Scarica Storia Romana di Geraci - Marcone e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! RIASSUNTO “STORIA ROMANA” 4° ed. – versione Minor PARTE PRIMA: I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA CAP. 1 L’ITALIA PREROMANA 1.1 L’ITALIA DELL’ETÀ DEL BRONZO E L’ETÀ DEL FERRO In due millenni (dal III al I a.C.) grande sviluppo nella penisola italiana: tra l’età del bronzo medio e la prima età del ferro si va da tanti piccoli gruppi umani alla nascita di forme complesse di organizzazione proto statale. Viene colmato così il distacco della cultura dell’Europa continentale rispetto quella più evoluta (già da tempo) di Egitto e Vicino Oriente. ITALIA NELL’ETÀ DEL BRONZO: Uniformità con siti dislocati ovunque nella penisola, ma prevalenti sul dorsale montuoso che va da nord a sud (tale cultura detta “appenninica”). Incremento demografico. Numero insediamenti si riduce, ma quelli che sopravvivono si espandono e ciò comporta più sfruttamento di risorse disponibili (es. cultura “terramaricola” pianura emiliana, insediamento capanne di legno su impalcature, contro animali selvatici e terreno acquitrinoso, villaggi trapezoidali, circondati da un argine e fossato, attraversati da due strade perpendicolari tra loro) (“terramare”=grossi accumuli terra grassa e scura formati nei secoli dai depositi dei primitivi insediamenti, terramarne). Nell’età del bronzo recente intensa circolazione di prodotti e persone. Rinvenute ovunque lungo coste meridionali e isole merci provenienti da area micenea (greca), più evoluta. Questi contatti favorirono direttamente o indirettamente aggregazioni più consistenti delle popolazioni indigene, con differenze al loro interno e poteri politici maggiori. ITALIA NELL’ETÀ DEL FERRO: Al suo inizio culture locali differenti per: - Sepoltura, due gruppi uno usa la cremazione (nel nord e costa tirrenica fino alla Campania) l’altro l’inumazione. - Lingue, per l’arrivo di gruppi etnici di varia provenienza, che si possono ricondurre a due grandi famiglie, quelle indoeuropee (latino e falisco in Lazio, anche il celtico in pianura padana e il messapico in Puglia) e quelle non indoeuropee (etrusco in Toscana, ma anche il ligure, retico, sardo). Nel gruppo parlante la lingua italica abbiamo tre sottogruppi con vistose varianti dialettali ovvero uno umbro-sabino (Centro-Nord), uno osco (Centro-Sud), un terzo meno noto (Enotri e Siculi). Importanti tra le culture dell’Italia preromana sono le colonie della Magna Grecia fondate nell’Italia meridionale, con nascita città importanti lungo la costa (Taranto, Reggio, Napoli, Siracusa, Agrigento, ...) che influenzarono le popolazioni indigene. La civiltà dei sardi ha un posto a parte, si sviluppò in Sardegna tra l’età del bronzo e quella del ferro, nota come “civiltà nuragica” (da nuraghe= torre a forma di tronco di cono, si presuppone con scopo difensivo) molto influenzata nella sua evoluzione finale dai fenici. 1.2 I PRIMI FREQUENTATORI DELL’ITALIA MERIDIONALE Fonti letterarie e storiografiche raccontano le origini dei popoli italici, notizie con elementi leggendari e personaggi mitici, soprattutto da storici greci che iniziano a scrivere dell’Italia meridionale solo nel V a.C. Dionigi scrisse che gli Arcadi, primi tra gli Elleni, attraversarono l’Adriatico e si stanziarono in Italia occupando tutta la penisola meridionale (regione chiamata Enotria, da Enotrio che condusse la spedizione). Sebbene le aree deserte del periodo del bronzo antico appaiano nel bronzo medio con una fitta rete di insediamenti, ciò non è dovuto come suggerisce Dionigi a popoli dalla Grecia. I dati archeologici suggeriscono una cultura del meridione italico dai tratti decisamente indigeni. Tuttavia, vi furono davvero rapporti tra indigeni dell’Italia meridionale e Micenei (Greci), non solo commerciali con scambi di manufatti ma più complessi (artigiani egei si stabilirono nei villaggi italici e vi diffusero l’uso di ceramiche più evolute di quelle locali). Dopo un’interruzione di quasi 4 secoli per la crisi del mondo miceneo, in cui gli scambi si erano ridotti ai soli prodotti strategicamente rilevanti (ferro), le importazioni di ceramiche prodotte in Grecia riprendono nella prima età del ferro. La ripresa segna un cambio nell’interesse dei Greci per l’Italia meridionale, ora orientati alla conquista. Nel frattempo, la società indigena è cambiata: insediamenti più popolosi (20.000 abitanti) che hanno creato forme embrionali di mercato, i quali hanno attirato i Greci. 1.3 LE TRASFORMAZIONI DELL’ITALIA CENTRALE Tra VIII e V secolo a.C. grande espansione popolazioni Appennino centro-meridionale: - Versante tirrenico (i Sabini si intromettono nella Roma dei latini, mentre altri gruppi etnici non latini occupano il Lazio, l’apice di questo movimento si ha con l’espansionismo dei Sanniti) - Versante adriatico (nella civiltà picena inizia ad affermarsi una cultura, che già caratterizzava Etruria e Lazio, con una élite che si distingue dal resto della società per il lusso che persegue, in alcuni casi si può parlare di principi e re in testa alla società). CAP. 2 GLI ETRUSCHI 2.1 Origine ed espansione degli Etruschi sono nomi propri poiché i testi a noi giunti spesso contengono brevi formule con soltanto il nome del defunto e le cariche da lui ricoperte. I pochi testi più estesi a noi conosciuti sono: il liber linteus di Zagabria (bende di lino che ricoprivano una mummia acquistata in Egitto, la tegola di Capua (rituale funerario), la Tavola cortonense (la più recente, documento legale con indicati i confini di due proprietà). I linguisti hanno riscontrato che la lingua etrusca non può essere collegata a nessuna lingua del passato a noi conosciuta. CAP.3 - ROMA 3.1 LA LEGGENDA La versione più nota della leggenda delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa e la dinastia dei re albani tra l’arrivo di Enea nel Lazio e il regno di Romolo. Nella versione finale della fondazione di Roma è da considerare il ruolo di rilievo dato ad Alba Longa. Il suo territorio era dominato dal monte Cavo su cui sorgeva il famoso santuario di Iuppiter Latiaris (sede di una delle più famose e antiche leghe politico-religiose del Lazio Antico, quelli dei Populi Albenses (sotto la guida di Alba Longa) a cui si sostituirà Roma dopo la distruzione della città. 3.2 I SETTE RE DI ROMA Dalla presunta fondazione di Roma nel 753 a.C. al 509 a.C. con l’instaurazione della Rupubblica ci furono sette Re a cui ad ognuno viene attribuito qualche progresso: - Romolo: fondatore e creazione prime istituzioni politiche, tra cui un senato di 100 membri - Numa Pompilio: primi istituti religiosi - Tullo Ostilio: campagne militari di conquista - Anco Marcio: colonia di Ostia - Tarquinio Prisco: seconda fare della monarchia romana, grande componente etrusca, opere importanti - Servio Tullio: prime mura della città e l’istituzione dei comizi centuriati - Tarquinio il Superbo: tiranno che infligge ai cittadini ogni tipo di vessazione 3.3 LE FONTI DEL RACCONTO TRADIZIONALE È difficile avere attendibilità riguardo a racconti risalenti ad un’epoca così antica e lontana. Cerchiamo di basarci sulle fonti sulle quali basavano i racconti: - Livio e Dionigi hanno trattato la storia dalla sua fondazione organizzando il materiale in ordine cronologico, ma le loro opere non sono giunte a noi. Il primo romano fu Fabio Pittore nel III sec a.C. e scrisse in greco, mentre il primo a scrivere in latino fu Marco Porcio Catone. - Tradizione familiare: la società romana in età repubblicaca era dominata dalla competizione delle famiglie dell’aristocrazia di governo. - Tradizione orale: importante ma soggetta a forsi distorsioni, ci sono parecchie leggende. - Documenti d’archivio: primi storici romani hanno in comune una struttura narrativa che consiste nel menzionare ogni anno i magistrati principali e gli eventi importanti, tra i più importanti ci sono gli Annali dei pontefici. Gli Annali furono pubblicati in 80 libri ma pure di questi non abbiamo nessuna fonte. - Oltre alle fonti annalistiche, ci sono gli antiquari riguardanti le istituzioni politiche e militari, le procedure legali, la vita familiare, la religione, i costumi, la cronologia. Un interesse precipuo degli antiquari riguardava la lingua, l’etimologia delle parole. 3.4 TRADIZIONE ORALE E STORIOGRAFIA La tradizione orale pone una serie di questioni: - chi trasmette, che cosa viene trasmesso, a che scopo - quanto tempo è passato dalla tradizione orale, tramite un filtro selezionatore, nella ricostruzione storica Le tradizioni orali variano in base a usi e ambiente sociale, chiamate manipolazioni genealogiche. Il problema riguarda il modo in cui è stata operata la selezione del materiale e il significato dato in base alla comunità. In sintesi, a Roma la letteratura, la storiografia e il dramma ebbero origine nella seconda metà del III secolo a.C., solo da qua cominciarono ad esserci testi scritti, questo fu uno sviluppo di grande importanza. Ma per definizione le fonti scritte non possono essere elementi di prova per una cultura preletteraria. Per quanto problematica sia la cosa, la natura dell’oralità in Roma arcaica non è del tutto al di fuori dell’ambito della congettura razionale. Secondo il fondatore della moderna storiografia su Roma arcaica, B.G. Niebuhr all’inizio del XIX secolo elaborò una teoria secondo la quale le leggende e le tradizioni di Roma arcaica erano create nei canti recitati ai banchetti, i cosiddetti carmina convivalia, noti del II sec a.C. come personalità politica e letteraria di grande rilievo. È dunque ipotizzabile una sorta di corpus di poesia erotica tradizionale che poi sarebbe andato perduto. La teoria di Niebuhr è stata per lo più respinta. Questo è uno dei casi in cui la prova archeologica ha dato il suo peso. Il problema che si è imposto negli ultimi tempi alla riflessione degli storici moderni sembra riguardare l’anello di congiunzione tra fase favolista, mitologica del pensiero romano e quella compiutamente storiografica 3.5 LA DOCUMENTAZIONE ARCHEOLOGICA La documentazione archeologica da importanti riscontri alla tradizione data dalla leggenda canonica. Il nome Vibenna (Vipina) compare in Etruria su numerosi documenti arcaici, si pensa perciò che questa famiglia fosse potente nel IV secolo a.C. 3.6 "Il muro di Romolo" Ogni ricostruzione su Roma deve considerarsi provvisoria. Gli ultimi scavi sul Palatino (1988) hanno portato alla luce una palizzata di un muro del VIII secolo a.c, Lo scopritore Andrea Carandini dice che nella palizzata si vede la linea dell'originario confine (pomerio) e il muro arcaico in scaglie di tufo, lungo 1 metro e mezzo, detto "Il muro di Romolo" Racconto originale: Verso la metà del VIII secolo a.c un sacerdote avrebbe celebrato un rito tracciando con l'aratro i limiti della città. 3.7 Il pomerio e i riti di fondazione Marco Terenzio Varrone (antiquario latino del I secolo a.c) Le città nel Lazio erano fondate secondo il rito etrusco: toro e vacca segnano con l'aratro il solco interno e lì impiantavano il muro. Tutto ciò nel giorno indicato dagli auspici religiosi. Molto importante era il pomerio (dal latino postomerium " che si trova al di là del muro ") Pomerio: era in origine la linea sacra che delimitava il perimetro in corrispondenza delle mura. In un secondo momento era la zona che separava le case dalle mura stesse dove non si poteva fabbricare, seppellire o piantare alberi. Non sempre il pomerio corrispondeva con le mura. Le mura servivano per difendere. L'ampliamento del pomerio poteva avvenire solo in casi particolari, per estenderne l'area era necessario aumentare la superficie dello stato romano con un nuovo territorio tolto dal nemico. No coincidenza tra mura e pomerio: le mura giravano a mezza costa dalla collina, il pomerio girava attorno alla sua base con perimetro più esteso. L'area del pomerio era limitata da cippi infissi nel terreno. Il pomerio non fu accresciuto fino a Silla (inizio I secolo a.c). Ulteriore accrescimento in età imperiale, ultimo imperatore che lo ampliò fu Aureliano (seconda metà del III secolo a c).3.8 Lo stato romano arcaico Organizzazione sociale dei latini strutturata in famiglie: Pater: figura con potere assoluto su tutti i suoi componenti e gli schiavi. Tutte le famiglie con un antenato comune costituivano la Gens, componente di grande rilievo (gruppo organizzato politicamente e religiosamente). Popolazione dello Stato Romano arcaico divisa in gruppi religiosi: le curie (comprendevano tutti gli abitanti). Praticavano riti religiosi, assemblea politica cittadina (comizi curati). Comizi curati: funzioni di diritto civile (adozioni e testamenti), compito di votare la Lex de imperio che conferiva il potere al magistrato eletto. Tribù: creazione attribuita a Romolo 3 tribù: - Tites (o Titienses ) Tito Tazio - Ramnes Origine etrusca - Luceres Origine etrusca Durante il predominio etrusco: 3.14 Rafforzamento della monarchia Il predominio etrusco su Roma portò a un rafforzamento dell’istituto monarchico: lo provano le insegne del potere regio, quali la corona, il trono, il manto, lo scettro, i fasci. In questo periodo dovette essere costruito, nei pressi del tempio di Vesta, l’edificio sede ufficiale del re (regia =termine che si continuerà a usare in futuro). Viene definita, nella parte nord-occidentale del Foro, l’area riservata all’attività politica del popolo e senato. In particolare, tra il VII e il VI sec a.C. è stato creato il comitium, luogo dove il popolo si riuniva per deliberare, la sede appunto della vita politica. Di fronte ad esso fu costruito lo spazio della curia Hostilia, la 1. sede per le assemblee del senato. La tradizione attribuisce a Tarquinio Prisco l’aumento del numero dei senatori e a Servio Tullio l’introduzione dell’ordinamento centuriato, che prevedeva l’organizzazione della popolazione in classi, articolate in unità dette «centurie», secondo un criterio che teneva conto della capacità economica dei cittadini. È probabile che già in questo periodo la comunità civica fosse organizzata secondo raggruppamenti non più basati su fattori gentilizi (dovuti alla nascita) o locali, ma stabiliti sulla base del censo, cioè della ricchezza degli individui. Il censo fu anche il criterio con cui si arruolavano i componenti dell’esercito serviano, che prese il nome di classis e che era formato da cittadini in grado di procurarsi un armamento pesante; con infra classem si designarono invece gli altri soldati, armati alla leggera. Anche l’istituzione, attribuita a Servio, di 4 tribù territoriali (dette «urbane» per distinguerle da quelle extracittadine, dette «rustiche» create a seguito dell’ampliamento del territorio), in sostituzione delle antiche tribù romulee, a base gentilizia, rispecchia l’evoluzione della società romana. Le nuove ripartizioni corrispondono alle regioni nelle quali Servio Tullio suddivise la città, che ormai era stata definitivamente unificata. L’Esquilino, e forse il Celio, entrarono a far parte della grande Roma che avvertì la necessità di dotarsi di una 1. cerchia di mura, dette, «serviane». Il compimento delle istituzioni politiche e militari della città-stato diventò il suggello di una complessa trasformazione che si riconduce al grado di sviluppo di Roma nel periodo del predominio etrusco. 3.15 Tradizione orale e storiografia Nella ricerca odierna la tradizione orale nell’elaborazione storiografica gode di maggior credito. La tradizione orale pone una serie di questioni. Si possono riassumere così: a) chi trasmette, che cosa viene trasmesso e per quale scopo; b) quanto è passato dalla tradizione orale, tramite un filtro selezionatore, nella ricostruzione storica. Le tradizioni orali variano a seconda degli usi e dell’ambiente sociale che le conserva, elabora e trasmette: le tradizioni gentilizie sono molto differenti da quelle appartenenti agli strati popolari. Formule, materiali giuridici e contenuti legislativi hanno avuto un loro impiego e vita indipendente, estranea alla tradizione storica vera e propria. Molti dati relativi a eventi storici sono stati trasmessi nell’ambito delle famiglie nobili; essi sono riconducibili alla lista dei consoli e quindi ad una cronologia abbastanza sicura. Gli antichi erano consapevoli del rischio della deformazione inerente a una tale forma di trasmissione. Tuttavia, un limite alla possibile falsificazione era costituito dal controllo del gruppo sociale. Per es, la costruzione di fittizie ascendenze regali di una famiglia sarà stata in parte un fatto pertinente alla sola gens, ma doveva essere abbastanza generalmente accettato se è poi potuto penetrare precocemente nella tradizione annalistica. Tali manipolazioni genealogiche presuppongono già esistente un patrimonio di notizie sui re ed avranno verosimilmente anche contribuito ad accrescerlo. Il nocciolo del problema riguarda il modo in cui è stata operata la selezione del materiale trasmesso, = il significato ultimo di tale selezione, che deve necessariamente rapportarsi alla spiegazione dell’origine di una comunità. In sintesi: a Roma la letteratura, la storiografia e il dramma ebbero origine nella seconda metà del III secolo a.C. A partire da allora ci furono testi scritti che poterono sopravvivere per essere consultati molto tempo dopo l’occasione che era stata alla base della loro redazione. Questo fu uno sviluppo di grande importanza. Ma non si deve pensare che quello che precedeva fosse semplicemente un indistinto confuso, dai tratti semibarbari. I Romani non possono non aver riflettuto anche in precedenza sulle origini e sulla natura della loro comunità. Non si può pensare che non avessero un modo per esprimere l’idea che avevano di loro stessi, si trattasse di una forma narrativa o di una rappresentazione drammatica. Per definizione le fonti scritte non possono fornire elementi di prova per una cultura preletteraria. Qualcosa si può inferire da quanto ci dicono le fonti scritte – o almeno da quello che esse implicano o da quello che presuppongono. In altri termini: per quanto problematica sia la cosa, la natura dell’oralità in Roma arcaica non è del tutto al di fuori dell’ambito della congettura razionale Il fondatore della moderna storiografia su Roma arcaica, del danese Niebuhr, all’inizio del XIX sec elaborò una teoria secondo la quale le leggende e le tradizioni di Roma arcaica erano state create nei canti recitati ai banchetti, i = carmina convivalia. I carmina nel II sec a.C. erano noti a una personalità politica e letteraria come Catone. È dunque ipotizzabile l’esistenza di una sorta di corpus di poesia eroica tradizionale che successivamente sarebbe andato perduto. La teoria di Niebuhr è stata per lo più respinta, forse troppo frettolosamente. Nel VII e anche nell’VIII sec a.C. l’uso del sympósion aristocratico era stato adottato dalle élites locali del Lazio e dell’Etruria. Appare quindi possibile che i canti, le storie ripetute in questi banchetti maschili possano aver contribuito a creare la memoria comune del gruppo, basata sulla celebrazione dei grandi fatti dei suoi membri passati e presenti. Gli hetáiroi greci sono i sodales (compagni) del convivium: la logica di entrambe le culture è che la valorizzazione del passato rafforzava la coesione sociale del presente. Questo non significa riproporre la teoria di Niebuhr, perché questi canti difficilmente potevano essere così elaborati come Niebuhr immaginava, e soprattutto perché essi riguardavano esclusivamente una ristretta élite di aristocratici e non una collettività a base ampiamente popolare. Il problema che si è imposto negli ultimi tempi alla riflessione degli storici moderni sembra riguardare l’‘anello di congiunzione’ mancante tra la fase favolistica, mitologica del pensiero romano e quella compiutamente storiografica. L’ipotesi di ricostruzione avanzata dallo storico inglese contemporaneo, Peter Wiseman: a suo avviso, nel formarsi di una tradizione, all’atto degno di memoria di un personaggio seguiva la celebrazione del suo successo attraverso pubblici onori e nel trionfo. Quindi quest’episodio veniva recepito e ulteriormente tramandato su due piani distinti: per il pubblico colto attraverso la rielaborazione nei carmina e, per la massa degli illetterati, tramite le ballate di cantastorie itineranti. Se è vero che il contenuto della tradizione non è quanto ci si potrebbe attendere di trovare in una ballata, in un carmen, esso risulta assai più plausibile se inserito in una rappresentazione drammatica. Naturalmente si tratterà di vedere quali forme di rappresentazioni potessero aver luogo nella Roma preletteraria del V e IV secolo a.C. 3.16 Un esempio di elaborazione storiografica: Servio Tullio Il sovrano Servio Tullio ha operato tali trasformazioni nella città, sia a livello monumentale sia a livello politico-istituzionale, da poter essere considerato quasi un rifondatore. Le origini di Servio Tullio sono incerte: secondo la versione romana, Servio Tullio era nato schiavo, figlio di una schiava, e cresciuto al palazzo di Tarquinio Prisco. Un evento prodigioso lo segnala come predestinato a una sorte fuori del comune: delle fiamme, sprigionate senza nessuna causa apparente intorno al suo capo mentre dormiva, non gli causarono alcun male. Da allora godette particolare protezione a corte, era il più stretto collaboratore di Tarquinio e ne sposa la figlia. Due sicari dei figli di Anco Marcio feriscono mortalmente Tarquinio. Questi viene ricoverato a palazzo dalla moglie che, nascondendo la sua morte, annuncia al popolo che il re si sta riprendendo, a che ha disposto che Servio regnasse in sua vece. Dopo pochi giorni, quando ormai il popolo si era assuefatto a vedere Servio detenere i segni della regalità, Tanaquilla annuncia la morte del marito. Servio Tullio ha istituito la riforma censitaria/organizzazione centuriata, che implicava la valutazione economica e numerica della popolazione. Questa operazione è descritta con abbondanza di particolari nella storiografia perché era decisiva per introdurre quella diversità tra i cittadini, prima distribuiti nelle curie in rapporto alla nascita, e distinguerli così «secondo gli ordini», ordini definiti con riferimento a dignità e a livello di ricchezza, che era alla base degli istituti politici romani. Essa segnava la fine della parità caratteristica dei comizi curiati voluta da Romolo che aveva dato «il voto a testa a tutti con la stessa forza senza distinzione». Servio, creò le tribù territoriali in cui i cittadini venivano iscritti sulla base del loro effettivo domicilio. Era automatico che al sovrano che aveva riorganizzato il territorio romano si attribuisse la creazione delle feste religiose. Così per esempio a Servio, con l’istituzione dei distretti territoriali, i pagi, si attribuiva anche quella delle loro feste, i Paganalia. 