stregoneria furono condivise sia dai protestanti che dai cattolici. | processi si tenevano nei tribunali civili ed erano di competenza delle inquisizioni. Le persone perseguitate erano appartenenti al mondo povero rurale. La stragrande maggioranza erano donne anziane e vedove. Questo perché vi erano pregiudizi e una mentalità sessuofobica. Molte ammissioni venivano estorte con la tortura ma non mancano persone che erano convinte di possedere poteri. La grande maggioranza dei casi si ebbe in Europa centrale. Un episodio però celebre si svolse a Salem, in America, dove nel 1692 fi furono addirittura 19 condanne a morte. Le autorità laiche erano propense a cedere alle pressioni delle comunità locali mentre l’Inquisizione era molto più cauta. 18.4 IL PENSIERO POLITICO Il XVII secolo fu caratterizzato dall’affermazione dell’assolutismo. Teorizzato da Robert Filmer, il potere assoluto del monarca viene descritto con un’origine divina. Il contributo più importante è dato dal giusnaturalismo, che afferma come esista un diritto naturale anteriore al diritto positivo, cioè allo stato. Principale esponente fu Thomas Hobbes, che nel Leviatano afferma come gli uomini si trovino inizialmente in uno stato di natura e nello stato di libertà essi perseguono il far fronte alla concorrenza europea. Pesò negativamente la forza contrattuale delle corporazioni che imponevano alti standard qualitativi e dunque si opponevano alle innovazioni. Nella seconda metà del secolo vi fu una ripresa e la popolazione ricrebbe. Non fu un ritorno alla situazione precedente, ma si determinarono delle trasformazioni nel tessuto sociale. L'incremento demografico infatti interessò soprattutto le campagne e si invertì il rapporto tra realtà urbana e mondo rurale. Vi furono anche dei cambiamenti nel mondo agricolo. Si diffusero nuove culture come viti, riso e mais. Importante fu l’introduzione della gelsibachicoltura. Le novità del settore agricolo però interessarono l’Italia settentrionale che aumentò il divario rispetto al Meridione. Inoltre, vi era una grande distanza tra l’Italia e gli altri Stati europei più dinamici. 19.2 LA SOCIETÀ Profonde trasformazioni interessarono la società. Le classi agiate investivano nella proprietà fondiaria abbandonando le attività commerciali a causa dell’ascesa dei prezzi agricoli e delle difficoltà economiche in città. Vi era una chiusa mentalità aristocratica che portava i gruppi più agiati a privilegiare il possesso terriero come base di prestigio sociale. 19.3 LA CULTURA E L’ARTE La cultura e l’arte in Italia nel Seicento giunge a un pubblico aristocratico. All'amore del classicismo per la semplicità si sostituì il “barocco”, ovvero il bizzarro. Nell’arte prevalsero rappresentazioni spettacolari e realistiche. Non mancarono eccellenze come il Caravaggio ma si interruppe la circolazione di idee con l'Europa. La Controriforma ebbe un ruolo decisivo in Italia. L’opera di disciplinamento morale della Chiesa rappresentò l'elemento di coesione civile. Tommaso Campanella descrisse una società ideale nella quale non esiste la proprietà privata e tutti i cittadini vivono secondo natura. 19.4 IL QUADRO POLITICO Nel periodo della dominazione spagnola, i soli cambiamenti furono l’acquisizione da parte dello Stato della Chiesa di Ferrara e Urbino. La Spagna possedeva anche Sicilia e Sardegna. Poco rilievo avevano gli Stati minori come i ducati di Parma, Mantova e Modena. L’egemonia della Spagna andava al di là dei territori direttamente controllati e si esercitava su tutti gli Stati italiani ad eccezione di Venezia. La vita politica era influenzata dalla Chiesa romana. Mancava, a differenza delle monarchie europee, un potere politico che arginasse il ruolo della Chiesa che aveva, grazie all’Inquisizione, un peso enorme. 19.5 IL DUCATO DI SAVOIA Emanuele Filiberto, dopo la pace di Cateau Cambrésis, provvide alla riorganizzazione dell’amministrazione e pose le basi per un esercito permanente. Spostò la capitale a Torino. Nel 1601, con il trattato di Lione suo figlio Carlo Emanuele ottenne il marchesato di Saluzzo ma in seguito alle guerre del Monferrato Pinerolo passò alla Francia. Si aprì poi una crisi che venne risolta dalla Francia nel 1643. 19.6 IL GRANDUCATO DI TOSCANA La Toscana era retta dai Medici che avevano dal 1569 il titolo di granduchi. Giovanni delle Bande nere fu il fondatore dello Stato. Lasciò in vita i Consigli del Duecento e dei Quarantotto ma li esautorò sovrapponendo ad essi un apparato burocratico. Dal 1547 istituì la Pratica segreta, un Consiglio privato dei principali ministri. L'economia fu caratterizzata dalla crisi delle manifatture cittadini e dall’immobilismo agricolo. Nel caso toscano si colgono i limiti dello Stato cittadino di derivazione comunale: non si arrivò alla formazione di un territorio sottoposto in modo uniforme alla sovranità del principe. 