Scarica Storia Romana-Geraci Marcone e più Dispense in PDF di Storia Romana solo su Docsity! PARTE PRIMA: I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA CAPITOLO 1: ITALIA PREROMANA (Vedi quaderno) CAPITOLO 2: GLI ETRUSCHI 2.1 Origine ed Espansione degli Etruschi Noti ai greci con il nome di Tirreni e sembra chiamassero se stessi Rasenna. Per Erodoto (V secolo a.C.) si trattava di un gruppo di Lidi proveniente dall’Asia Minore che guidati da Tirreno si stabilì in Italia; Per Dionigi di Alicarnasso si trattava di una popolazione autoctona; altri li riteneva originari del lontano nordo. Oggi gli storici propendono per la soluzione che vede gli etruschi (VIII-VII secolo) come il risultato di due processi: -Sviluppo delle popolazioni autoctone da un lato -eredi dei villanoviani -Importante influsso culturale della civiltà greca dalle colonie in Italia meridionale A favore di questa tesi vi è il fatto che vi è mancanza di indizi di una cesura nella tipologia delle forme di insediamento o nella composizione della popolazione rispetto alla precedente cultura villanoviana. Quindi vi è uno sviluppo autonomo tra i corsi dell’Arno e del Tevere con influssi culturali extra italici (recente scoperta a Lemno, isola dell’Egeo settentrionale, di un’iscrizione in una lingua molto simile all’etrusco. Non ebbero mai uno stato unitario, ogni città era comandata autonomamente da un sovrano detto lucumone e successivamente da magistrati eletti gli zilath, che stavano in carica per un anno. Unica sorta di unificazione delle 12 città più importanti era rappresentata da una lega che univa però solo religiosamente. La società etrusca aveva un carattere fortemente aristocratico e il governo delle città era affidato ai ricchi. Tramonto espansione etrusca: 530 a.C.= processo di espansione etrusca subisce prima battuta di arresto a causa della guerra contro i Focei scoppiata perché questi ultimi avevano fondato una colonia Alalia in Corsica, minacciando i traffici etruschi (neanche l’alleanza cartaginese servì a sconfiggere i focei) 474 a.C= battuta di arresto dell’espansione verso l’Italia meridionale: gli etruschi furono infatti sconfitti da Siracusa nella battaglia di Cuma. IV secolo decisivo per la decadenza etrusca= 396 a.C.: conquista di Veio da parte dei romani; perdita di possedimenti nella val padana per opera dei Celti (dell’Europa centrale). Nel III secolo, infine, gli etruschi caddero definitivamente in mano romana. 2.2 Religione e Cultura Nel mondo etrusco vi è un grande sviluppo dei riti religiosi. Le divinità sono assimilabile a quelle greche (Tinia come Zeus, Apulu è Apollo ecc) anche se vi sono divinità autoctone risalenti a origine indigena. Anche per gli etruschi il Fato è superiore agli dèi (come per i greci) e gli dèi si dividono i regni di appartenenza e i regni di competenza di giudizio. Il famoso libro di lino di Zagabria è un testo scritto in lingua etrusca su stoffa realizzato per avvolgere una mummia e recante in sé le prescrizioni rituali dell’anno liturgico, le preghiere e le cerimonie di offerta. Nella religione etrusca è importante la concezione dell’aldilà. Il defunto si immaginava che continuasse a vivere la vita nella tomba, per questo le tombe erano progettate come case e venivano fornite di cibi, bevande e simboli dello status del defunto. Più in là si concepì l’aldilà come un lungo viaggio verso l’oltretomba che si poteva raggiugere a piedi o a cavallo. Inoltre molto importante nella cultura etrusca era l’aruspicina, un’arte magica che serviva a decodificare segnali tramite l’analisi delle viscere di animali → idea dell’unità cosmica secondo cui negli organi si riproduce l’ordine dell’universo. (Fegato di piacenza: modello didattico in bronzo). 2.3 Il Problema della Lingua I testi etruschi possono essere letti con facilità perché l’alfabeto, di ventisei lettere, è un riadattamento di quello greco. Tuttavia, non sappiamo la lingua perché pochi testi ci sono pervenuti che permettano il confronto con lingua conosciute, inoltre l’etrusco non è nel ceppo indoeuropeo. Inoltre, i testi pervenuti sono solo brevi formule funerarie in cui compare solo il nome del defunto. Inoltre pochi sono i testi di una certa estensione come il libro di Zagabria, la tegola di Capua (rito funerario) e la Tavola Cortonense che riproduce un documento legale con l’indicazione dei confini di due proprietà. Mancano i testi bilingue abbastanza ampi: Lamine di Pyrgi è un testo fenicio-etrusco, una dedica di un tempio alla dea Uni da parte dello zilath Tefarie Velianas. 2.4 Tecnica e Arte I siti delle città etrusche hanno lasciato tracce modeste, molte necropoli e pochi siti di grosse dimensioni. Nell’VIII alle tombe a pozzo, che accoglievano le ceneri dei defunti, furono sostituite quelle a fossa per l’inumazione dei cadaveri. Le sepolture più evolute, quelle a camera, avevano una struttura architettonica complessa: costruite come appartamenti. Gli etruschi raggiunsero un alto grado di perfezionamento architettonico con l’uso della copertura a volta e dell’arco. Gli affreschi nelle tombe raffigurano scene di vita quotidiana, nella fase più tarda abbiamo scene dell’aldilà con raffigurazioni di divinità e eroi che mostrano chiara dipendenza dai modelli greci. Abbiamo grande produzione di ceramica con il vasellame bucchero di colore nero lucente. Attività economiche: Oltre l’agricoltura abbiamo anche la metallurgia e l’artigianato artistico. Gli oggetti di bronzo e l’oreficeria, insieme a vino e cereali raggiunsero, tramite commerci, ampie aree del Mediterraneo. Ritrovamenti archeologici dimostrano avanzate tecniche agrarie come l’aratro e strumenti avanzati per arboricoltura e vigneti. Gli etruschi furono anche abili nell’estrazione di minerali e nel trattamento dei metalli grezzi. La lavorazione di oro e metalli nobili era usata principalmente per creare gioielli. CAPITOLO 3 ROMA 1. Le Origini di Roma In campo storiografico si realizzò a lungo una sorta di coincidenza tra conservatorismo politico e accettazione acritica della tradizione letteraria sulle origini di Roma. Con l’opera dello storico danese Niebuhr all’inizio del XIX secolo si pose in evidenza il problema di una possibile ricostruzione della storia di Roma arcaica condotta attraverso la critica delle fonti. A partire dalla fine dell’800 contribuì l’archeologia con nuove scoperte che in molti casi confermano il racconto tradizionale su Roma arcaica → a questo punto la tradizione storiografica ipercritica caratteristica del XIX secolo non parve più accettabile. De Sanctis, esponente della critica temperata, propone una riconsiderazione mediata alle fonti letterarie più attendibili, contro gli eccessi dell’ipercritica e alla luce delle nuove scoperte archeologiche1. In termini generali si può dire che il dibattito sia rimasto su questi termini: Da un lato, l’ipercritica si è affrancata dal radicalismo negazionista e ha puntato ad affermare quanto di controverso ci sia nelle cosiddette “conferme” dell’archeologia, dall’altro l’accettazione della tradizione letteraria non è incondizionata. 2.Le Fonti Letterarie Le testimonianze delle fonti letterarie rappresentano il primo blocco di informazioni con cui confrontarsi per ricostruire la storia di Roma arcaica. Tuttavia, si tratta di opere posteriori agli eventi narrati e con elementi leggendari. I primi storici a occuparsi di Italia meridionale furono greci e in greco scrissero i primi storici romani, Fabio Pittore e Cincio Alimento, alla fine del III secolo a.C., a più di 5 secoli di distanza dalla fondazione di Roma. La comparsa della scrittura a Roma (VII secolo a.C.) non determinò cambiamenti fondamentali. Per quel che riguarda Roma le poche iscrizioni pervenute non danno grandi informazioni. → per la seconda e la prima parte del periodo regio la tradizione orale deve avere avuto grande preminenza per la trasmissione dei ricordi storici. La situazione non muta neanche per la prima parte dell’età repubblicana. L’esistenza di documenti scritti è sicura ma ci si deve interrogare sulle modalità della loro utilizzazione da parte di chi ha elaborato la più antica storiografia. I primi storici da cui possiamo leggere la storia della Roma arcaica sono del I secolo a.C. Tito Livio, contemporaneo dell’imperatore Augusto, scrisse una grande storia di Roma a partire dalla sua fondazione. Livio stesso si rendeva conto delle basi fragili su cui si ergeva la sua opera soprattutto per quanto concerne la storia di Roma prima dell’incendio della città da parte dei Galli nel 390 a.C. Molto importante è anche lo storico Greco Dionigi di Alicarnasso, anche lui attivo a Roma nell’età Augustea. Le sue Antichità Romane coprivano il periodo che va dalla fondazione allo scoppio della prima guerra punica. Roma non aveva suscitato interesse da parte della storiografia greca sino alla metà del IV secolo. 1 Ci sono addirittura casi in cui i dati archeologici vanno accolti direttamente, senza cercare confronti nelle fonti letterarie. L’archeologia ha accertato la precocità dell’influenza greca e orientale su Roma e sul Lazio, essa si manifesta già a partire dall’VIII secolo a.C., senza un ruolo di mediazione da parte degli etruschi. Roma, infatti, riceve prodotti di importazione greca ancora prima di quelli etruschi. La tradizione letteraria in proposito è muta, ci possiamo affidare solo all’archeologia. rappresentano il fondamento della più antica assemblea politica cittadina, i comizi curiati. Non conosciamo la loro funzione in età arcaica, né sappiamo se fossero divise in forma territoriale o gentilizia. In epoca più tarda ai comizi curiati rimasero attribuite determinate funzioni inerenti il diritto civile (adozioni, testamenti); inoltre ai comizi spettava il compito di votare la lex de imperio, che conferiva il potere al magistrato eletto. -Eguale incertezza si ha intorno alle tribù, la cui creazione fu attribuita a Romolo. Esse originariamente erano 3: Tities, Ramnes, Luceres. I loro nomi fecero pensare agli stessi antichi che fossero di origine etrusca. Anche se la prima potrebbe fare pensare, forse a torto, ad un’origine sabina e al nome di Tito Tazio. -In età relativamente tarda, che coincide con il dominio etrusco, lo Stato romano si organizzò secondo criteri più precisi: ogni tribù fu divisa in dieci curie e da ogni tribù furono scelti cento senatori, per un totale di trecento senatori. Su tale modello si fondò anche l’organizzazione militare: ogni tribù doveva fornire un contingente di cento uomini di cavalleria e 1000 di fanteria – per un totale di 3000 fanti e trecento cavalieri. 9.La Monarchia Romana La caratteristica principale della monarchia romana è che era elettiva. L’elezione del re era demandata all’assemblea dei rappresentanti delle famiglie più in vista. Originariamente il re doveva essere affiancato da un consiglio di anziani composto dai capi delle famiglie più importanti: questi uomini rappresentavano il nucleo di quello che sarebbe poi stato il senato. Della realtà storica di una fase monarchica della storia di Roma rimangono, in età successiva, due testimonianze fondamentali: la prima è data dall’esistenza di un sacerdote, il rex sacrorum, che aveva il compito di dare realizzazione ai riti prima eseguiti dal re; la seconda è che con il termine interrex veniva definito il magistrato che subentrava nel caso di indisponibilità di entrambi i consoli. Il potere del re, in assenza di qualsiasi forma di costituzione era limitato dal potere dei capi delle gentes principali. Il re era anche il supremo capo religioso affiancato nelle celebrazioni dal collegio dei sacerdoti. Il più importante dei collegi era quello dei pontefici: costoro erano i depositari e gli interpreti delle norme giuridiche prima che esse fossero redatte per iscritto. Il collegio degli auguri aveva invece il ruolo di interpretare la volontà divina così da garantire l’esito felice di un’impresa. Il compito delle vestali, donne caste per trent’anni, era quello di custodire il fuoco sacro che ardeva perpetuamente nel tempio della dea Vesta. 10. Patrizi e Plebei La massima incertezza regna a proposito dell’origine della divisione sociale alla base della Roma arcaica e che rimarrà viva per quasi tutta la storia della Repubblica, quella tra patrizi e plebei. Per la tradizione i patrizi sono discendenti dei senatori nominati da Romolo. Altri pensano che i plebei fossero i clienti dei patrizi. Un’altra interpretazione riconosce nei patrizi i Latini, abitanti del Palatino, e nei plebei i Sabini insediati sul Quirinale. L’interpretazione più accreditata mette avanti il fattore economico: erano patrizi i grandi proprietari terrieri e i plebei erano gli artigiani e i ceti emergenti economicamente, ma tenuti in posizione di inferiorità rispetto alla rappresentanza politica. Nessuna di tali teorie è soddisfacente: si deve tenere conto che la società di Roma arcaica andò incontro a molte trasformazioni e quindi si può dire che la divisione in patrizi e plebei non sia un dato originale, quanto un punto di arrivo di un evoluzione sociale complessa. Forse tale divisione manco esisteva nella fase più arcaica → d’altra parte i nomi dei primi consoli sono plebei, anche il nome di alcuni re è di derivazione plebea, come quello di Anco Marcio. 11.L’Influenza Etrusca Roma conobbe un grande sviluppo nel corso del VI secolo a.C. periodo in cui si trovò sotto controllo etrusco. Il predominio etrusco trova riscontri nella tradizione letteraria che è suffragata dall’archeologia e da altre prove. La realtà del predominio etrusco traspare anche nelle vicende che riguardano la salita al potere di Tarquinio Prisco. Secondo la tradizione Tarquinio è figlio di un greco originario di Corinto, Demarato, che, arrivato a Tarquinia, sposa una giovane appartenente all’aristocrazia locale. Alla morte del padre ne eredita le ricchezze ma non può accedere, in quanto straniero, al governo della città. Il giovane allora va a Roma e si guadagna il favore di Anco Marcio, e cambiato il nome in quello di Lucio Tarquinio (prima si chiamava Lucumone), alla morte del re venne eletto suo successore. Una versione simile conserva il ricordo di un’epoca in cui Roma era inserita in un contesto più ampio di quello delle sue origini, contesto che vede l’Italia centro-meridionale sede di relazioni intense tra Greci e Etruschi. Gli etruschi infatti volevano assicurarsi una via di accesso alla Campania e nelle loro tradizioni facevano riferimento a un periodo in cui si trovarono coinvolti in conflitti volti ad assicurarsi il controllo di Roma. Nella tomba Francois a Vulci (nome dello scopritore della stessa) sono raffigurati i fratelli Vibenna che lottano insieme a un personaggio chiamato Mastarna contro un certo Gneo Tarquinio, di Roma. Anche l’episodio del signore di Chiusi, Porsenna, che riuscì a impadronirsi di Roma dopo aver scacciato i Tarquini, è una storia che si inserisce bene in questo panorama di equilibri incerti → l’interpretazione più verosimile è che Porsenna, dopo essersi impadronito della città, ne sia stato a sua volta allontanato grazie all’intervento di Aristodemo di Cuma e dei Latini intervenuti in soccorso dei Tarquini. 12.Servio Tullio e Tarquinio il Superbo Mastarna viene spesso identificato con Servio Tullio. La figura di tale sovrano è circondata nella tradizione di elementi eroici. Nato da una schiava di nome Ocresia e da Tullio, signore di Cornicoli, Servio, molto caro a Tanaquilla, la moglie di Tarquinio, fu educato alla corte del re, del quale sposò una delle figlie. Quando Tarquinio fu assassinato da uno dei figli di Anco Marcio, Servio assunse i poteri regi senza però che la sua successione fosse legittimata. Questa storia fa emergere come nella monarchia romana vi fosse un conflitto tra il principio della monarchia elettiva e il principio dinastico. Quanto a Tarquinio il Superbo, la sua figura assume i tratti del tiranno greco → era inviso al popolo. Secondo la tradizione fu cacciato da una congiura capeggiata da Publio Valerio che avrebbe istaurato il regime repubblicano. 13.La Documentazione Archeologica La documentazione archeologica offre problematici riscontri a tale tradizione. La dedica di un calice bucchero nel santuario di Veio attesta un possibile passaggio di Aulo Vibenna in questa città verso la metà del VI secolo a.C. Il nome di Vibenna appare in molti documenti arcaici in Etruria. I Ibenna devono essere stata una forte famiglia, probabilmente di Vulci, la cui storicità non può essere messa in discussione. Essi giocarono un ruolo chiave nella lotta che opposero i Vulci con le altre città etrusche, tra cui Roma. Quanto a Publio Valerio la sua storicità trova riscontro nel tempio di Mater Matuta, una divinità laziale, a Satricum. Qui vi è un’iscrizione in latino arcaico che lo nomina espressamente. 14.Rafforzamento della Monarchia Il predominio etrusco su Roma portò a un rafforzamento dell’istituto monarchico: In tale periodo fu costruito l’edificio sede del re, nei pressi del tempio di Vesta, inoltre viene definita nella parte nord-occidentale del foro, l’area riservata all’attività politica del popolo e del Senato → l’indagine archeologica ha rivelato come tra il VII e il VI secolo a.C. sia stato creato il comitium, il popolo dove si riuniva il popolo per deliberare e la Curia Hostilia, la prima sede per le assemblee del senato. Non a caso la tradizione attribuisce a Tarquinio Prisco l’aumento del numero dei senatori e a Servio Tullio, l’introduzione dell’ordinamento centuriato, che prevedeva l’organizzazione della popolazione in classi, a loro volta articolate in unità dette centurie, secondo un criterio basato sul censo. Anche se l’ordimaneto centuriato non risale ad un’età così remota, è molto probabile che già in tale periodo la comunità non fu più organizzata secondo fattori gentilizi ma sulla base del censo. Il censo servì anche per adottare un criterio di arruolamento nell’esercito serviano: era formato da cittadini in grado di pagarsi gli armamenti pesanti (classis) e dai soldati che potevano armarsi solo alla leggera (infra classem). Anche l’istituzione di quattro tribù territoriali in sostituzione alle altiche tribù romulee, a base gentilizia, rispecchia l’evoluzione della società romana: le nuove ripartizioni corrispondono alle regioni in cui Servio Tullio divise la città, che ormai era stata definitivamente unificata. L’Esquilino, e forse il Celio, entrarono a far parte di questa grande Roma che dovette munirsi di mura, dette serviane. 15.Tradizione Orale e Storiografica Il ruolo della tradizione orale, oggi, gode di maggior credito nell’elaborazione storiografica. Ma la tradizione orale pone una serie di questioni: (1) chi trasmette, che cosa viene trasmesso e per quale scopo; (2) quanto è passato dalla tradizione orale, tramite un filtro selezionatore, nella tradizione storica. Le tradizioni orali variano a seconda degli usi e dell’ambiente sociale che le conserva, le elabora e le trasmette: le tradizioni gentilizie sono molto differenti da quelle appartenenti agli strati popolari. A loro volta formule, materiali giuridici e contenuti legislativi hanno avuto un loro impiego e una vita indipendente estranea alla tradizione storica vera e propria. Un buon numero di dati relativi a eventi storici deve essere stato trasmesso nell’ambito delle famiglie nobili; essi sono riconducibili alla lista dei consoli e quindi a una cronologia abbastanza sicura → un limite alla possibile falsificazione era costituito dal controllo del gruppo sociale. Il nocciolo del problema riguarda il modo in cui è stata operata la selezione del materiale trasmesso. A Roma la letteratura, la storiografia e il dramma ebbero origine nella seconda metà del III secolo a.C. Ma naturalmente non si deve pensare che quello che precedeva fosse semplicemente un indistinto confuso → i Romani non possono non aver riflettuto anche in precedenza sulle origini della loro comunità. Qualcosa si può inferire dunque da quanto ci dicono le fonti scritte successive. Per quanto problematica sia la cosa, la natura dell’oralità in Roma arcaica non è del tutto fuori dall’ambito della congettura razionale. Il fondatore della moderna storiografia su Roma arcaica Niebuhr, all’inizio del XIX secolo, elaborò una teoria: le leggende e le tradizioni di Roma arcaica sarebbero state create nei canti recitati ai banchetti, i carmina convivialia. Questi carmina erano noti a Catone nel II secolo → è dunque ipotizzabile l’esistenza di un corpus di poesia eroica tradizionale che sarebbe andato perduto successivamente. Tale teoria è stata respinta forse frettolosamente. Questo è uno dei casi in cui la prova archeologica ha il suo grande peso. Noi ora sappiamo che nel VII e anche nell’VIII secolo a.C. l’uso del simposio aristocratico era stato adottato dalle élite locali del Lazio e dell’Etruria. Appare dunque possibile che i canti di tali banchetti possano avere contribuito a creare la memoria comune del gruppo. → ciò non avvalora la tesi di Niebuhr perché non si tratta di un corpus elaborato e inoltre perché tali canti riguardavano un elite ristretta. Il problema che si è imposto negli ultimi tempi alla riflessione degli storici moderni sembra riguardare l’anello di congiunzione mancante tra la fase favolistica e quella compiutamente storiografica. Peter Wiseman ha avanzato un’ipotesi: secondo lui all’atto degno di memoria di unn personaggio seguiva la celebrazione del suo successo attraverso pubblici onori. Tale episodio poi veniva ulteriormente tramandato su due piani: per il pubblico colto attraverso la rielaborazione nei carmina; e per la massa di illetterati, tramite ballate di cantastorie itineranti. 16.Un Esempio di Elaborazione Storiografica: Servio Tullio C’è un esempio di elaborazione storiografica che si presta bene come esempio: la figura di Servio Tullio. Questo sovrano opera tali trasformazioni nella città da poter essere considerato un riformatore. Da una parte abbiamo un racconto che appare contenere una base folkloristica: le origini di Servio Tullio sono avvolte nell’incertezza, ma nella tradizione non si nasconde l’illegalità alla base della sua presa di potere. Un evento prodigioso lo segnala come predestinato a una sorte fuori dal comune (aneddoto del fuoco che non lo brucia) + tutta la storia rocambolesca della sua ascesa al potere che abbiamo già visto. Su questa favolistica si innesta l’azione politica di Servio Tullio con le sue riforme istituzionali. Ma questa doveva avere poco rilievo nella tradizione originaria. Una serie di associazioni di idee e automatismi contribuirono a valorizzare, nella memoria collettiva, tutto quello che nella figura e nell’opera di tale sovrano fosse funzionale a far riconoscere in lui un re votato a esigenze di giustizia sociale e impegno nella difesa della gente modesta. Quanto alle riforme istituzionali di Servio Tullio va ricordato che quello che per noi è ovvio, e cioè che l’organizzazione politico-istituzionale romana si è andata formando e strutturando nel tempo, non lo era nella prospettiva delle nostre fonti. Di tale strutturazione nel tempo si deve tenere conto quando si leggono storici tardi, che presuppongono l’esistenza di una ‘statalità’ romana sin dalle origini. La ricostruzione del passato istituzionale va quindi letta alla luce degli interessi politici contingenti, cosa che implica un filtro nella ricostruzione storica. Nella tradizione si realizza un caratteristico meccanismo di amplificazione rispetto a un nucleo primitivo. L’organizzazione centuriata, che implicava la valutazione economica della popolazione, poneva Servio in stretto rapporto con la moneta che di tale valutazione era alla base. Tale operazione è descritta con abbondanza di particolari nella storiografia perché era essenziale per definire quella diversità tra i cittadini e distinguerli così secondo gli ordini definiti dal livello di ricchezza → essa segnava la fine della parità caratteristica dei comizi curiati voluta da Romolo che aveva dato il voto a testa a tutti con la stessa forza. Non si tratta solo di amplificazioni narrative → possiamo rintracciarne altre che facevano di Servio l’ideatore di molteplici usi collegati con la moneta. Tale meccanismo di amplificazione opera anche in altri ambiti: A Servio una tradizione unanime attribuisce una serie di misure relative all’assetto territoriale e amministrativo di Roma. Secondo tale tradizione Servio creò le tribù territoriali in cui i cittadini erano iscritti sulla base del loro effettivo domicilio. Era automatico che al sovrano che aveva riorganizzato il territorio si attribuisse la creazione delle feste religiose che competevano alle sue nuove componenti → per esempio con l’istituzione dei distretti territoriali, i pagi, si attribuiva anche quella delle loro feste, i Paganalia. 17.La Famiglia La prima forma di aggregazione è l’organizzazione familiare. La nozione di famiglia romana è molto più ampia di quella che intendiamo oggi (nucleare). A Roma facevano parte di una medesima famiglia tutti coloro che ricadevano sotto l’autorità del paterfamilias. Si può dire che il vincolo di fondo della famiglia romana non fosse rappresentato dai legami contratti con matrimonio, ma piuttosto dal potere esercitato dal indoeuropea in una notevole serie di episodi come la vicenda del ratto delle Sabine che rimanda a un racconto della mitologia scandinava. Anche nella teologia sarebbe rimasto lo schema indoeuropeo: associazione del dio della prima funzione (Giove) a due divinità minori, Terminus (divinità che tutela i confini, seconda funzione) e Iuventus (dio della giovinezza-terza funzione) → qui vi è un parallelo con la religione indo-iranica. Quanto a Servio Tullio, Dumezil lo accosta a un mitico sovrano indiano, soprattutto per quanto riguarda le modalità di acquisizione della regalità e l’opera di organizzazione del censo. 22.La Scoperta del Lapis Niger La storia di Roma arcaica ha fatto ampio uso dell’archeologia come abbiamo già visto per la dedica a Valerio Publicola. Tutte queste scoperte hanno riaperto la questione dell’attendibilità della tradizione storiografica su Roma arcaica. Una stagione di scavi nel XIX secolo nel Foro per opera di Giacomo Boni. Nell’angolo settentrionale del Foro fu scoperta una pavimentazione in marmo nero distinta dal resto della pavimentazione. La scoperta fu subito associata a una fonte letteraria che allude a una pietra nera nel Comizio che contrassegnava un luogo funesto, forse la tomba di Romolo. Al si sotto del pavimento fu scoperto un complesso monumentale arcaico, comprendente una piattaforma sulla quale sorgeva un altare, lì vi era un’iscrizione in Latino arcaico che tratta di una dedica a un re. Il re in questione doveva essere un monarca quindi si tratta di un’età molto arcaica. Quando anche si trattasse davvero del luogo di culto di Romolo, la cosa non deve essere intesa come la prova dell’esistenza storica del primo re di Roma, ma semplicemente dell’antichità della tradizione che ne faceva il fondatore della città. 21.Le Origini di Roma secondo un Imperatore Romano L’imperatore Claudio, nel 48 d.C. tiene un discorso in senato a favore dell’ammissione nell’assemblea di alcuni illustri rappresentanti della provincia della Gallia Comata. Per dimostrare la tradizionale apertura di Roma nei confronti degli stranieri egli prende spunto dalle vicende delle origini della città. Tale testo fu inciso su una tavola di bronzo ma si ritrova anche trascritto negli Annali di Tacito. In tale discorso Claudio allude alla storia di Numa Pompilio che era straniero venendo dalla vicina Sabina; cita anche Tarquinio Prisco che ottenne il regno emigrato a Roma; o Servio Tullio nato da una schiava e originario dell’Etruria. 