3.17 La famiglia La nozione di «famiglia romana» (familia) comprendeva un raggruppamento sociale molto più ampio di quello che siamo abituati ad intendere oggi. A Roma facevano parte di una medesima familia tutti coloro (in primo luogo la moglie, i figli e gli schiavi) che ricadevano sotto l’autorità di uno stesso paterfamilias, al quale spettava anche il controllo sui beni. Il vincolo di fondo della famiglia romana non era rappresentato dai legami contratti col matrimonio, ma dal potere (potestas) esercitato dal pater sulle persone che rispettavano la sua autorità. Di una stessa famiglia facevano parte non solo i figli generati dal matrimonio del capofamiglia, ma anche tutti quelli che, adottati, sceglievano di sottoporsi alla sua potestas. Nella sua forma più antica la famiglia romana presentava i caratteri tipici di una società prestatale: era un’unità economica, religiosa e politica. Una circostanza negativa per Roma nella prima età repubblicana è rappresentata dall’arrivo dei Volsci nel Lazio meridionale, all’inizio del V secolo a.C. L’agro pontino tornò sotto il controllo di Roma solo dopo circa un secolo. La calata dei Volsci nell’unico territorio che potesse fornire rifornimenti alimentari adeguati ha causato una serie di episodi di carestia e di tensione sociale. 3.20 La proprietà della terra in Roma arcaica La tradizione relativa alla prima assegnazione di lotti in proprietà privata, che risalirebbe a Romolo, se accettata, implica una ricostruzione, sul piano storico, delle vicende della proprietà terriera in Roma arcaica di questo tipo: la prima forma di proprietà era limitata solo alla casa e all’orto circostante (heredium=‘orto’), mentre da essa era esclusa la terra arabile e quella a pascolo. Oltre al termine heredium nelle fonti ne compare anche un altro, sors proprietà trasmissibile per via ereditaria, come sarà nel caso delle assegnazioni di terra data ai coloni romani in età repubblicana. 3.21 L’ideologia ‘indoeuropea’ nei racconti sulle origini di Roma «Indoeuropei» è una denominazione convenzionale di una popolazione vissuta in un’epoca molto remota (si pensa al III al IV o, addirittura, al VI millennio a.C.) in una regione che in genere si colloca, ma senza certezze assolute, nella grande pianura russa. In una data più recente, tra il III e il II millennio a.C., questi Indoeuropei si spostarono in varie direzioni, allontanandosi dalle loro sedi originarie. In genere imposero la loro lingua ai popoli conquistati, ma ne adottarono la scrittura. Nel corso del secondo millennio a.C. si segnalano Indoeuropei in Anatolia (si tratta degli Ittiti), in Grecia (sono i Micenei) e in Italia. Ma Indoeuropei sono anche gli antenati, che si stanziarono lungo la valle dell’Indo, degli Indiani odierni, così come sono lontani discendenti di questi medesimi Indoeuropei gli Iraniani, i Celti, gli Slavi e altri popoli ancora. Uno studioso francese, Georges Dumézil, ha cercato di ricostruire, attraverso il ricorso alla comparazione di realtà omogenee, per quanto lontane tra loro nel tempo e nello spazio, anche il pensiero, l’universo mentale degli Indoeuropei. L’idea centrale che informa la concezione del mondo degli Indoeuropei è quella che Dumézil chiamata «ideologia trifunzionale». Il presupposto è che dagli Indoeuropei le cose, il mondo, la società venissero colti, compresi, analizzati, classificati con riferimento costante a tre ambiti, o ‘funzioni’, distinte, ma tra loro complementari. Esse sono: la potenza del sovrano, che si manifesta secondo due aspetti, uno magico e l’altro giuridico; la forza fisica, in particolare quella del guerriero; la fecondità degli uomini, degli animali e della natura. Nel caso specifico della storia di Roma arcaica, Dumézil ha creduto di potervi rintracciare un’importante eredità indoeuropea in una notevole serie di episodi. Per esempio, ha accertato che la vicenda del ratto delle Sabine, che secondo la tradizione sarebbe avvenuto all’epoca di Romolo quando Roma rischiava l’estinzione per mancanza di donne, è costruito secondo uno schema di origine indoeuropea. Quanto a Servio Tullio, Dumézil ritrovava alcune caratteristiche attribuite dalla tradizione romana alla figura di questo re in un mitico sovrano indiano, soprattutto per quel che riguarda le modalità di acquisizione della regalità e l’opera di organizzazione del censo. In sostanza, secondo Dumézil, si tratterebbe, in tutti questi casi, di schemi narrativi e di scenari ereditati dal sostrato indoeuropeo, che ciascuna cultura ha poi attualizzato secondo propri parametri. 3.22 LA SCOPERTA DEL LAPIS NIGER La storia di Roma arcaica è stata scoperta e ricostruita grazie all’archeologia. → alla fine del XIX secolo si ebbero importanti ritrovamenti, soprattutto nel Foro. Infatti, nel gennaio del 1899, si scoprì una pavimentazione in marmo nero distinta dalla restante pavimentazione in travertino. Si pensò subito che fosse la Tomba di Romolo perché riportata in una fonte letteraria. Sotto al pavimento, inoltre, fu ritrovato un complesso monumentale arcaico che comprendeva un altare, che sorgeva da sotto una piattaforma. In una colonna vicino hanno scoperto un’iscrizione in latino molto arcaico e hanno scoperto che si trattava di una dedica fatta ad un re e nel caso qualcuno avesse violato il luogo, allora sarebbe andato incontro a delle pene terribili. Questo non significa che il ritrovamento del luogo sacro certifichi l’esistenza del primo re di Roma, ma è la prova dell’antichità della tradizione che ne faceva il fondatore della città. 3.23 LE ORIGINI DI ROMA SECONDO UN IMPERATORE ROMANO Pure gli stessi antichi trovarono difficoltà nella ricostruzione della tradizione sulle origini romane, tanto che Cicerone, attorno alle metà del I secolo, riconosce e definisce la storia romana più arcaica come “oscura”. Nel 48 d.C. Claudio pronunciò un discorso che venne inciso su una tavola di bronzo collocata nel santuario dedicato al culto imperiale nei pressi di Lione. In questo discorso venne enunciato in senato a favore dell’ammissione nell’assemblea di alcuni illustri rappresentati della provincia della Gallia Comata, per dimostrare l’apertura di Roma nei confronti degli stranieri. (questo discorso è presente anche negli “Annali” di Tacito. Nel testo ci sono alcuni esempi di re non romani e quelli citati sono: - Numa Pompilio (successore di Romolo che veniva dalla Sabina) - Tarquinio Prisco (con due genitori di origine diversi) - Servio Tullio (dell’Etruria) 3.24 LA GRANDE ROMA DEI TARQUINI Nella ricostruzione degli storici antichi, la regione del Lazio era molto condizionata dall’espansionismo romano. → Infatti, già nel VII secolo, Tullo Ostilio ha fatto passare sotto il controllo di Roma tutta la fascia compresa tra la città e il mare. → Anco Marcio prese altre località comprese nell’area citata sopra e questo portò alla conquista del prezioso possesso delle saline, che si trovavano sulla costa. Il secolo tra Tarquinio Prisco e la cacciata di Tarquinio il Superbo, ha un riscontro in un documento che lo storico Polibo afferma di aver visto nell’archivio pubblico di Roma. Questo testo può essere definito come primo trattato tra Roma e Cartagine e sosteneva che: i cartaginesi non avrebbero attaccato e si sarebbero tenuti lontani da tutte le città latine soggette a Roma. → Da questo testo si può dedurre che la crescita di Roma sotto i Tarquini fu molto rilevante e in questo periodo Roma è già la città più estesa del Lazio. Al Lazio arcaico si accerta un’omogeneità culturale, infatti Roma ha un ruolo molto importante sotto questo aspetto. o Ciascun centro preservava la sua identità specifica o Possedevano autonome capacità di ricezione di influenze esterne In recenti indagini, si è scoperto che le aree poste sotto al dominio romano avevano una densità abitativa molto alta, che si eguaglierà solo secoli dopo con la prima età imperiale. PARTE SECONDA: LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI CAP.1 - LA NASCITA DELLA REPUBBLICA 1.1 La tradizione storiografica sulla nascita della Repubblica La storiografia sulla nascita della Repubblica è rappresentata da: → Tito Livio → Dionigi di Alicarnasso La storia sostiene che Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re etrusco di Roma (ovvero Tarquinio il Superbo), violenta la giovane Lucrezia dopo che lei lo respinse. La ragazza racconta l’accaduto al padre e al marito, rispettivamente: Spurio Lucrezio e Lucio Tarquinio Collatino e subito dopo si suicidò. In seguito a questo fatto, scoppiò una rivolta che portò alla caduta della monarchia nel 510 a.C., mentre il re Tarquinio il Superbo era impegnato in delle operazioni militari e non fu in grado di rispondere con prontezza. Nell’anno seguente, ovvero nel 509 a.C., i poteri del re passano a due consoli e inizia ufficialmente la Repubblica. Ci fu un tentativo di restaurazione del potere di Tarquinio su Roma da parte di Porsenna, ovvero il re della città etrusca di Chiusi, ma non ci riuscì a causa del sentimento e dell’eroismo della nuova Repubblica. Ci sono vari particolari della storia che hanno creato dubbi negli storici sulla veridicità dell’accaduto, come: alcune incoerenze nella dettagliata narrazione, le incertezze che gli 2. La collegialità= ciascuno dei magistrati aveva eguali poteri e poteva dunque opporsi all’azione del collega qualora la giudicasse dannosa per lo Stato 3. Provocatio ad populum= la possibilità dei cittadini di appellarsi al giudizio contro le condanne inflitte dal console. Veniva ritenuto dagli antichi, il fondamento della libertà repubblicana anche se, non ebbe valore fino all’età tardorepubblicana. Alcuni studiosi hanno messo in dubbio la tradizione della massima magistratura repubblicana perché ritengono che in una prima fase, il potere del re, sia stato traferito ad un singolo magistrato. Solo dopo il Decemvirato del 450 a.C. o le leggi Licinie Sestie del 367 a.C., sarebbe stata creata la magistratura collegiale del consolato. Una delle prove a favore di questa teoria è l’infissione del chiodo nel tempio di Giove Capitolino ad opera del praetor maximus, perché, dal punto di vista grammaticale, questa espressione indica almeno tre praetores. Però è possibile che il singolare sia stato usato al posto del plurale (un uso che facevano spesso nella lingua giuridica romana) e che quindi si possa indicare uni dei due magistrati superiori dotati di eguali poteri. 1.6 Le altre magistrature La creazione di nuove magistrature deriva dalle crescenti esigenze da parte dello Stato di sollevare i consoli da alcune delle loro competenze. Al primo anno della Repubblica risalivano i questori che assistevano i consoli nella sfera delle attività finanziarie. Questa carica in seguito divenne elettiva. I quaestores parricidii erano incaricati di istruire i processi per i delitti di sangue che coinvolgessero parenti. Il reato di alto tradimento era invece competenza dell’apposito collegio dei duoviri perduellionis. Secondo la tradizione nel 443 a.C. il compito di tenere il censimento sarebbe stato sottratto alle competenze dei consoli e affidato a due nuovi magistrati, i censori. Questo compito, in seguito, assunse un rilievo sempre più politico. Solo, in seguito, un provvedimento di discussa datazione, ma che va comunque inquadrato tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C., affidò ai censori anche la redazione delle liste dei membri del senato. Da questa competenza si sviluppò probabilmente una generale supervisione sulla condotta morale dei cittadini, la cura morum, che conferiva ai censori ampi poteri di intervento su diversi aspetti della vita pubblica e privata. Di regola questi magistrati venivano eletti ogni 5 anni e la loro carica durava, anziché un anno, 18 mesi. 1.7 La dittatura Al dictator (un dittatore) venivano affidati supremi poteri della Repubblica. Egli non veniva eletto da un’assemblea popolare, ma nominato a propria discrezione da un console, da un pretore o da un interrex, su istruzione del senato. Il dittatore era assistito da un magister equitum (comandante della cavalleria) da lui personalmente scelto e a lui subordinato. La sua durata venne limitata ad un massimo di sei mesi, anche se ci si attendeva che il dittatore deponesse immediatamente la carica una volta che si fosse risolta la situazione di emergenza per la quale era stato nominato. L’originario titolo di magister populi, (comandante dell’esercito), e il fatto che in alcuni dei maggiori scontri della prima fase della Repubblica le truppe romane fossero comandate da un dittatore dimostrano come questo magistrato venisse nominato soprattutto per fronteggiare crisi militari. 1.8 I sacerdozi e la sfera religiosa A Roma non si può tracciare una distinzione netta tra cariche politiche e massime cariche religiose: la medesima persona poteva rivestire contemporaneamente una magistratura e un sacerdozio. Questo è uno dei uno dei tratti più caratteristici della Repubblica di Roma. Le tre supreme divinità della repubblica romana Giove, Marte e Quirino erano rappresentante rispettivamente dai flamines Dialis, Martialis e Quirinalis. Dodici flamini minori erano poi addetti al culto di altrettante divinità. I tre più importanti collegi religiosi erano quelli dei pontefici, degli àuguri e dei duoviri sacris faciundis. Il collegio dei pontefici era guidato da un pontefice massimo e costituiva la massima autorità religiosa dello Stato. Il collegio dei pontifices aveva anche il controllo sulla tradizione e l’interpretazione delle norme giuridiche, nonché sul calendario. Per tutta la prima e media età repubblicana si diveniva pontifex per cooptazione (venendo cioè scelto dagli altri membri del collegio) e a vita. Il collegio degli àuguri aveva invece la funzione di assistere i magistrati nel loro compito di trarre gli auspici e di interpretare la volontà degli dèi. L’autorevole parere degli àuguri riguardo a un vizio di forma nel rito o a una previsione ritenuta sfavorevole consentiva al senato o a un magistrato di bloccare immediatamente ogni procedimento. Per tale motivo le funzioni del collegio augurale avevano anche un’importante valenza politica. Infine, i duoviri sacris faciundis, erano incaricati di custodire i Libri Sibillini, un’antichissima raccolta di oracoli, in greco. Nel caso si verificassero prodigi nefasti, segno che il rapporto fra la città e gli dèi si era danneggiato, il senato poteva chiedere al collegio di consultare i Libri, per trovarvi un rimedio alla situazione. Accanto ai tre collegi sacerdotali maggiori si possono ricordare gli aruspici, al pari degli àuguri incaricati di chiarire la volontà divina. Una rilevante funzione in politica estera avevano i feziali, anch’essi riuniti in un collegio. La loro funzione meglio nota era quella di dichiarare guerra, attenendosi scrupolosamente al complesso cerimoniale previsto e assicurando così a Roma il favore degli dèi nel conflitto che si stava aprendo. Avevano un ruolo importante soprattutto nel trasmettere una richiesta di riparazioni o un ultimatum e nella conclusione di un trattato. 1.9 Il senato Il perno della nuova Repubblica a guida patrizia era formato dai capi delle famiglie nobili. Nel corso dell’età repubblicana la composizione del consiglio era decisa dai consoli prima, dai censori poi, che ne completavano i ranghi attingendo tra gli ex magistrati. Il principale strumento istituzionale che il senato aveva per influire sulla vita politica della Repubblica era costituito dalla auctoritas patrum, un diritto di sanzione posseduto già in età regia ma che non era mai stato applicato. La carica dei magistrati durava un solo anno mentre quella dei senatori era per tutta la vita. Nel senato, insomma, si concentrò l’esperienza politica della Repubblica e trovò espressione continuativa e compiuta la leadership politica dell’élite sociale ed economica di Roma, costituita prima dal patriziato e in un secondo momento dalla nobiltà patrizio- plebea. 1.10 La cittadinanza e le assemblee popolari Le assemblee popolari, oltre alle magistrature e al senato, sono il terzo pilastro sul quale si resse l’edificio istituzionale di Roma. Questi organismi non comprendevano tutta la popolazione dello Stato romano, erano composti da maschi adulti che godevano di liberi diritti civili e di diritto di cittadinanza. Un tratto caratteristico dell’assetto istituzionale di Roma è dato dall’esistenza non di un’unica assemblea ma di quattro organi: i comizi curiati, i comizi centuriati, i comizi tributi e i concili della plebe. I comizi curiati avevano compiti relativi al diritto familiare, rappresentavano l’assemblea delle gentes. Questa assemblea perse progressivamente di significato. La loro funzione più importante, quella di conferire ufficialmente i poteri ai nuovi magistrati, si ridusse ad una mera formalità: in effetti la lex curiata de imperio non venne più votata dalle 30 curie, ma dai 30 littori che le rappresentavano. L’assemblea più importante di Roma era costituita dai comizi centuriati, erano divisi in cinque classi in base al censo, la loro funzione più importante era quella elettorale: spettava infatti ai comitia centuriata l’elezione dei consoli e degli altri magistrati superiori; questa assemblea inoltre confermava ufficialmente i poteri dei censori. Una seconda importante rivendicazione di ordine politico era quella di un codice scritto di leggi, che ponesse i cittadini al riparo delle arbitrarie applicazioni delle norme da parte dei patrizi riuniti nel collegio dei pontefici. 2.3 Le strutture militari e la coscienza della plebe Vi è anche la progressiva presa di coscienza della propria importanza da parte della plebe. La relazione tra diritti politici e doveri militari ha un carattere strutturale. A Roma, le centurie infatti non furono solamente unità di voto all’interno dell’assemblea popolare, ma rimasero anche, per tutta la prima età repubblicana, unità di reclutamento dell’esercito. Ciascuna centuria doveva fornire il medesimo numero di reclute per l’esercito (dovevano essere 100 uomini). Le centurie delle prime classi di censo comprendevano un numero limitato di cittadini, dovevano sopportare il peso più consistente delle guerre, mentre i capite censi, in pratica privi di ruolo nell’assemblea centuriata, di regola furono esentati dal servizio militare durante tutta la prima e media età repubblicana. Nel V secolo a.C. si afferma definitivamente un nuovo modello tattico, secondo il quale fanti con armatura pesante (gli opliti) combattono l’uno a fianco dell’altro in una formazione chiusa, la falange. L’ordinamento oplitico-falangitico eclissa il modello di combattimento aristocratico. Il nerbo dell’esercito romano sarà d’ora in poi costituito dalla fanteria pesante, reclutata tra le classi di censo in grado di sostenere i costi dell’armamento oplitico, che rimase a lungo a carico dei singoli soldati e non dello Stato. È possibile che l’antichissimo esercito repubblicano si basasse sulla fanteria pesante fornita dalle centurie di iuniores delle prime tre classi di censo, mentre le forze armate della prima Roma repubblicana erano completate dalla cavalleria. È importante il fatto che la legione era reclutata su base censitaria, dunque indifferentemente tra aristocratici e gente del popolo, tra patrizi e plebei. 