Scarica Storia romana - G. Geraci e A. Marcone e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Datazione e Cronologia Il modo di indicare le date in riferimento alla nascita di Cristo, non è mai stato utilizzato nel mondo antico. L’era <<cristiana>> o <<volgare>> fu introdotta dal monaco Dionigi detto il Piccolo, vissuto tra il V e l’inizio del VI secolo d.C. Il suo sistema cronologico riportava alla nascita di Cristo soltanto gli avvenimenti accaduti dopo tale data. La consuetudine di contare gli anni prima di Cristo venne introdotta molti secoli dopo, nel corso del XVIII secolo. A Roma, a partire dall’età repubblicana, ciascun anno fu indicato mediante i magistrati eponimi, quindi in genere con la menzione de due consoli in carica. Soltanto tra la fine dell’età repubblicana e la prima età imperiale prese piede, negli ambienti dotti antichi e quindi non nell’uso comune, l’uso di esprime la data partendo dalla fondazione di Roma. La datazione canonica della fondazione della città venne fissata solo in epoca cesariana dall’erudito Marco Terenzio Varrone. Essa fu ricavata retrospettivamente partendo da sincronismi che fissavano al 509 a.C. il primo anno della Repubblica e attribuendo al periodo regio una durata complessiva di 35 anni per ciascuno dei sette re della tradizione. Il calendario romano repubblicano, rimasto in vigore fino alla riforma di Cesare, era basato su un anno di 355 giorni, suddiviso in 12 mesi e che cominciava il primo di marzo. Un’importanza notevole ebbero i giorni di mercato (nundinae). I mercati avevano luogo regolarmente ogni otto giorno. *** Onomastica romana La denominazione dei cittadini romani si fondava, nell’età più antica, su un unico nome. Con il tempo a questo se ne aggiunse un secondo e poi un terzo. Così il nome completo del cittadino romano di condizione libera comportò 3 elementi i tria nomina: • Il primo era il PRONOME, l’originario nome personale. • Il secondo era il gentilizio NOMEN, che designava il gruppo familiare (gens) di appartenenza dell’individuo e veniva trasmesso di padre in figlio. [Esempi: Aurelius, Claudius, Cornelius, Fabius, Licinius, Tullius, Valerius). • Il terzo era il COGNOMEN, spesso derivato da un soprannome individuale, tratto da: • caratteristiche fisiche [Rufus (rosso di capelli), Calvus (calvo), Barbatus (barbuto)] oppure • precisazioni geografiche, spesso legate alla provenienza [Antias, Gallus, Siculus] oppure • cariche o attività di esponenti della famiglia [Scipio (bastone del comando), Censorinus (che è stato censore)]. Esso tese poi a divenire ereditario tra gli aristocratici, per distinguere le varie famiglie appartenenti ad una stessa gens [i Cornelii Scipiones, i Marcii Reges, ecc.]. A volte poteva essere aggiunto un secondo cognomen. In caso di adozione l’adottato assumeva i tria nomina del padre adottivo, a cui faceva seguire un secondo cognomen tratto dal gentilizio della sua famiglia d’origine. [Es: Caio Ottavio adottato da Caio Giulio Cesare, divenne Caio Giulio Cesare Ottaviano.] Le cittadine romane di nascita libera ricevevano come nome il solo gentilizio paterno, al femminile, e continuavano a portarlo anche da sposate. [Cornelia, Marcia, Livia.] Gli schiavi erano abitualmente denominati con un unico nome personale. I liberti (ex schiavi liberati tramite l’atto della manomissione) assumevano il prenome e il gentilizio dell’ex padrone e portavano come cognome il loro antico nome di schiavo. [Es: un Carpophorus liberato da un M. Horatius Clemens si sarebbe chiamato M. Horatius Carpophorus.] - L’ITALIA PREROMANA - L’Italia dell’età del bronzo e l’età del ferro III - II millennio a.C. sviluppo di notevoli proporzioni nella penisola italiana: si passa da una miriade di gruppi di piccole dimensioni al sorgere di forme di organizzazione proto statale. Sono dislocate un po’ ovunque lungo la penisola ma soprattutto sugli Appennini (denominata cultura appenninica). Si realizza un grande incremento demografico. alla#volta#dell’Italia#dall’As ia# minore.#Dionigi#di#Alicarna sso#(I#sec.#a.C.)#li#ritene va#invece#genti#autoctone .#Altri#ancora#pensavano# provenissero#dal#lontano# nord.## La#ricerca#storica#e#arche ologica#moderna#colloca#l’ origine#di#questo#popolo# tra#l’VIII#e#il#VII#sec.#a.C .#e# sostiene#che#fu#il#punto# d’incontro#tra#un’evoluzion e#delle#società#e#dell’eco nomie#locali#e#l’influenza #delle# colonie#greche#presenti#n ell’Italia#meridionale.# Nel#loro#periodo#di#massi ma#espansione#(VII"Vi#sec .#a.C.)#gli#Etruschi#control lavano#la#quasi#totalità#d ell’Italia# centro"occidentale#e#comp etevano#con#Greci#e#Cart aginesi#per#il#controllo#de lle#principali#rotte#maritti me.## Gli#Etruschi#si#organizzaro no#fi#dall’inizio#in#città#i ndipendenti#governati#da# sovrani#(lucumoni);#l’unica #forma# di#aggregazione#delle#com unità#etrusche#che#ci#sia #nota#è#quella#rappresent ata#dalla#lega#delle#12#c ittà#più# importanti,#che#aveva#per ò#scopi#essenzialmente#re ligiosi.# 530#a.C.,#Battaglia#navale #contro#i#Focei:#Prima#ba ttuta#d’arresto#dell’espansi one#etrusca.#Nonostante# l’alleanza#coi#Cartaginesi,# non#riuscirono#ad#avere#l a#meglio.# 474#a.C.,#battaglia#di#Cu ma:#Sconfitta#contro#i#Gr eci#di#Siracusa#che#fermò Il problema della lingua L’alfabeto della lingua etrusca, composto da ventisei lettere, è un riadattamento di quello greco. La difficoltà principale deriva dal fatto che l’etrusco è una lingua non indoeuropea, per la quale si hanno pochi elementi di confronto con altre lingue a noi note. Inoltre i testi che ci sono giunti sono costituiti per lo più da brevi formule, nelle quali spesso compare solo il nome del defunto, con le cariche da lui ricoperte, e da quello della sua famiglia. Infatti, pochi sono i testi di una certa estensione. *** Tecnica e arte I siti delle città etrusche hanno lasciato una traccia archeologica relativamente modesta, ad eccezione delle necropoli e di altri siti come quelli di Marzabotto (pressi di Bologna) e di grossi centri come Volterra e Tarquinia (Etruria meridionale). Le necropoli erano organizzate come vere e proprie abitazioni sotterranee, costruite in pietra o scavate nel tufo con varie strutture: ■ Tombe a pozzo, costituite da semplici pozzetti rivestiti. ■ Tombe a fossa, destinate all’inumazione dei cadaveri. ■ Tombe a camera, con una struttura architettonica complessa. Erano costruite come veri e propri appartamenti per membri di una stessa famiglia ed erano fornite di numerosi ambienti, celle, corridoi e nicchie. Dal punto di vista dell’architettura è notevole il grado di perfezionamento raggiunto dagli Etruschi nell’uso della copertura a volte e dell’arco. Anche la manifestazione più significativa dell’arte etrusca vera e propria sono direttamente collegate all’edilizia sepolcrale, che ci ha lasciato reperti di statuaria, terracotte, pitture e oreficeria. Gli affreschi che decorano le tombe riproducono scene di vita quotidiana, spesso legate a soggetti cerimoniali, conviviali o sportivi (scene di caccia). Tra le tecniche più diffuse di produzione ceramica, tipica è quella del vasellame di bucchero, ottenuto mediante una particolare cottura dell’argilla fino al raggiungimento di un colore nero lucente, ad imitazione del metallo. Per quanto riguarda le attività economiche, gli Etruschi praticano con successo l’agricoltura (cereali), la metallurgia e l’artigianato artistico, esportando i loro prodotti in ampie zone del Mediterraneo. Gli Etruschi furono abili sia nell’estrazione di minerali, sia nel trattamento dei metalli grezzi in apposite fornaci. ******************** - ROMA - Le fonti letterarie I primi storici ad occuparsi dell’Italia meridionale furono i Greci. E in greco scrissero i primi storici romani, Fabio Pittore e Cincio Alimento (fine III sec. a.C.), a più di cinque secoli dalla fondazione dell’Urbe. La comparsa della scrittura a Roma (fine VII sec. a.C) non determinò grandi cambiamenti. Per quel che riguarda Roma, le poche iscrizioni pervenute fino a noi, non ci danno grandi informazioni. Non si parla né di storiografia né di archivi di famiglia. Quindi sia nella prima che nella seconda metà del periodo regio, la tradizione orale deve aver giocato un ruolo di rilievo nella trasmissione dei ricordi storici. Ciò accade anche per la prima parte dell’età repubblicana. È sicura l’esistenza di documenti scritti, ma ci si deve interrogare sulle modalità della loro utilizzazione da parte di chi ha elaborato la più antica storiografia. I primi storici, dei quali possiamo tutt’ora leggere le narrazioni di Roma arcaica, furono Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso, che vissero nel I secolo a.C. • Tito Livio, di Padova e contemporaneo dell’imperatore Augusto, scrisse una grande storia di Roma dalla sua fondazione, in ben 142 libri. Il primo libro è dedicato alla Roma monarchica. • Dionigi di Alicarnasso fu uno storico greco, attivo anche lui a Roma in età augustea. Le sue Antichità romane, in 20 libri, coprivano il periodo che andava dalla fondazione di Roma allo scoppio della prima guerra punica (264 a.C.). Lo scopo principale di Dionigi nell’esposizione della storia romana arcaica è quello di dimostrare che i Romani erano una popolazione di origine ellenica. La versione più nota e diffusa della leggenda delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa e la dinastia dei re albani tra l’arrivo di Enea nel Lazio e il regno di Romolo. Nel primo libro dell’Eneide, il poeta Virgilio si ispira a questa tradizione: Alba Longa è fondata dal figlio di Enea, Ascanio/Iulo. Secondo la leggenda Romolo, fondatore e primo re di Roma, è figlio addirittura di Marte, dio della guerra, e di Rea Silvia, figlia di Numitore, ultimo re di Alba Longa. Nella tradizione trova posto anche l’antefatto del conflitto tra Cartagine e Roma. Enea, infatti, durante le sue peregrinazioni dopo la caduta di Troia, era giunto fino a Cartagine, dove aveva conosciuto le regina Didione. Quando Enea aveva deciso di ripartire, Didone, che si era innamorata di lui, non riuscendo a trattenerlo presso di sé, giurò che un odio eterno avrebbe contrapposto Cartagine e quella città che Enea e i suoi discendenti si preparavano a fondare nel Lazio e a far regnare nel Mediterraneo. *** I sette re di Roma Periodo monarchico della storia di Roma dal 754 al 509 a.C. Periodo in cui su Roma hanno regnato sette re: ■ Romolo prime istituzioni politiche, tra cui un senato di cento membri. ■ Numa Pompilio primi istituti religiosi. ■ Tullio Ostilio campagne militari di conquista. ■ Anco Marcio fondazione della colonia di Ostia, alle foci del Tevere. ■ Tarquinio Prisco importanti opere pubbliche. Il suo regno segna una seconda fase della monarchia romana, nel quale gioca un ruolo importante la componente etrusca. • la fase di predominio etrusco nel periodo finale della monarchia. La fondazione di Roma La nascita della città dovette essere il risultato di un processo formativo lento e graduale, per il quale di deve presupporre una sorta di federazione di comunità separate che già vivevano sparse sui singoli colli. Roma sorgeva a ridosso del basso corso del Tevere, in una posizione di confine tra due aree etnicamente differenti, separate proprio dal corso del fiume: la zona etrusca e il Lazio antico formavano una regione molto più piccola di quella del Lazio attuale. Non si è in grado di stabilire con sicurezza quale sia l’origine del nome <<Roma>>. Tra le possibilità, c’è quella che derivi: • dalla parola ruma (“mammella”, nel senso di collina) oppure • dalla parola Rumon (termine latino arcaico che designava il fiume Tevere). *** Il pomerio e i riti di fondazione Nella fondazione di una città un’importanza fondamentale dal punto di vista religioso era rivestita dal pomerio. POMERIO: linea sacra che ne