22.La Grande Roma dei Tarquini Nella ricostruzione degli storici antichi il quadro politico del Lazio appare, nel momento dell’avvento dei Tarquini, condizionato dall’espansionismo romano. Già nel VII secolo Tullio Ostilio, distrutta Alba Longa, avrebbe fatto passare sotto il controllo diretto di Roma tutta la fascia compresa tra Roma e il mare. Tali conquiste aprirono la via al prezioso possesso delle saline che si trovavano nella foce del Tevere. Il controllo di Roma sul fiume appare suggellato con la costruzione di un ponte in legno a valle dell’isola Tiberina. Il secolo che intercorre tra l’ascesa al potere di Tarquinio Prisco e la cacciata di Tarquinio il Superbo, con le conseguenze che interessarono l’organizzazione e l’assetto urbano delle comunità insediate nel Lazio, ha riscontro in un documento eccezionale risalente al 508 a.C. che lo storico Polibio asserisce di aver visto nell’archivio pubblico di Roma. In tale testo vi è prova del primo trattato tra Roma e Cartagine secondo cui Cartagine non dovevano molestare alcuna città latina soggetta a Roma, con la promessa della restituzione delle possibili città conquistate dai cartaginesi. Da tale testo si deduce la crescita dell’importanza della potenza romana: già Roma in questo periodo è la città più estesa del Lazio. Nel Lazio arcaico in tale periodo è accertabile un’idubbia omogeneità culturale. Anche se il ruolo prevalente di Roma è indiscutibile, è significativo come ciascun centro continui a preservare la propria identità specifica, con autonome capacità di ricezione di influenze estere. Si deve aggiungere che recenti indagini sul territorio hanno accertato che nelle aree sotto il diretto controllo di roma si registra una densità abitativa che sarà eguagliata solo diversi secoli dopo, nella prima età imperiale. PARTE SECONDA: LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI CAPITOLO 1: LA NASCITA DELLA REPUBBLICA 1.La Tradizione Storiografica sulla Nascita della Repubblica La storiografia antica sulla nascita della Repubblica (rappresentata da Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso) ci presenta un quadro chiaro: Sesto Tarquinio, figlio del re, stupra l’aristocratica Lucrezia che prima di morire informa il padre, Spurio Lucrezio, il marito, Lucio Tarquinio Collatino e i loro amici, Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio Publicola. Così scoppia una rivolta guidata da questi personaggi che porta alla sconfitta di Tarquinio il superbo che era impegnato in campagne militari ad Ardea. Nel 509 a.C. si passa allora alla Repubblica con l’elezione di due magistrati, uno dei quali è proprio Bruto. gli storici hanno sottoposto a dura critica la tradizione sulla fine della monarchia e l’inizio della repubblica anche perché le fonti hanno scritto secoli dopo gli avvenimenti. Gli studiosi si sono concentrati sulle ragioni della caduta della monarchia e i caratteri del passaggio al regime repubblicano, la datazione dell’evento e sulla natura dei supremi magistrati della prima Repubblica. Si tratta di un problema politico e istituzionale e per questo i rinvenimenti archeologici forniscono solo in misura limitata un aiuto. Gli studiosi allora si sono soffermati sulle liste dei supremi magistrati della Repubblica dalla cui credibilità dipendono le soluzioni che si sono date ai molti interrogativi su questa fase della storia di Roma. 2. I Fasti I Fasti sono liste di magistrati eponimi, di quei magistrati che davano il nome all’anno in corso. Essi ci sonno giunti attraverso la tradizione letteraria e attraverso documenti epigrafici. I più importanti sono i fasti Capitolini in cui trova riflesso una cronologia elaborata negli ultimi anni della Repubblica dall’erudito Marco Terenzio Varrone che fissava la fondazione di Roma al 753 a.C. e la nascita della Repubblica nel 509 a.C. La cronologia di Varrone porta degli sfasamenti rispetto ad altre cronologie per gli avvenimenti del V-IV secolo a.C. Nonostante questi scarti che notiamo anche con la cronologia di Polibio, riguardo la datazione del sacco gallico di Roma, le datazioni verroniane assunsero anche nell’antichità lo statuto canonico e vengono adottate anche dagli studiosi moderni per questione di praticità (del periodo Repubblicano si intende). Vi sono dubbi sull’attendibilità delle liste dei magistrati, almeno per la fase più antica, dovuti a incongruenze tra i vari fasti, all’inserimento di alcuni anni di anarchia o nei quali non vi furono magistrati ma un dittatore e soprattutto dovuti al fatto che nel V secolo compaiono nomi di consoli non appartenenti alle gentes patrizie ma plebee. Per quanto riguarda i dubbi sollevati da quest’ultima questione si sono date varie risposte: (1) a Roma esistevano gentes omonime una patrizia, l’altra plebea: si potrebbe dunque pensare che i consoli della prima fase della Repubblica appartenessero a un ramo patrizio poi estintosi; (2) altri studiosi ipotizzano che nella prima fase della Repubblica il confine tra patrizi e plebei non fosse ancora stato delineato con nettezza; (3) altri ancora sostengono che il patriziato sia riuscito a stabilire il proprio monopolio sulla massima magistratura solo verso la metà del V secolo a.C. 3. La Fine della Monarchia e la Creazione della Repubblica: Evento Traumatico o Passaggio Graduale? La storia della violenza a Lucrezia anche se fosse vera non spiega i motivi profondi della caduta del regime monarchico. L’odio feroce che l’aristocrazia ha riservato alla monarchia durante tutta l’età Repubblicana fa pensare che il passaggio da un regime all’altro non sia stato graduale ma frutto di una rivoluzione. Ciò non significa che alla caduta dei Tarquini si sia immediatamente stabilito un regime Repubblicano nelle forme che appaiono canoniche nella tradizione storiografica. Dopo la caduta della monarchia ci deve essere stato un momento di confusione in cui Roma sarà stata in balia di re e condottieri come Porsenna di Chiusi o come Mastarna e i fratelli Vibenna. La sconfitta inflitta da Latini e dal loro alleato Aristodemo di Cuma ad Arrunte, figlio di Porsenna, presso la città di Aricia, che la tradizione colloca poco dopo la cacciata dei Tarquini a Roma, assestò un duro colpo all’influenza politica degli Etruschi sul Lazio → fu probabilmente grazie a questo evento che Roma ebbe occasione di dare sviluppo alle sue nuove istituzioni repubblicane al riparo dalle velleità di egemonia etrusca. 4.La Data della Creazione della Repubblica gli antichi avevano fissato una coincidenza cronologica curiosa tra Roma e Atene: il 510 a.C. era anche l’anno in cui il tiranno Ippia era stato cacciato da Atene → il sospetto è che la cronologia della caduta di Tarquinio il superbo sia stata adattata per creare tale parallelismo con le vicende greche. Per tale ragione vari studiosi hanno posto l’inizio della Repubblica intorno al 470-450 a.C. quando la documentazione archeologica dimostra che vi è un’interruzione dei contatti culturali con l’Etruria che, in tale prospettiva, sarebbe da ricollegare con la cacciata dei Tarquini. Alcuni elementi, tuttavia, inducono a pensare che la cronologia tradizionale sia più vicina alla verità → infatti Livio ricorda una cerimonia secondo cui il massimo magistrato della Repubblica dovesse infiggere un chiodo nel tempio di Giove Capitolino ogni anno alle idi di settembre. Tale tempio era stato inaugurato nel primo anno della Repubblica quindi contando il numero di chiodi infissi gli antichi potevano avere un’idea precisa della datazione. Tale conta, fatta forse da Cneo Flavio ci riporta alla data 508 a.C. come data di nascita della Repubblica. Un secondo argomento a favore della datazione tradizionale ci viene dalla documentazione archeologica: l’edificio della Regia nel foro romano presenta, nel VI secolo a.C. una pianta riconducibile ad un edificio templare e non regale: in altre parole, proprio in tale periodo la regia sarebbe divenuta la sede del rex sacrorum, il sacerdote che aveva ereditato alcune competenze religiose dal monarca. 5.I Supremi Magistrati della Repubblica, i loro Poteri e i loro Limiti La tradizione storiografica antica afferma che i poteri un tempo appartenuti al re sarebbero passati immediatamente a due consules o meglio praetores come si sarebbero inizialmente chiamati i massimi magistrati della Repubblica. Eletti dai comizi centuriati ai consoli spettava il comando militare, il mantenimento dell’ordine della città, l’esercizio della giurisdizione civile e criminale, il potere di convocare il senato e le assemblee popolari, la cura del censimento e la compilazione delle liste dei senatori. Alcune delle competenze religiose sarebbero invece passate al rex sacerorum (nel nome il ricordo dell’istituto monarchico) che non poteva rivestire cariche di natura politica. Al rex sacrorum ben presto vennero affiancati altri sacerdozi di maggior peso politico come i pontefici e gli àuguri. Nella sfera religiosa rimase competenza dei consoli il controllo degli auspici (interpretare la volontà divina) I consoli avevano comunque delle limitazioni: la durata della carica (un anno), il fatto che erano in due con stessi poteri, la possibilità per ogni cittadino di appellarsi al giudizio dell’assemblea popolare contro le condanne capitali inflitte dal console (provocatio ad populum. Tale diritto però non ebbe valore, fino all’età tardorepubblicana, contro i poteri dei consoli al di fuori del limite della città costituito dal pomerio, né contro l’autorità di una dittatura. Alcuni studiosi ritengono che almeno in una prima fase, i poteri del re erano stati trasferiti a un solo magistrato; solo all’indomani del Decemvirato del 450 a.C. o addirittura delle leggi Licine Sestie (367 a.C.) sarebbe stata creata la magistratura collegiale del consolato, con due magistrati con pari poteri. L’argomento a favore di tale teoria avviene dalla già citata cerimonia dell’infissione dei chiodi ogni anno al tempio di Giove Capitolino a opera del Praetor maximus. Nella formulazione della cerimonia si parla infatti del praetor maximus al singolare, dal punto di vista grammaticale. È tuttavia possibile che il singolare sia stato usato al posto del plurale, un uso che è attestato nella lingua giuridica romana, e che dunque l’espressione possa indicare uno dei due magistrati superiori dotati di eguali poteri. 6.Le altre Magistrature Successivamente furono create altre magistrature che sollevarono i consoli da alcune funzioni: -Questori: originariamente in numero di due, assistevano i consoli nell’ambito delle attività finanziarie. In un primo tempo erano probabilmente designati daqi consoli, successivamente divenne una carica elettiva. -Quaestrores Parricidii: incaricati di istituire processi per i delitti di sangue che coinvolgessero parenti -Duoviri Perduallionis: si occupavano del reato di alto tradimento. -Censori: Nel 443 a.C. il compito di tenere il censimento passò dai consoli a due censori. Successivamente ai censori fu anche affidato il compito di redazione delle liste dei membri del senato. E da questa competenza si sviluppò anche la funzione di supervisione sulla condotta morale dei cittadini, la cura morum. I censori venivano eletti ogni 5 anni e la loro carica durava 18 mesi. 7.La Dittatura In caso di necessità i poteri della repubblica venivano affidati a un dittatore (magister populi, il primo nome che ebbe questa istituzione). Il dictator veniva eletto su istruzione del senato da parte di un console o un interrex o da un pretore. Il dittatore era assistito da un magister equitum eletto da lui; contro il volere del dictator non valeva l’opposizione del veto da parte dei tribuni della plebe, né l’appello al popolo. La durata della carica era di 6 mesi massimo anche se ci si aspettava che il personaggio abbandonasse la carica nel momento in cui la crisi fosse stata scongiurata. L’originario titolo di Magister populi (comandante dell’esercito) ci fa pensare, insieme al fatto che, nella maggior parte degli scontri della prima fase della Repubblica, gli eserciti erano comandati da un dittatore, La crisi economica è dimostrata da prove archeologiche: il numero delle ceramiche greche che arrivavano per via commerciale si contrasse drasticamente nella prima metà del V secolo a.C. Il problema economico è evidente anche nella tradizione letteraria nella quale la crisi provocata dal progressivo indebitamento di ampi strati della popolazione ha un ruolo centrale nella lotta tra patrizi e plebei. Infatti gli effetti dei cattivi raccolti colpivano i piccoli agricoltori che spesso erano costretti a indebitarsi con i ricchi proprietari terrieri → molto spesso il debitore incapace di assolvere al debito si metteva al servizio del creditore riducendosi in condizioni simili alla schiavitù (istituto del nexum) + invece del nexum il debitore poteva addirittura essere venduto dal creditore in terra straniera o messo a morte. Davanti alla crisi economica le richieste della plebe concernevano una mitigazione delle norme sui debiti, riguardanti il tasso massimo di interesse richiedibile e la condizione dei debitori insolventi, e una più equa distribuzione dei terreni di proprietà dello Stato, l’ager publicus. Il Problema Politico -Gli strati più ricchi della plebe avevano richieste più politiche che economiche. Essi rivendicavano una parificazione dei diritti politici tra i due ordini, il patriziato infatti deteneva il monopolio della massima magistratura. -Un’altra rivendicazione politica era quella di un codice scritto di leggi che ponesse i cittadini al riparo dall’arbitrio giuridico esercitato dai patrizi che detenevano il controllo del potere giuridico. I patrizi del collegio dei pontefici. La Coscienza della Plebe Nella città antica l’esercizio dei diritti civici da parte del singolo è direttamente connesso alle sue capacità di difendere lo Stato con le armi. A Roma tale circostanza è provata dall’ordinamento centuriato: le centurie, infatti, non furono solo unità di voto nell’assemblea, ma rimasero anche unità di reclutamento dell’esercito per tutta la prima età repubblicana. Ciascuna centuria doveva fornire il medesimo numero di reclute per l’esercito; dunque, le centurie delle prime classi dovevano sopportare il peso più consistente delle guerre: se le 18 centurie degli equites e le 80 della prima classe costituivano da sole una maggioranza politica, le stesse 98 centurie pagavano il tributo di sangue maggiore. Dato questo strettissimo rapporto tra ordinamento politico e militare è del tutto ovvio che la presa di coscienza della plebe fosse il risultato di un mutamento della struttura dell’esercito: nel V secolo si afferma, infatti un nuovo modello tattico, l’ordinamento oplitico-falangitico che eclissa il modello di combattimento arristocratico fondato su una cavalleria di nobili seguiti da una turba di clienti con armamento leggero. Il nerbo dell’esercito sarà da ora costituito dalla fanteria pesante reclutata tra le classi di censo in grado di sostenere i costi dell’armamento oplitico, probabilmente le prime tre classi di censo. Quindi la legione era reclutata su base censitaria, indifferentemente tra patrizi e plebei. Nelle guerre vittoriose del V e del IV secolo a.C. si risalda la convinzione che gli uomini decisivi sul campo di battaglia non potessero essere ridotti a un ruolo di comprimari nella vita politica, economica e sociale dello stato. La Prima Secessione e il Tribuno della Plebe Nel 494 a.C. si apre il conflitto tra patrizi e plebei. La plebe, esasperata dalla crisi, ricorre all’arma che si rivelerà efficace per tutto il conflitto: una sorta di sciopero generale che lascia la città priva di forza lavoro e priva di difesa militare. Tale proposta venne attuata dalla plebe che si ritirò nell’Aventino e prese il nome di secessione. La plebe nella prima secessione si diede i propri organismi: un’assemblea generale che dapprima votava probabilmente per curie, e successivamente, nel 471 a.C. per tribù, nota come concilia plebis tribuna. Il meccanismo di voto assicurava la prevalenza dei proprietari terrieri iscritti nelle più numerose tribù rustiche. L’assemblea emanava provvedimenti detti plebiscita che non avevano valore vincolante per tutto lo stato, ma solo per la plebe stessa che li aveva votati2. Vennero poi scelti come rappresentanti dell’assemblea i tribuni della plebe (prima forse in numero di 2 e poi raggiunsero il numero di 10). Il nome dei capi dell’assemblea derivava dai tribuni militari che comandavano i reparti in cui era suddivisa la legione. La plebe decise di riconoscere ai tribuni vari poteri e funzioni: 2 Il cammino per l’assimilazione dei plebisciti alle leggi di Stato è confuso nelle fonti: siamo certi che l’atto finale è rappresentato dalla legge Ortensia del 287 a.C. -il diritto di andare in soccorso di un cittadino contro l’azione di un magistrato, dal quale si sviluppò il potere di porre il veto a qualsiasi provvedimento di un magistrato che sembrasse andare a scapito della plebe. -La plebe inoltre accordò ai tribuni l’inviolabilità personale per proteggerli da un eventuale reazione da parte dello Stato → chi avesse osato fare violenza contro i tribuni della plebe sarebbe diventato sacer, inviso agli dèi: poteva essere messo a morte impunemente e le sue proprietà confiscate. Questo provvedimento estremo non fu mai messo in atto, bastava la minaccia (ci furono comunque provvedimenti attuati contro i reati che entravano nella categoria di offesa alla plebe e che prevedevano una sanzione pecuniaria). Nel corso della prima secessione vennero creati anche gli edili plebei che nella tarda Repubblica si occupavano dell’organizzazione dei giochi, della sorveglianza dei mercati, del controllo delle strade, i templi e gli edifici pubblici. Le loro funzioni originarie non ci sono note ma dal nome (aediles → tempio, casa) possiamo supporre che avessero a che fare con la custodia del tempio di Cerere Libero e Libera nel quale venivano conservate le somme delle multe inflitte agli offensori della plebe nonché copie dei plebisciti. È anche possibile che gli edili agissero anche come assistenti dei tribuni della plebe. La prima secessione approdò a un risultato unicamente politico: il riconoscimento da parte dei patrizi e dello Stato dell’organizzazione interna della plebe. Il problema dei debiti rimase irrisolto anche se si può presumere che i tribuni della plebe, grazie allo ius auxili, potessero intervenire in favore dei debitori insolventi. Nel 486 a.C il console Spurio Cassio cercò di approfittare della crisi economica e propose una legge per la redistribuzione delle terre per, forse, aspirare alla tirannide → fu eliminato3. Le vicende della prima secessione e del tentativo di S. Cassio mettono in luce due tratti caratteristici del conflitto tra patrizi e plebei: -La protesta nata per questioni economiche raggiunge un risultato politico → quindi il disagio economico della plebe potrebbe essere stato utilizzato dai plebei più ricchi per ottenere risultati politici. -Il fallimento di S. Cassio ci fa capire che la plebe non voleva giungere a una rivoluzione dell’assetto economico e istituzionale dello Stato, ma aspirava a una riforma all’interno dell’ordinamento vigente, che riservasse il giusto peso a tutte le componenti della cittadinanza. Il Decemvirato e le Leggi delle XII Tavole Strappando con la forza il riconoscimento, la plebe cominciò a spingere affinchè fosse redatto un codice di leggi scritto. Nel 451 a.C. venne nominata una commissione di 10 uomini (Decemvirato) scelti tra il patriziato incaricati di stendere un codice giuridico in forma scritta. Il nuovo collegio avrebbe assunto il controllo completo dello Stato assumendosi anche i poteri consolari, al fine di evitare che con i veti incrociati i consoli e i tribuni della plebe potessero paralizzare l’operato dei Decemviri. Nel corso del primo anno furono stilate un complesso di norme redatte su dieci tavole di legno esposte nel Foro. Rimanevano da trattare, però ancora dei punti e quindi venne eletta nel 450 a.C. una seconda commissione decemvirale che comprendeva anche i plebei → l’opera fu completata con due nuove tavole → ciò spiega il nome di “leggi delle XII Tavole”. Tra le disposizioni prese nel 450 a.C. vi fu anche quella gravissima che impediva il matrimonio misto tra patrizi e plebei. La commissione, con alla guida Appio Claudio, cercò di prorogare in modo indefinito i propri poteri assoluti, ma il tentativo si scontrò con l’opposizione della plebe e dei patrizi più moderati guidati da Marco Orazio e Lucio Valerio. Come ai tempi della monarchia la violenza di una giovane fa precipitare la situazione: Appio Claudio sembra aver insidiato Virginia, figlia di un valoroso centurione, provocando una seconda secessione, a seguito della quale i decemviri sono costretti a deporre i poteri. Il consolato viene ripristinato e i massimi magistrati del successivo anno, il 449 a.C. M. Orazio e L. Valerio, fanno approvare delle leggi in cui si riconosce l’apporto della plebe nella lotta contro il tentativo rivoluzionario del Decemvirato: vi si ribadisce l’inviolabilità dei tribuni della plebe, si proibisce la creazione di magistrature contro le quali non valesse il diritto di appello e si rendono i plebisciti dell’assemblea della plebe vincolanti per tutta la cittadinanza. Nel 445 a.C. viene abrogata la norma che proibiva i matrimoni misti in base a un plebiscito Canuleio che assunse forza di legge per tutta la cittadinanza. Questa versione delle drammatiche vicende del secondo anno del decemvirato non ha grande credibilità e le leggi Valerie Orazie del 449 a.C. sembrano essere la semplice anticipazione di provvedimenti posteriori. 3 Nella ricostruzione delle fonti la storia di Spurio Cassio sembra anticipare situazioni posteriori somigliando in modo sospetto alle proposte di riforma dei Gracchi. Per comprendere i caratteri dell’azione dei decemviri ci rimane soprattutto il contenuto delle leggi delle XII Tavole → i frammenti tramandati riguardano soprattutto la regolazione della sfera delle relazioni tra individui. Nelle leggi delle XII Tavole notiamo un influsso del diritto greco, questi elementi sono probabilmente venuti dai codici giuridici delle città greche dell’Italia meridionale e della Sicilia. Tribuni Militari con Poteri Consolari La reintegrazione dei matrimoni misti aveva come conseguenza il fatto di rimuovere l’obiezione che il patriziato aveva opposto all’accesso dei plebei al consolato (solo i patrizi potevano prendere gli auspici per accettare la volontà degli dei). A seguito del plebiscito Canuleio diventava difficile escludere un plebeo, nelle cui vene scorresse almeno un po' di sangue patrizio, dagli auspicia, e di conseguenza, dal consolato. Secondo la tradizione allora il patriziato ricorre a un’espediente: dal 444 a.C. ogni anno il Senato decide se alla testa dello Stato vi debbano essere due consoli, provenienti esclusivamente dal patriziato, oppure un certo numero di tribuni militari con poteri consolari che possono essere plebei ma che non hanno il potere di trarre gli auspici. Il nuovo ordinamento rimane in vigore fino al 367 a.C. Il quadro delineato dalle fonti appare insoddisfacente: infatti con questo espediente il patriziato perdeva comunque il controllo sulla massima magistratura. Inoltre difficilmente si riesce a comprendere per quale motivo il primo tribuno militare con poteri consolari di condizione plebea fosse stato eletto solo nel 400 a.C. se è vero che ci fu una forte pressione della plebe per avere accesso alla massima carica dello stato. Una delle risposte che si sono date a ciò è che tra il 444 e il 367 a.C. i consoli non siano stati sostituiti ma solo affiancati da tribuni consolari. Il tribunato militare doveva essere già nel V secolo a.C., già accessibile ai plebei: tuttavia di fatto i patrizi, fino al 401 a.C. riuscirono a riservare i poteri consolari unicamente ai tribuni militari4 provenienti dal loro ordine. A ogni modo nessuna riforma istituzionale poteva porre rimedio alla crisi economica e alla povertà della bassa plebe → Spurio Mario un ricco plebeo che nel 440 a.C. che distribuì a proprie spese un forte quantitativo di grano ai poveri, fu accusato di tirannide e quindi giustiziato. Le Leggi Licinie Sestie Il primo codice e l’istituzione della carica dei tribuni militari lasciò insolute le questioni economiche e politiche. La crisi si accelerò quando la minaccia gallica si allontanò da Roma. Nel 387 a.C. per rispondere alle carestie il territorio di Veio e di Capena, conquistato poco prima, venne diviso con la creazione di 4 nuove tribù territoriali. Ma la crisi economica non si alleviò e vi fu la vicenda di M. Manlio Capitolino, eroe contro i Galli, che propose una riduzione dei debiti e una nuova legge agraria, forse per prendere il potere in un regime personale → fu liquidato da un’unione di patrizi e plebei. → era chiaro che la risposta alla crisi non sarebbe venuta da un mutamento di regime. Qualche anno dopo il tentativo di Capitolino l’iniziativa passò di nuovo ai ricchi riformisti plebei Caio Licino Stelone e Lucio Sesto Laterano; il primo aveva anche l’alleanza di una ricca famiglia patrizia. I due proposero delle riforme sui debiti, sulla distribuzione delle terre statali e sull’accesso dei plebei al consolato. I patrizi resistettero riuscendo anche a guadagnarsi l’appoggio di qualche tribuno della plebe che poneva il veto alle proposte, ma i due riformisti non intendevano cedere. Dopo una fase di anarchia politica nel 367 a.C. il vecchio Marco Furio Camillo, eroe della guerra contro Veio e vendicatore del sacco gallico venne chiamato alla dittatura per risolvere la situazione. Così le proposte di Licinio e Sestio assunsero valore di legge (Leges Liciniae Sestiae): gli interessi che i debitori avevano già pagato sulle somme avute in prestito potevano essere detratti dal totale del capitale dovuto e il debito doveva essere estinguibile in 3 rate annuali, inoltre le leggi stabilivano la massima estensione di terreno di proprietà statale che poteva esser occupato da un privato. Infine le leggi sancivano l’abolizione del tribuno militare e la completa reintegrazione dei consoli, uno dei quali avrebbe dovuto essere sempre un plebeo: nella realtà dei fatti la legge non escludeva che entrambi i consoli potessero essere patrizi. Il compromesso raggiunto aprì le porte alla possibilità di precisare il quadro delle magistrature. Nel 366 a.C. vennero create due nuove cariche, inizialmente riservate solo ai patrizi (quasi un contentino per i patrizi): -il pretore che aveva il compito di amministrare la giustizia tra i cittadini romani e in caso di necessità poteva essere messo alla testa dell’esercito anche se rimaneva sottoposto ai consoli. 4 Comandanti militari dei reparti delle legioni dotati per l’occasione di poteri consolari. sarebbero giunti sulla costa Adriatica seguendo un picchio. Tra le popolazioni osco-sabelliche ricordiamo gli Apuli che si diressero verso Puglia; i Lucani e i Bruzzi che si diressero rispettivamente verso Basilicata e Calabria; e soprattutto i Sanniti che occuparono quasi tutte le vecchie città etrusche e greche della costa campana, dando origine a un nuovo popolo, i Campani. Le fonti riportano per il V secolo a.C.una serie interminabile di conflitti tra Roma e le popolazioni montanare, gli Equi e i Volsci. Ma più che campagne di guerra su vasta svala, si parla di scaramucce e razzie che videro scontrarsi pochi armati. (mappa pg 71) -Volsci: partendo da meridione è il primo popolo che si incontra. Tale popolazione, discesa dagli appennini alla fine del VI secolo, riuscì a occupare tutta la pianura Pontina e le città latine di Terracina, Circei, Anzio, Cora e Velletri. Insomma, tutta la parte meridionale del Lazio appartenuta in precedenza a Tarquinio il superbo. -Equi: Nell’area dei colli Albani l’avanzata dei Volsci si saldò con quella di un popolo con loro affine, gli Equi, i quali conquistarono la regione dei monti Prenestini e almeno due città Latine, Tivoli e Preneste e minacciarono la stessa Tuscolo. Roma con i suoi alleati riuscì a bloccare gli Equi sui colli Albani che furono teatro di un’importante vittoria contro gli eserciti coalizzati di Equi e Volsci nel 431 a.C. -Sabini: Ancora più a nord, minacciavano direttamente Roma. I processo di integrazione con Roma poteva essere una pacifica migrazione come quella già ricordata delle gens Claudia, ma anche quello di improvvisi attacchi come quello su Roma nel 460 a.C. dal sabino Appio Erdonio, sventato solo grazie all’intervento di un esercito di Tuscolo. Il Conflitto con Veio Roma si trovò da sola ad affrontare la città etrusca di Veio che si trovava a 15 km da Roma e che si litigava con Roma il controllo delle vie di comunicazione sul basso Tevere e sulle saline. Il contrasto attraversò tutto il V secolo e si concluse solo nell’inizio del IV secolo → ci furono tre guerre. -Nella prima guerra vinse Veio che occupò un avamposto sulla riva sinistra del Tevere (la riva latina): Fidene. Il tentativo di reazione di Roma finì in tragedia, con una grande sconfitta a Cremera. L’epopea di Cremera mostra l’ultimo e più chiaro esempio di una forma di guerra aristocratica che già allora stava per essere soppiantata da eserciti di opliti → a seguito della vittoria Veio occupò Fidene. -Nella seconda guerra i romani vendicarono la sconfitta: Aulo Cornelio Cosso uccise in duello il tiranno di Veio, Lars Tolumnio →Fidene venne conquistata e distrutta dai romani. -Nella terza guerra (405-396 a.C.) vi fu l’assedio di Veio che durò per 10 anni5. Alla fine, la città venne presa e distrutta. Veio soffrì della mancanza di alleanze tra le altre città etrusche, addirittura alcune si posero dalla parte di Roma come Cere; gli unici aiuti vennero dalle città di Capena e Falerii. La presa di Veio segnò una svolta per Roma: i soldati rimasero molto tempo lontani da casa a causa del lungo assedio di Veio e quindi fu necessario istituire uno stipendium e venne introdotta una tassa straordinaria, il tributum, per far fronte alle spese di guerra. Il tributum gravava in misura proporzionale sulle diverse classi dell’ordinamento censitario, a seconda della loro proprietà. Ogni centuria doveva versare la stessa somma: la tassazione colpiva dunque di più la classe più facoltosa che aveva più centurie. → non dobbiamo dimenticare però che la vittoria su Veio fruttò la conquista di un vasto e fertile territorio. L’Invasione Gallica Un evento improvviso e drammatico: la calata dei galli sulla città. Nei decenni precedenti diverse tribù galliche si erano insediate nell’Italia settentrionale, l’ultima tribù a entrare in Italia fu quella dei Senoni che si sarebbero stanziati nel territorio più meridionale corrispondente alla Romagna meridionale e alle Marche settentrionali. Nel 390 a.C. i Senoni attaccarono Roma probabilmente per compiere una razzia: il primo obiettivo fu la città etrusca di Chiusi e poi si diressero su Roma. L’esercito romano si dissolse al primo contatto avvenuto sull’Allia, un piccolo affluente del Tevere. Roma rimasta senza difese venne saccheggiata, poi i Galli scomparvero rapidamente in cerca di nuove imprese6. 