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Storia Romana Geraci Marcone, Sintesi del corso di Storia

Riassunto dalle origini di Roma fino alla Repubblica di Roma

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017
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Caricato il 11/02/2017

Erin87
Erin87 🇮🇹

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Scarica Storia Romana Geraci Marcone e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! PARTE PRIMA – ROMA LE ORIGINI DI ROMA Le sostanziali scoperte archeologiche hanno contribuito a ricostruire la storia sulle origini di Roma contenute nell’opera Storia dei Romani di Gaetano de Sanctis del 1907, opera che metterebbe in luce l’influenza diretta, e non mediata dagli Etruschi e forse a loro antecedente, greca e orientale sulle zone di Roma e del Lazio. LA TRADIZIONE LETTERARIA: La tradizione letteraria non ha giocato un ruolo di importanza in quanto i Greci iniziarono a scrivere gli eventi storici relativi a Roma circa cinque secoli dopo la sua fondazione (la scrittura comparve a Roma verso la fine del VII secolo a.C.) e pertanto ci si basa esclusivamente su una tradizione orale legata per lo più a miti e leggende. Le prime fonti storiche attendibili sono riconducibili allo storico greco Dionigi di Alicarnasso il quale compose una raccolta di venti volumi nel quale trattò dalla fondazione di Roma fino alla prima guerra punica (264 a.C.). Lo scopo principale di questo storico restava tuttavia quello di dimostrare come i Romani fosse una popolazione di origine ellenica poiché nato dalla fusione di ondate migratorie provenienti dalla Grecia. I SETTE RE DI ROMA: Il periodo monarchicho di Roma è fissato secondo la tradizione dal 754 al 509 a.C. anno in cui venne instaurata la Repubblica. In questo arco di tempo si sono succeduti sette re secondo quest’ordine: 1 – ROMOLO: il fondatore, creatore delle prime istituzioni politiche come il senato comporto da 100 membri 2 – NUMA POMPILIO: creatore dei primi istituti religiosi 3 – TULLIO OSTILIO: fautore di numerose campagne militari tra cui quella che portò alla distruzione di Alba Longa 4 – ANCO MARCIO: fondatore della colonia di Ostia alle foci del Tevere 5 – TARQUINIO PRISCO: fautore di numerose opere pubbliche e fortemente influenzato dalla componente etrusca 6 – SERVIO TULLIO: fautore della costruzione delle prime mura dette “serviane” e istitutore dei “comizi centuriati” 7 – TARQUINIO IL SUPERBO: tiranno e autore di molteplici vessazioni sul proprio popolo. Tuttavia le fonti utilizzate dagli storici romani non erano del tutto attendibili e spesso caratterizzate da una coloritura leggendaria; si trattava per lo più di fonti orali, storie della tradizione familiare nelle quali ogni famiglia tendeva ad elogiare quanto più la propria stirpe, e talvolta gli annali, documentazione a cura spesso dei pontefici che registrava in maniera sommaria gli avvenimenti più salienti avvenuti in un anno solare (ad esempio carestie, eclissi, nomi di magistrati, ecc). LA STORIOGRAFIA MODERNA: Le diverse ricostruzioni hanno portato dunque a due versioni sull’origine di Roma, una greca legata alla leggenda di Enea, e l’altra indigena legata alla figura di un fondatore autoctono quale Romolo. Cosa certa è che vi fosse la compresenza di popolazioni diverse nell’area quali i Latini, i Sabini (vd. Ratto delle Sabine) e che ne periodo finale della monarchia vi è stato il predominio etrusco. LA FONDAZIONE DI ROMA: La storia di Roma ebbe inizio attorno all’VIII secolo ma non è possibile definirne con certezza il suo fondatore. Inizialmente vi era una federazione di comunità separate dislocate sui vari colli tra cui in particolare il Colle Palatino. Quest’ultimo si presentava come un grosso “dado” a pianta trapezoidale composto a sua volta da tre alture: il Palatium (Circo Massimo), il Germalo (Foro Romano e Campidoglio) e la Velia (valle del Colosseo). Il fiume Tevere era la linea di confine tra due aree etnicamente differenti, la zona Etrusca e la zona del Lazio Antico (Latini). Probabilmente lo stesso nome di Roma potrebbe non 1 necessariamente derivare da Romolo data l’incertezza storiografica ma dalla parola Rumon che inizialmente indicata il Tevere o dalla parola Ruma nel senso di “collina”. IL MURO DI ROMOLO: Recenti scavi hanno portato alla luce il Pomerio, ossia un muro largo circa un metro e venti posto alle pendici meridionali del colle Palatino, che si pensa fosse