delimitava il perimetro in corrispondenza con le mura. Non sempre coincideva con le mura, perché era tracciato secondo gli auspici, presi dagli àuguri (procedura religiosa). La coincidenza fra mura e pomerio non sembra sussistere neppure nella primitiva città edificata sul Palatino. Infatti, le mura giravano a mezza costa dalla collina mentre il pomerio girava attorno alla sua base con un perimetro notevolmente più esteso. L’area del pomerio era delimitata da cippi infissi nel terreno a seguito di una cerimonia religiosa presieduta dal pontefice massimo. In caso di ampliamento di tale area, i ceppi, in quanto oggetti sacri, venivano conservati. Il pomerio in realtà non fu accresciuto sino a Silla. In età imperiale conobbe molti accrescimenti. L’ultimo imperatore che lo ampliò fu Aurelio nella seconda metà del III secolo a.C. *** Lo Stato romano arcaico Alla base dell’organizzazione sociale dei Latini ci fu una struttura in famiglie, alla cui testa stava il pater. PATER: figura depositaria di un potere assoluto su tutti i suoi componenti, compresi gli schiavi e i clienti (quindi tutti coloro che erano in una posizione di inferiorità e avevano quindi bisogno di sostegno di un capo autorevole). Tutte le famiglie che riconoscevano di avere un antenato comune costituivano la GENS, un gruppo organizzato politicamente e religiosamente. La popolazione dello Stato romano arcaico era divisa in gruppi religiosi e gruppi militari, detti <<curie>>. CURIE: comprendevano tutti gli abitanti del territorio, ad esclusione degli schiavi. Praticavano riti religiosi e rappresentarono il fondamento della più antica assemblea politica cittadina, quella dei comizi centurati. Purtroppo non si conosce la loro funzione in età arcaica né si sa se fossero organizzate su base territoriale o su base gentilizia. Un altro importante raggruppamento furono le TRIBÙ, che originariamente erano tre e i cui nomi fecero penare che la loro origine fosse etrusca. In un epoca relativamente tarda, (coincidente più o meno con il periodo del predominio etrusco), lo Stato romano si organizzò secondo criteri più precisi. Ogni tribù fu divisa in dieci curie e da ogni tribù furono scelti cento senatori. Su questo modello si fondò anche l’organizzazione statale: ogni tribù era tenuta a fornire un contingente di cavalleria (cento uomini) e uno di fanteria (mille uomini). La LEGIONE (componente fondamentale dell’esercito) risultava quindi composta da tremila fanti e da trecento cavalieri. La monarchia romana La monarchia romana era elettiva: l’elezione del re era demandata all’assemblea dei rappresentanti delle famiglie più in vista. Il re doveva essere affiancato nelle sue funzioni da un CONSIGLIO DEGLI ANZIANI, composto dai capi delle famiglie più nobili e più ricche (chiamati patres); questi uomini rappresentavano il nucleo di quello che poi sarebbe stato il senato. Il re era anche il supremo capo religioso e nella celebrazione del culto veniva affiancato dai collegi dei sacerdoti. Tra questi importante fu quello dei pontefici. PONTEFICI: depositari e interpreti delle norme giuridiche, prima che si giungesse alla redazione di un corpus di leggi scritte. Il COLLEGIO DEGLI ÀUGURI aveva invece il compito di interpretare la volontà divina allo scopo di propiziaserla, così da garantire il felice esito di un’impresa; Le VESTALI erano donne votate ad una castità trentennale e il loro compito era di custodire il fuoco sacro che ardeva perpetuamente nel tempio della dea Vesta. *** La donna Il ruolo della donna aristocratica, che riceveva un’educazione intellettuale che poteva spaziare dalla letteratura alle arti della musica e della danza, non si esauriva nella sola vita domestica. • il comando dell’esercito • il mantenimento dell’ordine all’interno della città • l’esercizio della giurisdizione civile e criminale • il potere di convocare il senato e le assemblee popolari • la cura del censimento e della compilazione delle liste dei senatori • il controllo sugli auspici (nella sfera religiosa): potere di interpretare la volontà degli dèi riguardo le decisioni più importanti della vita pubblica. Inoltre il consolato aveva anche la funzione eponima: i due magistrati in carica davano il nome all’anno in cui esercitavano il loro consolato. Alcune competenze religiose dei precedenti monarchi non furono trasferite ai consoli, ma ad un sacerdote di nuova istituzione: il rex sacrorum. Presto ad esso vennero affiancandosi altri sacerdozi di maggior peso politico: i pontefici e gli àuguri. I poteri autocratici di cui erano dotati i due consoli erano tuttavia sottoposti ad alcuni importanti limiti: ■ la durata della carica, limitata ad un anno annualità; ■ il fatto che ciascuno dei magistrati aveva eguali poteri e poteva dunque opporsi all’azione del collega qualora la giudicasse dannosa per lo Stato collegialità; ■ ogni cittadino poteva appellarsi al giudizio dell’assemblea popolare contro le condanne capitali inflitte dal console provocatio ad populum. Il diritto di appello al popolo era ritenuto dagli antichi fondamento della libertà repubblicana non meno che il consolato stesso. [La versione tradizionale sulla massima magistratura repubblicana è stata messa in dubbio da parte di alcuni studiosi i quali ritengono che, almeno in una prima fase, i poteri del re siano stati trasferiti ad un solo magistrato, eventualmente affiancato da alcuni assistente; solamente dopo le leggi Licinie Sestie del 367 a.C. sarebbe stata creata la magistratura collegiale del consolato, con due magistrati dotati di pari poteri.] * Le crescenti esigenze dello Stato indussero alla progressiva creazione di nuove magistrature. Anche queste cariche furono caratterizzate dai fondamenti principali dell’annualità e della collegialità. Al periodo regio o al primo anno di Repubblica risalirebbero i questori: originariamente in numero di due, assistevano i consoli nella sfera delle attività finanziarie. In un primo tempo è probabile che fossero i consoli a designare i questori, poi la carica divenne elettiva. In un qualche rapporto con i questori finanziari, dovevano essere i questores parricidii, che le leggi delle XII Tavole ricordano incaricati di istituire i processi per i delitti di sangue che coinvolgessero i parenti. Il reato di alto tradimento era invece competenza dell’apposito collegio dei duoviri perduellionis. * Secondo la tradizione nel 443 a.C. il compito di tenere il censimento sarebbe stato sottratto alle competenze dei consoli e affidato a due nuovi magistrati: i censori. Di regola essi venivano eletti ogni 5 anni e la loro carica durava 18 mesi. In seguito ad un provvedimento, si affidò ai censori anche la redazione delle liste dei membri del senato. Da questa competenza si sviluppò poi probabilmente una generale supervisione sulla condotta morale dei cittadini, la cura morum, che conferiva ai censori ampi poteri di intervento su diversi aspetti della vita pubblica e privata. *** La dittatura In caso di necessità, i supremi poteri della Repubblica potevano essere affidati ad un dittatore, magistrato per molto aspetti eccezionale nel quadro istituzionale romano. Il dictator non veniva eletto da un’assemblea popolare, ma nominato a propria discrezione da un console, da un pretore o da un interrex, su istruzione del senato. Inoltre il dittatore non era affiancato da colleghi con eguali poteri, ma assistito da un magister equitum da lui personalmente scelto e a lui subordinato. Infine, contro il valore del dictator non valeva l’appello al popolo o l’opposizione del veto da parte dei tribuni della plebe. - IL CONFLITTO TRA PATRIZI E PLEBEI - Il problema economico La caduta dei Tarquini e i mutamenti nel quadro internazionale della prima metà del V secolo a.C. ebbero pesanti ripercussioni nella situazione economica di Roma. economico-istituzionale dello Stato, ma aspirava ad una riforma dall’interno, che riservasse il giusto peso a tutte le componenti della cittadinanza. *** Il Decemvirato e le leggi delle XII Tavole Dopo alcuni anni di agitazioni si raggiunse un compromesso: la plebe iniziò a premere affinché fosse redatto un codice di leggi scritto; 451 a.C. viene nominata una commissione di dieci uomini (Decemvirato) scelti tra il patriziato, incaricati di stendere in forma scritta un codice giuridico. 450 a.C. venne poi eletta una seconda commissione decemvirale, ove sarebbe stata rappresentata anche la plebe. Il complesso di leggi e norme venne pubblicato nel Foro in 10 tavole di legno, e in seguito in 12 (in cui è ravvisabile un’influenza del diritto greco). La commissione tuttavia sotto la spinta del suo membro più influente, Appio Claudio, cercò di prorogare indefinitamente i propri poteri, rivoluzionando l’assetto costituzionale dello Stato. Come ai tempi della caduta della monarchia, è la violenza nei confronti di una giovane a far precipitare la situazione; le insidie da lui portante a Virginia, provocarono una seconda secessione, a seguito della quale i decemviri furono costretti a deporre i loro poteri . Il consolato viene ripristinato. 449 a.C. I massimi magistrati di questo anno fanno approvare un pacchetto di leggi in cui si riconosce l’apporto della plebe nella lotta contro il tentativo rivoluzionario dei decemviri. Vi si ribadisce: • l’inviolabilità dei rappresentanti della plebe • si proibisce la creazione di magistrature contro le quali non valesse il diritto d’appello • si rendono i plebisciti votati dall’assemblea della plebe vincolanti per l’intera cittadinanza. 445 a.C. Abrogata la norma che proibiva i matrimoni tra patrizi e plebei, in base al plebiscito Canuleio. Nelle XII tavole è ravvisabile un’influenza del diritto greco. *** Tribuni militari con poteri consolari Il plebiscito fatto votare da M. Canuleio, ebbe come conseguenza di rimuovere la principale obiezione che il patriziato aveva opposto all’accesso dei plebei al consolato: solo i patrizi si ritenevano titolari del diritto di prendere gli auspici per accertare la volontà degli dèi. A seguito del plebiscito Canueleio, però, il sangue delle famiglie plebee poteva mescolarsi con quello delle stirpi patrizie diveniva così difficile escludere un plebeo che avesse almeno un po’ di sangue patrizio, dagli auspicia e, di conseguenza, dal consolato. 444 a.C. Il patriziato, visto minacciato il suo monopolio sul consolato, fece sì che il senato ogni anno decidesse se alla testa dello Stato vi dovevano essere due consoli, provenienti esclusivamente dal patriziato e con il diritto di prendere gli auspici, oppure un certo numero di tribuni militari con poteri consolari, tribuni militum consulari potestate (inizialmente 3, poi 4 o addirittura 6) che potevano anche essere plebei, ma senza il diritto di trarre gli auspici. Tra le diverse spiegazioni, una delle più lineari ritiene che, nel periodo 444-367 a.C., i consoli non siano statti sostituiti, ma affiancati dai tribuni consolari. I patrizi di fatto perdevano il controllo sulla massima magistratura repubblicana, raggiungendo cosi un risultato opposto a quello che la loro riforma si proponeva di seguire. I due consoli in possesso del diritto agli auspicia ed esclusivamente patrizi, sarebbero stati assistiti nei loro compiti, da alcuni dei tribuni militum, i comandanti dei reparti che componevano le legioni, dotati per l’occasione di poteri equiparati a quelli dei consoli. *** Le leggi Licinie Sestie La crisi si accelerò dopo che la minaccia dei Galli si era allontanata da Roma. M. Manlio Capitolino, eroe della resistenza contro i Galli, propose una riduzione o cancellazione totale dei debiti associata ad una nuova legge agraria, sperando secondo le diverse accuse, di instaurare un regime personale. Il tentativo fallì. Qualche anno dopo l’iniziativa tornò ai tribuni della plebe Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano. Essi proposero un ampio pacchetto di proposte circa il problema dei debiti, la distribuzione delle terre dello Stato e l’accesso dei plebei al consolato Tutti elementi cui i patrizi si opposero. 