2.4 La prima secessione e il tribunato della plebe Il conflitto tra i due ordini si apre nel 494 a.C. La plebe, esasperata dalla crisi economica, ricorse a una sorta di sciopero generale che lascia la città priva della sua forza lavoro e, soprattutto, indifesa contro le aggressioni esterne. Questa forma di protesta venne attuata dalla plebe ritirandosi sull’Aventino. In occasione della prima secessione la plebe si diede propri organismi: un’assemblea generale, che dapprima votava per curie, poi, a partire forse dal 471 a.C., per tribù, ed è dunque nota col nome di concilia plebis tributa. L’assemblea poteva emanare dei provvedimenti, che prendevano il nome di plebiscita (‘decisioni della plebe’), che non avevano valore vincolante per lo Stato, ma solamente per la plebe stessa che li aveva votati. Quello di cui si è certi è che l’atto finale fu rappresentato dalla legge Ortensia del 287 a.C. Vennero poi scelti come rappresentanti ed esecutori della volontà dell’assemblea i tribuni della plebe, inizialmente forse in numero di due, anche se in seguito crebbero fino a raggiungere i dieci. Ai propri tribuni la plebe decise di riconoscere diversi poteri: il diritto di venire in soccorso di un cittadino contro l’azione di un magistrato (ius auxilii), dal quale si sviluppò il potere di porre il veto ad un qualsiasi provvedimento di un magistrato che sembrasse andare a scapito della plebe (ius intercessionis). Per dare forza concreta, la plebe accordò loro l’inviolabilità personale (sacrosanctitas). Chi avesse osato commettere violenza contro in rappresentanti della plebe sarebbe divenuto sacer, consacrato alla divinità; in altre parole, poteva essere messo a morte impunemente e le sue proprietà confiscate a favore del tempio. Abbiamo effettiva notizia di procedimenti contro reati che possono rientrare nella categoria delle offese alla plebe, e che prevedevano una sanzione pecuniaria. I tribuni ebbero infine il potere di convocare e presiedere l’assemblea della plebe e di sottoporre ad essa le proprie proposte (ius agendi cum plebe). Nel corso della prima secessione vennero creati altri due rappresentanti della plebe, gli edili plebei, che nella tarda età repubblicana si occupavano dell’organizzazione dei giochi, della sorveglianza sui mercati, del controllo sulle strade, i templi e gli edifici pubblici. È probabile, dunque, che gli edili plebei originariamente fossero i custodi del tempio di Cerere, Libero e Libera nel quale venivano conservate le somme delle multe inflitte a coloro che avevano recato offesa alla plebe. La prima secessione approdò ad un risultato essenzialmente politico, il riconoscimento da parte dello Stato dell’organizzazione interna della plebe, con la sua assemblea e i suoi rappresentanti. Il problema dei debiti rimase insoluto. Nel 486 a.C. il console Spurio Cassio propose una legge per la ridistribuzione delle terre. Ad ogni buon conto, Cassio venne accusato di aspirare alla tirannide ed eliminato. Le vicende della prima secessione plebea e del tentativo rivoluzionario di Sp. Cassio mettono in luce due tratti caratteristici del confronto tra patrizi e plebei. In primo luogo, la protesta, nata in particolare da motivazioni economiche, raggiunge un risultato politico. Il fallimento di Sp. Cassio ci mostra inoltre come la plebe non intendesse certo giungere ad una rivoluzione dell’assetto economico e istituzionale dello Stato, ma aspirava piuttosto ad una riforma dall’interno dell’ordinamento vigente, che riservasse il giusto peso a tutte le componenti della cittadinanza. 2.5 Il Decemvirato e le leggi delle XII Tavole La plebe incominciò a premere affinché fosse redatto un codice di leggi scritto. Nel 451 a.C. venne nominata una commissione composta da dieci uomini (nota col nome di Decemvirato), esclusivamente scelti tra il patriziato e incaricati di stendere in forma scritta un codice giuridico. Anche se la funzione del Decemvirato era primariamente legislativa, il nuovo collegio avrebbe assunto il controllo completo dello Stato: le tradizionali magistrature repubblicane, in particolare il consolato e il tribunato della plebe, vennero sospese e si decise che la commissione non sarebbe stata soggetta al diritto d’appello. Nel corso del primo anno di attività i decemviri compilarono un complesso di norne che vennero poi pubblicate su dieci tavole di legno esposte nel Foro. Venne dunque eletta per il 450 a.C. una seconda commissione decemvirale, nella quale, sarebbe stata rappresentata anche la plebe. Nel corso di questo secondo anno i decemviri avrebbero completato la loro opera con altre due tavole di leggi, portando il totale di dodici, il che spiega il nome di leggi delle XII Tavole. Tra le disposizioni perse nel 450 a.C. vi era anche quella che impediva i matrimoni misti tra patrizi e plebei. La commissione, tuttavia, sotto la spinta di Appio Claudio, cercò di prorogare indefinitamente i propri poteri assoluti, rivoluzionando completamente l’assetto costituzionale dello Stato. Il tentativo si scontrò con l’opposizione della plebe e degli elementi più moderati del patriziato, guidati da Marco Orazio e Lucio Valerio. Le insidie portate da Appio Claudio a Virginia provocano una seconda secessione, a seguito della quale i decemviri sono costretti a deporre i loro poteri. Il consolato è ripristinato e nel 449 a.C. M. Orazio e L. Valerio, fanno approvare un pacchetto di leggi in cui si riconosce l’apporto della plebe nella lotta contro il tentativo rivoluzionario dei decemviri: vi si ribadisce l’inviolabilità dei rappresentanti della plebe vincolanti per l’intera cittadinanza. La norma che proibiva i matrimoni tra patrizi e plebei viene abrogata pochi anni dopo, nel 445 a.C. Per comprendere i caratteri dell’azione dei Decemviri ci rimane soprattutto il contenuto delle leggi delle XII tavole. Nelle XII tavole è ravvisabile un’influenza del diritto greco, che le fonti antiche giustificano ricordando come un’ambasceria si fosse recata da Roma ad Atene nel 454 a.C., per studiare la legislazione di Solone. 2.6 Tribuni militari con poteri consolari Il plebiscito fatto votare da M. Canuleio, riconoscendo la legittimità dei matrimoni misti tra patrizi e plebei, ebbe come conseguenza di rimuovere la principale obiezione che il patriziato aveva opposto all’accesso dei plebei al consolato. A seguito del plebiscito Canuleio, il sangue delle famiglie plebee poteva mescolarsi con quello delle stirpi patrizie. A partire dal 444 a.C., di anno in anno, il senato decide se alla testa dello Stato vi debbano essere due consoli, con il diritto di prendere gli auspici e provenienti esclusivamente dal patriziato, oppure un certo numero di tribuni militari con poteri consolari (tribuni militum consulari potestate), inizialmente tre, poi sempre più spesso quattro o addirittura sei, che possono anche essere plebei, ma non hanno il potere di trarre gli auspici. Il nuovo ordinamento istituzionale rimane in vigore fino al 367 a.C. Creando il tribunato consolare accessibile alla plebe, i patrizi di fatto perdevano comunque il controllo sulla massima magistratura repubblicana, raggiungendo così un risultato opposto a quello che la loro riforma si proponeva di conseguire. Inoltre, difficilmente si riesce a comprendere per quale motivo il primo tribuno militare con poteri consolari di condizione plebea sia stato eletto solamente nel 400 a.C. Tra le diverse spiegazioni, una delle più lineari ritiene che, nel periodo 444-367 a.C., i consoli non siano stati sostituiti, m affiancati dai tribuni consolari: in altre parole, i due consoli, in possesso del diritto agli auspicia ed esclusivamente patrizi, sarebbero stati assistiti nei loro compiti, che andavano facendosi sempre più gravosi, da alcuni dei tribuni militum, i comandanti dei reparti che componevano le legioni, dotati per l’occasione di poteri equiparati a quelli dei consoli. Il tribunato militare doveva essere, già nel V secolo a.C.., accessibile ai plebei: tuttavia di fatto i patrizi, fino al 401 a.C., riuscirono a riservare i poteri consolari unicamente ai tribuni militum provenienti dal loro ordine. Nel 440 a.C. Spurio Melio, un ricco plebeo, intervenne per rimediare agli effetti di una carestia distribuendo a proprie spese un forte quantitativo di grano ai poveri. Questa misura venne intesa come una mossa demagogica per assumere la tirannide: Melio venne dunque giustiziato sommariamente. 2.7 Le leggi Licinie Sestie Nel 387 a.C., il territorio di Veio e di Capena, viene suddiviso in piccoli appezzamenti e distribuito ai cittadini romani, con la creazione di ben quattro nuove tribù territoriali. Pare che il provvedimento non sia stato sufficiente ad alleviare la crisi economica: pochi anni dopo, il patrizio M. Manlio Capitolino, eroe della resistenza contro i Galli, propose una riduzione o la totale cancellazione dei debiti e una nuova legge agraria. Ancora una volta, davanti alla minaccia della tirannide si rinsaldò un fronte patrizio-plebeo, che portò alla rapida liquidazione di Capitolino. Qualche anno dopo lo sfortunato tentativo di Capitolino (376 a.C.), l’iniziativa ritornò ai riformisti, in particolare ai tribuni della plebe Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano, esponenti di due ricche ed influenti famiglie plebee. Licinio e Sestio presentarono un ambizioso pacchetto di proposte concernenti il problema dei debiti, la distribuzione delle terre di proprietà statale e l’accesso dei plebei al consolato. I patrizi resistettero, riuscendo a guadagnarsi per più anni l’appoggio di un qualche tribuno della plebe; d’altra parte, Licinio e Sestio, regolarmente rieletti per diversi anni consecutivi al tribunato, non mostrarono alcuna intenzione di cedere. Dopo una fase di anarchia politica, nel 367 a.C. il vecchio Marco Furio Camillo, eroe della guerra contro Veio e senza antenati nobili, venne coniata una definizione specifica, Homines Novi. In effetti, prima di intraprendere una carriera politica, un giovane romano doveva servire per almeno 10 anni nella cavalleria, che era reclutata nelle 18 centurie, dette appunto dei cavalieri, che costituivano il vertice dell’ordinamento centuriato. Il censo minimo per fare parte era pari a quello richiesto per la I classe, cioè 100.000 assi; in seguito, tale limite venne elevato per gli equites a 1.000.000 di assi: per intraprendere la carriera politica a Roma si doveva appartenere ad una delle famiglie più facoltose. Ma il denaro da solo non era sufficiente: le assemblee elettorali erano controllate dai nobili attraverso i propri clienti: per avere successo nelle elezioni era indispensabile ereditare la rete di clientele paterne o, nel caso degli homines novi, godere del patronato politico di un qualche nobile influente. CAP.3 – LA CONQUISTA DELL’ITALIA 3.1-3.5 da “La situazione del Lazio alla caduta della monarchia” a “L’invasione gallica” Alla caduta della monarchia etrusca Roma controllava un territorio che si estendeva dal Tevere alla regione Pontina, dopo le conquiste, ma anche dell’accorta politica matrimoniale condotta dai re etruschi. Nel primo trattato romano-cartaginese, i Cartaginesi si impegnavano a non attaccare Ardea, Anzio, Lavinio, Circei e Terracina e ogni altra città del Lazio soggetta a Roma; mentre le città latine non soggette a Roma, se un esercito punico le avesse conquistate avrebbe dovuto consegnarle all'alleato. Tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C. questa lunga e faticosa realizzazione rischiò seriamente di crollare; le città latine approfittarono infatti delle difficoltà interne di Roma per affrancarsi dalla sua egemonia. Le città latine si strinsero in una lega i cui membri condividevano alcuni diritti, forse ricordo di un’originaria unità etnica del popolo latino, precedente alla creazione delle diverse città-stato: lo ius connubii, il diritto di contrarre matrimoni legittimi con cittadini di altre comunità latine, lo ius commercii, il diritto di siglare contratti aventi valore legale fra cittadini appartenenti a comunità diverse, utilizzando strumenti formali propri del diritto cittadino e infine lo ius migrationis, grazie al quale un latino poteva assumere i pieni diritti civici in una comunità diversa da quella in cui era nato semplicemente prendendovi residenza. La Lega latina diede buona prova sul campo di battaglia sconfiggendo insieme ad Aristodemo di Cuma, Arrunte, nella già ricordata battaglia di Aricia. Qualche anno dopo la Lega tentò di affermarsi definitivamente attaccando Roma; la guerra sarebbe stata suscitata da Ottavo Mamilio di Tusculo, con la speranza di ricollocare sul trono di Roma il proprio suocero, Tarquinio il Superbo. In una leggendaria battaglia combattuta nel 496 a.C. sul lago Regillo i Romani sconfissero le forze congiunte della Lega. Tra gli esiti dello scontro si ebbe l’uscita di scena di Tarquinio, che finì i suoi giorni a Cuma, presso Aristodemo, la conclusione del trattato avrebbe regolato i rapporti tra Roma e i Latini per i successivi 150 anni. Il trattato, siglato nel 493 a.C. da parte romana dal console di quell’anno Sp. Cassio, noto come trattato Cassiano (foedus Cassianum), prevedeva un accordo bilaterale tra Roma e la Lega latina dove le due parti si impegnavano sia a mantenere tra di loro la pace e a comporre eventuali dispute commerciali, ma anche a prestarsi aiuto nel caso in cui una delle due parti fosse stata attaccata; l’eventuale bottino delle campagne di guerra comuni sarebbe stato equamente suddiviso. Gli alleati si riconoscevano i diritti all’interno della Lega latina: ius connubii, ius commercii e ius migrationis. Tra gli strumenti più efficaci con i quali gli alleati riuscirono a consolidare le proprie vittorie militari e a distribuire equamente i frutti della conquista è la fondazione di colonie sul territorio strappato ai nemici. I cittadini dei nuovi centri provenivano sia da Roma, sia dalle altre comunità latine; spesso venivano inglobati anche gli abitanti originari della località colonizzata che non erano caduti in guerra o non erano stati scacciati dalle loro sedi. Le fonti pervenute, tuttavia, sopravvalutano il ruolo avuto da Roma in queste fondazioni, definendole come colonie romane. Si deve più correttamente parlare di colonie latine, dal momento che le nuove città entravano a far parte della Lega latina e godevano dei diritti corrispondenti. Nel 486 a.C. Roma completò il suo sistema di alleanze stringendo un accordo con gli Ernici, una popolazione che abitava la valle del fiume Sacco, a sud-est di Roma, in un territorio incuneato tra i due popoli ostili degli Equi e dei Volsci. L’alleanza stretta tra la Lega Latina e gli Ernici si rivelò preziosa per fronteggiare la minaccia proveniente da tre popolazioni, che dagli Appennini premevano verso occidente e verso Sabini, Equi ed i Volsci. Questo movimento faceva parte di un moto più generale, che coinvolse tutta l’Italia centro-meridionale verso la fine del VI secolo a.C. e l’inizio del secolo seguente. Le sedi originarie (regioni più impervie dell’Appennino centrale e meridionale) non sono state in grado di assicurare la sopravvivenza di una popolazione con un forte indice di crescita demografica; l’unica soluzione risiedeva nella migrazione verso le terre più fertili, che assume la forma di ‘primavera fertile’ o ‘ver sacrum’. In anni di carestia tutti i prodotti dell’anno venivano consacrati alle divinità, i bambini nati in quell’anno, una volta raggiunta la maturità dovevano migrare in un’altra regione seguendo le indicazioni di un animale; ad esempio, i Piceni sarebbero giunti sulla costa adriatica seguendo un picchio da cui poi avrebbero preso il nome. Nel V secolo a.C. ci furono una serie di conflitti tra Roma e le popolazioni montanare, Equi e Volsci. Spesso l’esito fu favorevole a Roma e ai suoi alleati, ma non si giunse ad una svolta definitiva. I Volsci occuparono tutta la pianura Pontina e le città latine di Terracina, Circei, Anzio, Cora e Velletri. Nell’area dei colli Albani, l’avanzata dei Volsci si saldò con gli Equi, i quali avanzarono conquistando la regione dei monti Preneste, e minacciando Tuscolo; mentre i Sabini minacciarono direttamente Roma. Roma si trovò a fronteggiare, da sola, la potente città etrusca di Veio, rivale nel controllo delle vie di comunicazione lungo il basso corso del Tevere e delle saline. Il contrasto tra Roma e Veio attraversò il V secolo a.C. e si concluse all’inizio del secolo seguente, sfociò in tre guerre. Nella prima, 483-474 a.C., i Veienti riuscirono a segnare un punto a loro favore occupando la riva ‘latina’ del Tevere, Fidene. Il tentativo di reazione di Roma finì in tragedia essendo che l'esercito di circa 300 soldati venne annientato sul fiume Cremera; a seguito della vittoria, Veio si vide riconoscere il possesso su Fidene. Nella seconda guerra, 437-426 a.C., i Roamni riuscirono a vendicare la sconfitta, il romano Aulo Cornelio Cosso uccise il tiranno di Veio, Lars Tolumnio, Fidene venne conquistata ed infine distrutta dai Romani. Nella terza guerra, 405-396 a.C., Veio venne assediata per 10 anni dai Romani, alla fine del lungo assedio la città venne presa e distrutta, Veio scontò il particolarismo delle altre città etrusche che non le prestarono alcun soccorso o si schierarono dalla parte di Roma; gli unici aiuti vennero da Capena e Falerii. La presa di Veio segnò una svolta importante per Roma: il lunghissimo assedio aveva tenuto per molti anni i soldati romani lontani dai loro campi. Per questo si introdusse la paga, detta stipendium. Proprio per far fronte alle accresciute spese militari venne introdotta una tassa straordinaria, tributum, Ogni centuria doveva versare la medesima somma; infatti, la tassazione colpiva più pesantemente le classi di censo più facoltose; A maggiroi poteri politici nell’assemblea centuriata finirono per corrispondere maggiori obblighi militari e fiscali. Nei decenni precedenti, i Galli si insediarono nell’Italia settentrionale. L’ultima tribù che entrò in Italia fu quella dei Senoni, che nel 390 a.C. invasero l’Italia centrale e attaccarono Roma. L’esercito romano frettolosamente arruolato per affrontarli, più che essere sconfitto, si dissolse letteralmente al primo contatto avvenuto sull’Allia, un piccolo affluente del Tevere, e si rifugiò tra le rovine di Veio. Roma, rimasta priva di difese, venne presa e saccheggiata. le rovine di Veio. Roma, rimasta priva di difese, venne presa e saccheggiata. Poi i Galli, paghi del bottino conquistato e, forse, del riscatto pagato loro dai Romani, scomparvero tanto rapidamente quanto erano comparsi, forse in cerca di nuove imprese. Pochi mesi dopo, il tiranno Dionisio di Siracusa arruolò mercenari celtici per la guerra che voleva condurre contro le città greche dell’Italia meridionale. 3.6. La ripresa 390 a. C: la rapidità con la quale Roma si riprese dall’invasione dei Galli diede un nuovo impulso per l’espansione della politica estera. L’atteggiamento di Roma è improntato ad un’azione offensiva con a capo Camillo (figura dominante in questi decenni): 387 a. C.: avviene la distribuzione ai cittadini romani del vasto e fertile territorio del Veio, organizzato in 4 nuove tribù, inizia la costruzione delle mura serviane per proteggere la città da nuove incursioni galliche. 381 a.C.: la città latina di Tusculo viene annessa al territorio romano. La città conserva le sue strutture di governo e la sua autonomia interna ma agli abitanti vengono assegnati i medesimi diritti e doveri dei cittadini romani. Tuscolo diviene quindi il primo MUNICIPIUM (termine che si userà per designare le comunità indipendenti incorporate allo Stato romano). 358 a. C.: I Volsci sono costretti a cedere la piana Pontina e gli Ernici parte del loro territorio nella valle del fiume Sacco: in entrambi i territori vengono insediati cittadini romani iscritti in 2 nuove tribù 354 a.C.: vengono sconfitte da parte dei romani le due città latine più potenti Tivoli e Preneste. Gli Etruschi sentendosi minacciati si vedono costretti a siglare una lunga tregua. 3.7. Il primo confronto con i Sanniti 354 a.C.: si conclude il trattato tra Roma e i Sanniti: il confine tra le zone di egemonia delle due potenze viene fissato al fiume Liri. Sanniti: occupavano un’area più estesa di quella di Roma: si estendeva lungo la catena appenninica centro-meridionale tra i fiumi Sangro e Ofanto; un’area montuosa che però consentiva lo sfruttamento agricolo, favorevole alla pastorizia. Il territorio del Sannio era incapace di sostenere una forte crescita demografica per cui servivano nuovi territori per espandersi. tribù, allacciano i rapporti con la comunità dell’Apulia e della Lucania per isolare la Lega Sannitica. 