stato fatto costruire da Romolo stesso. Il pomerio segnava il confine che delimitava una zona sacra e di rispetto e, secondo quello che era un rito prettamente etrusco, veniva edificato in occasione della fondazione di una città. Tuttavia il pomerio non sempre coincideva con le mura della città, che erano invece costruite in via strategica per la difesa della stessa, pertanto l’area del pomerio era delimitata da dei cippi infissi nel terreno a seguito di una cerimonia religiosa tenuta in presenza del pontefice massimo. LO STATO ROMANO ARCAICO: Alla base dell’organizzazione sociale dei latini c’era la struttura in famiglie a capo delle quali c’era il pater, la figura che deteneva il potere assoluto su tutti i componenti del nucleo inclusi gli schiavi e i clienti. Tutte le famiglie che riconoscevano un antenato comune costituivano la gens, un gruppo organizzato politicamente e religiosamente. La popolazione era a sua volta divisa in gruppi religiosi e militari detti “curie” che comprendevano tutti gli abitanti di un territorio fatta eccezione degli schiavi, queste avevano dei riti propri e rappresentarono le prime forme di assemblea cittadina (comizi curiati). Incerta è invece l’origine delle tribù la cui creazione è attribuita alo stesso Romolo, tra le quali si annoverano i Tities, i Ramnes e i Luceres anche se probabilmente e per onomastica di origine etrusca. Successivamente lo stato romano divise ogni tribù in dieci curie e da ognuna delle tre tribù vennero scelti cento senatori per un totale di trecento. Inoltre ogni tribù era tenuta a fornire un contingente di cavalleria di cento uomini e mille che andarono a costituire una legione composta rispettivamente da 300 cavalieri e 3000 fanti. Su questo modello si fondò quini l’organizzazione politica e militare di Roma. LA MONARCHIA ROMANA: La monarchia romana era selettiva e pertanto il re veniva scelto dall’assemblea dei rappresentanti delle famiglie più in vista. Una volta eletto egli era assistito nelle sue funzioni dal consiglio degli anziani ( i patres) delle famiglie più nobili, consiglio che sarebbe diventato poi il Senato romano. Il re era anche il supremo capo religioso ed era affiancato dai sacerdoti nella celebrazione del culto. Prima della redazione delle leggi scritte i pontefici erano i depositari e gli interpreti delle norme giuridiche; vi erano poi gli àuguri che avevano il compito di interpretare la volontà divina e le vestali, donne votate ad una castità ventennale, che custodivano il fuoco sacro che ardeva perpetuamente nel tempio della dea Vesta. PATRIZI E PLEBEI: Essendo la storia romana basata su interpretazioni e ricostruzioni anche l’origine della divisione sociale presenta delle incertezze. Si pensa che i patrizi fossero i discendenti dei primi senatori, ovvero i patres, mentre i plebei i clienti dei patroni patrizi. Un'altra interpretazione vede nei patrizi gli abitanti del Palatino e nei plebei i Sabini insediati al Quirinale ma posti in una posizione di inferiorità nella realtà civica romana. Si pensa inoltre che i patrizi fossero i grandi proprietari terrieri mentre i plebei corrispondessero alla classe degli artigiani e non appartenenti alla classe politica. L’INFLUENZA ETRUSCA: Nel VI secolo a.C. Roma conobbe un periodo di grande sviluppo sotto il controllo Etrusco (rintracciabile anche nella letteratura). L’ascesa etrusca si pensa legata alla figura di Tarquinio Prisco, figlio di un originario greco di Corinto il quale, dopo aver conquistato le grazie dell’allora vigente Re Anco Marcio, ne aveva poi ereditato il regno. In generale tutta l’area dell’Italia centro-meridionale era sede di relazioni e scambi tra Greci ed Etruschi. SERVIO TULLIO E TARQUINIO IL SUPERBO: Tarquinio Prisco venne assassinato di figli di Anco Marcio e a succederlo al trono ci fu Servio Tullio, educato alla corte del re e del quale sposò una delle figlie. Con questo sovrano entra per la prima volta in conflitto l’elezione del sovrano da parte dell’assemblea dei capi-famiglia e lo stesso principio dinastico. 