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Storia romana Geraci Marcone, Schemi e mappe concettuali di Storia Romana

riassunto del manuale di storia romana Geraci Marcone

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2018/2019

Caricato il 21/01/2019

chiaberry
chiaberry 🇮🇹

4.3

(32)

22 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Storia romana Geraci Marcone e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Romana solo su Docsity! STORIA ROMANA (Manuale Geraci Marcone) Cap.2: ETRUSCHI Noti ai greci come Tirreni, chiamavano se stessi “Rasenna”. Secondo Erodoto sono un gruppo di Lidi (provenienti dall'Asia Minore) che navigarono alla volta dell'Italia sotto la guida di Tirreno. Secondo Dionigi di Alicarnasso erano invece un gruppo autoctono. Le ricerche archeologiche dimostrano che l'origine degli Etruschi è l'incontro di due fattori: 1) Sviluppo autonomo della società e dell'economia locale 2)Influenze esterne (specialmente le colonie greche nell'Italia meridionale). Lo sviluppo del popolo etrusco si realizza nella regione compresa tra i corsi dell'Arno e del Tevere (Umbria, Toscana e Lazio settentrionale). Non diedero mai vita ad uno stato unitario, sin dalle origini erano organizzati in città indipendenti governate da sovrani, i “Lucumoni”, poi sostituiti dagli “Zilath”, magistrati eletti annualmente. L'unica aggregazione delle comunità è la lega delle 12 città principali (vedi pag. 14). La società era di tipo aristocratico, il potere era nelle mani dei pochi proprietari terrieri. L'espansione etrusca che portò alla fondazione di nuove città si arrestò nel 530 a.C, a seguito di una battaglia navale con i Focei (da Focea, colonia greca), i quali avevano fondato la colonia di Alalia in Corsica, fatto che fu interpretato come una minaccia dagli Etruschi. Nel 474 a.C. Furono sconfitti a Cuma dai Greci di Siracusa. Due eventi segnarono definitivamente la loro decadenza: Presa di Veio da parte dei Romani (396) Perdita possedimenti in val Padana (Celti). Nel III secolo l'Etruria passa in mano romana. 2.2 Gli Etruschi avevano una serie di rituali religiosi ben codificata. Le divinità del pantheon etrusco sono in gran parte assimilabili a quelle greche, e, sebbene ve ne siano alcune indigene, hanno anch'esse caratteristiche del tutto simili alle divinità greche. Così come al di sopra di Zeus dominava il Fato, così anche nel pantheon etrusco, sopra Tinia (l'equivalente di Zeus), regna il Fato. Ci è giunto un calendario con le ricorrenze religiose, preghiere e offerte, il “Liber Linteus” (Libro di Lino di Zagabria, scritto su un pezzo di stoffa usato per avvolgere una mummia). La concezione dell'aldilà è molto importante per gli etruschi, i quali vedevano la morte, in un primo momento, come una continuazione della vita, infatti nelle tombe non è raro trovare cibi e insegne dello status sociale; in un secondo momento questa concezione muta, e l'aldilà viene visto come una destinazione da raggiungere dopo un viaggio. Altro importantissimo aspetto della religione etrusca è l' “Aruspicina”, la “scienza” dell'interpretazione delle viscere degli animali, negli organi dei quali si rispecchierebbe l'ordine cosmico. 2.3 e 2.4 La lingua etrusca può essere letta con facilità dal momento che l'alfabeto, di 26 lettere, è di derivazione greca. Tuttavia l'etrusco è una lingua non indoeuropea, non abbiamo testi bilingui di sufficiente ampiezza, non abbiamo testi se non brevi formule con nomi o cariche rivestite da personaggi vari, dunque non possiamo dire di conoscere l'etrusco. Per quanto concerne l'arte, le maggiori testimonianze archeologiche sono le necropoli. Inizialmente le tombe erano a “Pozzo”, cadaveri cremati. Si passò poi alle tombe a “fossa”, cadaveri inumati, e infine a “camera”, veri e propri appartamenti con vari ambienti e ricchi corredi. Queste tombe sono spesso affrescate con scene di caccia o di vita quotidiana. I corredi sono spesso ricchi di vasellame (celebre la tecnica dei vasi a “Bucchero”, cottura dell'argilla fino a diventare nera) e di gioielli, infatti gli etruschi, come testimoniano appunto i corredi funebri, erano molto abili nel lavorare l'oro. Cap.3: ROMA 3.2 Le fonti letterarie sono il primo blocco di informazioni con cui ci si deve confrontare, tenendo però presente che le opere che leggiamo sono di molto posteriori, e largo spazio hanno anche elementi leggendari. Infatti i primi storici di cui abbiamo notizia, Fabio Pittore e Cinicio Alimento, scrivono nel III secolo. Roma conobbe la scrittura nel VII secolo, ma questo non cambiò le cose, infatti ci sono pervenute pochissime iscrizioni, e da questo inferiamo che un grande ruolo deve aver giocato la tradizione orale. Le prime opere complete che leggiamo sono quella di Tito Livio (142 libri di cui circa 50 pervenuti) e quella di Dionigi di Alicarnasso, il quale tende, nelle sue “Antichità Romane” (20 libri) a dimostrare l'origine greca del popolo romano. Per quanto concerne la leggenda della fondazione di Roma, oltre all'oralità, abbiamo l'Eneide di Virgilio, secondo il quale Enea fondò Lavinium e suo figlio Ascanio, trent'anni dopo, fondò Alba Longa (forse l'odierna Castel Gandolfo). 3.3 La tradizione fissa il periodo monarchico tra il 753 e il 509 a.C. In questi anni avrebbero regnato sette re, Romolo, Numa Pompilio, Tullio Ostilio, Anco Marcio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Il problema della tradizione è anche cercare di capire le fonti da cui attinsero i primi storici: 1) Altri storici precedenti, le cui opere non ci sono pervenute, specialmente gli annalisti. 2) Tradizione familiare: le famiglie cercavano di dimostrare la loro superiorità anche con le gesta degli antenati. 3) Tradizione orale. 