Scarica Storia romana, Geraci-Marcone e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! STORIA ROMANA, Giovanni Geraci e Arnaldo Marcone I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA GLI ETRUSCHI Gli Etruschi sono la popolazione più importante dell’Italia preromana, anche se le loro origini sono abbastanza misteriose; probabilmente l’origine etnica degli Etruschi ha avuto luogo tra l’8° e il 7° secolo a.C., e si è originata dall’incontro di due processi: un’evoluzione interna della società e dell’economia, e il risultato delle influenze esterne su questi processi. L’origine della civiltà etrusca è quindi riconducibile a uno sviluppo autonomo che risentì di influenze di gruppi extra-italici. Persino nella fase della loro massima espansione, che si colloca tra il 7° e il 6° secolo a.C., gli Etruschi non diedero mai vita ad uno stato unitario. La loro era una società essenzialmente aristocratica, organizzata in città indipendenti governate prima da sovrani e poi da magistrati. L’unica forma di aggregazione delle comunità etrusche è stata la lega delle 12 città principali, un’associazione a scopo religioso. L’espansione degli Etruschi subì diverse battute d’arresto e si fermò in seguito a quattro eventi tra il 5° e il 4° secolo a.C.: 1. La battaglia navale con i Focei; 2. La sconfitta a Cuma da parte dei Greci di Siracusa; 3. La conquista della città di Veio da parte dei romani; 4. La perdita dei possedimenti in val Padana. Un aspetto molto importante della storia etrusca fu lo sviluppo dei riti religiosi, le cui divinità erano comunque essenzialmente assimilabili a quelle greche, in un sistema simile all’Olimpo ellenico. Anche l’alfabeto degli Etruschi è poco più che un riadattamento di quello greco, tuttavia non possiamo dire di conoscere l’etrusco: in primo luogo perché non è una lingua indoeuropea; in secondo luogo perché i testi ritrovati sono per la maggior parte troppo corti. ROMA La fondazione di Roma Quello che possiamo affermare sulla più antica storia di Roma è il risultato di ricostruzioni e interpretazioni spesso controverse; specialmente le ricostruzioni relative alle origini di Roma devono essere considerate provvisorie. La tradizione riporta l’episodio leggendario della fondazione della città ad opera di Romolo nel 753 a.C., anche se forse la nascita della città fu il risultato di un processo lento e graduale ad opera di alcuni villaggi situati sul colle Palatino, i quali potrebbero essere considerati come i nucleo originario della futura Roma. Sembra poi improbabile che il nome di Roma derivi dal nome Romolo, più probabilmente è il contrario; tuttavia non siamo in grado di stabilire esattamente quale sia l’origine del nome di Roma. Negli ultimi anni alcuni scavi hanno portato alla luce i resti di una palizzata e di un muro: la palizzata potrebbe costituire l’originario solco di confine, il pomerio; il muro invece potrebbe essere il muro di Romolo. In questo caso il racconto tradizionale risulterebbe confermato. Come possiamo apprendere da Varrone, nella fondazione di una città dal punto di vista religioso il pomerio aveva un’importanza fondamentale: era la linea sacra che delimitava il perimetro della città. In realtà il pomerio non coincideva con le mura effettive, per l’ovvia differenza tra procedure religiose ed esigenze di difesa. La coincidenza tra pomerio e mura non sussisteva nemmeno nella primitiva città edificata sul Palatino. Lo stato romano arcaico Alla base dell’organizzazione sociale romana c’era la familia, alla cui testa stava il pater: una figura con un potere assoluto su tutti i membri. La nozione di familia romana comprendeva un raggruppamento sociale molto ampio, il termine non rappresenta la famiglia nucleare moderna (per cui tra l’altro i latini non avevano un nome). Facevano parte della medesima familia tutti coloro che ricadevano sotto l’autorità del paterfamilias: moglie, figli, schiavi, e coloro che sceglievano spontaneamente di sottoporsi a lui. Il vincolo di fondo della familia era quindi il potere, la potestas, esercitato da pater. La familia era un’unità economica, religiosa e politica il cui fine era la propria perpetuazione. Per tutta l’epoca arcaica e per buona parte dell’età repubblicana, il carattere patriarcale della famiglia si riflette nella netta supremazia dell’uomo sulla donna; il potere specifico del marito sulla moglie, il manus, non conosceva limiti. Tutte le famiglie con almeno un antenato in comune costituivano la gens, un gruppo organizzato politicamente e religiosamente, con un grande rilievo nell’epoca arcaica. La popolazione dello stato romano arcaico era divisa in curie, gruppi religiosi e militari che comprendevano tutti gli abitanti del territorio eccetto gli schiavi. Erano molto importanti nel panorama sociale e politico, tanto che ad esse venivano attribuite determinate funzioni inerenti il diritto civile (in relazione per esempio ad adozioni e testamenti). Un altro importante raggruppamento tipico dello stato romano arcaico era la tribù; in epoca più tarda, ogni tribù fu divisa in 10 curie e da ogni tribù furono scelti 100 senatori (10 da ogni curia). Su questo modello si fondò anche l’organizzazione militare: ogni tribù forniva un’unità di cavalleria e una di fanteria, ovvero cento cavalieri e mille fanti. La monarchia romana La caratteristica principale della monarchia romana era quella di essere elettiva. Originariamente il re era affiancato da un consiglio di anziani, i patres, che rappresentavano il nucleo originario del futuro senato. Data l’assenza di una costituzione precisa, il potere del re doveva trovare una limitazione di fatto: questa era rappresentata dai capi delle gentes principali. Il re era anche il supremo capo religioso, e in ciò veniva affiancato da vari collegi sacerdotali: i pontefici, gli àuguri e le vestali. La tradizione fissa in modo preciso il periodo monarchico della storia romana: dal 753 al 510 a.C. (un anno prima della fondazione della Repubblica); in questo periodo si sarebbero succeduti sette re: 1. Romolo 2. Numa Pompilio 3. Tullo Ostilio 4. Anco Marcio 5. Tarquinio Prisco 6. Servio Tullio 7. Tarquinio il Superbo Rispetto a questo racconto però si pone un problema, cioè la sua dubbia attendibilità di fondo: esso risale a un periodo molto successivo della storia romana, inoltre molti degli eventi raccontati hanno una coloritura leggendaria. Le fonti su cui gli storici romani si sono basati erano poi molto incerte: altre opere storiche andata perdute, tradizioni familiari e orali, documenti d’archivio. Patrizi e plebei Sull’origine della divisione sociale fra patrizi e plebei, alla base della Roma arcaica e di quella Repubblicana, regna una grande incertezza. Ci sono diverse ipotesi: i patrizi erano i discendenti dei primi senatori e i plebei erano i loro clienti; i patrizi erano i Latini abitanti del Palatino e i e in secondo luogo che molti senatori erano ex-magistrati. Quindi, nel senato si concentra l’esperienza politica della Repubblica e trova espressione la leadership politica dell’élite sociale ed economica. Il terzo pilastro- le assemblee popolari Delle assemblee popolari potevano far parte i maschi adulti liberi in possesso del diritto di cittadinanza. Tra le assemblee popolari più importanti possiamo ricordare: 1. I comizi centuriati- la cittadinanza era divisa in classi di censo, a loro volta divise in centurie. Le unità di voto non erano costituite dai singoli individui ma dalle singole centurie, e questo avvantaggiava l’elemento anziano, ricco e conservatore della cittadinanza. L’assemblea centuriata eleggeva i consoli e gli altri magistrati superiori; 2. I comizi tributi- il popolo votava per tribù, a seconda dell’iscrizione in una delle diverse tribù territoriali; le tribù urbane rimasero sempre 4, mentre quelle rurali passarono da 16 a 31. La popolazione delle campagne aveva quindi un peso maggiore rispetto a quella urbana. I comizi tributi eleggevano i questori. I poteri delle assemblee popolari erano fortemente limitati: in primo luogo non potevano convocarsi e prendere iniziative in maniera autonoma, e in secondo luogo ogni decisione doveva ricevere la convalida del senato (attraverso l’auctoritas patrum). IL CONFLITTO FRA PATRIZI E PLEBEI Il problema economico e il problema politico Il periodo che va dal 509 al 287 a.C. è dominato dai contrasti civili fra patrizi e plebei; dal loro confronto nacque quella Roma che riuscì a conquistare l’egemonia sul Mediterraneo. La plebe è più facilmente definibile in negativo che in positivo, ad ogni modo si tratta di un elemento composito che rivendicava diritti in ambito economico e politico. La caduta dei Tarquini ebbe notevoli ripercussioni economiche a Roma, inoltre lo stato di guerra quasi permanente con i vicini provocò razzie e devastazioni dei campi. A un quadro esterno complicato corrispondono difficoltà interne come cattivi raccolti, gravi carestie e frequenti epidemie. I piccoli agricoltori si trovavano in difficoltà, e per sopravvivere erano costretti a indebitarsi: le richieste della plebe vertevano proprio su questo