2 Al momento dell’avvento dei Tarquini il quadro romano è ormai decisamente influenzato dall’espansionismo romano. Tullo Ostilo fece passare sotto il diretto controllo dei romani tutta la fascia compresa tra Roma e il mare e con essa il controllo diretto delle preziose saline poste nei pressi della costa su entrambi i lati del Tevere. Venne costruito un ponte stabile in legno sull’isola Tiberina a sancire ormai il controllo ormai decisivo di Roma sul fiume. La potenza romana dunque, durante il periodo dei Tarquini, passo da un raggio di 20 a 90 Km divenendo in questo periodo la città più estesa del Lazio. PARTE SECONDA - LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI LA NASCITA DELLA REPUBBLICA: A seguito della violenza subita dall’aristocratica Lucrezia da parte di Sesto Tarquinio figlio di Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma, scoppiò una rivolta guidata da alcuni aristocratici che portò alla caduta della monarchia (510 a.C. , Tarquinio il Superbo era impegnato in alcune operazioni militari ad Ardea e non poté intervenire) e alla nomina di due magistrati eletti dal popolo a consoli (uno dei due lo stesso Bruto, organizzatore insieme a Publio Valerio Publicola, della stessa rivolta). I FASTI: Questa delicata fase della storia romana è rintracciabile nei fasti ossia le liste dei magistrati eponimi della neonata Repubblica Romana che davano il nome all’anno in corso secondo il computo cronologico dei Romani. Tra i più importanti si ricordano fasti capitolini anche se non sempre questa documentazione è considerata attendibile. LA FINE DELLA MONARCHIA E LA CREAZIONE DELLA REPUBBLICA: Più che riconducibile alla violenza subita dall’aristocratica Lucrezia, la fine della monarchia romana è rintracciabile in un clima di dissenso generale all’interno del patriziato romano nei confronti di un regime dal carattere notevolmente autocratico quale quello di Tarquinio il Superbo. Pertanto l’odio serbato da parte dell’aristocrazia romana lascerebbe pensare che la fine della monarchia non sia stata un evento traumatico quanto più un passaggio graduale, frutto di una vera e propria “rivoluzione”. Ciò non esclude che a seguito della caduta della monarchia Roma non abbia vissuto un periodo di grande confusione dato dall’alternanza di re e condottieri prima di arrivare alla stabilizzazione della Repubblica stessa. LA DATA DELLA CREAZIONE DELLA REPUBBLICA: Sulla data di fondazione molti studiosi hanno preferito convenire sul 470-450 a.C. posticipandola di qualche decennio rispetto al 510 a.C. in quanto la fine dei Tarquini sembrerebbe dagli scritti congruente con lo stesso anno della cacciata del tiranno di Ippia della famiglia dei Pisistratidi da Atene. Tuttavia alcuni elementi fanno pensare che quest’ultima datazione sia bensì più corretta, sebbene forse non precisa nell’anno (vedi chiodi conficcati nel tempio di Giove e pianta dell’edificio della Regia). I SUPREMI MAGISTRATI DELLA REPUBBLICA, I LORO POTERI E I LORO LIMITI: 5 Con la caduta della monarchia i poteri del re passarono dunque in mano ai consules o praetores i quali, eletti dai comizi centuriati, avevano il comando dell’esercito, il mantenimento dell’ordine interno alle città, l’esercizio della giurisdizione civile e criminale, il censimento, la convocazione del senato e delle assemblee popolari e la compilazione delle liste dei senatori. Le competenze religiose invece vennero trasferite al sacerdote ache detto rex sacrorum , “ re delle cose sacre”, il quale ricordava l’istituto monarchico; successivamente a quest’ultimo vennero affiancandosi altri sacerdozi come il pontefice e gli àuguri che rivestivano un peso politico maggiore. La carica del console aveva la durata di un anno e ognuno dei due consoli poteva, secondo la regola della collegialità, opporsi alla decisione del collega se riconosceva essa come dannosa per lo stato. I cittadini potevano tuttavia appellarsi al giudizio dell’assemblea popolare qualora volessere contestare una pena capitale inflitta dai consoli (provocatio ad populum) in quanto il diritto di appello al popolo era considerato alla base della Repubblica stessa. LE ALTRE MAGISTRATURE: Al fine di sollevare i consoli da alcune delle loro competenze si decise di creare nuove magistrature: due questori che assistevano i consoli nelle attività finanziarie (carica divenuta poi elettiva), i censori incaricati del censimento e dell’andamento morale della vita pubblica e privata dei cittadini. LA DITTATURA: In caso di estrema necessità i supremi poteri della Repubblica potevano essere affidati ad un dictator nominato dai consoli, da un pretore o da un interrex. Accompagnato dal “comandante della cavalleria” da lui personalmente scelto poteva sostenere la propria carica in via speciale per un massimo di sei mesi. Spesso questa figura veniva utilizzata per fronteggiare crisi militari e dal