Scarica STORIA ROMANA GERACI - MARCONE e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! PARTE QUARTA – L’Impero da Augusto alla crisi del III secolo CAPITOLO 1- Augusto ■ 1.0 Le fonti: Augusto e la prima età imperiale Le maggiori informazioni sulla politica di Augusto sono conservate nelle opere del II e III secolo d.C., cioè nella biografia di Svetonio e nella narrazione di Cassio Dione, ma bisogna anche ricordare gli autori contemporanei: la biografia di Augusto scritta in greco da Nicola di Damasco, il II libro della Storia Romana di Velleio Patercolo, sincero ammiratore di Tiberio e testimone delle campagne in Germania e Pannonia. L’età di Augusto è documentata in modo straordinario da numerosi autori di poesia, come Cornelio Gallo. Anche Virgilio, Orazio, Tibullo, Properzio e Ovidio, esponenti letterari di spicco, sono tra i principali testimoni della vita pubblica di Roma. Le fonti epigrafiche sono sempre più numerose e significative per ricostruire la storia politica e l’ideologia imperiale: iscrizioni, monumenti, statue e edifici. Emblematico è il ruolo rivestito dalle Res Gestae, autobiografia di Augusto fatta incidere su due pilastri di bronzo e oggi collocati davanti all’ingresso del Mausoleo di Augusto a Roma e fatta pubblicare per volontà del senato in tutte le province. Ma anche giuramenti di fedeltà all’imperatore: i cinque editti di Augusto e il decreto del senato da Cirene; i Fasti Praenestini; gli Elogia del Foro di Augusto; i decreta Pisana; un editto di Augusto del 15 a.C. rinvenuta in Spagna e nota con il nome di Tessera Paemeiobrigensis; la Tabula Hebana, la Tabula Siarensis e la Tabula Ilicitana, altre tre tavole trovate in Etruria e in Spagna con disposizione in onore dei defunti Germanico e Druso Minore; il Senatoconsulto dei Cn. Pisone patre, tavola in bronzo da cui sappiamo del processo in cui il governatore della Siria fu accusato della morte di Germanico e che può essere posta in connessione con le pagine dedicate da Tacito alla vicenda. La tavola di bronzo con la Lex de imperio Vespasiani, contenente il conferimento dei poteri imperiali a Vespasiano. Per i membri della dinastia Giulio-Claudia e per i Flavi oltre alle biografie di Svetonio, vi è ancora la Storia Romana di Cassio Dione. Per la storia economica e sociale sono fondamentali papiri e monete, queste ultime inoltre utilissime per lo studio dell’ideologia imperiale. La documentazione papiracea per i secoli del primo impero proviene in massima parte dall’Egitto, nei quali sono conservati documenti di vita quotidiana di carattere privato, lettere, conti, contratti, ma anche petizioni, atti processuali, dichiarazioni di censimento e per il catasto. I papiri contengono anche una grande varietà di testi letterari e di carattere tecnico-scientifico, manuali di magia e testi religiosi. La narrazione più importante degli eventi della prima età imperiale è senza dubbio quella dei libri superstiti degli Annali e delle Storie di Cornelio Tacito, la cui carriera politica subì una battuta d’arresto negli anni finali dell’impero di Domiziano. Gli Annali coprivano gli avvenimenti dalla morte di Augusto al suicidio di Nerone; le Storie erano invece dedicate al periodo più recente dal 69 al 96 a.C. La prima prova di scrittore di Tacito era stata la Vita di Agricola, dedicata al suocero e alle imprese militari in Britannia. Per i singoli eventi sono da ricordare infine Valleio Patercolo, Filone Alessandrino, Flavio Giuseppe con le Antichità Giudaiche, Seneca con i trattati La clemenza e I benefici, Plinio il Vecchio e la Storia Naturale. ■ 1.1 Impero Romano e Impero dei Cesari Convenzionalmente con il 31 a.C. si suole far iniziare il Principato, vale a dire il regime istituzionale incentrato sulla figura di un unico reggitore unico, il princeps. Nel 31 a.C., grazie alla vittoria conseguita ad Azio su Antonio e Cleopatra, e soprattutto dopo la morte del rivale nel 30 a.C., Ottaviano si ritrovò ad essere padrone assoluto dello Stato Romano: tornare alla normalità, dopo una guerra, non era facile. Difficoltà nascevano dal senato amputato dai senatori scappati con Antonio, ma anche dalle sue stesse truppe, divenute eccessive, e da quelle parzialmente confluite antoniane. I soldati vennero licenziati in parte senza i primi che avrebbero potuto ottenere dalla campagna contro Antonio e Agrippa tornò a Roma con il compito di far fronte alle questioni che potessero sorgere nell’Urbe e in Italia. anche se ci fu un’immediata riduzione della forte tassazione di guerra, ciò non portò comunque alla calma, com’è dimostrato dal ritorno di Ottaviano da Samo. Nel frattempo, era stato scoperto e represso da Mecenate un motivo insurrezionale di cui faceva parte il figlio del triumviro Lepido e che ne pagò con la morte. Per sedare i tumulti nati dal ritardo nella distribuzione delle terre promesse, Ottaviano aveva dovuto indebitare pesantemente se stesso e i suoi sostenitori. La mancanza di fiducia nei confronti di Ottaviano negli stessi senatori e cavalieri che si erano schierati al suo fianco è provata dal loro imbarco forzato con lui per la campagna di Azio, ma anche nel 29 a.C., dopo aver ottenuto onori e manifestazioni trionfali, Ottaviano continuava a rilevare in molti dei senatori un atteggiamento a lui ostile. La conclusione delle guerre civili e l’ipotesi di un governo palesemente monarchico che sostituisse le istituzioni repubblicane era improponibile dopo che Ottaviano aveva architettato una campagna contro il ‘’despota orientale’’ Antonio. Il disegno di Ottaviano non è dall’inizio frutto di un compiuto progetto politico, ma è frutto di continui aggiustamenti e ripensamenti pur connessi a una logica di fondo: ciò che noi chiamiamo ‘’impero’’ non è stato fondato e concepito in un solo momento, ma per tappe successive. La razionalizzazione dell’amministrazione progressivamente attuata da Augusto e dai suoi successori, la graduale integrazione nel senato delle élite delle diverse regioni dell’Impero e il ruolo politico e sociale degli eserciti dislocati nelle province, fanno sì che la ‘’storia romana’’ a partire da Augusto sia diventata sempre più ‘’storia dell’Impero’’, intesa come storia del rapporto e dell’interazione dei territori e popolazioni rispetto al centro del potere. ■ 1.2 Il triennio 30-27 a.C. Gli anni 30-27 a.C. furono determinanti per l’impostazione del progetto ottavianeo di ritorno alla normalità senza rinunciare all’acquisita posizione di preminenza; le fonti antiche hanno varie interpretazioni: 1. Cassio Dione ne propone una lettura ricorrendo all’artificio di porre in bocca ad Agrippa e Mecenate due lunghi discorsi sulla formula di governo da adottare. In essi Agrippa pone in evidenza le insidie della monarchia e i vantaggi del restauro della democrazia e dei valori di libertà. Mecenate al contrario si sarebbe fatto consigliere di una forma monarchica come condizione necessaria per garantire un corretto funzionamento dello stato, ordine, pace, stabilità, pari opportunità per tutti. Prevalse secondo Dione quest’ultima posizione, anche se con attenuazione. 2. Tacito insiste sull’importanza rappresentata in successione dal consolato e dalla tribunicia potestas: ‘’alla morte di Antonio, Ottaviano depose il titolo di triumviro e agì da console, con l’approvigionamento alimentare e la dolcezza della pace; da lì a poco cominciò ad appropriarsi delle funzioni del senato, dei magistrati, delle leggi senza che vi fosse opposizione; Roma era quieta. 3. Velleio Patercolo insiste sul ripristino degli ordinamenti dilaniati dai conflitti intestini: ‘’finite le guerre civili dopo 20 anni fu restaurata l’antica struttura dello Stato, restituito il lavoro ai campi, il rispetto della religione, la sicurezza agli uomini’’. Traci senza averne ricevuto autorizzazione. Egli venne condannato e Murena, suo difensore, nello stesso 23 a.C. fu coinvolto nella congiura ordita da Fannio Cepione, filorepubblicano, per eliminare Augusto. Con ciò si incrinò anche l’amicizia con Mecenate, della cui moglie Murena era fratello. A metà anno Augusto depose il consolato e non lo ricoprì fino al 5 a.C. e nel 2 a.C.; in sostituzione ottenne un imperium proconsolare rinnovabile a vita, che gli consentiva di agire con i poteri di un promagistrato su tutte le province con un imperium superiore a quello dei governatori che le reggevano designati dal senato. Ma l’imperium proconsolare quando si trovava a Roma non permetteva ad Augusto di agire nella vita politica: non gli consentiva di convocare né il senato né il popolo. Per questo il principe ricevette dal senato i pieni diritti di un tribuno della plebe, la tribunicia potestas, vitalizia, anche se rinnovata annualmente. In virtù di essa Augusto diveniva protettore della plebe di Roma, poteva convocare i comizi, poteva porre il veto e diveniva sacro e inviolabile. Gli fu inoltre dato il diritto di convocare il senato. Tutti questi poteri, secondo la tradizione repubblicana, non potevano essere ricoperti completamente. Le elezioni erano state ristabilite dal 27 a.C., anche se potevano essere influenzate da Augusto attraverso due procedure: 1. La nominatio, ovvero l’accettazione delle candidature da parte del magistrato che sovrintendeva all’elezione. 2. La commendatio, cioè la raccomandazione da parte dell’imperatore stesso. Nel 5 d.C. una legge consolare Valeria Cornelia istituì un complicato sistema di compromesso che teneva conto della nuova realtà politica e che durò qualche tempo, fino alle integrazioni successive di età tiberiana. I comizi centuriati difatti ratificavano i candidati che venivano preselezionati tramite una votazione preliminare che li disegnava, la destinatio, affidata a 10 apposte centurie. Tali centurie dovevano essere composte da senatori e da cavalieri tratti dalle liste dei giudici per i giudizi pubblici. I senatori e i cavalieri venivano ripartiti nelle diverse centurie attraverso un complesso meccanismo di sorteggio che teneva conto della tribù alla quale ciascuno risultava iscritto. I comizi si vennero svuotando dei loro poteri effettivi e privi di vincoli e le assemblee popolari furono confinate col tempo a un ruolo sempre più marginale. ■ 1.6 Il perfezionamento della posizione di preminenza Negli anni successivi si aggiunsero altre prerogative. Nel 22 a.C., in seguito a una carestia, Augusto rifiutò la dittatura offertagli dal popolo e assunse la cura annonae, cioè l’incarico di provvedere all’approvigionamento di Roma. Nel 19 e nel 18 a.C. esercitò anche i poteri di censore, tra cui il diritto di utilizzare le insegne dei consoli: la sella curulis e i 12 littori che portavano i fasci. In questo modo riuscì ulteriormente a ridurre i membri del senato. Anche Agrippa aveva ricevuto nel 23 a.C. un imperium proconsolare di 5 anni, per potersi recare in Oriente a risolvere numerosi problemi, mentre Augusto si trovava a Roma. Tra il 22 e il 19 a.C. Augusto Si portò sul confine orientale, dove era necessario sistemare la questione partica e armena: attraverso una trattativa diplomatica riuscì a recuperare le insegne delle legioni di Crasso e Marco Antonio. Intanto Agrippa era tornato a Roma e sposò la figlia di Augusto, Giulia, vedova di Marcello. Agrippa ebbe da Giulia Lucio Cesare e Caio, entrambi adottati come successori designati da Augusto nel 17 a.C. L’unica successiva variazione di potere di rilievo di Augusto avvenne alla morte di Lepido nel 12 d.C.: egli aveva rivestito fino a quel momento la carica di pontefice massimo, alla guida della vvita religiosa di Roma, e dopo la sua morte fu ricoperta di Augusto, ottenendo così nel 2 a.C. il titolo di padre della patria dal senato, dai cavalieri e dal popolo. ■ 1.7 I ceti dirigenti (senatori ed equites) Il senato negli ultimi anni della Repubblica aveva visto una profonda trasformazione nella sua composizione tradizionale, con un notevole