punto, una mitigazione delle norme sui debiti a causa della grave crisi economica. Gli strati ricchi della plebe erano naturalmente poco interessati dalla crisi economica, e rivendicavano più una parificazione dei diritti politici fra i due ordini. Auspicavano a un codice scritto di leggi, che li ponesse al riparo dalle arbitrarie applicazioni della legge da parte dei depositari del sapere giuridico. La coscienza di classe della plebe Dietro ai problemi economici e politici c’è una presa di coscienza della propria importanza da parte della plebe; a Roma la relazione tra diritti politici e doveri militari ha un carattere strutturale: l’esercizio dei diritti civici è connesso alla capacità di difendere lo stato con le armi. La presa di coscienza della plebe deriva da una riforma dell’esercito: nel 5° secolo a.C. si afferma il modello della falange, in cui fanti con armature pesanti combattono all’interno di una formazione chiusa. La fanteria pesante arriva a costituire il nerbo dell’esercito romano, e viene reclutata tra le classi di censo in grado di sostenere i costi dell’equipaggiamento. La legione era quindi reclutata su base censitaria, indifferentemente tra patrizi e plebei: e gli uomini decisivi sul campo di battaglia non possono essere ridotti ai margini della vita politica, economia e sociale dello stato. Il tribunato della plebe Il conflitto tra i due ordini si apre nel 494 a.C.: esasperata dalla crisi economica, la plebe ricorre a uno sciopero generale che lascia la città senza forza-lavoro e senza difese. In occasione di questa prima secessione la plebe crea un’assemblea generale, con il potere di emanare provvedimenti chiamati plebisciti; in seguito vengono istituiti i tribuni della plebe, rappresentanti ed esecutori della volontà dell’assemblea. I tribuni della plebe avevano diversi poteri: potevano soccorrere un cittadino contro un magistrato, erano personalmente inviolabili pena la morte, convocavano e presidiavano l’assemblea della plebe e ad essa sottoponevano le proprie proposte. La prima secessione approdò a un grande risultato politico: il riconoscimento, da parte dello Stato a guida patrizia, dell’organizzazione interna della plebe con i suoi rappresentanti e la sua assemblea. Il problema dei debiti, dal quale scaturì la rivolta, rimase teoricamente insoluto anche se probabilmente i tribuni della plebe intervenivano occasionalmente in favore dei debitori insolventi. Il Decemvirato Dopo aver ottenuto il riconoscimento della propria organizzazione interna, la plebe iniziò a premere perché fosse redatto un codice di leggi. A tal proposito nel 451 a.C. venne nominata una commissione composta da 10 uomini patrizi, il Decemvirato; le magistrature repubblicane vennero a tale scopo temporaneamente sospese per evitare possibili intralci all’opera del Decemvirato. In seguito venne eletta una seconda commissione decemvirale nella quale venne rappresentata anche la plebe. Le commissioni stilarono un totale di 12 tavole di leggi. Tuttavia, il Decemvirato guidato da Appio Claudio cercò di prorogare i propri poteri assoluti e si scontrò con i plebei e i patrizi più moderati. Questo portò a una seconda secessione in cui decemviri deposero i poteri; dato che i plebei avevano svolto la loro parte nel contrastare il tentativo rivoluzionario dei decemviri, viene ribadita l’inviolabilità dei rappresentanti della plebe e si rendono vincolanti per l’intera cittadinanza i plebisciti. Le leggi Licinie Sestie Nel 367 a.C. i tribuni della plebe Caio Licinio Stolone e Lucio Sesto Laterano presentarono un pacchetto di proposte riguardanti: il problema dei debiti, la distribuzione delle terre e l’accesso dei plebei al consolato. I patrizi e una parte di plebei si opposero a queste riforme, ma Licinio e Sestio non cedettero; per far fronte alla situazione venne chiamato alla dittatura Marco Furio Camillo, sotto il quale le proposte di Licinio e Sestio divennero legge. Una delle novità più importanti delle leggi Licinie Sestie era la completa reintegrazione dei consoli alla testa del senato, uno dei quali poteva essere plebeo. Queste leggi segnarono la fine della fase più acuta di contrapposizione fra patrizi e plebei, e permisero ai plebei di avere progressivamente accesso a tutte le altre cariche dello stato. Appio Claudio Cieco Un’accelerazione consistente al processo di riforma venne da Appio Claudio Cieco, che si fece fautore di diverse riforme: 1. Per quanto riguarda la composizione delle tribù, fece in modo di favorire in membri della plebe urbana per dargli più importanza nei comizi tribuni; 2. Stabilì che il censo dei cittadini fosse calcolato anche in base al capitale mobile e non solo in base ai terreni e ai capi di bestiame; in questo modo, anche coloro che non erano impiegati nelle tradizionali attività agricole e di allevamento potevano vedere riconosciuto il proprio peso economico e politico; 3. Pubblicò le formule giuridiche che venivano impiegate nei processi e il calendario dei giorni fasti e nefasti (in cui rispettivamente si poteva e non si poteva svolgere l’attività giudiziaria); 4. Ordinò la costruzione di importanti opere pubbliche: il primo acquedotto della città e la via Appia che congiungeva Roma a Capua (che si rivelò di straordinaria importanza strategica). La legge Ortensia Il 287 a.C. viene considerato il punto di arrivo della lotta fra patrizi e plebei: in quest’anno viene infatti emanata la legge Ortensia, la quale stabilì che i plebisciti votati dall’assemblea della plebe avessero valore per tutta la cittadinanza di Roma. Questa legge quindi pose sullo stesso piano i plebisciti, le leggi votate dai comizi centuriati e quelle votate dai comizi tribuni. Le grandi conquiste della plebe chiusero per sempre il dominio dei patrizi sullo Stato. Si creò progressivamente una nuova aristocrazia, formata dalle famiglie plebee più ricche e influenti e dalle stirpi patrizie che avevano saputo adattarsi alla nuova situazione; questa nuova élite è la nobilitas. La nobiltà patrizio-plebea divenne gelose delle proprie prerogative e molto esclusiva, tanto che per i pochi personaggi che raggiunsero i vertici della carriera politica senza avere antenati nobili, venne dato il nome speciale di homines novi. LA CONQUISTA DELL’ITALIA La Lega latina Tra il 6° e il 5° secolo a.C. molte città latine approfittarono delle difficoltà interne di Roma per affrancarsi dalla sua egemonia, e si strinsero nella Lega latina condividendo alcuni diritti: lo ius connubii, cioè il diritto di contrarre matrimoni legittimi con membri di comunità diverse; lo ius commercii, cioè il diritto di siglare contratti legali fra membri di comunità diverse; lo ius migrationis, cioè il diritto in base al quale un latino poteva assumere pieni diritti civici in una comunità diversa semplicemente prendendovi residenza. La Lega tentò di affermarsi attaccando Roma, nel 496 a.C. durante la battaglia del lago Regillo; i Romani sconfissero la Lega e nel 493 a.C. stipularono il trattato Cassiano (siglato dal console Spurio Cassio) che avrebbe regolato i rapporti fra romani e latini per i successivi 150 anni. Le due parti si impegnavano a mantenere la pace, a risolvere amichevolmente dispute commerciali, e a prestarsi aiuto a vicenda in caso di attacco. I conflitti con Sabini, Equi, Volsci L’alleanza stretta da Roma con la Lega latina e con altre popolazioni si rivelò preziosa per fronteggiare i Sabini, gli Equi e i Volsci; le sedi originarie di questi popoli non potevano assicurare loro la sopravvivenza, quindi decisero di migrare verso terre più fertili. Per tutto il 5° secolo ci furono scontri fra i romani e questi popoli: l’esito fu spesso favorevole a Roma che però non arrivò mai a una conclusione definitiva, probabilmente perché si trattava non di vere e proprie campagne di guerra ma di schermaglie che videro impegnati pochi uomini. Il conflitto con Veio Per tutto il 5° secolo Roma dovette fronteggiare un nemico più pericoloso delle tribù appenniniche: la città etrusca di Veio; questo contrasto sfociò in tre guerre: 1. Prima guerra (483-474 a.C.)- i Veienti occuparono la riva sinistra del Tevere; la reazione di Roma finì in tragedia, 300 soldati vennero annientati. 2. Seconda guerra (437-426 a.C.)- i Romani riuscirono a vendicare la sconfitta, Aulo Cornelio Cosso uccise in duello Lars Tolumnio, il tiranno di Veio. 3. Terza guerra (405-396 a.C.)