momento che non valeva l’”appello al popolo” spesso il patriziato approfittava di questa figura per fronteggiare le rivolte della plebe. I SACERDOZI E LA SFERA RELIGIOSA: I tre più importanti collegi religiosi (pontefici, àuguri e duoviri sacris faciundis) avevano poteri che superavano la sfera culturale giungendo fino a quella politica. Il collegio degli àuguri in particolare aveva il compito di consultare la volontà degli dèi ed assistere dunque i magistrati nel trarre auspicio da questa (osservazione dei fenomeni naturali, del volo degli uccelli, tuoni, fulmini, ecc.). Nacquero poi altri collegi come quello degli aruspici, simili agli àuguri e dei feziali utilizzati in campo bellico. IL SENATO: Quello che era il vecchio consiglio regio formato dai capi delle famiglie nobili divenne il perno della nuova Repubblica e si trasformò nel Senato. La carica di senatore era vitalizia e per lo più i senatori erano ex- magistrati che appartenevano all’élite del patriziato. LA CITTADINANZA E LE ASSEMBLEE POPOLARI: La nuova struttura istituzionale di Roma si basava dunque sulle magistrature, il senato ed infine sulle assemblee popolari sebbene fossero riservate solo a maschi adulti in libera condizione ed in possesso del diritto di cittadinanza (ottenibile solo per diritto di nascita, tuttavia Roma rispetto ad Atene mostrò maggiore apertura concedendo la cittadinanza ai liberti ossia gli schiavi liberati e alle popolazioni del Lazio). I comizi curiati persero progressivamente il proprio ruolo in favore di quello dei magistrati e prevalse il ruolo dei comizi centuriati basati sulla ripartizione della società in classi di censo e quindi sulle centurie (impostazione già nota ai tempi del re Servio Tullio). Le votazioni non si basavano sui voti individuali ma su quello delle unità di voto delle centurie divise in seniores, cittadini anziani e facoltosi ma in numero minore, e iunores, cittadini giovani, economicamente meno abbienti ma in numero maggiore. Ai comizi centuriati spettava l’elezione dei consoli e degli altri magistrati superiori. Infine vennero creati i comizi tributi ai quali era affidata l’elezione dei questori e la votazione avveniva per tribù, anch’esse risalenti alla ripartizione di Servio Tullio. Anche in questa forma di votazione si viveva dunque una forma di diseguaglianza in quanto le persone appartenenti alle tribù delle campagne numericamente inferiori e non sempre aventi la possibilità di recarsi a Roma per le assemblee versavano in una condizione di sostanziale svantaggio. Inoltre i consoli, a seguito di qualche presagio infausto da parte degli àuguri, potevano disdire le assemblee e interromperne i lavori a propria discrezione e tale prerogativa venne più di una volta volutamente strumentalizzata. IL CONFLITTO TRA PATRIZI E PLEBEI: 6 Il periodo a partire dalla nascita della Repubblica è stato dominato oltre che dalle guerre da numerosi contrasti civili tra il patriziato e la plebe e queste vicende interne furono strettamente interconnesse con la politica esterna portata avanti in quegli anni da Roma. I contrasti interni ebbero una duplice matrice, economica e politica. IL PROBLEMA ECONOMICO: Il crollo dei Tarquini e la sconfitta degli Etruschi con il conseguente crollo del dominio Etrusco in Campania portò indirettamente un grave danno a Roma che proprio grazie a questo dominio era riuscita a prosperare a lungo. Le ostilità con i Sabini che controllavano il percorso della via Salaria e la vendita del sale raccolto nelle saline di Ostia portò ad una situazione di continuo conflitto con conseguenti razzie e devastazione dei campi. Le carestie, le annate di cattivo raccolto portò la popolazione ad indebolirsi e si propagò la diffusione di epidemie. I piccoli agricoltori facendo sempre più difficoltà a fronteggiare la crisi furono costretti ad indebitarsi con i ricchi proprietari terrieri e spesso, non potendo fronteggiare più la situazione dovevano sottostare all’istituto del nexum, ossia finivano per diventare dei veri e propri schiavi. Nelle situazioni peggiori i debitori venivano venduti in terra straniera o peggio ancora condannati a morte. Di fronte ad una tale situazione la plebe avanzò alla Repubblica una mitigazione delle norme sui debiti e del tasso massimo di interesse nonché una più equa distribuzione dell’ager publicus. IL PROBLEMA POLITICO: Il patriziato non fu affetto dalla crisi economica ma da parte sua rivendicava una parificazione dei diritti