4) Documenti d'archivio, in particolar modo gli annali dei pontefici, sui quali il pontefice annotava gli avvenimenti principali di ogni anno in forma sommaria, e poi appendeva la tavola su cui erano scritti fuori dalla sua abitazione. Abbiamo notizia degli annali del 130 a.C. pubblicati dal pontefice Mucio Scevola, detti “Annales Maximi”, i quali, tuttavia, non risalgono fino al periodo monarchico. Appare oggi accertato che nella tradizione sono confluite due versioni: quella greca, secondo la quale la fondazione di Roma sarebbe da attribuire ad Enea, e una indigena, che vede Romolo come il mitico fondatore della città. Nell'alone leggendario si possono tuttavia recuperare alcuni elementi storici, ad esempio la compresenza delle popolazioni dei Latini e dei Sabini. Cap.3: LA NASCITA DELLA REPUBBLICA (pag.47) 1.1 1.2 1.3 1.4 La storiografia antica sulla nascita della repubblica, Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso, ci riporta un quadro chiaro: Sesto Tarquinio, figlio dell'ultimo re etrusco di Roma, respinto dall'aristocratica Lucrezia, la violenta. Lei, prima di suicidarsi, avverte del fatto il padre e il marito. Scoppia una rivolta, che porta alla caduta della monarchia, canonicamente databile al 510 a.C. I poteri passano dal monarca a due consoli. In assenza di dati archeologici che risolvano la questione, la ricerca si è concentrata sulle fonti, cercando di distinguere elementi autentici da abbellimenti retorici. Tra questi dati (storici) abbiamo i FASTI, liste di magistrati eponimi, che cioè davano il nome all'anno in corso. Ci sono giunti sia attraverso la tradizione storiografica, dal momento che Livio e Diodoro Siculo sono soliti anteporre il nome del magistrato eponimo, sia attraverso documenti epigrafici. I più importanti sono i Fasti Capitolini, nei quali trova riflesso una cronologia considerata canonica, quella di Marco Terenzio Varrone. Questa cronologia presenta tuttavia sfasature nella datazione di alcuni eventi, come dimostra il confronto con lo storico Polibio. Vi sono poi altre incongruenze nei fasti: anni di anarchia, dittatori e nomi di gens plebee. Particolarmente problematica la questione dei nomi plebei, i quali suscitano numerosi dubbi ma non permettono di rigettare in blocco le informazioni. Alcuni pensano che i nomi siano di rami di famiglie patrizie poi estinte, oltre al dei casi di omonimia tra famiglie. Tornando alla storia di Lucrezia, questa non spiega affatto i motivi profondi di tale cambiamento. Sicuramente il ruolo preminente di aristocratici nella cacciata di Tarquinio il Superbo e il dominio del patriziato nel primo periodo della repubblica, fa pensare ad una rivolta dei patrizi. L'odio feroce dimostrato nel periodo successivo per l'istituto monarchico sembra indicare un evento traumatico, non un passaggio graduale. Alcuni elementi lasciano pensare che dopo Tarquinio il Superbo ci sia stato un breve periodo in cui Rome ebbe molti re e condottieri, tra cui molti etruschi. La sconfitta inflitta dai Latini al re etrusco Arrunte assesta un duro colpo al dominio etrusco e permette a Roma di sviluppare le sue nuove istituzioni repubblicane. Curiosa coincidenza, già nell'antichità, quella del 510 a.C. Che corrisponde anche alla cacciata di Ippia. È forte il sospetto che la data sia stata fatta coincidere per creare un parallelismo. Alcuni elementi contrastano infatti con questa data, elementi per lo più archeologici, i quali dimostrano che dal 470-450 a.C. I contatti con l'etruria si interrompono. Vi sono tuttavia altri elementi che non portano la data della nascita della repubblica troppo lontano dal 510. Livio descrive un curioso rituale: il magistrato alle idi di settembre, ogni anno, infiggeva un chiodo nel tempio di Giove sul Campidoglio, costruito in tempo etrusco ma inaugurato solo nel primo anno della repubblica. I chiodi potevano fornire una datazione assoluta, e così fu quando l'edile Cneo Flavio, nel 304, inaugurò il tempio di Concordia, datando l'evento a 204 anni dopo quello in Campidoglio, nel 508 a.C. Un secondo elemento a suffragio di questa tesi è il ritrovamento di una regia con pianta templare, e non di una residenza reale, così da farci pensare che verso la fine del VI secolo la regia fosse passata nelle mani del rex sacrorum. 1.5 La tradizione è concorde nel riferire che i poteri passarono dalle mani del re a due magistrati, i consoli (inizialmente praetores). Questi erano eletti dai Comizi Centuriati e avevano i seguenti poteri: - Comando dell'esercito - Mantenimento dell'ordine nella città - Convocazione assemblee popolari e senato - Compilare le liste del senato (dal 443 compito dei censori) - Censimento (dal 443 censori) I poteri autocratici erano però limitati dalla durata della carica, un solo anno, e dal fatto che i due avevano eguali poteri, così il collega poteva opporsi ad una decisione qualora non fosse stato d'accordo. Un'ulteriore limite era rappresentato dal fatto che i cittadini potevano opporsi alle sentenze capitali, secondo la provocatio ad populum. Alcuni studiosi ritengono però improbabile un passaggio repentino a due consoli, e ritengono invece plausibile una prima fase con un solo magistrato. Prova del fatto sarebbe un passo nella tradizione in cui viene citato un praetor maximus, al singolare, fatto che implicherebbe un magistrato con poteri più ampi rispetto ad altri. 1.6 1.7 Le crescenti esigenze del nuovo assetto repubblicano fecero sì che si istituissero altre magistrature: Questori: Assistevano i consoli nelle attività finanziarie Quaestores Parricidii: Delitti di sangue Duoviri Perduellonis: Alto Tradimento Censori: Dal 443 a.C. Censimento, Cura Morum (intervento sulla vita pubblica e privata), lista dei senatori Dictator: Carica eccezionale, della durata di sei mesi massimo, eletto dal console su nomina del senato. Chiamato in particolari e gravi circostanze, specialmente militari. Affiancato solo dal Magister equitumi. Sappiamo che originariamente era chiamato Magister Populi (popolo in armi, quindi esercito). 