316 a.C. si riaccendono le ostilità a causa dei Romani che attaccano la località di Saticula (odierni confini tra Campania e il Sannio): - I Sanniti nel primo anno vincono a Lautulae (vicino a Terracina) e interrompono momentaneamente le comunicazioni tra Lazio e Campania - Roma inizia a recuperare il terreno perduto: nel 315 a.C. conquista Saticula e Fregelle, si ristabiliscono le comunicazioni con la Campania e vengono migliorate con la costruzione del primo tratto della Via Appia (Roma-Capua) - Varie colonie latine iniziano a stringere il Sannio in una sorta di assedio - Roma in questi anni prepara il suo esercito per il confronto finale con i Sanniti: la legione militare viene suddivisa in 30 reparti (manipoli) riunione di 2 centurie. La legione in guerra viene schierata su tre linee ciascuna composta da 10 manipoli. I primi ad affrontare il nemico erano i principes, poi gli hastati e infine i triarii, in questo modo l’ordinamento manipolare era più flessibile per le regioni montuose dell’Italia centro-meridionale; cambia anche l’equipaggiamento dei legionari (scudo rettangolare e giavellotto) - Roma riesce così a fronteggiare la minaccia su due fronti a sud i Sanniti e a nord contro una coalizione di Stati etruschi la tregua avverrà nel 308 a.C. con loro. - Roma conquista Boviano, uno dei centri maggiori dei Sanniti - 304 a.C. c’è la pace. Viene rinnovato il trattato di pace tra Roma e i Sanniti: Roma ottiene dei vantaggi nella zona degli Appennini centrali, gli Ernici vengo o inglobati nello Stato romano come cittadini senza diritto di voto, gli Equi sterminati e nel loro territorio si insedia una nuova tribù di cittadini romani. Le popolazioni minori osco-sabelliche dei Marsi, dei Peligni, Marrucini, Frentani e Vestini (odierno Abruzzo) furono costrette a concludere trattati di alleanza con Roma. 3.10 La terza Guerra Sannitica 298 a.C. si riapre lo scontro con Roma: - I Sanniti attaccano i Lucani, i Romani accorrono prontamente in aiuto di questi - Il comandante supremo dei sanniti Gellio Egnazio era riuscito a mettere in piedi una potente coalizione antiromana che comprendeva anche gli Etruschi, i Galli e gli Umbri - 295 a.C. a Sentino (confini attuali Umbria e Marche) ci fu lo scontro decisivo. Gli eserciti riuniti dei due consoli romani Quinto Fabio Rulliano e Publio Decio Muro prevalgono sui Sanniti e sui Galli - 293 a.C. i Sanniti vengono ancora sconfitti ad Aquilonia e sono costretti ad assistere impotenti alla devastazione del Sannio - 290 a.C. i sanniti sono costretti a chiedere la pace - 283 a.C. a nord ci fu un tentativo dei Galli e di alcune città etrusche di penetrare nell’Italia centrale, l’attacco viene bloccato dai romani nella battaglia del lago Vadimone - 290 a.C. inizia la marcia di Roma verso l’Adriatico, vengono sconfitti i Sabini e i Petruzzi (popolazione nell’Abruzzo settentrionale) e parte del loro territorio confiscato per la colonia latina di Hadria (Atri), ai Sabini venne concessa la cittadinanza senza diritto di voto. - 268 a.C. venne fondata la colonia latina Rimini, in questo modo porta Roma ad affacciarsi alla pianura Padana - 269 a.C. I Piceni (attuali Marche centro-meridionali) tentano una disperata guerra contro Roma ma pochi anni dopo sono costretti alla resa. Ascoli mantiene la propria autonomia come la città greca di Ancona - 264 a.C. la conquista del Piceno da parte dello Stato romana è consolidata con la creazione di una colonia latina a Fermo Il risultato di queste operazioni militari portano i confini di Roma dall’Arno fino a Rimini. 3.11 LA GUERRA CONTRO TARANTO E PIRRO La situazione nel Mezzogiorno d’Italia: - I Sanniti: non erano stati domati. - Lucani e Bruzi: conservavano la loro indipendenza. - Taranto, la più ricca e potente città greca dell’Italia, conservava anch’essa la sua indipendenza. - Turi, città greca che sorgeva sulle rive calabresi del golfo, era minacciata dai Lucani. Le motivazioni della guerra di Taranto: Turi chiese aiuto a Roma la quale, secondo un trattato del IV sec. A. C., si era impegnata a non oltrepassare, con le sue navi da guerra, il capo di Lacinio a sud di Crotone, quindi, a non penetrare nelle acque di Taranto. Nonostante ciò, per difendere Turi, i Romani insediarono in città una guarnigione e, in sfida, inviarono una flotta davanti le acque di Taranto. La Taranto democratica e ostile all’aristocrazia attaccò le navi romane, marciò su Turi espellendo la guarnigione e l’aristocrazia. Ignorò le richieste di Roma e la guerra fu inevitabile. Tattiche: Taranto ricorse al generale di grandi ambizioni e qualità, Pirro, re dei Molossi in Epiro, zona che si trova sulla costa adriatica antistante la Puglia e corrisponde alla Grecia nord- occidentale e all’Albania meridionale. Pirro, come in una crociata, si mosse in difesa dei Greci contro i barbari romani e cartaginesi (perché voleva arrivare alla Sicilia) con l’appoggio delle potenze elleniste. Per giustificare l’attacco alla Roma troiana e la sua rivendicazione alla ripresa dei progetti di conquista dell’Occidente: - propagandò la sua discendenza da Achille e da alcune parentele Italiane e Siciliane: Pirro era imparentato con Alessandro il Grande, che voleva l’Occidente, perché la madre, Olimpiade, apparteneva alla casata reale dei Molossi. - Pirro era sposato con Lanassa, figlia di Agatocle, re di Siracusa. Con la morte di Agatocle, crollò la sua egemonia nella Sicilia orientale e nell’Italia meridionale e Pirro voleva riprenderla. Gli schieramenti: Pirro, nel 280 a. C., sbarcò in Italia con 25.000 soldati e 20 elefanti e in più contava sulle truppe di Taranto. Roma per affrontare questo schieramento schierò anche, i Capite Censi: i nullatenenti (sempre esonerati) La Guerra: In Lucania, ad Eraclea, i Romani subirono una sanguinosa sconfitta dovuta all’effetto psicologico degli elefanti e alle abilità di Pirro che comunque ebbe molte perdite nel suo esercito. Con questa battaglia: - I Lucani - I Bruzi - Le città greche e - I Sanniti (alla loro quarta volta contro i Romani) si schierano con Pirro che volle suscitare una ribellione tra gli alleati di Roma nell’Italia centrale per farli alleare agli Etruschi, ma non ci riuscì. Siccome l’esercito di Pirro era inefficiente per assediare Roma ben difesa dalle mura, questi decise di intavolare la trattativa della pace mandando a Roma Cinea per chiedere: - Libertà e autonomia per le città greche dell’Italia - La restituzione dei territori strappati a Lucani, Bruzi, Sanniti. che furono respinte dopo l’intervento di Appio Claudio Cieco. Roma, con l’aiuto delle città greche dell’Italia meridionale, formò una flotta quinquiremi che portò, grazie a Caio Duilio, alla conquista di Milazzo. Roma decise così di attaccare Cartagine nei suoi possedimenti africani nel 256 dove le prime operazioni in Africa furono favorevoli, ma il console Marco Attilio Regolo, nelle trattative di pace, impose dure condizioni che inasprirono ancora di più Cartagine. Regolo fu battuto da un esercito cartaginese comandato da Santippo, mercenario spartano. Al ritorno, la flotta romana incappò in una tempesta e perse buona parte delle navi, si allontanò così la possibilità di una rapida conclusione della guerra. Roma, aveva un’unica strada, entrare via mare soprattutto a Trapani e Lilibeo. Nel 249 a seguito della sconfitta della battaglia navale a Trapani e di un altro naufragio, Roma era priva di forze navali e di mezzi. Provarono ad attaccare, Trapani e Lilibeo, via terra con azioni brillanti del nuovo generale Amilcare Barca, ma che non riuscirono a chiudere la guerra. Dopo qualche anno, Roma riuscì a costruire una nuova flotta di 200 quinquiremi grazie ad un prestito di guerra dai cittadini più facoltosi. Questo prestito sarebbe stato restituito con in caso di vittoria. La flotta, comandata dal console Caio Lutazio Catulio, riuscì a bloccare la flotta dei cartaginesi che si stringeva intorno a Trapani e Lilibeo, con una vittoria alle isole Egadi nel 241. Cartagine si arrese con l’obbligo di liberare le terre della Sicilia e le isole Lipari e Egadi e il pagamento di un indennizzo di guerra. 4.2 La prima provincia romana Roma venne così in possesso della Sicilia centro-occidentale, terre fuori dalla penisola, che integrò con un nuovo sistema istituzionale. Alle comunità liberate dai Cartaginesi, Roma impose - il pagamento di un tributo annuale, il versamento di un decimo della produzione della produzione di cerali di cui era grande produttrice. - Annualmente veniva mandato sull’isola un magistrato romano (uno dei quattro questori della flotta), a cui vennero affidate: 1. L’amministrazione della giustizia 2. Il mantenimento dell’ordine interno 3. La difesa dalle aggressioni esterne. Dal 227 vennero eletti due nuovi pretori, questi magistrati andarono uno in Sicilia e uno in Sardegna (prox capitolo). Da questo momento con il termine PROVINCIA, che originariamente indicava la sfera di competenza di un magistrato, viene ad assumere il significato di territorio. La prima provincia romana non si estendeva sull’intera isola, poiché esistevano ancora alcuni Stati indipendenti: Regno siracusano di Ierone e la città alleata di Messina. 4.3 Tra le due guerre Fine I (241 a.C.) – scoppio II guerra punica → consolidamento di Roma e Cartilagine in vista dello scontro decisivo. Per Cartilagine i primi anni dopo la guerra furono drammatici: - La città non era in grado di pagare le numerose truppe mercenarie - I mercenari si ribellarono coinvolgendo alcune popolazioni dell’Africa settentrionale - Rivolta → soffocata a caro prezzo da Amilcare Barca Quando i Cartaginesi allestirono una petizione per riprendere la Sardegna si dovettero scontrare con l’opposizione di Roma. Furono accusati di prepararsi ad aprire le ostilità contro Roma stessa, che si disse pronta a dichiarare guerra. I Cartaginesi non potevano affrontare un nuovo conflitto → pagarono un risarcimento e cedettero la Sardegna, che insieme alla Corsica andò a formare la seconda provincia romana dopo la Sicilia (237 a.C). Pochi anni dopo Roma intervenne anche nell’Adriatico. Qui il regno di Illiria aveva esteso la sua influenza arrecando danni alle città greche e a numerosi mercanti italici. In risposta alle loro richieste di aiuto, il senato inviò proteste alla regina degli Illiri, Teuta, che rifiutò di far cessare le azioni ostili dei suoi sudditi e dichiarò guerra (229 a.C) I guerra illirica → si risolse rapidamente a favore di Roma II guerra illirica → scoppiò a seguito di altri atti ostili. Fu di poco conto dal punto di vista militare. Si gettarono però le premesse per un’ostilità tra Roma e la Macedonia. Conquista Italia settentrionale → avviata tra le due guerre puniche è conclusa nel II secolo a.C. L’attenzione per questa zona venne richiamata da un’incursione di Galli che si arrestò nel 236 a.C. Quattro anni dopo → tribuno della plebe Caio Flaminio propose di distribuire ai cittadini l’ager Gallicus (una regione). Legge Flaminia → fu una delle cause della guerra gallica che scoppiò poco dopo Scontro → due principali popolazioni della Gallia Cisalpina, i Boi e gli Insubri ottennero appoggio di truppe provenienti dalla Transalpina, i Gesati. Galli Cenomani e Veneti → si schierarono dalla parte di Roma I Galli vennero annientati a Telamone Roma si rese conto che la conquista della valle Padana era possibile è necessaria per evitare incursioni galliche. Breve campagna → vittoria sugli Insubri a Casteggio nel 222 a.C. con conquista di Mediolanum (Milano. Dopo la vittoria nella seconda guerra punica Roma: - procedette alla sottomissione della pianura padana → territorio vasto e fertile - fondò numerose colonie → ricordare Aquileia - costruì una rete stradale → fondamentale per organizzazione e consolidamento della conquista - Cartagine invece cercava di costruire una nuova base per la sua potenza in Spagna → conquista della Spagna potrebbe apparire quasi affare privato della famiglia Barca: operazioni condotte prima da Amilcare, poi genero Asdrubale infine figlio di Amilcare, Annibale. Avanzata dei Barca destò allarme della città greca di Marsiglia di cui Roma era alleata. 226 a.C → trattato per cui i Cartaginesi non potevano attraversare a nord il fiume Ebro In Livio si afferma che il fiume venne riconosciuto come confine tra le zone di influenza dei due Stati, implicando dunque che anche i Romani si fossero impegnati a non superare il fiume da Sud. Trattato di alleanza tra Roma e Sagunto che si trova a sud dell’Ebro → potenziale elemento di contrasto tra Roma e Cartagine. 4.4 La seconda guerra punica Sconfitta del 241 a.C e umiliazione subita → avevano creato a Cartagine sentimento di rivincita, soprattutto nella famiglia Barca. Questione di Sagunto → sfruttata da Annibale per far esplodere il conflitto Alle prime minacce, i Saguntini chiesero aiuto a Roma→ risposta senato non fu pronta Roma pronta per la guerra → quando Annibale aveva già espugnato Sagunto Piano di Annibale → rischioso. Doveva colpire Roma nella base della sua potenza, cercando di staccarla dai alleati italici Dopo trattato di pace i Cartaginesi avevano inferiorità nelle forze navali → invasione poteva avvenire solo via terra. 218 a.C → Annibale parte con imponente esercito, rafforzato da truppe spagnole. Fiume Trebbia → primo grande scontro, Annibale sconfigge truppe di Scipione e Tiberio Anno seguente → Annibale elude eserciti Romani che volevano fermarlo L’esercito romano venne annientato e a Roma si pensava fosse impossibile sconfiggere Annibale in campo aperto Secondo la strategia di Quinto Fabio Massimo, nominato dittatore: - Evitare battaglie campali - Controllare mosse di Annibale - Impedire che giungessero aiuti da Cartagine o dalla Spagna → scarsità di mezzi e uomini lo avrebbe costretto ad arrendersi (motivo per cui Massimo Fabio fu detto Cunctator (“il temporeggiatore”) Scaduti 6 mesi della sua sazdittatura → Roma decise di attaccare 216 a.C → Annibale annienta eserciti congiunti di Varrone e Paolo nella piana di Canne, presso Canosa → capolavoro arte militare 215 a.C → Romani scoprono un patto di alleanza tra Annibale e Filippo V di Macedonia Nel frattempo, le cose volgevano al meglio per Roma 212 a.C → forze romane conquistano Siracusa Nell’Adriatico → prima guerra macedonica → Roma blocca l’azione del Re macedone Svolta decisiva della guerra in Spagna → Scipione Africano nel 209 a.C si impadronì della principale base cartaginese e sconfisse il fratello di Annibale, Asdrubale e gli eserciti cartaginesi 205 a.C. → Scipione fu eletto console ed iniziò i preparativi per l’invasione dell’Africa: di importanza fondamentale per Roma l’alleanza con Massinissa, re della tribù numida dei Massili, in rivolta contro Cartagine. 204 aC. → sbarco in Africa, nell’anno seguente importante vittoria nella battaglia dei Campi Magni → La battaglia che pose fine al conflitto si svolse nel 202 a.C. nei pressi della città di Zama: vittoria ai Romani. Antioco III di Siria --> costretto a scappare mentre il nuovo governo giura fedeltà a Roma. Un elemento potenziale di disturbo della situazione africana è costituito dalle dispute di confine con Massinissa di Numidia, che nel corso della prima metà del II secolo a.C. avanza pretese sempre più ambiziose sui territori appartenenti a Cartagine. Secondo i trattati la città non ha il potere di dichiarare guerra senza che il consenso di Roma --> nega il consenso 151 a.C. --> Cartagine decide per la guerra, inviando l’esercito contro Massinissa --> l’esercito cartaginese venne fatto a pezzi e insieme viola gli accordi con Roma. 149 a.C. l’esercito romano sbarca in Africa --> Cartaginesi decidono di non combattere e di cedere una notevole quantità di armamenti, ma quando i consoli chiedono di lasciare la città decidono di resistere ad oltranza --> inizia un lungo e difficile assedio. 146 a.C. --> Publio Emilio Scipione Emiliano saccheggia e rade al suolo Cartagine --> trasformata nella nuova provincia d'Africa. 4.11 La Spagna Roma aveva così conquistato l’egemonia incontrastata sul Mediterraneo, ma non riusciva a venire a capo della situazione in Spagna. Dopo la II guerra punica i Romani si erano stabiliti in due zone della penisola iberica, divenute provincie nel 197 a.C.: • la Spagna Citeriore --> nord --> tribù della valle dell'Ebro • la Spagna Ulteriore --> sud --> Lusitani La penetrazione verso l’interno si rivelò lenta e difficile, e venne completata solo con Augusto. Le sconfitte furono numerose --> sottomessa una tribù altre immediatamente si ribellavano --> costante necessità di impiegare numerosissime forze armate in Spagna 195 a.C –> M. Porcio Catone inviato nella Spagna Citeriore come console per risolvere la situazione --> implacabile sottomissione delle tribù della valle dell'Ebro --> successi apparenti --> Roma comunque costretta a inviare numerose truppe 180-178 a.C --> Ti. Sempronio Gracco padre inviato come console in Spagna Citerone --> successi militari, ma soprattutto cercò di rimuovere le ostilità verso Roma --> trattati di pace Dopo la conclusione della guerra contro i Lusitani la lotta si concentrò nella città di Numanzia 137 a.C. --> bruciante sconfitta patita dal console Caio Ostilio Mancino --> costretto a firmare un trattato di pace umiliante per Roma 133 a.C. --> conquistata e distrutta da Scipione Emiliano PARTE TERZA: LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI (DAI GRACCHI AD AZIO) CAP.1 – DAI GRACCHI ALLA GUERRA SOCIALE 1.1 – 1.6 da “L’età dei Gracchi” alla “Riforma agraria di Caio Lelio” Età dei Gracchi --> origine della degenerazione dello Stato Romano e inizio delle guerre civili. La II guerra punica aveva inferto profonde ferite alla sua agricoltura --> enorme massa di schiavi --> soprattutto greci --> diffusione della mentalità ellenistica La conquista del Mediterraneo aveva d’altra parte comportato un enorme afflusso di ricchezze --> modifica di una cultura sociale ed economica prettamente agricole --> Romani e Italici si introducono nel grande commercio grazie allo sviluppo di strade e porti --> molti Senatori fanno fortuna e favorita l’ascesa degli Equites Lo sviluppo di scambi commerciali aveva modificato progressivamente la fisionomia dell’agricoltura italica --> ricorso sempre più massiccio di schiavi e importazione di grandi quantità di grano costituirono una concorrenza sempre più rovinosa per l’agricoltura di auto sussistenza --> accelerazione della tendenza ad un’agricoltura incentrata sul commercio e non sull’autoconsumo --> piccoli proprietari terrieri contratti a vendere perché costi troppo elevati per convertire le colture --> massa migratoria verso Roma nella speranza di trovare un'occupazione --> Roma diventa una grande metropoli Il moltiplicarsi di grandi tenute gestite da schiavi e il dilatarsi delle zone destinate al pascolo fece esplodere delle rivolte. 140-132 a.C. e 104-100 a.C.: Rivolte servili in Sicilia. La prima rivolta, scoppiata ad Enna, si estese a tutta l’isola. Roma fu costretta ad inviare tre consoli, e solo l’ultimo, Publio Rupilio, riuscì a domane l’insurrezione (132 a.C.). In questo periodo i mutamente sociali portarono al delinearsi di due fazioni, entrambe scaturite dalla nobilitas: • Optimates: si richiamavano alla tradizione degli avi, e cercavano di ottenere per la propria politica l’approvazione dei benpensanti. Erano sostenitori dell’autorità del senato. • Populares: si consideravano difensori dei diritti del popolo, e propugnavano la necessità di ampie riforme in campo politico e sociale --> approvazione di ben tre leggi per l'espressione scritta del voto: • lex Gabina tabellaria 139 a.C --> nei comizi elettorali • lex Cassia tabellaria 137 a.C --> nei giudizi popolari • lex Papi tabellaria 131 a.C --> nei comizi legislativi Le guerre di conquista avevano fatto crescere a dismisura l’ager publicus = terreno di proprietà dello stato che esso concedeva in uso privati dietro pagamento di un canone irrisorio che non sempre si preoccupava di esigere. La crisi progressiva della piccola proprietà fondiaria favorì la concentrazione dell’agro pubblico in mano ai proprietari terrieri ricchi e potenti --> necessità di una serie di norme che mirassero a restringere l’estensione dell’ager che poteva essere occupata da ciascuno. 140 a.C. --> primo tentativo di riforma del console Caio Leio --> incontra l’opposizione concorde dei senatori --> preferisce rinunciare e ritirare la riforma. 1.7 TIBERIO GRACCO Tiberio Gracco, membro della nobilitas, era figlio di Tiberio Sempronio Gracco e di Cornelia, figlia di Scipione l’Africano. Nel 133 a.C. (anno del suo tribunato della plebe) riprese il tentativo di operare una riforma agraria, tramite norme che limitassero la quantità di agro pubblico posseduto. Il suo progetto di legge agraria era di fissare l’occupazione di agro pubblico ad un limite di 500 iugeri (125 ettari), fino ad un massimo di 1000 iugeri per famiglia. Il compito di ripartire i lotti e recuperare i terreni in eccesso era affidato al collegio dei triumviri, eletto dal popolo, composto da Tiberio, dal fratello Caio e dal suocero, che era princeps del senato. I terreni in eccesso sarebbero stati distribuiti ai cittadini più poveri in piccoli lotti per persona ed inalienabili. I fondi necessari all’applicazione della riforma sarebbero stati ricavati dal tesoro del re di Pergamo, Attalo III, rimasto senza eredi. Scopo della legge era l’esigenza di ricostituire un ceto di piccoli proprietari, anche per garantire una base stabile per il reclutamento dell’esercito (i nullatenenti, infatti, non potevano arruolarsi). L’oligarchia romana decise di opporsi in quanto i grandi proprietari terrieri si ritennero espropriati di risorse che consideravano proprie. Così il giorno in cui il progetto doveva essere votato, un altro tribuno della plebe, Marco Ottavio, pose il suo veto, impedendone l’approvazione. Decaduto Ottavio la legge Sempronia agraria fu approvata, ma l’opposizione non si placò e Tiberio pensò di ricandidarsi al tribunato. Nel corso dei comizi elettorali un gruppo di avversari, guidati dal pontefice massimo, lo uccise assieme ai suoi sostenitori. 