5 Livio racconta questo evento con un confronto costante all’assedio di Troia durato anche esso 10 anni. Inoltre, Livio disegna la figura del conquistatore di Veio, Marco furio Camillo, in modo mistico: racconto di come Camillo avesse privato Veio della loro divinità principale, Giunone promettendo alla dea un culto a Roma. 6 La tradizione storiografica cerò di salvare l’onore di Roma parlando di una grande resistenza sul Campidoglio, difeso da Manlio Capitolino (che pochi anni più tardi avrebbe cercato di conquistare la tirannide con provvedimenti demagogici) che alla fine sarebbe riuscito a mettere in fuga i Galli. Altrettanto poco credibili sono i racconti di ingenti vite umane perse e dell’incendio a Roma. La Ripresa Una prova del fatto che il sacco gallico non ebbe conseguenze così gravi come la tradizione lascia intendere è il fatto che Roma si riprese repentinamente e ricominciò a espandersi a partire dal 390 a.C. Gli effetti della conquista e della distribuzione dei ricchi territori di Veio, organizzato nel 387 a.C. in quattro nuove tribù, si rivelarono più decisivi del sacco gallico. Negli stessi anni cominciarono le costruzioni delle mura serviane (vastissime → prova del fatto che Roma stesse diventando la città più importante dell’Italia centrale) che poi si rivelarono fondamentali per sventare ogni velleità di assedio da parte di Pirro e Annibale. L’atteggiamento di Roma è offensivo che trova il suo esecutore in Camillo → già pochi anni dopo il sacco gallico, gli Equi furono annientati. Più lunga fu la lotta contro i Volsci, che trovarono appoggio nei vecchi alleati di Roma, Ernici e alcune città latine, che cominciarono a soffrire l’egemonia di Roma. Nel 381 a.C. la città latina di Tuscolo fu annessa al territorio romano senza che la sua identità fosse cancellata: conservò le sue strutture di governo e la sua autonomia interna, ma ai suoi abitanti vennero assegnati gli stessi diritti e doveri dei cittadini romani → Tuscolo divenne il primo municipium (comunità indipendenti incorporate nello Stato Romano. Nel 358 a.C. I volsci furono costretti a cedere la piana Pontina, gli Ernici parte del loro territorio nella valle del fiume Sacco: in entrambi i territori furono insediati cittadini romani iscritti in due nuove tribù. Nel 354 a.C. cessò la resistenza delle potenti città latine di Tivoli e Preneste. Negli stessi anni anche gli etruschi di Tarquinia e Cere furono costretti a siglare una lunga tregua, insieme con il centro falisco di Falerii. I MOTORI DELL’ESPANSIONE I motori dell’espansione di Roma sono stati ricondotti a tre diverse tipologie interpretative del concetto di imperialismo: Imperialismo Difensivo Roma si è espansa in risposta a causali emergenze difensive, necessarie per mantenere la sicurezza. Questa visione è condizionata dall’impostazione stessa delle fonti romane con tutta la sua dottrina del bellum iustum: dichiarato in modo ritualmente ineccepibile secondo il diritto feziale. In particolare il bellum non poteva essere considerato iustum (e quindi privo del supporto divino), se il nemico a) non avesse compiuto per primo atti offensivi o oltraggiosi; b) non avesse avuto il tempo per le necessarie azioni riparatorie; c) in mancanza di esse, avesse ricevuto una formale dichiarazione di guerra, fatta secondo norma, con gli appropriati gesti e preghiere rituali. Nonostante ciò, è difficilmente negabile che le intenzioni di partenza di Roma abbiano avuto caratteristiche offensive e aggressive. Un altro argomento per sostenere tale tesi è che Roma era riluttante ad annettere i territori conquistati. Tuttavia tale argomento è strumentalizzato perché bisogna avere una buona conoscenza della concezione di città-stato per comprendere il reale motivo di tale riluttanza nell’annettere i territori conquistati: l’annessione avrebbe spesso messo in crisi la struttura e l’organizzazione politica interna e orientata, piuttosto, a costruire un sistema su cui fondare un’egemonia salda, senza gravarsi del peso della gestione diretta. “Roma Aggressore?”: “Nati per Essere Lupi?” Tesi della consapevole e meditata volontà espansionistica di Roma, basata su due aspetti strutturali tipici dei nuoci assetti sociali scaturiti dal conflitto patrizio-plebeo: l’accentuato militarismo della società romana e il connesso perseguimento di ampi benefici economici, che contribuivano ad attrarre la disponibilità di cittadini comuni e degli alleati di sottoporsi a un servizio militare che tendeva a essere sempre più assillante e continuato. 1.Fattori intrinseci alla città antica: aspettative e nuovo ethos sociale dei Romani di alto e basso status, naturalmente orientati verso il fare guerra regolarmente; un’aristocrazia romana che avrebbe maturato un’attitudine guerriera la quale trova corrispettivo nella fama e nel rango sociale 2.Fattori politici 3.Fattori economici e demografici: Tutti coloro che avevano influenza sulle decisioni politiche traevano profitti dallo stato endemico della guerra e dell’espansione dell’impero. Ne deriverebbe una visione unilaterale dell’espansione di Roma, definita secondo un piano preciso e preordinato. Anarchia Interstatale Multipolare La premessa è che tutti gli stati antichi siano stati bellicosi. Quindi non era solo Roma amante della guerra e dell’espansionismo ma tutte le realtà con cui Roma entrò in contatto dal 750 a.C. Su questo sfondo di relazioni internazionali di tipo primitivo, la capacità di Roma sarebbe stata quella della costruzione di un sistema di relazioni a formula multipla rivelatosi vincente rispetto a quelli messi in atto dalle altre potenze: Roma era capace di creare e gestire un’ampia rete di alleati e capace di coinvolgere numerosi stranieri nella sua politica. Queste caratteristiche procurarono a Roma risorse ingenti da mettere in campo e una forza salda e solidale su cui contare. Né scaturì quella che è chiamata “confederazione romano-italica”, un sistema in cui anche gli eserciti messi in campo da Roma erano costituiti per meno di un terzo da cittadini romani e per oltre due terzi da forze alleate. Tale tipo di analisi è utile soprattutto perché in esso sono stati impiegati principi teorici di politica internazionale: -E’ preferibile un’amicizia con la potenza politica più lontana, perché ritenuta meno incombente7. -Per stornare un pericolo vicino possono essere intrapresi atti diplomatici, a scapito di rapporti stipulati con un protettore lontano. Cioè per difendersi, si può venire a patti con gli attaccanti o con chi incombe, contravvenendo a un’alleanza con un alleato distante. Il Primo Confronto con i Sanniti La posizione di potere raggiunta da Roma nel Lazio meridionale trova espressione nel trattato concluso con i Sanniti nel 354 a.C. nel quale il confine venne stabilito al fiume Liri. I Sanniti occupavano un’area più vasta di quella romana: si estendeva lungo la catena appenninica centro- meridionale tra i fiume Sangro e Ofanto. Il territorio del Sannio era tuttavia relativamente povero e incapace di sostenere una forte crescita demografica: unico rimedio alle carestie era la migrazione verso terre più fertili. Sannio era organizzato in pagi, entro i quali si trovavano uno o più villaggi con un magistrato elettivo chiamato meddiss. Più pagi costituivano una tribù, chiamata touto in osco alla testa della quale si trovava un Meddiniss toutiks. Le quattro tribù dei Carricini, dei Pentri, dei Caudini e degli Irpini formavano la Lega sannitica che possedeva una sorta di assemblea federale e poteva nominare un comandante supremo in caso di guerra. Abbiamo visto come nel V secolo alcune popolazioni staccatesi dai Sanniti avessero occupato le ricche regioni costiere della Campania adottando l’organizzazione politica della città-stato. Alcune città-stato si riunirono nella prima metà del IV secolo nella lega Campana, che aveva il suo centro nella città di Capua. Nonostante le affinità etniche i contrasti politici tra Sanniti e Campani si vennero sempre più acuendo. La tensione sfociò in guerra nel 343 a.C. quando i Sanniti attaccarono la città di Teano che chiese aiuto a Capua che a sua volta chiese aiuto a Roma. La decisione di contravvenire al trattato del 354 a.C. sarebbe venuta, secondo Livio solo quando i Capuani decisero di consegnarsi totalmente a Roma mediante atto formale di deditio8. La prima guerra sannitica (343-341 a.C.) si risolse con un parziale successo dei romani che sconfissero il nemico a Capua. Tuttavia Roma subì una rivolta del suo esercito impegnato in Campania e quindi dovette concludere qui la guerra e acconsentì alle richieste di pace dei Sanniti nel 341 a.C.: il trattato rinnovava l’alleanza del 354 a.C. riconoscendo ai romani la Campania e ai Sanniti Teano. La Grande Guerra Latina L’accordo del 341 a.C. portò un sorprendente ribaltamento delle alleanze, costringendo Roma, sostenuta dai Sanniti, a fronteggiare i suoi vecchi alleati Latini, Campani e Sidicini a cui si aggiunsero i Volsci e gli Aurunci. I Campani e i Sidicini erano insoddisfatti per gli esiti della guerra sannitica, i Latini volevano distaccarsi dall’egemonia di Roma; i Volsci volevano riprendersi una rivincita; gli Aurunci si vedevano accerchiati dalla crescente potenza romana. Il conflitto fu durissimo ma alla fine vinsero i romani e gli esiti della guerra furono decisivi per l’organizzazione di quella che si avviava a diventare l’Italia Romana. Eccone il quadro: -La lega Latina venne disciolta: alcune città che ne avevano fatto parte furono incorporate allo Stato romano in qualità di municipi. -Altre mantennero l’autonomia formale e i consueti diritti di connubium, commercium e migratio con Roma, ma non potevano più avere rapporti tra di loro. -Alle vecchie città latine si aggiunsero le nuove colonie latine fondate da Roma e composte sia da cittadini romani che alleati: costoro una volta insediati perdevano la vecchia cittadinanza e abbracciavano quella nuova, insieme ai diritti che avevano caratterizzato i rapporti fra Roma e le città latine. Lo status di Latino perse dunque il suo significato etnico e venne a designare una condizione giuridica in rapporto con i cittadini romani. Latini vecchi e nuovi dovevano fornire uomini in caso di 7 Esempio di Capua che nel 343 a.C. richiede aiuto ai romani. I Capuani non consideravano Roma meno pericolosa dei Sanniti ma sicuramente meno incombente. Nell’iniziativa di Capua possiamo anche vedere la nozione di “impero su invito”, cioè la sollecitazione rivolta a terzi a esercitare un’egemonia non implicitamente scontata. 8 È più probabile che a Roma si giudicasse imperdibile l’occasione di impadronirsi della regione più ricca e fertile di Italia e di non lasciarla ai Sanniti. Nel 280 a.C. Pirro sbarcò in Italia con un esercito di 20.000 uomini, 3000 cavalieri e 20 elefanti oltre alle truppe alleate di Taranto e delle altre città che Pirro sperava di portare dalla sua parte. Per affrontare questa forza Roma si vide costretta ad arruolare per la prima volta i capite censi, i nullatenenti fino ad allora esenti da servizio militare. I romani subirono una terribile sconfitta a Eraclea, in Lucania, dovuta all’abilità tattica di Pirro e alla paura esercitata dagli elefanti: la battaglia, tuttavia, costò grandi perdite anche all’esercito epirota. In seguito alla sconfitta le città greche, i Lucani e i Bruzi si schierarono con Pirro, seguiti dai Sanniti. Tuttavia il tentativo di Pirro di suscitare una ribellione tra gli alleati di Roma in Italia centrale, e di collegarsi con gli Etruschi fallì; inoltre l’esercito epirota era insufficiente per assediare Roma, ben difesa dalle mura → Per tale motivo Pirro cercò di intavolare trattative di pace, chiedeva: la libertà e autonomia delle città greche in Italia meridionale e la restituzione dei territori strappati a Lucani, Bruzi e Sanniti → delle richieste molto due che furono prese in considerazione a Roma, ma alla fine rifiutate grazie all’intervento in Senato di Appio Claudio Cieco. Pirro allora, dopo aver rafforzato l’esercito con mercenari, mosse verso l’Apulia settentrionale minacciando le colonie latine di Venosa e Luceria. Lo scontro venne ad Ascoli Satriano, selle rive del fiume Ofanto, nel 279 a.C. → ancora una volta vinse Pirro. Nonostante Pirro avesse vinto due importanti battaglie Roma non cedeva, forte delle sue mura e dell’immenso potenziale umano fornito dai Latini e dagli altri alleati dell’Italia centrale. Invece i rapporti tra Pirro e i suoi alleati in Italia meridionale cominciavano a deteriorarsi soprattutto a causa delle pesanti richieste finanziarie per mantenere l’esercito di mercenari. Così Pirro decide di scendere a Siracusa rispondendo alla sua domanda di aiuto contro i cartaginesi. Pirro ritenne che il possesso della ricca Sicilia avrebbe accresciuto la sua potenza, consentendogli di dare una svolta contro Roma; d’altra parte, se avesse rifiutato di accorrere in aiuto di Siracusa, tutta la sua costruzione propagandistica sarebbe crollata. La posizione del re epirota era però fragile perché Roma e Cartagine si erano alleate contro il comune nemico. In Sicilia Pirro costrinse i Cartaginesi a chiudersi a Lilibeo, all’estremità occidentale dell’isola: l’assedio di tale fortezza fu, tuttavia, infruttuoso perché essa era rifornibile dal mare. Pirro pensò di invadere l’Africa ma tale progetto non si realizzò perché Pirro non godeva più dell’appoggio dei suoi alleati, alcuni passarono addirittura dalla parte di Cartagine. In Italia, Roma approfittò dell’assenza di Pirro riconquistando posizioni su posizioni. Allora Pirro tornò in Italia subendo gravi perdite nella traversata a opera della flotta cartaginese. Lo scontro decisivo con l’esercito romano con a capo il console Mario Curio dentato, avvenne nel 275 a.C. vicino dove, qualche anno più tardi, sarebbe stata fondata la colonia di Benevento: le truppe di Pirro furono, questa volta, messe in fuga. Pirro capì la sconfitta, lasciò una guarnigione a Taranto e fece ritorno in Epiro. Pirro morì nel 272 a.C. in una scaramuccia per le vie di Argo. In quello stesso anno Taranto si arrese, entrando nel novero dei socii di Roma. CAPITOLO 4: LA CONQUISTA DEL MEDITERRANEO La Prima Guerra Punica Nel 264 a.C. Roma ormai controllava tutta l’Italia peninsulare, fino allo stretto di Messina → qui gli interessi di Roma entrano per la prima volta in conflitto con Cartagine. Questione dei Mamertini: Mercenari di origine italica che dopo essere stati congedati dal re di Siracusa, Agatocle, si erano impadroniti con la forza di Messina e compivano razzie nelle altre città. Ierone generale di Siracusa allora sconfisse i Mamertini e andò verso Messina. I Mamertini accolsero l’offerta di aiuto dei Cartaginesi e Ierone fu costretto a fare ritorno a Siracusa dove poi fu eletto re. Tuttavia i Mamertini si staccarono presto dalla protezione cartaginese e si rivolsero a Roma. A Roma iniziò un dibattito, sull’intervenire o meno, che verteva su due questioni: -Sarebbero stati incoerenti se avessero aiutato i Mamertini dal momento che pochi anni prima avevano sventato gli attacchi di soldati campani che, nello stesso modo dei Mamertini, avevano cercato di impadronirsi del governo di Reggio; -Nessuno poteva illudersi che l’aiuto offerto ai Mamertini avrebbe creato un conflitto con la potente Cartagine. Cartagine: Cartagine era al centro di un vasto impero che si estendeva dall’Africa settentrionale alle coste della Spagna meridionale, dalla Sardegna alla parte occidentale della Sicilia. Grazie ai suoi mezzi finanziari poteva mettere in campo grandi eserciti, forniti dalle popolazioni soggette e composti anche da mercenari, e un’enorme flotta. Situazione diplomatica con Roma: Non sappiamo se l’intervento in Sicilia di Roma avesse rappresentato una palese violazione dei trattati tra le due potenze. Il dibattito degli studiosi ruota intorno all’autenticità del cosiddetto trattato di Filino. Tale presunto trattato ricordato dallo storico greco Filino (filocartaginese) divideva le sfere di influenze tra Cartagine e Roma (Sicilia di Cartagine → penisola italiana di Roma). Tuttavia, Polibio afferma di non aver trovato traccia di tale trattato negli archivi. Anche se questo trattato probabilmente non esisteva nei precisi termini con cui ne parla Filino, probabilmente esisteva un qualche tipo di accordo a riguardo tra Roma e Cartagine. Ciò è presumibile perché l’apparizione di una flotta punica di fronte le coste di Taranto nel 272 a.C. costituì, secondo le fonti romane, una violazione dei patti. Molte ragioni, dunque, consigliavano di mantenere la pace; tuttavia, ignorare i Mamertini significava lasciare a Cartagine una zona strategica e privarsi della possibilità di impossessarsi della ricca Sicilia. Secondo Polibio furono queste ragioni economiche che avrebbero indotto l’assemblea popolare a vota per l’invio di un esercito. -I primi due anni dii guerra furono decisivi: i Romani respinsero da Messina Cartaginesi e Siracusani che intanto si erano alleati contro il comune nemico. Tuttavia, Ierone era spaventato da questa innaturale alleanza con i cartaginesi e così siglò una pace con Roma e si alleò con essa. Ierone fu fondamentale per garantire i rifornimenti agli eserciti romani, questo aiuto fu fondamentale per garantire la presa di Agrigento del 262 a.C. -Tuttavia Cartagine conservava un vasto controllo sui mari grazie alla sua flotta che gli garantiva la stabilità delle città sulle coste. Roma così creò una grande flotta di quinqueremi contando sull’aiuto dei socii navales. → lo sforzo fu premiato da una clamorosa vittoria sulla flotta cartaginese nelle acque di Milazzo nel 260 a.C. -Così si pensò di sconfiggere definitivamente Cartagine preparando un’invasione in Africa: l’invasione cominciò nel 256 a.C. con una vittoria della flotta romana su quella cartaginese al largo di capo Ecnomo (est di Agrigento), che permise lo sbarco a capo Bon in Africa. Le prime operazioni furono favorevoli al console Marco Attilio Regolo che però non seppe sfruttare i successi: fece fallire le trattative di pace imponendo condizioni durissime; non riuscì a sfruttare il malcontento crescente dei sudditi e degli alleati di Cartagine; → così nel 255 a.C. Regolo venne battuto duramente da un esercito cartaginese comandato dallo spartano Santippo; per completare il disastro la flotta romana di ritorno fu distrutta da un naufragio. -Il duplice smacco allontanò la possibilità di una rapida conclusione della guerra: le posizioni Cartaginesi tenevano ancora sulle coste della Sicilia occidentale, tra le quali Lilibeo e Trapani, potevano esser prese solo se bloccate anche dal mare, ma le flotte romane erano ormai ridotte a zero dopo un’altra sconfitta a Trapani e dopo un altro naufragio. -Dal canto loro i Cartaginesi erano in molta difficoltà: non riuscivano a sfruttare la loro superiorità sul mare e sulla terra riuscirono solo a fare abili azioni di disturbo condotte brillantemente sa Amilcare Barca. -Solo dopo qualche anno Roma costruì una nuova flotta ricorrendo a un prestito di guerra dai cittadini più facoltosi → venne allestita una flotta di 200 quinqueremi inviata al comando del console Caio Lutazio Catulo a bloccare Trapani e Lilibeo → la flotta Cartaginese fu sconfitta alle isole Egadi nel 241 a.C. -A Cartagine si comprese che non vi erano più possibilità e fu pattuita una pace: sgombero dell’intera Sicilia e delle isole Lipari e Egadi e fu stabilito un indennizzo di guerra. La Prima Provincia Romana Roma per la prima volta era in possesso di un territorio fuori dalla penisola, la Sicilia centro occidentale; il sistema con cui Roma integrò questi possedimenti segnò una svolta istituzionale. Nella penisola città e popolazioni erano state direttamente incorporate oppure legate da trattati che prevedevano l’invio di truppe in aiuto a Roma, ma mai il pagamento di un’imposizione in denaro e lasciavano alle comunità socie ampia autonomia. In Sicilia la strategia fu diversa: venne imposto il pagamento di un tributo annuale in grano (pari alla decima parte del totale raccolto); l’amministrazione della giustizia, il mantenimento dell’ordine interno e la difesa dalle aggressioni esterne vennero affidati a un magistrato romano inviato annualmente nell’isola → a partire dal 227 a.C. vennero eletti due nuovi pretori che andavano ad affiancarsi al pretore urbano e il pretore peregrino: uno dei due nuovi magistrati fu mandato in Sicilia, l’altro in Sardegna, da poco anche essa in potere di Roma. Da questo momento il termine provincia9 viene ad assumere il significato di territorio soggetto all’autorità di un magistrato romano. La prima provincia romana non si estendeva su tutta la Sicilia: rimanevano stati indipendenti, il regno di Siracusa e la città alleata di Messina. Tra le Due Guerre Per Cartagine gli anni dopo la prima guerra punica furono drammatici: la città non era in grado di pagare i mercenari che avevano combattuto contro Roma, questi allora si ribellarono. La rivolta fu soppressa con molta fatica da Amilcare Barca in Africa settentrionale; tuttavia quando i Cartaginesi allestirono una spedizione per recuperare la Sardegna, dove i mercenari si erano ribellati e avevano chiesto aiuto a Roma, dovettero arrendersi contro lo strapotere di Roma e accettare di cedergli Sardegna e Corsica che divennero la seconda provincia di Roma. Pochi anni dopo, Roma intervenne anche nell’Adriatico. Qui il regno di Illiria aveva esteso verso sud la sua influenza sulla costa dalmata. Le scorrerie dei pirati illiri arrecavano danni considerevoli alle città greche sulla costa orientale dell’Adriatico e ai mercanti italici. In risposta alle richieste di aiuto Roma inviò un’ambasciata alla regina del regno Teuta che ignorò le intimazioni. Così scoppiò la guerra che andò a favore di Roma: Teuta fu costretta a cedere la reggenza e agli Illiri fu proibito di navigare con più di due navi disarmate a sud della località di Lissus, le città greche su quella costa divennero una sorta di protettorato di Roma. Demetrio, un collaboratore di Teuta che era passato dalla parte di Roma fu premiato con la concessione di possedimenti introno all’isola dalmata di Faro. Qualche anno dopo, tuttavia, Demetrio intraprese atti ostili contro Roma e si temeva la sua alleanza con Filippo v di Macedonia. La seconda guerra Iliaca fu impresa di poco conto per Roma e Demetrio scappò alla corte di Filippo V, Faro entrò nel protettorato romano. Maggiori sforzi richiesero la conquista dell’Italia settentrionale, portata a conclusione nel II secolo. Un’incursione dei galli si fermò davanti alla colonia di Rimini nel 236 a.C. Quattro anni dopo il tribuno della plebe Flaminio propose di distribuire ai cittadini romani l’ager Gallicus → ciò consentì di sorvegliare meglio il corridoio adriatico attraverso cui i galli potevano penetrare in Italia centrale. La legge Flaminia destò l’allarme dei Galli Boi, che abitavano intorno all’attuale Bologna, e fu una delle cause che causò la guerra gallica che scoppiò poco dopo. Nello scontro i Boi e gli Isubri ottennero l’appoggio di truppe provenienti dalla Transalpina, i Gesati, mentre i Galli cenomani e i venti si schierarono con Roma. I Galli riuscirono a penetrare l’Etruria, ma nel 225 a.C. vennero annientati a Telamone. A questo punto a Roma ci si rese conto che la conquista della Padana era necessaria per l’eliminazione del pericolo invasione gallica. Fu condotta una breve campagna che portò alla conquista di Mediolanum, il centro principale degli Isubri. Furono fondate due colonie per consolidare la conquista: Piacenza e Cremona. All’indomani della seconda guerra punica Roma procedette alla definitiva conquista della pianura padana con la fondazione di numerose colonie tra cui Aquileia (181 a.C.); furono costruite anche importanti strade: 220 – Via Flaminia da Roma a Rimini; nel 187 la via Emilia, da Rimini a Piacenza; nel 148 la via Postumia da Genova ad Aquileia. Cartagine in tutto ciò, dopo la guerra con i mercenari cercava di costruire una nuova base per la sua potenza in Spagna. Le operazioni per conquistare la Spagna furono condotte dalla famiglia Barca: prima da Amilcare, poi da Asdrubale, genero di Amilcare, e infine dal figlio di Amilcare, Annibale. L’avanzata dei barca destò l’allarme della città greca di Marsiglia che aveva interessi in Spagna settentrionale e di Roma, di cui Marsiglia era fedele alleata. Nel 226 il senato concluse con Asdrubale secondo cui i Cartaginesi non dovevano superare il fiume Ebro (in Livio si assume che il fiume venne riconosciuto come confine per entrambe le potenze e quindi neanche 9 Che originariamente indicava la sfera di competenza di un magistrato preso ai Giochi Istmici →l’esercito romano si era trattenuto troppo in Grecia, impegnato in una campagna contro Sparta, alimentando la propaganda ostile della lega etolica. Gli Etoli, infatti, andavano sostenendo che la Grecia aveva semplicemente cambiato padrone, dalla Macedonia a Roma. La guerra fredda tra Roma e Siria si trascinò fino al 192 a.C. quando la lega etolica invitò espressamente Antioco III a liberare la Grecia dai falsi liberatori. Antioco decise di passare con un piccolo esercito a Demetriade in Tessaglia, sopravvalutando il sostegno che di cui avrebbe potuto godere: gli unici aiuti vennero dagli Etoli. Il re di Siria venne dunque battuto l’anno seguente alle Termopili e dovette fuggire in Asia Minore. Roma decise allora di colpire Antioco nel suo stesso Regno. Nel 190 a.C. il console Lucio Cornelio Scipione, accompagnato da Scipione l’Africano, si preparò a invadere l’Asia Minore, forte del sostegno di Filippo V. Nel frattempo la flotta romana sconfiggeva ripetutamente i Siriaci nell’Egeo proteggendo la traversata dell’esercito sull’Ellesponto. Lo scontro decisivo si ebbe nei pressi della città di Magnesia al Silipo: l’esercito di Antioco numericamente superiore ma male organizzato, venne completamente disfatto. La pace, siglata nella città siriaca di Apamea solo nel 188 a.C., confermò che Roma non intendeva ancora impegnarsi direttamente nel Mediterraneo orientale. Antioco dovette pagare un’enorme indennità, affondare tutta la sua flotta, tranne 10 navi, consegnare alcuni nemici inveterati di Roma (anche lo stesso Annibale che si nascondeva alla corte di Antioco III ma che riuscì a scappare in tempo), ma soprattutto sgombrare tutti i territori a ovest e a nord del massiccio montuoso del Tauro che sorge al centro dell’Asia Minore. I vasti territori strappati ad Antioco furono spartiti fra i due fedeli alleati di Roma, il re di Pergamo, Eumene II e la repubblica di Rodi; furono escluse dalla spartizione le città greche della costa che si erano schierate dalla parte di Roma, le quali ottennero l’autonomia. Le Trasformazioni Politiche e Sociali L’ampliamento degli orizzonti portò una ventata di cambiamento nell’assetto politico e sociale interno: ne sono spia alcuni episodi che seguirono di pochi anni la pace di Apamea. Processo agli Scipioni: Evento che mostra l’acuirsi del contrasto politico all’interno della stessa classe dirigente romana. Nel 187 a.C. alcuni tribuni della plebe accusarono L. Cornelio Scipione, il vincitore di Antioco III, di essersi impadronito di parte dell’indennità di guerra versata dal re di Siria, solo l’intercessione di Scipione l’Africano e il veto di uno dei tribuni impedì che Lucio, nel 184 a.C. fosse condannato a pagare una pesantissima multa. Nel medesimo anno l’attacco fu rinnovato contro Scipione l’Africano stavolta, il quale rifiutò di rispondere alle accuse ricordando l’importanza che aveva avuto per Roma e si ritirò in una sorta di esilio pubblico, nelle sue proprietà di Liternio nella Campania settentrionale. Il processo agli Scipioni ispirato sicuramente da Marcio Porcio Catone era l’attacco contro una personalità eccezionale → colpendo L’Africano Catone colpiva soprattutto una spinta verso l’individualismo che rischiava di mettere in pericolo la gestione collettiva della politica. In questa temperie politica trova spiegazione la legge Villia, promulgata nel 180 a.C. che introdusse l’obbligo di età minima per rivestire le diverse magistrature e un intervallo di un biennio tra una carica e l’altra → tentativo di regolare la competizione politica che stava diventando molto accesa. Nei medesimi anni la diffusione in Italia del culto di Bacco è segno di una tensione religiosa culturale e sociale dal momento che i devoti di Bacco provenivano dalle classi inferiori. Nel 186 a.C. il senato diede mandato ai consoli di condurre una durissima inchiesta → i Baccanali dovevano essere stroncati in ogni modo, anche a costo di calpestare l’autonomia giurisdizionale delle comunità alleate dell’Italia. Ciò che aveva indotto il senato ad adottare misure drastiche non era la necessità di proibire le pratiche orgiastiche e i supposti crimini dei Baccanali. Preoccupava il fatto che i devoti di bacco si fossero dati un’organizzazione interna che poteva configurarsi come uno Stato dentro lo Stato romano. La Terza Guerra Macedonica La pace di Apamea aveva escluso il regno di Siria dallo scacchiere, ma vi era ancora il Regno Macedone a poter dare qualche problema a Roma. Filippo V aveva sostenuto Roma con lealtà nella guerra siriaca, ma, nonostante ciò le ambizioni di Filippo V sulle città della costa trace furono frustrate da Roma. Filippo dovette cedere rinunciando alla Tracia e inviando il figlio minore Demetrio a perorare la sua causa a Roma. Nei medesimi anni la posizione di Roma in Grecia si faceva delicata, sempre più spesso giungevano ambascerie a sostenere le proprie ragioni nelle infinite controversie che opponevano tra di loro le città greche. Sotto consiglio di Callicrate uomo politico della Lega achea, Roma adottò per risolvere tali contrasti una linea che privilegiava le aristocrazie locali alienandosi definitivamente le simpatie delle masse popolari. Morto Filippo V gli succede il figlio Perseo; l’elemento democratico e nazionalista di molte città greche cominciò a volgersi con crescente favore verso Perseo → in un crescendo polemico ogni mossa diplomatica di Perseo e ogni azione militare di Perseo anche compiuta in aree di poca importanza per Roma, venne letto come un gesto di sfida. Questi aspetti furono alimentati da Eumene di Pergamo che nel 172 a.C. si presentò a Roma con un lungo elenco di accuse contro Perseo. Cominciarono così i preparativi per la guerra che iniziò solo nel 171 a.C. dopo che le trattative per un accordo fallirono. Nei primi anni di guerra i comandanti romani si distinsero per le rapine alle città greche; qualche modesto successo militare di Perseo venne dunque salutato con entusiasmo dai democratici. Il re Perseo ottenne inoltre aiuti concreti solo dai Molossi e dal re d’Illiria, Genzio. La svolta si ebbe nel 168 a.C. quando Genzio fu sconfitto mentre Perseo fu costretto dal console Lucio Emilio Paolo, ad accettare battaglia campale a Pidna in macedonia, dove il suo esercito fu distrutto. -Il re fu portato prigioniero in Italia e la monarchia abolita in Macedonia → fu divisa in quattro repubbliche, che non potevano intrattenere alcun rapporto tra loro (no matrimoni misti, no possedimenti di terra in più Stati). Tre delle repubbliche poterono conservare piccoli eserciti per fare fronte alle invasioni barbariche, ma non potevano fabbricare navi e usare argento e oro. I quattro stati dovevano inoltre versare un pesante tributo a Roma. -Anche Illira fu divisa in tre stati, anche essi tributari di Roma; La lega achea fu costretta a consegnare 1000 persone di lealtà sospetta tra cui Polibio; -I Molossi furono puniti con la totale devastazione del loto territorio e la riduzione in schiavitù di decine di migliaia di abitanti. -Rodi, che aveva semplicemente tentato una mediazione tra Roma e Perseo fu punita e privata della caria e della Licia. Inoltre, Rodi fu colpita economicamente perché fu creato, nell’isola di Delo, un porto franco, nel quale cioè le merci in entrata e in uscita erano esentate dai dazi. Dunque, molte rotte commerciali furono deviate su Delo e Rodi perse una quota significativa delle entrate doganali. La Quarta Guerra Macedonica e la Guerra Acaica In 20 anni ci si rese conto che la sistemazione data da Roma all’area Greca era inadeguata. La morte di Callicrate, strumento politico