- dopo un assedio durato 10 anni di Veio da parte dei Romani, guidati da Marco Furio Camillo, la città etrusca cadde e venne distrutta. navali. Solo dopo qualche anno i Romani riuscirono a costruire una nuova flotta, che nel 241 a.C., guidata dal console Caio Lutazio Catulo, sconfisse le navi cartaginesi alle isole Egadi. Cartagine chiese la pace e sgomberò la Sicilia. Tra le due guerre Dopo la prima guerra punica Roma era venuta in possesso, per la prima volta, di un ampio territorio esterno alla penisola italiana. Il sistema con cui Roma integrò questi nuovi possedimenti segnò una svolta nella sua storia istituzionale: la Sicilia infatti divenne la prima provincia romana. Alle comunità venne imposto un tributo annuale, un decimo della produzione di cereali; l’amministrazione della giustizia, il mantenimento dell’ordine interno e la difesa dalle minacce esterne vennero affidate a un magistrato romano inviato annualmente nell’isola. Il termine provincia, infatti, significherà da questo momento un territorio soggetto all’autorità di un magistrato romano. Intanto Roma intraprese e vinse le guerre Illiriche, e guadagnò posizioni nell’Adriatico e nell’Italia settentrionale. Al contrario, per Cartagine i primi anni dopo la guerra furono disastrosi: i suoi mercenari si ribellarono, e quando i Cartaginesi tentarono di recuperare la Sardegna si scontrarono con Roma, che li costrinse a cedere l’isola. Da questo momento, Sardegna e Corsica costituiscono la seconda provincia romana. La seconda guerra punica Come prevedibile, Cartagine covava un forte desiderio di rivincita nei confronti di Roma. I Cartaginesi decisero di costruire una nuova base per la loro potenza in Spagna, e affidarono il compito alla famiglia Barca: Amilcare, Asdrubale e Annibale. L’avanzata dei Barca destò l’allarme; inoltre, la città di Sagunto si sentì minacciata dai Cartaginesi e chiese l’aiuto di Roma. I romani però si mossero troppo tardi, e Annibale nel 218 a.C. conquistò Sagunto. Iniziò così la seconda guerra punica (218-202 a.C.). Secondo Annibale, la ragione del successo militare dei Romani era da attribuire all’immenso potenziale umano e finanziario di cui disponeva grazie al suo dominio. Il suo piano era quindi separare Roma dai suoi alleati, togliendole la principale fonte di potere. Cominciò l’invasione dell’Italia nel 218 a.C.: valicati i Pirenei e attraversate le Alpi, si scontrò con gli eserciti di Publio Cornelio Scipione e Tiberio Sempronio Longo sul fiume trebbia; i Romani furono sconfitti. L’anno successivo si scontrò con le truppe di Caio Flaminio sul lago Trasimeno, e anche qui i Romani vennero annientati. A causa di questa situazione venne instaurata la dittatura, con a capo Quinto Fabio Massimo; egli preferì limitarsi a controllare le mosse di Annibale e ad impedire l’arrivo di aiuti, pensando che prima o poi si sarebbe arreso (per questa sua tattica venne chiamato “il temporeggiatore”). Scaduti i sei mesi della dittatura però, a Roma si passò nuovamente all’offensiva: nel 216 a.C. Annibale annientò gli eserciti di Marco Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo nella battaglia di Canne, considerata un capolavoro di arte militare. La guerra sembrava perduta per Roma; tuttavia il ritorno alla strategia attendista consentì di riguadagnare alcune posizioni perdute nel Sud-Italia, e ad impedire ad Annibale di ricevere aiuti; negli altri teatri di guerra le cose cominciarono ad andare meglio per gli eserciti romani. Tuttavia la svolta avvenne in Spagna: dopo la sconfitta sul fiume Trebbia, Publio Cornelio Scipione raggiunse suo fratello Cneo, e i due impedirono che dalla Spagna partissero aiuti per Annibale (i due fratelli vennero però successivamente uccisi). In seguito venne nominato comandante dell’esercito Scipione l’Africano, in virtù delle sue qualità personali. Asdrubale tentò di ripetere l’epica marcia di Annibale per portargli aiuto, ma nel 207 a.C. lui e le sue truppe vennero annientati dagli eserciti di Marco Livio Salinatore e Caio Claudio Nerone. Ridotto all’impotenza e senza aiuti, Annibale si ritirò. Scipione l’Africano vene eletto console, si alleò con Massinissa (re della tribù numida dei Massili, ostile a Cartagine) e si preparò a invadere l’Africa. La battaglia finale si svolse nel 202 a.C., a Zama: Annibale dimostrò ancora il suo genio militare ma Numidi e Romani vinsero. Il trattato di pace imposto a Cartagine fu durissimo, in particolare una clausola impediva ai Cartaginesi di dichiarare guerra senza il permesso di Roma. La terza guerra punica Dopo la sconfitta della seconda guerra punica, Cartagine si era ripresa e si comportava in maniera irreprensibile, sia dal punto di vista economico che politico. Tuttavia un elemento turbava la situazione: il re Massinissa, approfittando del fatto che i limiti del suo stato non erano fissati con precisione (o fingendo che non lo fossero) avanzò pretese ambiziose sui territori cartaginesi. Nonostante la clausola della pace successiva alla seconda guerra punica, Cartagine decise autonomamente di muovere guerra a Massinissa; l’esercito cartaginese fu però sconfitto, e il fatto che i Cartaginesi avessero violato gli accordi spinse i Romani a una terza guerra punica (149-146 a.C.). Nel 149 a.C. l’imponente esercito di Publio Cornelio Scipione Emiliano sbarcò in Africa, e tre anni dopo, alla fine di un lungo assedio, saccheggiò e distrusse Cartagine (che si trasformò nella nuova provincia d’Africa). LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI DAI GRACCHI ALLA GUERRA SOCIALE Mutamenti e rivolte Nell’età dei Gracchi (133-121 a.C.) emergono fenomeni e problemi dovuti agli squilibri creati dall’espansione del dominio romano. La guerra annibalica e le conquiste esterne avevano comportato un massiccio sviluppo economico, e l’intensificarsi degli scambi commerciali aveva modificato l’agricoltura italica; in particolare, si era venuta a creare una situazione di concorrenza rovinosa per i piccoli proprietari, che molto spesso si trovavano costretti a vendere. Questo contribuì a creare una massa urbana sempre più consistente, e Roma iniziò la sua trasformazione in metropoli. Come conseguenza a tutto questo si assiste a un mutamento degli equilibri sociali: dalla nobilitas (la nobiltà patrizio-plebea) scaturiscono due fazioni: gli optimates e i populares. Gli optimates si richiamavano alla tradizione degli avi, auspicava il bene dello stato e sosteneva l’autorità del senato; i populares esprimevano i diritti del popolo, che conduceva un’esistenza miserevole, e sostenevano la necessità di ampie riforme. Tiberio e Caio Gracco Le guerre di conquista avevano fatto crescere l’ager publicus, il terreno demaniale di proprietà collettiva dello Stato, e ciò contribuiva alla crisi dei piccoli proprietari e all’arricchimento di quelli già più ricchi e potenti. Il tribuno della plebe Tiberio Gracco, constatando la condizione di miseria dei piccoli contadini, nel 133 a.C. propose una riforma agraria. La legge fissava l’occupazione di agro pubblico a un limite di 125 ettari, con l’aggiunta di 62,5 ettari per ogni figlio, fino a un massimo di 250 ettari per famiglia. Un collegio di triumviri composto da Tiberio, suo fratello minore Caio e suo suocero Appio Claudio Pulcro avrebbe avuto il compito di ripartire i lotti e recuperare i terreni in eccesso. Lo scopo principale della legge era l’esigenza di ricostruire e conservare il ceto dei piccoli proprietari, anche per garantire una base stabile al reclutamento dell’esercito. La legge fu approvata, ma Tiberio incontrava molte opposizioni conservatrici; per timore che al termine della sua carica andasse tutto in fumo, presentò la sua candidatura al tribunato della plebe anche per l’anno successivo; questo fece insinuare agli avversari che egli aspirasse al potere personale: per questo, un gruppo di senatori lo assalì e uccise. La morte di Tiberio Gracco non pose fine all’attività della commissione triumvirata; infatti si manifestò presto il malcontento degli alleati latini e italici, le cui aristocrazie erano composte da ricchi proprietari. Dimostrazioni dell’irritazione degli alleati furono le rivolte del 125 a.C. di Asculum e Fregellae, spietatamente soppresse. Caio Gracco, fratello minore di Tiberio, venne eletto tribuno della plebe nel 123 a.C. e riprese, ampliandola, l’opera riformatrice del fratello. Istituì nuove colonie romane in Italia e a Cartagine; propose una legge frumentaria che assicurava ad ogni cittadino romano una quota mensile di grano a prezzo agevolato; propose di limitare il potere del senato in queste questioni; ideò proposte per riappacificare gli alleati. L’operato di Caio minava i privilegi dell’oligarchia senatoria, che per contrastarlo ricorsero a Marco Livio Druso, approfittando del fatto che Caio fosse in Africa per analizzare l’idea di una colonia romana. Quando Caio tornò, vide che la situazione politica era cambiata e che la sua popolarità era in declino; il senato sospese ogni garanzia istituzionale e affidò ai consoli il potere di proteggere lo stato: forte di tale provvedimento, il console ordinò il massacro dei sostenitori di Gracco, il quale preferì farsi uccidere da un suo schiavo. La guerra contro Giugurta Dopo la terza guerra punica, Roma costituì la ricca provincia d’Africa e intrattenne buoni rapporti con la discendenza di Massinissa. Tuttavia, quando suo figlio Micipsa morì lasciò il regno indiviso, e i suoi tre eredi se lo contesero; il più spregiudicato dei tre, Giugurta, uccise il fratello Iempsale e costrinse il fratello Aderbale alla fuga. Questi chiese l’aiuto di Roma, che impose la divisione ai due fratelli; ma Giugurta non la rispettò: volle impadronirsi della porzione di regno assediata ad Aderbale, quindi ne assediò la capitale, uccise il fratello e massacrò tuti i Romani