1.8 Cariche religiose: Chi ricopriva una carica religiosa non poteva ricoprie anche una carica politica, fatta eccezione per il rex sacrorum. Flamini: 3 maggiori e 12 minori, personificazioni delle divinità in terra, eletti dal pontefice. Collegio dei Pontefici: Controllo della tradizione giuridica (di fatto è una mansione politica!). Eletti per cooptazione e carica a vita. Auguri: Interpretavano la volontà divina attraverso dei segni (volo degli uccelli ecc.), potevano intervenire e bloccare un procedimento o una decisione del senato, il loro parere era tenuto in gran considerazione (di fatto poteva essere utilizzato in politica!). Duoviri Sacris Faciundis: Custodivano i Libri Sibillini, raccolta di oracoli in greco, venivano consultati per dirimere alcune questioni. Fetiales: Dichiaravano guerra secondo un rito ben preciso, la formula “Bellum Iustum” infatti significa dichiarare guerra secondo la consuetudine. 1.9 Il vecchio consiglio dei capi delle famiglie nobili di età regia continua ad giocare il suo ruolo anche in età repubblicana. La composizione del consiglio era decisa prima dai consoli, poi dai censori. La carica dei senatori era a vita e il loro principale strumento politico era l'Auctoritas patrorum, diritto posseduto già in età regia, che vediamo applicarsi ai decreti di legge e alle elezioni. 1.10 Assemblee: potevano parteciparvi solo i maschi adulti di libera condizione e in possesso del diritto di cittadinanza. La cittadinanza si otteneva per nascita, se si era figli legittimi di padre in possesso della cittadinanza. Tuttavia a Roma le aperture verso l'esterno non sono affatto rare, infatti sappiamo che la cittadinanza venne concessa, caso più clamoroso, ad un notabile sabino, Appio Claudio, e a 5000 dei suoi. Gli schiavi liberati, i liberti, godevano di pieni diritti di cittadinanza, a differenza di quanto avveniva in Grecia. Comizi Curiati: Conferivano ufficialmente il potere ai magistrati, funzione che si ridusse ad una mera formalità. Comizi centuriati: Le centurie erano ripartizioni della cittadinanza in classi di censo (vd supra), ma le risoluzioni prese non erano per maggioranza di voti individuali, bensì a maggioranza di unità di voto costituita dalla stessa centuria. Capitava così che le centurie delle prime classi, con meno componenti, avessero ugual peso, se coalizzate, di quelle delle classi inferiori, ben più numerose. La loro funzione era l'elezione dei consoli e degli alti magistrati. Comizi tributi: Per la prima volta nel 447 a.C., i comizi tributi erano assemblee in cui si votava per tribù, 4 urbane e 16 (poi 31) rustiche. Anche in questo caso vi è una netta disuguaglianza. Loro compito era l'elezione di magistrati minori e legislativa, tranne per le materie che spettavano ai consoli. Cap.3: CONFLITTO TRA PATRIZI E PLEBEI (pag 47 e sgg.) 2.1 2.2 Il periodo che va dalla nascita della repubblica al 287 a.C. È segnato da numerosi contrasti civili oltre che da numerose guerre. Spesso i due aspetti si intrecciano. (Nel libro si analizzano prima gli aspetti sociali e, nel capitolo successivo, le guerre) Dopo la sconfitta subita dagli Etruschi a Cuma ad opera di Ierone di Siracusa, anche Roma ne risentì, in particolar modo perse la posizione vantaggiosa di passaggio delle vie commerciali sul Tevere, e, per le continue ostilità con i Sabini, anche il mercato del sale (saline di Ostia e via salaria) ne risentì. Le crescenti difficoltà economiche portarono a carestie ed epidemie. Gli strati più bassi, come i piccoli agricoltori, per far fronte alla situazione, furono costretti ad indebitarsi, e gli interessi crebbero al punto da doversi mettere al servizio del proprietario, l'istituto del nexum. In queste condizioni la plebe chiedeva che il tetto massimo di interessi sui debiti fosse rivisto e una più equa distribuzione dei territori. Per quanto concerne i problemi politici (comunque interconnessi a quelli economici), gli strati più ricchi della plebe invece richiedevano una parificazione dei diritti e un codice di leggi scritte, di modo che l'applicazione della legge non fosse arbitraria da parte di coloro che detenevano il sapere giuridico, vale a dire, sino a quel momento, il collegio dei pontefici. 2.3 leggere Un po' di chiarezza sulle assemblee (non sul libro): La tradizione ci riferisce che Romolo suddivise la popolazione in 3 TRIBU', Ramnes, Tities e 2.8 Le leggi Licinie-Sestie segnarono la fine del contrasto tra patrizi e plebei. Infatti nel 342 a.C., secondo Livio, un plebiscito ammise l'elezione di due consoli plebei (è probabilmente da questo momento in poi che vige l'obbligo di eleggere un console dalla plebe). La prima coppia di consoli plebei compare invece solo nel 172 a.C. Nei decenni successivi furono aperte alla plebe anche le altre cariche, pretura, censura, senato ecc. Nel 326 a.C. La lex Petelia abolì la schiavitù per debiti. Inoltre in quegli stessi anni la crisi economica della plebe si attenuò per via delle risorse economiche derivanti dalle guerre, le quali garantirono vasti territori. 2.9 Un tentativo di accelerare il processo di riforma si ebbe durante la censura di Appio Claudio Cieco, nel 312-311 a.C. 1) Nel compilare la lista dei senatori, vi inserì anche nomi di persone abbienti ma che non avevano ancora ricoperto nessuna magistratura. 