di Roma, e i tentativi di secessione di Sparta dalla Lega achea coincisero con una rivolta in Macedonia. Qui Andrisco, si spacciò per il figlio di Perseo e riuscì a riunificare la Macedonia nella sua ultima monarchia. Dopo qualche successo Andrisco fu sconfitto dal Pretore Quinto Cecilio Metello nel 148 a.C. Dopo il senato si occupò della situazione achea: ordinò che fossero staccate dalla Lega achea oltre la riottosa Sparta anche Corinto e Argo → ciò avrebbe significato la fine della Lega Achea. → l’assemblea della Lega decise allora di fare guerra a Roma; ma gli Achei non poterono impedire l’invasione del Peloponneso da parte di Metello e il comando venne rivelato dal console Lucio Mummio che sconfisse definitivamente l’esercito acheo → Corinto venne allora saccheggiata e distrutta. A Roma si convenne che un controllo diretto dell’area Greca era inevitabile: La Macedonia fu ridotta a provincia romana. Il suo governatore aveva giurisdizione per regolare anche le questioni della Grecia. Qui tutte le leghe vennero sciolte e ridotte all’impotenza e ovunque introdotti regimi aristocratici di provata fedeltà. La Terza Guerra Punica Nel medesimo anno in cui fu distrutta Corinto fu distrutta anche Cartagine. Cartagine si era ripresa con rapidità dopo la seconda guerra punica ed era riuscita a pagare tutta l’indennità di guerra e continuava a fornire il grano a Roma. Anche dal punto di vista politico Cartagine si era comportata in modo irreprensibile: quando nel 196 a.C. Annibale fu eletto come massimo magistrato, un ambasciata da Roma lo accusò di preparare un’alleanza con Antioco III, anche se non era probabilmente vero. Annibale allora fu costretto alla fuga in oriente e il nuovo governo cartaginese si profuse in rassicurazioni di lealtà nei confronti di Roma. Un elemento che poteva turbare la situazione era costituito dalle dispute di confine tra la Numidia di Massinissa e Cartagine. Massinissa continuava ad avanzare in territorio Cartaginese richiamandosi al fatto che i confini stabiliti dalla pace dopo la guerra non erano ben chiariti. Cartagine cercò di chiedere a Roma il permesso per reagire ( dopo la pace della seconda guerra punica Cartagine fu costretta a chiedere sempre a Roma il permesso per dichiarare guerra). Dopo però che Massinissa occupò i territori più fertili di Cartagine il governo Cartaginese decise di muovere guerra (151 a.C.). La mossa fu disastrosa, l’esercito cartaginese fu fatto a pezzi. Nello stesso tempo la violazione della misura del 201 a.C. diede voce a coloro, a Roma, che volevano la distruzione di Cartagine, come Catone. Nella decisione di Roma giocarono un ruolo sia l’irrazionale timore che Cartagine potesse diventare ancora una volta un grave pericolo, sia la costatazione che il conquistatore di Cartagine avrebbe acquistato una gloria imperitura e per lo Stato romano un bottino enorme. Nel 149 a.C. un’imponente esercito sbarcò in Africa; i Cartaginesi acconsentirono a cedere una notevole quantità di armamenti oltre che a tutti gli ostaggi. Quando però Roma chiese di abbandonare la città i Cartaginesi decisero di resistere a oltranza. Vi fu un lungo e difficile assedio risolto solo nel 146 a.C. sotto il comando di Publio Cornelio Scipione Emiliano, figlio di Lucio Emilio Paolo, vincitore di Pidna, ma adottato dalla famiglia Scipione. La città fu rasa al suolo e il territorio ridotto a provincia d’Africa. La Spagna Nonostante le grandi conquiste in tutto il mediterraneo, Roma non era ancora riuscita a venire a capo della situazione in Spagna. All’indomani della seconda guerra punica i Romani si erano stabiliti nel meridione intorno a Cadice e alla vallata del Guadalquivir; e a settentrione nella zona costiera a nord dell’Ebro. Nel 197 a.C. le due aree vennero organizzate nelle nuove province di Spagna citeriore, a nord e Spagna ulteriore, a sud. Le comunità dovevano pagare un tributo e fornire truppe ausiliarie. La penetrazione verso l’interno (i possedimenti romani erano sia a nord che a sud costieri) si rivelò lunga e difficile e la sottomissione totale della penisola iberica avvenne solo con Augusto. La sfuggente guerriglia sul territorio vastissimo costrinse Roma a la sciare costantemente in Spagna forti eserciti: sottomessa una tribù, altre si ribellavano. Tra le truppe romane vi era malcontento con episodi di renitenza alla leva. Nel 149 a.C. fu creato un tribunale speciale e permanente incaricato di giudicare il reato di concussione, la questio perpetua de repetundis, che tuttavia estese le sue competenze su tutti i casi di abuso di potere da parte dei governatori provinciali. Approccio di M. Porcio Catone e di Ti. Sempronio Gracco: -Catone, il grande avversario degli Scipioni, venne inviato in Spagna Citeriore nel 195 a.C. come console. Catone procedette alla sistematica sottomissione delle tribù della valle dell’Ebro. I suoi successi furono però effimeri e negli anni seguenti Roma continuò a inviare imponenti eserciti in Spagna. -Ti. Sempronio Gracco, fu governatore della Spagna Citeriore tra il 180 e il 178 a.C.; dopo aver ottenuto successi militari con il suo atteggiamento conciliante cercò di rimuovere le ragioni dell’ostilità verso Roma. La sua strategia fu coronata da trattati di pace con alcune tribù celtibere che assicurarono a Roma almeno 4 anni di respiro. Dopo la lunga guerra contro i Lusitani, guidati da Viriato, la lotta si concentrò intorno alla città celtibera di Numanzia, nella Spagna settentrionale. Nel 137 a.C. sotto le mura di Numanzia, il console Caio Ostilio Mancino, sconfitto, fu costretto dai Numantini a firmare una pace umiliante per Roma. Il trattato fu disconosciuto dal senato e la guerra fu affidata a Scipione l’Emiliano, eletto per la seconda volta al consolato nel 134 a.C. in deroga alla legge che impediva di iterare la massima magistratura. Scipione distrusse Numanzia nel 133 a.C. come aveva fatto con Cartagine. La spietata vendetta non riuscì a cancellare l’umiliazione del 137 a.C. soprattutto tra i testimoni della sconfitta di Roma, tra cui il questore del console Ostilio Mancino, Tiberio Semproni Gracco, figlio del governatore della Spagna citeriore sopra citato, e destinato a imprimere, qualche anno dopo, una svolta nella storia di Roma in qualità di tribuno della plebe. impedire che una scelta a posteriori fosse influenzata da ragioni personali e politiche. Al problema degli alleati Caio rispose con una legge più moderata di quella di Fulvio Flacco: proponeva di concedere ai Latini La cittadinanza romana e la cittadinanza di diritto latino agli italici → tale provvedimento non fu approvato a causa delle ostilità. L’oligarchia senatoria si servì nuovamente di un altro tribuno Marco Livio Druso. Approfittando dell’assenza di Caio, partito per l’Africa per la deduzione della colonia presso Cartagine, Druso fece proposte di inusitata larghezza come la deduzione di ben 12 colonie. Al suo ritorno a Roma, caio si accorse che la sua popolarità era in grave declino → candidandosi di nuovo come tribuno non venne rieletto. Per abbattere ogni suo prestigio alla fondazione della colonia di Cartagine furono collegati presagi nefasti e si propose che la deduzione dovesse essere revocata. Caio e Fulvio Flacco cercarono di opporsi a questa revoca, ma scoppiarono gravi disordini in conseguenza dei quali il senato fece ricorso al senatus consultum ultimum, con cui venne affidato ai consoli il compito di tutelare la sicurezza dello Stato con i mezzi che ritenevano necessari → Il console Lucio Opimio ordinò allora il massacro dei sostenitori di Gracco che avessero tentato di resistere: Fulvio Flacco morì negli scontri e Caio Gracco si fece uccidere da un suo schiavo. Così gli Optimates ridussero fortemente gli effetti della legge agraria; i lotti attribuiti furono dichiarati alienabili e venne posto fine alle operazioni di recupero e riassegnazione delle terre, lasciando i possessi legittimamente occupati agli attuali detentori, prima in concessione e poi in proprietà, infine fu abolita la commissione agraria. Province, Espansionismo e Nuovi mercati: Asia, Gallia, Balcani, Dalmazia Danubiana Prima del 133 a.C. Roma aveva dedotto sei province: la Sicilia, Sardegna e Corsica, Spagna Citeriore, Spagna Ulteriore, Macedonia e Africa. La deduzione di una provincia è descrivibile come un atto di guerra; per Roma si trattava di assumere controllo diretto di un territorio. A ciò si deve sommare la natura di solito istituzionalmente composita delle nuove acquisizioni. In un lasso di tempo ragionevole il magistrato fissava le linne generali di riferimento (questioni territoriali, statuto delle singole città, determinazione dell’ager publicus ecc). L’insieme di tali deliberazioni è spesso impropriamente definito come lex provinciae. → oggi si sa che la deduzione di una provincia non necessitasse obbligatoriamente di una legge costituente10. L’espressione che indicava l’atto, redactio in formam provinciae, faceva riferimento, piuttosto, alla formula provinciae, una sorta di prospetto ufficiale che descriveva gli ambiti geografici, gli statuti e gli obblighi delle singole comunità, nonché la condizione fiscale e giuridica di esse. Pergamo e l’Asia: Nel 133 a.C. il re di Pergamo, Attalo III aveva lasciato il suo regno ai romani; Aristonico, forse figlio del padre di Attalo, assunto il nome di Eumene III si pose a capo di una rivolta che tenne testa per tre anni. Eumene si rivolse alle popolazioni e alle comunità dell’interno propugnando l’istaurazione di uno stato utopico. Solo nel 129 a-C. la ribellione potè essere domata e il console Manio Aquilio potè organizzare quanto restava del nuovo territorio nella provincia romana d’Asia. Il corpo della provincia restò costituito dalle parti più importanti del precedente regno: a nord la Misia e la Troade, al centro la Lidia, poi la parte sudoccidentale della Frigia con anche probabilmente la porzione della Caria che era stata data a Rodii e poi ripresa. In questo modo Roma poneva piede stabilmente nella penisola Anatolica ereditando di essa i problemi logistici, confinari e politici. Provincia Narbonese La Gallia meridionale attirò poi l’attenzione di Roma: rispondendo a una richiesta di aiuto di Marsiglia contro tribù celto-liguri e galliche, fu inviato prima Fulvio Flacco e poi Caio Sestio Calvino che, ristabilendo il controllo della costa, nel 123 a.C. fondò il centro di Acquae Sextiae, controllando così da nord l’entroterra di Marsiglia. Nel 122-121 a.C. si pongono le basi per la nuova provincia narbonese dopo aver sconfitto Allobrogi e Arverni; tale provincia fu organizzata intorno alla colonia romana di Narbo Martius dedotta nel 118 a.C. e attraversata dalla via Dalmazia, che congiungeva Italia e Spagna. Baleari e Campagne Militari in Dalmazia Furono conquistate anche le Baleari, a Maiorca furono fondate le due colonie romane di Palma e Pollenzia. Nel contempo le campagne militari contro le tribù illiriche della Dalmazia avevano portato le armi e i mercanti romani a contatto con i paesi danubiani che si estendevano a nord ovest dei confini della Macedonia. 10 Una delle leggi più note, la lex Rupilia, relativa alla Sicilia fu fatta dopo la grande rivolta servile e quindi non coeva alla deduzione della provincia stessa. I Commercianti Italici e L’Africa; Giugurta; Caio Mario Scipione l’Emiliano aveva regolato le questioni africane tramite la costituzione di una piccola ma ricca provincia e rapporti di buon vicinato con le città libere e con i figli di Massinissa. Tra tali figli si era imposto Micipsa che divenne unico re di Numidia. La sua politica filoromana aveva portato commercianti italici e romani. Morto Micipsa, il regno fu conteso tra tre eredi; Giugurta si sbarazzò di uno degli altri due eredi assassinandolo e l’altro, Aderbale, fu costretto a scappare a Roma e chiedere il suo aiuto. Roma optò per la divisione della Numidia tra i due eredi superstiti. Ma Giugurta assediò e conquistò la capitale della porzione data a Aderbale, Cirta. Facendo ciò Giugurta fece trucidare non solo il rivale ma anche i Romani e gli Italici. → Roma fu costretta a scendere in guerra. Le operazioni militari furono condotte molto fiaccamente, quando finalmente al comando della guerra fu posto il console Quinto Cecilio Metello, del cui seguito faceva parte Caio Mario. Metello riprese le redini del conflitto ma non riuscì a concludere la campagna e i mercanti del nord-africa tempestarono i loro agenti e rappresentati romani di lettere di protesta. In tale clima Caio Mario venne eletto console e gli venne affidato il comando della guerra contro Giugurta. Mario era un Homo Novus e incarnava un nuovo tipo di politico uscito dalla carriera militare. Aveva sposato con Giulia imparentandosi con un’antica famiglia patrizia ormai decaduta. Giulia era zia del futuro Giulio Cesare. Mario aprì l’arruolamento volontario ai capite censi, i nullatenenti per far fronte alla guerra contro Giugurta e contro i Cimbri e Teutoni. Con il nuovo esercito Mario tornò in africa ma gli ci vollero tre anni per vincere → più che le vittorie furono importanti le trattative diplomatiche per rompere le alleanze di Giugurta e il suocero Bocco, re di Mauretania. Bocco tradì Giugurta e lo consegnò ai romani. La Numidia orientale fu affidata a un nipote di Massinissa, la parte rimanente allo stesso Bocco, con cui venne stipulato un trattato di amicizia e alleanza. Cimbri e Teutoni; Ulteriori Trasformazioni nell’Esercito Nel frattempo due popolazioni germaniche i Cimbri e i Teutoni avevano iniziato un movimento migratorio verso sud → furono affrontati al di là delle Alpi dal console Cneo Papiro Carbone presso Noreira e i Romani subirono una disastrosa sconfitta. Continuando il loro cammino verso occidente, intorno al 110 a.C. i Cimbri e i Teutoni comparvero in Gallia, minacciando la nuova provincia narbonese. I tentativi di respingerli si risolsero in altre catastrofi che culminarono nella clamorosa disfatta di Arausio. Così Mario venne riletto console nel 104 a.C. e gli fu affidato il comando della guerra. Mario riorganizzò l’esercito: ogni legione risultò articolata non più in 30 piccole unità, ma in dieci coorti composte da 600 uomini ognuna governata in autonomia per consentire un più agile impiego della legione. Il suo lavoro di riorganizzazione toccò anche l’addestramento individuale e l’equipaggiamento. Così quando i Germani ricomparvero i romani poterono reggere l’urto. Cimbri e Teutoni si erano divisi: i teutoni avanzavano verso la Gallia meridionale; i Cimbri stavano per valicare le Alpi centrali. Mario affrontò prima i Teutoni sterminandoli ad Acquae Sextiae. I Cimbri furono annientati ai Campi Raudii dopo che erano dilagati attraverso la valle dell’Adige. Eclissi Politica di Mario; Saturnino e Glaucia Mario, impegnato al fronte, si era affidato a Lucio Apuleio Saturnino, un nobile in rotta con le fazioni conservatrici del senato. Mario lo aveva aiutato a essere eletto tribuno della plebe e in cambio Saturnino aveva fatto approvare una distribuzione delle terre in Africa a ciascuno dei veterani delle campagne di Mario + aveva proposto una legge frumentaria che riduceva il prezzo politico del grano fissato da Caio Gracco + lex de maiestate, che puniva il reato di lesione dell’autorità del popolo romano compiuto dai magistrati: il collegio giudicante era composto da cavalieri. Nel 100 a.C. Mario venne eletto al sesto consolato; Saturnino era stato rieletto tribuno della plebe; Caio Servilio Glaucia, compagno di Saturnino di parte popolare era stato eletto pretore. Saturnino presentò una legge agraria che prevedeva assegnazione di terre nella Gallia Meridionale e la fondazione di colonie in Sicilia, Acaia e Macedonia → per bloccare le opposizioni Saturnino aveva fatto approvare una clausola che obbligava i senatori a giurare di osservare la legge. Nel frattempo, Glaucia aveva restituito le giurie permanenti per i processi di concussione ai cavalieri. Saturnino ottenne la rielezione a tribuno della plebe per l’anno successivo e Glaucia si candidò al consolato. Durante le votazioni ci furono tumulti e un avversario di Glaucia rimase ucciso → il senato allora ne approfittò e proclamò il senatus consultum ultimum. Mario si trovò nella situazione, in quanto console, di applicarlo contro i suoi alleati → Saturnino e Glaucia furono uccisi e il prestigio di Mario ne uscì distrutto e si allontanò da Roma. Pirati; Schiavi; Cirenaica In Anatolia Roma dovette vedersela con la pirateria di quelle zone. Al brigantaggio interno, nella Cilicia Tracheia si accompagnava l’attività piratesca sulla costa. Rodi e Egitto si avvalsero spesso dei pirati in funzione anti-seleucide; Roma se ne disinteressò e con la creazione di un porto franco a Delo aveva incentivato l’opera di razzia e di commercio degli schiavi. Mentre Roma si accingeva a concludere le guerre cimbriche, la pirateria fu avvertita come pericolosa per la sicurezza dei negotiatores romani nei matri greci e nell’Egeo orientale. → si decise di intervenire nel 102 a.C. inviando il pretore Marco Antonio (nonno) con il compito di distruggere le basi dei pirati in Anatolia e distruggerle: l’azione si protrasse per un paio di anni con la fondazione anche di una provincia costiera di Cilicia per controllare meglio; la promulgazione di una lex provinciis praetoriis con misure anti-piratesche dimostra che il problema era ancora incombente. L’impegno militare per le guerre cimbriche indusse Mario a chiedere soldati agli italici e agli alleati oltremare. Tra essi Nicomede III di Bitinia declinò l’invito accusando che una cospicua parte dei suoi uomini era stata presa dai pirati e venduta in schiavitù; a Roma si volle porre rimedio con un provvedimento che ordinava ai governatori provinciali di condurre inchieste in merito, ma vi fu la crescente opposizione dei detentori di schiavi. Da qui scaturirono molte rivolte servili, tra cui quella in Attica e quella in Sicilia tra il 104 e il 100 a.C. Di questa rivolta fu a capo Salvio, che assunse il nome di Trifone e alla sua morte subentrò il cilicio Atenione, che aveva guidato fin dall’inizio un secondo gruppo di insorti. La rivolta fu alla fine repressa da Manio Aquilio. Qualche anno dopo fu lasciata in eredità a Roma una parte cospicua di territorio Tolemaico, la Cirenaica; ma al lascito non fu dato alcun seguito e la questione fu ripresa solo successivamente, quando circostanze diverse indussero a porvi una provincia. Marco Livio Druso e la Concessione della Cittadinanza agli Italici Il decennio successivo al 100 a.C. si aprì con forti tensioni politiche e sociali. Un provvedimento del 98 a.C. rese obbligatorio un intervallo di tre nundinae (giorni di mercato a cadenza settimanale) tra l’affissione di una proposta di legge e la sua votazione + veniva inoltre vietata la formulazione di una lex satura, una disposizione che includesse più argomenti non connessi. Continuava ancora il conflitto tra senatori e cavalieri per impadronirsi dei tribunali permanenti per i processi di concussione11. Successivamente una legge Licinia Mucia aveva istituito una commissione per verificare le richieste di cittadinanza romana che venivano avanzate e per espellere da Roma ogni residente italico o latino illegalmente iscritto nelle liste di censo. In tale atmosfera fu eletto tra i tribuni della plebe Marco Livio Druso: egli tentò di destreggiarsi tra le varie parti con una politica di reciproca compensazione. Da un lato, promosse una legge agraria volta alla distribuzione di nuovi appezzamenti e alla deduzione di nuove colonie e una legge frumentaria che abbassasse ulteriormente il prezzo delle distribuzioni di grano. Dall’altro restituì ai senatori i tribunali per le cause di concussione, proponendo però l’ammissione dei cavalieri in senato portando il numero dei senatori da 300 a 600. Infine, volle proporre la concessione della cittadinanza romana agli alleati italici. Ancora una volta l’opposizione fu vastissima e fu trovato il modo per dichiarare nulle tutte le sue leggi; quando Druso venne misteriosamente assassinato, il sentimento di rivalsa degli italici e il loro malcontento aveva raggiunto il culmine. La Guerra Sociale La condizione di cittadino romano era diventata sempre più vantaggiosa e con ciò aumentava l’irritazione degli italici, consci di avere contribuito ai successi militari di Roma. Delle distribuzioni agrarie beneficiavano solo i romani; gli italici partecipavano allo sfruttamento economico delle province ma in modo subalterno rispetto ai romani e spesso erano vessati dai magistrati romani; non avevano parte alcuna nelle decisioni politiche, economiche e militari nonostante vedevano largamente coinvolti anche i loro interessi; perfino nell’esercito la struttura del sistema andava a favore dei Romani12. L’assassino di Druso fu il segnale per gli italici che l’unica opzione era la rivolta armata. Il segnale partì da Ascoli dove il pretore e tutti i Romani residenti lì vennero massacrati. L’insurrezione si espanse presso il versante Adriatico: Piceni, Vestini, Maruccini, Frentani, Marsi e Peligni, Sanniti, Irpini e Lucani; Apuli e 11 Una giuria equestre aveva condannato per concussione Publio Rutilio Rufo che aveva tentato di arginare lo strapotere in Asia dei pubblicani → Rufo era andato in esilio a Smirne, tra gli stessi provinciali che era stato accusato di avere oppresso: ciò fu esempio lampante delle disfunzioni del sistema. 12 Gli alleati continuavano a pagare le imposte destinate al soldo delle loro reclute, ricevevano una parte minore del bottino e punizioni più gravi, non potevano condividere in alcun modo le funzioni di comando. Pompeo. Per rendere definitiva la sua vittoria, Silla introdusse le liste di proscrizione: elenchi di avversari politici i cui nomi erano notificati al pubblico e chiunque poteva ucciderli impunemente. Gli obiettivi principale erano i cavalieri e i senatori contro Silla che furono tutti eliminati → ciò ebbe come conseguenza la modificazione dell’aristocrazia romana (un certo numero di famiglie scomparve e altre si arricchirono. Le comunità italiche che avevano parteggiato per i mariani subirono confische territoriali che furono utilizzate per dedurre colonie a favore dei veterani di Silla; centoventimila soldati vi furono insediati cambiando la conformazione etnica e culturale. Poiché entrambi i consoli delòl’82 erano morti, l’interrex presentò ai comizi una proposta per nominare Silla dittatore con l’incarico di redigere leggi e organizzare lo stato: tale dittatura era a tempo indeterminato e non era incompatibile con il consolato che Silla rivestì nell’80 a.C. In effetti il vecchio ordinamento non poteva reggere dinnanzi ai mutamenti che si erano succeduti. Una parte delle riforme di Silla era già stata anticipata prima di partire per la guerra mitridatica: ogni proposta di legge doveva ottenere il consenso del senato prima del voto popolare; i comizi centuriati doveva essere la sola assemblea legislativa. Il senato fu portato da Silla a 600 membri con l’immissione di cavalieri, partigiani e esponenti dei ceti superiori dei municipi italici. La sua integrazione annuale fu sottratta ai censori; ne entravano a far parte automaticamente ogni anno anche i questori, al pari degli altri magistrati; i questori inoltre furono aumentati a 20. Anche i pretori aumentarono di numero e divennero 8 per far fronte alla moltiplicazione dei tribunali permanenti. Tali tribunali furono nuovamente esclusiva del senato; le loro competenze furono suddivise in modo che ciascuno di essi spettasse in esclusiva solo uno dei principali reati. Silla inoltre rinnovò la legislazione suntuaria che limitava le spese per banchetti e funerali. Vennero di nuovo regolamentati l’ordine di successione alle magistrature e le età minime per accedervi; nessuna carica avrebbe potuto essere iterata prima di un intervallo di 10 anni. Nell’anno successivo alla magistratura, pretori e consoli diventavano automaticamente propretori e proconsoli recandosi ad amministrare le province. Furono ridimensionati i poteri dei tribuni della plebe, limitato il diritto di veto e annullato quello di proporre leggi. Fu fatto divieto a chi avesse ricoperto la carica di tribuno della plebe di poter accedere a qualunque altra carica. Vennero abolite le distribuzioni frumentarie Il pomoerium fu esteso lungo una linea virtuale tra Arno e Rubicone, a comprendere in pratica quasi tutte le zone di Italia che condividevano la cittadinanza romana. Compiuta la riorganizzazione dello Stato, Silla abdicò dalla dittatura e nel 79 si ritirò a vita privata in Campania dove morì poco dopo. Il Tentativo di Reazione Antisillana di Marco Emilio Lepido; Sertorio Marco Emilio Lepido già nel 78 a.C. tentò di ridimensionare l’ordinamento sillano proponendo il richiamo dei proscritti in esilio, il ripristino della distribuzione di frumento e la restituzione agli antichi proprietari delle terre confiscate. L’opposizione incontrata dai suoi progetti ebbe l’effetto di scatenare una rivolta in Etruria dove più pesanti erano state le espropriazioni. Lepido allora andò in Etruria dove fece causa comune con i ribelli e marciò su Roma reclamando un secondo consolato e la restaurazione dei poteri ai tribuni della plebe. Il senato adottò ancora una volta l’arma del senatus consultum ultimum ordinando di difendere lo Stato con qualsiasi mezzo e venne conferito a Pompeo l’imperium, nonostante ancora lui non avesse rivestito alcuna magistratura superiore e quindi contravvenendo a una delle riforme di Silla che regolava lo sviluppo delle carriere. La rivolta venne stroncata e Lepido fuggì in Sardegna dove morì. Il suo luogotenente, Marco Perperna si trasferì in Spagna con l’esercito di Lepido, a ingrossare le fila degli ex mariani capeggiati da Sartorio. Sertorio nell’82 dopo le prime vittorie di Silla aveva raggiunto il suo posto di governatore della Spagna Citeriore → lì aveva creato una sorta di Stato mariano in esilio e tutti i tentativi di fermarlo furono vani. Nel 77 a.C. le truppe superstiti di Lepido, come sappiamo, si unirono a quelle di Sertorio che controllava ormai tutta la penisola iberica. Questo arrivo di profughi consentì a Sertorio di fondare una capitale (a Osco) dove istituì un senato alla romana. Il senato decise di ricorrere ancora una volta a Pompeo affidandogli la Spagna Citeriore con attribuzione di imperium straordinario → arrivato in Spagna Pompeo subì una serie di sconfitte e fu costretto a scrivere al senato per ottenere rifornimenti e truppe → ottenendoli la situazione andò lentamente migliorando, mentre nel campo avversario cominciavano a crescere dissapori nei confronti di Sertorio finché Perperna lo assassinò a tradimento, sperando di trarre vantaggio da tale gesto → fu invece sconfitto e giustiziato da Pompeo che vinse anche le ultime sacche di resistenza. La Rivolta Servile di Spartaco Nel 73 a.C. scoppiò la terza grande rivolta di schiavi; scintilla scoppiata a Capua in una scuola di Gladiatori, una settantina dei quali si asserragliarono sul Vesuvio, lì furono raggiunti da schiavi e gladiatori da tutta l’Italia meridionale. I capi erano Spartaco e Crisso che ebbero presto un considerevole esercito. Ma mancava un piano unitario: Spartaco voleva solo portare le truppe al di là delle Alpi e liberare tutti; altri volevano razziare e saccheggiare. Così vagarono per l’Italia spingendosi fino alla Cisalpina ma virando poi di nuovo verso sud. Il senato affidò un comando eccezionale a Marco Licino Crasso, allora pretore. Crasso isolò Spartaco in Calabria. Essi tentarono di passare in Sicilia, ma furono traditi dai pirati che dovevano traghettarli e furono costretti ad affrontare Crasso che li sconfisse in Lucania (Spartaco muore, migliaia di prigionieri crocifissi nella via Appia). Alcuni tentarono la fuga verso nord ma intercettati in Etruria da Pompeo furono annientati. Il Consolato di Pompeo e Crasso e lo Smantellamento dell’Ordinamento Sillano (70 a.C.) Pompeo presentò la sua candidatura per il consolato del 70 a.C. pur non avendo l’età minima e i requisiti minimi di carriera. Anche Crasso si presentò e furono eletti entrambi. Fu portato a compimento lo smantellamento dell’ordinamento di Silla. Già nel 75 a.C. era stato abolito il divieto per i tribuni della plebe di ricoprire cariche successive. Nel 73 a.C. fu rintrodotta la distribuzione del grano. Poi Pompeo e Crasso restaurarono nella loro pienezza i poteri dei tribuni della plebe (proporre leggi e porre il veto). Furono eletti di nuovo i censori che epurarono il senato di 64 membri indegni e condussero il censimento della città. Infine, il pretore Lucio Aurelio Cotta tolse l’esclusività ai senatori dei tribunali permanenti ripartendoli (in modo uguale) tra senatori cavalieri e tribuni aureii (legati politicamente ai cavalieri). Alla riforma di Cotta non è estraneo il processo a Verre per malversazione portato avanti da Cicerone. Pompeo in Oriente; Operazioni contro i Pirati; Nuova Guerra Mitridatica -La pirateria aveva preso forza per l’instabilità delle strutture politiche e per l’importanza assunta dal commercio degli schiavi. I Romani avevano tollerato la pirateria orientale perché forniva schiavi; le sue basi si trovavano in asia Minore, Creta e litorale Africano. → attaccavano le lente navi commerciali e si dileguavano di fronte alle flotte da guerra → il trasporto delle merci era diventato sempre più rischioso e infruttuoso. Nel 78-75 a.C. si tentò di rafforzare la presenza romana in Cilicia, anche tramite le campagne di Publio Servilio Vatia che riuscì a espugnare le basi piratesche spingendosi fino all’Isauria. Nel 74 a.C. fu inviato Marco Antonio (padre del futuro triumviro) che preferì concentrare i suoi sforzi sull’isola di Creta subendo però un umiliante sconfitta. Nel 74 a.C. la Cirenaica fu fatta provincia anche come base contro i pirati. Le operazioni contro Creta furono poi affidate a Quinto Cecilio Metello che riuscì a riprendere l’isola. -Ripresa del conflitto contro Mitridate: alla morte di Nicomede IV di Bitinia, risultò che questo re aveva lascito il suo regno ai romani. La deduzione della Bitinia in provincia avrebbe dato ai romani il controllo del Mar Nero e così Mitridate decise di invaderla. Furono mandati i consoli Marco Aurelio Cotta con competenza sulla Bitinia e Lucio Licinio Lucullo con poteri sulla Cilicia e sulla provincia d’Asia. Lucullo, sgomberata