e gli Italici presenti. A questo punto, nel 111 a.C. Roma scese in guerra; le operazioni militari furono condotte debolmente; quando assunse il potere militare Quinto Cecilio Metello accompagnato da Caio Mario, Giugurta venne sconfitto più volte ma la guerra continuava. Nel 107 a.C. Mario viene eletto console e gli viene affidato il comando della guerra; bisognoso di nuove truppe, aprì l’arruolamento anche ai nullatenenti. Con il suo nuovo esercito tornò in Africa e in tre anni pose fine alla guerra catturando Giugurta, il quale fu trascinato prigioniero a Roma. Le battaglie contro i Germani Due popolazioni germaniche, i Cimbri e i Teutoni, cominciarono un movimento migratorio verso sud; nel 113 a.C. e nel 105 a.C. i romani subirono sconfitte vergognose presso Noreia e Arausio. Mario fu quindi rieletto console, e lo fu per 5 anni di fila, e provvide a riorganizzare l’esercito in quasi ogni suo aspetto. Quando i Germani ricomparvero nel 103 a.C., i Romani furono in grado di sostenere l’urto. L’eclissi politica di Mario Mentre era console, Mario si era alleato con il tribuno della plebe Saturnino e con il pretore Glaucia; i due, soprattutto Saturnino la cui legge obbligava i senatori a giurare di osservare la legge, erano particolarmente odiati dal senato. Durante delle votazioni scoppiarono tumulti che portarono all’omicidio di un avversario politico di Glaucia; il senato ne approfittò per proclamare il senatus consultum ultimum (lo stesso provvedimento preso contro Caio Gracco): Mario a questo punto si trovò nella difficile situazione di doverlo applicare contro i suoi alleati. Saturnino e Glaucia furono quindi uccisi, ma il prestigio di Mario venne talmente compromesso che egli preferì allontanarsi da Roma. La guerra sociale L’ordinamento definitivo dell’ordinamento sillano si ebbe nel 70 a.C., quando Pompeo e Crasso furono eletti consoli. La rivolta di Spartaco Nel 73 a.C. scoppiò una grande rivolta di schiavi: in una scuola di gladiatori a Capua, 70 gladiatori si ribellarono e si asserragliarono sul Vesuvio; qui vennero raggiunti da altri schiavi e gladiatori. A capo di questa rivolta si misero il trace Spartaco e il gallo Crisso. La rivolta si estese rapidamente, per cui il senato decise di affidare un grande esercito al pretore Marco Licinio Crasso; Crasso riuscì a isolare Spartaco e i suoi in Calabria, dove nel 71 a.C. li sconfisse e lo stesso Spartaco cadde in battaglia. I molti superstiti che tentarono la fuga furono intercettati da Pompeo (che tornava dalla Spagna dopo la battaglia contro Sertorio) e furono annientati. La nuova guerra contro Mitridate Dopo la pace del Dardano, Mitridate aveva continuato a covare propositi di rivincita. Quando il re della Bitinia morì, lasciò il suo regno in mano ai romani, e questo garantiva loro il controllo dell’accesso al Mar Nero; la cosa non piacque a Mitridate, che decise di invadere la Bitinia nel 74 a.C.. Il console Lucio Licinio Lucullo occupò il Ponto e costrinse Mitridate a rifugiarsi in Armenia; quindi Lucullo invase anche l’Armenia e nel 69 a.C. ne distrusse la capitale Tigranocerta. Tuttavia non poté spingersi oltre, perché i suoi soldati stanchi si rifiutarono di proseguire, e i finanziari romani, a cui non piaceva il suo operato, fecero pressioni perché fosse destituito. I suoi comando gli furono revocati e il comando della guerra fu assegnato a Pompeo. Pompeo marciò verso il Ponto, sconfisse e scacciò Mitridate che, per non cadere in mano ai romani, si fece trafiggere nel 63 a.C. La congiura di Catilina Lucio Sergio Catilina, discendente di una nobile famiglia decaduta, si era molto arricchito durante l’età sillana ma aveva poi dilapidato tutti i suoi averi. Tentò di diventare console nel 65, nel 63 e nel 62 a.C., ma tutte e tre le volte la sua richiesta fu respinta. Venne eletto invece console Marco Tullio Cicerone, che nella campagna elettorale aveva attaccato la corruzione, la violenza e le collusioni politiche di Catilina. A questo punto, Catilina cominciò a cospirare per sopprimere i consoli, terrorizzare la città e impadronirsi del potere; ma la sua cospirazione fu scoperta e sventata da Cicerone, che con un attacco durissimo (la prima catilinaria) lo costrinse ad allontanarsi da Roma. Catilina venne affrontato e ucciso nel 62 a.C. a Pistoia, da un esercito consolare. DAL PRIMO TRIUMVIRATO ALLE IDI DI MARZO Il primo triumvirato Dopo aver sconfitto Mitridate, Pompeo tornò a Roma; era convinto di ricevere la ratifica delle decisioni territoriali prese in Oriente e la concessione di terre ai suoi veterani. Tuttavia i suoi avversari politici ricambiarono umiliandolo e opponendosi alle sue richieste. Deluso e amareggiato, Pompeo si avvicinò a Crasso e a Cesare con i quali, nel 60 a.C., diede vita al primo triumvirato: un accordo di sostegno reciproco. Il triumvirato diede subito i suoi frutti: Cesare fu eletto console, fece distribuire tutto l’agro pubblico rimanente ai veterani di Pompeo e ne ratificò le decisioni territoriali prese in Oriente. Alla fine del consolato, vennero affidati a Cesare: il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico, il governo della Gallia Narbonese, tre legioni e il diritto di fondare colonie. Cesare in Gallia Cominciava così la lunga conquista cesariana della Gallia; egli combatté contro gli Elvezi, gli Svevi, e i Nervii tra il 58 e il 57 a.C. I successi di Cesare erano dovuti a diversi fattori: la completa disunione delle tribù galliche, le sue grandi capacità tattiche e la sua popolarità tra i soldati. Nel 56 a.C. Cesare, Pompeo e Crasso si incontrarono a Lucca e si accordarono su un progetto: prorogare il comando di Cesare in Gallia con un aumento delle legioni, far eleggere Pompeo e Crasso consoli, consegnare le due Spagne a Pompeo e la Siria a Crasso. Dopodiché Cesare tornò in Gallia, dove sconfisse diverse tribù costiere e due tribù germaniche, gli Usipeti e i Tencteri. Tuttavia nel 52 a.C. si verificò una crisi: gli Arverni guidati da Vercingetorige sterminarono i Romani e gli Italici presenti a Orleans, e la loro sollevazione di estese rapidamente. Cesare diede la caccia a Vercingetorige che si chiuse dapprima nella fortezza di Gergovia, poi nella fortezza di Alesia, dove arrivarono anche dei Galli in suo aiuto. Cesare dovette così cingere la città con due linee di fortificazione: una interna per bloccare gli assediati e una esterna per respingere gli assalti dei Galli. Dopo un lungo assedio, la fortezza fu costretta a capitolare, Vercingetorige si arrese e più tardi venne decapitato a Roma. La morte di Crasso Crasso cercò di inserirsi nella contesa dinastica in corso nel regno dei Parti, per potersi distinguere in qualche valorosa campagna militare. Tuttavia, invece di invadere il regno da Nord decise di attraversare le steppe della Mesopotamia, cosa che tutti gli avevano sconsigliato. Nel 53 a.C. il suo esercito venne in contatto con i Parti: i Romani furono massacrati, fu una delle sconfitte più gravi della storia romana. Il figlio di Crasso e lo stesso Crasso vennero uccisi, e il triumvirato perse così uno dei suoi protagonisti. La guerra civile tra Cesare e Pompeo La morte della moglie di Pompeo, figlia di Cesare, e la morte di Crasso, avvicinarono per motivi poco chiari Pompeo alla fazione anti-cesariana. I nemici di Cesare volevano rimuoverlo in anticipo dalla sua carica, in modo da poterlo mettere sotto accusa per come aveva condotto le guerra in Gallia. Il suo mandato sarebbe scaduto nel 50 a.C., ma per evitare di poter essere processato volle iniziare a rivestire il consolato senza smettere temporaneamente di essere proconsole; questo, a causa di una norma di Pompeo (da cui egli peraltro si era fatto dispensare), era impossibile: era necessario un intervallo di 5 anni tra una promagistratura e una magistratura. Ebbe inizio così una discussione sul termine dei poteri di Cesare. Per mettere fine alla questione, nel 50 a.C. il senato votò perché sia Pompeo che Cesare deponessero le rispettive cariche; Cesare si mostrò disposto a farlo, ma i suoi avversari politici riuscirono a ottenere da una parte che solo Cesare dovesse rinunciare alle cariche, dall’altra che il senato votasse il senatus consultum ultimum; venne nominato Pompeo protettore dello stato, e vennero nominati i successori di Cesare al governo delle sue province. Venuto a conoscenza di ciò, Cesare varcò in armi il Rubicone, torrente che segnava il confine tra la Gallia Cisalpina e il territorio di Roma, dando inizio alla guerra civile. In primo luogo, Cesare sconfisse le forze pompeiane in Spagna; dopodiché tornò a Roma, dove divenne dittatore. Lo scontro decisivo della guerra civile ebbe luogo a Farsalo, in Tessaglia, nel 48 a.C., e si tradusse nella sconfitta di Pompeo il quale fuggì in Egitto. Qui sperava di trovare rifugio, ma vi trovò la morte: infatti era in corso una contesa dinastica fra Tolomeo e Cleopatra, e in consiglieri del re ritennero saggio uccidere Pompeo giudicandolo compromettente. In Egitto arrivò anche Cesare, il quale si trattenne per un anno e fece un figlio, Tolomeo Cesare, con Cleopatra, che nel frattempo