2) Tribù: il suo scopo era favorire la plebe permettendo di iscriversi in una qualsiasi delle tribù, e non solo quelle urbane, dal momento che, essendo 4, costituivano una parte insignificante nellatto del voto. Entrambi i procedimenti caddero nel vuoto, i consoli rifiutarono le liste senatoriali e anche il provvedimento sulle tribù non fu attuato. Sempre durante questo periodo, ma non attribuibile direttamente ad Appio Claudio Cieco, il nuovo criterio per il censo: non più sono calcolato in base a terreni e bestiame, ma anche in base ai beni mobili, permettendo così anche a coloro che non erano legati a quel tipo di attività di garantirsi una classe superiore. Appartenente all'entourage di Cieco, Cneo Flavio, edile, pubblicò le formule giuridiche in uso e i calendari con i giorni fasti e nefasti, in cui ogni attività pubblica era interdetta. Ad Appio Claudio Cieco sono da attribuire infine il primo acquedotto della città, e la via Appia (proprio dal suo nome), che collegava Roma a Capua e che si sarebbe in seguito rivelata di importanza strategica fondamentale. 2.10 Già nell'antichità l'anno 287 a.C. Segnava la fine del conflitto tra patrizi e plebei. La Lex Hortensia stabilì che i plebisciti votati dall'assemblea della plebe avessero valore per tutta la cittadinanza di Roma. Di fatto la legge equiparava i provvedimenti della plebe ai provvedimenti votati dai comizi centuriati e dai comizi tributi. I comizi tributi e i concilia plebis, dal 287a.C, erano accomunati da un uguale sistema di voto (per tribù), uguali poteri e identica composizione, ma ai comizi tributi prendevano parte anche i patrizi. Inoltre differivano per i magistrati che le convocavano, consoli o pretori i comizi tributi, gli edili o i tribuni della plebe i concilia plebis. 2.11 Tutti questi provvedimenti chiusero definitivamente il dominio dei patrizi nello stato romano. Al posto del patriziato, tuttavia, si venne formando una nuova aristocrazia, composta dalle più ricche famiglie plebee e dalle famiglie patrizie che avevano saputo meglio adattarsi ai nuovi rivolgimenti. Questa nuova aristocrazia prende il nome di Nobilitas, da nobilis, “noto”, “illustre” e si designavano nobili coloro che avevano ricoperto magistrature importanti o discendevano da un console. Questa nuova aristocrazia si rivelò non meno gelosa delle proprie prerogative non meno del vecchio patriziato. L'accesso alle magistrature non era più interdetto da norme scritte, ma era sotto lo stretto controllo dell'opinione pubblica. I pochi personaggi non appartenenti alla nobilitas, ma comunque di famiglie ricche, che riuscivano ad accedere al consolato, erano chiamati Homines Novi. Per accedere alla carriera politica a Roma era comunque necessario un supporto economico molto consistente, infatti era necessario aver servito per dieci anni nella cavalleria ed essere parte della cavalleria voleva dire far parte delle prime 18 centurie, che fornivano 100.000 assi, in seguito 1.000.000. Cap.4: LA CONQUISTA DELL'ITALIA (pag 72 e sgg.) 3.1 3.2 Circa la situazione di Roma alla fine della monarchia e lago Regillo: Tra la fine del VI e l'inizio del V secolo buona parte delle città latine approfittarono dell'incerta situazione interna di Roma per coalizzarsi in una lega ed affrancarsi dalla sua egemonia. Le città aderenti alla lega condividevano alcuni diritti: 1) Ius Connubii: Diritto di contrarre matrimonio con con cittadini di altre comunità 2) Ius Commercii: Diritto di stipulare accordi aventi valore legale con cittadini esterni 3) Ius Migrationis: Diritto di ottenere una cittadinanza in un'altra località semplicemente prendendovi residenza. Questa lega tentò di affermarsi nel 496 a.C., quando attaccò direttamente Roma, guerra forse suscitata da Ottavio Mamilio, che sperava di rimettere sul trono Tarquinio il Superbo. La lega fu sconfitta nella battaglia sul lago Regillo. Molto importante fu il trattato che ne conseguì, del 493a.C., il FOEDUS CASSIANUM, proposto dal console Spurio Cassio, il quale prevedeva una sorta di alleanza, reciproco aiuto in caso di attacco, condivisione equa del bottino di guerra comune. 3.3 Volsci, Equi e Sabini: L'alleanza di Roma con le città vicine si rivelò preziosa per fronteggiare l'ondata di popolazioni che stavano migrando in cerca di terre in quel periodo, i Volsci, gli Equi e i Sanniti. Queste popolazioni provenivano da regioni impervie appenniniche, regioni che non potevano garantire la sussistenza, si mossero dunque in cerca di terre fertili, secondo l'istituto della Primavera Sacra (Ver Sacrum): i prodotti agricoli di quell'anno sarebbero stati consacrati alle divinità e i bambini nati in quell'anno, raggiunta l'età matura, avrebbero dovuto migrare seguendo le indicazioni di un animale (es: i Piceni il picchio, da picus). Le fonti riportano numerosissimi conflitti in questo periodo, anche se in realtà si tratta, più che di vere guerre, di scaramucce e razzie. I Volsci sono il primo popolo che si incontra, scendono agli appennini e occupano la pianura Pontina. Sui colli albani si uniscono poi agli Equi, avanzando e conquistando Tivoli e Preneste. Gli alleati romani, Volsci ed Equi, riuscirono a bloccarli nel 431a.C. Sui colli albani. I Sabini, già ricordati nelle prime fasi della monarchia di Roma, attaccano improvvisamente nel 460a.C. E l'attacco è sventato grazie all'intervento della città di Tusculo. 3.4 Contro Veio: Se Roma fu aiutata dagli alleati contro Equi e Volsci, si trovò a fronteggiare da sola una minaccia più grande, Veio. Il conflitto si protrae per un secolo e termina nel 396a.C. Durante questo secolo vi sono tre guerre: I guerra veiente: 483-474a.C. I Veienti occupano un avamposto sulla riva del Tevere, Fidene, la reazione finì con un massacro per Roma: si dice che trecento soldati furono uccisi, dato che ricorda il modello di Leonida alle Termopili. II guerra veiente: 437-426a.C. I romani vendicano la sconfitta, recuperano Fidene. III guerra veiente: 405-396a.C. Il teatro delle operazioni si sposta lungo le mura di veio, assediate per 10 anni, sotto la guida militare di Marco Furio Camillo, il quale si dice abbia privato la popolazione di una divinità, promettendo a Giunone un tempio e un culto a Roma. La città venne presa e distrutta. Veio subì il particolarismo delle città etrusche, non ricevette alcun soccorso. Dal momento che l'assedio era durato molto e i soldati erano stati lontani dalle loro proprietà per molti anni, si introdusse per far fronte alle spese militari lo stipendium, una paga, e il tributum, tassa straordinaria gravante in base alle proprietà possedute. 