1.8 FULVIO FLACCO E GLI ALLEATI LATINI E ITALICI La sua morte non pose fine all’attività della commissione agraria; fu però chiaro il malcontento degli alleati latini e italici che si trovarono a restituire le parti in eccesso di agro pubblico ai nullatenenti romani. Interprete delle loro lamentele fu Scipione Emiliano e, dopo la sua morte, Fulvio Flacco, che propose che tutti gli alleati che ne avessero fatto richiesta potessero ottenere la cittadinanza romana. L’opposizione fu vasta e iniziarono molte rivolte. 1.9 CAIO GRACCO Nel 123 a.C. fu eletto come tribuno della plebe Caio Gracco, fratello di Tiberio. Egli riprese l’opera riformatrice del fratello, perfezionandola: propose l’istituzione di nuove colonie di cittadini romani, sia in Italia che nel territorio della distrutta Cartagine; inoltre istituì una legge frumentaria, con lo scopo di assicurare a ogni cittadino romano una quota mensile di grano a prezzo agevolato. Grandi granai pubblici erano stati costruiti per lo stoccaggio del cereale. Inoltre, una legge giudiziaria, con cui Caio volle limitare il potere del senato, riservando ai cavalieri il controllo dei tribunali. Ai cavalieri venne affidata anche la riscossione delle tasse nella nuova provincia d’Asia. Alla questione degli alleati Caio rispose con il concedere ai Latini la cittadinanza romana e la cittadinanza di diritto latino agli Italici; ma il provvedimento suscitò molte ostilità e non venne approvato. L’oligarchia senatoria per contrastarlo si servì di un altro tribuno, Marco Livio Druso, che propose la fondazione di ben 12 colonie. Seguirono molti disordini ed il senato affidò ai consoli il compito di tutelare la sicurezza dello stato. Venne poi ordinato il massacro dei sostenitori di Gracco: Fulvio Flacco morì negli scontri, Caio Gracco si fece uccidere da un suo schiavo. compiuto dai magistrati travalicando i poteri loro conferiti: il collegio giudicante era composto tutto da cavalieri. Nel 100 a.C. Mario venne eletto al suo sesto consolato; Saturnino era stato rieletto tribuno della plebe per la seconda volta e Caio Servilio Glaucia pretore. Contando sull’appoggio di Mario, Saturnino presentò una legge agraria che prevedeva assegnazioni di terre nella Gallia meridionale e la fondazione di colonie in Sicilia, Acaia e Macedonia. Per bloccare ogni opposizione, Saturnino aveva fatto approvare una clausola che obbligava i senatori a giurare di osservare la legge; il solo Cecilio Metello Numidico si rifiutò di giurare, preferendo l’esilio al giuramento. Nel frattempo, Glaucia aveva restituito le giurie permanenti per i processi di concussione ai cavalieri. Per poter sviluppare il suo programma Saturnino ottenne la rielezione a tribuno anche per l’anno successivo, mentre Glaucia si candidava al consolato. Durante le votazioni scoppiarono tumulti e il senato voleva proclamare il senatus consultum ultimum. Mario, come console, si trovò nella situazione imbarazzante di doverlo applicare contro suoi alleati politici. Saturnino e Glaucia furono uccisi, ma la figura di Mario ne uscì compromessa tanto che egli preferì allontanarsi da Roma. 1.16 Pirati; schiavi; Cirenaica. L’installarsi di Roma in Anatolia l’aveva condotta a stretto contatto con la pirateria. Nella particolare conformazione dell’Asia Minore meridionale si succedevano le due Cilicie: la Cilicia Tracheia ad occidente, selvaggia, montuosa, a picco sul mare, e la Cilicia Pediàs, ad oriente, pianeggiante e urbanizzata, con al centro Tarso. Al brigantaggio interno, nella Cilicia Tracheia si accompagnava l’attività piratica sulla costa. Essa minacciava pesantemente l’asse marittimo che dall’Egeo conduceva a Cipro e alla Siria- Fenicia. Il controllo delle zone interne aveva impegnato Seleucidi e Attalidi; sui mari funzioni di contenimento avevano svolto soprattutto i Rodii. Nessuna delle potenze dell’epoca fu tuttavia esente da complicità o connivenze. Rodi e l’Egitto si aprofittarono dei pirati quando necessario in funzione anti-seleucide; Roma se ne disinteressò e comunque con la creazione di un porto franco a Delo aveva enormemente incentivato le loro opere di razzia e di commercio degli schiavi. Mentre Roma si accingeva a concludere le guerre cimbriche, l’azione dei pirati fu da Roma stessa avvertita come pericolosa per la sicurezza e per gli affari dei negotiatores romani nei mari greci e nell’Egeo orientale. Nel 102 a.C. si decise d’intervenire, inviando il pretore Marco Antonio con il compito di distruggere le principali basi anatoliche dei pirati e di impadronirsene. L’azione vincente durò due giorni e fu accompagnata dalla costituzione di una provincia costiera di Cilicia con la principale funzione di proteggere il commercio marittimo d’Asia. La promulgazione nel 101-100 a.C. di una lex de provinciis praetoriis con le misure antipiratiche in essa contenute, dimostra che il problema era ritenuto tuttora totalmente incombente, dunque irrisolto. Il gravoso impegno militare richiesto dalle guerre cimbriche indusse Mario a domandare contingenti di soldati agli alleati italici e a quelli d’oltremare. Tra essi Nicomede III di Bitinia declinò l’invito sostenendo che una grande parte degli uomini del suo regno era stata presa dai pirati o sequestrata e venduta in schiavitù. Nonostante si fosse trattato di un’esagerazione, a Roma si volle porre rimedio con un provvedimento che ordinava ai governatori provinciali di condurre inchieste rigorose in merito e, dopo una prima fase di applicazione, la crescente opposizione dei detentori di schiavi riuscì a far sì che la misura restasse lettera morta. Ne scaturirono numerose rivolte servili. Le più note: la ribellione degli schiavi delle miniere del Laurion in Attica (103 a.C.) e il grande sommovimento che sconvolse la Sicilia per molti anni (104-100 a.C.). Ne furono a capo Salvio (Re Trifone) e, dopo la sua morte (102 a.C.), il cilicio Atenione. I comandanti inviati a fronteggiare la ribellione nel 103 e 102 a.C. ottennero scarsi risultati, incontrarono molte difficoltà e subirono perdite gravi. Alla fine, riuscì a reprimerla Manio Aquilio, che si era già distinto come luogotenente di Mario nella guerra contro i Teutoni. Qualche anno dopo (96 a.C.) venne lasciata a Roma una parte cospicua del territorio tolemaico, la Cirenaica. Seguendo la politica del non farsi coinvolgere direttamente in zone lontane dai propri interessi, al lascito non fu dato alcun seguito e la questione fu ripresa solo nel 75-74 a.C., quando l’emergere di circostanze e necessità diverse indussero a dedurvi una provincia. 1.17 Marco Livio Druso e la concessione della cittadinanza agli Italici Dopo il 100 a.C. ci furono forti tensioni politiche e sociali, processi e rese dei conti tra le parti che si erano contrapposte durante le guerre giugurtina e germaniche ed i ripetuti consolati di Mario. Per porre un po’ d’ordine nella presentazione delle leggi, un provvedimento del 98 a.C. rese obbligatorio un intervallo di tre nundinae (giorni di mercato a cadenza settimanale) tra l’affissione di una proposta di legge e la sua votazione. Veniva inoltre vietata la formulazione di una lex satura (cioè una disposizione che includesse più argomenti non connessi tra loro). Nello stesso momento continuava il conflitto fra senatori e cavalieri per impadronirsi in esclusiva dei tribunali permanenti per i processi di concussione. Nel 92 a.C. una giuria equestre aveva condannato per malversazione Publio Rutilio Rufo che aveva tentato di arginarvi lo strapotere e gli abusi dei pubblicani e fu esiliato a Smirne, proprio tra le persone che era stato accusato di aver oppresso: un esempio lampante delle disfunzioni del sistema. Nel 95 a.C. una legge Licinia Mucia aveva istituito una commissione per verificare le richieste di cittadinanza romana che venivano avanzate e per espellere da Roma ogni residente italico e latino che fosse risultato illegalmente inserito nelle liste del censo. In questa atmosfera fu eletto tra i tribuni della plebe nel 91 a.C. Marco Livio Druso. Da un lato promulgò provvedimenti popolari, come una legge agraria volta alla distribuzione di nuovi appezzamenti, alla deduzione di nuove colonie e una legge frumentaria che abbassava ulteriormente il prezzo politico delle distribuzioni granarie. Dall’altro restituì ai senatori i tribunali per le cause di concussione, proponendo però l’ammissione dei cavalieri in senato, che veniva aumentato da trecento a seicento membri. Infine, volle proporre la concessione della cittadinanza romana agli alleati italici. Ancora una volta l’opposizione fu vastissima e fu trovato modo di dichiarare nulle tutte le sue leggi. Druso poi venne misteriosamente assassinato. 1.18 La guerra sociale. La differenza di stato giuridico e sociale tra cittadini di Roma e alleati latini e italici non aveva suscitato grandi contestazioni agli inizi del II secolo a.C. Ma essa aveva perso molto di significato man mano che l’Italia era penetrata in uno spazio mediterraneo che le conquiste e gli scambi commerciali avevano sempre più unificato. La differenza di stato giuridico e sociale diveniva ancor meno accettabile quando serviva a giustificare una diseguaglianza di trattamento che si manifestava in tutti gli aspetti della vita civica. La condizione di cittadino romano era divenuta sempre più vantaggiosa e ciò aumentava l’irritazione e le rivendicazioni degli Italici, consapevoli di avere ampiamente contribuito ai successi militari di Roma, anche nelle recenti campagne contro i Cimbri e i Teutoni, in cui la loro presenza era stata determinante. Delle distribuzioni agrarie beneficiavano i soli cittadini romani: gli Italici, oltre che esclusi, vedevano riassegnati a cittadini romani terreni da loro a lungo utilizzati e coltivati. Essi partecipavano allo sfruttamento economico delle province, ma sempre in funzione dei cittadini e spesso vessati dai magistrati romani. Non avevano parte nelle decisioni politiche, economiche, militari, che pur vedevano largamente coinvolti anche loro interessi. Perfino nell’esercito tutta la struttura era concepita a favore dei cittadini romani: gli alleati continuavano a pagare l’imposta destinata al soldo delle loro reclute, mentre i cittadini ne erano dispensati; ricevevano una parte meno importante del bottino e punizioni più gravi; non potevano condividere in alcun modo le funzioni di comando. L’assassinio di Druso fu per gli alleati italici il segnale che non vi era altra possibilità di difendere le proprie rivendicazioni contro Roma. D’altro canto, a Roma non si comprese affatto la gravità della situazione, tanto che si approvò un provvedimento che perseguiva per alto tradimento i capi della ‘cospirazione italica’ e i cittadini romani loro complici. Il segnale delle ostilità partì da Ascoli, nel Piceno, dove un pretore e tutti i Romani residenti nella città vennero massacrati (90 a.C.). L’insurrezione si estese sul versante adriatico presso Piceni, Vestini, Marrucini, Frentani, presso Marsi e Peligni, nell’Appennino centrale, e Sanniti, Irpini e Lucani, nell’Appennino meridionale, cioè presso le popolazioni, tra le quali il processo di integrazione con Roma era stato più forte. Apuli e Campani si aggiunsero in un secondo momento. I Romani si trovarono a combattere contro gente armata e addestrata allo stesso loro modo, con identiche tecniche di attacco e di difesa. Gli insorti si erano dati nel frattempo istituzioni federali comuni, una capitale Corfinium nel Sannio, subito ribattezzata Italica, una monetazione propria. I loro scopi non erano unitari: in alcuni ambienti prevaleva l’esigenza di conseguire la cittadinanza romana, in altri dominava lo spirito di rivalsa contro Roma. 2.2 IL TRIBUNATO DI SULPICIO RUFO E IL RITORNO DI MARIO; MARCIA SU ROMA Mentre Silla terminava le attività su Nola per poi affrontare Mitridate, a Roma, Publio Sulpicio Rufo (tribuno della plebe) tentava di privare Silla della guerra affidatagli e si occupava di gestire l’inserimento dei nuovi cittadini italici nelle tribù romane, in modo però da evitare che il loro voto potesse sconvolgere l’equilibrio politico o portare a radicali cambiamenti. Il governo decise quindi di immettere i nuovi cittadini in un numero limitato di tribù, così da influire sul voto di poche tribù e i vecchi cittadini avrebbero mantenuto la prevalenza complessiva nell’organismo. Ma la guerra sociale e le azioni di Mitridate avevano impoverito lo stato e i cittadini romani che avevano molti debiti. Per far fronte all’impoverimento, Sulpicio Rufo propose dei provvedimenti: inserimento dei neocittadini in tutte le 35 tribù; limite massimo di indebitamento per i Senatori (oltre il quale sarebbero stati espulsi dal senato). Trasferì il comando della guerra da Silla a Mario. Silla offeso, non esitò a marciare su Roma, se ne impadronì e dichiarò i suoi avversari nemici pubblici: Sulpicio fu eliminato e Mario fuggì in Africa. Silla fece approvare alcune norme: ogni proposta di legge avrebbe dovuto essere approvata dal senato prima di esser sottoposta al voto del popolo; i Comizi Centuriati dovevano essere l’unica assemblea legislativa legittima, poi partì per l’Oriente. 2.3 SILLA E LA PRIMA FASE DELLA PRIMA GUERRA MITRIDATICA Sbarcato in Epiro (87a.C.), Silla assediò e saccheggiò Atene, poi nella Grecia centrale sconfisse le truppe pontiche (Boezia regione dell’antica Grecia con capitale Tebe 86 a.C.), ciò segnò la fine delle armate di Mitridate in Grecia. 2.4 LUCIO CORNELIO CINNA E L’ ULTIMO CONSOLATO DI MARIO Lucio Cornelio Cinna (console 87 a.C.), sostenitore di Mario, fu cacciato da Roma e si rifugiò in Campania. Lì Cinna e Mario si incontrarono e organizzarono una nuova marcia su Roma, Silla fu dichiarato nemico pubblico e i suoi sostenitori uccisi. Mario e Cinna furono eletti consoli (86a.C.). Un nuovo esercito mariano fu inviato in Oriente per contrastare Mitridate al posto di Silla che non rappresentava più il governo romano. Cinna fu più volte rieletto, fino all’84, promuovendo opere legislative. I neocittadini furono immessi in tutte le 35 tribù; si ridusse di tre quarti l’ammontare dei debiti; si stabilì un rapporto e valore ufficiale tra la moneta di bronzo e quella di argento. Alla fine, dell’85 a.C. Cinna tentò di bloccare un tentativo di ritorno di Silla ad Ancona, ma i suoi soldati si rivoltarono contro di lui e lo uccisero. 2.5 CONCLUSIONE DELLA PRIMA GUERRA MIDRIATICA NELL'86 a.C. erano presenti in Grecia due eserciti romani per contrastare Mitridate. Uno capeggiato da Silla, l’altro inviato da Cinna per sostituire Silla. Questi non si incontrarono, ma agirono parallelamente spingendo Mitridate verso l’Asia. Mitridate, in crisi, accettò le trattative di pace imposte da Silla a Dardano (85 a.C.) . Mitridate conservava il suo regno, ma doveva liberare il resto dell’Asia; consegnò la propria flotta e restituì ai legittimi re Cappadocia e Bitinia. Silla (84 a.C.) ristabilì l'ordine in Grecia e Asia; castigò con imposizioni le città insorte e ricompensò quelle fedeli, poi sbarcò in Italia (Brindisi) con un ricco bottino. Silla lasciò Lucio Licinio Murena in Asia a governare, ma questi effettuò diverse incursioni in territorio pontico, ciò portò a nuovi conflitti con Mitridate che sconfisse Murena e tornò a dominare in Cappadocia (prolungamento del conflitto che fu nominato: seconda guerra Mitridatica 83-81 a.C.). Nel frattempo, la Siria subiva una crisi dinastica, divenne così una provincia meridionale del regno di Tigrane. 2.6. LE PROSCRIZIONI; SILLA DITTATORE PER LA RIFORMA DELLA STATO Cneo Pompeo, con tre legioni pagate privatamente, raggiunse Silla che, dopo due anni trionfò riprendendosi Apulia, Campania e Piceno. L’anno dopo Silla sconfisse il figlio adottivo di Mario e conquistò Roma nella battaglia di Porta Collina (82a.C.). Infine, Cneo Pompeo Eliminò gli oppositori(mariani) rifugiati in Africa e Sicilia. Silla, vittorioso, introdusse le liste di proscrizione (esposte per iscritto) che elencavano pubblicamente gli avversari politici da eliminare. Chiunque poteva ucciderli, per poi confiscare i loro beni e metterli all’asta. Senatori e Cavalieri più in vista furono eliminati con una caccia all’uomo. Ciò contribuì a modificare la composizione dell’aristocrazia romana. Moltte famiglie scomparvero, altre ottennero gerarchie superiori. Le comunità italiche che appoggiavano i mariani subirono confische territoriali, a favore dei veterani di Silla che ricevettero i terreni. I consoli erano morti e il senato nominò “princeps senatus” Lucio Valerio Flacco, che non nominò nuovi consoli, ma propose Silla come “ Dictator legibus scribundi et rei publicae constituendae”: dittatore con l’incarico di redigere leggi ed organizzare lo stato a tempo illimitato. Silla attuò un’opera riformatrice: Ogni proposta di legge doveva ottenere il consenso del senato prima di sottoporla al voto popolare I comizi centuriati erano l’unica assemblea legittima. Il senato fu portato a 600 membri (tra cui partigiani e 300cavalieri di Silla) Innalzare il numero dei questori a 20 e dei pretori a 8 per soddisfare le necessità dei tribunali permanenti. Le competenze furono suddivise in modo tale che a ciascuno spettasse un solo tipo di reato (tra estorsione/concussione, alto tradimento, appropriazione dei beni pubblici, broglio/corruzione, assassinio/avvelenamento, frode testamentaria e lesione alla persona. Silla limitò le spese per banchetti e funerali (per limitare gli sprechi da parte dell’aristocrazia. Regolamentò l’ordine di successione alle magistrature e l’età minima per accedervi. Riduzione dei poteri dei tribuni della Plebe, limitato diritto di veto, annullato diritto di proporre leggi. Fu esteso il pomoerium tra Arno e Rubicone (limite del territorio cittadino ove era vietato condurre eserciti). Terminata la riorganizzazione dello stato, Silla nel 79 a.C. abdicò e si ritirò a vita privata. 2.7. TENTATIVO DI AZIONE ANTISILLANA DI MARCO EMILIO LEPIDO Marco Emilio Lepido, console nel 78 a.C., contro l’ordinamento sillano propose il richiamo degli esiliati, il ripristino della distribuzione frumentaria a prezzo politico e la restituzione dei terreni confiscati ai vecchi proprietari. Ciò scatenò una rivolta in Etruria dove le confische erano state numerose. Nel 77 a.C. Lepido fece causa comune coi ribelli in Etruria e, marciò su Roma, reclamando un secondo consolato e i poteri negati ai tribuni della plebe. Il senato usò l’arma del Senatus consultum ultimum, e ordinò di difendere lo stato ad ogni costo. In attesa delle elezioni consolari fu conferito l’Imperium a Pompeo, che non aveva rivestito alcuna magistratura superiore (ciò tradiva le norme sillane che regolavano lo sviluppo di carriera). La rivolta fu stroncata e Lepido fuggi in Sardegna, mentre il suo luogotenente, Perperna, migrò con l’esercito in Spagna. 2.8. L’ULTIMA RESISTENZA MARIANA; SERTORIO In seguito alla prima vittoria di Silla (82 a.C.), Sertorio divenne governatore della Spagna Citeriore; là aveva creato una sorta di stato mariano in esilio, unendo: romani, italici e notabili indigeni. Tutti i tentativi di abbatterlo risultarono vani, grazie alla su ottima conoscenza del territorio. Sertorio che ormai controllava tutta la penisola Iberica, nel77, si unì alle truppe di Lepido, guidate da Perperna, Ciò permise a Sertorio di istituire a Osca (capitale da lui scelta), un senato di 300 membri simile a quello romano e, una scuola che educava “alla romana” i figli dei capi tribù. Vedendo il potere di Lepido aumentare, Roma temeva alleanze con Mitridate e i pirati che infestavano il Mediterraneo. Il senato affidò a Pompeo la Spagna Citeriore con l’attribuzione di Imperium straordinario. Pompeo, giunto in Spagna nel 76 a.C. subì delle sconfitte da Sertorio, tanto che dovette chiedere al senato romano rifornimenti e rinforzi. Nel 74 a.C. ottenuti i rinforzi ebbe la sua rivincita, mentre Sertorio, costretto a metodi drastici perdeva popolarità e fiducia, finché il suo alleato Perperna lo assassinò a tradimento. Perperna a sua volta fu sconfitto e assassinato da Pompeo. 2.9 La rivolta servile di Spartaco tredici settori, Pompeo cacciò rapidamente i pirati dal Mediterraneo occidentale, costringendoli ad asserragliarsi e sconfiggendoli in Cilicia. I pirati fatti prigionieri furono stanziati, in piccole comunità rurali, in varie località soprattutto orientali che avevano subito devastazioni e spopolamenti. Nel 66 a.C., un tribuno della plebe, Caio Manilio, propose che venisse esteso a Pompeo anche il comando della guerra contro Mitridate. Subentrato nel comando a Lucullo, Pompeo riuscì a convincere il re dei Parti, Fraate, a tenere impegnato. Tigrane mentre egli marciava indisturbato verso il Ponto. Sconfitto e scacciato dal Ponto, Mitridate, fu costretto a rifugiarsi a nord lungo la sponda orientale del Mar Nero, (odierna Crimea). Là, abbandonato anche dal figlio Farnace, si fece trafiggere per non cadere in mano ai Romani (63 a.C.). Nel frattempo, Pompeo aveva compiuto una spedizione lungo il Caucaso giungendo quasi fino al Mar Caspio. Confermato a Tigrane il trono dell’Armenia, poi passò in Palestina, dove s’impadronì di Gerusalemme e del suo Tempio, e dove costituì uno Stato autonomo, ma tributario, aggregato alla provincia di Siria. Là fu raggiunto dalla notizia della morte di Mitridate. Riorganizzate le sue conquiste dalle coste occidentali dell’Asia Minore fino al fiume Eufrate, ampliata la Cilicia fino ai confini con la Siria, nel 62 a.c.Pompeo rientrò a Roma, carico di gloria e di bottino, gli venne immediatamente decretato il trionfo. 