era diventata regina. Cesare dittatore perpetuo, fino alle Idi di Marzo Nel 44 a.C. Cesare assunse il titolo di dittatore a vita, a cui si aggiunsero poteri straordinari: 1. Poteva vigilare e controllare senatori, cavalieri e cittadini 2. Poteva sedere fra i tribuni della plebe 3. Era dotato di inviolabilità personale e diritto di veto 4. Poteva fare trattati di pace e dichiarare guerre senza consultare senato e popolo 5. Poteva raccomandare i suoi candidati alle elezioni 6. Aveva il titolo di imperator a vita e padre della patria Con tutti questi poteri speciali, Cesare iniziò una grande programma di riforma: 1. Concesse il perdono e il richiamo in patria agli esuli e ai condannati politici 2. Estese il diritto di cittadinanza romana a tutta l’Italia, fino alle Alpi 3. Aumentò il numero dei senatori, dei questori, degli edili e dei pretori, in modo da garantire più possibilità di carriera ai suoi sostenitori 4. Avviò attività di ristrutturazione urbanistica ed edilizia, e riformò il calendario Tuttavia, l’eccessiva concentrazione di poteri e onori in mano a Cesare, e alcuni suoi atteggiamenti che sembravano inclini alla regalità, crearono allarme. Nel 44 a.C. Cesare preparò una campagna militare contro i Parti per ristabilire l’egemonia romana in Asia; a Roma si sparsero voci secondo cui il regno dei Parti sarebbe potuto cadere solo per mano di un re, e ciò alimentò i sospetti delle aspirazioni monarchiche di Cesare. Fu allora ordita una congiura da Marco Giunio Bruto, Caio Cassio Longino e Decimo Bruto: alle idi di marzo, il 15 marzo del 44 a.C., Cesare cadde pugnalato dai cospiratori nel Campo Marzio, doveva avrebbe dovuto presiedere una seduta del senato. AGONIA DELLA REPUBBLICA L’eredità di Cesare I cesaricidi non si preoccuparono di eliminare i collaboratori di Cesare, tra i quali spiccava il suo collega di consolato Marco Antonio. Egli riuscì in una politica di compromesso, da un lato concedendo l’amnistia ai cesaricidi e dall’altro convalidando gli atti di cesare. Antonio approfittò del possesso di alcune carte di Cesare per far passare dei progetti di legge, che gli assicurarono grande popolarità e ne fecero il suo erede spirituale. Il suo erede effettivo era invece Caio Ottavio, suo figlio adottivo, che appena saputo del testamento si recò a Roma per reclamare l’eredità; Ottavio pose come principale caposaldo del suo impegno politico la celebrazione della memoria del padre e la vendetta della sua uccisione. Per poter controllare l’Italia più da vicino, allo scadere del consolato Antonio si era fatto assegnare le due province della Gallia Cisalpina e Comata, anziché quella della Macedonia che gli sarebbe dovuta spettare. Quando però Antonio si mosse verso la Cisalpina, il governatore originariamente designato Decimo Bruto si rifiutò di consegnargliela, e si barricò nel suo castello di Modena. Ebbe così inizio nel 43 a.C. la guerra di Modena; il senato mandò in soccorso di Decimo Bruto i due consoli e Ottavio: Antonio fu battuto, ma i due consoli morirono. Il secondo triumvirato Poiché entrambi i consoli erano scomparsi, Ottaviano venne eletto console insieme a Quinto Lepido nel 43 a.C. (dopo una piccola marcia armata su Roma a seguito di un rifiuto da parte del senato). I due consoli fecero revocare le misure di amnistia e istituirono un tribunale speciale contro i cesaricidi; inoltre annullarono il provvedimento senatorio che aveva dichiarato Antonio Il governo di Tiberio (14-37) fu sostanzialmente una positiva prosecuzione di quello augusteo, in cui però emerge il problema che caratterizzerà tutta la storia imperiale: il rapporto tra principe e senato. Tiberio dimostrò di essere un abile militare e uomo di governo, gestì oculatamente lo Stato, le province e l’economia. Si scontrò politicamente con Agrippina per il problema della successione, e corse dei rischi quando il suo collaboratore Seiano cominciò a tramare per il potere. Gli ultimi anni del regno di Tiberio non furono felici: una grave crisi finanziaria e un periodo di terrore dominarono Roma. Alla sua morte, il senato riconobbe come suo uni erede Caligola. Caligola Il governo di Caligola (37-41) fu accolto con grande entusiasmo dall’esercito e dalla plebe, mentre l’accoglienza del senato fu molto fredda, tanto che le fonti storiche filo-senatorie ce lo descrivono come un folle tiranno, interessato al proprio potere e malato mentalmente, cosa che lo rese incline verso forme di dispotismo orientale. In realtà queste sono esagerazioni, tuttavia è vero che il breve principato di Caligola rappresenta un episodio premonitore dei rischi del principato: il pericolo di involuzione autocratica e assolutistica. Nel 40 Caligola fece uccidere, per ragioni poco chiare, il re di Mauretania Tolomeo; questo diede inizio a una guerra che si concluse soltanto sotto Claudio. Uno dei conflitti più importanti sotto Caligola fu quello con gli ebrei: Caligola per affermare la propria divinità volle mettere una propria statua nel tempio di Gerusalemme; questo, oltre che scatenare la protesta degli ebrei, risvegliò violenti conflitti tra ebrei e greci. Nel 41 Caligola morì vittima di una congiura. Claudio Il governo di Claudio (41-54) ci è presentato dalle fonti come il regno di uno sciocco e di un inetto. La necessità di una razionalizzazione dell’Impero indusse Claudio a un’importante riforma: divise l’amministrazione centrale in 4 grandi uffici, un segretariato generale, uno per le finanze, uno per le suppliche e uno per i processi. A capo di ognuno di questi dipartimenti furono chiamati dei liberti, e per questo motivo l’impero di Claudio è ricordato come “il regno dei liberti”. Claudio dovette risolvere le questioni lasciate aperte da Caligola: affrontò la guerra in Mauretania, a cui pose fine organizzando il regno in due province; ristabilì i privilegi delle comunità ebraiche e delle poleis greche, per evitare conflitti tra i due gruppi. Claudio sposò Agrippina, che nel 54 lo avvelenò per assicurare al loro figlio adottivo, Nerone, la successione al trono. Nerone Il governo di Nerone (54-68) fu impostato su premesse completamente diverse da quelle augustee: il consolidamento del potere del princeps e l’istituzionalizzazione della sua figura. Le idee di Nerone derivavano probabilmente da quelle del suo precettore, Seneca. Seneca scrisse il De Clementia, una sorta di manifesto teorico e programma di governo per Nerone, nel quale afferma che l’ideologia augustea della permanenza di responsabilità del governo a popolo e senato è superata. Queste idee contribuirono sicuramente a forgiare l’ideologia teocratica e assoluta del potere imperiale propria di Nerone. Egli trasformò in senso monarchico e assolutistico il potere imperiale, provocando l’opposizione senatoria; si macchiò di gravi delitti, come l’omicidio del fratellastro e della madre; iniziò processi di lesa maestà contro alcuni senatori per eliminare l’opposizione; presumibilmente, fu anche colpevole dell’incendio di Roma del 64 di cui accusò i cristiani. A seguito di una ribellione in Giudea, il legato della Gallia, il governatore della Spagna e quello dell’Africa, le truppe del Reno e i pretori si sollevarono contro Nerone. Il senato lo dichiarò nemico pubblico, riconoscendo come nuovo princeps Galba. A Nerone non restava altro che il suicidio, e con la sua morte ebbe fine anche la dinastia Giulio- Claudia. L’ANNO DEI QUATTRO IMPERATORI E I FLAVI L’anno dei quattro imperatori Il 69 fu un anno di crisi: esponenti del senato, governatori di provincia e comandanti militari combatterono per assumere il titolo di imperatore. Quest’anno è chiamato infatti anno dei quattro imperatori; Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano combatterono l’uno contro l’altro, dimostrando come l’asse dell’Impero si fosse spostato lontano da Roma e come le legioni fossero in grado di imporre il loro volere. Alla fine ne risultò vincitore Vespasiano: esponente dell’esercito, di origini modeste ed entrato tardi nell’ordine senatorio. Con Vespasiano inizia la dinastia Flavia, che comprende egli stesso e i suoi due figli Tito e Domiziano; peraltro, il fatto di avere due figli e poter quindi garantire una certa stabilità all’impero fu una delle ragioni del suo successo. Gli imperatori della dinastia Flavia si contraddistinsero per un rigido impegno nell’amministrazione imperiale. Vespasiano Il principato di Vespasiano (69-79) rappresenta un sensibile progresso nella razionalizzazione dei poteri dell’imperatore e nel consolidamento dell’Impero come istituzione. Egli infatti si occupò di definire l’autorità del princeps attraverso un decreto del senato, la lex de imperio Vespasiani (69); nel decreto si elencano tutti i poteri del princeps, e si tratta sostanzialmente di una ricapitolazione e di una formalizzazione delle prerogative dell’imperatore via via acquistate da Augusto e dai Giulio-Claudi (es. diritto di convocare il senato, di avanzare o respingere proposte, di trattare e fare qualsiasi cosa ritenga utile allo stato, si essere parzialmente legibus solutus come i precedenti imperatori). Vespasiano si rivelò