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Storia romana - Geraci Marcone, Sintesi del corso di Storia Romana

Sintesi del testo di storia romana di Geraci e Marcone

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 05/03/2019

simone.forcucci1
simone.forcucci1 🇮🇹

4.4

(97)

32 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Storia romana - Geraci Marcone e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! P ag .1 Introduzione Datazione e cronologia Il metodo di datazione che fa riferimento alla nascita di Cristo fu introdotto da Dionigi Esiguo detto il Piccolo (monaco vissuto tra il V e il VI sec d.C). il suo metodo di datazione riportava alla nascita di cristo gli eventi avvenuti dopo tale evento e quelli precedenti erano invece computati a partire dalla presunta nascita del mondo. A Roma, a partire dall’età repubblicana, ciascun anno fu indicato mediante i “magistrati eponimi” (che danno il nome). L’uso di esprimere l’anno utilizzando come punto di riferimento la nascita di Roma (ab urbe condita) prese piede negli ambienti dotti solo tra la fine dell’età repubblicana e quella imperiale. La datazione della fondazione della città venne fissata in epoca cesariana da Marco Terenzio Varrone. Tale data fu ricavata partendo dai sincronismi che fissavano al 509 a.C il primo anno di Repubblica e attribuendo al periodo regio 35 anni di regno per ognuno dei 7 re della tradizione. Il calendario romano repubblicano, rimasto in vigore fino alla riforma di Cesare, era composto di 355, raggruppati in 12 mesi e cominciava il primo di marzo. Un’importanza notevole ebbero i giorni di mercato (nundinae), essi avevano luogo ogni 8 giorni e scandivano la vita pubblica romana, ad esempio dovevano passare tre nundinae tra una proposta di legge e la sua approvazione… Onomastica romana Il nome completo di un cittadino romano di condizione libera era composto da 3 elementi: 1. Praenomen: originario nome personale 2. Nomen: designava il gruppo familiare (gens) di appartenenza e veniva trasmesso di padre in figlio 3. Cognomen: derivato di un soprannome individuale, tratto da caratteristiche fisiche o cariche di esponenti della famiglia. Con il tempo divenne ereditario tra gli aristocratici per distinguere le varie famiglie In caso di adozione l’adottato assumeva i tria nomina del padre adottivo a cui si faceva seguire il cognomen della sua famiglia d’origine. Il mondo di Roma È stato definito “uno, duplice e molteplice”. “Uno” perché ci furono elementi unificanti, quali l’amministrazione, la cittadinanza e il diritto. “Duplice” perché il greco rimase il modo di espressione principale di tutta l’aria orientale del bacino del Mediterraneo. “Molteplice” perché in questo mondo Roma compose in un’unità, ma lasciò convivere cittadinanze, particolarità e usanze L’Italia preromana Età del bronzo e del ferro L’Italia nell’età del bronzo si contraddistingue per la sua uniformità. I siti risultano dislocati un po ‘ ovunque nella penisola ma in numero prevalente lungo la dorsale appenninica. Un fenomeno che si realizza in quest’età è l’aumento demografico, il numero di insediamenti si riduce ma gli insediamenti che sopravvivono incrementano il numero degli abitanti. Nel corso dell’età del bronzo recente (1350-1200 a.C.) è documentata un’intensa circolazione di prodotti provenienti dall’area micenea. Tali contatti favorirono il formarsi di aggregazioni più consistenti con differenziazioni al loro interno. Con l’inizio dell’età del ferro l’Italia presenta un quadro differenziato di culture locali. Un primo criterio di differenziazione riguarda la modalità di sepoltura. In questo periodo abbiamo due gruppi che praticano riti diversi: uno ricorre alla cremazione (costa tirrenica sino alla Campania) mentre l’altro utilizza l’inumazione. Le diversità delle culture all’inizio del primo millennio a.C ha riscontro in un quadro linguistico assai variegato. Queste lingue si possono ricondurre a due grandi famiglie: 1. Indoeuropee – per il quale si presuppone un ceppo comune di origine (latino, celtico e falisco) 2. Non Indoeuropee – (l’etrusco) P ag .2 Si distinguono inoltre tre sottogruppi contraddistinti da varianti dialettali: uno nel centro-nord, uno nel centro- sud e un terzo riferibile ai siculi. Le colonie della Magna Grecia fondate in Italia meridionale a partire dalla metà dell’ VIII sec a.C esercitarono un’influenza