367 a.C. dopo alcuni anni di anarchia politica, Marco Furio Camillo, eroe della guerra contro Veio e vendicatore del sacco gallico, venne chiamato alla dittatura per sciogliere tale situazione. Le proposte di Licinio e Sestio assunsero il valore di legge, assumendo il nome di leges Liciniae Sestiae e prevedevano: • che gli interessi che i debitori avevano già pagato sulle somme ricevute potessero essere detratti dal capitale dovuto e che il debito residuo fosse estinguibile in tre rate annuali. • che l’estensione massima di terreno di proprietà statale , occupato da un privato, fosse di 125 ettari / 500 iugeri). • la fine del tribunato militare con potestà consolare e la reintegrazione a capo dello Stato dei consoli, uno dei quali plebeo. Nel 366 a.C. vennero create due nuove cariche: • il pretore, avente il compito di amministrare la giustizia tra i cittadini romani. Dotato di imperium poteva, se necessario, essere messo a capo di un esercito, sebbene i suoi poteri fossero subordinati a quelli dei consoli. • gli edilicuruli, chiamati così dalla sella curulis, ove sedevano i magistrati patrizi, che li distingueva dagli edili della plebe; ad essi venne affidato il compito di organizzare i Ludi maximi. *** Verso un nuovo equilibrio Le leggi Licinie Sestie del 367 a.C. segnarono la fine della fase più acuta della contrapposizione tra patrizi e plebei. Tuttavia, consentendo ai plebei di rivestire la massima magistratura repubblicana, si era imboccata una strada che inevitabilmente andava percorsa sino in fondo. Nei decenni successivi i plebei ebbero progressivamente acceso a tutte le altre cariche dello stato. 339 a.C. Lex publicia: regolamenta l’approvazione dei senatori. Le decisioni prese dalle assemblee La situazione del Lazio alla caduta della monarchia di Roma Alla caduta della monarchia Roma, secondo la tradizione letteraria, controllava un territorio esteso dal Tevere alla ragione Pontina, a seguito delle conquiste, ma anche dell’accorta politica matrimoniale condotta dai re etruschi. Tra la fine del VI e l’inizio del V sec. a.C. alcune città latine approfittarono delle difficoltà interne di Roma per contrastare la sua egemonia; esse si strinsero in una lega, in ricordo forse di un’unità etnica del popolo latino, riconoscendosi diversi diritti: • lo ius connubii, diritto di contrarre matrimoni legittimi coi cittadini di altre comunità; • lo ius commercii, diritto di siglare contratti aventi valore legale fra cittadini appartenenti a comunità diverse, usando strumenti formali del diritto cittadino; • lo ius migrationis, per cui un latino poteva assumere pieni diritti civili in una comunità diversa da quella in cui era nato, prendendovi residenza. La battaglia del lago Regillo e il foedus Cassianum La lega latina tentando di affermarsi definitivamente attaccò Roma, alcuni pensano per volontà di Ottavo Mamilio di Tusculo, con la speranza di rimettere sul trono della città il proprio suocero, Tarquinio il Superbo. 496 a.C. Battaglia del lago Regillo, che conobbe la vittoria dei Romani. 493 a.C. sottoscrizione di un patto di alleanza, che avrebbe regolato i rapporti fra Roma e i Latini per molto tempo; firmato per parte romana, dal console Spurio Cassio, che diede il nome al trattato stesso (foedus Cassianum) Esso prevedeva: • le due parti s’impegnavano a mantenere tra loro la pace e a comporre amichevoli eventuali dispute commerciali. • prestarsi aiuto reciprocamente nel caso una delle parti fosse stata attaccata. • l’eventuale bottino di campagne di guerra comuni sarebbe stato diviso equamente. 486 a.C. Roma completò il suo sistema di alleanze con gli Ernici, in termini di trattato molto simili a quello Cassiano. *** I conflitti con Sabini, Equi e Volsci Queste alleanze si rivelarono preziose per fronteggiare la minaccia proveniente da tre popolazioni che dagli Appennini premevano verso la piana costiera del Lazio: i Sabini, gli Equi e i Volsci. Le loro sedi originarie, nelle regioni più impervie dell’Appennino centrale e meridionale, non erano in grado di assicurare la sopravvivenza di una popolazione con un forte indice di crescita demografica: l’unica soluzione risedeva nella migrazione verso terre più fertili. V sec. a.C una lunga serie di scontri fra Roma e queste popolazioni, spesso con esisto favorevole ai primi, ma senza mai raggiungere una soluzione definitiva; 431 a.C. gli alleati Romani, Latini ed Ernici bloccarono gli Equi, coalizzati coi Volsci, presso i colli Albani. *** Il conflitto con Veio Per bloccare queste popolazioni montanare Roma poteva contare sugli alleati, ma si ritrovò sola ad affrontare la potente città etrusca di Veio, meglio organizzata delle tribù appenniniche, rivale nel controllo delle vie di comunicazione lungo il basso corso del Tevere e delle saline alla foce del fiume. Questo contrasto attraversò tutto il V sec. a.C. sfociando in tre guerre: 483 – 474 a.C. prima guerra veiente: i Veienti occuparono un avamposto sulla riva sinistra, la riva “latina”, del Tevere, Fidene. Il tentativo di reazione romana, finì, per contro, in modo tragico: un esercito di 300 soldati composto esclusivamente da membri della gens Fabia e dai loro clienti venne annientato presso il fiume Cremera. Sarà l’ultimo esempio di guerra “aristocratica”. 437 – 426 a.C. seconda guerra veiente: i Romani vendicarono la sconfitta: Aulo Cornelio Cosso uccise il tiranno di Veio e Fidene venne riconquistata e distrutta dai Romani. 405 – 396 a.C. terza guerra veiente: il teatro delle operazioni furono le mura della stessa Veio, assediata per 10 anni dai Romani. Conquistatore della città fu Marco Furio Camillo. Alla fine dell’assedio la città venne presa e distrutta e le città etrusche non le prestarono soccorso e si schierarono dalla parte di Roma. Eventi di questa portata furono decisivi a Roma: il lungo assedio aveva tenuto lontano per molto tempo i soldati dai campi fu necessario introdurre una paga, detta stipendium. Per far fronte alle spese militari venne introdotta una tassa straordinaria, tributum, che gravava in misura proporzionale sulle diverse classi dell’ordinamento censitario, a seconda delle loro proprietà. L’invasione gallica Immediatamente successivo fu però un momento drammatico per Roma, che vide la calata dei Galli sulla città. Secondo le diverse fonti diverse tribù galliche si erano insediate nel nord Italia, l’ultima di queste sarebbe stata quella dei Senoni, che avrebbe occupato il territorio più meridionale, ager Gallicus. ■ altre città conservarono un’indipendenza formale e i diritti che precedentemente avevano stabilito per sé, ma non poterono più intrattenere relazioni fra loro, unicamente con Roma. ■ lo status di “Latino” perse la sua connotazione etnica, arrivando a designare una condizione giuridica in rapporto coi Romani. ■ i latini furono obbligati a fornire truppe a Roma in caso di necessità. Questi trattati consentirono a Roma di ampliare la propria egemonia e il proprio potenziale militare senza per questo costringerla ad assumersi i compiti di governo locale che le sue strutture politiche, rimaste sostanzialmente quelle di una città-stato non erano in grado di reggere. Dal momento che i socii dovevano impegnarsi a mantenere a proprie spese i contingenti di truppe che fornivano, Roma inoltre poté mantenere il suo impegno finanziario relativamente limitato, senza essere costretta a richiedere un tributo diretto che le avrebbe attirato l’odio degli alleati. Al di fuori del Lazio, per quel che riguarda in particolare Volsci e Campani, Roma concesse parzialmente la cittadinanza, la civitas sine suffragio: i titolari erano tenuti agli obblighi dei cittadini romani, come il tributum, ma non avevano diritto di voto nelle assemblee popolari. Alla fine della grande guerra latina, Roma aveva legato a sé, tutte le regioni dalla sponda sinistra del Tevere (a nord) al golfo di Napoli (a sud), dal Tirreno (a ovest) agli Appennini (a est): territorio non ampio come il Sannio ma più ricco e densamente popolato. *** La seconda guerra sannitica La fondazione di colonie romane a Cales e a Fregelle, territori che i Sanniti consideravano di propria pertinenza, provocò una nuova crisi nei rapporti fra le due potenze. 326 – 304 a.C. Seconda guerra sannitica, che vide fra le proprie cause il rapporto contrastante fra le masse popolari, a favore dei Sanniti, e le classi più agiate di sentimenti filoromani (una situazione che si presenterà regolarmente nelle città coinvolte nei conflitti fra Roma e avversari). I Romani sconfissero la guarnigione dei Sanniti a Napoli, conquistando la città, ma non riuscirono a penetrare a fondo nel Sannio. 321 a.C. Vennero circondati al passo delle Forche Caudine e costretti alla resa. Di seguito vi fu una momentanea tregua. 316 a.C. Si riapre lo scenario di guerra, dopo che i Romani attaccarono Saticula: le prime operazioni furono favorevoli ai Sanniti, che conseguirono una vittoria a Lentulae (interrompono comunicazioni con la Campania), poi Roma riprese la situazione in mano, attraverso una strategia a lungo termine, non sostenibile dalla Lega sannitica. ■ Saticula fu conquistata nel 315 a.C., ■ Fregelle venne ripresa, ■ le comunicazioni con la Campania ristabilite grazie alla costruzione del primo tratto della via Appia e strinsero sotto assedio il Sannio grazie a colonie come Luceria fondate in Apulia. Ora, il compatto esercito a falange si era rivelato incapace di sostenere manovre su un terreno accidentato come il Sannio: la legione venne divisa in 30 reparti (manipoli), unione di due centurie, sebbene avessero perso il significato etimologico di “cento uomini”, era composta infatti da 60 soldati. La legione era schierata su tre linee, ognuna delle quali composta da dieci manipoli; i primi erano chiamati principes, poi gli hastati, e infine i triarii. Roma era così in grado di affrontare più agevolmente una minaccia su due versanti, a sud contro i Sanniti e a nord contro la coalizione degli Stati etruschi, i quali furono subito costretti a siglare una tregue (308 a.C.). 304 a.C. Concentrati gli sforzi sul Sannio, i Romani giunsero alla pace, che rinnovava la precedente (del 354 a.C.), lasciando definitivamente il possesso di Fregelle e Cales a Roma. Sempre in questo periodo, gli Ernici vennero inglobati nello Stato romano senza diritto di voto, e gli Equi furono sterminati. *** La terza guerra sannitica 298 a.C. Terzo guerra sannitica: i Sanniti attaccarono i Lucani. 295 a.C. Il comandante supremo dei Sanniti, Gellio Egnazio, riuscì a erigere una potente coalizione antiromana con Etruschi, Galli e Umbri e avvenne lo scontro decisivo a Sentino. Gli eserciti dei consoli, Quinto Fabio Rulliano e Publio Decio Mure, prevalsero su Sanniti e Galli, approfittando della mancanza dei reparti etruschi e umbri. 293 a.C. I Sanniti vengono sconfitti nuovamente ad Aquilonia. Chiesero la pace tre anni più tardi. A nord, invece, ai Galli si offrì nuovamente la possibilità di penetrare nell’Italia centrale. 293 a.C. Il loro attacco congiunto con quello etrusco fu arrestato nella battaglia del lago Vadimone. In questi anni i Romani risalirono sino all’Etruria settentrionale e marciarono verso l’Adriatico, sconfiggendo i Sabini e i Pretuzzi, confiscandone il territorio per dedurvi la colonia latina di Hadria . 