la Bitinia, occupò il Ponto costringendo Mitridate a fuggire dal genero Tigrane (il cui regno si estendeva su quasi tutto il territorio delle Stato dei Seleucidi). Lucullo invase quindi l’Armenia conquistandone la nuova capitale Tigranocerta → di qui si spinse ancora più a nord est inseguendo Tigrane e Mitridate. Tuttavia, i suoi soldati si rifiutarono di proseguire e i finanzieri romani sdegnati dai suoi provvedimenti per alleviare la situazione economica in Asia, fecero pressioni perché fosse destituito. Ne approfittarono Mitridate e Tigrane per riprendere il conflitto. - Nel 67 a.C. Aulo Gambino (tribuno della plebe) prese misure drastiche contro la pirateria proponendo di attribuire a Pompeo per tre anni l’imperium infinitum su tutto il Mediterraneo con pieni poteri anche nell’entroterra fino a 50 miglia dalle coste. Nonostante l’opposizione del senato, fu approvato il provvedimento. → Pompeo cacciò rapidamente i pirati costringendoli ad asserragliarsi e sconfiggendoli in Cilicia. Mentre ancora era impegnato in questa guerra, Caio Manilio (altro tribuno) propose venisse esteso a Pompeo anche il comando sulla guerra contro Mitridate. -Pompeo riuscì a convincere i re dei Parti, Fraate, a impegnare. Tigrane mentre egli marciava verso il Ponto. Sconfitto, Mitridate fu costretto a fuggire ma abbandonato da tutti si fece trafiggere per non cadere prigioniero. Pompeo confermò il trono dell’Armenia a Tigrane ma gli sottrasse la Siria di cui fece una provincia romana. Poi passò in Palestina dove prese Gerusalemme e dove costituì uno Stato autonomo, ma tributario, aggregato alla provincia di Siria. Dopo riunì Bitinia e Ponto in un’unica provincia e ampliò la Cilicia fino ai confini con la Siria; infine, nel 62 a.C. rientrò a Roma trionfante. Il Consolato di Cicerone e la Congiura di Catilina Durante l’assenza di Pompeo, Catilina, arricchitosi durante l’età sillana, aveva dilapidato ingenti somme per un elevato tenore di vita e per le campagne elettorali per accedere al consolato prima nel 65 a.C. (quando fu accusato di indegnità e dovette ritirarsi), poi ancora nel 63 a.C. (finanziato da Crasso, vicino ai popularis come Giulio Cesare), ma fu eletto Marco Tullio Cicerone (sostenitore di Pompeo) che nella campagna elettorale accusò più volte di corruzione Catilina. Catilina si ripresentò nel 62 a.C. con una campagna elettorale non più a favore dei popularis ma agli aristocratici rovinati dalle dissipazioni. Abbandonato dai suoi antichi sostenitori (Crasso e Giulio Cesare, che erano vicini ai popularis) venne di nuovo battuto alle elezioni. Mise allora mano a una cospirazione che mirava a sopprimere i consoli e impadronirsi del potere; venne concentrato in Etruria un esercito composto da veterani sillani → ma il piano fu scoperto da Cicerone che indusse il senato al senatus consultum ultimum e con un attacco durissimo costrinse Catilina ad allontanarsi da Roma. Cicerone fece arrestare cinque dei capi della cospirazione e consultò il senato che si pronunziò per la condanna a morte (Cesare fu il solo a insistere per il carcere a vita). Catilina affrontò un esercito consolare a Pistoia e cadde in combattimento alla testa dei suoi. Egitto; Cipro; Cirenaica La grande distanza e i buoni rapporti avevano tenuto il regno tolemaico d’Egitto lontano dalle mire dirette di Roma. I tre nuclei (Egitto, Cipro, Cirenaica) del regno avevano avuto fasi in cui erano riuniti sotto un unico sovrano e fasi in cui erano divisi. Alla morte di Tolomeo VIII Evergete II (116 a.C.) le contese fecero si che ci si rivolgesse spesso a Roma come garante del trono; di questa politica facevano parte anche i testamenti che legavano il regno al popolo romano forse anche con intenti strumentali → nel 96 a.C. sarebbe dunque stata lasciata a Roma la Cirenaica. Anche Tolomeo X Alessandro I, in lotta con il fratello maggiore legò per testamento l’Egitto ai Romani. Tale atto è stato spesso attribuito invece a suo figlio Tolomeo XI Alessandro II. Questi, fatto prigioniero da Mitridate nell’88 era riuscito a fuggire rifugiandosi da Silla → ritornato in Egitto era salito al trono, ma braccato dagli Alessandrini esasperati avrebbe redatto il famoso testamento che oggi si attribuisce al padre. Gli unici Tolomei rimasti nell’80 a.C. erano due figli di Tolomeo IX (fratello maggiore di Tolomeo X), il maggiore dei quali Tolomeo XII Aulete, gli alessandrini proclamarono re di Egitto e il figlio minore fu proclamato, re di Cipro. La principale preoccupazione per l’Aulete era farsi riconoscere da Roma che rifiutava di farlo, dopo vent’anni però riuscì a farsi riconoscere grazie all’appoggio di Cesare. Il problema egiziano divenne attuale per Roma solo nel 64-63 a.C. quando Pompeo ridusse la Siria a provincia e conquistò la Palestina (confinante con l’Egitto). Nel 58 a.C. ci fu la rivendicazione di Roma su Cipro e la conseguente annessione. Nello stesso anno Tolomeo XII si rifugiò a Roma cacciato dall’Egitto. Nel 55 a.C. Aulo Gambino, allora governatore di Siria, devoto di Pompeo e corrotto dall’Aulete, lo riportò ad Alessandria con la forza. CAPITOLO 3: DAL “PRIMO TRIUMVIRATO” ALLE IDI DI MARZO Il Ritorno di Pompeo e il “Primo Triumvirato” Nel 62 a.C. Pompeo sbarcava a Brindisi e smobilitò subito l’esercito, ma con grande sua delusione non ottenne le terre per i suoi veterani e la ratifica degli assetti territoriali e provinciali da lui decisi in Oriente. Pompeo allora si alleò con Crasso e Giulio Cesare creando quello che gli studiosi chiamano “primo triumvirato” (anche se fu un patto privato non un vero triumvirato come sarà quello successivo). In base all’accordo Cesare avrebbe dovuto essere eletto console nel 59 a.C. e avrebbe dovuto varare una legge agraria a favore dei veterani di Pompeo; anche Crasso avrebbe avuto vantaggi per i suoi cavalieri e per gli appaltatori legati a lui. L’accordo fu cementato con il matrimonio di Pompeo con Giulia figlia di Cesare. Caio Giulio Cesare Console Cesare fu eletto nel 59: fece votare due leggi agrarie per Pompeo in tutto l’agro pubblico rimanente in Italia, tranne la Campania e furono ratificate le decisioni di Pompeo per l’oriente; infine, per Crasso, fu ridotto a un Nello stesso 52 Pompeo aveva però proposto un provvedimento che prescriveva che dovessero passare 5 anni tra una magistratura e una promagistratura. Tale procedimento era un palese attacco a Cesare: quando anche fosse riuscito ad ottenere il consolato, dopo sarebbe diventato privato cittadino. Tra l’altro Pompeo si era fatto dispensare da questa regola e prorogare per altri 5 anni il proconsolato di Spagna. Dopo tutto ciò gli era stato affiancato un collega console ed era ripresa la regolare nomina di coppie consolari. Una seconda legge aveva inoltre fatto obbligo a tutti di presentare di persona la propria candidatura, ma era stato aggiunto un codicillo che riprendeva l’eccezione a favore di Cesare. A partire dal 51 a.C. cominciò tra Cesare e i suoi avversari una battaglia a suon di espedienti giuridici tesa a raggiungere l’estensione del suo mandato fino al 49 per potersi candidare come console nel 48. Tuttavia con la nuova procedura era molto più facile rimpiazzare Cesare: il successore di Cesare al governo della sua provincia poteva essere scelto in qualsiasi momento tra gli ex magistrati (che avessero finito la carica da almeno 5 anni). Con le vecchie norme invece la provincia di Cesare avrebbe dovuto essere dichiarata consolare preventivamente e il nuovo console avrebbe poi dovuto esercitare a Roma il suo anno da console e solo dopo averlo esaurito avrebbe potuto assumere il comando della provincia; nel frattempo Cesare avrebbe conservato per proroga il suo posto. Nel 50 a.C. un tribuno della plebe propose che per uscire dalla crisi si dovessero abolire tutti i comandi straordinari, sia quello di Cesare che quello di Pompeo → il senato votò a favore. Nel 49 a.C. Cesare si dichiarava disposto a rinunciare solo se lo avesse fatto anche Pompeo, ma i suoi avversari ottennero che si ingiungesse a Cesare di porre fine unilateralmente alle sue cariche. Minacciato dal veto dei tribuni il senato votò il senatus consultum ultimum, affidando ai consoli e a Pompeo il compito di difendere lo Stato. Vennero nominati i successori di Cesare al governo delle sue province, ma appresa tale decisione Cesare varcò in armi il torrente Rubicone dando inizio alla guerra civile. Pompeo andò a Brindisi per imbarcarsi verso l’Oriente. Cesare percorse rapidamente l’Italia ma non riuscì ad arrivare in tempo per fermare Pompeo di trasferirsi in Grecia, bloccare con le sue flotte i rifornimenti e affamare l’Italia. Ritornato per poco a Roma Cesare cominciò ad affrontare la minaccia occidentale rivolgendosi contro le forze pompeiane in Spagna con le sue truppe in Gallia. → Cesare sconfisse i pompeiani spagnoli presso Ilerda dopo aver assaltato la neutrale e pericolosa Marsiglia ed essersi assicurato le spalle. Tornato a Roma Cesare vi rivestì la carica di dittatore solo per convocare i comizi elettorali che lo elessero console per il 48 a.C. Nel frattempo Pompeo aveva posto il quartier generale a Tassalonica. Cesare compì la traversata in inverno riuscendo a traghettare le legioni e a porre d’assedio Durazzo. Poiché la flotta pompeiana bloccava la costa (impedendo rinforzi a Cesare), e l’esercito di Pompeo si accampava nelle vicinanze, Cesare fu costretto ad attaccare a fondo la città di Durazzo ma fu respinto. Avanzò allora verso la Tessaglia, sempre inseguito da Pompeo che non intendeva dare battaglia finchè non glielo imposero i sostenitori. Lo scontro decisivo avvenne a Farsalo e si tradusse in una disfatta pompeiana. Pompeo scappò in Egitto dove contava nel sostegno dei figli di Tolomeo XII Aulete, ma in Egitto vi era una guerra dinastica in atto tra Tolomeo XIII e Cleopatra VII i figli del re → i consiglieri del re fecero assassinare Pompeo giudicando compromettente la sua accoglienza. Arrivato ad Alessandria Cesare si trattenne in Egitto un anno per derimere la guerra dinastica → sconfisse Tolomeo e Cleopatra fu confermata regina di Egitto insieme al fratello minore Tolomeo XIV. Cesare ebbe un figlio da Cleopatra, Tolomeo Cesare, che costituiva una garanzia. Frattanto Farnace, figlio di Mitridate, aveva approfittato per recuperare i terreni paterni → Cesare lo sconfisse a Zela nel Ponto. Nel 47 Cesare sostò brevemente a Roma e ripartì per l’Africa dove si erano riorganizzati i pompeiani vinti che si erano assicurati l’appoggio di Giuba, re della Numidia → Cesare vinse a Taspo, Giuba si suicidò e il suo regno divenne provincia romana con il nome di Africa Nova. Ritornato a Roma fu accolto in trionfo Cesare, poi fu costretto a partire per la Spagna dove avevano ripreso fiato i suoi avversari sotto la guida dei figli di Pompeo, Cneo e Sesto. A Munda l’esercito nemico fu distrutto: solo Sesto Pompeo si salvò con la fuga → Cesare poteva tornare a Roma a completare l’opera di riorganizzazione politica. Cesare Dittatore Perpetuo Mentre si trovava in Egitto Cesare era stato nominato dittatore per un anno; poi eletto al consolato per il 46 al metà di questo anno gli fu conferita anche la dittatura per dieci anni; nel 45 e nel 44 fu ancora console; poi accumulò il titolo di dittatore a vita. Dopo Tapso era stato fatto prefectus moribus con l’incarico di vegliare sui costumi e di controllare le liste dei senatori, dei cavalieri e dei cittadini (come il censore). Gli fu conferita la possibilità di sedere tra i tribuni della plebe e poi gli furono consegnate tutte le prerogative proprie dei tribuni, pur senza ricoprire la carica che non poteva incarnare essendo un patrizio. Gli fu anche dato il potere di stipulare trattati di pace e dichiarare guerra senza consultare il senato e il popolo, di presiedere all’attribuzione delle magistrature e di designare i suoi candidati alle elezioni, di assegnare i propri legati alle province e infine gli vennero offerti gli onori del primo posto in senato, del titolo di imperator a vita e quello di padre della patria. Riforme: -Concesso il ritorno in patria degli esuli e condannati politici; -Accordate facilitazioni ai debitori; -Il diritto di ottenere la cittadinanza romana fu esteso alla Transpadana e ne beneficiarono inoltre corpi militari, singoli individui e comunità della Spagna, della Gallia e dell’Africa resisi benemeriti. -Il senato fu portato a 900 membri includendo membri da tutte le regioni dell’impero oltre a un gran numero di seguaci di Cesare -Aumentato da 20 a 40 il numero dei questori; da 4 a 6 gli edili, da 8 a 16 i pretori: assicurando una reintegrazione annuale del senato e maggiore possibilità di carriera politica ai sostenitori di Cesare -Furono abbassate le qualifiche censitarie per entrare nell’ordine equestre -I tribunali permanenti furono nuovamente ripartiti tra cavalieri e senatori -Introdotte pene più severe per che si macchiava di malversazioni -Fu regolamentata la durata dei governatorati (1 anno per i propretori, 2 anni per i proconsoli) -Fu promulgata una legge per porre freno allo sperpero e all’ostentazione della ricchezza -Divieto ai cittadini residenti in Italia di restare assenti per più di tre anni dal paese -Vennero disciolte le associazioni popolari riportando i collegia alle funzioni originarie di corporazioni religiose e di mestiere -Confermate le distribuzioni gratuite di grano, ma il numero dei beneficiari scese a 150.000 unità -Fu organizzato un vasto programma di colonizzazione e di distribuzione di terre per i numerosi veterani di Cesare -Una considerevole attività di ristrutturazione urbanistica → portò lavoro -Per combattere la disoccupazione fu reso obbligatorio, in Italia, impiegare nei pascoli e nei campi non meno di un terzo di uomini liberi -Riforma del calendario civili che regola, con le correzioni del 1582 di papa Gregorio XIII, ancora oggi l’alternarsi di anni ordinari e bisestili. Le Idi di Marzo L’eccessiva concentrazione di potere nelle mani di Cesare e alcuni atteggiamenti suoi e dei suoi collaboratori che parvero rivelare una inclinazione verso la regalità, finirono per creare allarme non solo tra gli ex pompeiani superstiti, ma anche tra alcuni dei sostenitori di Cesare. Nei primi mesi del 44 a.C. Cesare aveva preparato una grande campagna militare contro i Parti per ristabilire l’egemonia romana in Asia. A Roma venne messo in giro un oracolo secondo cui i Parti sarebbero stati sconfitti solo da un re → ciò aumentò le voci di sospetti di aspirazioni monarchiche di Cesare. Fu allora ordita una congiura → alle idi di marzo, 15 marzo, del 44 a.C. Cesare cadde trafitto dai pugnali dei cospiratori della curia di Pompeo (nel campo Marzio) dove doveva presiedere una seduta in senato. CAPITOLO 4: AGONIA DELLA REPUBBLICA L’Eredità di Cesare; la Guerra di Modena I cesaricidi non eliminarono anche i collaboratori di Cesare, Lepido e Marco Antonio. I congiurati trovarono a Roma un’accoglienza così fredda che si ritirarono nel Campidoglio. Antonio impose una politica di compromesso: l’amnistia per i congiurati e la convalida degli atti del defunto dittatore. Cornelio Dolabella sarebbe stato console insieme ad Antonio e le province già attribuite sarebbero state confermate agli assegnatari anche ai congiurati. Fu stabilito che dopo il consolato ad Antonio sarebbe andata la Macedonia e a Dolabella la Siria. Antonio seppe trasformare le esequie di Cesare in una grandiosa manifestazione di furore popolare. Fu tuttavia abolita la dittatura dalle cariche dello stato. Antoni approfittò del possesso della carte private di cesare per far passare tutta una serie di progetti di legge che egli sostenne di avervi trovato e che gli assicurarono grande popolarità, facendone l’interprete della politica di cesare e il suo erede spirituale. Alla lettura del testamento di cesare si scoprì che il dittatore aveva lasciato tre quarti del suo patrimonio al figlio adottivo, Caio Ottavio, suo pronipote. Il giorno delle idi di marzo Ottavio si trovava ad Apollonia; appena saputo del testamento, si diresse verso l’Italia e giunse a Roma e in Campania reclamò l’eredità. Onorò gli ingenti lasciti in denaro previsti dal testamento, ponendo, come caposaldo della sua politica, la tutela e la celebrazione della memoria di Cesare e la vendetta. In tal modo concentrò su di sé l’appoggio dei cesariani e dei veterani, mentre buona parte del senato cominciò a vedere in lui un mezzo per arginare Antonio. Questi per controllare più da vicino l’Italia si era fatto assegnare la Gallia Cisalpina e Comata (rinunciando alla Macedonia) per la durata di 5 anni. Quando Antonio mosse verso la Cisalpina, il governatore originariamente designato, Decimo Bruto, rifiutò di cederla e si rifugiò a Modena assediato da Antonio. Il senato ordinò ai due consoli del 43 Aulo Irzio e Vibio Pansa, di muovere in soccorso di Decimo Bruto; ad essi venne associato anche Ottavio. Vicino a Modena Antonio fu abbattuto e fu costretto a ritirarsi verso la Narbonese, dove contava di unire le sue forze a quelle di Lepido. Irzio e Pansa morirono per le ferite riportate nello scontro. Il Triumvirato Costituente; Le Proscrizioni; Filippi Ottavio chiese al senato il consolato per sé e ricompense per i suoi soldati. Al rifiuto non esitò a marciare su Roma. Nell’agosto del 43 venne eletto console insieme al cugino Quinto Pedio. I due consoli fecero annullare tutte le misure di amnistia e istituirono un tribunale per perseguire gli omicidi di cesare. Orazio fece anche ratificare la sua adozione dai comizi curiati fregiandosi del nome di Caio Giulio Cesare. In Gallia Antonio si era ricongiunto con Lepido → Decimo Bruto fu ucciso mentre cercava di passare le Alpi per congiungersi ai cesaricidi. Annuallato il provvedimento che rendeva Antonio nemico pubblico, Ottaviano, Antonio e Lepido si incontrarono nei pressi di Bologna dove stipularono un accordo, poi fatto sancire da una legge. In base ad essa veniva istituito un triumvirato che diveniva una magistratura ordinaria per la durata di 5 anni fino alla fine del 38 a.C → Antonio avrebbe conservato il governo della Gallia Cisalpina e Comata; Lepido quello della Gallia Narbonese e le due Spagne; Ottaviano ottenne l’Africa, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica. La Sicilia e la Sardegna erano minacciate da Sesto Pompeo a cui il senato, nel periodo successivo alla guerra di Modena, aveva conferito il comando delle forze navali con cui adesso Sesto minacciava il mar Mediterraneo e gli approvvigionamenti di Roma. Vennero resuscitate le liste di proscrizione per i nemici dei triumviri e i cesaricidi→ centinaia di cavalieri e senatori furono uccisi e i loro beni confiscati; una delle vittime più note fu Cicerone che pagò a caro prezzo gli attacchi ad Antonio. Avendo messo in sesto anche le loro finanze, i triumviri poterono armarsi verso Oriente dove i cesaricidi Bruto e Cassio si erano costruiti una solida base di potere. Ma prima si provvide alla divinizzazione di Cesare. Lasciati Lepido e Munazio a Roma come consoli, Antonio e Ottaviano partirono per la Grecia. Lo scontro decisivo avvenne a Filippi in Macedonia in due battaglie successive. Cassio e Bruto si suicidarono. Le proscrizioni, le guerre intestine e Filippi avevano decimato l’opposizione senatoria più conservatrice. il loro posto fu preso da una nuova aristocrazia, composta dalle classi dirigenti municipali italiche e da persone di fiducia dei triumviri → si realizzò un mutamento radicale nella composizione delle élite di governo, assai più inclini ai rapporti di dipendenza politica e personale, che costituì premessa indispensabile dell’evoluzione verso il regime imperiale che si sarebbe attuata da lì a poco. Consolidamento di Ottaviano in Occidente; La Guerra di Perugia; Sesto Pompeo; Gli Accordi di Brindisi, di Miseno e di Taranto; Nauloco Dallo scontro con i cesaricidi usciva rafforzato Antonio, che si trovò a trattare con gli altri triumviri da una posizione di forza. Egli si riservò il comando di tutto l’Oriente da cui intendeva condurre una campagna per la conquista del regno partico. A Lepido fu assegnata l’Africa; Ottaviano le Spagne, il compito di risolvere il problema di assegnare terre ai veterani delle legioni e il compito di vedersela con Sesto Pompeo. Per Ottaviano erano molti impegni ma se ne fosse uscito vittorioso avrebbe avuto una posizione di forza uguale a quella di Antonio. -L’incarico dell’assegnazione di terre era il più difficile perché comportava la confisca di terreni nei territori delle 18 città d’Italia che erano state destinate allo scopo. Le proteste sfociarono nel 41 in rivolta, subito sfruttata dalla moglie di Antonio Fulvia e dal fratello di Antonio, allora console. Ottaviano fu costretto ad affrontare gli insorti che si chiusero a Perugia che fu assediata e saccheggiata. Lucio Antonio (fratello) fu perdonato, Fulvia scappò in Grecia dal marito, molti fuggirono e infoltirono le fila di Sesto Pompeo che, impadronitosi anche della Sardegna e della Corsica, batteva i mari e impediva i rifornimenti a Roma. PARTE QUARTA: L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO CAPITOLO 1: AUGUSTO Azio e la Cesura tra Storia Repubblicana e Storia del Principato Nel 31 a.C. Ottaviano si trovò ad essere padrone assoluto dello Stato. Ma la questione delle guerre civili lasciava aperta la difficile questione della veste legale da dare al potere personale del vincitore. L’ipotesi di un regime apertamente monarchico era forse stata progettata da Cesare, ma il suo assassinio lo impedì. Le soluzioni via via adottate da Ottaviano furono quindo complessivamente restauratrici nella forma anche se innovative nella sostanza. Le forme che scaturirono dalla duratura permanenza del primo imperatore sulla scena politica sono state il frutto di continui aggiustamenti e ripensamenti pur connessi a una logica di fondo e a un progetto monarchico di fondo. → ci si è spesso concentrati sull’esito finale trascurando l’arco di tempo impiegato per ottenerlo: un processo durato anni può apparire come improvviso atto rivoluzionario agli occhi dei posteri, ma di chi lo ha vissuto può essere visto come un adattamento naturale e graduale. Convenzionalmente con il 31 si fa iniziare il Principato. Arrivato a compimento il processo di personalizzazione, nella tarda Repubblica, della politica che aveva visto l’emergere di figure che avevano affermato il proprio potere personale grazie alla disponibilità di eserciti fedeli, alle guerre di espansione e allo sfruttamento economico delle province. La razionalizzazione dell’amministrazione attuata da Augusto e dai suoi successori, la progressiva integrazione in senato delle elite delle diverse regioni dell’impero e il ruolo politico e sociale degli eserciti dislocati nelle province, faranno si che la storia di Roma a partire da Augusto divenga sempre più storia dell’impero, intesa come storia del rapporto e dell’integrazione di territori e popolazioni rispetto al centro del potere. I Rapporto con gli Organismi Repubblicani e il Potere del Principe: la Translatio dello Stato al Volere Decisionale del Senato e del Popolo Romano nel 27 a.C. Dal 31 al 23 a.C. Augusto fu eletto ininterrottamente console, detenendo il consolato per l’intero anno in posizione di preminenza fino al 28 a.C. e condividendo sempre la carica con alleati suoi. Il processo di riconoscimento giuridico della nuova forma istituzionale iniziò solo nel 27 a.C. All’inizio dell’anno Ottaviano aveva assunto il settimo consolato con collega, l’amico fedele, Agrippa. In una seduta del senato Ottaviano rinunciò formalmente ai suoi poteri straordinari, accettando solo un imperium proconsolare per dieci anni sulle province non pacificate di: Spagna Gallia, Siria, Cilicia, Cipro ed Egitto. Qualche giorno dopo il senato lo nominò Augusto proiettandolo in una dimensione spirituale; si aggiunse la concessione della corona civica e l’onore di uno scudo d’oro. Per comprendere meglio i fondamenti del suo potere rivolgiamoci alle sue Res Gestae in cui Augusto stesso scrive: “fui superiore a tutti per autorità, pur non possedendo un potere superiore a quelli che mi furono colleghi nelle magistrature” → è evidente l’aspetto carismatico che circondava la sua persona e che ne faceva il principe. L’architettura dello stato da lui adottata si vede ispirata al compromesso con la tradizione senatoriale repubblicana → non si deve dimenticare però che non era più immaginabile che si ponesse in discussione l’opportunità che il potere venisse detenuto da un solo individuo. La nuova organizzazione dello stato rappresentava il definitivo superamento delle istituzioni della città-stato. Il principe si poneva come punto di riferimento e di equilibrio fra le diverse componenti della nuova realtà che a buon diritto si poteva ormai dirsi imperiale: l’esercito, le province, il senato, la plebe urbana. La Crisi del 23 a.C. Dal 26 al 23 Augusto continuò ad essere eletto console ininterrottamente. Tra il 27 e il 25 si recò in Gallia e in Spagna settentrionale, in questo modo dimostrava ddi provvedere con solerzia alla pacificazione dei territori provinciali e allo stesso tempo rafforzava il contatto con l’esercito che continuava ad essere uno dei fattori del suo potere. Negli anni successivi alternerà anni di permanenza a Roma e anni di permanenza nelle province in modo che l’assestamento del nuovo ordine potesse compiersi gradualmente e in modo da rispettare la prassi secondo cui a Roma comandano il senato, il popolo e i magistrati, mentre lui come console e poi come promagistrato non si sottraeva al compito di trattenersi nelle province che doveva pacificare. Nel 23 a.C. Augusto si era gravemente ammalato e si sentì in fin di vita → ciò mise in luce il problema della successione. Con la sua morte la gestione della cosa pubblica sarebbe tornata in mano agli organi istituzionali dello stato. La situazione presupponeva però che alla testa dello stato ci fosse una sola persona; tuttavia la mancanza di precedenti e di una prassi per la sua sostituzione implicava il pericolo di un’altra guerra civile16. Per questa ragione nel nuovo regime furono introdotte correzioni che definirono la sostanza dei poteri imperiali: Augusto depose il consolato e ottenne un imperio proconsolare che gli consentiva di agire con i poteri di un promagistrato in tutte le province (potere definito imperium maius). Tale potere non consentiva ad Augusto di agire nella vita politica quando si trovava a Roma, ma per ovviare a ciò il principe ottenne dal senato il conferimento del potere di un tribuno della plebe; a tale potestà fu aggiunto il potere di convocare il senato. In questo modo Augusto continuava a detenere poteri che presi singolarmente erano compatibili con la tradizione, ma incompatibili se detenuti insieme. Per quanto riguarda le elezioni esse furono ristabilite in forma regolare dal 27 a.C. → in realtà le elezioni erano controllate da Augusto con il potere della nominatio (l’accettazione della candidatura da parte del magistrato che sovraintendeva l’elezione) e della commendatio (la raccomandazione da parte dell’imperatore stesso). Augusto realizzò nel 5 d.C. un sistema di compromesso che teneva conto della nuova realtà politica. Di fatto all’assemblea popolare fu dato un ruolo del tutto marginale, mentre si perseguiva una sorta di equilibrio tra principato e senato. I comizi ratificavano infatti i candidati scelti da 10 apposite centurie miste di cavalieri e senatori, che li designavano d’accordo con l’imperatore. Il Perfezionamento della Posizione di Preminenza Negli anni successivi si aggiunsero altre prerogative: nel 22 a.C. Augusto rifiutò la dittatura e assunse la cura annonae, l’incarico di provvedere all’approvvigionamento di Roma. Nel 19 e nel 18 a.C. esercitò anche i poteri di censore ottenendo privilegi legati al consolato (diritto di avere le insegne dei consoli, la sella curulis e i 12 littori che portavano i fasci) Anche Agrippa aveva ottenuto nel 23 un imperium proconsulare di 5 anni, grazie al quale si recò in Oriente, mentre Augusto stava a Roma. Tra il 22 e il 19 a.C. Augusto tornò in oriente per sistemare la situazione partica e armena; intanto Agrippa, di ritorno a Roma, sposava Giulia, vedova di Marcello. Nel 18 a.C. scadevano il mandato di 10 anni sulle province di Augusto che gli erano state affidate nel 27 a.C. e quello concesso ad Agrippa nel 23 a.C. → entrambi si videro rinnovare per 5 anni l’imperium proconsolare. Agrippa ricevette anche la tribunicia potestas, così da rendere la sua posizione ancora più vicina a quella di Augusto. Egli aveva già avuto due figli da Giulia che furono adottati da Augusto nel 17 a.C. così da renderli successori designati. Dopo questo momento non vi furono variazioni nei poteri di Augusto salvo nel 12 a.C. quando morì Lepido e gli fu concessa la sua carica di pontefice massimo così da porsi alche alla guida della vita religiosa. L’ultima espressione di riconoscimento fu il conferimento del titolo di pater patriae attribuito nel 2 a.C. I Ceti Dirigenti (Senatori e Equites) L’attribuzione dell’imperium proconsolare e del potere tribunizio, insieme alle altre prerogative che esaltavano Augusto crearono un potere personale non riducibile alla somma delle magistrature che incarnava. Sia nell’iniziativa politica a Roma sia nel governo dell’Impero si ebbe una duplice sfera di competenza: quella tradizionale repubblicana e quella specifica del princeps. Il senato aveva visto una profonda trasformazione con un vertiginoso aumento dei suoi membri (erano arrivati a 1000) → Augusto agì su questa situazione con atti che miravano a salvare la dignità del senato favorendo, tra le altre cose, l’accesso delle elite provinciali più romanizzate. Le misure prese da Augusto furono adottate in due occasioni: nella prima, si fece conferire la potestà censoria e procedette alla lectio senatus, cioè alla revisione della lista dei senatori, espellendo le persone indegne, la cui origine e censo non erano adeguati; nella seconda occasione, condusse una radicale revisione, riportando il numero dei senatori a 600. Augusto inoltre rese la dignità senatoria ereditaria. 