politici e la redazione di un codice scritto di leggi. LE STRUTTURE MILITARI E LA COSCIENZA DELLA PLEBE: Il confronto tra i due ordini si aggravò man mano che la plebe prese effettiva coscienza della sua importanza anche a livello militare dal momento che molti dei patrizi erano esentati dal servizio militare e le centurie erano composte per la maggior parte da fanti con armatura leggera e da iunores. I fanti con armatura pesante, i cosidetti opliti, combattevano unitamente ai fanti in un’unica falange in un ordinamento oplitico- falangitico. LA PRIMA SECESSIONE E IL TRIBUNATO DELLA PLEBE: Nel 494 a.C. la plebe esasperata dalla crisi economica risorse indicendo uno sciopero che lasciò la città priva della sua forza lavoro e della forza difensiva. Gli insorti si ritirarono sul colle Aventino, colle legato alle tradizioni plebee, e questo gesto prese il nome di secessione. Qui essi istituirono i propri organismi ovvero i concilia plebis tributa un’assemblea che poteva emanare dei provvedimenti detti plebiscita che però non avevano alcuna valenza a livello statale. Vennero scelti per rappresentanza i tribuni della plebe, inizialmente due poi fino ad un numero di dieci, e a loro vennero riconosciuti diversi poteri: il venire in soccorso di un cittadino contro un magistrato e quindi il potere di veto a qualsiasi provvedimento da esso emesso e il principio di inviolabilità personale. Chiunque avesse commesso una violenza contro i tribuni della plebe sarebbe stato messo a morte e consacrato agli déi e gli sarebbero state confiscate le proprietà. Le offese alla plebe invece prevedevano una sanzione pecuniaria. Vennero poi istituite le figure degli edili plebei che si occupavano dei giochi, della sorveglianza sui mercati, strade, templi ed edifici pubblici. Questa prima secessione portò al riconoscimento da parte dello stato dell’organizzazione interna della plebe costituita dalla sua assemblea e dai suoi rappresentanti nella figura dei tribuni. Il problema dei debiti non vene risolto ma le figure dei tribuni servirono in qualche modo a mediare le insolvenze di molti debitori. La motivazione inizialmente economica portò dunque ad un risultato politico. IL DECEMVIRATO E LE LEGGI DELLE XII TAVOLE: Dopo questa prima vittoria la plebe iniziò a premere affinché venisse redatto un codice di leggi scritto pertanto venne indetta una commissione di dieci uomini (decemvirato) esclusivamente scelti tra il patriziato al fine di stendere un codice giuridico. Tale commissione divenne poi permanente e il potere del consolato e del tribunato della plebe vennero sospesi e non vi fu la possibilità del diritto di appello. Nel corso del primo anno i decemviri stilarono una lista di dieci leggi scritte su tavole di legno ed esposte successivamente nel foro. Mancavano tuttavia alcuni punti pertanto si costituì un secondo decemvirato all’interno del quale figuravano anche rappresentanti della plebe stessa. Nel corso del secondo anno furono redatte altre due tavole che aggiunte a quelle già stilate portarono ad un totale di dodici. Tra le leggi vi era anche quella che impediva il matrimonio tra patrizi e plebei. Le leggi delle XII tavole rappresenta il primo esempio di codice 7 IL CONFLITTO CON VEIO: Roma si trovò nel corso di tutto il V secolo a fronteggiare con la potente città Etrusca di Veio, molto meglio organizzata delle tribù appenniniche, con la quale si disputava il controllo delle vie di comunicazione del basso Tevere e delle saline. Questo contrasto sfociò essenzialmente in tre guerre la prima delle quali vide la vittoria dei Veienti che si assicurarono il controllo di Fidene e causarono la morte di oltre 300 soldati appartenente alla gens Fabia. Nella seconda guerra i Romani ottennero una rivincita conquistando e distruggendo Fidene e durante la terza guerra Veio rimase assediata per ben dieci anni per poi essere conquistata da Marco Furio Camillo. L’assedio di Veio che aveva tenuto i soldati romani lontani per dieci anni rese necessaria l’istituzione di uno stipendium per coloro che avevano combattuto pertanto venne introdotta una tassa straordinaria detta tributum che gravava sulle classi sociali indipendentemente dell’ordinamento censitario gravando così fortemente sui centurie meno abbienti. La vittoria su Veio portò inoltre a Roma l’acquisizione di una porzione di territorio vasta e fertile. L’INVASIONE GALLICA: Nel 390 a.C. la popolazione gallica dei Senoni, provenienti dall’Italia