un ottimo amministratore: riuscì a risanare il bilancio dello Stato, portò avanti una politica di integrazione delle province, ristabilì l’ordine nelle zone di confine lasciate sguarnite dalle truppe che avevano partecipato alle guerre civili. A lui si opposero alcuni senatori appartenenti al circolo dei filosofi cinici e stoici, che reclamavano una maggior considerazione delle prerogative senatorie; Vespasiano reagì mettendo a morte lo stoico Elvidio Prisco e bandendo da Roma alcuni filosofi. Tito Anche per la successione, Vespasiano seguì il sistema di Augusto: fece ricoprire a Tito diverse cariche e gli fece attribuire diversi titoli, così che alla sua morte l’avvicendamento avvenne senza problemi. Prima di ricoprire il ruolo di imperatore, Tito fu prefetto del pretorio, ricevette l’imperium proconsolare, la potestà tribunizia, i titoli di Augusto e di pater patriae. Il breve regno di Tito (79-81) fu caratterizzato da gravi calamità naturali, fra cui ricordiamo la rovinosa eruzione del Vesuvio. Domiziano Secondo le fonti, il suo regno (81-96) fu contraddistinto da uno stile di governo autocratico e inviso al senato, ma la sua azione politica fu efficace e benefica per l’Impero. Si occupò di amministrare le province, reprimere gli abusi dei governatori, promuovere i compiti burocratici e rinunciò a ulteriori vaste conquiste militari. Inoltre, inaugurò un sistema di difesa dei confini: il limes. Prima di Vespasiano il limes era inteso come le strade che si estendevano in territori non ancora conquistati e dotate di fortificazioni; in seguito, il termine passò a designare una frontiera artificiale, una linea di separazione fra l’Impero e i territori esterni. Nell’85 Domiziano dovette affrontare il problema della Dacia: il re Decebalo unì varie tribù e guidò incursioni nei territori romani; la campagna guidata da Domiziano però dovette risolversi in una semplice trattativa di pace, perché la situazione si complicò in seguito all’insurrezione di Saturnino (governatore della Germania superiore). Quindi Domiziano si occupò di sedare questa rivolta. La questione di Saturnino ebbe però ripercussioni importanti: Domiziano continuò a sentirsi minacciato e a perseguitare persone sospettate di tramare contro di lui. Questo lo portò a farsi parecchi nemici e cadere vittima di una congiura nel 96. Dopo la sua morte il senato proclamò la damnatio memoriae. IL 2° SECOLO Nerva Il 2° secolo d.C. è tradizionalmente considerato il periodo più prospero dell’Impero romano; a ciò contribuì sicuramente la rinnovata stabilità conseguita in seguito al regime successorio affermatosi con Nerva. Il principato di Nerva (96-98) fu caratterizzato dalla restaurazione delle prerogative del senato e dal riassetto degli equilibri istituzionali interni. Nerva controllò le possibili reazioni all’uccisione di Domiziano per scongiurare il pericolo dell’anarchia: fece infatti abolire le misure più impopolari di Domiziano e ne confermò la damnatio memoriae. Nerva svolse un’opera costruttiva di politica finanziaria a favore di Roma e dell’Italia, attraverso leggi agrarie e il programma delle istituzioni alimentari (attraverso cui venivano concessi prestiti agli agricoltori in cambio dell’ipoteca dei loro terreni). Nel 97 iniziarono a manifestarsi problemi economici, politici e militari, simbolo di una crisi imminente. In questo clima, i pretoriani chiesero la punizione per gli assassini di Domiziano; Nerva acconsentì, ma in questo modo si metteva contro proprio coloro che l’avevano accompagnato al potere, compromettendo la propria immagine. Per impedire una possibile disgregazione dell’Impero, prima della sua morte Nerva adottò Traiano. Traiano Il regno di Traiano (98-117) fu caratterizzato da un marcato interesse per i bisogni dell’Impero e dell’Italia, e tra i suoi programmi ebbe un posto di rilievo l’espansione territoriale. Traiano unì nella sua persona l’esperienza militare e il senso di appartenenza al senato (le stesse proprietà incarnate da Augusto), prerogative che lo resero l’optimus princeps agli occhi dell’opinione pubblica romana. Le sue campagne daciche, che godettero di un particolare sostegno del senato, portarono alla riduzione della Dacia a provincia e al ricavo di un enorme bottino che servì a finanziare altre imprese militari e opere pubbliche. Dopo la Dacia, l’imperatore si interessò alla frontiera orientale, istituendo la provincia di Arabia. Quando Traiano morì, le truppe acclamarono imperatore il suo parente spagnolo Adriano. Adriano Il regno di Adriano (117-138) fu caratterizzato da un abbandono della politica di controllo delle province orientali, che preferì affidare a dei clienti, mettendo fine alle guerre di espansione volute dal suo predecessore. Per acquistarsi la benevolenza pubblica, Adriano si preoccupò di alleviare il malessere economico: cancellò i debiti arretrati contratti in Italia con la cassa imperiale e fece distribuzioni al popolo. Adriano si occupò anche di riformare l’esercito, concentrandosi sulla disciplina militare e reclutando provinciali. L’imperatore favorì anche l’arte, la letteratura e le tradizioni, mostrando una spiccata predilezione per la civiltà ellenica; appassionato costruttore di palazzi, fece costruire per sé un mausoleo che è l’odierno castel sant’Angelo. Adriano si adoperò anche nell’amministrare efficacemente la giustizia, dividendo l’Italia in 4 distretti giudiziari affidati a senatori, per alleggerire il carico dei tribunali romani. Consapevole dell’importanza del ceto equestre, ne riorganizzò la carriera e ne estese il campo d’azione. Antonino Pio del 393. La grande proprietà terriera e i padroni crebbero notevolmente: gli agricoltori si raccomandavano a lui mettendosi sotto la sua protezione e impegnandosi a obbedirgli. Questo rapporto di protezione, detto commendatio, era molto diffuso e si verificava soprattutto tra grandi e piccoli proprietari. Oriente e Occidente All'inizio del 4° secolo la realtà dell'impero esigeva un governo separato di oriente e occidente. A tal proposito, nel 330 sulle rive del Bosforo l'imperatore Costantino fonda Costantinopoli (detta anticamente Bisanzio). Essa venne considerata alla stregua di una "nuova Roma", e ci fu creato un secondo senato. Tra impero romano d'occidente e impero romano d'oriente c'erano evidenti diversità di condizioni sociali, problemi politici e cultura. La separazione fra le due parti dell'impero si fece più profonda nel 395, l'anno della morte dell'imperatore Teodosio. Egli designò come suoi successori i figli Onorio (a cui assegnò l'occidente, con capitale Milano) e Arcadio (a cui affidò l'oriente, con capitale Costantinopoli). Spartizioni analoghe del potere erano già avvenute, ma stavolta la spartizione si inserì in un contesto profondo e determinò la rottura dell'unità imperiale dando origine a due dinastie diverse. Cristianesimo e impero Nel grande sforzo di restaurazione di Diocleziano si inserisce il suo tentativo (successivamente abbandonato) di eliminare le organizzazioni cristiane. Constatata l'impossibilità di estirpare le comunità cristiane, si apre la strada un editto di tolleranza emanato nel 313, ovvero l'editto di Milano. I cristiani non rappresentavano una minoranza sovversiva; in realtà il cristianesimo si dimostrava interessato a soccorrere i poveri e a occuparsi dei problemi delle persone, offrendo in questo modo un valido aiuto all'imperatore, responsabile della pace sociale. Per cui nell'età di Costantino si instaura un legame profondo tra impero e cristianesimo, concretizzato in un graduale avvicinamento in 3 fasi: 1. riconoscimento della piena libertà di culto per tutti (stabilita con l'editto di Milano); 2. concessione di numerosi privilegi alle comunità cristiane e al clero (per esempio, i sacerdoti vengono esonerati dal pagare le tasse e costruì e dotò di patrimoni molto vasti grandi basiliche); 3. intervento nelle controversie dottrinali per mantenere unita la comunità; A proposito di questo punto, nel 325 Costantino convoca il concilio di Nicea, un concilio ecumenico: un'assemblea generale di vescovi si riunisce per porre fine alla controversia trinitaria che divideva la cristianità. (Ario, secondo cui la natura del padre > della natura del figlio VS Atanasio, secondo cui la natura del padre = alla natura del figlio. Vince lui). L'importanza del concilio di Nicea è testimoniata dal fatto che la formula del credo tuttora in vigore è pressoché identica alla formula elaborata nel concilio del 325. L'impero nelle dispute teologiche La politica imperiale successiva al concilio di Nicea fu caratterizzata da due fatti rilevanti: ci furono frequenti cambiamenti di orientamento da parte degli imperatori nelle dispute teologiche, e dalla fine del 4° secolo fu offerto un totale sostegno alla nuova religione Se ai tempi di Costantino l'impero era, almeno formalmente, neutrale di fronte alle scelte religiose, con Teodosio non sarà più così. Nel 380 venne emanato l'editto di Teodosio, il quale stabiliva che la religione cattolica fosse l'unica riconosciuta dall'impero. Siamo arrivati al punto in cui la