16 Ottaviano aveva fatto progredire politicamente alcuni membri della sua famiglia ma erano troppo giovani. In assenza di figli maschi aveva usato la figlia Giulia che dapprima fece sposare a Marcello su cui si appuntarono i suoi progetti, oltre che sugli eventuali nipoti. Ma Marcello morì e Giulia si sposò con Agrippa che divenne un possibile aspirante alla successione. IL CORSUS HONORUM SENATORIO IN ETA’ IMPERIALE In età imperiale il Corsus Honorum, si sviluppa secondo le seguenti tappe: Il Vigintivirato: denominazione collettiva di diversi collegi magistrali; tali funzioni erano le seguenti: -Xvir stilitibus iudicandi: decemviro per il giudizio delle controversie civili dei cittadini -IIIvir capitalis: triumviro per la pena capitale, incaricato dell’applicazione della pena capitale -IIIvir auro argento aere flando feriundo: triumviro incaricato della coniazione della moneta in bronzo senatoria -IIIIvir viarum curandarum: quattuorviro che aveva la funzione di sovrintendenza sulle vie di Roma sotto supervisione degli edili Il numero complessivo di magistrati era 20 (10+3+3+4), da cui il nome: vigintivirato. Un anno di servizio militare come tribunus militum laticlavius In età imperiale abbiamo due diversi tipi di tribuno militare, quelli riservati all’ordine senatorio e quello proprio dei membri dell’ordine equestre: i tribuni si distinguevano dall’abito: una banda purpurea larga nel caso del tribuno senatorio e stretta nel caso dei tribuni equestri. Quaestor: diversi tipi di questori: -Quaestor urbanus: tesoriere dello stato -Quaestor propraetore provinciae: il questore incaricato dell’amministrazione finanziaria delle province del popolo romano -Quaestor principis: portavoce dell’imperatore presso il senato -Quaestor consulis: portavoce del console presso il senato Tribunus plebis/Aedilis Le due magistrature erano considerate sullo stesso piano, un uomo politico poteva rivestire o una o l’altra per poi passare al successivo gradino della carriera. Edile poteva essere Aedilis plebis, carica riservata ai plebei; o Aedilis curulis, magistratura che poteva essere ricoperta anche dai patrizi. I patrizi potevano saltare questo passaggio del cursus honorum per passare direttamente alla parte successiva della carriera. Praetor: diversi tipi di pretori: -Praetor urbanus: amministrava casi di giustizia che vedeva coinvolti due cittadini romani -Praetor peregrinus: amministrava giustizia nelle cause in cui almeno una delle due parti non aveva cittadinanza romana -Praetor aerarii: incaricato della sovrintendenza della cassa statale Gli ex pretori dovevano rivestire alcune funzioni proprie del loro rango; nel detenere queste funzioni loro non erano vincolati dalla norma dell’annualità e dell’intervallo di tempo che regolava l’accesso alle magistrature. Tra le funzioni di rango pretorio ricordiamo: -Legatus legionis (comandante in capo della legione) -Legatus Augusti pro praetore provinciae: governatore di una delle province imperiali di minore importanza -Proconsul: governatore di una delle province del popolo romano di minore importanza, per le quali non era richiesto l’aver raggiunto il grado consolare. Consul: I consoli possono essere ordinari (i magistrati che entravano in carica all’inizio dell’anno) o suffetti (i consoli che entravano in carica nel corso dell’anno sostituendo gli ordinari). Anche gli ex consoli erano chiamati a delle funzioni proprie del loro rango: -Le grandi curatele -Legatus Augusti pro praetore: governatore di una delle più importanti province imperiali -Proconsul: Governatore delle più importanti province del popolo romano, quelle di Africa e di Asia -Praefectus Urbi Censor: in età imperiale la censura è rivestita solo dagli imperatori, la carica scomparve con Domiziano Durante la Repubblica chi possedeva un censo pari a 400.000 sesterzi e aveva altre caratteristiche apparteneva al ceto equestre. Anche i figli dei senatori erano semplici cavalieri. I senatori si distinguevano dagli equites solo per avere intrapreso una carriera politica diversa e potevano mostrare esteriormente, tramite il laticlavio, il loro rango di senatori. Nell’ultima fase della Repubblica numerosi figli di cavalieri e figli di senatori avevano usurpato questo diritto portando il laticlavio senza essere membri del senato → Augusto proibì l’uso del laticlavio ai figli dei cavalieri ma lo consentì ai figli dei senatori; inoltre innalzò il censo minimo per entrare in senato a un milione di sesterzi, separando definitivamente i due ceti. Augusto in persona poteva concedere l’ingresso in senato a chi non era membro di una famiglia senatoria; addirittura poteva direttamente cooptare delle persone inserendole in senato tra le fila di coloro che avevano rivestito una determinata magistratura, attraverso la procedura dell’adlectio. In questo modo Augusto realizzò una distinzione netta tra ordo equester e senatus, creando un vero e proprio ordo senatorius, formato dalle famiglie senatorie. Anche l’appartenenza all’ordo equestre fu codificata attraverso principi generali → così si definirono i due raggruppamenti da cui veniva reclutata la classe dirigente dello Stato romano. Augusto doveva trovare un modo di non lasciare perduta la sua posizione di potere senza imporre una svolta apertamente monarchica alle istituzioni. La prima preoccupazione di Augusto fu quella di integrare la sua famiglia nel suo sistema politico e propaganda ideologica celebrandone la discendenza divina. Nella veste di pater familia sottolineava anche il carattere romano della sua gens; il ruolo di primo piano assunto dalla domus principis gli consentiva di trasferire al proprio erede anche le clientele di prestigio. La posizione del Princeps nello Stato veniva rafforzata dai meriti e dalle distinzioni acquisiti dai suoi figli adottivi e dalle persone della sua cerchia come Agrippa. L’erede scelto della famiglia non avrebbe ricevuto solo il patrimonio privato ma anche il prestigio → tramite una carriera magistraturale abbreviata e all’attribuzione di poteri straordinari, sul modello di Augusto veniva di fatto designato alla successione alle funzioni pubbliche del princeps. -Il matrimonio di Giulia con il nipote Marcello fu il tentativo di Augusto di inserire, per la prima volta, un discendente maschio nella famiglia, dotando Marcello già giovanissimo dell’ammissione al senato e l’accesso al consolato prima dell’età prevista, per renderlo adatto ad assumere almeno alcune delle competenze di Augusto dato che lo stesso Augusto si sentiva vicino alla morte → ma Augusto recuperò la salute, mentre Marcello morì nel 23 a.C. -La seconda personalità a cui Augusto ece attribuire poteri analoghi fu Agrippa, che divorziò dalla prima moglie e sposò Giulia, vedova di Marcello, e ricevette l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia. Augusto adottò i due figli di Giulia e Agrippa, Caio e Lucio Cesari, preparandoli ad un eventuale successione al padre. Ma nel 12 a.C. Agrippa morì. Considerando che i due ragazzi erano ancora minorenni, Augusto si rivolse ai figli della terza moglie Livia, avuti da un altro matrimonio, Tiberio e Druso. Tiberio sposò Giulia e rivestì due volte il consolato, celebrò persino un trionfo e ricevette la potestà tribunizia, ma poi si ritirò a vita privata forse per il brutto rapporto con Giulia o perché Augusto dava più importanza ai figli di Agrippa. Ad ogni modo Caio Cesare e Lucio Cesare non si rivelarono un problema per Tiberio dal momento che morirono entrambi. Così Tiberio tornò a Roma dopo aver sciolto il matrimonio con Giulia che aveva comportamenti contro la morale e che Augusto stesso aveva esiliato. Augusto pretese da Tiberio che adottasse Germanico, il figlio di suo fratello Druso e di Antonia figlia della sorella dell’imperatore. → così Tiberio eseguì e Augusto adottò a sua volta Tiberio. Poi a Tiberio furono attribuiti la potestà tribunizia e l’imperium proconsolare. Nel 13 d.C. celebrò il trionfo sui Germani e gli venne conferito un imperium pari a quello di Augusto in modo che potesse intervenire su tutte le province e che l’esercito potesse essere interamente sotto il suo comando. Organizzazione della Cultura pag. 203 CAPITOLO 2: I GIULIO CLAUDI Una Dinastia? La morte di Augusto avvenne nel 14 d.C. Fu allora che Tiberio in Senato chiese di non assumere la soma dei poteri del padre e suggerì di affidare la cura dello Stato a più persone. Il senato invece convinse a Tiberio di prendersi l’onere del comando e Tiberio alla fine accettò → sintomo che il senato non riuscisse più a concepire un ritorno alla Repubblica. Dal 14 al 68 d.C. il potere rimase nella famiglia Giulio Claudia cioè discendenti della famiglia di Augusto e della famiglia di Tiberio Claudio Nerone, il primo marito di Livia, l’ultima moglie di Augusto, la quale aveva portato nel matrimonio con il princeps i due figli avuti da Nerone, Tiberio e Druso. Alla morte di Tiberio non si poté verificare quello che voleva Augusto: che aveva prefigurato la successione di Germanico, figlio di Druso maggiore e Antonia, figlia di Marco Antonio e Ottavia, sorella di Ottaviano- Augusto, facendolo adottare da Tiberio. → infatti, Germanico morì nel 19 d.C. e morì’ anche Druso minore, figlio naturale di Tiberio. Quindi la successione andò a favore di Gaio, detto Caligola, figlio di Germanico e Agrippina. Caligola non era stato adottato da Tiberio e non aveva condiviso con lui né imperium proconsolare, né la potestà tribunizia. Era una designazione che si basava solo sulla linea familiare, attingendo al ramo della famiglia di Germanico, piuttosto che da Tiberio. → Caligola discendeva dunque per linea femminile da Augusto (sua nonna materna era Giulia, figlia di Augusto) e per linea maschile dai Claudi (il nonno paterno, padre di Germanico, era Druso, fratello di Tiberio) e anche da Marco Antonio. Alla morte di Caligola il potere rimase nella famiglia di Germanico, suo fratello Claudio fu eletto princeps → il primo completamente estraneo alla famiglia Giulia → prese il potere semplicemente in quanto erede della casata Claudia. Ultimo esponente della dinastia fu Nerone, con cui entrò nella storia della domus principis una famiglia nobiliare diversa, quella dei Domizi. Nerone era figlio di un aristocratico estraneo alla famiglia di Augusto, Cneo Domizio Enobarbo: fu erede della famiglia Giulia e della famiglia Claudia solo da parte di madre, in quanto figlio di Agrippina minore (figlia di Germanico e Agrippina maggiore) e per adozione: fu adottato da Claudio, che aveva sposato Agrippina, dopo che lei ebbe divorziato da Cneo Domizio Enobarbo. Se Tiberio discendeva da Augusto per adozione per gli altri membri della dinastia, che appartenevano alla famiglia di Germanico, il legame di consanguineità con Augusto era limitato alla discendenza della moglie di Germanico, Agrippina, dal matrimonio di Giulia con Agrippa, e al fatto che Antonia, madre di Germanico, era figlia di Marco Antonio e alla sorella di Augusto, Ottavia. Tiberio (14-37 d.C.) Malgrado la scarsa popolarità di cui godeva Tiberio il suo governo fu una positiva prosecuzione di quello augusteo. Dalle fonti in nostro possesso emerge che uno dei maggiori problemi era il rapporto tra principe e senato. Ma l’ostilità delle fonti, in particolare di Tacito, non deve ingannare. I tratti negativi del carattere di Tiberio non devono oscurare il fatto fondamentale della sua volontà di rispettare le forme di governo repubblicane, come il rifiuto di onori divini. Studi recenti provenienti da altre fonti hanno sottolineato il valore di Tiberio sia come militare che uomo di governo, nonché la sua attenta gestione dello Stato. Durante il suo principato ha modificato il sistema elettorale, con il passaggio delle votazioni dai comizi a partecipazione popolare al senato. Ma, a una collaborazione istituzionale tra senato e principi non corrisponde una comunanza di intenti politici. → Tiberio si trovò a fronteggiare una opposizione che rivendicava l’autonomia decisionale e la libertas del senato. All’inizio del suo regno si ebbe la stabilizzazione della frontiera renana. Tiberio non proseguì ampliamenti territoriali in Germania accontentandosi del successo ottenuto da Germanico contro Arminio, considerato una sorta di riparazione al disastro di Varo. La morte di germanico può essere considerata un caso di delitto politico. Egli era un predestinato all’Impero per caratteristiche caratteriali e anche fisiche. Tiberio impedendogli le sue mire di conquiste della Germania lo mandò in Siria, dove dovette condividere il comando dell’esercito con il proconsole Calpurnio Pisone → tra i due insorsero gravi contrasti e quando Germanico morì improvvisamente Pisone fu accusato di averlo avvelenato, si suicidò prima di avere la condanna. Morto Germanico si ebbe un conflitto a Roma tra Tiberio e Agrippina che riuscì a raccogliere un gruppo di sostenitori. Si trattava di affrontare il problema della successione, alla quale erano candidati il figlio di Tiberio, Druso minore, ma anche uno dei tre figli di Germanico e Agrippina. La svolta si ebbe a partire dal 23 d.C. quando il prefetto del pretorio Seiano iniziò a crearsi un forte potere personale. Seiano acquistò questo potere concentrando le truppe pretoriane a Roma e guadagnandosi la fiducia di Tiberio. La posizione di rilievo di cui godeva era dovuta al fatto che Tiberio nel 26 si era ritirato a Capri nella sua villa. Seiano riuscì a monopolizzare i contatti con Tiberio e dopo la morte di Livia dominò la vita politica a Roma e aspirò anche alla successione chiedendo in moglie Livilla, la vedova del figlio di Tiberio, Druso, e nel 31 d.C. dichiarò Agrippina nemico pubblico e imprigionò i suoi due figli maggiori. Antonia, madre di Germanico, riuscì allora a risvegliare in Tiberio i sospetti verso Seiano che fu arrestato e giustiziato. Gli ultimi anni di governo di Tiberio non furono facili: scoppiò una grave crisi finanziaria e aumentarono i contrasti con il senato. → si aprì un periodo di terrore → Agrippina si suicidò e i suoi due figli maggiori furono uccisi. Rimanevano come successori Tiberio Gemello, figlio di Druso minore e Gaio, detto Caligola, unico sopravvissuto dei figli di Germanico. Tiberio nominò entrambi successori congiunti, ma alla sua morte, nel 37 d.C., il senato, riconobbe come unico erede il maggiorenne Caligola, che si impegnò ad adottare Tiberio Gemello, ancora minorenne che però fu eliminato lo stesso anno. Caligola (37-41 d.C.) L’impero di Gaio fu breve ed è ricordato per le stravaganze senza limiti. Il giovane imperatore era molto vicino alla plebe, in effetti si appoggiò al consenso dei pretoriani e della popolazione di Roma, inaugurando una politica di grandi spettacoli, donativi e grandi piani edilizi che portò all’esaurimento delle cospicue riserve finanziarie di Tiberio. Molto più freddo era l’atteggiamento del senato, un fatto che trova riflesso nel ritratto di Gaio lasciato da Svetonio. Le fonti imputano alla malattia mentale del princeps la sua inclinazione verso forme di dispotismo orientale e l’ondata di esecuzioni. Nella storiografia attuale si tende piuttosto a mettere in luce la tradizione familiare gentilizia dell’imperatore, che ereditava la linea di Antonio e di Germanico e faceva propri elementi della concezione orientale monarchica. → in questo contesto si fa discendere la decisione di fare uccidere il re Tolomeo di Mauretania, ultimo discendente di Antonio, per ragioni non note. → l’episodio diede inizio a una guerra che si concluse solo con Claudio, e con l’annessione del regno a Roma. In politica estera Caligola si curò di ripristinare in Oriente un sistema di stati cuscinetto grazie alla creazione di grandi amicizie con i sovrani: esemplare il caso della Commagene, che ridotta a provincia da Tiberio, venne restituita a un sovrano cliente; all’amico Erode Agrippa concesse ampi territori nella Galilea → Tuttavia fu proprio con gli Ebrei che nacque un aspro conflitto: l’imperatore volle porre una propria statua nel Tempio di Gerusalemme cosa che le popolazioni locali videro come sacrilego. La richiesta di Caligola fece scoppiare conflitti tra Ebrei e Greci nelle città della Giudea e dell’Oriente. Nel 41 d.C. Caligola cadde vittima di una congiura organizzata dai pretoriani → la sua morte evitò che scoppiasse il conflitto in Giudea. Il breve principato di Caligola costituisce un episodio premonitore dei rischi inerenti alla struttura stessa del Principato esposto ai rischi di involuzione autocratica e assolutistica. Claudio (41-54 d.C.) Neppure il successore di Caligola, suo zio Claudio ebbe il favore delle fonti antiche, ma in realtà il suo regno sembra contraddire questa presentazione. Claudio eseguì una grande riforma per la razionalizzazione del governo: l’amministrazione centrale fu divisa in 4 grandi uffici, un segretario generale e altri tre per le finanze, per le suppliche, e per l’istruzione di processi da tenersi davanti all’imperatore. A capo di questi dipartimenti furono chiamati liberti e per questo quello di Claudio fu ricordato come il regno dei liberti. Tale linea di razionalizzazione lo portò anche a trovare una soluzione ai problemi di approvvigionamento granaio e idrico: costruì il porto di Ostia che poteva ospitare le grandi navi che trasportavano Grano; l’organizzazione del servizio di distribuzione del grano fu tolto al senato e affidato al prefetto dell’annona; fu costruito un nuovo acquedotto e bonificata la piana del Fucino per avere nuove terre coltivabili in Italia. L’orazione tenuta da Claudio per la concessione ai notabili della Gallia Comata del diritto di accesso al senato ci mostra il suo interesse per le province che si può vedere anche con l’intensa opera di fondazione di colonie, insieme alla concessione della cittadinanza a molte popolazioni alpine e il gran numero di diplomi militari che certificavano la prassi di inserimento nella cittadinanza romana dei soldati che avevano prestato servizio nelle corti ausiliarie. Claudio inoltre dovette risolvere le situazioni lasciate aperte da Caligola: affrontò la guerra in Mauretania, a cui pose fine con l’organizzazione del regno in due province e anche la questione orientale fu oggetto di un suo intervento di modifica dell’assetto dei regni clienti istituiti da Caligola. I privilegi delle comunità ebraiche nelle città orientali furono ristabiliti tutelando allo stesso tempo le istituzioni delle poleis, per evitare conflitti. La preoccupazione di prevenire disordini e tumulti fu anche all’origine del provvedimento di espulsione degli ebrei da Roma. L’impresa militare più rilevante di Claudio fu la conquista della Britannia meridionale che fu ridotta a provincia. Il regno di Claudio è caratterizzato dagli intrighi di corte: Egli aveva sposato in terze nozze la dissoluta Messalina, da cui ebbe un figlio, Britannico →accusata di intrighi contro il marito, Messalina, fu messa a morte nel 48 d.C. e Claudio sposò allora la nipote Agrippina, la quale riuscì a fare adottare dall’imperatore il figlio avuto nel precedente matrimonio. Nel 54 d.C. Agrippina non esitò ad avvelenare Claudio pur di assicurare al figlio la successione al trono. La Società Imperiale Alla base vi doveva essere una differenza formalmente riconosciuta dello status giuridico delle persone → Augusto aveva distinto in maniera netta in senatori ed equites. Inoltre Augusto introdusse differenziazioni di prerogative e condizione anche dei ceti dirigenti dei municipi ma anche di altri gruppi: di coloro che godevano della cittadinanza romana rispetto ai provinciali liberi, dei liberti rispetto agli schiavi. Schiavitù Grandi quantità di schiavi erano impiegati nell’agricoltura anche se il fenomeno si andò riducendo in età imperiale, ma vi era anche una notevole presenza di schiavi domestici e schiavi, istruiti, nell’ambito dei servizi, come educazione e medicina. Una categoria particolarmente importante è costituita dagli schiavi imperiali impiegati nella gestione finanziaria e amministrativa del patrimonio imperiale e organizzati secondo vere e proprie gerarchie. Gli schiavi a capo di dipartimenti finanziari potevano raggiungere una grande ricchezza, anche superiore a molti esponenti del senato. Tuttavia ricchezza e potere non davano automaticamente accesso a un ceto superiore → attento a differenziare status giuridico da ricchezza. già dal 71 il figlio Tito, con il titolo di Cesare, indicando quindi il suo orientamento a favore di una trasmissione dell’Impero per successione dinastica. L’autorità del Princeps fu definita da un decreto del senato di cui conosciamo una parte del testo conservato ai musei Capitolini. Nel decreto vi è l’elenco di tutti i poteri del princeps, si tratta di una ricapitolazione e formalizzazione di tutte le prerogative dell’imperatore che erano state via via acquisite da Augusto e dai Giulio Claudi. Vespasiano dovette affrontare il deficit nel bilancio provocato da Nerone e dalle guerre civili → V. riuscì a risanare il bilancio: estese ai cavalieri la responsabilità di alcuni uffici della burocrazia, fece fronte alla crisi di reclutamento dovuta al peggioramento delle condizioni economiche dell’Italia, favorendo l’estensione della cittadinanza ai provinciali e reclutando sempre più spesso legionari dalle province + concessione del diritto latino alle città peregrine della Spagna e immissione in senato di molti membri dell’élite delle province orientali. Il denaro per la ricostruzione del Campidoglio (distrutto in un incendio durante la guerra con Vitello) e la costruzione del Colosseo e del Foro della Pace venne dal bottino di guerra, specialmente quella Giudaica: nel 70 Tito si impadronì di Gerusalemme e ne distrusse il Tempio, gli ultimi focolai di resistenza furono annientati con la distruzione delle ultime fortezze → conosciamo i particolari della guerra grazie allo storico ebraico Flavio Giuseppe. All’inizio del suo regno fu stroncata anche la rivolta di un capo batavo Giulio Civile che aveva dato vita a un impero Gallico lungo la valle del Reno. Vespasiano ristabilì l’ordine nelle zone di confine lasciate sguarnite dalle truppe sul Danubio e in Britannia. In Britannia ci fu un’espansione verso nord e verso oriente, opera portata a termine sotto Domiziano. Anche in Germania annetté l’area lungo i corsi superiori di Reno e Danubio che servì poi a Domiziano come base per la costruzione della fortificazione lungo il lines. In Oriente fu abbandonata la politica dei regni clienti, aggregandone i territori a province esistenti e creandone di nuove. Vespasiano riuscì a godere di un certo consenso e abbiamo notizia solo di un episodio di opposizione di senatori filosofi stoici e cinici che reclamavano una maggiore considerazione delle prerogative senatorie → Vespasiano mise a morte lo stoico Elvidio Prisco e bandì alcuni filosofi da Roma. Tito (79-81 d.C.) Per la successione Vespasiano seguì l’esempio di Augusto: Tito oltre a ricoprire insieme al padre alcune magistrature era stato anche eletto prefetto del pretorio nonostante fosse di rango senatorio e non equestre e già nel 71 aveva l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia, ma anche i titoli di Augusto e di pater patriae. Nel 79 alla morte del padre, l’avvicendamento avvenne senza problemi. Il breve regno di Tito fu funestato da grando calamità come l’eruzione del Vesuvio che vide morire Plinio il Vecchio. Domiziano (81-96 d.C.) La fama di Domiziano risente delle ostilità della tradizione storiografica. In realtà la sua azione politica fu efficace e benefica. Egli si occupò dell’amministrazione delle province, di reprimere gli abusi dei governatori e di promuovere i compiti burocratici del ceto equestre assegnando loro gli uffici che Claudio aveva dato in gestione ai liberti. La scelta di rinunciare a ulteriori conquiste a favore di operazioni di consolidamento della frontiera risultò lungimirante. Dopo una campagna nell’83 in Germania contro i Chatti, il territorio fu controllato tramite l’istaurazione di accampamenti fortificati, collegati tra loro da una rete di strade e con forti presidi di soldati ausiliari sul lines. In questo periodo fu segnata la linea di confine oltre il Reno, lungo la catena dell’alto Tauno, tra il fiume Lash e Meno, attraverso la costruzione di imponenti opere difensive che collegavano tra loro gli accampamenti. La linea avanzata aveva alle spalle una serie di Castra (accampamenti fortificati) in cui stanziavano legionari. → in tal modo Domiziano provvedeva alla sicurezza di tutta la zona a sud del limes. La parola limes cominciò ad assumere il significato di frontiera artificiale, in cui le strade limitanee servivano a collegare tra loro gli accampamenti e di fatto a disegnare la lenea di separazione tra l’Impero e i territori esterni. In alcune zone in oriente e Africa, l’articolazione delle strade militari e dei forti fu tracciata a rete. In altri casi, come nel caso del vallo di Adriano, o del vallo di Antonio in Britannia, il limes fu costituito da una linea di castra fortificati, collegati e difesi da un vero e proprio muro di pietra. Dall’85 si andò profilando il problema della Dacia, dove il re Decebalo aveva riunito le tribù e faceva opere di saccheggio in territorio romano. Una prima campagna non ebbe successo; la seconda non fu portata a termine con risultati definitivi a causa della rivolta di Saturnino, governatore della Germania superiore, che fu nominato imperator dalle sue legioni, sollevazione che costrinse Domiziano a concludere una trattativa di pace veloce con Decebalo: Decebalo non dovette cedere territorio, ma semplicemente doveva accettare di dipendere dall’Impero romano, ricevendo in cambio del denaro → le fonti ostili all’imperatore parlano a riguardo di pace comprata. La rivolta di Saturnino fu domata ma Domiziano si recò in Germania per punire severamente i rivoltosi. Anche nel periodo successivo, continuando a sentirsi minacciato, D. inaugurò un periodo di persecuzione ed eliminazione di persone sospette. Tale stile autocratico costò caro a Domiziano che nel 96 cadde vittima di una congiura. Il senato giunse a proclamare la damnatio memorie → furono abbattute tutte le statue di D. e cancellato il suo nome dalle iscrizioni. Il Sorgere del Cristianesimo Il cristianesimo nasce dall’ebraismo e scaturisce dalla predicazione di Gesù Cristo in Galilea. Le prime comunità sorsero infatti dopo la sua predicazione e all’annuncio della resurrezione dai morti. Bisogna ricordare che il cristianesimo iniziò come un movimento all’interno del giudaismo. Tra i diversi gruppi religiosi nel quale era diviso il giudaismo si distinguevano gli aristocratici e conservatori (i sadducei) e i popolari e liberali (farisei); a tali sette si aggiunge la comunità degli esseni un gruppo che conduceva un esistenza rigorosa. Le condizioni sociali e politiche dell’epoca non potevano riservare un grande futuro ai sadducei o agli zeloti (un partito di aggressivi rivoluzionari che cercavano l’indipendenza da Roma) → le rivolte ebraiche furono infatti domate e la Giudaica distrutta prima nel 66-70 con la distruzione del Tempio e poi nel 132-135 con la distruzione della stessa Gerusalemme. Per la maggior parte degli ebrei si trattava dunque di scegliere tra i farisei e il cristianesimo. I primi si dedicavano all’osservazione della legge di Mosè; i secondi seguivano la fede in Cristo come valida per tutta l’umanità. Il piccolo gruppo dei testimoni dell’insegnamento di Cristo si diedero presto alla predicazione della sua parola in Palestina ma anche in Antiochia, Efeso, Alessandria, Cartagine e Roma. Nel I secolo d.C. si impone la figura di Paolo di Tarso dove nelle sue lettere fa emergere la consapevolezza che l’idea di una missione universale della chiesa rivolta all’umanità implicava di fatto una rottura con il conservatorismo giudaico chiuso nella difesa delle idee e dei costumi delle varie sette. L’autorità romana aveva affrontato la questione giudaica senza distinguere tra i vari movimenti: Augusto aveva garantito la possibilità di conservare i propri costumi ancestrali, di predicare il proprio culto e di mantenere i legami con il tempio di Gerusalemme. In questo modo le comunità giudaiche nelle città dell’Impero non erano assimilate al resto della cittadinanza, ma avevano un profilo ben distinto. In diverse occasioni le comunità ebraiche furono avvertite come elemento estraneo. Con Tiberio gli Ebrei furono espulsi da Roma perché la diffusione di culti stranieri veniva vista in contrasto con il mos maiorum. Abbiamo visto come Caligola aveva causato una crisi grave nei rapporti con i giudei e tra questi e le popolazioni delle città greche. Claudio ristabilì i privilegi degli ebrei ma anche egli li espulse da Roma a causa di disordini fomentati da un certo Chrestus. Si tratta di un provvedimento in cui cristiani ed ebrei furono per la prima volta accumunati, anzi in cui gli ebrei vennero colpiti a causa del proselitismo cristiano. Con Nerone diventa evidente il contrasto tra l’autorità imperiale e la religione cristiana. Questa era considerata sovversiva e pericolosa per la religione tradizionale e il culto imperiale. Anche l’opinione pubblica non vedeva bene la nuova setta. Nerone approfittò di tale clima per imputare ai cristiani l’incendio del 64 d.C. e iniziò per la colpa dell’incendio una grande persecuzione dei cristiani (morirono anche Pietro e Paolo). Gli ultimi anni di Nerone videro anche la rivolta degli Ebrei in Palestina. Dopo che Vespasiano e Tito stroncarono la rivolta, distrutto il Tempio di Gerusalemme e annientati gli ultimi focolai di resistenza non furono poste limitazioni al culto. Ebrei e cristiani subirono invece l’ostilità di Domiziano che volle promuovere la figura del principe come rappresentante di Giove sulla terra. Così egli utilizzò a fini politici l’accusa di ateismo per fronteggiare l’opposizione anche dei membri della corte oltre che i senatori. Domiziano si sarebbe così accanito contro i cristiano per riacquistare il favore della parte tradizionalista del senato, di cui si era alienato ogni simpatia, con il clima del terrore degli anni precedenti. Non sappiamo se il fatto di praticare la religione cristiana fosse di per se reato → risulta preziosa la testimonianza di Plinio il Giovane che in una delle lettere che inviò a Traiano chiese al principe come dovesse comportarsi nei confronti delle comunità cristiane. Traiano prescriveva che i cristiani non dovevano essere ricercati, ma dovevano essere puniti solo se espressamente denunciati. Nel corso del II secolo il cristianesimo pose salde radici nell’Impero diventando un fenomeno non ignorabile. Nonostante l’atteggiamento moderato degli Antonini le denunce e le persecuzioni continuavano. Al contempo i cristiani facevano circolare le testimonianze del sacrificio dei martiri contribuendo a diffondere la fede cristiana. CAPITOLO 4: IL II SECOLO Il secondo secolo d.C. è considerato l’età più prospera dell’Impero Romano. Tale visione trova nelle fonti una conferma. La rinnovata stabilità dovuta in primis al fatto che al consanguineo dell’imperatore è preferito, per la successione, colui che in assoluto dà le maggiori garanzie di sapere meglio governare. L’adozione di Traiano da parte di Nerva avvenne in uno stato di necessità, quando la dichiarata fedeltà dei pretoriani a Domiziano rischiava di riportare alla guerra civile → l’adozione fu accolta favorevolmente dall’aristocrazia senatoria: il Panegirico di Plinio il Giovane è il segno eloquente di tale consenso. 