aumento dei suoi membri (da 600 a più di mille) con l’ingresso di sostenitori di Cesare e poi dei triumviri. Le misure prese da Augusto furono adottate principalmente in due occasioni, nel 29/28 a.C. e nel 18 a.C. Nella prima, nella sua veste da console, si fece conferire la potestà censoria e procedette alla lectio senatus, cioè alla revisione delle liste dei senatori, espellendo dall’assemblea le persone indegne, ovvero quelle la cui origine o il cui censo non corrispondeva agli standard normalmente previsti. Nel 18 a.C., sempre grazie alla potestà censoria, riportò il numero di senatori ai 600 previsti da Silla. Inoltre, Augusto rese la dignità senatoria una prerogativa ereditaria Durante la Repubblica chi possedeva un censo pari a 400mila sesterzi e rispondeva ad alcune caratteristiche che ne definivano la dignità (nascita libera, esercizio di professioni non disonorevoli) apparteneva al ceto equestre. Quindi anche i figli dei senatori, fino al momento in cui non accedevano alla questura, erano semplici cavalieri. I senatori si distinguevano dagli equites solo per aver intrapreso una carriera politica, che assicurava loro l’ingresso in senato e avevano la possibilità di mostrarlo esteriormente portando il laticlavio, una larga striscia color porpora sulla toga. Nell’ultima fase della Repubblica molti figli di cavalieri e senatori avevano usurpato questo diritto, portando il laticlavio senza essere realmente membri del senato. Augusto proibì l’uso del laticlavio ai figli dei cavalieri, mentre lo consentì ai figli di senatori, che rimanevano cavalieri, ma potevano così segnalare la loro condizione. In taluni casi Augusto stesso poteva concedere il diritto di entrare in senato a chi non apparteneva a una famiglia senatoria, ovviamente per chi rivestiva una magistratura. Inoltre, poteva intervenire designando a una carica propri candidati e poteva cooptare delle persone inserendole in senato tra le fila di coloro che avevano rivestito una magistratura, attraverso la procedura dell’adlectio. In questo modo Augusto realizzò una distinzione netta tra ordo equester e senatus, creando un vero e proprio ordo senatorius, non vincolato alla partecipazione effettiva al senato, ma formato dalle famiglie senatorie, da cui l’assemblea poteva reintegrarsi in modo consistente. D’altra parte, anche l’appartenenza all’ordo equester fu codificata attraverso principi generali e appositi senatoconsulti: anche in questo caso l’intervento del principe poteva essere determinante per accedere al ceto equestre. Si definirono così rigorosamente i raggruppamenti da cui veniva reclutata la classe dirigente dello Stato romano, gli amministratori militari e civili e i più importanti ufficiali dell’esercito. I senatori detenevano tutte le più importanti magistrature a Roma e le maggiori posizioni di comando civile e militare in provincia. Poiché il loro numero non era sufficiente vennero impiegati anche dei membri dell’ordine equestre, oltre che nell’ambito giudiziario e negli appalti pubblici, anche in campo militare e in cariche amministrative. ■ 1.8 Roma, l’Italia, le province Roma contava probabilmente già circa un milione di abitanti, con un assetto urbano caotico. L’abitazione di Augusto mostrava i segni di onorificenza che gli aveva conferito il senato e ospitava il focolare di Vesta, di cui sua moglie Livia divenne sacerdotessa. Sempre vicino alla sua casa al Palatino fece costruire un tempio ad Apollo, la sua divinità tutelare. Nel Foro invece fece completare i programmi edilizi di Cesare, insieme a un tempio per Cesare divinizzato e a l’arco partico dove erano raffigurato le insegne di Crasso e Antonio recuperate ne 19 a.C. Nell’arco partico vennero esposte le lastre sia dei Fasti Consolari sia dei Fasti Trionfali. Restaurò poi la sede del sanato ed eresse una basilica in nome dei figli di Agrippa e Giulia prematuramente scomparsi, Caio e Lucio Cesari. Costruì un nuovo foro, il Forum Augusti, con al centro il tempio di Marte Ultore, nei cui rilievi e statue si celebrava la famiglia Giulia a partire dalla sua mistica ascendenza nell’eroe troiano Enea. A Campo Marzio fu edificato il Pantheon, dedicato da Agrippa e il Mausoleo di Augusto: davanti a questo furono incise su pilastri di bronzo le Res Gestae. Durante il principato di Augusto furono costruiti o restaurati molti edifici pubblici, acquedotti, terme, teatri e mercati e ci si preoccupò dell’organizzazione di servizi per l’approvigionamento alimentare e idrico e per la protezione degli incendi. L’Urbe fu ripartita topograficamente in 14 regiones (circoscrizioni), a loro volta suddivise in vici (quartieri) che servirono anche ad articolare e organizzare il sistema di gestione della città. Più vici riuniti insieme eleggevano i propri magistri, che si occupavano dell’ordine pubblico e della vita religiosa e cultuale del quartiere. La carestia che colpì Roma nel 22 a.C. indusse Augusto ad assumere la cura annonae e con i propri mezzi finanziari riuscì a fronteggiare l’emergenza. Solo nell’8 d.C., in seguito a un'altra crisi, egli istituì un servizio stabile, che doveva provvedere al rifornimento granario delle province, con a cappo un prefetto di ordine equestre, il praefectus annonae, che disponeva di un grande potere. Alla morte di Agrippa la cura dell’approvigionamento idrico, la cura delle strade e delle rive del Tevere passò ai collegi di senatori. Inoltre, egli creò un corpo di vigili del fuoco, organizzati in sette coorti di 500-mille uomini. L’Italia non fu pressoché interessata da riforme amministrative. Dopo la guerra sociale e la legislazione cesariana tuti gli abitanti dell’Italia erano diventati cittadini romani. Le circa 400 città italiche godevano di autonomia interna, erano dotate di un proprio governo municipale e non erano soggette all’imposta fondiaria. Augusto divise l’Italia in 11 regioni, utili in primo luogo per il censimento delle persone e delle proprietà. Vi furono inoltre numerose iniziative di rinnovamento edilizio nelle città d’Italia: porte, mura, strade, acquedotti. Le province che ricadevano sotto la responsabilità diretta di Augusto erano quelle in cui si trovavano una o più legioni. Queste province non pacificate crebbero da 5 fino a 13; queste erano governate da appositi legati scelti tra i senatori di rango pretorio o consolare (ex consoli o ex pretori). I legati, il cui mandato era di durata variabile a discrezione della volontà del principe, avevano il governo della provincia e il comando delle legioni, ma non il potere di riscuotere le tasse che era invece affidata a procuratori di rango equestre. Nelle altre province, quelle di competenza del popolo romano, erano 10 ed erano prive di legioni al loro interno, i governatori erano sempre senatori, ma in questo caso erano scelti a sorte tra i magistrati che avevano ricoperto la pretura o il consolato. Restavano in carica un solo anno, comandavano le forze militari presenti nella loro provincia assistiti dai questori; anche in queste Augusto poteva intervenire in virtù del suo imperium maius. Eccezione era costituita dall’Egitto, che subito dopo la vittoria su Antonio e Cleopatra, era stato assegnato a un prefetto dii rango equestre, nominato da Augusto. Il prefetto d’Egitto comandava le legioni ivi installate ed era responsabile dell’amministrazione e della giustizia. La provincia della Betica, una volta pacificata, passò dalla sfera di competenza di Augusto a quella del popolo, mentre altre province passarono sotto il controllo del principe. Venne inoltre creato un sistema razionale per l’esazione di impose e tasse: questo aveva come presupposto una misurazione dei terreni, su cui era imposta la tassa fondiaria, il tributum soli, e il censimento della popolazione, con cui si determinava il numero dei provinciali non cittadini romani, che dovevano pagare la tassa pro capite. ■ 1.9 L’esercito, la pacificazione e l’espansione All’indomani di Azio gli uomini nell’esercito superavano di gran lunga la necessità e i mezzi dell’Impero. I costi della liquidazione dei veterani rappresentavano un peso straordinariamente alto e in un primo tempo furono sostenuti con il bottino di guerra e con il patrimonio personale di Augusto. In un primo tempo i veterani ricevettero soprattutto terre, in Italia e in alcune province. Successivamente ottennero per lo più del denaro, grazie anche all’istituzione di una cassa speciale, l’erario militare. Con Augusto il servizio militare nelle legioni fu riservato in linea di principio ai volontari, per lo più italici: era quindi un esercito formato da professionisti che restavano in servizio per vent’anni e ricevevano un soldo di 225 denari l’anno. Altra innovazione importante fu l’istituzione di una guardia pretoriana permanente: era un corpo militare d’elite composto da nove maiestatis (8 a.C.) riordinò l’intera materia concernente il crimen maistatis, comminando a quanti avessero attentato alla maiestas dello stato romano la pena capitale; da tale legge derivò l’impulso a far rientrare nell’ambito di questo crimine tutte le offese o gli attentati indirizzati contro magistrati o figure pubbliche di rilievo. ■ 1.11 Prove dinastiche e strategie di successione. L’opposizione. Augusto aveva avuto solo una figlia, Giulia, ma doveva trovare il modo di non perdere il suo ruolo con la sua morte. La prima preoccupazione di Augusto fu quella di integrare la propria famiglia come tale nel nuovo sistema politico e nella propaganda ideologica, celebrandone l’ascendenza divina (Venere ed Enea ne sarebbero stati capostipiti). Inoltre, nella veste di pater familias sottolineava il carattere romano tradizionale della propria gens. Il ruolo assunto dalla domus principis gli consentiva di trasferire al proprio erede anche le clientele e il prestigio che secondo la tradizione romana appartenevano al patrimonio di una famiglia della nobiltà gentilizia. La posizione di princeps nello Stato veniva rafforzata dai meriti e dalle distinzioni via via acquisiti dai suoi figli adottivi e dalle persone della sua cerchia, come Agrippa. L’erede scelto all’interno della famiglia avrebbe acquisito non solo il patrimonio privato, ma anche una sorta di prestigio che gli garantiva un accesso privilegiato alla carriera politica militare e un ruolo singolare nella res publica. 