religione cattolica diventa religione di stato. Ciò non impedì tuttavia l'insorgere di nuove dispute, ad esempio la famosa disputa riguardante la natura cristologica risolta nel 431 in occasione del concilio di Efeso (in cui viene stabilito che in Cristo si incontrano e coesistono natura umana e divina e viene condannato il millenarismo). AI CONFINI DELL’IMPERO Altri mondi Il mondo romano era da tempo in difficoltà a causa di crisi interne; inoltre, dal 2° secolo in poi, era minacciato dalla pressione crescente dei popoli germanici stanziati a nord, la stessa pressione che travolgerà quell'impero che per secoli aveva resistito a crisi gravissime. Il mondo greco-romano e il mondo germanico erano separati da differenze culturali molto profonde, anche se nel tempo, dato che stavano comunque a contatto, la società germanica cominciò a trasformarsi. Un esempio lampante di ciò è la conversione nel 4° secolo al cristianesimo (arianesimo) di un'intera popolazione germanica: i goti. All'inizio del 5° secolo, quando alani, svevi e vandali irrompevano nell'impero e i visigoti saccheggiavano Roma, la cultura di questi popoli germanici era stata ampiamente influenzata da quella greco-romana. Le "grandi migrazioni di popoli" Dopo millenni di migrazioni lo spazio occupato dai nomadi sembrava aver trovato una relativa stabilità: i loro spostamenti erano infatti stati ostacolati dai rafforzamenti dei confini delle regioni vicine. Un fatto importantissimo, che diede inizio ad una catena di eventi immane, fu la distruzione dell'impero della dinastia Gupta in India ad opera degli unni, nel 5° secolo. Il pericolo unno scatenò nel mondo barbarico una serie di spostamenti a catena, per cui gli studiosi parlano del periodo delle "grandi migrazioni di popoli". Particolarmente dannosa per l'impero romano fu la migrazione dei visigoti: nel 378 i visigoti sconfissero e uccisero l'imperatore Valente, e nel 410 iniziarono il saccheggio di Roma. I pastori nomadi È doveroso concentrarsi sui popoli nomadi delle steppe e dei deserti, e soprattutto sui popoli germanici che invasero l'impero: dall'incontro tra mondo latino e mondo germanico nacque la civiltà medievale. Le popolazioni nomadi delle steppe e dei deserti erano fortemente soggette alle costrizioni ambientali: la loro esistenza infatti dipendeva ancora dalla distribuzione delle risorse spontanee; inoltre si basavano sullo sfruttamento dell'ambiente circostante per ottenere indumenti, riparo e nutrimento. Il problema principale di queste popolazioni era trovare il giusto equilibrio tra scarsità delle risorse indispensabili e consistenza numerica della popolazione. L'organizzazione socio-politica dei nomadi delle steppe Quali erano le forme di organizzazione socio-politica di queste popolazioni? Prendiamo a campione di analisi gli unni: la loro società era organizzata in questo modo: famiglia, clan, tribù, popolo. Essi conoscevano e adottavano l'istituzione dei capi di guerra: eleggevano, soltanto in tempo di guerra, un numero imprecisato di condottieri durante le loro assemblee. Ma la domanda interessante è: come fece un popolo così poco sviluppato a mettere in grande difficoltà il popolo romano e creare a loro volta un vasto impero? La risposta a questo quesito va ricercata in una conquista. Nel 376, con l'aiuto degli alani, gli unni riuscirono a sottomettere gli ostrogoti. Grazie alla possibilità di sfruttare gli ostrogoti, che da tempo praticavano l'agricoltura sedentaria, gli unni riuscirono a sostentare contingenti sempre maggiori di guerrieri. Economia e cultura dei germani Con il nome di germani indichiamo quell'insieme di popoli che nel 4° secolo occupavano l’Europa settentrionale, l'area tra il mare del Nord e il mar Nero. I germani non erano un popolo nomade, cacciavano e raccoglievano, e l'agricoltura, sebbene poco sviluppata, era una colonna portante della loro economia; commerciavano frequentemente con i romani, i loro commerci erano di solito basati sul baratto. Due fatti importanti, ovvero la fragilità dell'economia germanica e l'importanza economica della razzia e della guerra, spiegano perché appunto razzie e guerre fossero considerate come attività economiche, che andavano ad integrare i profitti dell'allevamento, della raccolta e dell'agricoltura. Nei popoli germanici l'entità economica di base era il clan, non la famiglia; inoltre, in tempo di pace non c'era nessuno autorità che comandasse sui clan costituenti di una popolazione, nessuna istituzione coercitiva. In tempo di guerra emergevano invece tre organi di governo: il consiglio dei capi tribù, il consiglio dei capi di guerra, e l'assemblea dei guerrieri. La classe sociale dei guerrieri in particolare, era quella che più di tutte godeva di prestigio e ricchezze. La differenziazione delle ricchezze era una caratteristica dei popoli germanici, e lo testimonia anche l'archeologia. Con il passare del tempo questa struttura comunitaria si indebolì, e si formarono dislivelli sociali anche all'interno dei raggruppamenti familiari: questo accadde da quando il passaggio ereditario dei beni cominciò ad andare a beneficio dei figli anziché degli altri parenti; come conseguenza di ciò, la famiglia monogamica si rafforzò a danno dei clan. La nascita dei re elettivi A rompere l'equilibrio istituzionale fra i tre organi di governo dell'antica società germanica intervennero due fenomeni. Il lento emergere di un re elettivo in sostituzione ai capi di guerra, e la nascita di un'aristocrazia guerriera con proprie clientele armate. Alla fine del 1° secolo l'assemblea dei guerrieri cominciò a non eleggere più un certo numero di capi dotati di uguale potere, ma uno o al massimo due capi che restavano in carica per una guerra. Come testimonia Tacito, questo "re elettivo" era scelto tra i capi più rappresentativi, oppure reclutato tra i membri del clan più influente di una popolazione (in tal caso ricopriva una carica a vita). Questa trasformazione, unita alla differenziazione sociale, dimostra che le strutture istituzionali tradizionali erano in crisi. A stravolgere ulteriormente gli equilibri sorse una nuova istituzione: la clientela militare (comitatus): fino al 1° secolo chi voleva effettuare una scorribanda poteva reclutare temporaneamente un numero variabile di compagni guerrieri, i comites, anche senza l'assenso del consiglio. All'epoca di Tacito tuttavia i capi avevano reso permanenti i loro rapporti con i comites: un capo equipaggiava e manteneva il suo comitatus anche in tempo di pace. Il fatto che le clientele diventino permanenti porta con sé altre due trasformazioni: la suddivisione del bottino tra i componenti della banda accentuò le disparità economiche all'interno dei clan, e la trasformazione dei comites in classe privilegiata. La trasmissione della cultura presso i germani L'educazione che i germani impartivano ai propri figli era molto rude, al fine di trasformarli in contadini e guerrieri; essi avevano il culto della fisicità. Dopo essere stati educati ed essersi a lungo esercitati, venivano ammessi a un'assemblea di armati dove ricevevano una lancia e uno scudo: questa cerimonia li inseriva nella società di guerrieri. Le scuole non esistevano, così come la cultura intellettuale; esisteva una scrittura germanica (la scrittura runica) ma la loro cultura era prevalentemente orale. Tuttavia bisogna precisare che, a contatto con il mondo romano, i germani subirono un processo di acculturazione; inoltre sappiamo che il politeismo si dimostrava molto fragile nelle aree di confine con l'impero romano, come dimostra la conversione dei goti. Le milizie germaniche trasformazione. Il regno franco Il regno in cui la convergenza tra germanici e latifondisti gallo romani risultò più profonda fu quello franco. Prima del 482, quando Clodoveo divenne re del principale regno franco, essi erano sparsi e organizzati in tanti piccoli regni. Clodoveo (discendente da Meroveo, il capostipite della dinastia merovingia da lui fondata) ampliò il territorio franco grazie ai buoni rapporti con l'aristocrazia gallo romana e con l'episcopato cattolico, che riuscì a convertire lo stesso re. Il risultato dell'influenza di queste due istituzioni fu l'innalzamento della figura del re a responsabilità ignote al mondo germanico a forme accentrate di potere statale. Teodorico e il regno ostrogoto in Italia Nel 489 il re dei goti Teodorico condusse gli ostrogoti in Italia; era la prima volta che un intero popolo si stanziava stabilmente nella penisola: erano circa 100mila persone, di cui 25mila guerrieri. Il loro stanziamento avvenne con il sistema dell'ospitalità, assegnando cioè 1/3 delle terre dei possessori. La politica di Teodorico entrò in crisi sul terreno religioso, quando l'imperatore Giustino emanò severe misure contro la dissidenza religiosa; la situazione peggiorò ulteriormente con il fallimento delle iniziative diplomatiche di Teodorico, che mirava all'egemonia sugli stati romano-germanici. Egli abbandonò quindi le sue politiche concilianti verso l'impero e la chiesa, e colpì coloro che gli sembravano favorevoli a Bisanzio. La morte di