1.Nerva Il breve principato di Nerva durato tre anni vide il tentativo di riassetto degli equilibri istituzionali interni. Per tale periodo ci basiamo sulla narrazione di Cassio Dione, su qualche passo di Plinio il Giovane e sulle epitomi di storia romana del IV secolo d.C.; anche se abbiamo anche altre fonti come le monete. La prima preoccupazione di Nerva fu controllare le reazioni all’uccisione di Domiziano: ottenne il giuramento delle truppe provinciali e abolì le misure più impopolari di Domiziano; l’accusa di lesa maestà fu sospesa e i delatori subirono la pena capitale. Dopo Nerva si volse a un’opera costruttiva di politica finanziaria e sociale: fu votata una legge agraria per assegnare lotti di terreno a cittadini nullatenenti e venne varato il programma delle “istituzioni alimentari” di cui abbiamo le prime attestazioni documentarie solo sotto Traiano. Tale programma consisteva in prestiti concessi dallo Stato agli agricoltori, che ne beneficiavano accettando di ipotecare i propri terreni. L’interesse dell’ipoteca serviva per sostenere i bambini bisognosi. Sempre per alleggerire l’onere finanziario, Nerva trasferì alla cassa imperiale il costo del cursus publicus, cioè del mantenimento delle strade e delle stazioni di cambio per i messaggeri imperiali. Va ricordata inoltre la riorganizzazione dell’approvvigionamento idrico di Roma, affidato a Sesto Giulio Frontino. Nel 97 si manifestarono sintomi di crisi: problemi sia economici che politici → gli sgravi fiscali accentuarono le difficoltà economiche già manifestatesi sotto Domiziano; su versante politico i pretoriani chiesero la punizione per gli assassini di Domiziano. Nerva acconsentì compromettendo la sua immagine e prestigio. L’unico modo per sedare la crisi era di designare un successore che fosse in grado di affermarsi anche militarmente contro i pretoriani → fu così che Nerva adottò il senatore, M. Ulpio Traiano, il governatore della Germania Superiore, uomo di grande esperienza politico-militare. Nel gennaio del 98, alla morte di Nerva, Traiano succedette come imperatore. Il prefetto del pretorio fu rimosso e giustiziato. 2.Traiano (98-117 d.C.) Traiano si recò a Roma solo nel 99 d.C. preferendo completare il lavoro di consolidamento del confine renano. Egli univa nella sua persona le caratteristiche di esperienza militare e il senso di appartenenza al senato. Queste due prerogative lo resero per l’opinione pubblica l’optimus princeps. Abbiamo frammenti di Cassio Dione, mentre altre notizie le troviamo nel Panegirico e nell’epistolario di Plinio il Giovane. Plinio esprime la popolarità che Traiano aveva nei confronti del senato. Il Panegirico è un manifesto che esprime le aspettative del senato riguardo al nuovo principato. Plinio cerca di delineare attraverso Traiano il modello di comportamento del buon princeps: egli avrebbe dovuto stabilire un clima di concordia con l’aristocrazia e il ceto equestre e soprattutto doveva dimostrare quelle qualità personali civili e militari che sole giustificavano la sua preminenza all’interno dello Stato. Tra i programmi di Traiano ampio spazio ebbe l’espansione territoriale: non si sa se le imprese di Traiano nella ricca Dacia e contro i Parti e in Arabia (strategiche perché attraversate dalla via di commercio per l’India) siano state determinate dalla volontà di trovare una soluzione militare dei problemi finanziari; Decebalo costituiva, d’altra parte, una minaccia per il confine danubiano e dunque le ragioni strategiche ebbero grande peso nella scelta di espandere il dominio provinciale romano. La Dacia fu ridotta a provincia e una notevole importanza ebbe il bottino della conquista e l’oro che arrivava a Roma dallo sfruttamento delle miniera daciche. Tale oro permise di avvicinare il valore reale del denario d’argento al suo valore nominale in rapporto con l’oro e dunque a favorire la stabilità di tale moneta. L’imperatore mostrò interesse anche per la frontiera orientale: si ebbe l’annessione del territorio dei Nabatei che determinò l’istituzione della provincia d’Arabia, corrispondente all’attuale Giordania e alla penisola del Sinai. Grazie a tale provincia Roma acquisiva il controllo della via commerciale di mare per l’India. Infine del 114 d.C. Traiano organizzò una campagna contro i Parti occupando l’Armenia, l’Assiria e la Mesopotamia. Nessuna di tali conquiste tranne quella Dacica ebbe fortuna → Traiano decise di abbandonare le nuove conquiste dopo che scoppiò una rivolta degli ebrei in Mesopotamia e estesasi fino a Cirene. governo fu di fatto in mano al prefetto del pretorio Perenne. Quando questi fu ucciso, il suo ruolo fu preso da un liberto Cleandro. Questi approfittò del disinteresse di Commodo per vendere i titoli di console e altre magistrature, per promuovere liberti nel senato e per rovesciare le decisioni dei tribunali in cambio di denaro. La necessità di rimpinguare le casse dell’Imperatore fu anche alla base dei processi di tradimento, con confisca di beni dei senatori; furono sospese le somme per i sussidi alimentari e per i donativi ai soldati. Una grave carestia fece poi cadere il potere di Cleandro che fu accusato di esserne il responsabile. Tra il 190 fino alla sua morte il potere fu allora affidato a un cortigiano Eclecto e al prefetto del pretorio Leto, che completarono il dissesto delle finanze e ordirono la congiura che mise al regime nel 192. Commodo non dimostrò cura per le province, né per i soldati che diedero segni di inquietudine e rivolta a causa dei mancati pagamenti. Il consenso interno era basato sulla plebe e sui pretoriani piuttosto che sull’aristocrazia e sul senato. Tuttavia nel principato di Commodo vi furono importanti fenomeni di integrazione della cultura provinciale con l’accoglimento di molte divinità straniere → si venne a creare così una sorta di carisma divino intorno a Commodo, che da parte sua decise egli stesso di proporsi come una divinità in terra. Questo suo atteggiamento, contrario alla tradizione romana e augustea, fu un ulteriore elemento di dissenso del senato. La tradizione filo-senatoria dipinse dunque Commodo come il peggiore dei tiranni, sprezzante nei confronti del senato e di Roma, propugnatore di un regime depravato e sanguinario, tanto che alla sua morte la sua memoria fu condannata e il suo nome cancellato da ogni monumento. 8. L’Economia Romana in Età Imperiale Uno dei fattori che caratterizzano la storia dell’Impero Romano è l’eccezionale fabbisogno alimentare di Roma, che con un milione di abitanti, merita l’appellativo di megalopoli. Anche se non disponiamo di cifre sicure, è verosimile che quasi un sesto della popolazione della penisola vivesse a Roma. La gestione del complesso dei servizi finalizzati al vettovagliamento di Roma era affidata alla prefettura dell’annona, gestita da un personaggio di rango equestre. Il servizio annonario coinvolgeva nelle sue disposizioni varie province e comportava un regolare afflusso di merci dal mare. Il fabbisogno di vino sarebbe ammontato nel I secolo d.C. a circa un milione e mezzo di ettolitri per anno. I vigneti di area tirrenica non erano sufficienti e si faceva ricorso alla produzione di province come la Gallia. Per il fabbisogno di grano si stima che vi fosse un consumo di circa 200.000 tonnellate ogni anno. E’ opportuno considerare la vasta gamma dei beni di cui vi era necessità in una città antica tanto popolata. Una domanda molto forte era alla base di un commercio su larga scala che necessariamente doveva sollecitare la produzione provinciale → le rotte marittime erano particolarmente utilizzate. E’ dunque ben comprensibile come le vie del commercio siano determinate dalla collocazione dei mercati e dei centri di produzione in grado di rifornire Roma. Lo stesso apparato statale rappresentò un incentivo importante per la produzione e circolazione di beni. In particolare l’esercito permanente assorbiva gran parte del bilancio dell’Impero e ne condizionava l’economia: con le sue esigenze e le capacità di spesa dei soldati attirava grandi quantità di derrate e di manufatti dalle coste del Mediterraneo. La forte presenza delle province sul mercato italico potrebbe avere determinato una crisi dell’agricoltura nella penisola, che trova riscontro in considerazioni moralistiche di alcune fonti (non sappiamo se ciò sia vero). Nelle province si andò realizzando l’incremento dell’area del mercato a spese dell’autoconsumo. L’intensificazione delle colture e la loro specializzazione sono riconducibili alla parallela organizzazione di aziende agrarie, di ville. La differenza rispetto all’Italia è che, data la minore incidenza nelle province del lavoro servile, la via percorsa da questo sviluppo non è quella della villa schiavista. La varietà delle situazioni regionali, di cui si era accennato per quanto riguardava l’Italia, si ritrova a maggior ragione nel più vasto ed eterogeneo contesto delle province, ciascuna delle quali ha la propria storia e il proprio sviluppo economico. Non sembra potersi mettere in dubbio l’esistenza di circuiti regolari di scambi soprattutto nel bacino del mediterraneo. Essi sono il risultato della raggiunta unità politica garantita dal sistema fiscale basato sulla moneta. Le necessità di approvvigionamento alimentare di Roma e l’annona militare sono due grandi fattori propulsivi del commercio in età imperiale. Il condizionamento che ne risulta per lo sviluppo delle economie provinciali è evidente. Il grado di sviluppo conosciuto dall’economia romana all’inizio dell’età imperiale appare di tali proporzioni da richiedere una categorizzazione a se stante. Se essa non conosce un livello propriamente capitalistico, va comunque considerata come una peculiare economia preindustriale. Il mancato sviluppo teconologico del mondo antico, attribuito al blocco mentale legato all’esistenza del lavoro servile, tende oggi a essere ridimensionato. La documentazione archeologica documenta il ricorso a sistemi di rotazione delle colture idonei a soddisfare una domanda accresciuta. Se nel mondo romano l’invenzione aveva poche probabilità di essere perseguita, l’innovazione, per rendere più efficienti i modi di produzione, era sicuramente recepita. PARTE QUINTA: CRISI E RINNOVAMENTO (III-IV SECOLO D.C.) CAPITOLO 1: LA CRISI DEL III SECOLO E LE RIFORME DI DIOCLEZIANO Già con Marco Aurelio e Commodo si erano manifestati fattori di crisi: in campo politico, il senato si trovò progressivamente esautorato in favore dei militari; in campo fiscale la svalutazione della moneta impoverì i ceti medi, portando con sé una crisi morale (sfiducia nei valori tradizionali). Tali elementi di crisi, che si aggravarono nel III secolo, condussero lo Stato romano a una situazione difficilissima. Due furono le componenti decisive di tale processo: l’esercito all’interno e i barbari all’esterno. L’accresciuta importanza dell’esercito, che si trovò nella condizione di nominare imperatori a suo piacimento, va messa in relazione con l’accentuata pressione dei popoli barbari. Ulteriore elemento di disgregazione era la situazione economica negativa, dovuta a un esercito sempre più esigente. Il bisogno di reperire risorse per le legioni determinò la crescita della pressione fiscale e l’inflazione: la perdita di valore della moneta. 1.Tendenze Assolutistiche Il nuovo ruolo dell’esercito trasformò l’ideologia del potere imperiale verso forme sempre più assolutistiche. Cambia il rapporto dell’imperatore con il senato: ormai l’imperatore riconosce al senato un ruolo meramente burocratico, e la sua autorità assoluta dipende sempre più dall’appoggio dell’esercito. Gli imperatori militari di origine illirica, proclamati dagli eserciti, cercano di far fronte alla situazione, ma risultano estranei alla tradizione del regime senatorio. L’adozione del culto solare da parte di questi imperatori è sintomo dell’importanza anche ideologica ormai assunta dall’esercito (il culto del dio Sole era diffuso tra l’esercito). 2.Cristianesimo È proprio la crisi morale dell’impero, nel quale si diffonde una sfiducia nei valori tradizionali, che favorisce il manifestarsi di nuove tendenze religiose. Il III secolo vede il costituirsi delle strutture primitive della Chiesa cristiana anche se vi era ancora avversione da parte dell’autorità politica → nel 250 d.C. il potere imperiale scatenò la prima grande persecuzione sistematica dei cristiani. 3.La Dinastia dei Severi Dopo l’uccisione di Commodo (192) ci fu un periodo di regni effimeri: Pertinace tentò una restaurazione del potere in senso filo-senatorio; Didio Giuliano cercò di sostenersi appoggiando le richieste dei Pretoriani. Era chiaro che la vera lotta per il potere riguardava chi aveva il controllo delle forze militari più ingenti: competizione tra Settimo Severio, legato della Pannonia Superiore, Pescennio Nigro, governatore della Siria e Clodio Albino, governatore della Siria. Settimo Severo la spunta nel 197 e mosse con i soldati verso Roma → diede vita a una dinastia che regnò fino al 235 d.C. + ha inizio con lui una monarchia militare, nella quale l’autorità dell’imperatore si basa sulla forza degli eserciti. Settimo Severo si occupò sin da subito della frontiera orientale minacciata dai Parti ed ebbe successo da questa campagna riuscendo ad assediare la capitale e a portare il confine fino al Tigri. Tuttavia i suoi obiettivi erano soprattutto propagandistici → fu proprio grazie a tale successo che prese forma il suo progetto dinastico: l’esercito proclamò Augusto il figlio, Antonino (detto Caracalla); allo stesso tempo, il figlio minore, Geta, fu proclamato Cesare → i due avrebbero dovuto governare insieme. Negli anni successivi non vi furono altre campagne militari → solo nel 208 si decise una spedizione in Britannia, dove la situazione era resa precaria dalle incursione delle tribù dei Caledoni. L’operazione di difesa dei confini non si era ancora conclusa quando nel 211 d.C. Severo trovò la morte a York. Settimo Severo basò il suo potere sulla fiducia degli eserciti e non a caso, durante il suo regno fu aumentato il soldo, la paga dei soldati, ai quali erano stati concessi anche altri privilegi. Il carattere assolutistico del regno di Severo è confermato dal fatto che ci fu un enorme estensione dei suoi beni personali, che finirono per non essere più distinguibili da quelli dello stato. A Settimo successero i figli Caracalla e Geta → ma tale diarchia non durò perché Caracalla fece fuori il fratello. Il nome di Caracalla è legato ad un importante provvedimento: nel 212 egli dispose la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero a eccezione dei dediticii (coloro che si sono arresi, i barbari non ancora assimilati). Alla base dell’editto di Caracalla non vi fu solo una legalizzazione di una trasformazione di fatto della società romana (il superamento della distinzione tra italici e provinciali), ma giocavano probabilmente anche ragioni Diocleziano nel governo dell’Oriente) vennero eletti solo nel 293. Una delle conseguenze di questo nuovo sistema è che ciascun Augusto esercitava il suo governo alternativamente sull’Oriente e sull’Occidente. Roma cessa di essere residenza dell’Imperatore: Diocleziano a Nicomedia e Massimiano a Milano. Lo sforzo di Diocleziano fece crescere la burocrazia statale, consistente in uomini al diretto servizio del sovrano, le cui funzioni erano rigorosamente distinte da quelle militari. L’esercito fu potenziato e le truppe migliori furono messe a disposizione dei tetrarchi. Il numero delle province aumentò e si riduceva l’estensione del loro territorio per evitare che governanti potenti potessero rivoltarsi al potere costituito. Diocleziano si impegnò anche nella riorganizzazione del sistema economico e fiscale con una tassa che si basava sul reddito agricolo con un calcolo che si fondava su di una particolare base imponibile che teneva conto del rapporto tra terra coltivabile e numero di coltivazioni. Per semplificare il calcolo l’Impero fu diviso in dodici diocesi → così l’Italia perse il suo privilegio di non far parte del sistema provinciale e fu equiparata alle altre regioni dell’Impero. Per quanto riguarda la riforma monetaria va tenuto presente che il denario era di fatto ormai una moneta di bronzo appena rivestita d’argento il cui valore era imposto per legge dallo Stato. Diocleziano coniò monete in oro e argento di ottima qualità, ma queste scomparvero perché la gente preferì tesaurizzarle. Per bloccare la continua ascesa dei prezzi Diocleziano impose dei prezzi massimi per ogni bene. Lo spirito conservatore di Diocleziano si vede anche nei due editti che riguardavano la tutela del matrimonio e la messa al bando della setta dei Manichei. In campo militare vi fu la soppressione di rivolte scoppiate in Britannia e Egitto; nel 208 il Cesare Galerio impose ai persiani una pace gravosa dopo un ottima campagna. Nel 305 Diocleziano e Massimiano abdicarono lasciando il posto ai due Cesari che a loro volta ne nominarono altri due: Severo e Massimino Daia. Il sistema tetrarchico entrò però subito in crisi: la morte di Costanzo Cloro nel 306 fece si che l’esercito proclamasse imperatore il figlio, Costantino. Era la rivincita del principio dinastico, non a caso anche il figlio di Massimiano, Massenzio rivendicò per sé il trono imperiale. Diocleziano aveva promosso un’intensificazione del culto imperiale facendosi chiamare Iovius. La persecuzione contro i cristiani iniziò verso la fine del suo regno, quando la Chiesa cristiana, che godeva ormai da tempo di una situazione di pace, aveva molto consolidato le proprie strutture. Le vicende di questa nuova persecuzione sono legate a quelle della Triarchia. In Occidente la persecuzione cessò subito; in oriente essa fu cruenta e durò diversi anni. La fine della persecuzione fu ordinata da Galerio, esse però proseguirono dopo la sua morte nelle regioni sottoposte al governo di Massimino Daia e poterono dirsi concluse solo con la vittoria conseguita su di lui da Licinio nel 313 d.C. CAPITOLO 2: DA COSTANTINO A TEODOSIO MAGNO: LA TARDA ANTICHITA’ E LA CRISTIANIZZAZIONE DELL’IMPERO 1.Un Età di Rinnovamento e non di Decadenza Il periodo che inizia con Costantino e arriva fino a Giustiniano merita un posto a sé. Oggi è inaccettabile considerare questo periodo come un periodo di decadenza ed è per questo che la terminologia Basso Impero (per riferirsi a tale periodo) è stata sostituita dal termine Tarda Antichità. Due concetti sembrano caratterizzare in senso negativo questo periodo: quello di Dominato e quello di Stato coercitivo con riferimento a una società in cui la divisione tra poche categorie privilegiate, gli Honestiores e la grande massa dei deboli, Humiliores, è sempre più netta. Le implicazioni di queste definizioni, che tengono conto solo di alcune componenti, sono eccessive soprattutto se impiegate meccanicamente. Oggi il pregiudizio può considerarsi superato. All’interno di quest’età si distingue una fase particolarmente significativa che inizia con Costantino e arriva alla morte di Teodosio I (395), il IV secolo. L’impero uscito dalle riforme di Diocleziano e Costantino è tuttavia effettivamente diverso rispetto al passato: le esigenze dello Stato sono tali da imporre una più forte pressione sulla società. L’irrigidimento che ne scaturisce investe ogni settore. Il governo dello Stato è diretto dai detentori delle più alte cariche civili e militari. C’è poi il dato di fatto dell’allontanamento dell’Imperatore dalla città di Roma che comporta un distacco dell’aristocrazia senatoria dagli organismi di potere. Nel IV secolo si assiste alla scomparsa dell’ordine dei cavalieri che confluisce in quello senatorio; Roma e il senato esercitano ancora grande attrattiva ma i rapporti di forza sono cambiati. Il senato non ha più un potere reale anche se le tappe della carriera senatoria rimangono, ma si tratta ormai di magistrature che non implicano alcuna capacità decisionale → ai questori e ai pretori viene ormai solo affidato l’onre di organizzare i giochi per la plebe e il consolato ormai rappresenta solo un titolo onorifico. Nella Tarda Antichità il rapporto con la plebe urbana di Roma è delicato: l’organizzazione dei giochi e l’approvvigionamento alimentare della città, ricade sulle principali famiglie senatorie. La legislazione, che vuole vincolare alla loro condizione, o lavoro, ampie categorie di persone, è un monumento importante della lotta dell’Impero per garantire la propria sopravvivenza. Ma sarebbe sbagliato trarne drastiche conseguenze per la situazione economica che lungi dal presentare caratteristiche pre- feudali, è ancora vitale anche se vi sono rilevanti differenze tra regione e regione. La pressione fiscale è certamente un fattore negativo, cui è da ricondursi l’affermazione del colonato (la condizione degli agricoltori vincolati per legge ai rispettivi fondi). La società che si va formando non è però immobile perché possibilità di ascesa sono fornite proprio dalle necessità dello Stato, nell’amministrazione come nell’esercito →la cultura, la scuola sono canali notevoli in questo senso. 2.Costantino Dopo la morte di Costanzo Cloro, con l’elezione di suo figlio Costantino e del figlio di Massimiano, Massenzio si registra il fallimento del tentativo tetrarchico. Costantino condusse inizialmente una politica prudente, successivamente la situazione si semplifica. Mentre Galerio moriva nel 311, Costantino ebbe la meglio su Massenzio, nel 312, nella battaglia del ponte Milvio sul Tevere e così poté impadronirsi di Roma. Questa vittoria ha un significato che trascende la storia politica, perché essa fu ottenuta nel segno di Cristo. La conversione di Costantino fu un evento straordinario perché significò l’inserimento delle strutture della Chiesa in quelle dello Stato. La conversione di Costantino avvenne probabilmente subito dopo la vittoria su Massenzio e non prima. Dobbiamo immaginare Costantino come un uomo dotato di grande ambizione e dominato dal senso imperativo di una missione → in tale prospettiva sono spiegate le ragioni alla conversione al cristianesimo di Costantino: il monoteismo cristiano era la religione più adatta a rispondere alla sua esigenza. Nel 313 Licinio e Costantino si incontrano a Milano dove si accordano sulle questioni fondamentali di politica religiosa. Questo accordo fu solo preludio ai contrasti tra i due: lo scontro finale si ebbe nel 324 con la vittoria di Adrianopoli → Costantino diventa unico imperatore. Già nel 314 Costantino convocò ad Arles un sinodo con 33 vescovi, nel tentativo di sanare il contrasto che si era aperto in Africa tra i rigoristi e i moderati a proposito dell’atteggiamento da tenere nei confronti di coloro che avevano rinnegato il cristianesimo durante le persecuzioni dioclezianee. → Costantino fu sempre preoccupato di tutelare l’unità della Chiesa come mostra anche la convocazione del concilio di Nicea del 325 → il problema in questo caso era di natura teologica: Ario negava la natura divina di Cristo, cosa che implicava un indebolimento della funzione della Chiesa. Allo scopo di rendere più efficiente l’amministrazione provinciale le diocesi, furono raggruppate in 4 grandi prefetture (Gallie, di Italia e Africa, dell’Illirico e dell’Oriente), rette ciascuna da un prefetto del pretorio. Le diocesi a loro volta riunivano al loro interno più province. Tra le conseguenze della vittoria di Adrianopoli ci fu la fondazione di Costantinopoli. Le motivazioni per questa fondazione sono molteplici: -l’intenzione dell’imperatore di creare una capitale libera da ogni contaminazione pagana; -Roma non era più la sede ufficiale di residenza dell’imperatore; -Dopo la crisi del III secolo si ritenne necessaria una diversa dislocazione del potere imperiale; -Allestimento di una nuova capitale a Bisanzio era un riconoscimento all’importanza dell’Oriente; Costantinopoli si dotò negli anni di tutte le strutture che la dovevano equiparare a Roma: ebbe anche un senato che però non conseguì mai il prestigio di quello romano L’idea che Costantino aveva della sua funzione di imperatore era tale: la sua teologia politica è incentrata sulla figura del primo imperatore cristiano; l’imperatore è presentato come vescovo di coloro che si trovano al di fuori della Chiesa, dei laici. Tuttavia, il mantenimento di usi tradizionali è tollerato a condizione che non sia in contrasto inconciliabile con i principi cristiani. Tra le riforme ricordiamo quella dell’esercito: creazione di un consistente esercito mobile, detto comitatus (accompagnava l’imperatore); i soldati che ne facevano parte erano più ricchi e ben pagati dei semplici soldati di frontiera. Il problema militare non fu però superato, l’esercito mancava di soldati. Allora si ridusse l’altezza minima per il reclutamento, si incrementò la caccia ai disertori, si rafforzò l’ereditarietà della professione militare, si concessero privilegi ai veterani per attirare volontari. Ma poiché le varie categorie di lavoratori erano a loro volta vincolate alla loro condizione, i soldati finivano per essere reclutati sempre più tra i barbari. La minaccia barbarica era così ampia da non permettere soluzioni definitive: lo stato da un lato combatteva i barbari, dall’altro mediante una politica di assorbimento cercò di contrastare la minaccia barbarica, ma ciò portò a una progressiva barbarizzazione della società. Due battaglie decisive sono ricordate: la vittoria di Giuliano Cesare a Strasburgo nel 357 contro gli Alamanni e il tragico episodio della sconfitta di Adrianopoli del 378 quando l’imperatore Valente fu sconfitto dai Goti, portando successivamente Teodosio a dover firmare un trattato nel 382 con il quale i Goti erano accettati ufficialmente in Tracia e in altre regioni. 3.La Morte di Costantino e la Fine della Dinastia Costantiniana Costantino ricevette battesimo solo in punto di morte perché ciò era considerato un modo per essere sicuri di accedere in paradiso. Significative le disposizioni di Costantino per la sepoltura. Nella Chiesa dedicata ai santi apostoli egli aveva fatto collocare dodici cenotafi e al centro c’era un sarcofago riservato a lui, l’imperatore isoapostolo che peraltro moriva conservando, almeno formalmente, la carica di pontefice massimo, capo supremo della religione pagana. Sorprende come Costantino non abbia affrontato in modo coerente il problema della successione: solo a livello di ipotesi si può supporre che con la creazione di più prefetture del pretorio egli prevedesse per ciascuna uno dei suoi figli e forse anche dei due nipoti. Vi era insomma un clima di incertezza. La partecipazione ai figli alla dignità imperiale lasciava intravedere la possibilità di una pluralità di sovrani (a mo di triarchia), ma non vi era reale chiarezza a riguardo. Un collegio imperiale, in realtà, era poco plausibile perché Costantino aveva concepito la sua missione come un ristabilimento dell’unità dell’Impero attraverso il regno di un solo imperatore. Probabilmente il ruolo di primo Augusto doveva essere riservato a Costantino II. La scelta dei soldati era a favore di una successione dinastica → alla morte di Costantino Dalmazio e Annibaliano, nipoti di Costantino, furono eliminati. Costantino II, Costante e Costanzo (i figli) raggiunsero un accordo per il governo congiunto dell’Impero, ma esso si rivelò precario: nel 340 Costatino II pagava con la vita l’incursione compiuta nei territori affidati al governo di Costante, quest’ultimo moriva a sua volta nel 350 per mano dell’usurpatore Magnenzio. Rimasto unico imperatore Costanzo II fu costretto a cercare un collega a cui affidare l’Occidente: la scelta cadde sull’unico sopravvissuto in ragione della sua tenera età, il cugino Giuliano. Giuliano nominato Cesare riuscì a garantire la sicurezza delle Gallie contro gli Alamanni. La sua proclamazione imperiale da parte dell’esercito nel 360 presagì una nuova lotta fratricida tra i due imperatori. Ma tale lotta fu prevenuta dalla morte repentina di Costanzo. Giuliano regnò come imperatore unico per 18 mesi, fino al 363 quando morì durante una campagna contro i Persiani. Il suo regno è ricordato per un tentativo di reintrodurre la religione pagana. Giuliano aveva ordito un programma di ampio respiro che aveva i capisaldi in un’amministrazione efficiente e onesta e nella rivitalizzazione del ruolo delle città. Tuttavia, tale progetto si scontrò con due difficoltà: (1) guerra contro i Persiani (2) le tensioni dovute al suo progetto di restaurare il paganesimo che determinò resistenze e attriti anche tra gli stessi pagani. Il turbolento periodo trascorso da Giuliano ad Antiochia è indicativo. La città soffriva di una crisi economica determinata dalla speculazione dei proprietari terrieri che era aggravata dalla concentrazione dei soldati. Lo stile austero di Giuliano provocò una grave crisi tra lui e gli Antiocheni che furono felici di vederlo partire. Giuliano è passato alla storia con l’epiteto infamante di apostata cioè di rinnegato dai cristiani. Si estingueva così nel segno della sconfitta, della divisione e del conflitto religioso la dinastia costantiniana. 