settentrionale, invase e attaccò Roma saccheggiandola (battaglia sul fiume Allia). Paghi del bottino ottenuto e del riscatto i Galli se ne andarono velocemente diretti verso le città greche dell’Italia Meridionale. LA RIPRESA: Tuttavia Roma si riprese velocemente e a partire proprio dal 390 a.C. diede un nuovo e ulteriore impulso alla politica estera. In questi decenni la figura di Camillo dominerà la lotta contro le popolazioni limitrofe: dopo il sacco dei Galli furono annientati gli Equi, i Volsci videro la loro città di Tusculo annessa al territorio romano divenendo così il primo esempio di municipium e furono costretti a cedere la pianura Pontina agli Ernici ed infine anche gli Etruschi di Tarquinia e Cere siglarono la tregua con Roma. IL PRIMO CONFRONTO CON I SANNITI: I Sanniti al tempo che al tempo occupavano un area molto più vasta di Roma e che si estendeva su tutta la catena appenninica-meridionale, pur vivendo di agricoltura e pastorizia vivevano in un territorio incapace di sostenere la consistente crescita demografica pertanto la migrazione sembrava essere l’unica soluzione. Alcuni Sanniti si erano dunque spostati sulle zone costiere della Campania unendosi a Greci ed Etruschi e accogliendo il sistema delle città-stato alcune delle quali si erano unite in una “lega campana”. Quest’ultima venne attaccata dai Sanniti e chiese aiuto a Roma la quale contravvenendo al patto stipulato intervenne in difesa dei Campani soprattutto con il fine ultimo di impadronirsi di una fetta così grande di territorio. La prima guerra sannitica vide la vittoria di Roma ma successivamente quest’ultima non fu più in grado di portare avanti la battaglia pertanto si aggiudicò la Campania lasciando ai Sanniti la città di Teano. LA GRANDE GUERRA LATINA: A seguito della prima guerra sannitica le popolazioni dei Campani, Sidicini, Latini e Aurunci vollero prendersi una rivincita su Roma e ciò porto dal 341 al 338 a.C. allo scoppio della grande guerra latina che vide la vittoria dei romani e lo stabilirsi della prima organizzazione dell’Italia romana. Venne dunque disciolta la lega latina e molte delle città insorte divennero municipi di Roma (come era già avvenuto per Tuscolo) e vennero inoltre fondate nuove colonie latine; lo status di latino che prima definiva una connotazione etnica passò dunque ad indicare una connotazione giuridica di rapporto con i cittadini romani. I Latini, vecchi e nuovi, avevano il diritto di voto ma anche l’obbligo di fornire truppe a Roma in caso di necessità. Le città latine continuavano ad avere una piena autonomia interna ma attraverso dei trattati, diversi da città a città, erano comunque fortemente legate alla potenza egemone. Al termine della grande guerra latina Roma aveva dunque posto sotto il suo controllo tutte le regioni che andavano dalla sponda sinistra del Tevere fino a Napoli e tutti i territori fino ai contrafforti degli Appennini. LA SECONDA GUERRA SANNITICA: Napoli era l’ultima città greca della Campania rimasta indipendente e al suo interno vi si fronteggiavano le masse popolari favorevoli ai Sanniti e quelle invece più agiate e filoromane. I Romani erano riusciti a battere gli schieramenti Sanniti e ad entrare nella città ma nel momento in cui cercarono di inoltrarsi nel Sannio vennero accerchiati e sconfitti al passo delle Forche Caudine e costretti alla resa. Dopo la sconfitta vi furono alcuni anni di resa, anni nei quali i Romani si riorganizzarono stringendo alleanze con la Lucania e l’Apulia dove fondarono nuove tribù. Successivamente i Romani ripresero le operazioni militari e dopo una prima 10 sconfitta iniziarono a cingere il Sannio in una sorta di assedio. Tuttavia i Romani dovettero abbandonare lo schema di attacco a falange e adottare il sistema manipolare ( disposizione su tre linee) poiché si era rivelato fallimentare in un territorio non piano e impervio come quello campano. Vennero inoltre modificati gli armamenti con l’introduzione dello scudo rettangolare e del giavellotto. Queste modifiche permisero ai Romani di ottenere molteplici vittorie non solo contro i Sanniti ma anche contro una coalizione di stati etruschi formatasi nel centro Nord dell’Italia. LA TERZA GUERRA SANNITICA: Nel 298 a.C. i Sanniti attaccarono i Lucani in favore dei quali intervennero i Romani. Il comandante supremo dei Sanniti, Gellio Egnazio, aveva costituito una coalizione antiromana formata da Etruschi, Galli e Umbri che si scontrò con le fila