3.5 Una nuova minaccio era rappresentata dai Galli. Sappiamo che nei decenni precedenti i Galli erano scesi in Italia in cerca di nuove terre. L'ultima tribù a scendere fu la tribù dei Senoni, nel 390a.C., che occupò quello che sarebbe poi stato denominato l'ager gallicus, ossia la Romagna meridionale. I Senoni si diressero dapprima a Chiusi, città etrusca, e poi verso Roma. I romani arruolarono frettolosamente un esercito per fronteggiarsi, ma persero sull'Allia (affluente del Tevere), o meglio, l'esercito romano si dissolse al primo contatto, rifugiandosi tra le rovine di Veio. La città, rimasta indifesa, fu presa e saccheggiata. Dopo il saccheggio i Galli scomparvero rapidamente così come erano comparsi. 3.6 I GUERRA CONTRO I SANNITI: La posizione di potere raggiunta da Roma trova espressione le trattato stipulato con i Sanniti nel 354a.C.: il trattato fissava le relative zone di egemonia, con il confine al fiume Lari. La zona occupata dai Sanniti era più estesa di quella che controllava Roma in quegli anni, ma la zona era prevalentemente montuosa, favorevole alla pastorizia ma non troppo fertile, cosa che non avrebbe permesso una crescita demografica. L'unico rimedio alle carestie erano le migrazioni. Dal punto di vista politico il Sannio era diviso in pagi ovvero Cantoni, entro i quali vi erano uno o più villaggi o vici, governati da un magistrato, il meddiss. Più pagi costituivano una tribù, detta in osco touto. Le quattro tribù costituivano la LEGA SANNITICA. Alcune popolazioni staccatesi dai sanniti occuparono alcune zone della Campania, dove, sotto l'influenza di etruschi e greci, mutarono il loro sistema culturale e politico. Alcune di queste popolazioni si unirono nella Lega Campana. La tensione tra i sanniti e i campani sfociò in guerra nel 343a.C., quando i sanniti attaccarono Teano, occupata dai Sidicini. Questi si rivolsero alla lega campana che, a sua volta, si rivolse a Roma (nonostante il trattato del 354a.C.). momento che Pirro richiedeva ingenti tributi per mantenere l'esercito. Accolse poi la richiesta di aiuto inviatagli da Siracusa, in nome delle origini greche e di una parentela con Agatocle. Siracusa era in guerra con i Cartaginesi. In Sicilia passò di vittoria in vittoria, costringendo i cartaginesi a chiudersi a Lillibeo, che tuttavia non riusciva ad espugnare. Pensò di poter sbloccare la situazione attaccando le coste dell'Africa ma il progetto fallì perché i suoi ingenti tributi e i suoi modi autoritari avevano ormai alienato i rapporti con gli alleati, molti dei quali si schierarono addirittura con i cartaginesi. Pirro lasciò la Sicilia ma nella traversata subì gravi perdite ad opera di una flotta cartaginese. Lo scontro decisivo coni romani avvenne nel 275 a.C., lì dove sarebbe stata fondata la colonia di Benevento. Manlio Curio Dentato mise in fuga le sue truppe. Pirro decise di abbandonare l'impresa e di tornare in Grecia. Nel 272 a.C., pochi anni dopo, Taranto si arrese entrando nel novero dei socii. Cap.5: LA CONQUISTA DEL MEDITERRANEO (Pag. 87 e sgg.) 4.1 4.2 PRIMA GUERRA PUNICA: 264-241 a.C. Lo scontro iniziò dalla questione dei Mamertini, soldati mercenari congedati dal re di Siracusa Agatocle, si erano dati ai saccheggi e si erano impadroniti con la forza di Messina. I siracusano, guidati da Ierone, reagirono e inflissero alcuni duri colpi ai Mamertini, avanzando verso Messina, ma si ritirarono quando i Mamertini accettarono l'aiuto di una flotta cartaginese, che non vedeva di buon occhio il fatto che i siracusani si impadronissero della zona dello stretto. I Mamertini si stancarono però presto della tutela cartaginese e fecero appello a Roma. Per Roma aiutare i mamertini sarebbe stato incongruente con l'atteggiamento di pochi anni prima, quando avevano fermato alcuni soldati che tentarono di impadronirsi di Reggio, e non aiutarli significava lasciare ai cartaginesi la ricca Sicilia. La motivazione economica prevalse. Questa decisione aprì la guerra, anche senza che venisse formalmente dichiarata. I romani riuscirono a cacciare cartaginesi e siracusani da Messina (i siracusani si erano nel frattempo alleati con i cartaginesi). Il re Ierone, tuttavia, comprese che un'alleanza con Cartagine sarebbe stata pericolosa, firmò quindi una pace e si schierò dalla parte di Roma. Il suo aiuto negli anni successivi fu decisivo per il rifornimento degli eserciti romani. Cartagine conservava però l'egemonia su tutte le zone costiere della Sicilia. Fu così che a Roma, per la prima volta, si cominciò a provvedere alla costruzione di una flotta, che garantì nel 260 a.C. Una clamorosa vittoria navale nelle acque di Milazzo, sotto il comando di Caio Duilio. A questo punto a Roma si pensò di poter infliggere il colpo decisivo attaccando il nemico direttamente nei suoi territori, in Africa. L'invasione inizia nel 256 a.C. La flotta romana fa sbarcare l'esercito in Africa e le prime operazioni furono favorevoli al console Marco Attilio Regolo, che, tuttavia, non seppe sfruttare i suoi successi. Il console infatti non sfruttò il malcontento che serpeggiava contro Cartagine e quando propose la pace, impose condizioni troppo dure perché venissero accettate, inasprendo la resistenza cartaginese. Nel 255 a.C Regolo fu sconfitto e la sua flotta fu colpita da una tempesta che la dimezzò. Roma tentò di recuperare le