1. Nel 23 a.C. la figlia Giulia sposò il nipote di Augusto, Marcello. Egli fu dotato di prerogative quali l’ammissione al consolato e al senato prima dell’età prevista. Nel momento in cui Augusto rischiò di morire dal suo ritorno dalla Spagna, fu Marcello stesso a morire nel 23 a.C. 2. Agrippa sposò Giulia dopo che Marcello morì. Dal matrimonio nacquero 5 figli, tra cui Caio e Lucio Cesari. Agrippa però morì nel 12 a.C. 3. Nel 17 a.C. Augusto aveva adottato i due figli di Giulia e Agrippa, Caio e Lucio Cesari. Ma vista la giovane età dei due ragazzi, la strategia di Augusto si concentrò sui figli della terza moglie Livia, nati dal primo matrimonio di questa con Tiberio Claudio Nerone: Tiberio e Druso. Tiberio aveva sposato la figlia di Agrippa, Vipsania Agrippina, ma dovette sposare da lei e sposare Giulia nell’11 a.C. Tiberium coprì due volte il consolato e gli fu conferito l’imperium proconsolare con l’aggiunta della potestà tribunizia per 5 anni. Anche Druso ottenne l’imperium proconsolare da esercitare in Germania e aveva lì condotto due brillanti campagne, una nel 10 e una nel 9 a.C., quando vi morì. A partire dal 6 a.C. Caio e Lucio Cesari erano stati progressivamente elevati alle alte cariche, ma in ogni caso non poterono diventare reali avversari di Tiberio in quanto morirono prematuramente nel 4 d.C. e nel 2 d.C. Nell’1 a.C. Tiberio aveva richiesto il permesso di rientrare a Roma dal suo autoesilio a Rodi, permesso inizialmente rifiutatogli, ma tornò comunque a Roma nel 2 d.C. dove aveva sciolto il matrimonio con Giulia, compita da uno scandalo e condannata all’esilio dal padre stesso. Augusto pretese allora da Tiberio che adottasse Germanico, il figlio di suo fratello Druso e di Antonia, figlia di Marco Antonio e di Ottavia, sorella di Augusto, anche se Tiberio aveva un suo proprio figlio di nome Druso ‘’Minore’’. In ogni caso Tiberio adottò Germanico nel 4 d.C. e Augusto adottò contemporaneamente Tiberio e Agrippa Postumo, il suo solo nipote sopravvissuto (altro figlio di Agrippa e Giulia). Ben presto Agrippa Postumo cadde in disgrazia, venne accusato di pazzia e di depravazione e relegato a Sorrento e poi nell’isola di Planasia. Nel frattempo, Tiberio ottenne l’imperium proconsolare sulla Germania e le Gallie, Nel 13 d.C. Tiberio celebrò i trionfi sui Germani e nel 14 d.C. fu richiamato precipitosamente dall’Illirico per l’aggravarsi delle condizioni di salute di Augusto. L’opposizione, anche se dentro un generale clima di consenso, non venne mai meno durante l’intero corso del lungo principato agusteo. Oltre alle congiure di Marco Emilio Lepido e di Murena e Cepione, un evento inquietante ed emblematico degli scontri ideologici del primo periodo del principato fu la caduta in disgrazia di Cornelio Gallo, primo prefetto d’Egitto, che accusato, venne privato del sostegno di Augusto e si suicidò nel 26 a.C. Nel 19 a.C. fu incolpato di congiura Egnazio Rufo, che aveva presentato la propria candidatura al consolato, forte della popolarità ottenuta per aver organizzato anni prima una squadra privata di vigili del fuoco. La sua candidatura fu rigettata, Rufo incriminato per aver cospirato al fine di assassinare Augusto e al suo ritorno dall’Oriente giustiziato. Ma i due episodi più gravi e misteriosi coinvolsero Giulia, figlia di Augusto, e la figlia di lei, Giulia minore. La prima nel 2 a.C. venne accusata di immoralità ed esiliata a Ventotene. La sua immoralità era associata ai suoi amanti e complici tra i quali, Iullo Antonio, secondo figlio di Antonio e Fulvia: questi era stato console nel 10 a.C. e più tardi proconsole in Asia, ma venne condannato a morte e si suicidò. Nell’8 d.C. Giulia minore, moglie di Lucio Emilio Paolo, console nel 1 d.C., che venne messo a morte per aver complottato contro il principe, subì la medesima sorte della madre e fu bandita per adulterio nelle isole Tremiti. Entrambe furono escluse per sempre dal Mausoleo di Augusto. ■ 1.12 L’organizzazione della cultura Il programma edilizio di Augusto mirava a completare i progetti di Giulio Cesare e a celebrare il ritorno della tradizione repubblicana. Uno specifico programma figurativo esaltava la pacificazione e una fittizia discendenza da una progenitrice divina, Venere, e da un mitico progenitore, Enea. Ma la celebrazione della pace e della figura provvidenziale di Augusto si manifestò anche in pubbliche cerimonie, nella monetazione, nella letteratura e nel coinvolgimento di intellettuali nella promozione del consenso al suo programma di restaurazione morale all’interno dello Stato e di pacificazione all’esterno. Nelle Res Gestae Augusto ripercorre tutte le tappe del proprio operato, sia istituzionale sia militare, illustrando in che modo abbia reso soggetto il mondo al potere del popolo romano e abbia portato pace estendendo anche i confini del potere romano. Attraverso le opere di Tito Livio e di poeti dell’età augustea possiamo ancora intendere quali fossero i messaggi, le idee e la politica culturale dell’epoca. Così come anche in Orazio e Ovidio si riflette la propaganda dominante dell’epoca, con l’estensione del dominio di Roma fino ai confini dell’ecumene, la sottomissione dei popoli non ancora assoggettati, la vendetta sui Parti ecc. L’adesione degli intellettuali al programma del principe doveva essere in gran parte a Mecenate: questi con un’opera di persuasione riuscì a legare poeti e artisti agli ideali della politica augustea. C’è anche da dire che non tutti gli intellettuali aderirono al programma augusteo. Ovidio stesso alla fine del principato augusteo fu relegato a Tomi, nel Ponto, accusato di aver scritto carmi che non erano in linea con la riforma dei costumi introdotta dalla legislazione moralizzatrice di Augusto. Bisogna ricordare anche la celebrazione dei ludi saeculares, tenuti a Roma nel 17 a.C., secondo gli antichi riti, per proclamare la rigenerazione di Roma, o le celebrazioni dei giochi che si tenevano ogni 4 anni a Nicopoli, la città fondata sul luogo dell’accampamento di Ottaviano ad Azio, per ricordare la vittoria del 31 a.C. Il nome di Augusto era anche inserito nelle preghiere del collegio sacerdotale dei Salii, il suo compleanno era celebrato pubblicamente. Nelle province orientali venne istituito un vero e proprio culto dell’imperatore, che veniva celebrato congiuntamente a quello della dea Roma. In Occidente invece il culto di Roma era affiancato a quello di Cesare divinizzato CAPITOLO 2 – I Giulio Claudi ■ 2.0 Le fonti L’intero periodo giulio-claudio è coperto soprattutto da Svetonio con le Vite di Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, e da Tacito con gli Annali. Gli ultimi capitoli della Storia romana di Velleio Patercolo apportano indicazioni sul principato di Tiberio fino al 30 d.C. Per Claudio e Nerone sono importanti le opere di Seneca, in particolare le Consolazioni, l’Apocolocyntosis, le opere filosofiche, le Lettere a Lucilio e Ottavia. Notizie sulla corte neroniana possono trarsi dalle Diatribe di Epitteto. Rilevante e fondamentale è la documentazione epigrafica: la Tabula Hebana, la Tabula Siarensis e la Tabula Ilicitana, il Senatoconsulto de Cn. Pisone patre, l’iscrizione di Gytheion che conserva la lettera di Tiberio con il rifiuto degli onori divini. Giuramenti di fedeltà all’avvento di Caligola sono attestati da epigrafi da Aritium in Lusitania e da Assos in Asia. Per Claudio di importanza rilevante sono la Tavola Clesiana e la Tavola di Lugdunum. Importante anche la documentazione numismatica e papiracea: gli Editti di Germanico in Egitto, la Lettera di Claudio agli Alessandrini, gli Atti dei Martiri Alessandrini. ■ 2.1 Una dinastia? Augusto morì in Campania nel 14 d.C., mentre Tiberio rientrava in gran fretta dall’Illirico. Il suo corpo fu trasportato a Roma e le ceneri furono tumulate nel Mausoleo monumentale in Campo Marzio, dove erano già sepolti Marcello, Caio e Lucio Cesari. Il senato volle sancire la divinizzazione di Augusto con l’attribuzione ufficiale dell’appellativo di Divus. Tiberio fu però subito ben consapevole di non potersi presentare come sostituto di un uomo di così grande carisma senza poter disporre dello stesso prestigio individuale. Egli stesso suggerì al senato di affidare la cura dello Stato a più persone e il Senato lo spinse però ad accettare i poteri e le prerogative che erano state di Augusto e alla fine Tiberio acconsentì esprimendo l’auspicio che si trattasse di un incarico temporaneo. Tra il 14 e il 68 d.C., per circa mezzo secolo, il potere rimase così all’interno della famiglia giulio- claudia, cioè di discendenti della famiglia degli Iulii (Giulio Cesare) e di quella dei Claudii (Tiberio Claudio Nerone, padre di Tiberio). Alla morte di Tiberio però non gli succedettero né il figlio Druso minore, né Germanico, figlio di Druso maggiore: Germanico infatti morì nel 19 d.C. e Druso minore nel 23 d.C., così che la successione andò a favore di Caio, detto Caligola, il figlio di Germanico e Agrippina maggiore. Quest’ultima era una designazione che si basava solo sulla linea familiare, attingendo dal ramo della famiglia di Germanico. Caligola discendeva per linea femminile da Augusto (sua nonna era Giulia, figlia di Augusto) e per linea maschile dai Claudi (il nonno ptaterno era Druso maggiore) e anche da Marco Antonio (nonna paterna era Antonia Minore). Alla morte di Caligola il potere rimase nella famiglia di Germanico, passando a Claudio, fratello di Germanico, il primo princeps completamente estraneo alla casa Giulia, che prese il nome di Cesare senza averne il sangue. Infine, ultimo esponente della dinastia fu Nerone, con cui entrò nella storia della domus proncipis una famiglia nobiliare diversa, quella dei Domizi, in quanto erede della famiglia Claudia e di quella Giulia solo per parte di madre, in quanto figlio di Agrippina minore e per adozione, in quanto adottato da Claudio che aveva sposato Agrippina dopo il divorzio dal papà di Nerone, Cneo Domizio Enobarbo. ■ 2.2 Tiberio (14-37 d.C.) Il governo di Tiberio fu una prosecuzione di quello augusteo. Gli studi recenti, basandosi sulla narrazione del contemporaneo tiberino Velleio Patercolo, hanno messo in luce il valore di Tiberio sia come militare sia come uomo di governo, nonché la sua attenta gestione dello Stato, riuscendo a fronteggiare delicate congiunture economiche. Durante il suo principato ebbe modifica il sistema elettorale per la nomina dei magistrati superiori introdotta da Augusto, con la procedura della destinatio, affidata alle 10 centurie destinatrici intitolate a Caio e Lucio Cesari. Nel 19 d.C. esse riconosciuto come unico successore il maggiorenne Caligola, che si impegnò ad adottare Tiberio Gemello, ancora 17enne, che fu presto eliminato. ■ 2.3 Caligola (37-41 d.C.) L’impero di Caio, detto Caligola (da caliga = piccola calzatura militare che indossava da bambino negli accampamenti del padre Germanico) fu relativamente breve e vede una storiografia a lui nettamente ostile. Caio fu accolto con grande entusiasmo dall’esercito e dalla plebe, tra i quali il ricordo di Germanico era ancora molto popolare. Il giovane imperatore in effetti si appoggiò al consenso dei pretoriani e della popolazione di Roma, inaugurando una politica di donativi, grandi spettacoli e ambiziosi piani edilizi che portò a un esaurimento delle riserve finanziarie lasciate da Tiberio. Molto più freddo era l’atteggiamento del Senato, che lo vedeva come un folle tiranno preoccupato solo di rafforzare il suo potere personale. Spirato Tiberio, Macrone si precipitò a Roma e fece prestare ai pretoriani giuramento per il solo Caligola: il senato riconobbe Caligola come solo imperatore. Nello stesso 37 d.C. giuramenti di fedeltà vennero resi nelle città e nelle province sia occidentali che orientali. Frattanto si moltiplicarono le manifestazioni di entusiasmo per il nuovo principe, che godette di grande popolarità anche in ricordo di Germanico. Nel frattempo, adottò come figlio Tiberio Gemello. Ogni anno del suo principato Caligola ricoprì il consolato, anche se quasi sempre per brevi periodi; nel 37 l’imperatore cadde gravemente malato ed impiegò molto tempo a rimettersi. Alla fine dell’anno Tiberio Gemelle venne eliminato perché durante la malattia di Caio aveva fatto trapelare che si erano riaccese le sue speranze; fu soppresso anche Marco Giunio Silano, suocero dell’imperatore, così come Macrone che nel frattempo era divenuto prefetto d’Egitto. La ripresa dei processi per maiestas è rivelatrice delle crescenti difficoltà interne e dello sforzo di eliminare un’opposizione che stava risorgendo. Non mancarono però progetti costruttivi, come il piano di costruire un porto a Reggio come base di transito per le navi addette all’approvigionamento granario dall’Egitto. In Oriente Caligola operò (37-38 d.C.) un brusco cambiamento rispetto alla politica tiberiana. Ripristinò un sistema di Stati cuscinetto sull’esempio ereditato da Marco Antonio, affidandoli a principi con cui aveva stretto relazioni personali di amicizia. In Palestina Giulio Agrippa I, nipote di Erode il Grande, ricevette il titolo di re, che nessuno aveva più potuto portare dopo la morte di Erode. Fu proprio lui a provocare i tumulti tra i Greci ed Ebrei, ad Alessandria al suo passaggio nel 38 d.C.: i duri provvedimenti del prefetto Avillio Flacco gli attirarono l’odio degli Ebrei provocarono sanguinosi scontri. Le due legazioni, greca ed ebraica, inviate a Roma nel 39 