19.7 LA REPUBBLICA DI GENOVA La repubblica di Genova era diventata di fatto un protettorato spagnolo dopo il 1528 con il passaggio di campo di Andrea Doria. L’assetto istituzionale repubblicano non ricompose il conflitto tra vecchi e nuovi nobili e nel 1575 scoppiò una guerra civile risolta dall'intervento spagnolo. Nel nuovo assetto costituzionale si diede minor spazio all'estrazione a sorte e si favorì la cooptazione, che consentiva alle famiglie influenti di controllare le nomine. Si trattò di una chiusura in senso oligarchico. Nel Cinquecento la componente economica divenne egemonizzata dai prestiti a breve termine ad alto tasso d'interesse alla monarchia spagnola e dalla gestione del debito pubblico. L'istituzione emblematica della Genova moderna è il Banco di San Giorgio a cui veniva ceduta l’amministrazione dei debiti e l’amministrazione di alcuni possedimenti. Il Banco emetteva quote del debito che davano un interesse. Le ripetute bancarotte spagnole imposero una riconversione finanziaria e si virò verso investimenti fondiari nel Mezzogiorno. Nel 1684, Luigi XIV attaccò Genova e ruppe i suoi legami con la Spagna, costringendo la città ad una prudente neutralità. 19.8 LO STATO DELLA CHIESA La crisi religiosa del Cinquecento portò a un rafforzamento del centralismo romano. | papi erano sovrani di uno Stato temporale e si impegnarono nella burocrazia. Essa era guidata da ecclesiastici. Il Concistoro fu privato dei poteri e suddiviso in congregazioni dove i cardinali istruivano le pratiche amministrative o di educazione dei fedeli. Dopo la creazione del ducato di Parma e Piacenza da parte di Paolo III per il figlio Pier Luigi non vi furono altri casi di grande nepotismo. Persistette il piccolo nepotismo nel quale i pontefici nominavano cardinali i propri nipoti. 19.9 L'OPERA MISSIONARIA DELLA CHIESA CATTOLICA La missione era una lettera che dava incarico a un religioso di recarsi in un luogo a predicare. L’inizio dell’opera missionaria si riconduce al 1523 quando 12 francescani spagnoli furono inviati dal generale del loro ordine in America. Tuttavia, vi erano enormi difficoltà con gli indigeni. La croce cristiana fu accostata alle violenze dei conquistadores e i battesimi collettivi erano conversioni di facciata. Una conversione più profonda, grazie allo studio, la svolsero i gesuiti arrivando anche in Giappone e in India. Nacque con loro il moderno concetto di missione con la formazione di centri universitari e collegi per l’istruzione dei missionari. 19.10 LA VITA RELIGIOSA Vennero organizzate dalla Chiesa anche delle missioni popolari che indottrinavano le masse. Il divieto di volgarizzare la Bibbia impedì alla popolazione italiana una conoscenza diretta della parola di Dio. 19.11 LA REPUBBLICA DI VENEZIA Le sconfitte di Agnadello e la perdita di Cipro indussero Venezia a una prudente difesa e alla neutralità. Durante il Cinquecento si accrebbe il potere del Consiglio dei Dieci ai danni del Senato, creando un’oligarchia nell’oligarchia. | “giovani” patrizi che volevano ripristinare i poteri del Senato per condurre una politica estera più risoluta si opposero ai “vecchi” che invece mantenevano un atteggiamento prudente. Nel 1605, i “giovani” agirono contro il Papa. Si rifiutarono di restituire due preti e Paolo V Borghese lanciò l’interdetto, ossia la sospensione dei sacramenti che Venezia respinse. Altri vari scontri diedero vita ad un’aspra polemica. Paolo Sarpi, abile giurista e polemista, scrisse la “Storia del concilio tridentino” per mostrare i danni della cristianità. Il conflitto si risolse con la mediazione di Francia e Spagna. Venezia poi si impegnò nella guerra di Gradisca nel 1615 e obbligò gli Asburgo a non sostenere i pirati slavi dell’Adriatico. Tuttavia, apparve impossibile realizzare il progetto di rilancio dei “giovani”. Nel 1645 Venezia perse anche l’isola di Creta. 19.12 I DOMINI DIRETTI DELLA SPAGNA La Spagna governò con moderazione e una volta garantita la suprema autorità politica cercò una mediazione fra i propri interessi e le esigenze delle élite italiane. Il sovrano era infatti coadiuvato a Madrid dal Consiglio d’Italia istituito nel 1555. Nel ducato di Milano questo ruolo lo ebbe il Senato formato da patrizi. L'amministrazione spagnola lasciò a loro il controllo delle istituzioni locali ma limitò il predominio delle città sui contadi. Nel regno di Napoli il gruppo sociale principale era la nobiltà. Quella feudale dominava nelle province e controllava il Parlamento. La nobiltà di seggio controllava l’amministrazione della città di Napoli che era esentata da molte imposte spagnole. A Napoli un ruolo importante lo svolsero i