posizioni di Trapani, ma l'imperizia dei comandanti portò alla perdita della flotta nel 249 a.C. Solo qualche anno dopo Roma fu in grado di allestire una nuova flotta, grazie ad un prestito di cittadini privati. Caio Lutazio Catulo, comandante della flotta, inflisse la sconfitta decisiva nel 241 a.C., alle isole Egadi. Le clausole della pace prevedevano lo sgombero dell'intera Sicilia, delle isole e il pagamento di un indennizzo di guerra. A seguito della vittoria, Roma si trovò per la prima volta ad amministrare un territorio che non era compreso (in un certo senso) nella penisola. L'usuale trattamento riservato ai socii, senza cioè l'imposizione di un tributo, non fu riservato anche alla Sicilia, alla quale invece fu imposto un tributo annuo, un decimo della produzione. Inoltre fu deciso di far amministrare la provincia da due magistrati, inizialmente i questori, poi, dal 227, due pretori. La provincia non è più, dunque, il territorio di competenza di un magistrato, ma un territorio amministrato da un magistrato. 4.3 Tra le due guerre: CARTAGINE: Spossata economicamente e militarmente. Non riuscì a pagare le truppe mercenarie, che, stanche di attendere, si rivoltarono insieme ad alcune popolazioni soggette a Cartagine. La rivolta fu repressa a caro prezzo dalla famiglia Barca (Amilcare). Tentarono di riguadagnare posizioni cercando di recuperare la Sardegna, ma si scontrarono con l'opposizione di Roma. Non avendo i mezzi necessari per affrontare un conflitto, si piegarono, lasciando la Sardegna e la Corsica a Roma. ROMA: L'Illiria, approfittando della debolezza dell'Epiro, estese la sua influenza verso sud, sulle città greche sulla costa dalmata. I pirati illiri infliggevano notevoli danni con scorrerie a queste città, che si rivolsero a Roma. Roma inviò energiche proteste a Teuta, regina degli Illiri, che rifiutò di far cessare le azioni ostili. Scoppiò così il conflitto, la PRIMA GUERRA ILLIRICA. L'azione militare fu breve, nel 229 a.C. Roma vinse, costrinse Teuta a lasciare la reggenza e a rinunciare ad ogni pretesa sulle città della costa, che divennero una sorta di protettorato di Roma. Un collaboratore di Teuta, Demetrio, fu ricompensato con la reggenza dell'isola di faro dal momento che era passato dalla parte dei romani. Ma pochi anni dopo, proprio in seguito agli atti ostili intrapresi da Demetrio di Faro, Roma intervenne nuovamente in Illiria. SECONDA GUERRA ILLIRICA: Nel 219 a.C. Roma vinse e Faro divenne un protettorato romano, ma Demetrio si rifugiò dal re di Macedonia Filippo V, gettando le basi per una guerra. Nel 232 a.C. Caio Flaminino decise di distribuire alla popolazione l'ager gallicus, gettando, anche qui, le basi per la prossima guerra gallica. Varie genti galliche si scontrarono con Roma e nel 225 a.C. Vennero sconfitte a Telamone. Dopo questa vittoria a Roma ci si rese conto che la conquista dell'Italia settentrionale e della val Padana era possibile, anche per allontanare definitivamente la minaccia dei Galli. Fu così che si diede il via ad una breve ma violenta campagna contro di loro, terminata nel 222 a.C. Con la vittoria di Casteggio e la conquista del centro più importante, Mediolanum. In seguito al tentativo di Cartagine di conquistare una nuova base in Spagna, Marsiglia e Roma reagirono (erano anche alleate). Il senato concluse con Asdrubale un trattato che impediva ai cartaginesi di oltrepassare a nord il fiume Ebro. Roma inoltre strinse un'alleanza con Sagunto, città situata a Sud del fiume Ebro. 4.4 SECONDA GUERRA PUNICA: 218-202 a.C. La sconfitta del 241 e l'umiliazione della Sardegna aveva creato a Cartagine un forte sentimento di vendetta nei confronti di Roma, sentimento particolarmente acceso nella famiglia dei Barca (Amilcare, Asdrubale e Annibale: Asdrubale è genero di Amilcare, mentre Annibale è figlio di Amilcare; Amilcare soffocò la rivolta dei mercenari (vd. 4.3) e insieme ad Asdrubale tentò di conquistare la Spagna). La questione di Sagunto, poi, venne abilmente sfruttata da Annibale, per fare iniziare il conflitto nel momento più opportuno. Alle prime minacce di attacco cartaginese, infatti, i Saguntini chiesero aiuto a Roma, che mandò ambascerie di protesta a Cartagine, ma di fatto Roma si preparò al conflitto solo quando Sagunto era ormai stata espugnata. Dal momento che la vittoria romana nel precedente conflitto non era dovuta al genio di generali, ma al potenziale umano, Annibale credette di dover abbattere la base della potenza di Roma: gli alleati. Per questo sperava nell'appoggio dei Galli. Nel 218 a.C Annibale partì da Nova Carthago e, dopo aver evitato lo scontro con l'esercito romano inviato per intercettarlo, seppur con gravi perdite, valicò i Pirenei, dove trovò l'appoggio sperato dei Galli. Il primo grande scontro si ebbe sul fiume Trebbia, dove nel 218 a.C l'esercito di Publio Scipione venne sconfitto. Nell'anno seguente, 217 a.C. Annibale riuscì ad evitare l'esercito romano e a sorprendere le truppe di Caio Flaminino, infliggendo una dura sconfitta sul lago Trasimeno. A Roma cominciò a farsi strada l'idea che fosse impossibile sconfiggere i cartaginesi in campo aperto, secondo quanto sosteneva Quinto Fabio Massimo, il quale, eletto dittatore, proponeva una diversa strategia: bloccare i rifornimenti ad Annibale, motivo per cui venne soprannominato cunctator, il “temporeggiatore”. La strategia avrebbe portato alla vittoria solo a lungo termine, ma a breve termine Roma avrebbe dovuto assistere alla distruzione di molte città italiane. Scaduti i sei mesi della dittatura di Massimo, si decise di tornare all'offensiva, ma nel 216 a.C. Annibale sconfisse anche gli eserciti congiunti di Marco Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo nella battaglia di Canne, presso Canosa di Puglia. Morto Ierone di Siracusa, gli