d.C. non ottennero da Caligola grande attenzione. Nella seconda metà del 39 d.C. Caligola partì improvvisamente alla volta della Germania, facendo tappa a Lione: c’è chi pensa che volesse riprendere le azioni di Germanico e chi che volesse essere presente sul fronte perché gli era giunta voce di una congiura il cui braccio armato era il legato della Germania Superiore Getulico. Getulico fu arrestato e giustiziato per tradimento e sostituito da Servio Sulpicio Galba, poi divenuto imperatore. In Germania fu compiuta qualche sortita al di là del Reno, ma il vero teatro delle operazioni si concentrò verso la Britannia. Ritornato Caligola a Roma si decise di far uccidere nel 40 d.C. il re Tolemeo di Mauretania, l’ultimo discendente di Antonio. L’episodio diede inizio a una guerra che si concluse solo sotto Claudio, con l’annessione definitiva. Tuttavia, fu proprio con gli Ebrei che nacque uno dei conflitti meglio documentati dell’età di Caligola. L’imperatore volle porre una propria statua nel Tempio di Gerusalemme, suscitando le proteste della popolazione: il legato di Siria Publio Petronio ritardò con ogni mezzo l’erezione della statua ma Caligola gli inviò l’ordine di uccidersi, che non avvenne solo per la morte dell’imperatore. Caligola infatti nel 41 d.C. cadde vittima di una congiura che collegava elementi senatori ed equestri, liberti imperiali e pretoriani. Protagonisti dell’esecuzione materiale furono membri del corpo dei pretoriani, guidati da Cassio Cherea e Cornelio Sabino. ■ 2.4 Claudio (41-54 d.C.) Neppure il successore di Caligola, suo zio Claudio ebbe dalla sua il favore delle fonti antiche, che lo presentano come uno sciocco e inetto. In realtà il suo stesso principato sembra contradire questo ritratto per le sue importanti realizzazioni in politica interna ed estera. Il suo lungo periodo di maturazione intellettuale, i suoi profondi interessi per la storia e il passato di Roma gli avevano conferito una notevole competenza e una profonda capacità di valutazione e visione politica. I suoi interventi conservati direttamente rivelano un’attenzione acuta e un continuo lavorio preliminare di informazione e perfetta documentazione. Fratello di Germanico, sempre tenuto in disparte e mai oggetto di una qualche considerazione, era sopravvissuto nel tempo a tutti i giovani candidati. Era rimasto sempre un Claudio e mai era stato adottato dai Giulii. Mentre in senato si discuteva sulla soluzione da adottare, i pretoriani bruciarono i tempi e lo acclamarono imperatore, aiutato anche dal favore di Giulio Agrippa I. Il senato fu indotto anche dal sostegno militare e popolare ad accettare infine la scelta. Dopo la condanna a morte dei congiurati, da Claudio furono revocati molti provvedimenti assunti da Caligola e abolita l’accusa di lesa maestà. Ripristinò buoni rapporti con il senato e ne rivitalizzò l’efficienza e la credibilità, espellendo alcuni senatori e introducendone altri. Lo stato romano non aveva mai posseduto un vero e proprio apparato burocratico né era dotato di una struttura amministrativa centralizzata in grado di far fronte alle nuove esigenze della gestione imperiale. Tutto veniva sbrigato dai singoli magistrati al momento in carica e dai loro ausiliari. Claudio applicò a questo campo gli schemi del personale di servizio nell’amministrazione delle grandi domus private, fondato su liberti di grande competenza e professionalità specifiche. Col tempo questo processo di statalizzazione sarebbe transitato verso la costituzione di un apparato di funzionari appositi che si veniva formando all’interno dell’ordine equestre. L’amministrazione centrale fu divisa in 4 grandi uffici, un segretario generale e altri tre rispettivamente per le finanze, per le suppliche e la corrispondenza di carattere istituzionale, e per l’istruzione dei procedimenti da tenersi davanti all’imperatore. In campo giudiziario si assiste a un crescente ruolo diretto dell’imperatore. Egli cercò anche di trovare nuove soluzioni ai problemi di approvigionamento granario e idrico che periodicamente affliggevano Roma: costruì il porto di Ostia per consentire l’attracco e il deposito di cereale in appositi magazzini alle navi granarie che prima approdavano a Pozzuoli e poi a Roma con vascelli più piccoli. Venne ammodernato anche il sistema delle distribuzioni granarie: l’organizzazione del servizio fu tolta alla responsabilità del senato e assegnata al prefetto dell’annona. Vennero costruiti due nuovi acquedotti: l’Aqua Claudia e l’Anio Novus. Bonificò la piana del Fucino, nell’odierno Abruzzo, per aumentare la superficie coltivabile in Italia. L’orazione tenuta da Claudio per la concessione del diritto di accesso al senato ai notabili della Gallia Comata ci mostra il suo interesse per le province. La sua politica di integrazione è attestata inoltre da altri provvedimenti, come l’intensa opera di fondazione di colonie, in Britannia, Germania, Mauretania e altre regioni dell’Impero, la concessione della cittadinanza ad alcune popolazioni alpine nota grazie alla Tabula Clesiana, e il gran numero di diplomi militari che certificano la prassi di inserimento nella cittadinanza romana dei soldati che avevano prestato servizio nelle coorti ausiliarie. Claudio affrontò la guerra in Mauretania, a cui pose fine nel 42 d.C., con l’organizzazione del regno in due province, affidate ai procuratori equestri: la Mauretania Cesariense e la Mauretania Tingitana. Nel 47 d.C. furono compiute dal legato Corbulone sporadiche operazioni in Germania al di là del Reno, combattendo contro i Frisii e i Cauci. Nel 43 d.C. la Licia fu annessa e riunita alla Panfilia a formare una nuova provincia imperiale di rango pretorio. Nel 46 d.C. anche il regno di Tracia fu incorporato e sottoposto a un procuratore. La Giudea fu ritrasformata da provincia in regno e attribuita a Giulio Agrippa I: alla sua morte ridivenne provincia. Antioco IV di Commagene riebbe il suo regno, che aveva perso durante il principato di Caligola e che detenne fino al 72 d.C., quando fu incorporato da Vespasiano e annesso alla provincia di Siria. I privilegi delle comunità ebraiche nelle città orientali furono ristabiliti, tutelando allo stesso tempo le istituzioni delle poleis greche, in modo da evitare conflitti tra i due gruppi: proprio per prevenire disordini furono espulsi da Roma gli Ebrei nel 49 d.C. In Armenia il re Mitridate fu riportato sul trono. La morte del re Remetalce III fece transitare sotto il dominio di Roma anche la parte del territorio trace su cui egli regnava. L’impresa militare più rilevante di Claudio fu certamente, nel 43 d.C., la conquista della Britannia meridionale, che fu ridotta a provincia. Furono impegnate nell’operazione ben quattro legioni sotto il comando di Aulo Plauzio che aveva ai suoi ordini anche il futuro imperatore Tito Flavio Vespasiano. La lotta politica all’interno del senato, delle famiglie dell’antica e nuova nobiltà e della corte imperiale fu presente durante tutto il principato di Claudio. Grande rilievo vi assunse l’influenza dei potenti liberti e delle mogli di Claudio. Durante l’impero di Caligola Claudio aveva sposato in terze nozze Valeria Messalina, la cui ascendenza la connetteva per parte di madre ad Antonia Maggiore e sul versante paterno con Ottavia. Valendosi di una vasta rete di appoggi importanti, tra cui l’influente Lucio Vitellio, Messalina si liberò di possibili rivali all’interno della casa imperiale, tra cui Giulia Livilla. Da Messalina Claudio ebbe due figli, Ottavia e Tiberio Claudio Cesare, meglio conosciuto come Britannico. Nel 48 d.C. Messalina compì l’errore, fatale, di legarsi in modo aperto e plateale al giovane console designato Caio Silio, che consentì al liberto Narcisso di ottenere la sua condanna e la sua eliminazione. All’indomani della morte di Messalina si accese una vera e propria gara per dare a Claudio una nuova moglie, che alla fine sposò nel 49 d.C. la nipote Agrippina minore, già madre di Lucio Domizio Enobarbo: nel 50 d.C. questi divenne così Nerone Claudio Cesare Druso Germanico. Nerone venne designato console per il 58 d.C. e assunse la toga virile, che però fece indossare anche a Britannico. Nello stesso 54 d.C. Claudio morì tuttavia in circostanze poco chiare e si insinuò che Agrippina minore l’avesse avvelenato per assicurare a suo figlio un migliore contesto di possibile successione. ■ 2.5 La società imperiale Alla base della concezione antica della società, esisteva un’articolazione e una differenza riconosciuta dallo status giuridico delle persone. Augusto aveva provveduto a differenziare le condizioni e le prerogative dei ceti dirigenti a Roma, senatori ed equites. Egli introdusse elementi di distinzione anche per i ceti dirigenti dei municipi e si preoccupò al tempo stesso di regolare i privilegi e l’articolazione di altri gruppi della società: di coloro che godevano della cittadinanza romana rispetto ai provinciali liberi, dei liberti rispetto agli schiavi. Il primo imperatore aveva previsto anche dei meccanismi di promozione sociale. Grandi quantità di schiavi erano impiegate nell’agricoltura dai proprietari di vaste tenute, anche se il fenomeno in età imperiale si andò riducendo in favore dell’impiego di coloni liberi, ma vi era anche un notevole impiego di schiavi domestici, artigiani e anche nell’ambito dei servizi (istruttori, medici, amministratori). Una categoria particolarmente importante era rappresentata dagli schiavi imperiali, la famiglia Caesaris, impiegati nella gestione finanziaria e amministrativa del patrimonio imperiale ed organizzati secondo vere e proprie gerarchie. Gli schiavi a capo dei dipartimenti finanziari potevano raggiungere livelli di ricchezza superiori a quelli di esponenti della nobiltà senatoria, ma non bisogna confondere la ricchezza con lo status giuridico: ricchezza e potere non davano automaticamente accesso a un ceto superiore, anche se si poteva ambire a un miglioramento della propria condizione. 1. Sul trono d’Armenia il giovane re dei Parti Vologese era riuscito ad imporre il proprio fratello Tiridate. Per far fronte a tale situazione venne inviato in Oriente Corbulone. La vicenda si protrasse a più riprese fino al 66 d.C. Mentre Vologese era impegnato in nuove lotte intestine che avevano consentito a Corbulone di organizzarsi in lunghi preparativi senza temere reazioni, quest’ultimo marciò contro Tiridate nell’inverno 57-58 d.C. A Tiridte venne chieso il riconoscimento di una sovranità nominale di Roma su di esso, ma al rifiuto del re, Corbulone marciò contro la capitale Artaxata e la prese, incendiandola e radendola al suolo. Nel 59 d.C. dovette arrendersi anche Tigranocerta, la seconda capitale dell’Armenia. Fu deciso di insediare nel regno un principe che aveva vissuto a Roma fino ad allora, Tigrane V, nipote di Tigrane IV. Compiuto ciò Corbulone si ritirò in Siria, della quale nel frattempo era stato nominato governatore. Insediatosi Tigrane si mise ad attaccare l’Adiabene che era territorio partico nel 61 d.C., provocando la reazione di Vologese e un suo rinnovato sostegno a Tiridate. Su richiesta di rinforzi da parte di Corbulone, Nerone inviò un nuovo comandante, Giunio Cesennio, che fu battuto ignominiosamente a Rhandeia. Tra il 62 e il 63 d.C. Corbulone e Tiridate giunsero a un accordo che sanciva il ritiro delle forze romane ad occidente dell’Eufrate e di quelle partiche dall’Armenia. Tiridate aveva l’Armenia, incoronato a Roma nel 66 d.C. 2. In Britannia il governatore Caio Svetonio Paolino, decise nel 59 d.C. di attaccare l’isola di Mona, centro di culto druidico che si riteneva fosse un punto di riferimento della resistenza antiromana. Nel frattempo, più a sud, nell’Anglia orientale, era scoppiata una grave ribellione delle popolazioni locali che aveva tra le varie cause anche il comportamento dei procuratori imperiali impegnati nelle esazioni fiscali. Il re filoromano degli Iceni Prasutago, morendo aveva lasciato metà della propria eredità a Nerone, l’altra alle due figlie. La durezza e l’avidità degli amministratori romani suscitarono una dura razione guidata da Budicca, vedova del re, che portò a massacri di coloni romani, nonché alla caduta di Londinium e altri centri. La reazione di Paolino non si fece attendere: Budicca e i suoi vennero sbaragliati e la regina si tolse la vita avvelenandosi. Nel 66 d.C. Nerone partì per la Grecia, dove intendeva compiere una tournèe artistica e agonistica partecipando ai festival e ai tradizionali agoni periodici delle poleis. 