268 a.C. Conquistarono poi i territori appartenuti ai Senoni e nella parte settentrionale di questo territorio, nota come ager Gallicus, venne fondata la colonia latina di Rimini. I Piceni, vendendosi circondati tentarono una disperata guerra l’anno precedente, ma furono costretti alla resa pochi anni dopo. *** La guerra contro Taranto e Pirro Se i Sanniti non rappresentavano più una vera e propria minaccia per Roma, alcune popolazioni loro affini, come Lucani e Bruzi, conservarono la loro indipendenza, come la più potente città greca d’Italia, Taranto. 282 a.C. una città greca sorgente sulle rive calabresi del golfo di Taranto, chiese aiuto ai Romani, poiché minacciata dai Lucani. Roma inviò una flotta davanti alle acque di Taranto e nella città di fronte alla minaccia prevalse la fazione democratica sull’aristocrazia filoromana: i Tarantini marciarono su Turi, espellendone la guarnigione romana. Ma l’offensiva di Taranto non fu efficace e decise di ricorrere all’aiuto di un condottiero della madre patria greca Pirro, re dei Molossi e comandante della Lega epirotica, diede alla sua spedizione il carattere di una crociata in difesa dei Greci d’Occidente, minacciati dai barbari (e troiani avversari dei Greci) Romani. - LA CONQUISTA DEL MEDITERRANEO - La prima guerra punica 264 a.C. Roma controllava tutta l’Italia peninsulare, fino allo stretto di Messina; in quest’area gli interessi di Roma entravano in conflitto con quelli della precedente alleata, Cartagine. Lo scontro venne precipitato dalla questione dei Marmetini, mercenari di origini italica, impadronitisi di Messina, ma sconfitti da Ierone e le truppe siracusane. I Marmetini si appellarono all’aiuto della flotta cartaginese, preoccupati dell’espansione di Siracusa verso lo stretto: Ierone si ritirò e venne proclamato re di Siracusa. I Marmetini, stanchi però della tutela cartaginese, fecero appello ai Romani, i quali qualche anno prima, a Reggio, avevano cacciato invasori come i Marmetini dalla città, non sapendo come comportarsi ora: • Intervenire a favore di Messina voleva dire entrare in collisione con Siracusa e con Cartagine, che grazie ai suoi mezzi finanziari poteva mettere in campo grandi eserciti e potenti flotte. • Far cadere l’appello dei Marmetini significava lasciare a Cartagine il controllo della zona strategica dello stretto e perdere l’occasione per entrare nella ricca Sicilia. La motivazione economica, spinse l’assemblea popolare a votare l’invio di un esercito in soccorso ai Marmetini. 264 – 241 a.C. Si aprì così lo scenario della prima guerra punica, che vide i Romani respingere da Messina, Cartaginesi e Siracusani (ora coalizzatisi). 263 a.C. Ierone comprese l’innaturalezza dell’accordo con Cartagine e decise di siglare una pace, che lo lasciò in possesso di un ampio territorio della Sicilia orientale e libero di schierarsi con Roma. Grazie alla superiorità nelle forze navali, Cartagine conservava un saldo controllo su molte località costiere e Roma decide così di costruire una grande flotta contando sull’aiuto dei socii navales che fornirono marinai e comandanti. 260 a.C. Lo sforzo diede i suoi frutti con la vittoria del console Caio Duilio sulla flotta nemica nelle acque di Milazzo. Roma decise di attaccare Cartagine direttamente nei suoi possedimenti africani: 256 a.C. Iniziò l’invasione: la flotta romana sconfisse quella cartaginese al largo di capo Ecnomo, un promontorio ad est di Agrigento, e fece sbarcare l’esercito nella penisola di capo Bon, in Africa. Marco Attilio Regolo, pur ottenendo diversi successi non seppe approfittare della situazione favorevole: 255 a.C. Venne battuto da un esercito cartaginese comandato dal mercenario Santippo. 249 a.C. A seguito della sconfitta nella battaglia navale di Trapani e dell’ennesimo naufragio, Roma perse quasi del tutto le forze marittime; solo qualche anno più tardi grazie ai prestiti dei cittadini più facoltosi riuscì a ricostruire una flotta, il denaro sarebbe stato restituito in caso di vittoria. 241 a.C. La flotta cartaginese fu sconfitta alle isole Egadi e decisero di chiedere la pace. Le clausole del trattato che mise fine allo scontro prevedevano lo sgombero totale della Sicilia e il pagamento di un indennizzo di guerra. *** La prima provincia romana A seguito della prima guerra punica, Roma era riuscita ad ottenere un vasto territorio al di fuori della Penisola, costituito dalle regioni della Sicilia centro-occidentale. Il sistema col quale Roma integrò i nuovi possedimenti segnò una svolta nella storia istituzionale romana. • Nella penisola, città e popolazioni erano state direttamente incorporate nello Stato romano o legate da trattati che imponevano l’invio di truppe in caso di aiuto. Mancava però un pagamento di un’imposizione di denaro. • Alle comunità in Sicilia, invece, venne imposto il pagamento di un tributo annuale, consistente in una parte del raccolto di cereali (versamento di un decimo della produzione). Inoltre l’amministrazione della giustizia, il mantenimento dell’ordine interno e la difesa da aggressioni esterne vennero affidati a un magistrato romano inviato annualmente nell’isola. Da qui in avanti il termine provincia, che indicava la sfera di competenza di un magistrato venne ad assumere il significato di territorio soggetto all’autorità di un magistrato romano. *** Tra le due guerre Cartagine, spossata dal punto di vista finanziario, non era in grado di garantire il pagamento delle truppe mercenarie che avevano combattuto contro i Romani. La loro rivolta fu sedata da Amilcare Barca e quando si prepararono ad una spedizione per recuperare la Sardegna (ove altri mercenari si erano ribellati), si scontrarono con Roma, che li accusò di tramare nuove ostilità. A Roma serpeggiava l’idea che fosse impossibile sconfiggere Annibale in una battaglia campale, sostenuta dall’ex console Quinto Fabio Massimo, che venne nominato dittatore. Secondo la sua strategia era necessario controllare le mosse dell’avversario evitando scontri diretti e impedendo che giungessero aiuti da Spagna e Cartagine: prima o poi la scarsità di mezzi e uomini lo avrebbero costretto ad arrendersi alle forze romane e ad abbandonare l’Italia. Venne per questo motivo chiamato Cunctator (“il temporeggiatore”). Annibale nel frattempo avanzava e Roma non poteva assistere inerte alla devastazione dei territori Italici,così scaduti i sei mesi, a Roma si decise di passare nuovamente all’offensiva, sperando unicamente nella superiorità numerica. 216 a.C. Annibale annientò gli eserciti congiunti dei consoli Marco Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo nella battaglia di Canne, presso Canosa in Puglia. Considerato un capolavoro dell’arte militare e il più riuscito esempio di manovra di accerchiamento compiuta da un esercito numericamente inferiore agli avversari. 215 a.C. Muore Ierone, fedele alleato di Roma, il nipote Ieronimo che gli successe al trono si schierò dalla parte di Cartagine. Lo stesso anno si conobbe l’esistenza di un patto fra Annibale e Filippo V di Macedonia , mentre gli alleati dell’Italia centrale rimasero fedeli a Roma. 212 a.C. Anche Taranto si schierò dalla parte dei Cartaginesi, ma i Romani ne conquistarono il porto impedendo l’invio di rinforzi e nel 211 a.C. conquistarono Capua. Nello stesso anno, le forze romane di Marco Claudio Marcello conquistarono e saccheggiarono Siracusa e nell’Adriatico la flotta romana riuscì a impedire l’invasione da parte di Filippo V e il suo congiungimento con Annibale. Roma riuscì a paralizzare l’azione del re macedone creando una coalizione di Stati greci lui ostili, la Lega etolica, ma quando gli Etoli mostrarono di non avere intenzione di continuare la lotta, Roma sottoscrisse una pace col re, che lasciava immutato il quadro territoriale. Publio Cornelio Scipione nel frattempo raggiunse in Spagna il fratello Cneo e i due impedirono che giungessero ad Annibale ulteriori aiuti dalla penisola iberica. Questi poi trovandosi ad affrontare separati le ingenti forze cartaginesi in Spagna vennero sconfitti e uccisi. Il resto dei Romani difese il territorio settentrionale della penisola sino a che venne nominato comandante delle truppe in Spagna il figlio omonimo di Publio Cornelio Scipione, che diventerà noto col cognomen di Africano. 209 a.C. Scipione riuscì ad impadronirsi della principale base cartaginese, Nova Carthago, e sconfisse l’anno seguente il fratello di Annibale, Asdrubale, presso la località di Baecula, ma questi riuscì ad avanzare comunque verso l’Italia, ripetendo l’epica marcia del fratello nel tentativo di porgergli il suo aiuto. 207 a.C. La spedizione si scontrò con gli eserciti di Marco Livio Salinatore e Caio Claudio Nerone. Venne sconfitta presso il fiume Metauro: Asdrubale morì. Annibale, isolato da qualsiasi aiuto dalla madre patria, si vide costretto a ritirarsi nel Bruzio; 206 a.C. Scipione sconfiggeva gli eserciti cartaginesi di Spagna nella battaglia di Ilipa, nel Tornato. 205 a.C. Scipione fu eletto console e iniziò i preparativi per l’invasione dell’Africa, forte dell’alleanza con il re della tribù numida dei Massili, Massinissa, in rivolta contro Cartagine. 204 a.C. Le truppe romane sbarcarono in Africa e l’anno seguente Scipione e il re numida colsero un’importante vittoria nella battaglia dei Campi Magni. Scipione mirava ad eliminare per sempre la minaccia punica. 202 a.C. Presso Zama si svolse la battaglia che pose fine al conflitto, i Romani ottennero il successo. 201 a.C. Le trattative di pace prevedevano: • la consegna olistica della flotta cartaginese • il pagamento di una forte indennità • la rinuncia di territori fuori dall’Africa da parte di Cartagine • il dovere di chiedere permesso a Roma per dichiarare guerra. La seconda guerra macedonica Pochi anni dopo la conclusione della guerra con Cartagine, Roma si impegnò in un altro conflitto di grandi proporzioni contro Filippo V di Macedonia. Causa della guerra fu l’attivismo del re nell’area dell’Egeo e sulle coste dell’Asia Minore, che lo portarono a scontrarsi con il regno di Pergamo e la repubblica di Rodi. 201 a.C. Le tensioni sfociarono in una guerra aperta: Filippo fu battuto in una battaglia navale al largo di Chio, da Rodii e Pergameni, ma vinse nelle acque tra Samo e Mileto; questo bastò a far capire che da soli Rodi e Pergamo non sarebbero riusciti a contrastare la minaccia macedone e quindi si rivolsero a Roma. La volontà di vendetta contro un sovrano che alleandosi con Annibale all’indomani di Canne, aveva colpito Roma in un momento di grave crisi, permise ai comizi centuriati di votare per la guerra. Si decise di inviare un ultimatum a Filippo V, in cui gli si intimava di risarcire i danni commessi e di non attaccare gli Stati greci, ma esso fu ignorato, anche se venne visto di buon occhio da Stati come Atene, che era comunque la città più influente della Grecia. 200 a.C. l’esercito romano sbarca nella città nemica di Apollonia, a cui si aggiunse la Lega etolica. 198 a.C. il comandante Tito Quinzio Flaminino diede una svolta al conflitto. Uno a uno gli stati della Grecia si schierarono dalla parte dei ‘Liberatori’ che chiedevano la liberazione della Tessaglia, una regione sotto il dominio macedone dai tempi di Filippo II (padre di Alessandro). Anche la Lega achea, da tempo alleata con la Macedonia, si schierò dalla parte dei ‘Liberatori’. 198 a.C. le trattative intavolate da Filippo furono interrotte da Flaminino e nella battaglia di Cinocefale, in Tessaglia, l’esercito macedone venne annientato e il re costretto ad accettare le condizioni di pace. La Grecia, liberata dall’egemonia macedone, fu proclamata autonoma e libera, anche dall’obbligo di versare tributi e di ospitare guarnigioni. *** La guerra siriaca Il re di Siria intanto stava estendendo la sua egemonia sulle città greche della costa occidentale dell’Asia Minore, formalmente autonome. 