successe il nipote Ieronimo, che si alleò con i cartaginesi. Giunse inoltre notizia di un'intesa tra Cartagine e Filippo V di Macedonia. Nel 212 a.C anche Taranto passò dalla parte dei cartaginesi, tuttavia un presidio romano rimase in città per impedire che ad Annibale arrivassero i tanto sperati rifornimenti. Gli alleati dell'Italia centrale rimasero fedeli. Nel frattempo un ritorno alla strategia attendista permise a Roma di riorganizzarsi, di recuperare Capua e di inviare in Sicilia Marco Claudio Marcello, che riuscì a prendere Siracusa. PRIMA G. MACEDONICA: (All'interno della II Punica) Una flotta di 50 quinquiremi si rivelò sufficiente per impedire un'invasione di Filippo V o un congiungimento con Annibale. Inoltre facendo leva su di una coalizione antimacedone e specialmente sulla Lega Etolica, Roma riuscì a paralizzare la Macedonia, ma quando colse i primi segnali del fatto che le città greche non avevano più intenzione di combattere, si affrettò a concludere una pace, la pace di Fenice, del 205 a.C. Il fulcro del conflitto si sposta ora in Spagna dove Publio Cornelio Scipione raggiunge il fratello Cneo. I due insieme riescono ad impedire che Annibale riceva i rifornimenti, ma vennero sconfitti dai contingenti rimasti nella pensiola iberica. I romani si ritirarono e difesero la Spagna In questi anni la situazione di Roma in Grecia si faceva delicata: giungevano sempre più spesso ambasciatori a sostenere le rispettive ragioni di controversie tra le città greche. Roma privilegiò l'aristocrazia, quasi sempre incline al volere di Roma, frustrando così gli ideali di libertà delle fazioni democratiche. Una svolta decisiva si ebbe nel 179 a.C., quando Filippo morì, lasciando il trono al figlio Perseo. L'elemento democratico in molte città greche cominciò a guardare con favore Perseo. Ogni mossa di Perseo, tuttavia, come azioni militari in aree anche secondarie per Roma, furono viste come gesti di sfida. I preparativi cominciarono nel 172 e le prime azioni nel 171. Perseo ebbe aiuti solo dai Molossi e dal re dell'Illiria Genzio, che fu però sconfitto in una fulminea campagna nel 168 a.C. Nello stesso anno Perseo si vide costretto ad accettare battaglia dal console Lucio Emilio Paolo, a Pidna, dove fu sconfitto. La monarchia fu abolita in Macedonia, la regione venne divisa in 4 stati: matrimoni tra due stati diversi proibiti, così come possedimenti in più stati. L'Illiria venne divisa in 3 stati. Tutte questi nuovi stati erano tributari di Roma. I Molossi, rei di essersi messi contro Roma, videro il loro territorio devastato. La lega achea fu costretta a consegnare 1000 uomini di lealtà sospetta, tra cui lo storico Polibio. 4.9 IV GUERRA MACEDONICA e GUERRA ACAICA: 148-146 a.C. I rapporti in con la Grecia erano tesi, specialmente con la Lega acaica, dopo la deportazione di 1000 uomini. Ci fu una rivolta in Macedonia: un tale Andrisco si fece passare per figlio di Perseo, prevalendo sulle deboli forze democratiche riuscì a far prendere le armi un'ultima volta contro Roma. Fu sconfitto nel 148 a.C. Dal pretore Quinto Cecilio Metello. Il senato in seguito votò per lo scioglimento della lega, l'assemblea della quale optò per la guerra. Lo scontro fu rapidissimo e nel 146 a.C. Lucio Mummio ebbe la meglio. La lega fu sciolta e Corinto venne distrutta. 4.10 III GUERRA PUNICA: 151-146 a.C. Cartagine dopo l'ultimo conflitto si era ripresa rapidamente: aveva pagato il tributo in netto anticipo, ad esempio. Il motivo per l'ultimo conflitto venne dalle pretese di Massinissa, re numida, il quale avanzò pretese su alcuni territori di Cartagine asserendo che i confini territoriali non fossero stati definiti (o fingendo che non lo fossero). Cartagine non aveva il potere di dichiarare guerra senza il consenso di Roma, che infatti non approvò, ma l'assemblea a Cartagine votò invece per la guerra. Il conflitto fu breve, Massinissa distrusse l'esercito cartaginese nel 151 a.C. A Roma, specie sotto la spinta di Catone, si decise di muovere guerra contro Cartagine dal momento che aveva violato i trattati del 201 a.C. Si votò per la guerra specialmente per il timore che Cartagine potesse riprendersi e per la gloria acquistata nell'impresa. L'esercito sbarcò in Africa nel 149 a.C., sotto il comando di Publio Cornelio Scipione l'Emiliano. La città, non volendo la guerra, consegnò molti armamenti. Ma quando le richieste del console si fecero inaccettabili, spostarsi di 10 miglia dalla costa, Cartagine decise di resistere. L'assedio non fu facile, e la città fu distrutta solo nel 146 a.C., stesso anno della distruzione di Corinto. All'indomani di questa guerra, Roma si trovò a controllare due distinte zone della Spagna, una a Sud, verso Cadice, e l'altra a Nord, nella vallata gel Guadalquivir. Nel 197 queste zone preero il nome di Spagna Citeriore (sud) e Spagna Ulteriore (nord). Tuttavia la penetrazione verso l'interno si rivelò lunga e difficile, molte tribù resistettero e costrinsero Roma ad una guerriglia su terreni accidentati e vastissimi. Si diffuse il malcontento per una guerra “senza gloria”, le vittorie non erano mai decisive, non c'era gloria né bottino. Esemplificativo della situazione è l'atteggiamento di due governatori delle province, Marco Porcio Catone e Tiberio Semprionio Gracco (padre). Il primo procedette alla sottomissione di alcune tribù, il secondo tentò di fermare le ostilità contro Roma alla base, cercando di dialogare con queste. PARTE TERZA, CAP. I DAI GRACCHI ALLA GUERRA SOCIALE (pag. 115 e sgg.) 1.1 – 1.5 La guerra annibalica aveva inferto profonde ferite all'agricoltura, con le se scorrerie e devastazioni. Le campagne belliche oltremare, invece, avevano portato grandi capitali, che però erano concentrati nella mani di pochi. Il periodo di guerre con gli indennizzi e i tributi