3. Nel frattempo, in Giudea, nel 66 d.C., la requisizione di parte del tesoro del Tempio di Gerusalemme ad opera del procuratore Gessio Floro, era stata uno dei motivi dello scoppio di una violenta ribellione contro i Romani. Di fronte al dilagare della rivolta, Nerone aveva mandato Caio Licinio Muciano come nuovo legato di Siria, e Tito Flavio Vespasiano, come comandante delle truppe in Giudea. Mentre Vespasiano riusciva gradualmente a riportare sotto il controllo la situazione in Palestina, Nerone fu convinto a tornare nell’Urbe nel 68 d.C. per i malumori che serpeggiavano in città. Subito giunse la notizia che si era ribellato il legato della Gallia Lugdunense, Vindice. La ribellione fu comunque contrastata rapidamente e Vindice si suicidò. Questa era però la prima di una serie di sollevazioni: del legato della Terracconense Servio Sulpicio Galba, di quello dell’Africa Lucio Clodio Macro, delle truppe del Reno. Anche i pretoriani abbandonarono Nerone, che decise di suicidarsi. La sua fine segnò anche quella della dinastia giulio-claudia. CAPITOLO 3 – L’anno dei quattro imperatori e i Flavi ■ 3.0 Le fonti Il periodo è coperto dalle Vite di Svetonio, dalle Vite di Plutarco, dalle ‘’Storie’’ e dalla ‘’Vita di Agricola’’ di Tacito. Importanti sono anche le opere degli autori Paolo Orosio, Eusebio di Cesarea e Flavio Giuseppe. Notizie sparse giungono da Plinio il Vecchio e da Quintiliano. Rilevante è la documentazione epigrafica, papiracea e numismatica: Lex de Imperio Vespasiani, Lex Flavia Municipalis e la Tariffa di Koptos, in cui sono registrati gli importi delle tasse di transito per persone e per merci tra i porti egiziani del Mar Rosso e Koptos, punto di arrivo al Nilo delle carovane verso e da Alessandria. ■ 3.1 L’anno dei quattro imperatori: il 68-69 d.C. La mancanza di una soluzione preordinata fu la causa di una crisi grave che fece rivivere per breve tempo all’Impero lo spettro delle guerre civili. L’esito finale, con la proclamazione a imperatore di Vespasiano, mostrò come il Principato potesse essere rivestito anche da un uomo di origini modeste e di rango inferiore a quello della nobiltà giulio-claudia, entrato solo di recente nell’ordine senatorio. La crisi del 69 d.C., con i quattro imperatori Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano, esponenti il primo dell’aristocrazia senatoria, il secondo dei pretoriani e gli ultimi due dell’esercito, mostra come l’asse dell’Impero si fosse gradualmente spostato lontano da Roma e come le legioni delle province avessero ormai la capacità di imporre il loro volere. 1. Galba (giugno 68-gennaio 69): Servio Sulpicio Galba era un anziano senatore, all’epoca governatore della Spagna Tarraconense. Giunse al soglio imperiale a 73 anni. Aveva rivestito incarichi di governo in Germania sotto Caligola e poi in Africa sotto Claudio. Alla notizia della ribellione delle truppe galliche di Vindice, i suoi soldati lo avevano proclamato imperatore, ma egli rifiutò quel titolo. Ciò nonostante si diede da fare per acquisire il sostegno di altri oppositori di Nerone e soprattutto dei pretoriani. Galba fu riconosciuto imperatore e accettò la nomina da una delegazione di senatori, che lo incontrò nel suo viaggio di ritorno a Roma. Questa scelta non era vista ovunque con entusiasmo: le legioni della Germania Superiore avevano senza successo tentato di persuadere Virginio Rufo ad accettare l’Impero e dopo qualche tempo giurarono fedeltà a Galba, mentre in Africa continuava la secessione di Lucio Clodio Macro che rifiutava di riconoscere l’imperatore. A Roma il prefetto del pretorio, Ninfidio Sabino, che aveva contribuito alla caduta di Nerone, non accettò la decisione di Galba di sostituirlo e fece un tentativo di usurpare il principato, che fu represso nel sangue. Galba non seppe tuttavia guadagnarsi l’appoggio delle truppe per mantenere il potere: non rispettò la promessa del donativo di 30mila sesterzi ai pretoriani. Inoltre, si rese impopolare sia alla plebe sia ai soldati per i tagli alle spese con cui cercò di rimediare alla crisi finanziaria creatasi sotto Nerone. All’inizio del 69 d.C., in occasione dell’annuale rinnovo del giuramento di fedeltà all’imperatore, due delle tre legioni della Germania Superiori di stanza a Magonza, dopo la rimozione di Virginio Rufo, si rifiutarono di prestarlo e si ribellarono. Il loro esempio fu immediatamente seguito dall’esercito della Germania Inferiore, che su impulso di Fabio Valente (ostilissimo a Galba) proclamò imperatore a Colonia il proprio legato Aulo Vitellio. A tale designazione aderirono tutti gli eserciti delle Germanie. A questa situazione Galba pensò di porre rimedio associandosi mediante adozione come collaboratore e eventuale successore, Pisone, un giovane esponente dell’ordine senatorio. L’esperimento durò 5 giorni: la nomina non fu gradita, soprattutto a Otone, il giovane governatore della Lusitania che lo aveva aiutato nella sua ascesa al potere e si aspettava di esserne ricompensato a Roma. I pretoriani proclamarono Otone imperatore e massacrarono Galba, Pisone e i loro seguaci. 2. Otone (15 gennaio – 14 aprile 69): Marco Salvio Otone, amico di infanzia di Nerone e primo marito di Poppea, era popolare soprattutto tra i pretoriani e l’ordine equestre. Fu proclamato imperatore il 15 gennaio del 69 d.C. e il suo principato era destinato a durare in tutto 3 mesi. Fu subito costretto a misurarsi con quanto accaduto in Germania prima della morte di Galba. Nel frattempo, la Belgica, la Lugdunense, la Rezia e l’Aquitania, insieme a province spagnole a alla Gallia Narbonese, manifestarono la loro adesione a Vitellio. L’avanzata delle armate germaniche verso l’Italia stava procedendo. 3. Vitellio (15 aprile – 21 dicembre 69): Aulo Vitellio era un senatore di rango consolare che aveva rivestito incarichi importanti sotto tutti i Giulio Claudi. Suo padre Lucio era stato un uomo molto influente a corte sotto Claudio e grande sostenitore di Agrippina minore. I suoi legati riuscirono a raggiungere l’Italia e sconfissero le truppe di Otone il 14 aprile del 69 d.C. nella battaglia di Bedriaco, preso Cremona. Otone si suicidò e Vitellio, rimasto unico imperatore, rimasto in Gallia nel frattempo, giunse a Roma soltanto a giugno. Le province danubiane, che non avevano fatto in tempo a giungere in supporto di Otone, rifiutarono di accettare il fatto compiuto e come candidato scelsero Tito Flavio Vespasiano, comandante delle truppe in Giudea, che come braccio destra ebbe Caio Licinio Muciano, governatore di Siria. 4. L’ascesa di Vespasiano e la fine di Vitellio Tito Flavio Vespasiano apparteneva a una famiglia italica di Rieti, nella Sabina. Venne acclamato immediatamente dagli eserciti presenti in Giudea, poi dalle legioni della Siria, infine da quelle danubiane. Mentre Vespasiano si recava in Egitto per rendersi arbitro del rifornimento granario di Roma, dalla Pannonia marciò subito verso l’Italia Antonio Primo con le legioni danubiane e siriane, e nonostante gli inviti alla prudenza, egli decise di attaccare senza indugio le truppe inviate da Vitellio per tamponare la situazione e le sconfisse in una battaglia che si combattè per la seconda volta a Bedriaco. Ma la lotta tra Vitellio e i sostenitori di Vespasiano non era finita: Flavio Sabino (fratello di Vespasiano) e Tito (figlio di Vespasiano e futuro imperatore) si asserragliarono nel Campidoglio che fu preso dai Vitelliani e dato alle fiamme, dove Sabino fu ucciso. Il 20 dicembre 69 d.C. le truppe di Antonio Primo entrarono in Roma e combatterono finchè Vitellio non fu ucciso. Mentre era ancora in Egitto, Vespasiano fu riconosciuto imperatore del senato, grazie a Muciano che all’inizio del 70 d.C. governò per lui a Roma. Vespasiano e Tito vennero eletti consoli in assenza. ■ 3.2 La dinastia flavia (69-96 d.C.) Con Vespasiano inizia la dinastia dei Flavi, che comprende il periodo d’Impero di Vespasiano e dei suoi due figli, Tito e Domiziano. Il fatto di avere due figli e di poter garantire una certa stabilità al principato fu uno dei fattori del successo di Vespasiano. L’idea della trasmissione dinastica del potere verrà celebrata con l’esaltazione della aeternitas imperii, ovvero della saldezza dell’istituzione imperiale, idea introdotta già in età tiberiana, quando si era posto il problema della successione. La dinastia durò fino al 96 d.C., quando la politica di Domiziano suscitò opposizione nel senato e nella sua stessa corte e finì con l’essere ucciso. Il ricordo di tanti massacri era talmente vivo che all’uccisione di Domiziano senza eredi, gli eserciti lasciarono che fosse il senato a meridionale si estendevano la Licia-Panfilia a sud-ovest che confinava ad est con la Cilicia. Tale assetto rimase immutato fino all’età di Traiano. Complessivamente quindi Vespasiano riuscì a godere di un certo consenso e si ha notizia di un solo episodio di opposizione, all’inizio del suo periodo imperiale, da parte di alcuni senatori appartenenti al circolo dei filosofi cinici e stoici, forse contro la promozione dell’idea di un principato ereditario. Vespasiano reagì a tale dissenso condannando alla relegazione nel 71 d.C. e poi mettendo a morte lo stoico Elvidio Prisco e bandendo alcuni filosofi da Roma. Nel 79 d.C. si ha notizia di un’altra congiura, ordita da Alieno e da Marcello, che venne scoperta grazie a Tito e si chiuse con la fine dei cospiratori. ■ 3.4 Tito (79-81 d.C.) Tito era cresciuto alla corte di Claudio, nella quale aveva stretto una profonda amicizia con Britannico. Aveva ricevuto un’istruzione di buon livello e si era reso noto per le sue doti fisiche e intellettuali. Tito, oltre a ricoprire insieme al padre alcune magistrature, era stato eccezionalmente anche prefetto del pretorio, pur non appartenendo all’ordine equestre ma a quello senatorio. Già dal 71 d.C. aveva ricevuto l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia, e alla morte del padre, i titoli di Augusto e di pater patriae. Nel 79 d.C., l’avvicendamento avvenne senza problemi; Tito non aveva eredi maschi, ma solo una figlia, Giulia. Domiziano rivestì il consolato nell’80 d.C. e gli furono conferiti taluni titoli e dignità. Alla sua epoca Tito era molto temuto per la durezza dimostrata in Giudea e a Roma come prefetto del pretorio, così come non era stata apprezzata la sua relazione con la principessa giudaica Berenice. Alla fine, Tito, con rincrescimento, finì per congedarla nel 79 d.C. Tito fu in grado di affrontare eventi catastrofici e calamità naturali, come l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., nel corso del quale morì anche Plinio il Vecchio e provocò la distruzione di Pompei, Ercolano e Stabia. Tito non esitò a intervenire di persona e a organizzare sia i soccorsi sia i piani di ricostruzione. Mentre l’imperatore si trovava in Campania, si aggiunsero anche un’epidemia di peste e nell’80 d.C. un nuovo incendio a Roma, con gravi danni e necessità di lavori di rifacimento e di restauro, che comportarono ulteriori impegni economici. Nell’Urbe fu poi completata l’opera di ricostruzione del tempio Capitolino ed inaugurato l’Anfiteatro Flavio. Ammalatosi nell’estate dell’81 d.C., Tito morì nel settembre di quell’anno a soli 42 anni. ■ 3.5 Domiziano (81-96 d.C.) Sotto Vespasiano e Tito, Domiziano aveva cumulato dignità, ma in pratica nessun effettivo potere di governo e non godeva nemmeno di alcun prestigio militare. Come segno esteriore rivestì il consolato eponimo per 10 volte. A partire dall’84 d.C. assunse la potestà censoria e dall’85 la censura perpetua. Nell’86 d.C. prese per sé l’appellativo di dominus et deus. Subito all’inizio del principato alla moglie Domizia Longina fu conferito il titolo di Augusta (egli poi convisse con Giulia, figlia di Tito, che inizialmente era destinata a diventare sua moglie). La prima prova, militare e organizzativa, venne quasi subito. All’82-83 d.C. data la prima di una lunga serie di campagne combattute dallo stesso Domiziano contro i Catti, popolazione germanica stanziata sulla riva destra del medio Reno. Il territorio riconquistato fu controllato attraverso l’impianto di accampamenti fortificati, collegati tra loro sul limes da una rete di strade e con i forti presidiati dai soldati ausiliari. I due distretti militari della Germania Superiore e Inferiore, sino ad allora retti da legati legionari, furono costituiti in province formali e regolari. Dopo la vittoria sui Catti, Domiziano celebrò il trionfo a Roma nell’autunno dell’83 d.C., fregiandosi del titolo di Germanicus. In questo periodo fu segnata anche la linea esterna di confine oltre il Reno, lungo la catena dell’Alto Tauno, e degli agri decumates, attraverso la costruzione di imponenti opere difensive costituite da torri di guardia di legno e terrapieni che collegavano tra loro gli accampamenti degli auxiliarii. Si inaugura così un sistema di difesa dei confini che, a partire da Adriano, fu adattato e impiegato in tutto l’Impero. La parola limes, con cui inizialmente venivano definiti i terrapieni che dividevano gli appezzamenti agrari e le capezzagne che consentivano lo scorrimento tra campi coltivati, nel I secolo designava le strade che si inoltravano nei territori non ancora conquistati, dotate di posti fortificati e destinate a facilitare la penetrazione romana. Essa passò poi ad assumere il significato di frontiera artificiale. In alcune zone, specialmente dell’Oriente e dell’Africa, l’articolazione delle strade militari e dei forti che costituivano il limes fu tracciata a rete, a sorveglianza delle vie carovaniere, delle oasi del deserto, così da includere le zone in cui erano ancora possibili le coltivazioni agricole, ma, allo stesso tempo, da consentire il controllo delle popolazioni nomadi e dedite alla pastorizia. In altri casi, ad esempio nel caso del vallo di Adriano e del vallo di Antonio in Britannia, il limes fu costituito da una linea di castra fortificati, collegati tra loro e difesi a nord da un vero e proprio muro di pietra, costeggiato da un fossato, che delimitava il territorio provinciale. In Britannia Agricola aveva iniziato l’invasione della Caledonia (Scozia) e progettato la conquista dell’Ibernia (Irlanda). Nell’83 d.C. colse un’importante vittoria al Monte Graupio contro i Caledoni di Calgaco. Non gli fu concesso tempo per completare i suoi piani, perché Domiziano lo richiamò improvvisamente a Roma, mosso da invidia probabilmente. Nell’inverno 84-85 d.C. si andò profilando il problema della Dacia, la regione transdanubiana, corrispondente all’attuale Romania, nella quale il re Decebalo era riuscito a unificare le varie tribù e a guidarle in varie incursioni contro il territorio romano, nella Mesia, sconfiggendo e uccidendone il delegato. Domiziano accorse, e dopo aver respinto i Daci oltre al fiume, ritornò a Roma affidando il prosieguo delle operazioni al prefetto del pretorio Cornelio Fusco. Nell’86 d.C. Fusco condusse una prima operazione di rappresaglia, invadendo la Dacia, ma fu attaccato di sorpresa e cadde ucciso, insieme a parte dell’esercito. Dopo la sospensione delle ostilità, negli anni 86-88 d.C., la Mesia fu divisa nelle due province della Mesia Superiore e Inferiore. Nell’88 d.C. la guerra riprese e il comando fu affidato a Giuliano, che condusse una brillante campagna, conseguendo una splendida vittoria a Tapae e spingendosi alla vicina Sarmizegetusa, la capitale di Decebalo. Domiziano celebrò a Roma il trionfo, ma il re ottenne la pace anche a causa della rivolta di Saturnino, governatore della Germania Superiore, proclamato imperator dalle sue legioni, sollevazione che costrinse Domiziano a stipulare una guerra provvisoria. Così Decebalo non dovette cedere alcuna parte del suo territorio, ma semplicemente concludere un trattato in cui accettava la sua dipendenza dall’Impero Romano, ricevendo in cambio una corresponsione in denaro. Nel frattempo, l’imperatore era stato chiamato a far fronte a nuovi problemi sorti lungo tutto il fronte del medio Danubio per la sollevazione dei Marcomanni, Quadi e Iazigi, ai confini della Pannonia. La guerra fu dura e non senza rovesci. Gli Iazigi furono battuti all’inizio del 93 d.C., ma la partita con i Marcomanni e con i Quadi rimase del tutto aperta. Il 1° gennaio dell’89 d.C., in occasione del giuramento annuale dell’esercito, Saturnino si era fatto acclamare imperatore dalle due legioni stazionate a Magonza. Domiziano si affrettò a marciare verso settentrione alla testa dei pretoriani, dopo aver inviato in Germania la legione spagnola VII Gemina, comandata dal futuro imperatore Traiano. Tuttavia, il pericolo venne rapidamente scongiurato grazie al legato della Germania Inferiore, Norbano, che riportata una decisiva vittoria, distrusse immediatamente i carteggi privati di Saturnino. Domiziano però non arrestò la sua marcia e le esecuzioni sul luogo dovettero essere molte e spietate. La testa di Saturnino fu mandata a Roma per essere esposta sui rostri. Nel 92-93 d.C. scomparve in Oriente l’ultimo principato erodiano. Alla morte di Agrippa II i suoi territori furono posti sotto l’autorità del governatore di Siria. Non restava dunque nella regione che un solo stato cliente: quello di Nabatene. Con Vespasiano fu portata a pieno compimento la riforma che attribuiva i posti chiave degli uffici centrali dello Stato a funzionari dell’ordine equestre. Venne proseguita poi l’opera di Vespasiano e Tito di costituzione e valorizzazione dei nuovi municipi, nonché l’emanazione dei relativi regolamenti quadro, noti come lex Flavia muncipalis. A differenza dei predecessori però, Domiziano osservò una condotta molto più mite nei confronti degli occupanti abusivi dei subseciva; per quanti non fossero già stati requisiti e fatti oggetto di vendita da parte di Vespasiano e di Tito, concesse per totam Italiam pieno possesso. Nel 92 d.C. con un editto vietò che si piantassero nuovi vigneti in Italia e simultaneamente impose lo smantellamento della metà nelle province: alcuni l’hanno attribuito a un rigido moralismo, altri alla necessità di incrementare le colture di grano. Al 90 d.C. risale la Tariffa di Koptos (vedi 3.0). L’aspetto moralistico fu un tratto tipico dell’azione politica di Domiziano: vennero colpiti gli adulteri, l’immoralità delle donne, la prostituzione dei bambini e la perversione dei costumi sessuali. Erano passati appena due anni dall’avvento di Domiziano al principato e già l’opposizione senatoria cominciò a essere colpita con processi nei quali riprese vigore l’opera dei delatori e degli adulatori, processando il cugino Tito Flavio Sabino. Dal 93 d.C. l’atmosfera si fece sempre più cupa e anche gli amici stessi del principe cominciarono a essere colpiti. Nel 95 d.C. furono uccisi Flavio Clemente e Glabrione, mentre la moglie di Clemente fu cacciata in Pannonia (era la cugina di Diocleziano), in quando presunti simpatizzanti delle religioni ebraica e cristiana, accusati di ateismo per praticare culti contrari a quelli ufficiali. Il 18 novembre del 96 d.C. Domiziano cadde vittima di una congiura, di cui facevano parte alcuni senatori, i nuovi prefetti del pretorio, vari funzionari del palazzo e anche la moglie Domizia Longina, dalla quale aveva divorziato e che in seguito aveva ripreso. Il giorno stesso della sua morte il senato proclamò imperatore Marco Cocceio Nerva e a decretare a Domiziano la damnatio memoriae, cioè che fosse cancellato ogni suo ricordo. ■ 3.6 Il sorgere del cristianesimo Il cristianesimo, che nasce dall’ebraismo, venne formandosi come religione strutturata nel I e nel II secolo d.C. Essa scaturisce dalla predicazione del suo fondatore, Gesù, originario di Nazareth in Galilea e morto sotto Tiberio, riconosciuto dai cristiani professanti come il Cristo, figlio del Dio creatore, venuto in terra a portare un messaggio universale di Salvezza. Le prime comunità cristiane sorsero difatti in seguito alla predicazione di Gesù, alla diffusione del suo messaggio e dell’annuncio della sua resurrezione dai morti, da parte degli apostoli. Bisogna ricordare che il cristianesimo primitivo iniziò come movimento all’interno del giudaismo, in un periodo in cui gli Ebrei già da tempo si trovavano sotto la dominazione straniere (sotto il protettorato di Roma dal 63 a.C.). Tra i diversi gruppi religiosi nei quali il giudaismo era articolato tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C. si distinguevano gli aristocratici e conservatori (i sadducei) e i più popolari puri, appartenenti ai ceti medi (i farisei), molto ostili ai romani. A essi va ad aggiungersi poi anche la comunità degli esseni, un gruppo che conduceva un’esistenza rigorosa, vivendo isolato dal resto della società. Le condizioni sociali e politiche dell’epoca non potevano riservare un grande futuro alle prospettive religiose dei sadducei né alle aspirazioni politiche degli zeloti, un partito di aggressivi rivoluzionari che cercavano l’indipendenza da Roma, i cui tentativi non fecero altro che accelerare l’annientamento della Giudea in occasione delle due grandi rivolte ebraiche contro i Romani degli anni 66-70 d.C. con la caduta del Tempio di Gerusalemme e del 132-135 d.C., quando fu rasa al suolo Gerusalemme stessa. Per la maggior parte degli Ebrei si trattava dunque di scegliere tra i farisei e il cristianesimo. Mentre i primi si dedicavano alla meticolosa osservanza della Legge di Mosè, il secondo proponeva una religione che aveva il suo fondamento nella fede in Cristo come valida per tutta l’umanità. Il piccolo gruppo dei testimoni e seguaci degli insegnamenti di Gesù si dedicò presto alla predicazione della sua parola tra le comunità ebraiche in Palestina e tra quelle poteri precedenti. nel 97 d.C. egli rivestì il suo primo consolato da imperatore insieme a un altro anzianissimo, Virginio Rufo. La prima preoccupazione di Nerva fu quella di controllare le reazioni all’uccisione di Domiziano e di scongiurare il pericolo dell’anarchia. Nell’Urbe il popolo era rimasto sostanzialmente indifferente all’assassinio. Nerva fece subito in modo di ottenere i giuramenti di fedeltà dalle truppe provinciali e si preoccupò di abolire le misure più impopolari di Domiziano, richiamando gli esiliati e avvallando in senato la damnatio memoriae del tiranno. L’accusa di lesa maestà e i delatori che sotto Domiziano avevano provocati processi e condanne subirono la pena capitale. Passò poi a votare una legge agraria per assegnare lotti di terreno ai cittadini nullatenenti e varò il programma delle ‘’istituzioni alimentari’’: era un programma che consisteva in prestiti concessi dallo Stato agli agricoltori, che ne beneficiavano accettando di ipotecare i propri terreni; l’interesse dell’ipoteca veniva versati ai municipi locali o ad appositi funzionari e serviva per sostentare i fanciulli indigenti: si realizzava in questo modo un incentivo al miglioramento della produttività dei fonti e un sostegno alle famiglie meno abbienti per contrastare la tendenza al calo demografico in atto. Nerva trasferì alla cassa imperiale il costo del cursus publicus, cioè del mantenimento delle strade e delle stazioni di cambio per i