171 a.C. Falliscono le trattative per un accordo e iniziarono le operazioni di guerra, ove nei primi anni i comandanti romani si distinsero per saccheggi in molte città greche. Intanto Perseo otteneva aiuti da parte della popolazione epirota dei Molossi e dal re d’Illiria, Genzio. 168 a.C. Genzio venne sconfitto rapidamente, mentre Perseo fu costretto da Lucio Emilio Paolo ad accettare battaglia campale nella località di Pidna, ove il suo esercito venne distrutto. Portato prigioniero in Italia Perseo, venne abolita la monarchia in Macedonia e divisa in quattro repubbliche che non potevano intrattenere alcun rapporto tra loro: i matrimoni tra gli abitanti di due diversi Stati erano proibiti, cosi come non era concesso possedere terreni o case in più di uno Stato. L’Illiria fu divisa anch’essa in tre Stati, tributari di Roma, come i territori macedoni. *** La quarta guerra macedonica e la guerra acaica Tuttavia i rapporti con l’area greca erano ancora in forte tensione, la quale sfociò nei tentativi di secessione di Sparta, che coincisero con una rivolta in Macedonia. In Macedonia un tale Andrisco prevalse sulle deboli milizie repubblicane e riunì le forze macedoni sotto la bandiera monarchica. Pochi furono i suoi successi. 148 a.C. Venne eliminato dal pretore Quinto Cecilio Metello. L’assemblea della Lega achea , governata da nazionalisti antiromani, decise per la breve e disastrosa guerra: non riuscirono a impedire l’invasione del Peloponneso da parte di Metello. 146 a.C. Corinto, principale città della Lega, venne saccheggiata e distrutta. La Macedonia fu ridotta a provincia romana e in Grecia tutte le leghe furono sciolte e ovunque vennero instaurati regimi aristocratici fedeli a Roma. *** La terza guerra punica Mentre Corinto bruciava, veniva distrutta anche un’altra importante città del mondo antico, Cartagine. La città si era ripresa rapidamente dalla sconfitta precedente, ma quando Annibale, eletto nel 196 a.C. a uno dei due posti di magistrato massimo, fu accusato di ordire un’alleanza con Antioco III, egli fu costretto a fuggire in Oriente e il governo cartaginese assicurò la fedeltà a Roma. Un elemento che poteva turbare la situazione in Africa settentrionale era costituito dalle dispute di confine tra la Numidia di Massinissa e Cartagine. Massinissa, approfittando del fatto che i confini con Cartagine non erano stati fissati in modo preciso, avanzò pretese ambiziose sui territori appartenenti al vicino. Dal canto loro i Cartaginesi erano impediti a dichiarare guerra senza l’approvazione romana. 151 a.C. Il partito per la guerra però riuscì a prevalere: l’esercito cartaginese inviato contro Massinissa venne distrutto e intanto a Roma si premeva per la distruzione della città nemica, in ordine alla violazione dei trattati del 201 a.C. 149 a.C. L’esercito romano sbarcò in Africa. Nel tentativo di evitare una guerra perduta in partenza, i Cartaginesi acconsentirono a cedere una notevole quantità di armamenti. Tuttavia quando i consoli che comandavano l’esercito romano chiesero loro di abbandonare la città e di trasferisci ad una distanza di ameno 10 miglia dalla costa, decisero di resistere ad oltranza. 146 a.C. Sotto il comando di Publio Cornelio Scipione Emiliano, figlio di Lucio Emilio Paolo, ma adottato dalla famiglia degli Scipioni, si risolse il lungo assedio che vide la città saccheggiata e rasa al suolo: il suo territorio venne trasformato nella nuova provincia d’Africa. *** La Spagna Ridotto all’obbedienza tutti gli Stati dell’Oriente ellenistico e distrutto Cartagine, Roma ora si trovava ad affrontare l’irrisolta situazione in Spagna, sebbene già dalla fine della seconda guerra punica i Romani vi si erano saldamente stabiliti, organizzandola in due nuove province di Spagna Citeriore (nord) e Spagna Ulteriore (sud). La sottomissione completa della penisola avvenne però solo con Augusto, in virtù della sfuggente guerriglia su un vasto e accidentato territorio che alimentava il malcontento per una guerra sporca, senza bottino e senza fine. 195 a.C. M. Porcio Catone venne inviato in Spagna Citeriore, come console e procedette alla sistematica sottomissione delle tribù nella valle dell’Ebro. Tra 180 e 178 a.C. Tiberio Sempronio Gracco (padre) sempre governatore della Spagna Citeriore, dopo alcuni successi militari cercò di rimuovere le ragioni dell’ostilità contro Roma. La sua strategia fu coronata dalla conclusione di trattati di pace con alcune tribù celtibere. Dopo la conclusione della lunga e difficile guerra contro i Lusitani, la lotta si concentrò intorno alla città celtibera di Numazia, nella Spagna settentrionale. 137 a.C. Sotto le mura di Numanzia, il console Caio Ostilio Mancino venne sconfitto e costretto a firmare una pace umiliante per Roma. Il trattato fu disconosciuto poi dal senato e la guerra numantina fu affidata al brillante comandante Scipione Emiliano, eletto per la seconda volta al consolato nel 134 a.C. Egli conquistò e distrusse la città l’anno seguente. - DAI GRACCHI ALLA GUERRA CIVILE - Il progetto di legge agraria che Tiberio propose ai comizi tributi fissava all’occupazione di agro pubblico un limite di 500 iugeri (125 ettari), con l’aggiunta di 250 iugeri per figlio, fino a un massimo di 1000 iugeri per famiglia. Un collegio di triumviri (tresviri agris dandis iudicandis adsignandis) eletto dal popolo e composto da Tiberio, il fratello Caio e il suocero Appio Claudio Pulcro, avrebbe avuto il compito di ripartire i lotti e recuperare i terreni in eccesso. Scopo principale della legge sembra essere stata l’esigenza di ricostruire e conservare un ceto di piccoli proprietari, che si andava dissolvendo, ridistribuendo loro piccoli lotti inalienabili. Un altro tribuno, Marco Ottavio, indotto dagli ambienti più conservatori pose però il veto, impedendo l’approvazione della nuova proposta di legge. Quella di Marco Ottavio era un’azione che sembra andare contro gli interessi popolari, motivo per cui Tiberio chiederà di destituirlo e, dichiarato decaduto Ottavio, la legge Sempronia fu approvata. Tiberio nel timore di non riuscire a concludere l’opera di ridistribuzione delle terre e che venisse meno la sua sacrosanctitas col termine del suo mandato, presentò la sua candidatura al tribunato anche per l’anno successivo: fu facile per gli avversari conservatori accusarlo di aspirare al potere personale. Un gruppo di senatori guidati dal pontefice massimo Publio Cornelio Scipione Nasica lo assalì e uccise. *** Da Tiberio a Caio Gracco: la commissione agraria, Scipione Emiliano e gli alleati latini e italici La sua morte non pose fine all’attività della commissione triumvirale, continuamente rinnovata. Ma il malcontento degli alleati italici venne presto a galla: essi si trovavano a restituire le terre in eccesso a beneficio di nullatenenti romani. Interprete loro si fece Publio Cornelio Scipione Emiliano , che morì però improvvisamente nel 129 a.C. Fulvio Flacco, membro del triumvirato agrario e console nel 125 a.C., propose che tutti gli alleati che ne avessero fatta richiesta potessero ottenere la cittadinanza romana o se avessero conservato la loro condizione, il diritto di appellarsi al popolo, provocatio, contro eventuali abusi di magistrati romani. *** Caio Gracco 123 a.C. fu eletto al tribunato Caio Gracco, iniziale componente della commissione agraria e fratello minore di Tiberio. Egli riprese ed ampliò l’opera riformatrice del fratello. La legge agraria fu ritoccata e perfezionata e aumentati i poteri della commissione triumvirale. Una legge frumentaria assicurò ad ogni cittadino residente a Roma una quota mensile di grano a prezzo agevolato. Con una legge giudiziaria Caio volle limitare il potere del senato in questo campo integrando un cospicuo numero di cavalieri nel corpo da cui attingere per la formazione degli albi dei giudici e riservando ai cavalieri il controllo dei tribunali permanenti cui erano affidati i processi di concussione e che perseguivano le malversazioni e le estorsioni dei magistrati ai danni dei provinciali. In questo modo i senatori-governatori non sarebbero più stati giudicati esclusivamente dai giudici-senatori, ma da rappresentanti dei quei stessi cavalieri. Propose l’istituzione di nuove colonie di cittadini romani, in Italia e anche nel territorio della distrutta Cartagine. L’oligarchia senatoria, i cui privilegi venivano minati, per contrastare i progetti di Caio si servì di un altro tribuno, Marco Livio Druso. 122 a.C. La situazione cambiava radicalmente e la popolarità di Caio venne meno: egli non venne, infatti, rieletto l’anno successivo. La fondazione di colonie in territorio cartaginese fu criticata aspramente e legata a presagi funesti: si propose infatti di rievocare la deduzione. Caio e Flacco tentarono di opporsi alla votazione del provvedimento, ma scoppiarono gravi disordini. Il senato, quindi, ricorse alla procedura del senatus consultum ultimum, con cui venne sospesa ogni garanzia istituzionale e affidato ai consoli il compito di tutelare la sicurezza dello Stato coi mezzi necessari. Si ordinò il massacro dei sostenitori di Gracco che avessero osato resistere: Flacco perì negli scontri, Caio si fece uccidere da un suo schiavo. *** Smantellamento della riforma agraria Poiché le riforme agrarie dei Gracchi rispondevano a esigenze reali, gli ottimati non le abolirono ma ne ridussero gli effetti: i lotti attribuiti furono dichiarati alienabili e venne posto fine alle operazioni di ridistribuzione delle terre e abolita la commissione agraria. *** Province, espansionismo e nuovi mercati: Asia, Gallia, Baleari, Dalmazia danubiana Prima del 133 a.C. Roma aveva sei province: • Sicilia • Sardegna e Corsica • Spagna Citeriore • Spagna Ulteriore • Macedonia • Africa Ora la deduzione di una provincia è da considerarsi un atto di guerra, non di annessione. Si trattava, infatti, di assumere la gestione diretta di un territorio a cui si aggiungevano una molteplicità di condizioni e implicazioni a livello istituzionale che andavano creandosi in questi anni. Molte di queste deliberazioni di riferimento sono definite lex provinciae, tra cui una delle più significative era la lex Rupilia , relativa alla Sicilia, del 132 a.C. che descriveva gli ambiti geografici , gli statuti e gli obblighi delle comunità e la condizione giuridica e fiscale di ognuna di esse. 122 – 121 a.C. Cneo Domizio Enobarbo e Quinto Fabio Massimo, vincendo contro Allobrogi e Arverni posero le basi per la nuova provincia narbonese, dedotta nel 118 a.C. *** I commercianti italici e l’Africa; Giugurta; Caio Mario Dopo la terza guerra punica, Scipione Emiliano aveva regolato le questioni africane tramite: • la costituzione di una piccola ma ricca provincia (Provincia romana d’Africa) • i rapporti di buon vicinato con le città libere e con i figli di Massinissa, tradizionale alleato di Roma. Tra di essi c’era Micipsa, divenuto unico re di Numidia dopo la morte dei fratelli. La politica filoromana, sua e del padre, aveva attirato in Africa molti uomini d’affari romani e italici, attratti dalle grandi potenzialità economiche delle regioni africane e dalla sua produttività di grano e olio. 118 a.C. Morto Micipsa, il regno numidico fu conteso tra i suoi tre eredi principali: • Giugurta, suo nipote e figlio adottivo, già soldato agli ordini di Scipione Emiliano nell’assedio di Numanzia. • Iempsale, ucciso dallo stesso Giugurta • Aderbale che fu costretto a rifugiarsi a Roma e a chiedere l’arbitrato del senato Il senato optò per la divisione della Numidia tra i due: ■ Ad Aderbale viene data la parte orientale, territorio più ricco. ■ A Giugurta viene data la parte occidente, territorio più vasto. Giugurta, volendosi impadronire della restante porzione del regno, assediò la capitale Cirta , che dopo essere stata prese vide la morte del suo re, Aderbale e di tutti i Romani e Italici che ivi svolgevano le loro attività. 