2.12 Il consolato di Cicerone e la congiura di Catilina Durante l’assenza di Pompeo a Roma si era verificata una grave crisi. Lucio Sergio Catilina, discendente di una famiglia aristocratica decaduta, si era molto arricchito durante l’età sillana, ma aveva dilapidato somme enormi per mantenere un elevato tenore di vita. Si presentò alle elezioni consolari per il 63 a.C., politicamente e finanziariamente sostenuto da Marco Licino Crasso, al quale si trovava già da qualche tempo collegato un emergente patrizio, Caio Giulio Cesare, di antica nobiltà, ma sprovvisto dei mezzi necessari per contendere con gli altri suoi pari rango nella gara per gli onori pubblici. Riuscì invece eletto console un homo novus di Arpino, Marco Tullio Cicerone, il vittorioso accusatore di Verre e sostenitore di Pompeo, che nella campagna elettorale aveva attaccato la corruzione, la violenza e le collusioni politiche di Catilina. Ma Catilina non demorse e nel corso dell’anno mise a punto un programma elettorale che pensava lo avrebbe condotto ad ottenere il consolato nel 62 a.C., basato sulla cancellazione dei debiti (novae tabulae) e rivolto non tanto alle classi sociali più basse quanto agli aristocratici rovinati dalle dissipazioni. Abbandonato dai suoi antichi sostenitori (Crasso e Cesare si erano rapidamente dileguati), Catilina riuscì di nuovo battuto nelle elezioni. Mise allora mano ad un’ampia cospirazione che mirava a sopprimere i consoli, terrorizzare la città, impadronirsi del potere; venne concentrato in Etruria un esercito in gran parte composto di veterani sillani. Ma il piano fu scoperto e sventato da Cicerone che poté infine indurre il senato ad emettere il senatus consultum ultimum e con un attacco durissimo (Prima Catilinaria) costrinse Catilina ad allontanarsi da Roma e a raggiungere a Fiesole le bande armate che vi erano state apprestate. Acquisite le prove scritte della congiura, Cicerone poté arrestare cinque fra i capi della cospirazione e consultare sul da farsi il senato che, trascinato da un emergente Marco Porcio Catone, si pronunziò per la pena di morte. Cicerone provvide a far giustiziare i condannati. Catilina, affrontato di lì a poco da un esercito consolare nei pressi di Pistoia, cadde combattendo valorosamente alla testa dei suoi. Cicerone ebbe vanto tutta la vita di aver salvato la patria da un pericolo mortale. 2.13 Egitto; Cipro; Cirenaica La grande distanza e buoni rapporti di armonia avevano tenuto il regno tolemaico d’Egitto lontano dalle mire dirette di Roma. I tre nuclei principali costitutivi del regno (Egitto, Cirenaica, Cipro; a cui via via si erano aggiunti, poi erano stati perduti, possedimenti oltremare e sul litorale siro-palestinese) - Alla morte di Tolemeo VIII Evergete II (116 a.C.) le contese tra i successori fecero sì che ci si rivolgesse ripetutamente ai Romani, come garanti del trono e della propria individuale sopravvivenza. Nel 96 a.C. sarebbe stata lasciata così a Roma la Cirenaica. Il problema egiziano ridivenne davvero attuale per Roma solo nel 64-63 a.C., quando Pompeo ebbe ridotto la Siria a provincia romana e regolato il territorio palestinese, dove si era affacciato ai confini dell’Egitto e sulle zone del Mar Rosso. Nel 63 a.C. una legge agraria, proposta dal tribuno della plebe Publio Servilio Rullo, parve includere anche l’Egitto in un vasto progetto di assegnazioni fondiarie; fu combattuta strenuamente da Cicerone che riuscì a farla bloccare. Nel 58 a.C. seguì la rivendicazione di Roma su Cipro e la conseguente annessione. Nel medesimo 58 a.C. Tolemeo XII, cacciato dall’Egitto, si rifugiò a Roma, ponendosi sotto la protezione di Pompeo. Nel 55 a.C. Aulo Gabinio, allora governatore di Siria, devoto di Pompeo lo riportò ad Alessandria con la forza. CAP.3 Dal «primo triumvirato» agli idi di marzo 3.1 Il ritorno di Pompeo e il cosiddetto «primo triumvirato» Nel 62 a.C. sbarcava a Brindisi, accolto con grande trepidazione, Pompeo. In senato però i suoi avversari politici lo ricambiarono umiliandolo. Profondamente deluso e amareggiato, Pompeo si riavvicinò allora a Crasso e al suo emergente alleato Cesare, con i quali strinse un accordo (60 a.C.) di sostegno reciproco comunemente chiamato dai moderni «primo triumvirato». Questo fu un accordo esclusivamente privato e segreto, la cui esistenza divenne chiara solo in un secondo tempo, in base al quale Cesare avrebbe dovuto essere eletto console per il 59 a.C. e avrebbe dovuto varare una legge agraria che sistemasse i veterani di Pompeo. Anche Crasso avrebbe ottenuto vantaggi per i cavalieri e le compagnie di appaltatori che gli erano particolarmente legati. L’accordo fu cementato anche col matrimonio tra Pompeo e la figlia di Cesare, Giulia. 3.2 Caio Giulio Cesare console L’accordo diede immediatamente i suoi frutti e Cesare fu eletto console per il 59 a.C. Cesare fece votare due leggi agrarie che prevedevano una distribuzione ai veterani di Pompeo di tutto l’agro pubblico rimanente in Italia, e di altre terre acquistate da privati; per i fondi necessari sarebbero stati utilizzati i bottini di guerra di Pompeo. Furono poi fatte ratificare tutte le decisioni assunte da Pompeo in Oriente. Infine, com’era desiderio di Crasso, fu ridotto d’un terzo il canone d’appalto delle imposte della provincia d’Asia. Fu approvata una lex Iulia de repetundis, per i procedimenti di concussione, che ampliava e migliorava la precedente legislazione sillana in materia. Un altro provvedimento prevedeva la pubblicazione dei verbali delle sedute senatorie e delle assemblee popolari. Sul finire del consolato, ci fu un provvedimento che attribuiva a Cesare per cinque anni il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico con tre legioni e il diritto di nominare i propri legati e di fondare colonie. Il Senato assegnò a Cesare anche la provincia della Gallia Narbonese, con una quarta legione, su proposta di Pompeo. 3.3 IL TRIBUNATO DI PUBLIO CLODIO PULCRO Nel 58 a. C. Cesare partì assieme a Pompeo e Crasso verso le province attribuitegli. Per vendicarsi dei nemici, Cesare, Pompeo e Crasso decisero di appoggiare la candidatura al tribunato di Publio Clodio Pulcro un ex patrizio che, a causa di uno scandalo e senza speranze di poter proseguire la carriera politica, si era fatto adottare da una famiglia plebea per potersi presentare al tribunato della plebe da cui i patrizi erano esclusi. Eletto tribuno Clodio fece approvare molte leggi: - nessun magistrato avrebbe più potuto interrompere assemblee pubbliche con la motivazione di auspici sfavorevoli; nella parte settentrionale della Gallia, che costrinsero Cesare a ripassare sul Reno. Nel 52 a. C. si verificò una grande crisi nella parte centro occidentale della Gallia. Vercingetorige, re degli Averni, fece sterminare molti Romani e Italici residenti a Cenabum (odierna Orleans) e le rivolte si estesero presto anche nella zona tra la Loira e la Garonna. Cesare intervenne ma fu costretto a dirigersi verso nord per unire le sue armate a quelle del suo legato Tito Labieno. Insieme si misero sulle tracce di Vercingetorige che si arroccò nella piazzaforte di Alesia in attesa di rinforzi. Cesare fece cingere la città con due grandi linee di fortificazione: una interna per bloccare gli assediati e una esterna per sostenere gli assalti dei Galli, intervenuti in loro aiuto. Dopo un lunghissimo scontro gli assalitori furono respinti e la piazzaforte capitolò. Vergingetorige si arrese, fu fatto prigioniero a Roma e sei anni dopo venne decapitato al Campidoglio. Nel 51 a. C. Cesare diede un primo ordinamento alla nuova provincia, la Gallia Comata. 3.6 CRASSO E I PARTI Crasso, arrivato in Siria, voleva distinguersi in una campagna militare tale da dargli il prestigio di cui Cesare e Pompeo già godevano. Alla morte del re Fraate III era nata una lotta per il trono dei Parti tra i due figli, Orode e Mitridate. Orode divenne re mentre Crasso decise di appoggiare Mitridate. Nel 53 a. C., si mise in marcia verso la Mesopotamia, nonostante in molti glielo avessero sconsigliato e senza sapere nulla sul modo di combattere dei nemici. I Romani subirono una pesante sconfitta dai Parti, guidati dal giovane Surena e in battaglia morì anche Publio, il figlio di Crasso. Le aquile di sette legioni furono catturate e la provincia di Siria si trovò minacciata. Mentre batteva in ritirata Crasso fu ucciso. L'accordo a tre perdeva uno dei suoi protagonisti. Il re Orode condannò a morte Surena poichè lo considerava un grande pericolo. 3.7 POMPEO CONSOLE UNICO; GUERRA CIVILE TRA CESARE E POMPEO Dopo la morte di Crasso il triumvirato si sciolse e rimasero solo Pompeo e Cesare. Cesare si trovava in Gallia mentre Pompeo si trovava a Roma e, all'inizio del 52 a. C. venne nominato consul sine collega (console senza collega); appena nominato fece subito votare due leggi repressive in materia di violenza (de vi) e di broglio elettorale (de ambitu). Il Senato era preoccupato dai successi di Cesare il cui mandato in Gallia stava per terminare. Cesare voleva tornare a Roma ed essere nominato nuovamente console. Nello stesso anno Pompeo aveva proposto un provvedimento che stabiliva che dovessero intercorrere almeno 5 anni tra una magistratura e una promagistratura: Tale provvedimento costituiva una minaccia per Cesare che anche nell'ipotesi che fosse diventato console, al termine della carica sarebbe tornato ad essere un privato cittadino. Inoltre, una seconda legge obbligava chi voleva presentare la propria candidatura a farlo di persona. Tutte le nuove procedure rischiavano di rimpiazzare più facilmente Cesare; grazie ad esse il suo successore al governo della provincia poteva essere scelto tra tutte le persone che non avessero occupato una magistratura nei cinque anni precedenti. Con le vecchie leggi invece la provincia di Cesare sarebbe stata dichiarata preventivamente consolare; il console nominato avrebbe dovuto esercitare a Roman il suo anno consolare esaurito il quale avrebbe assunto il comando della provincia. Durante l'anno a Roma Cesare sarebbe rimasto console. Nel 50 a. C. il senato propose che Cesare e Pompeo deponessero le loro cariche. All'inizio del 49 a.C. Cesare dichiarò che avrebbe deposto il comando se anche Pompeo avesse fatto altrettanto. In realtà venne intimato a Cesare di deporre unilateralmente la sua carica. Il Senato votò il SENATUS CONSULTUM ULTIMUM e affidò ai consoli e a Pompeo il compito di difesa dello Stato. Venuto a conoscenza di questa decisione Cesare varcò in armi il fiume Rubicone (che segnava il confine tra la Gallia Cisalpina e il territorio di Roma) e iniziò una guerra civile. Cesare conquistò rapidamente le città a sud di Rimini, Arezzo, Gubbio e Piceno ma non riuscì a bloccare Pompeo che, insieme ai due consoli e a molti senatori, era scappato in Grecia. Cesare, dopo aver lasciato Marco Antonio a presidiare l'Italia e Marco Emilio Lepido a Roma, si concentrò nell'attacco delle truppe pompeiane in Spagna assediando Marsiglia e sconfiggendo i pompeiani a Lerda (oggi Lèrida). Tornò poi brevemente a Roma, dove, eletto dittatore, riuscì a convocare i comizi elettorali che lo nominarono console. Nel frattempo, Pompeo aveva creato il suo quartier generale a Tessalonica; Cesare, grazie ad una traversata in pieno inverno nel gennaio del 48 a. C., riuscì a traghettare 7 legioni e porre sotto assedio Durazzo. Anche se l'attacco fu respinto Cesare non si arrese; avanzò verso la Tessaglia dove ci fu lo scontro decisivo nella piana di Paleofarsalo nell'agosto del 48 a. C. che finì con la sconfitta dei pompeiani. Pompeo fuggì in Egitto in cerca di protezione ma venne assassinato appena sbarcò. Cesare restò in Egitto dal 48 al 47 a. C. per cercare di risolvere le lotte tra i due eredi, Tolomeo XIII e Cleopatra VII, per assicurarsi l'appoggio del loro regno produttore di grano. Assediato dai partigiani di Tolomeo ad Alessandria, Cesare aspettò i rinforzi poi affrontò e sconfisse l'esercito di Tolomeo; a quel punto Cleopatra VII venne confermata regina d'Egitto assieme al fratello minore. Mentre Cesare era impegnato a inseguire Pompeo, Marco Antonio era tornato a Roma dove dovette affrontare un grande problema. Publio Cornelio Dolabella, un fedele cesariano eletto tribuno dalla plebe, aveva proposto un programma di remissione totale dei debiti. Per fronteggiarlo Marco Antonio dovette applicare una forte repressione cosa che gli provocò un importante danno di immagine. Nell'autunno del 47 a. C. Cesare, dopo una breve sosta a Roma, ripartì alla volta dell'Africa dove Catone e i pompeiani si erano riorganizzati militarmente grazie all'appoggio di Giuba, re di Numidia. I due eserciti si scontrarono e Cesare ne uscì vincitore mentre Catone e Giuba si tolsero la vita. Il regno di Numidia diventò provincia romana col nome di Africa nova. Nel luglio del 46 a. C Cesare tornò a Roma dove celebrò i successi in Gallia, in Egitto, su Farnace e su Giuba. A fine anno ripartì per la spagna dove i suoi avversarsi, comandati da Tito Labieno (che era passato dalla parte di Pompeo dopo l'impresa gallica) e dai figli di Pompeo Cneo e Sesto avevano ripreso forza. A Munda (odierna provincia di Cordoba) nella primavera del 45 a. C. l'esercito nemico venne letteralmente distrutto. Solo Sesto Pompeo si salvò scappando. 3.8 Cesare dittatore perpetuo Nell' ottobre del 48 a. C., mentre era in Egitto, Cesare era stato nominato dittatore per un anno. Poi prima di partire per l'Africa era stato eletto al suo terzo consolato per il 46 a. C. con Marco Emilio Lepido come collega. A metà del 46 a. C. a Cesare venne conferita la dittatura per 10 anni con il compito di riformare lo Stato (rei publicae costituendae). Nel 45 a. C. ricoprì il quarto consolato, nel 44 a. C. il quinto al quale aggiunse il titolo di senatore a vita. A tutte queste cariche si erano sommati una serie immensa di poteri straordinari, tra i quali ricordiamo: - la nomina per tre anni a praefectus moribus con l'incarico di vigilare sui costumi e di controllare le liste dei senatori, dei cavalieri e dei cittadini; - la possibilità di sedere tra i tribuni della plebe; - la potestà tribunizia che gli assegnava tutti i privilegi dei tribuni (come l'inviolabilità personale o il diritto di veto) - il potere di fare trattati di pace o di fare dichiarazioni di guerra senza consulto previo del senato e del popolo; - la presidenza durante le attribuzioni delle magistrature e la designazione dei suoi candidati alle elezioni; - la carica di imperator a vita (cioè detentore dell’impero), il primo posto in ordine di importanza all'interno del senato; - la carica di padre della patria (parens patriae); Dal 49 a. C. Cesare attuò moltissime riforme: - il perdono e il richiamo in patria di tutti gli esiliati politici; - vennero accordate facilitazioni ai debitori per il pagamento ci canoni e prestiti arretrati. - il diritto alla cittadinanza venne esteso agli abitanti della transpadana, ai componenti dei corpi militari, a singoli individui e comunità della Spagna, della Gallia e dell'Africa; - Il Senato fu portato da 600 a 900 membri (tra il 46 e il 44 a. C); - i questori da 20 diventarono 40, gli edili da 4 diventarono 6 e i pretori da 8 diventarono 16; - vennero abbassate le qualifiche necessarie per entrar a far parte dell'ordine equestre; - furono introdotte sanzioni più severe per i colpevoli di malversazioni (impiego illegittimo di denaro); - venne rivisto il sistema tributario; - fu cambiata la durata dei governatorati (un anno per i propretori, due anni per i proconsoli); - fu emanata una legge per frenare gli sperperi e l'ostentazione della ricchezza; - fu vietato ai cittadini tra i 20 e i 60 anni di assentarsi per più di tre anni dal Paese; - fu permesso ai figli dei satori di allontanarsi dal Paese solo per adempiere ad incarichi di Stato; - vennero sciolte le associazioni popolari; - i collegia tornarono ad avere funzioni di corporazioni religiose o di mestiere; - vennero confermate le distribuzioni gratuite di grano ma venne ristretto il numero dei beneficiari di quest'ultima; oltre a quello di vedersela con Sesto Pompeo che dominava la Sicilia e a cui si erano uniti i superstiti delle proscrizioni e di Filippi. Tra i triumviri e Sesto Pompeo venne tentato un accordo di pace, l’accordo di Miseno (39 a.C.): Sesto Pompeo vedeva riconosciuto da Ottaviano il governo di Sicilia, Sardegna e Corsica, a cui veniva aggiunto da parte di Antonio il Peloponneso; egli era nominato inoltre àugure ed era designato per un futuro consolato. Gli esuli che si erano uniti a lui (fuggitivi, espropriati, superstiti delle proscrizioni e di Filippi) ottennero l’amnistia. L’equilibrio durò tuttavia assai poco. Dopo gli accordi di Brindisi (40 a.C.) tra Ottaviano e Marco Antonio, con cui fu rinnovato il triumvirato, Ottaviano si dedicò a chiudere la partita con Sesto Pompeo, che, rifugiatosi in Spagna con quanto restava delle armate del partito repubblicano, dopo l'assassinio di Cesare era stato perdonato dal Senato, che gli aveva affidato il comando della flotta al tempo della guerra di Modena. Con questa forza navale, Sesto aveva occupato la Sicilia (42 a.C.), raccogliendo intorno a sé tutti i nemici dei triumviri. Sesto aveva poi dato vita a un vero e proprio blocco navale contro Roma, che si era quindi trovata senza adeguati rifornimenti granari (39 a.C.). Dopo un momentaneo compromesso (che però nessuno rispettò fino in fondo), tra le due parti si riaccesero le ostilità. Nel 38 a.C. Ottaviano fu battuto in mare da Sesto, riportando gravi perdite umane e fu costretto a chiedere nuovamente l’appoggio di Antonio e a concludere un accordo con lui a Taranto (37 a.C.) per ottenere rinforzi. Fu così rinnovato per altri cinque anni (cioè fino a tutto il 32 a.C.) il triumvirato. Il figlio adottivo di Cesare richiamò allora dalla Gallia il suo legato, Marco Vipsanio Agrippa, e chiese anche aiuto ad Antonio, che gli promise 120 navi in cambio di 20.000 soldati italici. Agrippa inferse a Sesto una duplice definitiva sconfitta a Milazzo e a Nauloco, presso la costa settentrionale della Sicilia, non lontano dallo stretto di Messina. Sesto Pompeo fuggì in Oriente, dove venne ucciso l’anno dopo. Lepido, che aveva preso parte con Ottaviano alle operazioni, pretese di rivendicare per sé il diritto al possesso dell’isola; ma le sue truppe lo abbandonarono e ad Ottaviano fu facile farlo dichiarare decaduto dai poteri di triumviro e impossessarsi dell’Africa. Al suo ritorno a Roma Ottaviano fu ricolmato di onori. Ormai padrone incontrastato dell’Occidente, ad Ottaviano non mancava che la gloria militare. Se la procacciò, con l’aiuto di Agrippa, con due anni di dure campagne contro gli Illiri in Pannonia e in Dalmazia. 4.4 Antonio in Oriente Negli anni successivi alle battaglie di Filippi, Antonio aveva concentrato tutte le sue attenzioni sull’Oriente, da dove contava di ritornare coperto di fama per aver condotto a termine i progetti di Cesare contro i Parti e aver vendicato la morte di Crasso e il disastro di Carre. Egli si preoccupò poi di procurarsi l’alleanza di re e di principi orientali. Il regno più potente era allora l’Egitto, che costituiva un’immensa riserva di risorse sotto il regno congiunto di Cleopatra VII e del figlio natole da Cesare, Tolemeo Cesare. Tra la regina a Antonio ci fu una relazione dalla quale nacquero due gemelli. Antonio fu richiamato in Italia dalle conseguenze della guerra di Perugia. Vi si trattenne, dopo aver stipulato gli accordi di Brindisi e sposato la sorella di Ottaviano, Ottavia, fino alla metà del 39 a.C. Poi partì con lei alla volta di Atene. Nel 37 a.C. si aprì in Partia una crisi dinastica. Antonio non poté approfittarne perché in primavera fu costretto a recarsi a Taranto per il rinnovo del triumvirato. Dopo l’accordo di Taranto Antonio poté ritornare in Oriente, lasciando Ottavia in Italia. Nell’autunno del 37 a.C. ritrovò Cleopatra e riconobbe i gemelli che aveva avuto da lei. 1.1 Azio e la cesura tra storia repubblicana e storia del Principato Sconfitti nel 31 a.C. Antonio e cleopatra, Ottaviano diviene padrone assoluto dello Stato romano e ha inizio il Principato, in cui il potere si concentra nelle mani del solo princeps, completando così il processo di personalizzazione della politica che si era visto negli anni precedenti. Con Ottaviano e i suoi successori ha inizio un processo di integrazione di territori e popolazioni dell’impero tramite la razionalizzazione dell’amministrazione, la progressiva presenza in senato delle élites delle diverse regioni dell’Impero e il ruolo politico e sociale degli eserciti dislocati nelle province. 