messaggeri imperiali e venne anche riorganizzato il sistema di approvvigionamento idrico di Roma. Il principato di Nerva ebbe complessivamente scarsa opposizione, ma nel 97 d.C. emersero problemi economici e politico-militari. Sul versante politico i pretoriani, che in un primo momento erano stati tranquilli, aizzati dal nuovo prefetto del pretorio Eliano, chiesero la punizione degli assassini di Domiziano. Nerva tentò invano di resistere, ma venne messo a tacere e così i responsabili della congiura furono messi a morte; facendo così vennero puniti coloro che l’avevano portato al potere, compromettendo la sua immagine e il suo prestigio. Serviva la designazione di un erede (scelta del migliore) e così Nerva scelse il senatore di origine spagnola Traiano, in quel momento governatore della Germania Superiore, uomo di grande esperienza politica e militare, succedutogli alla sua morte avvenuta nel gennaio del 98 d.C. La sua nomina fu subito ratificata dal senato e gli eserciti gli giurarono fedeltà, mentre Eliano fu rimosso e giustiziato. ■ 4.2 Il governo dell’Impero affidato al migliore: Traiano (98-117 d.C.) Marco Ulpio Traiano era nato nel municipio spagnolo di Italica, da una famiglia di remote origini italiane. Dopo aver rivestito la pretura nell’87 d.C., era stato inviato con la sua legione sul Reno per fronteggiare la rivolta di Saturnino. Nel 91 d.C. aveva ricoperto per la prima volta il consolato ordinario e nel 96 d.C. era divenuto legato della Germania Superiore. Là aveva ricevuto la notizia della sua adozione da parte di Nerva. Il 1° gennaio del 98 d.C. aveva iniziato rimanendo in Germania il secondo consolato insieme a Nerva, quando seppe della morte dell’imperatore. A Roma si recò solo un anno più tardi, giungendovi nell’autunno del 99 d.C. e preferendo completare prima il lavoro di consolidamento del confine renano e di riorganizzazione degli apparati difensivi lungo il Danubio. Egli lasciò Urso al comando della Germania Superiore, mentre in Germania Inferiore Lucinio Sura. Plinio il Giovane definisce Traiano come ‘’uno di noi’’, esprimendo in questo modo tutta la popolarità di cui il princeps godeva negli ambienti senatori, ma anche l’atteggiamento di rispetto che egli manifestò verso questa assemblea. Plinio nel Panegirico, cerca di delineare il modello di comportamento del buon princeps attraverso Traiano: il princeps avrebbe dovuto stabilire un clima di concordia con l’aristocrazia e con il ceto equestre e soprattutto dimostrare quelle qualità personali civili e militari che sole bastassero a giustificare la sua preminenza all’interno dello Stato. Il principato di Traiano segna un cambiamento importante nella politica estera della Roma imperiale, soprattutto nel settore orientale: la diretta riduzione a statuto di provincia di territori situati al di là del Danubio e dell’Eufrate, cioè di regioni che non erano mai state governate prima da re soci ed amici del popolo romano. Nel lungo periodo intercorso da quando Domiziano aveva dovuto porre fine alle ostilità in Dacia (89 d.C.), Decebalo non aveva cessato di rafforzarsi, in preparazione di una nuova guerra. La minaccia per la Mesia si profilava grave e imminente ed era necessario un intervento che ripristinasse la sicurezza contro il rischio continuo di incursioni. Nella primavera del 101 d.C. Traiano concentrò un forte esercito in Mesia Superiore, attraversò il Danubio e avanzò rapidamente verso Tibiscum. La prima cruenta battaglia si ebbe a Tapae e i Daci, con i loro alleati (Sarmati Roxolani e Buri germanici) sferrarono una violenta offensiva contro la Mesia Inferiore alla fine del 101 d.C. L’imperatore fu costretto ad accorrere. Nei luoghi teatro delle battaglie Traiano fondò poi due città: Nicopolis ad Istrum e Tropaeum Traiani. In quest’ultima venne innalzato un complesso monumentale con il gigantesco trofeo in pietra visibile ancora oggi ad Adamclisi, a memoria delle imprese compiute. Nella primavera del 102 d.C. Traiano riprese l’offensiva contro Sarmizegetusa, in seguito al quale Decebalo fu costretto a chiedere la pace a condizioni molto dure. A Decebalo fu lasciato il suo regno, ma sotto stretto controllo romano. Un imponente ponte in pietra fu costruito sul Danubio a Drobeta, per consentire un passaggio rapido tra la Dacia e la Mesia Superiore, costruito da Apollodoro di Damasco, a Roma autore del progetto del Foro traianeo, con i Mercati e la Colonna Traiana. Nel 105 d.C. le ostilità furono riprese, anche in seguito ad un attacco molto violento dei Daci contro le guarnigioni romane. Nel giugno del 105 d.C. Traiano partì da Roma per raggiungere il fronte danubiano e questa volta puntò direttamente su Sarmizegetusa. La città fu stretta d’assedio, conquistata e distrutta: in seguito vi fu dedotta la colonia Ulpia Traiana Augusta Dacica Sarmizegetusa. Decebalo si uccise. La Dacia fu annessa e ridotta a provincia romana. Una notevole importanza per l’Impero ebbe l’enorme bottino ricavato dalla conquista e l’oro che arrivava a Roma dallo sfruttamento delle miniere daciche: esso servì a finanziare sia le imprese finanziarie sia le imprese militari sia le spese per opere pubbliche e sociali. Ciò comportò anche l’avvicinamento del valore reale del denario d’argento al suo valore nominale in rapporto con l’oro e dunque a favorire la stabilità di questa moneta, utilizzata nelle attività commerciali usuali e per la paga dei soldati. Tra il 106 e il 107 d.C. la Pannonia fu divisa in due province, Pannonia Superiore e Pannonia Inferiore. Contemporaneamente alla fine delle operazioni daciche (106 d.C.) si ebbe l’annessione del territorio dei Nabatei. Alla morte del re Rabbel II, il suo regno fu soppresso. Ciò determinò l’istituzione della provincia di Arabia, corrispondente alla zona dell’attuale Giordania e della penisola del Sinai. Grazie a tale provincia Roma completava il suo impianto di presidio del Medio Oriente e acquisiva anche il controllo della via commerciale per l’India. La nuova provincia fu subito fornita di campi militari, di strade, di acquedotti: venne costruita la via Nova Traiana, che dal Mar Rosso giungeva fino ai centri della Siria. Tra il 107 e il 113 d.C. furono di nuovo separate la Galazia e la Cappadocia: la Cappadocia e l’Armenia Minore da una parte, la Galazia dall’altra, furono affidate a due diversi legati imperiali. Nel 114 d.C. l’Armenia fu annesso alla provincia di Cappadocia e Traiano occupò la Mesopotamia nel corso del 115 d.C., costituendo una provincia di Mesopotamia e compiendo azioni avanzate lungo il Tigri e l’Eufrate. Dopo aver trascorso l’inverno del 115-116 d.C. ad Antiochia, Traiano lanciò una doppia spedizione contro l’Adiabene (al di là del Tigri) da una parte e la Bassa Mesopotamia dall’altra. I due eserciti si congiunsero sotto le mura della capitale partica, Ctesifonte. Dopo la conquista della città, Traiano marciò verso sud, raggiungendo il Golfo Persico. Come altre volte però lo stato partico ritrovò la sua compattezza sferrando un violento attacco a nord, alle spalle degli eserciti romani. L’Adiabene fu riconquistata dai Parti e Traiano rinunciò alla Bassa Mesopotamia. Nel frattempo, era divampata una vasta rivolta ebraica che indusse Traiano ad abbandonare il teatro delle operazioni. L’8 agosto 117 d.C. Traiano morì in Cilicia, dopo essersi ammalato sulla via del ritorno verso Roma, all’età di 64 anni. Le truppe acclamarono imperatore Publio Elio Adriano, allora legato di Siria. Secondo alcune fonti Traiano lo avrebbe adottato come suo successore sul letto di morte, ma altri autori sostengono che tali ultime volontà sarebbero state simulate dalla moglie di Traiano, Plotina, che per qualche giorno ne avrebbe tenuto segreta la morte. Traiano migliorò la logistica del rifornimento granario e in genere delle comunicazioni marittime dall’Italia. Ad Ostia sostituì al porto di Claudio un nuovo grande bacino esagonale in cui le navi potessero attraccare agevolmente e che fosse in comunicazione da una parte con il mare, dall’altra col Tevere. Venne inoltre creata la funzione di procurator portus utriusque, responsabile delle strutture portuali di Ostia e di Pozzuoli. Parallelamente vennero consolidati gli scali di Civitavecchia e Terracina. Fu posta mano anche al percorso della Via Appia, la nuova via Traiana, che congiungeva Benevento a Brindisi. A Roma su progetto di Apollodoro di Damasco, fu realizzato lo spettacolare e scenografico Foro di Traiano, con la Basilica Ulpia, le due biblioteche, la Colonna Traiana e i Mercati Traianei. Vennero regolarizzate definitivamente le rive del Tevere e riordinate il groviglio delle cloache. Sin dall’inizio del principatto si può riscontrare una certa attività del consilium principis, composto dai più stretti collaboratori, dell’imperatore, dinanzi al quale vennero portate talune questioni di rilevanza penale, in particolare i procedimenti per malversazione dei governatori. Ai frumentarii, militari incaricati della sorveglianza dei rifornimenti granari, furono affidati anche compiti informativi, di controllo della sicurezza delle comunicazioni e di spionaggio. La guardia imperiale venne rafforzata e costituita da 500 equites singulares, scelti nella cavalleria ausiliaria, sottoposti al prefetto del pretorio, ma rispondenti di fatto alll’imperatore. Ulteriore potenziamento ebbe il ruolo degli equites quali funzionari dell’intera amministrazione statale e vennero anche strutturalmente articolate le loro carriere, distribuite in classi di stipendio. Cominciarono ad essere introdotti dei curatores rei publicae o civitatis, con il compito di curare i rapporti tra comunità cittadine e potere centrale. ■ 4.3 Adriano (117-138 d.C.) Rimasto orfano di padre, Adriano aveva avuto come tutori Traiano e Publio Acilio Attiano. Intorno al 100 d.C. aveva sposato Vibia Sabina, nipote di Ulpia Marciana, sorella di Traiano. Egli stesso aveva percorso la carriera senatoriale a Roma, probabilmente grazie all’aiuto di Traiano, che lo aveva voluto al suo fianco già nella prima guerra dacica e in seguito come governatore in Siria. Per il 118 d.C. Adriano era stato designato a ricoprire il suo secondo consolato. La sua posizione alla morte di Traiano fu quindi molto forte. La sua proclamazione da parte delle truppe avvenne senza problemi, così come il riconoscimento del senato. Adriano si trattenne a lungo in Oriente, arrivando a Roma solo ai primi di luglio 118 d.C.; nel frattempo, erano scoppiate rivolte in Mauretania, nel Basso Danubio e in Britannia. All’Armenia fu ridato un sovrano cliente. La frontiera si attestò di nuovo all’Eufrate. A Lucio Quieto fu affidato il governo della Giudea. La ribellione in Egitto, a Cirene e a Cipro era stata domata da Quinto Marcio Turbone, che pure si era distinto già nello staff militare di Traiano e che divenne uno dei più stretti collaboratori di Adriano. La successione di Adriano però, non era stata gradita da alcuni altri collaboratori di Traiano. Inoltre, il suo nuovo corso nella politica orientale probabilmente suscitava l’opposizione degli uomini che erano stati vicini al suo predecessore e al suo orientamento espansionista. Una traccia di tutto questo dissenso può essere riscontrata nell’episodio della condanna a morte di quattro ex consoli, fedeli cooperatori e generali di Traiano, incriminati per aver congiurato contro il nuovo principe. Il fatto causò grande scalpore a Roma e sollevò ostilità nei confronti dell’imperatore ancora assente. In Mauretania Turbone aveva represso i torbidi rapidamente. La Dacia Superiore venne suddivisa in due province, divenendo così 3: Parolissense, Superiore e Inferiore, ciascuna sottoposta a un Vipascensis, che regolano la conduzione degli appalti di beni appartenenti al demanio imperiale, in questo caso di miniere. All’età di Adriano risale la Tariffa di Palmira, che elenca gli importi delle tasse di importazione