riscossi, stava mutando l'assetto economico di Roma, fino ad ora agricolo. Le nuove province fecero sì che alcuni romani vi si insediassero ed esercitassero la professione di banchieri. Lo sviluppo degli scambi commerciali aveva modificato l'assetto agricolo: il massiccio ricorso alla mano d'opera e le importazioni di grano e di materie prime, spingono verso una agricoltura diversa. I piccoli proprietari terrieri, già impoveriti dalla guerra o dalla lontananza dai loro poderi, si videro costretti a vendere nella maggior parte dei casi. Ne derivò una maggiore concentrazione fondiaria e un cambio delle colture verso prodotti per il commercio, piuttosto che per l'autoconsumo. Il nuovo modello agricolo diventa la villa rustica, una grande azienda agricola con personale schiavile. Molti, inoltre, in questo periodo, affluiscono a Roma in cerca di occupazione, creando una massa urbana sempre più consistente. Roma crebbe di dimensioni e cominciarono a rivelarsi problemi di approvvigionamento. Proprio per il massiccio sfruttamento della manodopera schiavile, vi sono in questo periodo alcune rivolte. In Sicilia, dove erano più diffusi i latifondi, ne abbiamo 2, 140-132 a.C., 104-100 a.C. Le mutate condizioni sociali portarono anche ad un riassetto della nobilitas, entro la quale si andarono delineando due fazioni: gli optimates, che si definivano boni, si rifacevano agli avi e sostenevano lo stato e le prerogative del senato; i populares, che invece osservavano la necessità di riforme in campo sociale. 1.6 1.7 Le guerre di conquista avevano accresciuto a dismisura l'ager publicus, di proprietà demaniale dello stato romano. Parti di esso erano concesse in uso a privati, a titolo di occupatio, dietro un minimo compenso, che spesso non era nemmeno riscosso. La crisi dei piccoli proprietari favorì la concentrazione dei terreni nelle mani dei grandi proprietari terrieri, accentuando così i tratti della crisi. Caio Lelio, console nel 140 propose una ridistribuzione di questi terreni, attirando l'opposizione dei senatori, motivo per cui preferì rinunziarvi. Nel 133 a.C., anno del suo tribunato della plebe, Tiberio Gracco Sempronio, tentò di riformare questo aspetto limitando così la quantità di agro pubblico posseduto. Il progetto di legge limitava gli iugeri posseduti a 500, con 250 in più per ogni figlio, fino ad un massimo di 1000 iugeri. Un collegio composto da lui stesso, Appio Claudio Pulcro e Caio Gracco, avrebbe poi avuto il compito di suddividere i terreni e di distribuire i restanti ai nullatenenti. Lo scopo era, oltre creare una base di consenso personale, creare anche le basi di reclutamento dell'esercito. Il progetto era legittimo dal momento che le terre in questione erano di proprietà demaniale e non private, dal lato pratico, tuttavia, molti proprietari si sentirono espropriati dei loro possedimenti. Il giorno della votazione della proposta, l'altro tribuno, Marco Ottavio, oppose il suo veto. Tiberio allora, dichiarando che il tribuno non agisse negli interessi del popolo. Fu così che venne dichiarato decaduto e la proposta approvata. L'opposizione però non si placò. Tiberio, temendo per la sua incolumità personale, decise di ricandidarsi al tribunato, fatto che fece pensare al senato che Tiberio aspirasse al potere personale. Nel corso dei comizi elettorali fu assalito e ucciso. 1.8 1.9 La morte di Tiberio non pose fine all'attività del triumvirato, che continuò ad essere rinnovato, fatto comprovato dai cippi graccani posti a confine dei territori. Cresceva tuttavia il malcontento degli alleati e dei popoli italici che si vedevano espropriati di molte terre. Si fece interprete del loro malcontento Scipione l'Emiliano, che, però, morì nel 129 in circostanze misteriose. Fu così che Fulvio Flacco, diventato console nel 125, forse per mitigare il malcontento, propose che tutti gli alleati e i popoli italici ottenessero la cittadinanza romana. La proposta incontrò una vasta opposizione e non fu nemmeno discussa. Flacco preferì rinunziarvi. Caio Gracco: eletto tribuno della plebe nel 123 riprese ed ampliò la proposta del fratello, ampliando anche i poteri della commissione. Legge frumentaria: calmierare il mercato ed assicurare ad ogni cittadino una quota fissa di grano mensile ad un prezzo ragionevole. Legge giudiziaria: Limita il potere del senato inserendo negli albi dei giudici molti cavalieri ed assicurando loro l'esclusiva sui tribunali perpetui (quaestio perpetua de repetundis istituiti nel 149), di modo che i senatori-governatori non fossero giudicati da senatori-governatori. Un altro provvedimento prevedeva che le province consolari (da affidare ai consoli) fossero decise prima delle elezioni, in modo che le decisioni non fossero influenzate da motivi politici o personali. L'oligarchia senatoria si servì per contrastare Caio di un altro tribuno, Marco Livio Druso. Approfittando dell'assenza di Caio, druso fece una proposta di fondazione di dodici colonie. La popolarità di Caio era gravemente minata, come si accorse lui stesso al suo ritorno. Non fu infatti rieletto nel 121. Il senato poi fece ricorso al senatus consultum ultimum per far sì che lo stato fosse difeso con qualunque mezzo. Fu così che fu ordinato un massacro dei sostenitori di Caio. Flacco fu ucciso e Caio si fece uccidere da un suo schiavo. 1.12 1.13 Scipione Emiliano aveva regolato le questioni africane con la costituzione di una piccola provincia, la provincia romana d'Africa, e con i buoni rapporti con il vicino re numida Massinissa. Morto Massinissa, si era progressivamente importo Micipsa, uno dei figli. Morto anche Micipsa nel 118 il regno fu conteso dai tre figli, a cui il re l'aveva lasciato indiviso. Il più spregiudicato dei tre, Giugurta, si sbarazzò di uno dei fratelli, Iempsale, uccidendolo. L'altro,