1.2 Il rapporto con gli organismi repubblicani e il potere del principe: la restaurazione della Repubblica del 27 a.C. Ottaviano fece ritorno in Italia nell’agosto 29 a.C., ma il processo di riconoscimento giuridico della nuova forma istituzionale iniziò in realtà solo nel 27 a.C. All’inizio dell’anno Ottaviano entrò nel suo settimo consolato con Agrippa rinunciando a tutti i suoi poteri straordinari e accettando solo un imperium proconsolare per dieci anni sulle province non pacificate: la Spagna, la Gallia, la Siria, la Cilicia, Cipro e l’Egitto; fu il senato a proclamarlo successivamente «Augusto», conferendogli una dimensione non solo politica, ma anche sacrale e religiosa. Inoltre, gli venne concessa la corona civica fatta di foglie di quercia, per essersi prodigato per la salvezza dei cittadini, e l’onore di uno scudo d’oro, appeso nell’aula del senato, sul qual erano elencate le virtù di Augusto: virtù, clemenza, giustizia e pietà verso gli dei e la patria. Augusto, tenendo presente la drammatica esperienza delle guerre civili, basò il suo potere sulla prudenza e sul compromesso con la tradizione senatoriale repubblicana, affinché non fosse più messa in discussione l’opportunità che il potere venisse detenuto da un solo individuo. La nuova organizzazione dello Stato rappresentava il definitivo superamento delle istituzioni, ormai non più adeguate, della città - stato. Il principe rappresentava un punto di riferimento e di equilibrio fra le diverse componenti della nuova realtà (l’esercito, le province, il senato, la plebe urbana). Era diventato evidente, infatti, che il benessere materiale di Roma dipendeva anche dalla prosperità delle province. 1.3 La crisi del 23 a.C. Tra il 27 e il 25 a.C. Augusto si recò in Gallia e poi nella Spagna settentrionale per combattere contro gli Asturi e i Cantabri, dimostrando così interesse sia alla pacificazione dei territori provinciali che gli erano stati assegnati dal senato, sia al rafforzamento del contatto con l’esercito e con i veterani insediati nelle province, che costituivano uno dei fattori del suo potere reale. Nel 23 a.C. si verificò una grave crisi. In Spagna Augusto si era seriamente ammalato e si sentì in fin di vita ponendo così il problema della successione del principe che avrebbe potuto far ripartire delle guerre civili. Il regime presupponeva che alla testa dello Stato ci fosse una sola persona ma la mancanza di una prassi per la successione creava i presupposti per un vuoto di potere. In mancanza di figli maschi egli pensò al genero Marcello, che aveva sposato la sua unica figlia, Giulia, e agli eventuali nipoti. Ma Marcello morì e Giulia fu data in moglie ad Agrippa che divenne così il successore designato. Augusto depose il consolato e ottenne un imperium proconsulare (definito imperium maius) che gli consentiva di agire con i poteri di un promagistrato su tutte le province, anche quelle riservate al senato ma che non gli consentiva però di agire nella vita politica quando si trovava a Roma. Per ovviare a questo impedimento il principe ricevette dal senato il potere di un tribuno della plebe, vitalizio, anche se rinnovato annualmente, grazie al quale diveniva protettore della plebe di Roma, poteva convocare i comizi, porre il veto agli altri tribuni e godere della sacrosanctitas, diventando sacro e inviolabile, e il diritto di convocare il senato. In questo modo Augusto deteneva dei poteri che se presi singolarmente erano compatibili con la tradizione repubblicana, ma non avrebbero dovuto essere detenuti contemporaneamente. Tuttavia, rinunciando alla carica di console, essa rimaneva nella piena disponibilità dell’aristocrazia senatoria e, con l’introduzione, a partire del 5 d.C., di consoli supplenti si aumentò il numero dei posti da ricoprire. Quanto alle elezioni, esse ristabilite sin dal 27 a.C., erano controllate da Augusto attraverso due procedure, la nominatio, cioè l’accettazione della candidatura da parte del magistrato che sovraintendeva all’elezione, e la commendatio, la raccomandazione da parte dell’imperatore stesso. Tenendo conto della nuova realtà politica, Augusto realizzò, nel 5 d.C., un sistema di compromesso attribuendo all’assemblea popolare un ruolo marginale e perseguendo un equilibrio tra principe e senato. I comizi ratificavano infatti i candidati scelti da 10 apposite centurie miste di cavalieri e di senatori, che li designavano d’accordo con l’imperatore. 1.4 Il perfezionamento della posizione di preminenza Nel 22 a.C., in seguito a una carestia, Augusto rifiutò la dittatura offertagli dal popolo e assunse la cura annonae, cioè l’incarico di provvedere all’approvvigionamento di Roma. Nel 19 e nel 18 a.C. esercitò anche i poteri di censore, ottenendo privilegi legati al consolato. Anche Agrippa aveva ricevuto nel 23 a.C. un imperium proconsolare di 5 anni, grazie al quale si recò in Oriente. Tra il 22 e il 19 a.C., Augusto si portò sul confine orientale e attraverso una trattativa diplomatica riuscì a riportare a Roma le insegne delle legioni di Crasso e Marco Antonio che furono conservate nel tempio di Marte Ultore; tale evento fu celebrato come una vendetta militare delle precedenti sconfitte e come la definitiva pacificazione dell’Oriente. Intanto Agrippa, ritornato a Roma, sposava la figlia di Augusto, Giulia, vedova di Marcello dalla quale ebbe 2 figli, Lucio Cesare e Caio, che furono entrambi adottati da Augusto e designati come suoi successori. Scaduto per entrambi il mandato sulle province, sia Augusto che Agrippa si videro rinnovare per 5 anni l’imperium proconsolare; Agrippa inoltre ricevette anche la tribunicia potestas, avvicinando la sua posizione sempre più a quella del princeps. Nel 12 a.C., quando morì Lepido, pontefice massimo che con Augusto e Antonio aveva costituito il triumvirato, ad Augusto fu conferita anche questa carica, divenendo così guida della vita religiosa di Roma. L’ultimo riconoscimento ufficiale alla sua posizione di preminenza fu il conferimento del titolo di pater patriae (‘padre della patria’), che il senato, i cavalieri e il popolo gli attribuirono nel 2 a.C. 1.5 I ceti dirigenti (senatori ed equites) Con le varie attribuzioni che esaltavano la figura di Augusto si creò a fianco dell’ordinamento repubblicano, un potere personale non riconducibile alla somma delle magistrature repubblicane da cui esso era costituito. Sia nell’iniziativa politica a Roma, sia Le procuratele, in particolare: - Le procuratele finanziarie, con l’amministrazione dei grandi uffici finanziari centrali; - Le procuratele-governatorati di alcune province. Tali procuratele non venivano rivestite secondo un ordine prefissato e a partire dall’età degli Antonini esse erano classificate in base alla loro retribuzione annua, e non in base all’incarico: i membri dell’ordine equestre potevano ricoprire, progressivamente, procuratele sessagenarie, centenarie, ducenarie e infine trecenarie Le grandi prefetture, in particolare le cariche di: - governatore della provincia d’Egitto, carica che inizialmente costituiva il vertice della carriera equestre; - comando della guardia pretoriana, che divenne poi il cavaliere più importante dell’Impero, a scapito dello stesso prefetto d’Egitto; - responsabile dei servizi di approvvigionamento della città di Roma; - comandante delle squadre di vigiles addetti alla vigilanza notturna e allo spegnimento degli incendi. PARTE QUARTA: L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SEC. CAP.1 – AUGUSTO 1.6 Roma, l’Italia, le province Roma contava già circa un milione di abitanti e possedeva un assetto urbano caotico, Augusto cercò di migliorare l’urbe dal punto di vista monumentale e da quello dei servizi. Per quanto riguarda la parte monumentale, non diede alcun rilievo alla propria abitazione, e accanto ad essa fece costruire un tempio ad Apollo. Proseguì i progetti del foro di romano: - Costruì un tempio per Cesare divinizzato, - Nell’arco partico furono esposte le lastre dei fasti consolari e trionfali, - Restaurò la sede del senato Costruì un nuovo foro il forum augusti con al centro il tempio di Marte Ultore; Modificò il campo marzio, dove fu edificato il Pantheon; Costruì un proprio mausoleo davanti al quale furono incise le Res Gestae (autobiografia); Costruì l’Ara Pacis e molti acquedotti, terme, teatri, edifici pubblici e mercati. Per quanto riguarda servizi: - Servizi per gli approvvigionamenti e per la protezione da incendi e inondazioni. - Divise la citta in 14 regiones (circoscrizioni) a loro volta suddivise in in vici (quartieri) che servano ad articolare il sistema di gestione della città: più vivi insieme eleggevano i propri magistri, che si occupavano dell’ordine pubblico e della vita religiosa e culturale del quartiere. - Istituì un servizio di rifornimento granario dalle province con a capo un prefetto equestre. - Creò un corpo di vigili del fuoco. Il governo era attribuito ad un prefectus urbi appartenente all’ordine senatorio. L’Italia non fu interessata da riforme amministrative: Augusto divise semplicemente l’Italia in 11 regioni che servivano per il censimento delle persone e delle proprietà. Vennero redatti dei provvedimenti per l’organizzazione di un sistema di strade e vie di comunicazione. L’amministrazione delle Province vide un cambiamento di natura politica: le province non pacificate crebbero da 5 a 13 e venivano governate da appositi legati, scelti tra i senatori, che governavano la provincia e comandavano le legioni ma non riscuotevano tasse o si occupavano dei beni fondiari, miniere e cave la cui organizzazione era affidata a procuratori di rango equestre. Nelle altre province, quelle pacificate, i governatori erano senatori scelti a sorte tra i magistrati e restavano in carica solo un anno, comandavano le forze militari assistiti dai questori (anche nelle province del popolo Augusto poteva intervenire in virtù del suo imperium maius). Unica eccezione era l’Egitto assegnato a un prefetto equestre nominato da Augusto che comandava le legioni ed era responsabile dell’amministrazione e della giustizia. Augusto stabilì, per determinare l’ammontare dei tributi delle province, un nuovo sistema che aveva come presupposto la misurazione dei terreni su cui era imposta una tassa fondiaria e il censimento della popolazione con cui determinare il numero dei provinciali che dovevano pagare la tassa. 1.7 L’esercito, la “pacificazione” e l’espansione Dopo la battaglia di Azio i soldati dell'esercito risultarono troppi, superando di gran lunga le necessità e i mezzi dell’impero, ma Roma non poteva permettersi di pagare la liquidazione dei veterani poiché era un costo troppo elevato: all’inizio furono affrontati con il bottino di guerra e il patrimonio personale di Augusto, ricevettero inizialmente terre e successivamente denaro. Augusto rese il servizio militare riservato ai volontari professionisti, in carica per almeno 20 anni per 225 denari annui, l’esercito era formato da 28 legioni (170.000 uomini). Fu istituita una guardia pretoriana permanente, cioè un corpo militare d’élite composto da circa 9000 uomini reclutati tra i cittadini romani residenti in Italia. Vi erano inoltre truppe ausiliarie di fanteria e cavalleria reclutate tra i popoli soggetti all’impero e comandate da ufficiali romani e capi di tribù locali, al congedo chi vi aveva militato riceveva la cittadinanza romana. La flotta militare (cittadini non romani) stazionava nei porti di Miseno e Ravenna ed era sotto il comando equestre, anche i marinai una volta congedati diventavano cittadini romani. Augusto ottenne molti successi nella politica estera: compì in tre occasioni la chiusura del tempio di Giano (simbolo dell’inizio di un periodo di pace). Tuttavia condusse una politica di consolidamento e di espansione mai vista prima tanto da controllare un territorio vastissimo (imperium sine fine). Affidò alla diplomazia le questioni orientali e in Egitto furono estesi i confini e stabilizzati diplomaticamente grazie a rapporti pacifici con gli stati vicini detti stati cuscinetto (regni clienti). Una zona critica era l’Armenia dove gli interessi di Roma si scontravano con quelli dei Parti, in Armenia fu insediato allora il re cliente Tigrane II. In Occidente Augusto conquistò la penisola iberica dividendola in 3 province (Spagna Ulteriore, Spagna Citeriore e Lusitania). Anche la Gallia, esclusa la Narbonese, venne divisa in 3 province (Aquitania, Belgica, Lugdunese). La campagna di Augusto riuscì ad ottenere la Germania: Druso era al comando ma venne sostituito da Tiberio che era pronto a sferrare l’attacco decisivo ma che a causa delle rivolte scoppiate in Pannonia e Illirico fu costretto a fornire truppe di rinforzo. Sempre nello stesso anno il generale Varo tentò un attacco mal riuscito in Germania: egli perse, si uccise e Roma decise di non oltrepassare il Reno. Anche ad Oriente la situazione si stava deteriorando, in Armenia, alla morte di Tigrane II, mentre i romani tentavano di mettere sul trono il fratello del re deceduto, Artavasde II, i parti ne sostenevano la discendenza diretta costituita da Tigrane III. Si giunse a un punto talmente critico da richiedere l’invio di Tiberio e di Caio Cesare (nipote di Augusto), scoppiò una nuova rivolta (2 d.C.) che si protrasse a lungo e Caio fu ferito (4 d.C.) e morì in Licia. 1.8 La successione L’Autoritas costruita da Augusto non era una vera e propria carica a cui si poteva succedere alla sua morte o che poteva essere trasmessa in eredità. Augusto, senza eredi maschi, doveva fare in modo che il suo ruolo non andasse perduto dopo la sua morte ma che potesse spettare a qualcuno della sua famiglia senza però imporre una svolta apertamente monarchica alle istituzioni. La prima mossa di Augusto fu quella di integrare la propria dinastia nel nuovo sistema politico e nella propaganda ideologica celebrandone l’ascendenza divina. L’erede scelto all’interno della famiglia avrebbe ereditato anche un privilegio per l’accesso alla carriera politico militare e un ruolo singolare nello stato. Nel 23 a.C. attraverso il matrimonio di Giulia con Marcello, Augusto tentò di inserire un discendente maschio nella famiglia ma Marcello mori poco dopo; ripiegò allora su Agrippa che fu indotto anch’egli a sposare Giulia, e ebbero cinque figli. Agrippa morì però nel 12 a.C. Augusto adottò i due figli maschi di Giulia e Agrippa: Caio e Lucio. Considerata la tenera età dei due figli di Giulia, Augusto si concentro sui figli della sua terza moglie, Livia, Tiberio e Druso, entrambi introdotti in politica. Tiberio, fu indotto a sposare Giulia, ricoprì due volte il consolato, gli fu conferito l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia ma successivamente si ritirò dalla vita politica e si auto esiliò a Rodi (a causa dei pessimi rapporti con Giulia o della predilezione di Augusto per i fogli di Agrippa). Druso morì. Intanto Caio e Lucio Cesari erano stati elevati alle alte cariche dello stato ma morirono precocemente. Tiberio tornò a Roma dal suo autoesilio nel 2 a.C. e, sciolto il matrimonio con Giulia (colpita da uno scandalo e condannata all’esilio dal padre) adottò Germanico, figlio di suo fratello Druso e di Antonia figlia di Marco Antonio e di Ottavia, sotto ordine di Augusto per rafforzare la parentela, anche se egli aveva già un proprio figlio di nome Druso (minore). Augusto adottò Tiberio. A Tiberio furono attribuiti la potestà tribunizia e l’imperium proconsolare su Germania e Gallie. Nel 13 d.C. Tiberio celebrò il trionfo sui Germani. Alla morte di Augusto esisteva così già una persona con pari poteri civili e militari che potesse sostituirlo. 1.9 L’organizzazione della cultura Il programma edilizio di Augusto mirava al completare i progetti di Giulio Cesare e celebrare il ritorno della tradizione repubblicana. Con uno specifico programma figurativo Negli ultimi anni del regno di Tiberio scoppiò una grave crisi finanziaria e si acuirono i contrasti con il senato. Ebbe inizio un periodo di terrore, segnato da suicidi, processi e condanne per la lesa maestà a carico di numerosi senatori, di sostenitori di Seiano e oppositori del regime. Agrippina si suicidò e i suoi due figli maggiori furono uccisi, come possibili successori rimasero Tiberio Gemello (figlio di Druso minore) e Gaio (Caligola, unico figlio sopravvissuto di Germanico) e Tiberio nominò entrambi eredi congiunti ma dopo la sua morte nel 37 d.c., il senato riconobbe come unico erede Caligola che adottò Tiberio Gemello, il quale venne però eliminato lo stesso anno. 2.3 Caligola (37-41 d.C.) L’impero di Caligola fu relativamente breve e ricordato soprattutto per le sue stravaganze, amplificate da una storiografia ostile. Fu accolto con grande entusiasmo dall’esercito e dalla plebe, tra i quali il ricordo del padre Germanico era ancora molto popolare. Caligola, appoggiandosi al consenso dei pretoriani e della popolazione romana, inaugurò una politica di donativi, grandi spettacoli e ambiziosi piani edilizi che portarono all’esaurimento delle riserve finanziarie lasciate da Tiberio. Dal senato invece non era visto di buon occhio, visione condivisa anche da Svetonio, che lo descrive come un folle tiranno, scarsamente interessato al governo dell’impero e preoccupato solamente di rafforzare il suo potere personale. Le fonti attribuiscono alla malattia mentale la sua inclinazione verso forme di dispotismo orientale e l’ondata di esecuzioni. Le fonti più recenti tendono invece a mettere in luce la tradizione familiare gentilizia dell’imperatore, che ereditava la linea di Antonio e di Germanico e faceva propri elementi della concezione orientale, monarchica. Si potrebbe collocare in questo contesto la decisione di far uccidere, senza ragioni note, nel 40 d.c. il re Tolemeo di Mauretania (ultimo discendente di Antonino), evento che diede inizio a una guerra che si concluse solo sotto Claudio, con l’annessione del regno a Roma. In politica estera invece si curò di ripristinare in Oriente un sistema di Stati cuscinetto, con i cui sovrani aveva relazioni personali di amicizia. Tuttavia, fu proprio con gli Ebrei che nacque un conflitto quando Caligola, per affermare la sua divinità, volle mettere una statua nel tempio di Gerusalemme, suscitando la protesta della popolazione che lo considerava un gesto sacrilego, e dell’imperatore romano, preoccupato per le tensioni che si stavano creando, in quanto questa richiesta aveva risvegliato violenti conflitti tra Ebrei e Greci nelle città della Giudea e dell’Oriente. Nel 41 d.c. Caligola morì nella congiura organizzata dai pretoriani, evitando che scoppiasse il conflitto in Giudea e ponendo fine ai dissidi nelle città orientali. Questi episodi sono stati raccontati dallo storico ebraico Flavio Giuseppe (scrisse in greco una narrazione della storia degli Ebrei e del loro rapporto con i sovrani ellenistici e con Roma) e dal filosofo ebreo di Alessandria Filone, membro dell’ambasceria inviata a Caligola dagli Ebrei alessandrini per richiedere la tutela dei propri diritti. Il breve principato di Caligola costituisce una premonizione dei rischi inerenti alla struttura stessa del Principato, esposto ai rischi di involuzione autocratica e assolutistica. 2.4 Claudio (41-54 d.C.) Il successore di Caligola fu suo zio, Claudio, il quale viene definito dalle fonti antiche come sciocco ed inetto, dedito a maniere erudite, affermazioni che però sembrano essere smentite dalle sue realizzazioni in politica interna ed estera. Malgrado rispettasse il senato, la necessità di una razionalizzazione del governo dell’impero lo indusse ad una significativa riforma: l’amministrazione centrale fu divisa in quattro grandi uffici, un segretariato generale e altri tre rispettivamente per le finanze, per le suppliche e per l’istituzione dei processi da tenersi davanti all’imperatore. A carico di questi dipartimenti furono chiamati i liberti, cui la carica conferiva un potere immenso; infatti, l’impero di Claudio è ricordato anche come “il regno dei liberti”. Si impegnò anche per cercare nuove soluzioni ai problemi di approvvigionamento granaio e idrico che periodicamente affliggevano Roma. Costruì il porto di Ostia per consentire l’attracco alle navi granarie di grande tonnellaggio che prima approdavano a Pozzuoli, il sistema delle distribuzioni granarie vide un rammodernamento: l’organizzazione del servizio fu tolta alla responsabilità del sento e riassegnata al prefetto dell’annona. Costruì un nuovo acquedotto e bonificò la piana del Fucino per aumentare la superficie coltivabile in Italia. L’orazione tenuta da Claudio per la concessine ai notabili della Gallia Comata del diritto di accesso al senato (ritrovata su una tavola di bronzo a Lione), mostra il suo interesse per le province; altri provvedimenti anche evidenziano la sua politica di integrazione, come ad esempio l’intensa opera di fondazione di colonie in Britannia, Germania, Mauretania e altre regioni dell’Impero, la concessione di cittadinanza ad alcune popolazioni alpine (nota grazie alla Tabula Clesiana) e il grande numero di diplomi militari che certificano la prassi di inserimento nella cittadinanza romana dei soldati che avevano prestato servizio nelle coorti ausiliarie. Nella prima parte del suo principato dovette risolvere le questioni lasciate aperte da Caligola: pose fine alla guerra in Mauretaia con l’organizzazione del regno in due province, intervenne sulla questione Orientale modificando l’assetto dei regni clienti istituiti da Caligola. Furono ristabiliti i privilegi delle città orientali, tutelando allo stesso tempo le istituzioni delle poleis greche, in modo da evitare conflitti tra i due gruppi. Per prevenire disordini e tumulti nel 49 d.c. adottò anche il provvedimento di espulsione degli Ebrei da Roma. La sua impresa militare più rilevante fu nel 43 d.c. con la conquista della Britannia meridionale che fu ridotta a provincia. Il regno di Claudio è inoltre caratterizzato dagli intrighi di corte; in terze nozze aveva sposato Messalina da cui ebbe un figlio, Britannico; Messalina fu poi messa a morte nel 48 d.c. con l’accusa di intrigare contro il marito. Claudio sposò allora la nipote Agrippina che lo convinse ad adottare il figlio avuto dal precedente matrimonio. Nel 54 d.c. Claudio venne avvelenato da Agrippina, la quale voleva così assicurare la successione al trono al figlio. 