e di esportazione delle merci in transito. Nel 136 d.C. la salute di Adriano ebbe un netto tracollo e fece eliminare tutti quanti gli si agitavano intorno nella speranza di succedergli, tra cui Urso Serviano e Fusco Salinatore. Nella seconda metà dell’anno, superata la crisi che lo aveva condotto quasi alla morte, la scelta del successore cadde a sorpresa su uno dei consoli di quell’anno, Commodo, che in seguito all’adozione divenne Lucio Elio Cesare. Gli venne attribuito un secondo consolato nell’anno successivo, dopo il quale fu inviato nelle due Pannonie come legato imperiale, ma di ritorno a Roma, morì di una violenta emorragia nel 138 d.C. Adriano scelse come erede, adottandolo, un senatore la cui famiglia era originaria della Gallia Narbonense, Tito Aurelio Fulvo Boionio Arrio Antonino, che per volontà di Adriano adottò a sua volta il figlio del defunto Lucio Elio Cesare, Lucio Ceionio Commodo, insieme a un nipote, Marco Annio Vero, il futuro imperatore Marco Aurelio. Adriano morì non molto dopo, il 10 luglio 138 d.C. ■ 4.4 Antonino Pio (138-161 d.C.) Tito Aurelio Fulvio Boionio Arrio Antonino, era un ricchissimo senatore. Le sue sostanze erano state ulteriormente incrementate dal matrimonio con Anna Galeria Faustina. La sua carriera era stata quasi esclusivamente civile: un solo consolato (120 d.C.); poi era stato uno dei quattro consolari circoscrizionali preposti ai distretti giudiziari per l’Italia; in seguito proconsole in Asia; infine membro del consilium dell’imperatore. Antonino Pio si pose in sostanziale continuità con il suo predecessore, ma a differenza di Adriano non si mosse mai dall’Italia. Egli fece sposare la figlia Faustina minore al futuro imperatore Marco Aurelio. Cercò sempre di mantenere buoni rapporti con il senato, ma si oppose duramente quando esso volle contrastare l’apoteosi di Adriano (giungendo a pretendere la damnatio memoriae), per lo sdegno suscitato dalle esecuzioni, dall’inasprimento del carattere, dai crudeli e capricciosi ordini impartiti negli ultimi anni di vita. Preferì piuttosto consentire l’abolizione dei quattro legati consolari preposta ai distretti giudiziari d’Italia introdotti da Adriano. Le operazioni militari furono condotte tutte dai suoi luogotenenti. Urbico sviluppò con successo una politica di espansione nella Scozia meridionale e diede inizio alla costruzione del vallum Antonini, con funzioni di caposaldo avanzato di contenimento e di difesa del vallo precedente. Questa campagna valse ad Antonino Pio, anche se non vi aveva partecipato, l’acclamazione imperatoria. Una politica di cauta espansione fu sviluppata, verso il 155-160 d.C., intorno al limes della Germania Superioe, portato in avanti di una ventina di chilometri verso est. Operazioni militari di una certa consistenza ebbero luogo in Mauretania Cesariense e in Mauretania Tingitana, per far fronte al ribellismo delle popolazioni locali. Altri conflitti minori si verificarono in Dacia e in seguito ad essi ai Daci fu imposto un sovrano gradito ad Antonino. Anche in Oriente l’Armenia ebbe un nuovo re nominato da Roma e nell’Urbe giunse Farasmane, re degli Iberi, a rendere ad Antonino Pio quell’omaggio che si era rifiutato di tributare sul posto ad Adriano in occasione del suo secondo viaggio. Il nuovo sovrano dei Parti, Vologese III, preferì non venire ad uno scontro diretto. Antonino Pio fu un coscienzioso e parsimonioso amministratore. Sotto il suo impero furono compiute e portare a termine numerose opere pubbliche e venne ulteriormente sviluppata la distribuzione di sussidi alle giovani orfane italiche, che presero il nome di puellae Faustinianae, in memoria della moglie defunta. Antonino Pio morì il 7 marzo 161 d.C. nella sua proprietà di Lorium all’età di poco meno di 75 anni, assistito dal figlio adottivo più anziano, Marco Aurelio. Alcuni hanno esaltato il lungo principato di Antonino Pio come uno dei migliori della storia dell’Impero. Altri lo hanno invece criticato per il marcato immobilismo e la mancanza di incisività, soprattutto sul profilo militare. ■ 4.5 Lo statuto delle città Nell’età di Antonino Pio l’Imperatore raggiunse l’apogeo del proprio sviluppo e del consenso presso le elite delle province e delle città. Due erano gli elementi che caratterizzavano la natura dell’Impero Romano: il processo di integrazione dei ceti dirigenti provinciali attraverso il conferimento della cittadinanza romana e il valore attribuito alla vita cittadina nella quale la cultura greca trovava la sua più compiuta espressione. La città rappresentava nel mondo antico il segno distintivo della civiltà rispetto alla rozzezza e alle barbarie. Nell’Impero vi era dunque una grande varietà di tipologie cittadine e una grande diversità di statuti. Civitates in Occidente e poleis in Oriente erano organizzate secondo tre tipologie fondamentali, a seconda del loro grado di integrazione nello Stato romano: 1. Le città peregrine, cioè quelle preesistenti alla conquista e alla loro riorganizzazione all’interno dell’Impero. All’inizio della nostra era sono le più numerose. All’interno di questo gruppo si distinguono in base al loro status giuridico nei confronti di Roma: a. Le città stipendiarie, che sottomesse a Roma, pagano un tributo. b. Le città libere con diritti speciali concessi da Roma. c. Le città libere e immuni, esentate dal pagamento del tributo e libere. d. Le città federate, città autonome che hanno concluso con Roma un trattato su un piede di uguaglianza. 2. I municipi, città cui Roma ha concesso di elevare il suo status precedente di città peregrina e ai cui abitanti è accordato o il diritto latino o quello romano. 3. Le colonie. Si tratta in origine di città di nuova fondazione con apporto di colon che godono della cittadinanza romana su terre sottratte a città o a popoli vinti. La colonia adotta il pieno diritto romano ed è organizzata a immagine di Roma. Si realizzava così una gerarchia tra le città tale da favorire lo spirito di emulazione, dato che le città peregrine aspiravano a diventare municipi di diritto latino e questi ultimi desideravano ottenere il diritto romano. Inoltre, sollecitavano il titolo di colonia onoraria. L’integrazione dei provinciali nell’Impero poteva avvenire per gradi, privilegiando i ceti dirigenti oppure attraverso il riconoscimento di uno statuto superiore accordato a singole città o ad intere regioni, come avvenne quando Vespasiano concesse il diritto latino a tutte le città peregrine della penisola iberica. Le città costituivano inoltre il punto di riferimento delle attività economiche e i nuclei della vita culturale. Nell’Oriente ellenistico l’esperienza cittadina si basava sulla lunga tradizione della polis, mentre in Spagna, Africa e Sicilia le tradizioni greche si mescolavano a quelle fenicie e puniche. Nell’Europa continentale alcune zone potevano vantare tradizioni celtiche, ma altrove, ad esempio in Germania, non vi era alcuna cultura di tipo urbano, il che rese la penetrazione romana ancora più difficoltosa. Le città fungevano da raccordo tra Roma e le disperse realtà locali dell’Impero, dove esisteva una varietà di tradizioni, attività economiche e produttive, istituzioni, strutture indigene, lingue, religioni e sistemi di relazione tra il centro urbano e il suo territorio. ■ 4.6 Marco Aurelio (161-180 d.C.) e Lucio Vero (161-169 d.C.), Marco Aurelio e Commodo (177-180 d.C.) Marco Aurelio succedette ad Antonino Pio senza problemi. I due figli adottivi (Marco e Lucio) avevano ricevuto entrambi un’ottima formazione, ma solo Marco era stato insignito del titolo di Cesare e a lui era stata data in sposa la figlia di Antonino, Faustina minore. Nell’anno della morte di Antonino Pio, Marco e Lucio erano consoli insieme. Marco sorprese tutti recuperando quanto era stato preordinato da Adriano. Appena divenuto imperatore pretese e ottenne che anche il fratello Lucio Vero fosse riconosciuto come tale e condividesse con lui il principato. Si trattava di una decisione importante, perché era il primo caso di ‘’doppio Principato’’, cioè di coreggenza piena, nella storia imperiale romana. Lucio Vero sposò Annia Aurelia Galeria Lucilla, secondogenita di Marco. Le fonti letterarie ci presentano Marco Aurelio come virtuoso e Lucio Vero come un vizioso e indolente. Subito all’inizio del principato vi furono agitazioni sulle frontiere della Britannia, della Germania e della Rezia, sedate con facilità, ma che sarebbero riprese in modo più grave da lì a poco. Nel 161 d.C. si riaprì in maniera traumatica il problema partico: Vologese IV, alla notizia della morte di Antonino Pio, decise di occupare l’Armenia, imponendovi un proprio re vassallo, Pacoro. Il legato romano della Cappadocia fu sconfitto ad Elegeia e vi trovò la morte. Contemporaneamente i Parti dilagarono in Osroene e invasero la Siria. Ebbe così inizio un lungo conflitto, normalmente articolato in tre fasi, segnate ad operazioni successive: armeniaca (fino al 163 d.C.), partica (163-165 d.C.), medica (165-166 d.C.). Fu inviato in Oriente Lucio Vero, che lasciò Roma nella primavera del 162 d.C. e raggiunse circa un anno più tardi Antiochia, dove pose il suo quartier generale. Alla Cappadocia fu preposto Marco Stazio Prisco e alla Siria Avidio Cassio. Nel 163 d.C. Marco Stazio Prisco penetrò in Armenia e si impadronì di Artaxata, cacciando Pacoro e ponendo al suo posto Soemo, un principe orientale che era anche senatore romano, che venne incoronato da Lucio Vero. Le legioni di Siria, verso la fine del 163 d.C. diedero inizio all’offensiva contro la Partia, occuparono Edessa, donde i Parti avevano cacciato il re d’Osroene, alleato dei Romani, e Nisibi venne ripresa. Nel 166 d.C. gli eserciti romani penetrarono in Media, e contemporaneamente vennero organizzate spedizioni contro i Parti. I due Augusti poterono fregiarsi dei titoli di Parthicus e Medicusa. La pace fu conclusa nel 166 d.C. L’Armenia e l’Osroene ricevettero di nuovo principi clienti sotto la protezione dei legati di Cappadocia e di Siria. Inoltre, le truppe romane occuparono le sponde dell’Eufrate fino a Dura Europos, che entrava così a far parte del territorio dell’Impero. Fu però un successo effimero. Il nuovo re d’Armenia Soemo fu cacciato nel 172 d.C. e fu necessario riportarvelo con la forza. Inoltre, premevano popolazioni dal nord dei Balcani e del Caucaso che mettevano in crisi la stabilità dell’intero quadrante orientale. La guerra fu anche causa indiretta della crisi che travagliò l’Impero negli anni successivi. Infatti, l’esercito tornato dall’Oriente portò con sé la pestilenza, che causò lutti e devastazioni in molte regioni con gravi conseguenze demografiche ed economiche. Inoltre, lo sguarnimento della frontiera settentrionale tra Alto Reno e Alto Danubio creò le condizioni perché i popoli confinanti del Nord-Est, soprattutto Marcomanni e Quadi, si facessero pericolosi. Al di là dei popoli che vivevano lungo il limes ce n’erano altri che premevano contro di essi, i Longobardi, i Goti, i Vandali, i Burgundi, gli Alani e i Sarmati. Già nel 162 d.C. era stato inviato come legato della Germania Superiore un amico di Marco Aurelio, Vittorino, che aveva respinto un’invasione di Catti. Nell’estate del 166 d.C. i Quadi e i Marcomanni superarono il Danubio e arrivarono a minacciare l’Italia, assediando Aquileia e distruggendo Oderzo. Contemporaneamente i Sarmati Iazigi si agitavano nei territori compresi tra Danubio e Tibisco. Nel 168 d.C. Marco Aurelio e Lucio Vero mossero verso settentrione, creando una grande zona militare unificata a est di Aquileia, così che l’invasione fu momentaneamente contenuta e così tornarono verso Roma, ma all’inizio del 169 d.C. Lucio Vero morì all’improvviso. Marco cercò un nuovo stretto collaboratore nel legato della Pannonia Inferiore, Tiberio Claudio Pompeiano, con cui fece sposare la figlia Lucilla, rimasta vedova di Lucio.