romane presso Sentino, al confine tra Umbria e Marche. L’esercito romano, numericamente e strategicamente migliore, ebbe la meglio e nel 290 a.C. si giunse alla pace. LA GUERRA CONTRO TARANTO E PIRRO: La città di Turi posta sulle rive calabresi chiese aiuto a Roma poiché minacciata dai Lucani. I Romani presidiarono la città e in un gesto di sfida inviarono una flotta davanti alla costa di Taranto la quale sentendosi minacciata chiese aiuto alla madrepatria greca sulla costa antistante. Il re dei Molossi, Pirro, diede a questo intervento la valenza di una crociata contro i Greci d’Occidente minacciati dai barbari romani sbarcando in Italia con un esercito di enormi dimensioni tanto che i Romani furono costretti ad arruolare i capite censi ossia i nullatenenti che prima erano invece esentati dal servizio militare. La battaglia di Eraclea vide la sconfitta sanguinosa dei romani (l’esercito epirota utilizzò gli elefanti da guerra che spiazzarono l’esercito romano). Nonostante la vittoria ottenuta Pirro decise di intraprendere le trattative di pace poiché era chiaro che l’esercito epirota non poteva assediare una città come Roma. Nelle trattative di Pace Pirro chiedeva la libertà e l’autonomia per le città greche dell’Italia meridionale e la restituzione dei territori alle popolazione dei Bruzi, Lucani e Sanniti ma le sue richieste non vennero accolte dal Senato. Successivamente Pirro si sposterà a Siracusa e poi in Africa ma saranno tuttavia imprese fallimentari. LA CONQUISTA DEL MEDITERRANEO LA PRIMA GUERRA PUNICA: Roma che ormai controllava tutta l’Italia peninsulare fino allo stretto di Messina entrò in contrasto con Cartagine a seguito della richiesta di aiuto della popolazione dei Mamertini contro i Siracusani. Cartagine che disponeva di un ampio esercito e i cui possedimenti andavano dalle coste dell’Africa Settentrionale fino alla Spagna e alla Sardegna vide nell’intervento dei Romani un rischio per la propria egemonia soprattutto nell’area dello stretto. Sebbene non si è certi dell’esistenza di un accordo tra Romani e Cartaginesi (presumibilmente il trattato di Filino che delimitava le zone di influenza e interesse) questa occasione portò allo scoppiare della prima guerra punica che durò dal 264 al 241 a.C. I Romani riuscirono per molto tempo a battere i Cartaginesi alleati con i Siracusani al punto che quest’ultimi decisero di giungere alla pace e allearsi con Roma. Cartagine vantava però di una potente flotta navale che continuava a presiedere le coste motivo per cui i Romani decisero di costituire la loro prima flotta navale sfruttando anche le conoscenze marinare delle popolazioni sicule e ottenendo una prima vittoria nelle acque di Milazzo. Roma decise quindi di attaccare Cartagine nei suoi possedimenti africani ma dopo poco la sua flotta venne distrutta; dopo la ricostituzione della flotta romana la guerra proseguì ma entrambi gli eserciti apparivano stremati al punto che i Cartaginesi chiesero la resa e furono costretti ad abbandonare tutti i territori dell’Italia meridionale e peninsulare e a pagare un indennizzo di guerra. LA PRIMA PROVINCIA ROMANA: Trovandosi ora in possesso di una nuova ampia porzione di territorio come quella Siciliana Roma impose il pagamento di un tributo annuale consistente in un decimo del raccolto dei cereali di cui l’isola era grande produttrice. Venne inoltre inviato annualmente un magistrato per amministrare la giustizia, l’ordine interno e la protezione da aggressioni esterne, magistrato che successivamente verrà affiancato da due pretori urbano e pellegrino. Nacque in questo periodo il termine “provincia” atto ad indicare un territorio soggetto all’autorità di un magistrato romano. TRA LE DUE GUERRE: Nel periodo antecedente lo scoppio della seconda guerra punica vi fu un consolidamento delle posizioni dei due avversari. A Cartagine i mercenari della prima guerra che non erano stati adeguatamente ricompensati 11 fecero scoppiare diverse rivolte e nel momento in cui i cartaginesi organizzarono una spedizione per recuperare la Sardegna Roma dichiarò loro guerra avendone capito le intenzioni. Cartagine si arrese ancor prima del conflitto poiché consapevole di non potercela logisticamente fare e fu nuovamente costretta al pagamento di un indennizzo supplementare e alla cessione della Sardegna e della Corsica che divennero anch’esse provincie romane. Le intenzioni romane si spostarono poi verso l’Italia Settentrionale dove si temeva