2.5 La società imperiale La società antica si basava sul concetto che dovesse esserci un’articolazione e una differenza, riconosciuta in modo formale, dello status giuridico delle persone. Augusto aveva provveduto a differenziare le condizioni e le prerogative dei ceti dirigenti a Roma, senatori ed equites. Inoltre, fece in modo che vi fossero degli elementi che consentissero la distinzione anche per i ceti dirigenti dei municipi e si occupò di regolare i privilegi, lo statuto e l’articolazione di coloro che godevano della cittadinanza romana rispetto ai provinciali liberi e dei liberti rispetto agli schiavi. Augusto aveva anche previsto dei meccanismi di promozione sociale. La schiavitù era diventata ormai un fenomeno caratteristico della società e dell’economia già a partire dalla tarda Repubblica. Molti schiavi erano impiegati nell’agricoltura dai proprietari di vaste tenute ma questo fenomeno via via si andò riducendo in favore dell’impiego di coloni liberi. Vi erano però anche molti schiavi domestici, impiegati in attività artigianali e nell’ambito dei “servizi” (ad es. istruttori, medici, segretari). Una categoria importante era però costituita dagli schiavi imperiali, la familia Caesaris, che avevano il compito di gestire e amministrare il patrimonio imperiale ed erano organizzati in vere e proprie gerarchie. Gli schiavi che si occupavano dei dipartimenti finanziari erano in grado di raggiungere livelli di ricchezza e potere personale anche superiori rispetto a quelli degli esponenti della nobiltà senatoria. Ma non va confusa la ricchezza con lo status giuridico. Infatti, ricchezza e potere non consentivano automaticamente di accedere ad un ceto superiore, benchè costituissero un presupposto per aspirare al miglioramento della propria condizione. Lo schiavo che era in grado di acquistare la libertà personale con il patrimonio personale che il padrone gli lasciava acquisire nell’esercizio della sua attività (peculium) oppure attraverso disposizioni testamentarie, rimaneva comunque legato al suo ex padrone con un rapporto di clientela e spesso di prestazioni di lavoro e aveva inoltre delle limitazioni per quanto riguardava la vita pubblica e l’accesso alla magistratura sia di Roma che dei municipi. I liberti rappresentavano invece il ceto economicamente più attivo nei vari settori dell’economia: commercio, artigianato e servizi e potevano raggiungere forme di promozione sociale ricoprendo cariche nelle associazioni professionali e nei collegi per il culto imperiale. Nella casa imperiale lo spirito di iniziativa dei liberti riuscì ad esprimersi al meglio dato che le possibilità di avanzamento a corte, nella gestione pubblica/privata del governo erano enormi. Tant’è che nella riorganizzazione degli uffici che erano sotto la responsabilità del princeps, voluta da Claudio, i suoi quattro liberti ottennero addirittura la direzione dei nuovi servizi amministrativi provocando turbamento in coloro che ritenevano che le cariche dell’amministrazione imperiale spettassero ai due ceti dirigenti. Molta importanza all’interno della società romana era data anche ai provinciali liberi, una categoria che comprendeva gli abitanti delle poleis greche, dei villaggi dei Britanni o i nomadi del deserto. L’imperatore poteva intervenire nelle questioni relative allo status e ai privilegi dei diversi gruppi cittadini e tutelare il corpo civico della polis. Il princeps poteva promuovere i ceti dirigenti cittadini o intere città concedendo la cittadinanza romana a singoli individui per meriti particolari, a città o a categorie di persone come, per esempio, coloro che avevano prestato servizio militare. In questo modo alcuni gruppi potevano godere di uno status giuridico privilegiato. Una volta ottenuta la cittadinanza il passo successivo per la promozione sociale era l’accesso ai due ceti dirigenti, l’ordo senatorius e il ceto equestre. Per dare l’avvio all’integrazione nel senato e l’accesso alla carriera equestre, solitamente era necessario l’intervento dell’imperatore. Però, già l’aver prestato servizio nell’esercito costituiva un motivo di promozione personale o per i propri figli. Infatti, i cittadini romani delle province potevano raggiungere posizioni importanti nella carriera equestre grazie al patronato e alle raccomandazioni degli ufficiali superiori che segnalavano all’imperatore i meriti e i talenti dei loro sottoposti. Pertanto, l’esercito, insieme al denaro, costituì uno dei fattori più importanti per la promozione sociale durante l’età imperiale. I veterani delle legioni una volta tornati nelle loro città d’origine entravano a far parte dell’élites municipali acquisendo prestigio per la propria famiglia e arrivando a ricoprire le magistrature locali. 2.6 Nerone del pretorio, inoltre dal 71 d.C. ricevette l'imperium proconsolare, la potestà tribunizia, i titoli di Augusto e di pater patriae. Nel 79 d.C. muore il padre di Tito. Il regno di Tito veniva chiamato "amore e delizia del genere umano", fu distrutto da calamità naturali come l'eruzione del Vesuvio (nella quale morì Plinio il vecchio e venne distrutta Pompei ed Ercolano). La popolarità di Tito era dovuta ad una politica di munificenza (generosità). 3.5 Domiziano (81-96 d.C.) Il suo regno è distinto per il tipo di governo autocratico, malvisto dal senato, ma la sua politica fu benefica per l'impero. Si occupò dell'amministrazione delle province, di reprimere gli abusi dei governatori e di promuovere i compiti burocratici del ceto equestre (assegna loro uffici come l'ab epistulis e l'a patrimonio. Rinunciò a diverse conquiste militari per il consolidamento della frontiera su Reno, Danubio e in Britannia, questa scelta di lungimirante. A seguito della campagna dell'83 d.C. in Germania, sul Medio Reno, contro i Chatti, il territorio conquistato venne controllato tramite accampamenti fortificati collegati da una rete di strade e con i forti presidiati dai soldati ausiliari sul limes. Durante questo periodo fu segnata la linea di confine tra il fiume Lahn e il Meno attraverso la costruzione di torri di guardia di legno e terrapieni che collegavano gli accampamenti degli auxiliarii. La linea avanzata aveva alle spalle i castra in cui stazionavano i legionari. Domiziano così provvedeva alla sicurezza di tutta la zona a sud della linea di limes, dove si insediarono popolazioni di Celti e di Germani. Limes cambiò di significato, prima di usava per identificare strade di territori non ancora conquistati, successivamente assunse il significato di frontiera artificiale, dove le strade limitanee collegavano tra loro gli accampamenti e tracciavano la linea di separazione tra Impero e territori esterni. Soprattutto in Oriente e in Africa l'insieme dei limes veniva tracciato a rete, in modo da sorvegliare le strade, includere i territori coltivabili e controllare le popolazioni nomadi dedite alla pastorizia. Nel 85 d.C. c'era il problema della Dacia, regione transdanubiana (attuale Romania), dove il Re Decebalo unificò le varie tribù e le guidò in varie incursioni contro il territorio romano. La seconda campagna (guidata da Domiziano) non portò a risultati definitivi a causa della rivolta di L. Antonio Saturnino, governatore della Germania Superiore, Domiziano dovette stipulare una pace provvisoria. Decebalo non dovette cedere alcuna parte del suo territorio, solo firmare un foedus (trattato), in cui accettava di dipendere dall’Impero Romano, ricevendo in cambio denaro (pace comprata, quindi precaria e debole per i Romani). La rivolta di Saturnino fu domata dal legato della Germania Inferiore, Domiziano, prima di procedere contro gli Iazigi che minacciavano la Pannonia, andò in Germania per punire i rivoltosi. La rivolta di Saturnino segnò Domiziano, che, continuando a sentirsi minacciato, iniziò un periodo di persecuzione ed eliminazione di persone sospettate di tramare contro di lui. Domiziano, si autoproclamò censore a vita e si fece chiamare "signore e dio", nel 96 d.C. cadde vittima di una congiura, cui partecipò forse anche sua moglie. Il senato, dopo la sua morte, proclamò la damnatio memoriae, cioè decretò che fossero abbattute tutte le sue statue, cancellato il suo nome dalle iscrizioni e distrutto ogni suo ricordo. La storiografia di matrice senatoria, soprattutto Tacito e Plinio il Giovane, ci lascia di lui l’immagine di sovrano dispotico e di pessimo imperatore. 3.6 Il sorgere del Cristianesimo Il cristianesimo nasce dall’ebraismo, si forma come religione nel corso del I e II secolo, dove si predicava il suo fondatore, Gesù Cristo di Nazareth, nato in Galilea, al tempo di Augusto e morto in croce sotto Tiberio (4 a.C.-29 d.C. circa), riconosciuto come il figlio di Dio, sceso in terra per portare un messaggio di salvezza (l’evangelio, cioè la ‘buona novella’). Diventa famoso dopo che gli apostoli annunciano la sua resurrezione. Il cristianesimo nasce come movimento all’interno del giudaismo, quando gli Ebrei si trovavano sotto la dominazione straniera. Tra i diversi gruppi religiosi si distinguevano gli aristocratici e conservatori (i sadducei) e i più popolari e liberali (i farisei). A questi si aggiungono poi gli esseni, un gruppo che conduceva un’esistenza rigorosa, vivendo isolato dal resto della società ebraica, produssero i testi sacri noti come: "rotoli del mar Morto", scoperti a Qumrân e nel deserto di Giuda verso la metà del 1900. Le condizioni sociali e politiche non erano favorevoli nei confronti della religione dei sadducei né alle aspirazioni politiche degli zeloti (‘partito’ di aggressivi rivoluzionari che cercavano l’indipendenza da Roma),le loro rivolte accelerarono l’annientamento della Giudea in occasione delle due grandi rivolte ebraiche contro i Romani degli anni 66-70 d.C. con la caduta del Tempio di Gerusalemme e del 132-135 d.C., quando fu rasa al suolo Gerusalemme stessa. Per gli Ebrei si trattava di scegliere tra i farisei e il cristianesimo. I primi si dedicavano all'osservanza della Legge di Mosè, il secondo aveva come punto principale la fede in Cristo. I testimoni e seguaci degli insegnamenti di Gesù si dedicarono alla predicazione della sua parola e all’annuncio della sua morte e resurrezione tra le comunità ebraiche in Palestina e tra quelle presenti nelle grandi città dell’Impero: ad Antiochia, Efeso, Alessandria, Cartagine, Roma e nelle regioni orientali, dove il dominio romano cedeva a quello partico. Nel I secolo d.C. si impone la figura dell’apostolo Paolo di Tarso (Saulo, nome originario) era stato uno zelante fariseo impegnato nella persecuzione della primitiva ecclesìa (‘comunità’ dei fedeli). Paolo si convertì alla fede cristiana mentre stava intraprendendo una missione di persecuzione, divenendo il simbolo della necessità di diffondere il Vangelo tra i non Ebrei, i «gentili». Dall’inizio del II secolo prevalse la struttura di comunità guidate da un singolo responsabile detto episcopus. Augusto aveva garantito a tutte le comunità ebraiche dell’Impero la possibilità di conservare i propri costumi ancestrali (rispetto del sabato, esonero dal servizio militare, ecc.), di praticare il proprio culto e di mantenere i legami con il centro di riferimento che era costituito dal Tempio di Gerusalemme in modo da mantenere un profilo ben distinto. Sotto Tiberio gli Ebrei furono espulsi da Roma insieme ai seguaci dei culti egizi, perché la diffusione dei culti stranieri veniva vista in contrasto con il mos maiorum. Claudio ristabilì i privilegi e la tolleranza inaugurata da Augusto, ma anch’egli nel 49 d.C. espulse gli Ebrei da Roma. Si pensa dunque che si tratti del primo provvedimento in cui gli Ebrei vennero colpiti a causa del proselitismo cristiano. A partire da Nerone diviene evidente il contrasto tra l’autorità imperiale e la nuova religione cristiana. Quest’ultima veniva considerata come sovversiva e pericolosa, in quanto non poteva integrarsi in nessun modo con la religione tradizionale e con il culto imperiale. Anche l’opinione pubblica riteneva che i seguaci della nuova setta fossero dediti a pratiche mostruose e riprovevoli. Nerone ne approfittò e incolpò i cristiani del grande incendio di Roma del 64 d.C. Iniziò la persecuzione dei cristiani. Gli ultimi anni di Nerone videro anche la rivolta degli Ebrei in Palestina, sobillata dagli zeloti e da una vasta attesa messianica, ma determinata anche dall’atteggiamento intransigente del governatore romano. Ebrei e cristiani subirono l’ostilità di Domiziano, che promosse la figura del principe come rappresentante di Giove sulla terra. Flavio Clemente, cugino dell’imperatore e marito di Domizia, a sua volta nipote dell’imperatore, console ordinario nel 95 d.C., venne sospettato di congiurare contro il principe e accusato insieme alla moglie ed altre persone di praticare dei costumi giudaici e dunque di atheotes, (ateismo). Plinio il Giovane, In una delle lettere che inviò, mentre era governatore della Bitinia, all’imperatore Traiano, chiese al principe come dovesse comportarsi nei confronti delle comunità cristiane, Traiano in risposta prescriveva che i cristiani non dovessero essere ricercati, ma che dovevano essere puniti solo se espressamente denunciati. Il cristianesiml diventa un fenomeno che non poteva essere ignorato dall’autorità. I cristiani iniziarono a registrare e far circolare le testimonianze del sacrificio delle vite dei martiri, contribuendo a diffondere e consolidare la fede cristiana. Il II secolo vide inoltre anche la nascita di scritti in difesa del cristianesimo, con cui gli intellettuali cristiani, come Tertulliano, miravano a far conoscere e accettare la propria fede all’opinione pubblica e ai circoli culturali dell’Impero. 4.1 Nerva (96-98 d.C.) Il principato di Nerva, durato solo due anni, vide un tentativo di riassetto degli equilibri istituzionali interni. Non disponiamo più di biografie (le Vite dei dodici Cesari di Svetonio terminano con la dinastia Flavia), ci dobbiamo basare principalmente sulla narrazione dello storico greco di età severiana Cassio Dione, su qualche passo di Plinio il Giovane e sulle epitomi di storia romana del IV secolo d.C. disponiamo di altre fonti, come le monete che con i messaggi propagandistici che ci forniscono l’unica documentazione da cui conosciamo i provvedimenti presi da Nerva. La prima preoccupazione di Nerva fu quella di controllare le reazioni all’uccisione di Domiziano e di scongiurare il pericolo dell’anarchia. Ottenne giuramenti di fedeltà dalle ! Adriano non era disinteressato all’esercito, anzi era un amministratore attento e un riformatore della disciplina militare, infatti, rinvigorì la disciplina e favorì il reclutamento dei provinciali e creò nuove unità (chiamate numeri) formate da soldati che conservavano gli armamenti e i sistemi di combattimento tradizionali. Altri aspetti sul governo di Adriano: Fu anche uomo di cultura (favorì l’arte, la letteratura, le tradizioni e i culti), dimostrò predilezione per la civiltà ellenica e costruì grandi palazzi. Volle restituire splendore ad Atene e alle poleis greche, dando impulso alla trasformazione urbanistica e contribuendo alla rivitalizzazione delle istituzioni. Inoltre, si impegnò nel controllo della situazione finanziaria e dell’amministrazione. Viaggiò molto tra il 121 e il 125 d.C.: - Province renane e danubiane - Visitò la Britannia (dove costruì un vallo a difesa della zona meridionale) - Gallia, Spagna, Mauretania, Africa - Asia minore e Grecia Gli ultimi anni li trascorse tra Roma e l’Africa dove, come in Britannia, costruì il fossatum Africae: serie di fortificazioni con lo scopo di controllare gli spostamenti delle popolazioni nomadi e le attività economiche. Cambiamenti messi in atto: Adriano trascorse 12 dei suoi 21 anni di regno fuori da Roma e dall’Italia. Acquisì una conoscenza dettagliata delle diverse situazioni locali e dei meccanismi del funzionamento finanziario e amministrativo dell’Impero. Diede una forma definitiva alle competenze giurisdizionali dei governatori provinciali e riorganizzò il gruppo dei propri consiglieri. Per ottenere una efficiente amministrazione della giustizia, Adriano divise l’Italia in quattro distretti giudiziari, assegnandoli ai senatori e alleggerendo il lavoro dei tribunali di Roma (provvedimento poi abolito dal suo successore). Il ceto equestre era molto importante per l’amministrazione finanziaria, così Adriano ne riorganizzò la carriera (prevedendo tappe di promozione). Come successore, Adriano sceglie Lucio Elio Cesare, che però muore prematuramente. La sua scelta, quindi, ricade su Antonino Pio, che a sua volta farà riferimento a Lucio Vero e Marco Aurelio. la complessità di questa procedura è indice di precarietà: il sistema non era in grado di resistere alle tensioni interne. Mappa degli imperatori (p. 302) 4.4 Antonino Pio Il regno di Antonino fu all’insegna della continuità con quello del suo predecessore MA egli rinunciò ai lunghi viaggi, privilegiando incarichi amministrativi piuttosto che militari. Questo periodo è privo di grandi avvenimenti, in quanto l’imperatore ebbe buoni rapporti con in senato e fu un coscienzioso e parsimonioso amministratore. 4.5 Lo statuto delle città Nell’età di Antonino Pio l’Impero raggiunse l’apogeo del proprio sviluppo e del consenso presso le élites delle province e delle città. L’orazione a Roma di Elio Aristide sottolinea l’importanza di due elementi che caratterizzavano la natura dell’Impero Romano: Il processo di integrazione dei ceti dirigenti provinciali attraverso il conferimento della cittadinanza romana Il valore attribuito alla vita cittadina nella quale la cultura greca trovava la sua più compiuta espressione La città, con le sue strutture e l’agio che offriva, rappresentava nel mondo antico il segno distintivo della civiltà: ovunque ci fossero istituzioni cittadine, i Romani vi si affidavano per il controllo amministrativo. Nell’Impero Romano, vi erano varie tipologie cittadine con una grande diversità di statuti. Civitates in Occidente e poleis in Oriente erano organizzate secondo tre tipologie a seconda del loro stato di integrazione nello Stato romano: 1- Le città peregrine, ossia quelle preesistenti alla conquista e alla loro riorganizzazione all’interno dell’impero. In questo gruppo, in base allo status giuridico nei confronti di Roma, si distinguono: o Città stipendiarie: sottomesse a Roma, pagano un tributo o Città libere: con diritti speciali concessi da Roma o Città libere federate: hanno concluso un trattato con Roma su un piede di eguaglianza 2- I municipi: città cui Roma ha concesso di elevare il suo status precedente di città peregrina 3- Le colonie: città di nuova fondazione su terre sottratte a popoli vinti, con coloni che godono della cittadinanza romana. Essa adotta il pieno diritto romano ed è organizzata a immagine di Roma. Questo permetteva di realizzare una gerarchia tra le città tale da favorire lo spirito di emulazione (le città peregrine volevano diventare municipi ecc.) La complessità delle situazioni giuridiche delle città è riflessa della molteplicità di culture, tradizioni, lingue, religioni e identità che convivevano nell’Impero. 4.6 Marco Aurelio Appena salito al trono, Marco Aurelio decide si dividere il potere con il fratello adottivo Lucio Vero primo caso di DOPPIO PRINCIPATO: piena condivisione collegiale del potere da parte di due imperatori, posti su un piano di perfetta uguaglianza. All’inizio del regno di Marco, si riaprì la questione orientale con il potente vicino partico. La guerra si concluse vittoriosamente nel 166 d.C. ma fu causa indiretta della crisi che colpì l’impero negli anni successivi (tornato dalla guerra, l’esercito portò con sé la peste che causò gravi conseguenze economiche e demografiche). Lo sguarnimento della frontiera settentrionale rese i barbari pericolosi che, superato il Danubio, giunsero persino a minacciare l’Italia. Marco Aurelio e Lucio Vero furono quindi impegnati nella difesa della frontiera danubiana e come risposta a questa situazione di emergenza si creò la praetentura Italiae et Alpium (= difesa avanzata dell’Italia e delle Alpi) successivamente, Lucio Vero morì e Marco Aurelio riuscì a ristabilire la situazione spingendo i barbari a nord del Danubio. Marco Aurelio è passato alla storia come imperatore-filosofo con lui, infatti, si torna alla successione dinastica piuttosto che scegliere autonomamente la persona ritenuta più idonea per la successione (a lui succedette il figlio Commodo, che però risultò totalmente indegno della carica). 4.7 COMMODO (180 – 192 d.C.) COMMODO divenne imperatore a soli 19 anni, antitesi del padre. Il suo primo atto fu quello di concludere definitivamente la pace con le popolazioni che premevano sul Danubio. Inclinazioni dispotiche, determinarono una rottura con il senato.