Teodorico lasciò in balia della aspirazioni dell'oriente un regno in crisi. Cosa resta di Roma? Nei regni romano germanici che cosa resta della cultura, delle strutture e della vita urbana che avevano caratterizzato l'età romana? In parte la "romanità" sopravvisse, grazie alla larga diffusione del regime dell'ospitalità il quale implicava la conservazione delle strutture precedenti. Tuttavia un indebolimento delle strutture portanti del mondo romano è chiaramente individuabile quando si guarda alle città: esse perdono di importanza e scompaiono gradualmente come centri di consumo. Era inoltre in pericolo un pilastro fondamentale dello stato romano, ovvero la fiscalità: le imposte, che non erano pagate né dal clero in quanto esonerato né dai germani in quanto ospiti, gravavano tutte sulla popolazione civile romana; questo provocò moltissime rivolte antifiscali. Il regresso della scuola antica e la nascita della scuola cristiana Il 7° secolo segna la scomparsa della scuola antica, regredita lentamente ma incessantemente a causa dell'assimilazione dell'aristocrazia romana con l'elemento germanico. La cultura greca comunque non muore, viene trasmessa dai letterati cristiani per ampliare le loro conoscenze (ovviamente mettendo in guardia i fedeli contro i testi profani); le lettere classiche passano dunque al servizio della cultura cristiana. Tuttavia nel 6° secolo l'insegnamento cristiano prende una piega diversa: nascono scuole per chierici dove si studia quasi esclusivamente la Bibbia; infatti in questo periodo i personaggi di maggior rilievo nell'ambito culturale sono quasi esclusivamente vescovi e uomini di chiesa. L'IMPERO RESTAURATO DI GIUSTINIANO La civiltà bizantina Nel 6° secolo la differenziazione tra Occidente e Oriente è ormai avanzata in molti aspetti: in Occidente l'economia urbana è ridotta, mentre ad Oriente le città conservano grande vitalità commerciale; in Occidente nascono i regni romani germanici, mentre Oriente si libera della pressione dei germani; resiste fino al 1453, quando Costantinopoli è presa dai turchi; l'impero orientale prende le distanze dallo stato romano e si configura come un impero caratterizzato da una civiltà specifica, la civiltà bizantina Il mondo bizantino trova le sue origini nell'età di Diocleziano e Costantino per 3 motivi: 1. le loro riforme cambiano radicalmente la struttura della società romana 2. la religione cristiana diventa una componente fondamentale della vita dell'impero 3. essi gettarono le basi di un profondo legame tra stato e chiesa, caratteristico della storia di Bisanzio Fino a Costantino l'impero romano era caratterizzato da due elementi principali: la forte struttura statale e la cultura ellenistico-romana; nella civiltà bizantina queste caratteristiche sopravvivono ma non sono più di primaria importanza, come lo diventano invece lo stretto legame stato-chiesa e la religione cristiana. A Bisanzio di afferma il principio del cesaropapismo, per cui l'imperatore tende ad assumersi responsabilità anche in ambito spirituale. Per un certo verso la civiltà bizantina costituisce lo sviluppo della civiltà romana su basi parzialmente nuove; i bizantini avevano vivissimo il senso di questa continuità, tuttavia la coscienza di appartenere alla cultura greco romana non gli impedì di assorbire stimoli culturali e idee di altri popoli. I problemi di Bisanzio Bisanzio ereditò da Roma, oltre a dei pregi, anche due problemi importanti: il problema dei rapporti con le popolazioni barbariche, e quello dei dissidi di carattere religioso. In particolare, i problemi di carattere religioso rischiavano di mettere in pericolo la pace sociale; un esempio di questi problemi fu la disputa sulla dottrina monofisita: nel 482 l'imperatore Zenone tentò di accordare la dottrina monofisita con quella fissata nei concili ecumenici . Il suo tentativo fallì, e come conseguenza provocò tra Roma e Costantinopoli uno scisma durato trent'anni. Invece gli sforzi per evangelizzare i popoli non cristiani furono più fortunati, anche grazie all'imperatore Giustiniano: fu un grande protettore della chiesa e ne fece una fedele collaboratrice. Forme di vita monastica Nella vita religiosa di quei secoli ebbe grande importanza il monachesimo; un grande momento della storia del monachesimo fu il suo sviluppo nella forma cenobitica, ovvero la diffusione dei cenobi, comunità monastiche desiderose di incarnare l'ideale evangelico di perfezione e penitenza. In Occidente queste comunità si diffusero sulle coste francesi, per poi estendersi oltre i confini dell'impero, fra le popolazioni celtiche dell'Irlanda. Nell'età di Giustiniano il monachesimo conobbe una delle sue esperienze più significative: quella di Benedetto da Norcia, fondatore del monastero di Montecassino. La Regola che Benedetto compose per i suoi monaci era caratterizzata da tre aspetti essenziali: 1. il senso della misura- richiedeva cioè di obbedire all'abate e restare legati al monastero, conducendo una vita equilibrata senza austerità eccessive 2. l'importanza dello studio- anche se l'attività intellettuale era limitata ad approfondire i testi delle scritture; nei monasteri c'era uno studio dove venivano ricopiati manoscritti, infatti le abbazie svolsero un ruolo centrale nella conservazione e trasmissione della cultura 3. l'importanza del lavoro manuale- il lavoro era interpretato come forma di ascesi, inoltre in questo modo l'abbazia era indipendente ed autosufficiente Le riconquiste di Giustiniano L'alleanza con il papa e la politica di unità del mondo cattolico erano le due condizioni necessarie per l'attuazione del disegno espansionistico di Giustiniano: egli voleva restaurare l'impero universale di Roma e realizzare un impero coincidente con l'estensione del cattolicesimo. Iniziò così una serie di guerre di conquista, al termine delle quali ai territori dell'impero d'Oriente furono riaggregate Italia, parte della Spagna, Africa settentrionale; il Mediterraneo quindi tornò ad essere un mare interno dell'impero. I primi a fare le spese dell'espansionismo bizantino furono i vandali, che vennero completamente cancellati; molto più difficile fu il recupero dell'Italia occupata dai goti, molto più tosti dei vandali: le battaglie per recuperare la penisola durarono vent'anni, ma alla fine le truppe bizantine guidate dal generale Narsete riuscirono nell'impresa. Ma com'erano state possibili queste conquiste? Giustiniano fece un grande lavoro di riorganizzazione della macchina statale, articolato in tre livelli: 1. riscossione regolare delle imposte- la forte pressione fiscale fu una costante dell'impero bizantino 2. centralizzazione e potenziamento della burocrazia 3. riorganizzazione totale della legislazione- essa diede un fondamento giuridico al potere autocratico dell'imperatore, la cui volontà fu dichiarata legge suprema; la riorganizzazione legislativa fu opera di Triboniano, che riorganizzò l'antica legislazione romana tenendo conto del trionfo cristiano e dell'evoluzione dei costumi. Il risultato fu il Corpus iuris civilis, un'opera monumentale che fu alla base della legislazione bizantina per quasi un millennio, e influenzò molto la legislazione europea Travagli interni e ridimensionamento territoriale Tra la fine del 6° e l'inizio del 7° secolo la vita dell'impero bizantino fu scossa da due fenomeni di grande rilievo: una grande crisi interna provocata da guerre civili, rivolte popolari e rivolte militari, e l'incapacità di difendere le frontiere dalle minacce provenienti da Oriente e Occidente. A causa di questa incapacità l'impero andò incontro ad amputazioni territoriali gravi; in particolare l'Italia, che con tanti sforzi era stata recuperata, venne occupata dai longobardi. Le enormi perdite territoriali dell'impero spostarono il baricentro dell'impero verso Oriente. L'ordinamento tematico e la ripresa di Bisanzio Per reagire a questa situazione, l'imperatore Maurizio decise di non rispettare più la separazione tra potere militare e civile, e raggruppò nelle due luogotenenze di Ravenna e Cartagine quel che rimaneva delle province italiane e africane, affidandone l'amministrazione militare e politica agli esarchi. La concentrazione dei poteri nelle mani dei capi militari sta alla base del sistema dei temi sorto al tempo di Eraclio, uno dei più grandi imperatori bizantini; il tema era un'unità amministrativa a carattere militare, a capo della quale stava un generale dotato dei massimi poteri civili e militari. In questo modo crolla l'ordinamento risalente a Diocleziano e Costantino, che si fondava sulla distinzione, nelle province, tra potere militare e civile. Ai soldati (stratioti) furono attribuiti dei fondi, in proprietà privata ed ereditaria, in cambio del loro servizio militare parimenti ereditario. La riorganizzazione dell'esercito permise di liberarsi dal gravoso impegno di arruolare mercenari e di avere truppe più economiche e motivate; questo esercito permise di recuperare molti dei territori sottratti, ma il significato profondo dell'opera di Eraclio non risiede in queste (effimere) conquiste: la sua riforma pose i