l’incursione e il dominio dei Galli che furono annientati a Telamone. Il tribuno della plebe propose di spartire i territori da poco conquistati tra i cittadini. Cartagine volse invece il suo interesse sulla Spagna. LA SECONDA GUERRA PUNICA: Nella famiglia cartaginese dei Barca forte era il senso di rivincita nei confronti di Roma. I saguntini chiesero aiuto ai Romani e quando Annibale espugnò Sagunto si arrivò allo scoppio della seconda guerra punica. I cartaginesi avevano capito che per battere i Romani dovevano cercare di sottrargli le alleanze che avevano stretto con le varie popolazioni italiche che puntualmente fornivano loro una grande forza guerriera. Annibale riuscì ad entrare in Italia varcando i Pirenei e sconfisse l’esercito di Publio Cornelio Scipione sul Trebbia. Roma capì che era impossibile battere Annibale in campo aperto pertanto bisognava prevedere le sue mosse e impedire che da Cartagine o dalla Spagna giungessero aiuti aspettando dunque l momento in cui l’esercito cartaginese perdesse potenza. Fabio Massimo adottò una strategia attendista ma fu estremamente duro per i romani assistere alla devastazione dell’Italia pertanto, finiti i sei mesi di mandato, si passò alla controffensiva. L’esercito romano venne duramente colpito e Annibale raggiunse le regioni del Piceno, del Sannio e dell’Apulia e molti stati prima alleati romani defezionarono tanto che la guerra sembrava persa. Tuttavia gli alleati del centro Italia restarono fedeli a Roma. La svolta decisiva si ebbe però in Spagna dove Publio Cornelio Scipione unitosi al fratello Cneo riuscirono ad interrompere gli aiuti inviati ai Cartaginesi in Italia. Gli Scipioni vennero tuttavia uccisi dalle forze cartaginesi iberiche. Prese dunque il comando Scipione l’Africano che nonostante la poca esperienza riuscì a conquistare Nova Carthago, la più grande base cartaginese in Spagna e a sconfiggere Asdrubale, fratello di Annibale non impedendogli però l’invio di auti ad Annibale. Quest’ultimo dopo la morte del fratello tuttavia non riuscì a portare avanti il combattimento e si ritirò. Scipione tornato in Italia venne eletto console e iniziò la spedizione in Africa. Il trattato di pace venne siglato nel 201 a.C. e portò alla consegna dell’intera flotta cartaginese, il pagamento di una fortissima indennità ed il divieto di dichiarare guerra senza il permesso di Roma. LA SECONDA GUERRA MACEDONICA: Lo stesso anno Roma si trovò coinvolta in un altro conflitto con Filippo V, re macedone, il quale aveva ampliato le sue mire espansionistiche sull’Asia Minore e sull’Egeo pertanto i regni di Pergamo e di Rodi chiesero l’intervento di Roma. Roma inviò un ultimatum a Filippo V chiedendo di non attaccare gli stati greci, richiesta a fine propagandistico, ma quest’ultimo lo ignorò. L’esercito romano sbarcò ad Apollonia ma i primi due anni di guerra non presentarono azioni decisive. Dal momento che molte città greche, tra cui Atene, si erano alleate con Roma Filippo V decise di intavolare le trattative di pace ma furono ignorate e il suo esercito venne definitivamente sconfitto in Tessaglia. Le condizioni di pace prevedevano il ritiro di tutte le truppe macedoni dalla Grecia, la consegna della flotta e il pagamento di un’indennità. LA GUERRA SIRIACA: Il re siriano Antioco III stava spingendo le sue mire espansionistiche sulle città greche della costa dell’Asia minore nonostante Roma aveva chiesto la cessazione degli attacchi alle stesse. Gli etolici sostenendo di aver solo cambiato “padrone” da Filippo V a Roma chiedere ad Antioco di “liberarli” dal nuovo invasore. Tuttavia dopo uno scontro diretto l’esercito siriano in grande minoranza numerica venne duramente battuto. Non soddisfatti Lucio Cornelio Scipione e Scipione l’Africano decisero di sferzare un nuovo colpo ai siriani e annientarono l’esercito di Antioco presso la citta di Magnesia. La pace di Atamea sancì la fine della guerra e le condizioni a cui dovettero sottostare i siriani, in particolare quella di sgombrare definitivamente i territori. LE TRASFORMAZIONI POLITICHE E SOCIALI: Noto è il “processo agli Scipioni” in base al quale i due fratelli vennero accusati di essersi indebitamente appropriati delle varie indennità di guerra delle battaglie condotte. A seguito di questo avvenimento venne emanata la legge Villia che stabiliva un’età minima per rivestire le magistrature e un intervallo di un biennio tra una carica e l’altra. LA TERZA GUERRA MACEDONICA: 12