4.Dalla Morte di Giuliano a Teodosio Magno Per quanto riguarda la situazione politica, nel IV secolo l’Impero mantiene una relativa stabilità interna →Fino alla morte di Teodosio nel 395 l’unità è preservata. La morte di Giuliano richiese la nomina di un successore e una rapida soluzione del conflitto in Persia. Ci fu un breve regno di transizione di Gioviano che condusse alla pace non onorevole con i persiani. Nel 364 fu eletto imperatore Valentiniano che accostò subito al potere il fratello Valente a cui affidò l’Oriente → tale decisione rappresenta una scelta importante sulla strada che successivamente conduce alla separazione della parte occidentale dell’Impero da quella orientale. Valentiniano decise di risiedere a Treviri mentre Valente a Costantinopoli. Valentiniano si distinse per una politica di tolleranza religiosa e sostegno delle classi umili; ma il suo regno è ricordato per un efficace resistenza contro i barbari → riuscì a stabilizzare il confine renano-danubiano e riuscì addirittura a stabilizzare le frontiere. Alla sua morte, nel 375, gli succedette il figlio Graziano e fu proclamato Augusto anche il fratello minore Valentiniano II anche se aveva solo 4 anni. PARTE SESTA: LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE E BISANZIO CAPITOLO 1: LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE 1.L’Impero Romano e i Barbari Attorno alla metà del IV secolo i Goti erano riuniti in due tribù i Greutungi (a est del Dniester) e i Tervingi ( a ovest dello stesso fiume). Per buona parte del secolo IV le relazioni con i romani erano condizionate dal trattato di pace di Costantino del 332 d.C. che faceva dei Tervingi uno stato-cliente di Roma. Tale trattato poneva le condizioni per l’impiego dei barbari Goti come soldati di Roma. La situazione andò peggiorando quando i vari regni Goti subirono la pressione degli Unni → tale pressione spiega perché i Tervingi facessero richiesta di essere accolti in Tracia. L’accordo allora stipulato con i Goti, autorizzati a insediarsi nell’Impero in cambio di disponibilità di soldati barbari, rappresenta una novità nella politica romana perché non scaturisce da un successo militare. Infatti la condizione per l’immissione di popolazioni straniere nei confini era sempre stata subordinata alla possibilità di potere esercitare stretto controllo su tali popolazioni (e un controllo del genere derivava solo da una sconfitta delle stesse popolazioni). Il disastri di Adrianopoli del 378 è una delle pagine più drammatiche e le sue conseguenze sono decisive. Il trattato del 382 finì per consentire definitivamente l’ingresso dei Goti in Tracia. L’integrazione di popolazioni è sempre stata una prassi usuale a Roma, ma è soprattutto nel settore militare che si nota una presenza sempre più massiccia di Germani. Il processo per cui le popolazioni barbariche erano state insediate era iniziato con Marco Aurelio → da questo momento in poi gli imperatori si appoggiarono sempre più spesso sulle truppe germaniche. L’influsso dei Germani sulla politica romana si basa sulla loro posizione guadagnata nelle gerarchie militari: nell’esercito le possibilità di carriera si basavano solo sulle capacità personali e il favore imperiale. L’esclusione dei senatori dai comandi militari cambiò inoltre la base sociale di reclutamento degli ufficiali. L’impiego di barbari risale la prima volta a Marco Aurelio; Costantino fu il primo a fare insediare alcuni nuclei di barbari dentro i confini→ già dagli anni successivi sono attestate assegnazioni di terre anche in Italia; dunque, Italia centrale e settentrionale conobbe nel corso del IV secolo una serie di accantonamenti di barbari come risultato di accordi pacifici. La caratteristica di questi accantonamenti è di avvenire sulla base di gruppi etnici compatti. La regolarità di tale prassi sembra essere alla base di una legge con la quale si raccomanda di impedire che i barbari occupino un’area di terra pubblica maggiore a quanto loro consentito. Solo eccezionalmente veniva concessa la cittadinanza romana. Almeno fino alla disfatta di Adrianopoli sembra chiara la volontà di reclutare i barbari da una parte ma allo stesso tempo mantenere l’estraneità tra barbari e Romani: in un primo momento si cercò anche di impedire le unioni miste. In Oriente e Occidente ci fu un trattamento diverso: in Oriente il problema barbarico aveva connotazioni di carattere religioso, in Occidente aveva connotazioni più politico-sociali. 2.Cristianesimo e Mondo Barbarico In considerazione particolare si deve tenere la risposta della Chiesa alla questione barbarica. Per quanto riguarda i matrimoni misti la Chiesa si limitava solo a sconsigliarli unicamente a causa della disparità di culto. Le delibere conciliari non trattano i barbari come tali, ma solo indirettamente quando trattano di eresie. Un buon esempio è fornito da una lettera inviata da Ambrogio al vescovo Vigilio appena insediato a Trento. Ambrogio assume una posizione molto dura contro i barbari e i matrimoni misti. Tuttavia l’atteggiamento di Ambrogio muta quando deve intrattenere relazioni con alte personalità barbariche: quando sono in gioco questioni politiche egli prescinde dalla fede religiosa. Tre leggi emanate dal figlio e successore di Teodosio in Occidente, Onorio (tra fine del IV e inizio del V) comminano gravi pene a chiunque assuma modi di vestire dei barbari. La maggior presenza di barbari nell’Impero è d’altra parte un effetto della politica teodosiana →il risultato più rilevante del trattato del 382 fu quello di far si che i Goti fossero insediati da Teodosio nella zona di frontiera danubiana nella Mesia Inferiore e in Tracia. L’aspetto delicato di tale insediamento fu il fatto che i Goti erano tenuti a mantenere la loro struttura tribale all’interno dell’Impero. 3.La Divisione dell’Impero; Stilicone Dopo la morte di Teodosio ci fu un momento decisivo per la storia dell’Impero: la divisione territoriale di fatto dell’Impero tra i suoi figli Arcadio (Oriente) e Onorio (Occidente). Si crearono anche due corti, due amministrazioni e due eserciti del tutto autonomi. Da questo momento l’ideologia unitaria fu piegata agli interessi che di volta in volta riguardavano ciascuna delle due parti. L’esito di tale smembramento fu disastroso per l’Occidente minacciato dai barbari. Nelle intenzioni di Teodosio il principio unitario doveva essere mantenuto vivo dal generale Stilicone cui fu affidata la tutela dei suoi figli. Il compito di Stilicone però era impossibile da realizzare per l’aggravarsi della situazione militare. Nel 398 Stilicone riuscì a reprimere una rivolta in Africa ma dopo una serie di invasioni barbariche scosse l’Impero fino alle fondamenta. Nel 402 e nel 406 l’Italia fu invasa dai Goti e Stilicone riuscì a fermarne l’avanzata in entrambi i casi. Alla fine del 406 la frontiera renana fu travolta da numerose popolazioni germaniche che dilagarono verso la Gallia meridionale. Mentre la Britannia si staccava definitivamente dall’Impero, Vandali, Alani e Svevi varcarono i Pirenei e si stabilirono in Spagna. In una situazione del genere Stilicone fu costretto a trovare il compromesso con i Goti che minacciavano direttamente l’Italia. Il suo piano suscitò una violenta reazione della corte imperiale che nel frattempo si era trasferita a Ravenna. Lo stesso Onorio si scierò contro Stilicone che accusato di intesa con i barbari fu meso a morte nel 408 d.C. 4.Il Sacco di Roma Le conseguenze di questo atto furono negative. L’Italia fu abbandonata alla mercè di Alarico (Goti) che nel 410 entrò a Roma e la saccheggiò → fece scalpore e i pagani diedero subito la colpa ai cristiani. Dopo Alarico si diresse verso il sud Italia portando con se come ostaggio la sorella dell’Imperatore Onorio, Galla Placida. La morte improvvisa di Alarico risparmiò ulteriore distruzione all’Italia: i Goti infatti si ritirarono in Gallia meridionale dove dettero vita a uno Stato. Il successore di Alarico, il cognato Ataulfo, sposò Galla Placida. Ataulfo fu poi costretto a trovare una nuova patria per il suo popolo e si diresse oltre i Pirenei dove fu poi assassinato. In questo periodo di disgregazione un ruolo importante fu svolto dal generale Flavio Costanzo che sposò Gallia Placida. Nel 421 Costanzo si fece proclamare imperatore, ma morì in autunno ed è così che salì al trono suo figlio Valentiniani III. Era il successo della dinastia Teodosiana che tornava alla ribalta. Valentiniano era un bimbo ed era Galla Placida a reggere le sorti dell’impero insieme al generale Ezio che perseguiva la stessa politica di utilizzazione dei barbari. 5.Vandali e Unni Nei primi decenni del V secolo abbiamo la centralità di popolazioni barbare che però non riuscirono a stabilizzarsi con forza. I Vandali posero fine all’Africa Romana → in breve tempo occuparono un lungo tratto della costa africana: nel 430 mentre assediavano la città di Ippona morì il vescovo sant’Agostino e nel 439 cadde anche Cartagine e il re Vandalo Genserico ottenne il riconoscimento del suo regno da parte della corte ravennate. Tuttavia il regno Vandalo non riuscì a organizzarsi su basi stabili → privo di una forte coesione tale regno resse per poco più di un secolo: fu conquistato da Giustiniano nel 534 e inglobato all’Impero d’Oriente. Contemporaneamente dalla Pannonia incombeva il pericolo Unno, guidato da Attila. Dopo aver tentato di penetrare in Grecia si volsero verso il più debole Occidente di Valentiniano III. Dopo aver invaso la Galli furono sconfitti da Ezio nel 451. Quando Attila nel 452 mosse alla volta dell’Italia si verificò un evento inatteso. Gli Unni forse anche perché minacciati da Bisanzio, lasciarono improvvisamente la penisola dopo aver incontrato nei pressi del Mincio una delegazione guidata da Papa Leone I. la morte di Attila avvenuta l’anno dopo, provocò la rabida dissoluzione del suo regno. 6.La Fine dell’Impero Romano d’Occidente La situa rimaneva precaria. L’Impero inoltre si privò del suo più abile difensore: Ezio fu ucciso nel 454 dopo essere caduto in disgrazia presso Valentiniano. Valentiniano stesso fu assassinato l’anno dopo. Nel 455 Roma fu saccheggiata la seconda volta ad opera del re dei Vandali Genserico con cui Valentiniano III aveva concluso un trattato che gli riconosceva il diritto di stabilirsi nelle province romane dell’Africa settentrionale. Petronio fu ucciso dalla folla e fu eletto imperatore Eparchio Avito, di origini galliche che fu deposto poco dopo e consacrato vescovo a Piacenza. Maggiorano, imperatore tra 457 e 461, fu l’ultimo reggente a tentare una reazione. Dopo di lui sul trono di Ravenna si succedettero imperatori sempre più effimeri e privi di potere reale, in balia dei vari contingenti barbarici che di volta in volta li proclamavano imperatori. Maggiorano fu eliminato da un generale barbaro. L’imperatore voluto da Costantinopoli, Antemio fu assediato a Roma dal generale Ricimeno e da un candidato da lui sostenuto, Olibrio. Scomparsi Ricimeno e Olibrio, dopo un periodo di vacanza sul trono imperiale, l’Imperatore d’Oriente, Zenone, nominò imperatore Giulio Nepote. Contro Nepote si ribellò un altro generale, Oreste. Formalmente la fine dell’Impero Romano d’Occidente si ebbe nel 476 quando Romolo, detto Augustolo, il figlio che Oreste aveva insediato sul trono imperiale, fu scacciato da un capo barbaro, lo sciro Odoacre. Quest’ultimo rimise le insegne del potere a Zenone, accontentandosi del titolo del re del suo popolo. Cadde così senza rumore l’impero d’Occidente. 7. Sant’Agostino e il Problema della Caduta dell’Impero Romano La caduta dell’impero romano rappresenta un modello paradigmatico per ogni fenomeno analogo di decadenza di grandi imperi. Ci sono due tipi di spiegazioni: quella monocasuale che punta a individuare una ragione fondamentale; e quella pluricausale che privilegia la ricerca di fattori che in parallelo possono aver causato il declino dell’Impero. Il problema della fine dell’Impero era già avvertito dai contemporanei. Agostino, vescovo di Ippona, in Africa si trovò nella necessità di rispondere all’attacco frontale recato dai pagani con le loro tesi sulle responsabilità dei cristiani. A Cartagine, inoltre, Agostino affrontò un confronto intellettuale con i sofisticati esponenti delle elite colta presente nella città africana e dovette far fronte alle incertezze dei cristiani da poco convertiti. Il pericolo era che costoro tornassero alle pratiche sacrileghe. Ma prima di tutto veniva la città, non in senso di Stato, ma quello di comunità, di collettivo di quanti possono appartenere per scelta a Dio o al demonio. Ne ‘Sulla città di Dio’ Agostino mette a confronto la città terrena e quella celeste. Queste non possono essere identificate, a rigore, con Roma e la Chiesa, ma elementi dell’una e dell’altra sono ben presenti in entrambe. E’ lecito pensare a riguardo ad una critica che Agostino fa alla vanagloria terrena, alle situazioni molto diffuse in Africa dove donazioni di vario tipo altro non implicavano se non la ricerca di gloria tra gli uomini. Agostino avverte come nella città terrena sia immanente la volontà di sopraffazione → è quindi lo stesso impero romano a costituire un problema, perché la formazione di un dominio universale corrisponde a un disegno di Dio. Agostino è in imbarazzo perché deve ammettere che il potere romano sul mondo ha avuto la sua sanzione celeste. Ma per quanto la grandezza dei romani non possa essere stata ne fortuita ne fatale, egli respinge in linea di principio le motivazioni imperialistiche: gli ampliamenti territoriali , che si fondano su sopraffazione e ingiustizia, sono sempre da condannare. CAPITOLO 2: I REGNI ROMANO-BARBARICI 1.Il Regno di Teodorico in Italia Mentre la penisola rimaneva sotto il controllo di Odoacre, Zenone (imperatore d’Oriente) ricorse a popolazioni barbariche alleate per porre rimedio alla situazione → Così il re dei Goti, Teodorico, scese in Italia nel 488 e poco dopo sconfisse Odoacre →Inizia regno ostrogoto in Italia. Gli Ostrogoti erano una minoranza ristretta ma avevano un grande peso politico e sociale (ricadevano in proporzione elevata all’interno del ceto dei possessori). Teodorico voleva collaborare con i romani per questo emana una serie di leggi con il quale cerca di regolare i rapporti tra le due comunità etniche su base egualitaria. Teodorico ammirava il mondo romano e per questo si circondò di collaboratori provenienti dall’aristocrazia romana; inoltre si nota una notevole attività dispiegata da Teodorico nell’edilizia → fece restaurare molti monumenti, soprattutto nella capitale Ravenna. Nel complesso il regno di Teodorico rappresenta un periodo positivo per l’Italia → anche l’economia mostra segni di ripresa. Presto però la collaborazione tra Goti e Romani si dimostrò impraticabile: i Goti erano di religione ariana e a lungo andare le differenze tra le due confessioni cristiane ebbero il sopravvento sulla tolleranza voluta inizialmente da Teodorico nei confronti dei cattolici. A un certo punto sembrò che si realizzassero le condizioni per una convergenza antiariana di cattolici e bizantini → Teodorico allora fece imprigionare Papa Giovanni I e fece arrestare tanti uomini che avevano avuto molta importanza in precedenza nel suo programma di governo (Boezio). Nel 526 moriva Teodorico e saliva la figlia Amalasunta → ormai la politica di conciliazione tra Goti e Romani non era più praticabile anche per le interferenze di Costantinopoli che voleva intervenire in Italia → cosa che fece con la morte di Amalasunta. fuga e divenne un vivaio di vescovi. Sorgeva così un nuovo mondo che presentava aspetti di continuità con il precedente. I monasteri ebbero un importante funzione di centri di cultura → con la fine dell’Impero Romano d’Occidente era entrato in crisi anche il sistema scolastico. Mentre la cultura classica sopravviveva negli ambienti aristocratici laici, l’istruzione cristiana avvertiva l’inconciliabilità dei valori morali cristiani con quelli degli scrittori pagani. La cultura che sopravvisse era legata esclusivamente alla lingua latina. Tra V e VI secolo si ebbero tentativi di conciliazione tra cultura pagana classica e spiritualità cristiana. Nel VI secolo gli unici centri di vita culturale furono i monasteri → in occidente infatti non esistevano scuole superiori cristiane. Tale problema fu affrontato da Cassiodoro che, dopo essere stato ministro, aveva abbracciato la vita monastica ritirandosi a Viarium, dove fondò un monastero. Cassiodoro aveva il progetto di una sorta di università cristiana. → nel programma educativo del monastero Cassiodoro dava grande spazio alla grammatica, poesia e retorica. Il monastero di Cassiodoro non sopravvisse alla morte del suo fondatore, ma molte delle idee da lui sostenute saranno riprese in futuro, costituendo un importante punto di riferimento per la riorganizzazione degli studi. Contemporaneo di Cassiodoro è San Benedetto, grande fondatore della vita monastica in Occidente. Anche se alla base della sua conversione alla vita ascetica c’era un totale rifiuto di ogni mistione con lo studio della letteratura pagana, nell’organizzazione monastica benedettina, è lasciato spazio alla cultura, almeno allo scopo di far sì che i monaci sapessero leggere le Scritture. Il monachesimo si dovette dare sin dalle origini un programma educativo, si potrebbe addirittura sostenere che i monasteri non fossero altro che scuole. All’interno dei monasteri il giovane monaco riceveva una preparazione religiosa. 7.Le Trasformazioni delle Città e la Fine del Mondo Antico Le trasformazioni delle città sono diverse a seconda delle varie arie geografiche. In Italia (dove la tradizione urbanistica romana è forte) è esemplare: qui elementi di continuità e discontinuità si intrecciano. Se si guarda una foto aerea di molte città dell’Italia settentrionale si vede come molte delle vie siano ancora quelle create dai romani. D’altra parte, nelle zone interne e nell’Italia centro-meridionale la serie di villaggi posti in zone collinari sta a indicare che in età medievale ci fu in queste aree un processo insediativo diverso rispetto al passato. Nella maggior parte delle città il Foro continuò a rappresentare il centro economico, ma perse il suo ruolo di direzione politica con l’insorgere del palazzo regio e della cattedrale come nuovi centri politici. Già la città tardoantica aveva visto al suo interno la trascrizione urbanistica derivante da un processo di dislocazione del potere. Milano capitale imperiale tra il III e il IV secolo è un buon esempio: Ambrogio le diede caratteristiche di capitale cristiana →Ambrogio fondò a Milano tre grandi basiliche al di fuori delle mura cittadine. In generale l’età tardo antica caratterizzata dalla costruzione di chiese grandi non solo nelle capitali, ma anche in città minori. Questi edifici erano costruiti dentro le città oppure al di fuori di esse → vi è grande differenza con l’età altomedievale: la costruzione più comune in questa età non è infatti una chiesa cimiteriale o una grande aula all’interno delle mura, ma una piccola fondazione all’interno dell’area edificata. Le chiese altomedievali, inoltre, si distinguono per le loro piccole dimensioni, cosa che ha fatto si che molte di esse siano scomparse. Le cattedrali furono collocate all’interno delle mura. L’acquisizione di terreno edificabile da parte della Chiesa non deve essere stata facile. Le grandi cattedrali dovevano trovare posto in aree occupate da edifici preesistenti. Il ruolo dell’amministrazione imperiale in tale processo era importante → lo Stato aveva a disposizione la terra → è evidente che con il suo aiuto era più facile acquisire spazi importanti all’interno delle mura; infatti la maggior parte delle cattedrali fu costruita quando la città in questione era designata come capitale o aveva un ruolo importante nell’Impero (Es:Treviri e Arles). 8.Un Nuovo Tipo di Alimentazione Anche le abitudini alimentari cambiarono con la fine del mondo antico → ogni regime alimentare ha uno stretto rapporto con il regime produttivo → vediamo come il sistema produttivo legato alla villa e al commercio andava tramontando e con esso l’alimentazione antica. Il declino della vita urbana significò una riduzione delle colture di cereali, della vite e dell’olivo che avevano caratterizzato l’economia dell’età imperiale. A questo regime alimentare si contrapponeva quello delle popolazioni barbariche che vivendo in condizioni climatiche più umide e fredde avevano un’economia nella quale i cereali e gli ortaggi integravano i prodotti fondamentali del bosco e della foresta → posto preponderante della dieta occupato dalla carne di cacciagione. I cereali nel mondo germanico servivano per la birra. A diffondere la conoscenza del pane e del vino fu la Chiesa → pane e vino componenti essenziali della dieta cristiana. Nei secoli successivi alla caduta dell’impero romano la struttura del paesaggio agrario andò incontro a una forte decadenza, nell’area mediterranea ci fu un declino demografico con conseguente restringimento delle aree adibite a coltivazione. Si assiste a una drastica riduzione della policoltura. Zone prima coltivate divennero abbandonate anche a causa dell’insorgere della malaria. La conseguenza di questi fenomeni fu un crescente abbandono delle colture che necessitavano del clima mite del Mediterraneo, a favore di un ritorno all’economia di montagna, quella silvo-pastorale, dove aveva posto importante la transumanza. Il sistema economico silvo-pastorale si impose anche nell’area mediterranea nei primi secoli del Medioevo. L’affermazione di tale sistema economico è il risultato della crisi politica che investì anche le strutture produttive. Il declino demografico favorì l’impaludamento delle zone costiere e l’allargarsi del territorio incolto. Gli spazi incolti si rivelarono una risorsa importante di sostentamento → i pascoli servivano all’allevamento del bestiame , tenuto per lo più allo stato brado, mentre i querceti venivano sfruttati in quanto le ghiande fornivano cibo per i suini. Oltre i maiali, in misura minore erano allevate anche pecore e capre. L’animale per la carne rimaneva comunque maggiormente il maiale. 9.Italia Durante la Guerra tra Goti e Bizantini L’età di Teodorico aveva significato un periodo di ripresa e l’agricoltura e il commercio avevano profittato del periodo di pace. Anche i centri urbani presentarono indizi di una rinnovata vitalità grazie all’impegno nel restauro di edifici. La guerra greco gotica vanificò, però la possibilità che la ripresa si consolidasse. Nel periodo più duro della guerra (541-552) induceva gli occupanti del momento, bizantini o goti che fossero, a ogni sorta di arbitrio a spese della popolazione locale. Le città subirono distruzioni, mentre la fame provocava un drammartico calo demografico. Lo storico Bizantino Procopio presenta la situazione in Italia che subisce le conseguenze del conflitto: parla del fatto che i campi di grano erano lasciati a loro stessi e del fatto che non era più neanche attuata la mietitura delle crescite spontanee del grano. Parla di una popolazione distrutta dalla fame e dalle malattie. Parla addirittura di alcuni casi di cannibalismo. CAPITOLO 3: BISANZIO 1.L’Impero d’Oriente Fino al Regno di Giustiniano Le vicende dell’Impero d’Oriente risultano distinte da quelle dell’Occidente dalla divisione voluta da Teodosio I tra i suoi figli: Arcadio e Onorio. Ad Arcadio era toccato l’Oriente e essendo ancora ragazzino il regno fu gestito da altre persone per suo conto → Nel 399 una rivolta di Goti fu repressa dalla popolazione e arbitro della situazione fu il prefetto del pretorio Antemio. Alla morte di Arcadio salì suo figlio Teodosio II, anche lui ragazzino. Il suo regno fu lungo e dovette fronteggiare la minaccia barbarica, soprattutto Unna → riuscì a resistere e a mantenere la sua compattezza interna, anche i Persiani furono tenuti a bada. Teodosio II è ricordato per il suo riordino della giurisprudenza: promulgò la raccolta delle leggi imperiali da Diocleziano (Codice Teodosiano). L’Impero d’Oriente superò senza scosse anche la fase di successione (Teodosio II non lasciò eredi, il successore, Marciano, fu scelto dal senato). A travagliare la vita di Bisanzio in questo periodo furono soprattutto le controversie religiose riguardo la natura di Cristo. Durante i regni di Leone (successore di Marciano) e Zenone, si aggravarono i problemi finanziari. Ad affrontarli fu Anastasio che realizzò una riforma delle strutture fiscali. Anastasio riuscì anche a bloccare un’offensiva dei Persiani. Ad Anastasio succedette un ufficiale, Giustino e dopo di lui suo figlio: Giustiniano. 2.Il Regno di Giustiniano Il Regno di Giustiniano rappresenta per molti aspetti l’estrema conclusione del mondo antico. Nel 528 egli creò una commissione che aveva il compito di predisporre una nuova raccolta di costituzioni imperiali (Codex Iustinianus) + una seconda commissione fu incaricata di un’ampia scelta degli scritti dei più illustri giureconsulti (ne seguì un’opera, il Digesto o Pandette) + manuale contenente i principali principi giuridici a uso degli studenti (Istituzioni) =L’insieme di questi scritti costituisce il Corpus Iuris Civilis che rappresenta il tramite attraverso il quale la giurisprudenza romana è giunta a noi. Di grande rilievo fu anche l’attività edilizia di Giustiniano: Santa Sofia e San Vitale a Ravenna. Forte impulso al commercio e a nuove attività economiche (come la produzione di seta). Giustiniano attuò molte riforme amministrative cercando di reprimere gli abusi in campo fiscale, una delle maggiori vessazioni per la popolazione. All’inizio del regno le difficoltà interne erano ingenti, tra queste un posto non secondario ricopriva la controversa dottrinale che contrapponeva ortodossi (Cristo sia natura umana che divina) al credo monofisita (natura unicamente divina di Cristo). → Giustiniano da una parte aveva interesse a tenersi il Papa buono dall’altra non poteva sottovalutare la grande presenza di fedeli monofisiti presenti in Oriente. → Giustiniano non riuscì a trovare una soluzione a questa controversia. Il grande legame di Giustiniano alla vita ecclesiastica è provato dalla proibizione dell’insegnamento ai pagani (chiuse la Scuola di Atene). Giustiniano aveva il grande obiettivo di riconquistare l’Occidente: nel 533 il generale Belisario sconfisse l’ultimo sovrano vandalico Gelimero e così riconquistò l’Africa del Nord, la Sardegna e la Corsica. Più lunga la guerra per la riconquista dell’Italia, dal 535 al 553. → il pretesto fu fornito dalla richiesta di aiuto di Amalasunta. I Goti opposero forte resistenza → la guerra si concluse quando Narsete, succeduto a Belisario, sconfisse Totila e successivamente Teia in Campania → Italia divenne prefettura dell’Impero d’Oriente → nel 554 Giustiniano emanò un provvedimento legislativo specifico con il quale stabiliva le modalità attraverso le quali andava ristabilita la vita politica ed economica della penisola → il diritto giustinianeo veniva esteso ad Occidente. La restaurazione giustiniana in Italia fu interrotta dopo la sua morte dall’arrivo dei Longobardi con cui si determina la cesura che da inizio al Medioevo. A seguito della guerra greco-gotica la composizione etnica dell’Italia subì un serio mutamento: i possessori latini si ridussero a meno della metà del totale, quelli goti si ridussero a una percentuale modesta e si triplicarono i possessori orientali. 3.Costantinopoli Costantinopoli, la nuova capitale inaugurata da Costantino contava una popolazione di 100.000. Durante Teodosio II la superfice fu raddoppiata → In età giustiniana la popolazione contava mezzo milione di abitanti. Una tale densità abitativa si spiega con la distribuzione gratuita di generi alimentari e con l’intensa attività economica. Il re e la sua corte vivevano all’interno di una cinta muraria, isolati dal resto della città. La vita quotidiana del sovrano si svolgeva secondo un cerimoniale volto a enfatizzare la sacralità del potere imperiale. L’imperatore si mostrava al popolo nella basilica di Santa Sofia o all’Ippodromo. Tra le attrattive della vita di Costantinopoli c’erano le cerimonie e i giochi (in particolare le corse dei carri). 4.La Società Bizantina La storia della società bizantina ha inizio quando l’Impero romano dovette far fronte alla grave crisi che lo afflisse nel III secolo → in questo caso l’Oriente mostrò maggiore capacità di ripresa rispetto all’Occidente: la differenza di questo processo fu anche la causa del distacco progressivo tra le due componenti. Si possono cogliere alcune caratteristiche particolari e permanenti che contribuirono a conferire connotati precisi alle relazioni sociali nell’Impero bizantino. Abbiamo in primo luogo l’affermazione di un saldo e autonomo apparato burocratico rispetto a quello d’Occidente con dei funzionari che rispondevano direttamente all’Imperatore e non più magistrati. L’entrata in servizio del funzionario era sugellata da una cerimonia in cui egli giurava fedeltà al sovrano e a Cristo → a partire dall’VIII secolo anche il patriarca di Costantinopoli e le alte cariche ecclesiastiche dovevano prestare giuramento all’Imperatore. Ma il ruolo che sintetizza meglio i caratteri della società bizantina è la figura dell’imperatore: all’inizio era capo scelto per volontà popolare (tradizione romana), progressivamente però si rafforza l’idea che l’investitura fosse concessa dalla grazia di Dio. → la Chiesa cooperò al consolidarsi di questa ideologia → tutto ebbe inizio con la santificazione di Costantino I che fece si che il culto di cui era oggetto il fondatore dell’Impero cristiano riguardasse anche i suoi successori. Vi era una grande simbologia del potere: in primo luogo il palazzo imperiale, l’ippodromo. L’imperatore, tuttavia, viveva in una residenza separata, tenuta isolata dal resto del palazzo. Il rosso fiammeggiante della porpora, nella veste e nei decori, era il simbolo del potere imperiale. L’uso della porpora era riservato all’imperatore e ai suoi stretti familiari. Il valore simbolico passo presto nella nomenclatura: porfirogeniti erano detti gli imperatori nati legittimi, nati nella porpora. L’inaccessibilità della persona dell’imperatore era fondamentale per sottolineare la distanza tar il sovrano e i sudditi →pochi individui potevano vedere l’imperatore e comunque dovevano prostrarsi di fronte a lui. Parola chiave che sottolinea il modo in cui venivano regolati i rapporti sociali: taxis =ordine. Ma non l’ordine nel comune senso del termine → al contrario ordine in senso di ordine cosmico immutabile perché voluto da Dio → ciascuno doveva rimanere nella condizione che gli era stata assegnata. Oltre a taxis abbiamo un altro termine, Mimesis = Imitazione del modello. →L’imperatore stesso aveva un