111 a.C. Roma scende in guerra. 109 a.C. Ci fu la svolta, quando al comando della guerra fu posto Quinto Cecilio Metello, del cui seguito faceva parte il legato, Caio Mario. Giugurta venne sconfitto ripetutamente, ma la guerra non era mai portata a termine. 107 a.C. Caio Mario viene eletto console e, ignorando la proroga che il senato aveva concesso a Metello, gli venne affidata la guerra giugurtina. Mario, homo novus, incarnava il nuovo tipo politico, uscito dall’ambiente dei ricchi possidenti equestri e dalla carriera militare: • 119a.C. tribuno della plebe 98 a.C. Per ritrovare l’ordine un provvedimento rese obbligatorio un intervallo di tre nundinae (giorni di mercato, settimanali = tre settimane) tra l’affissione di una proposta di legge e la sua votazione e veniva vietata la formulazione di una lex satura, cioè di una disposizione che includesse più argomenti non connessi fra loro. 91 a.C. In questa atmosfera venne eletto al tribunato Marco Livio Druso, il quale propose una politica di reciproca compensazione: • Promulgò provvedimenti come una legge agraria, volta alla distribuzione di terre e la deduzione di nuove colonie + l’abbassamento del prezzo delle distribuzioni granarie: proposte di evidente matrice e contenuto popolare. • Restituì i tribunali ai senatori, per cause di concussione, proponendo l’ammissione di cavalieri in senato, ora aumentato da 300 a 600 membri. • Volle proporre la concessione della cittadinanza a tutti gli alleati italici. L’opposizione fu vastissima e dichiarate nulle le sue leggi venne assassinato, a questo punto però la ribellione degli Italici aveva raggiunto un limite da cui non era possibile retrocedere. La guerra sociale La differenza di stato giuridico e sociale tra cittadini di Roma e alleati latini e italici non aveva suscitato grandi contestazioni agli inizi del II secolo a.C. quando essa trovava riscontro in differenze etniche e culturali e quando l’orizzonte della maggioranza della comunità era limitato a un quadro politico locale o regionale. Ma essa aveva perso molta della sua ragione d’essere via via che l’Italia era penetrata in uno spazio mediterraneo, che le conquiste e gli scambi commerciali avevano sempre più unificato e nel quale le aristocrazie sia romane che italiche tendevano a perdere molte delle loro particolarità. La condizione di cittadino romano era divenuta sempre più vantaggiose nel corso del tempo, aumentando l’irritazione degli Italici, consci di aver ampiamente contribuito ai successi militari di Roma. • Le distribuzioni agrarie beneficiavano i soli cittadini romani, mentre gli alleati partecipavano allo sfruttamento economico delle province, sebbene sempre in modo subalterno rispetto ai cittadini di Roma. • Non avevano parte alcuna nelle decisioni politiche, economiche e militari che pur vedevano ampiamente coinvolti i loro interessi. L’assassinio di Druso fu per gli alleati il segnale che non vi era altra possibilità di difendere le proprie rivendicazioni che non la rivolta armata contro Roma. Nella capitale, non venne compresa la gravità della situazione, approvando un provvedimento che perseguiva per alto tradimento i capi della cospirazione italica e i cittadini romani loro complici. La guerra fu lunga, si scontrarono fazioni armate e addestrate allo stesso modo e nello stesso tempo gli insorti si davano istituzioni federali comuni come una capitale nel Sannio, Corfinium, ribattezzata Italica e una propria monetazione. Per limitare l’estensione del conflitto a Roma, con un primo provvedimento si autorizzò i comandanti militari ad accordare la cittadinanza agli alleati che combattevano ai loro ordini. Seguì la lex Iulia de civitate che concedeva la cittadinanza agli alleati rimasti fedeli e alle comunità che avessero deposto le armi. - I PRIMI GRANDI SCONTRI FRA FAZIONI IN ARMI - Mitridate VI Eupatore Mentre Romani e Italici si affrontavano nella guerra sociale, una situazione più allarmante era venuta a determinarsi in Oriente, a partire dalle coste del Mar Nero. Ancora più a est molti altri scenari erano mutati nel tempo: • I Parti, che provenivano dalle zone del Caucaso, avevano sistematicamente sottratto possedimenti orientali al regno seleucide, fino ad occupare la Mesopotamia e la Babilonia. • Nella penisola anatolia era costantemente in atto un forte frazionamento politico e Roma, installatasi sul territorio degli Attalidi, vi aveva favorito la coesistenza di molti piccoli Stati dinastici, limitandosi a vegliare che nessuno ne realizzasse l’unità. 112 a.C. Mitridate VI Eupatore era divenuto re del Ponto a pieno titolo. Era riescito a stabilire accordi con la vicina Bitinia e aveva esteso il suo regno a sud, a est e a nord del Ponto Eusino (Mar Nero). A partire dal 104 a.C. Il senato romano era divenuto molto attento alle sue mosse e, quando Mitridate si impossessa anche della Cappadocia, si era recato presso di lui in una missione diplomatica di osservazione. 92 a.C. Era toccato a Silla, come pretore della Cilicia, intervenire per ripristinare sul trono di Cappadocia un re più gradito ai Romani. Approfittando della guerra sociale, Mitridate aveva ripreso la sua politica espansionistica, facendo invadere nuovamente la Cappadocia e spodestando dalla Bitinia il nuovo re Nicomede IV. Verso la fine del 90 a.C. Roma decide di inviare in Oriente una legazione con l’incarico di rimettere sui loro troni i legittimi sovrani di Bitinia e Cappadocia. Ma la commissione non si limitò a questo. Nicomede IV si ritenne autorizzato a condurre scorrerie nel territorio del Ponto. Silla e la prima fase della prima guerra mitridatica 87 a.C. Sbarcato nell’Epiro, Silla cinse d’assedio Atene, poi presa e saccheggiata. 86 a.C. Poi, direttosi verso la Grecia centrale sconfisse le truppe pontiche a Cheronea e a Orcomeno, in Beozia. *** Lucio Cornelio Cinna e l’ultimo consolato di Mario 87 a.C. Vide però al consolato Lucio Cornelio Cinna, che proponeva di iscrivere i neocittadini nelle 35 tribù: venne cacciato da Roma e in Campania venne raggiunto da Mario. Roma venne presa nuovamente, Silla dichiarato nemico pubblico e ci furono stragi atroci, delle quali furono vittime i più autorevoli sostenitori di Silla. 86 a.C. Mario venne eletto console insieme a Cinna. Fu mandato un nuovo corpo di spedizione contro Mitridate in sostituzione di Silla, che non rappresentava più lo Stato romano Sino all’84 a.C. Cinna venne rieletto console, dando adito ad un’ampia opera legislativa: furono immessi nelle 35 tribù i neocittadini. Cinna morì ucciso dai suoi stessi soldati, presso Ancona per sbarcare poi in Grecia, preparandosi ad anticipare Silla che si apprestava a tornare. *** Conclusione della prima guerra mitridatica 86 a.C. Due armate romane si trovarono in Grecia: • una agli ordini di Silla, • l’altra inviata da Cinna, agli ordini di Flacco. Esse non si incontrarono mai, ma agirono parallelamente, ricacciando Mitridate in Asia. 85 a.C. Silla, preoccupato dell’evolversi della situazione a Roma, si affrettò a sancire una pace, stipulata a Dardano, nella Troade, a condizioni relativamente miti: • Mitridate conservava il suo regno ma doveva evacuare il resto dell’Asia, • dovette versare una forte indennità e consegnare la propria flotta. Le ostilità in Asia tuttavia non cessarono del tutto e Lucio Licinio Murena, governatore d’Asia, lasciato da Silla a capo dell’esercito, dovette continuare a effettuare incursioni in territorio pontico, accusando Mitridate di prepararsi a riprendere le armi. Mitridate reagì alle provocazioni sconfiggendo Murena e dilagando nuovamente in Cappadocia, fino a che i contendenti non furono fermati da un personale intervento di Silla. *** Le proscrizioni; Silla dittatore per la riforma dello Stato Sbarcato a Brindisi, in due anni Silla riuscì a prevalere sui suoi avversari, impadronendosi della Apulia, Campania e del Piceno. Sconfisse Caio Mario il Giovane e s’impadronì di Roma grazie all’aiuto di Marco Licinio Crasso. Restavano da eliminare gli oppositori mariani in Africa e Sicilia, operazione in cui si distinse Cneo Pompeo. Poi, per rendere definitiva la sua vittoria, Silla introdusse le liste di proscrizione: elenchi di avversari politici, che chiunque poteva uccidere. Poiché entrambi i consoli dell’82 a.C. erano morti in conflitto, il senato nominò un interrex, il princeps senatus Lucio Valerio Flacco, il quale non designò nuovi consoli ma presentò ai comizi la proposta che nominava Silla dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae, senza alcun vincolo di durata temporale. L’opera riformatrice di Silla (iniziata nell’88 a.C.) continuò, rivoluzionando a vari livelli l’ordine politico e sociale, già segnato da profondi mutamenti in ordine a: • concessione della cittadinanza agli alleati, • aumento del numero delle province, • radicalizzazione della lotta politica. Compiuta la riorganizzazione dello Stato, Silla abdicò la dittatura. 79 a.C. Si ritirò in Campania e qui morì l’anno seguente. Riforme di Silla: ■ Ogni proposta di legge avrebbe dovuto o�enere il consenso del senato prima di essere so�oposta al voto popolare. ■ I comizi centuria� dovevano divenire la sola assemblea legislativa legittima. ■ Il senato, segnato dai massacri e dalle proscrizioni, venne portato a 600 membri, con l’immissione di 300 cavalieri. ■ Il numero dei pretori fu alzato a 8, per far fronte alle necessità della mol�plicazione dei tribunali permanen�: tribunali, riserva� ora solo al senato. Assieme a queste notizie, giunsero a Roma anche quelle di nuove scorrerie dei pirati nel Mediterraneo e la nuova azione di Mitridate in Oriente. Il senato ricorse nuovamente a Pompeo, affidandogli in deroga alle riforme sillane, la Spagna Citeriore con un imperium straordinario. Contro Sertorio la situazione non si rivelò per nulla semplice. 74 a.C. In seguito a dissapori nel regime del nemico, furono orditi complotti contro di lui. 72 a.C. Perperna lo assassinò a tradimento, convinto di trarre vantaggio dalla sua azione, ma venne poi sconfitto e giustiziato da Pompeo. 71 a.C. Pompeo riportò l’ordine. *** La rivolta servile di Spartaco 73 a.C. Era scoppiata la terza grande rivolta di schiavi (dopo le due siciliane), a capo della quale si posero due gladiatori, Spartaco e Crisso. La rivolta si estese rapidamente in tutto il sud Italia, ove gli insorti riuscirono a tenere sotto scacco alcuni pretori e i due consoli inviati contro di loro. Tuttavia tra i ribelli mancava completamente un piano preciso e unitario: attraversarono l’Italia sino alla Cisalpina per poi ripiegare nuovamente a sud. Il senato affidò un comando eccezionale a Marco Licinio Crasso, allora pretore. Egli riuscì a isolare Spartaco e i suoi in Calabria, che vennero definitivamente sconfitti in Lucania. *** Il consolato di Pompeo e Crasso e lo smantellamento dell’ordine sillano (70 a.C.) 70 a.C. Pompeo presenta la propria candidatura al consolato, pur essendo molto al di sotto dell’età minima richiesta e non possedendo neppure i requisiti di carriera. Anche Crasso di presentò al consolato: entrambi furono eletti consoli. Fu portato a compimento lo smantellamento dell’ordine sillano. Già nel 75 a.C. Abolito il divieto a chi era stato tribuno della plebe di ricoprire cariche successive. 73 a.C. I consoli avevano fatto approvare una legge frumentaria (lex Terentia Cassia), che ripristinava le distribuzioni di grano a prezzo politico. Pompeo e Crasso restaurarono i poteri dei tribuni della plebe: potevano di nuovo opporre il veto alle iniziative degli altri magistrati o proporre leggi all’assemblea popolare. Dopo un intervallo di 15 anni, furono eletti i censori, che condussero il censimento. Si modificò la composizione delle giurie dei tribunali permanenti, togliendone l’esclusiva ai senatori e ripartendole in proporzioni uguali tra senatori, cavalieri e tribuni aerarii (cui censo e interessi erano molto vicini ai cavalieri). *** Pompeo in Oriente; operazioni contro i pirati; nuova guerra mitridatica Tra l’80 e il 70 a.C. In Oriente erano riemerse due gravi minacce: i pirati e Mitridate. La pirateria aveva ripreso forza per: • la persistente situazione di conflitto, • l’instabilità • l’indebolimento delle strutture politiche locali • l’importanza assunta dal commercio degli schiavi. I Romani l’avevano eliminata dai mari circostanti l’Italia, ma avevano tollerato che essa continuasse a Oriente perché trovavano un forte tornaconto nel mantenimento di una attività che alimentava i traffici di mano d’opera schiavile verso la Penisola. Le principali basi erano situate lungo la costa dell’Asia minore, di Creta e del litorale africano. Il trasporto delle merci era diventato però sempre più rischioso e costoso, sia per gli investitori che per i consumatori: i pirati attaccavano le lenti navi commerciali depredandole dei loro carichi. 74 a.C. Fu inviato contro i pirati con un comando speciale Marco Antonio (padre del triumviro) che concentrò i suoi sforzi sull’isola di Creta, riportando però una sconfitta. 69 a.C. Le operazioni contro Creta furono affidate a Quinto Cecilio Metello che riconquistò l’isola, la quale diventò provincia romana. In quegli stessi anni, Nicomede IV lasciava in eredità la Bitinia ai Romani che, deducendola come provincia, avevano ora accesso al Mar Nero e la loro presenza mutava fortemente gli equilibri di forze in Asia: Mitridate decise di invadere la neonata provincia. Furono mandati contro di lui i consoli, Marco Aurelio Cotta e Lucio Licinio Lucullo. Lucullo, dopo una serie di successi, occupò il Ponto, costringendo Mitridate a rifugiarsi in Armenia. 69 a.C. Lucullo invase l’Armenia, conquistandone la capitale Tigranocerta. Da qui Lucullo si spinse a nord-est verso l’antica capitale armena di Artaxata, ma la sua marcia fu arrestata dal malcontento dei soldati. I suoi comandi furono progressivamente revocati, sì che gli avversari ne approfittarono per riaprire le ostilità. 67 a.C. Aulo Gabinio, tribuno della plebe, propose misure drastiche contro i pirati: che fosse attribuito per tre anni a Pompeo un imperium infinitum su tutto il Mediterraneo, con pieni poteri anche sull’entroterra sino a 50 miglia dalle coste. Pompeo cacciò rapidamente i pirati dal Mediterraneo occidentale, poi sconfitti in Cilicia. 66 a.C. Caio Manilio, un altro tribuno, propose una legge che estendesse a Pompeo anche il comando della guerra mitridatica (a favore della quale Cicerone scriverà “l’Oratio pro lege Manilia de imperio Cn. Pompei”). Subentrato a Lucullo, Pompeo convinse il re dei Parti, Fraate, a impegnare Tigrane mentre egli marciava verso il Ponto: sconfitto e cacciato dal Ponto, Mitridate fu costretto a rifugiarsi a nord, nel Bosforo Cimmerio, ove morì nel 63 a.C. Venne confermato a Tigrane il trono dell’Armenia ma venne privato della Siri , che diventò una provincia romana. Egli fece votare due leggi agrarie che prevedevano una distribuzione di tutto l’agro pubblico rimanente in Italia, ai veterani di Pompeo. Fu approvata una lex Iulia de repetundis, per procedimenti di concussione, che ampliava la legislazione sillana a riguardo. Verso la fine della sua carica, il tribuno Publio Vatinio, fece approvare un provvedimento che attribuiva a Cesare per cinque anni il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico, con tre legioni e il diritto di nominare i propri legati e fondare nuove colonie. Pompeo più tardi propose si aggiungere alle competenze di Cesare il governo della Gallia Narbonese, con l’assegnazione di una quarta legione. Il tribinato di Publio Clodio Pulcro Partendo per le province, Cesare volle lasciare una spina nel fianco a coloro che gli erano risultati ostili: insieme a Crasso e Pompeo, appoggiò la candidatura al tribunato della plebe di Publio Clodio Pulcro. Egli fece approvare una serie di leggi: • Il potere dei censori di espellere membri dal senato venne limitato. • Nessun magistrato avrebbe più potuto interrompere le assemblee pubbliche, adducendo l’osservazione di auspici sfavorevoli. • Vennero legalizzati i collegia, associazioni private con fini religiosi di mutuo soccorso, soppresse qualche anno prima perché ritenuti da senato, strumento di mobilitazione delle masse urbane. • Si comminava l’esilio a chiunque avesse condannato a morte un cittadino romano senza concedergli di appellarsi al popolo. Cicerone, accusatore dei catilinari, era il bersaglio precipuo: insieme a lui fu fatto allontanare da Roma anche Catone con l’incarico di rivendicare il possesso dell’isola di Cipro da Tolomeo che vi regnava, il quale poi si suicidò. • Le distribuzioni frumentarie si cittadini a Roma, fino ad allora a prezzo politico, dovevano divenire completamente gratuite. *** Cesare in Gallia Quando Cesare arrivò nelle sue province era in atto, a nord della Nabornese, una migrazione di Elvezi verso occidente che minacciava le terre degli Edui e forse la stessa provincia romana. 58 a.C. Cesare attaccò e sconfisse gli Elvezi, a Bibracte, capitale degli Edui, costringendoli a retrocedere. Nel frattempo gli Svevi, condotti da Ariovisto, erano passati oltre il fiume Reno, chiamati in aiuto dai Sequani, confinanti e rivali degli Edui. Battuti ripetutamente gli Edui, Ariovisto aveva lasciato che parte dei sui uomini si stanziassero in una porzione del territorio dei Sequani (Alsazia). Su richiesta degli Edui, Roma era allora intervenuta e aveva indotto al capo germanico a ritirare oltre il Reno le sue genti, e infranto nuovamente questo avviso, le migrazioni verso l’Alsazia ripresero. 58 a.C. Cesare procedette contro la capitale dei Sequani, Vesonzio, sconfiggendo l’avversario nella battaglia presso Mulhouse, nell’Alsazia superiore, e costringendolo a oltrepassare il Reno. 57 a.C. Conclusa questa campagna, Cesare ritornò in Cisalpina, lasciando le sue truppe accampate nei quartieri invernali presso Vesonzio. La presenza romana nella Gallia centrale suscitò però a nord le reazioni delle tribù dei Belgi allarmate dalla vicinanza delle legioni. Cesare s’impadronì delle loro piazzeforti, riducendo alla resa i cantoni, prima più meridionali poi le tribù stanziate più a nord, capeggiate da Nervii. 57 a.C. Nel frattempo, un legato di Cesare, Publio Licinio Crasso (figlio maggiore di Crasso) si spingeva verso la Normandia, sottomettendo numerose tribù della Normandia e della Bretagna. Successi dovuti anche alla completa mancanza di organizzazione da parte nemica a condurre un’azione unitaria, ma anche grazie alla capacità di adattare tattiche diverse, da parte di Cesare, a seconda di quello che di volta in volta la situazione esigeva. Fine del 57 a.C. Consapevole della situazione non facile nella capitale, Cesare comunicò al senato che la Gallia poteva ritenersi pacificata, anche se metà del paese non era mai stata neppure attraversata dalle armi romane. Gli accordi di Lucca e la prosecuzione della conquista della Gallia Terminato l’anno del tribunato di Clodio, i suoi avversari premevano per il ritorno di Cicerone, tra questi si trovava Pompeo, pentitosi di non aver fatto nulla per evitare l’esilio dell’oratore e preoccupato dei crescenti successi di Cesare in Gallia. 57 a.C. Cicerone rientrava a Roma. Pompeo, trovatosi in un pericoloso stallo politico, ove le sue azioni, prese di mira da Clodio e le sue bande, rischiavano di logorare fama e prestigio, se accompagnate da un qualsiasi fallimento, accettò l’incarico che gli conferiva poteri straordinari, per una durata di cinque anni, per provvedere all’approvvigionamento della città: cura annonae. Lucio Domizio Enobarbo, lasciò intendere, contro la rapida ascesa di Cesare, che se eletto nel 55 a.C. alla massima magistratura, avrebbe proposto la revoca del suo proconsolato in Gallia. 56 a.C. Cesare, incontrato Crasso a Ravenna, si riunisce con lui e Pompeo a Lucca, dove i tre si accordarono su questo progetto: • il comando di Cesare in Gallia sarebbe stato prorogato per altri 5 anni, con un aumento a dieci del numero delle legioni a sua disposizione; • i tre si sarebbero impegnati a far eleggere Pompeo e Crasso consoli per il 55 a.C.; • dopo il consolato Pompeo e Crasso avrebbero ricevuto per 5 anni rispettivamente le due province di Spagna e la Siria. Tornato in Gallia, Cesare trovò la Bretagna in aperta rivolta: le popolazioni costiere potevano contare anche sull’appoggio della loro flotta. Cesare fece frettolosamente costruire sulla Loira un’armata di piccoli e leggeri battelli che ebbe la meglio sui poderosi vascelli oceanici avversarsi, permettendo così alle legioni di dominare sulla terraferma. Per evitare ulteriori tumulti, Pompeo venne eletto console senza collega. Fece votare leggi repressive in materia di violenza (de vi) e di broglio elettorale (de ambitu) che consentirono la condanna di Milone e il ristabilimento di un equilibrio, sebbene precario. Gli avversari di Cesare premevano per il suo ritorno a Roma, sostenendo la revoca del proconsolato, per poterlo poi accusare, da privato cittadino, circa il modo e i metodi con cui aveva condotto la guerra, nonché in merito alla legittimità della guerra stessa. Cesare, per evitare procedimenti contro di sé, avrebbe dovuto rivestire il consolato senza interruzioni al proconsolato. 52 a.C. Dieci tribuni della plebe avevano fatto votare una legge ad personam, grazie alla quale Cesare poteva presentare la sua candidatura restando assente da Roma Per contro Pompeo proponeva un provvedimento che prescriveva un intervallo di 5 anni tra una magistratura e una promagistratura. Dal 51 a.C. Cominciò fra Cesare e i suoi avversari una lotta a colpi di cavilli e espedienti giuridici, tesa a raggiungere: • da parte di Cesare , l’estensione del suo comando fino a tutto il 49 a.C. per poi potersi candidare al consolato del 48 a.C. “in assenza”; • da parte dei suoi oppositori, l’immediata sostituzione di Cesare già dal 50 a.C. Con la nuova procedura diveniva molto più facile rimpiazzare Cesare, grazie ad essa il suo successore al governo della provincia poteva essere scelto in ogni momento fra quelle persone che avessero occupato una magistratura quinquennale o in più anni prima. 50 a.C. Per cercare di mettere fine ai continui colpi di contese interpretative, un tribuno, Caio Scribonio Curione, propose che si abolissero contemporaneamente tutti i comandi straordinari di Cesare e di Pompeo. 50a.C. Il senato si pronunciò a larga maggioranza a favore della deposizione della cariche dei due proconsoli. 49 a.C. Cesare dichiarava che sarebbe stato disposto a deporre il suo comando se anche Pompeo l’avesse fatto, i suoi avversari insistettero e ottennero perché fosse lui ad abdicare unilateralmente le sue cariche. Il senato votò il senatus consultum ultimum contro Cesare, affidando a Pompeo il compito di difendere lo Stato. Appresa questa decisione Cesare, varcò in armi il torrente Rubicone, dando così inizio alla guerra civile. Pompeo e molti dei senatori, con l’aggiunta dei consoli, abbandonarono la città diretti a Brindisi, per imbarcarsi verso Oriente. Cesare adducendo a propria giustificazione la tutela dei diritti del popolo e della propria dignitas, percorse rapidamente l’Italia, ma non riuscì a fermare il trasferimento in Grecia che i suoi avversari si accingevano a preparare. Cesare affrontò quindi la minaccia delle forze pompeiane in Spagna con le sue truppe concentrate in Gallia. Assalì dunque i pompeiani presso Ilerda, che vennero sconfitti. Tornato a Roma, rivestì la carica di dittatore, che Marco Emilio Lepido gli aveva fatto conferire in sua assenza, al solo scopo di convocare i comizi elettorali. 48 a.C. I comizi elettorali lo elessero console. Mentre Pompeo stabiliva il suo quartier generale a Tessalonica, le sue navi battevano l’Adriatico per impedire eventuali sbarchi di Cesare. Cesare compì la traversata in inverno, riuscendo a traghettare le sue legioni, per poi porre sotto assedio Durazzo, ma fu respinto. Avanzò verso la Tessaglia, inseguito da Pompeo, che poteva contare su un consistente esercito al suo seguito. 48 a.C. In Agosto, a Farsalo ebbe luogo lo scontro e si tradusse nella disfatta pompeiana, al seguito della quale Pompeo fuggì in Egitto, contando di trovare rifugio presso i figli di Tolomeo XII Aulete. Nel regno era però in corso una contesa dinastica fra Tolomeo XIII e Cleopatra VII, così i consiglieri del re, giudicando compromettente accogliere Pompeo, lo fecero assassinare. Cesare, giunto ad Alessandria, compianse la misera fine del rivale, trattenendosi oltre un anno allo scopo di dirimere le lotte tra i due fratelli e di assicurarsi l’appoggio di quel ricchissimo regno. Assediato dei partigiani di Tolomeo, Cesare affrontò in battaglia il re che fu rovinosamente sconfitto e trovò la morte nel Nilo. Partito Cesare, Cleopatra fu confermata regina d’Egitto e diede alla luce suo figlio, Tolomeo Cesare. 47 a.C. Farnace, figlio di Mitridate, aveva tentato di approfittare della situazione, per recuperare i territori paterni. Cesare marciò senza indugi verso di lui, sconfiggendolo a Zela, nel Ponto. In seguito, partì alla volta dell’Africa, dopo aver sostato brevemente a Roma, per far fronte ai pompeiani vinti, che si erano assicurati l’appoggio di Giuba, re di Numidia. Nel giro di pochi mesi, Cesare conseguì una vittoria definitiva a Tapso e suicidatosi Giuba, il suo regno divenne una nuova provincia romana, chiamata Africa nova. A Roma, celebrò i trionfi sulla Gallia, sull’Egitto, su Farnace e Giuba. Verso la fine dell’anno riparti per la Spagna dove i suoi avversari avevano rialzato il capo sotto la guida dei figli di Pompeo, Cneo e Sesto. 45 a.C. Nel Marzo, a Munda, l’esercito nemico fu distrutto, solo Sesto Pompeo si salvò con la fuga. ■ Furono accolte facilitazione ai debitori per il pagamento di canoni arretra� e per le modalità di rimborso dei pres��. ■ Furono confermate le distribuzioni gratuite di grano, ma il numero di beneficiari che era lievitato considerevolmente, fu ridotto tramite il depennamento degli abusivi e l’introduzione di un numero chiuso di aventi diritto. ■ Perdono e richiamo in patria di tu� gli esuli e condannati politici. ■ Diri�o di o�enere la ci�adinanza romana venne esteso alla Transpadana. ■ Il senato fu portato da 600 a 900 membri, con l’immissione di un grande numero di cesariani (tra il 46 a.C. e il 44 a.C.). ■ Fu aumentato, se non raddoppiato, il numero di magistra� che ricopriva una medesima carica: garantendo in tal modo maggiori possibilità di carriera poli�ca ai sostenitori dell’imperator: • da 20 a 40 il numero dei questori, • da 4 a 6 il numero degli edili, • da 8 a 16 il numero dei pretori. ■ Furono confermate le distribuzioni gratuite di grano e il numero dei beneficiari fu rido�o tramite il depennamento degli “abusivi”. ■ Venne realizzato un vasto programma di colonizzazione per deconges�onare Roma. Venne fornito lavoro alla mano d’opera con attività di ristrutturazione urbanistica ed edilizia alla città. ■ Lex Iulia municipalis furono riordinate le norme di governo e di amministrazione pubblica dei municipi e di Roma. *** Le idi di marzo 44 a.C. Mentre si prepara la campagna contro il Regno dei Parti, a Roma venne messa in giro la voce che il regno sarebbe potuto essere vinto solo da un re, alimentando i sospetti di aspirazione monarchiche da parte di Cesare. Fu ordita una congiura, guidata da Marco Giunio Bruto, Caio Cassio Longino e Decimo Bruto, prima della sua partenza per l’impresa partica. Idi di Marzo del 44 a.C. Cesare cadde trafitto dai pugnali dei cospiratori nella curia di Pompeo, in Campo Marzio, dove doveva presiedere una seduta del senato. - AGONIA DELLA REPUBBLICA - L’eredità di Cesare; la guerra di Modena Eliminato Cesare, i cesaricidi non si erano preoccupati di eliminare i suoi principali collaboratori, Marco Emilio Lepido e il collega di consolato di Cesare per il 44 a.C. Marco Antonio, uno dei suoi più fidati luogotenenti. Questi ultimi cominciarono a riorganizzarsi, mentre i cesaricidi dimostrarono la totale mancanza di un programma che andasse oltre l’omicidio del dittatore e di una generica proclamazione della libertà repubblicana, fino a quel momento minacciata. I congiurati trovarono a Roma un’accoglienza così fredda che preferirono ritirarsi sul Campidoglio per discutere sul da farsi. Antonio riuscì ad imporre una politica di compromesso, ratificata dal senato: • da un lato l’amnistia per i congiurati • dall’altro la convalida degli atti del defunto dittatore e il consenso ai suoi funerali di Stato. Publio Cornelio Dolabella sarebbe stato console insieme ad Antonio e le province già attribuite sarebbero state confermate agli assegnatari. Fu stabilito che, dopo il consolato: • ad Antonio sarebbe toccata la Macedonia, dove si stavano concentrando le truppe sul fronte partico, • Conferiva il diritto di convocare il senato e il popolo • Conferiva il diritto di promulgare editti e di designare i candidati alle magistrature. • Antonio avrebbe conservato il governo della Gallia Comata e Cisalpina. • Lepido avrebbe ottenuto la Gallia Narbonese e le Spagne. • Ottaviano avrebbe ottenuto l’Africa, la Sicilia e la Sardegna, la Corsica (l’Oriente era in mano ai cesaricidi , Bruto e Cassio). Ad Ottaviano spettò la parte peggiore: Sicilia e Sardegna erano minacciate da Sesto Pompeo, sopravvissuto alla guerra in Spagna, a cui il senato aveva conferito il comando delle forze navali, che gestiva ormai in modo proprio. Vennero create delle liste di proscrizione, coi nomi dei cesaricidi e dei nemici ai triumviri, primo fra questi, Cicerone. Centinaia di senatori e cavalieri furono uccisi e i loro beni confiscati. Sistemata la situazione politica a Roma, i triumviri poterono dirigersi verso Oriente alla volta di Bruto e Cassio, ma prima si provvide alla divinizzazione di Cesare e all’istituzione del suo culto: ne beneficiò Ottaviano, che divenne Divi filius. 42 a.C. Avvenne lo scontro coi cesaricidi, a Filippi, in Macedonia. Da un lato Ottaviano si trovò subito in difficoltà, dall’altro Antonio vinse Cassio e poi Bruto, entrambi suicidatisi. In quel tempo, inoltre, a causa della decimazione per le liste di proscrizione e i disordini interni, si realizzò un mutamento radicale nella composizione e nella mentalità delle élites di governo, che contavano molte meno famiglie della più antica aristocrazia e la mancanza di una grossa parte dell’opposizione senatoria, più conservatrice. Consolidamento di Ottaviano in Occidente; la guerra di Perugia; Sesto Pompeo; gli accordi di Brindisi, di Miseno e di Taranto; Nauloco Antonio, uscito vincitore dagli scontri con i cesaricidi, poté cumulare al comando sulle Gallie, anche quello su tutto l’Oriente, da cui intendeva intraprendere un piano di conquista del regno partico come fedele continuatore dell’opera di Cesare. A Lepido fu assegnata l’Africa; Ottaviano ebbe le Spagne + il compito di sistemare i veterani delle legioni congedate e il confronto con Sesto Pompeo, a cui si erano uniti i superstiti delle proscrizioni e di Filippi. Ottaviano fu costretto ad espropriare numerose terre in Italia da poter assegnare ai veterani, per cui furono colpiti piccoli e medi proprietari terrieri. 41 a.C. Le proteste sfociarono in una rivolta con a capo Lucio Antonio e Fulvia (fratello di Antonio e console + moglie di Antonio): gli insorti si rifugiarono a Perugia, città che venne poi espugnata e saccheggiata (Bellum Perusinum). Lucio Antonio fu risparmiato. Fulvia si rifugiò presso Antonio in Grecia. Molti fuggirono a infoltire le fila di Sesto che s’era impadronito di Sardegna e Corsica, impedendo i rifornimenti di Roma e dell’Italia. Ottaviano intanto aveva provveduto ad appropriarsi delle Gallie, ove era morto il legato di Antonio. In questo stato di cose, si profilava un’alleanza fra Antonio e Sesto, ad arginare il potere di Ottaviano. 40 a.C. Ottaviano si legò a Scribonia, figlia di Lucio Scribonio Libone, suocero di Sesto Pompeo. Antonio si mosse dunque dall’Oriente, per giungere a Brindisi dove incontrò Ottaviano: i due sottoscrissero un’intesa (“accordo di Brindisi”) in forza della quale: • ad Antonio veniva affidato l’Oriente, • ad Ottaviano l’Occidente • a Lepido l’Africa. Il patto fu coronato anche dal matrimonio dal vedovo Antonio con la sorella di Ottaviano, Ottavia. Sesto, che non venne preso in considerazione negli accordi di Brindisi, giunse ben presto a far sentire la sua disapprovazione bloccando le forniture di grano a Roma, creando scarsità di viveri e forte malcontento. 39 a.C. Antonio dovette tornare nuovamente dalla Grecia per stringere con Ottaviano, l’accordo di Miseno. Sesto Pompeo si vedeva: • riconosciuto il governo di Sicilia, Sardegna e Corsica • venne nominato àugure • venne designato per il futuro consolato. L’equilibrio durò poco: Antonio non concesse di buon grado il Peloponneso a Sesto e questo creò le condizioni per le quali, quest’ultimo decise di riprendere le scorrerie contro l’Italia. Ottaviano, ripudiò Scribonia, e sposò Livia Drusilla, divorziata da Ti. Claudio Nerone, che portava con sé nelle nuove nozze, i figli di primo letto, Tiberio e Druso. Nel frattempo Sesto aveva perso la Sardegna e la Corsica, che un suo luogotenente aveva consegnato a Ottaviano. Lo scontro finale; Azio 32 a.C. Il triumvirato si avviava verso la naturale scadenza: i consoli Cneo Domizio Enobarbo e Caio Sosio chiesero la ratifica delle decisioni di Antonio prese in Oriente, ma Ottaviano ne impedì l’approvazione al senato così entrambi i consoli e 300 senatori abbandonarono l’Italia, rifugiandosi presso Antonio. Il prestigio del triumviro accresceva in questo modo, ma dall’altro lato Ottaviano, riuscito ad impossessarsi del testamento del rivale, rivelò che Antonio desiderava essere sepolto ad Alessandria con Cleopatra e attribuiva regni ai figli avuti con la regina. Ottaviano invece faceva costruire la sua tomba in Campo Marzio, restando più vicino e fedele a Roma e riuscì a ottenere la caduta della carica di triumviro per Antonio e la negazione del suo consolato, stabilito per l’anno seguente. Presentandosi come il difensore di Roma e dell’Italia, Ottaviano si avviò a dichiarare guerra a Cleopatra, indicandola come nemico, evitando in tal modo che si aprisse almeno formalmente una seconda guerra civile. 31 a.C. Ad Azio, nel settembre, Agrippa vinse una battaglia navale per conto di Ottaviano, che consegnava lui la vittoria della guerra. La guerra costrinse Antonio e Cleopatra a rifugiarsi in Egitto. Ottaviano giunse allora sino ad Alessandria, che presa, conobbe il suicidio della regina e del generale romano. L’Egitto fu dichiarato provincia romana. - AUGUSTO - Azio e la cesura tra storia repubblicana e storia del Principato 31 a.C. Dopo la vittoria conseguita ad Azio su Antonio, Ottaviano si trovò ad essere padrone assoluto dello Stato romano. Tuttavia la conclusione delle guerre civili lasciava aperta la spinosa questione della veste legale da dare al potere personale del vincitore. La morte di Cesare aveva, infatti, decretato il fallimento di un regime apertamente monarchico che rinnovasse le istituzioni repubblicane. 31 a.C. Instaurazione del Principato è la soluzione adottata dal suo erede, restauratrice nella forma ma rivoluzionaria nella sostanza: vale a dire un regime istituzionale incentrato sulla figura di un unico reggitore del potere, il princeps.