notevole sulle popolazioni indigene. I primi frequentatori dell’Italia meridionale Le fonti letterarie storiografiche ci forniscono alcune notizie sulle origini dei popoli italici. Queste, che contengono elementi leggendari, si devono a storici greci che iniziarono a scrivere dell’Italia meridionale nel V sec a.C . Dionigi di Alicarnasso scrive a Roma all’epoca dell’ imperatore Augusto ( fine I sec a.C) e presenta sinteticamente i più antichi frequentatori dell’Italia meridionale, anche se il racconto è strutturato secondo g li schemi tipici dell’etnografia antica: un momento di svolta importante nello sviluppo di una regione è attribuito all’opera di un unico personaggio dai tratti mitici Le ricerche archeologiche condotte nel tratto di costa calabrese mostrano come il periodo indicato da Dionigi fosse effettivamente un momento di svolta demografica. Nel passaggio tra il bronzo antico aree che appaiono deserte nel bronzo medio presentano una fitta rete di insediamenti, risulta improbabile l’arrivo di una popolazione dall’Arcadia come suggerisce lo storico. I dati archeologici lasciano presupporre una cultura del meridione dai tratti decisamente indigeni. Ma è presente un fondo di verità poiché è in questo periodo che inizia la frequentazione commerciale delle coste meridionale da parte di genti di provenienza orientale. I rapporti tra le popolazioni indigene dell’Italia meridionale e i Micenei non erano semplicemente commerciali ma erano anche più complessi, Dopo un’interruzione di quasi 4 secoli, legata alla crisi del mondo miceneo, in cui gli scambi si erano ridotti alla sola importazione di ferro e ceramiche le importazioni riprendono sulle coste calabresi circa nell’ VIII sec a.C. Questa ripresa preannuncia una svolta nell’interesse dei Greci per l’Italia meridionale che si tradurrà poi in una grande impresa di colonizzazione. Nel frattempo, la società indigena si è trasformata: gli insediamenti hanno conosciuto un processo di selezione che ha dato origine a comunità più popolose. Le trasformazioni dell’Italia centrale Tra l’VIII e il V sec a.C si assiste ad un fenomeno espansivo delle popolazioni dell’Appennino centro-meridionale. È un fenomeno che conosciamo meglio per quanto riguarda il versante Tirrenico. I Sabini si intromettono nella Roma dei Latini, Equi e Volsci che occupano il Lazio… Questo movimento ha il suo apice tra V e IV sec a.C con l’espansionismo dei Sanniti. Le prime testimonianze scritte lasciano intravedere un’organizzazione sociale articolata secondo gruppi etnici con alla testa principi e re. Gli Etruschi Origine ed Espansione Noti ai greci come Tirreni gli Etruschi sono la più impostante popolazione dell’Italia preromana. Sembra che chiamassero sé stessi “Rasenna”. Per Erodoto (V sec a.C) si trattò di un gruppo di Lidi provenienti dall’ Asia Minore. Per Dionigi di Alicarnasso (I sec a.C) sono genti indigene della penisola italica, mentre altri li pensavano provenienti dal lontano Nord. La ricerca archeologica spiega l’origine etnica degli Etruschi, che si colloca tra l’VIII e il VII sec a.C, come il punto d’incontro di due tipi di processi: 1. Evoluzione di una struttura interna 2. Si riconosce l’importanza che su queste popolazioni esercitano le influenze esterne, come i rapporti con le colonie greche L’origine della civiltà etrusca sembra riconducibile a uno sviluppo autonomo realizzatosi nella regione compresa tra L’Arno e il Tevere. Anche se nella fase della loro massima espansione (VII-VI sec a.C) gli Etruschi controllavano gran parte dell’Italia centro-occidentale non diedero mai vita ad uno stato unitario. Si organizzarono sin dalle origini in città indipendenti governate da sovrani, “lucumoni”, che furono sostituiti da magistrati eletti annualmente, “zilath”. P ag .5 La storiografia moderna La ricostruzione storica basata sulla tradizione ha posto alla storiografia moderna problemi interpretativi. Gli storiografi moderni hanno il compito di sottoporre ad un esame critico, confrontandoli tra loro, i dati della tradizione. I risultati della ricerca archeologica hanno fornito elementi preziosi. Secondo quanto risulta nel racconto tradizionale devono essersi fuse due diverse versioni sulle origini di Roma: 1. Una graca (Enea) 2. Una indigena (Romolo- mitico re fondatore autoctono) Il racconto recepisce però elementi storici: la compresenza di popolazioni diverse (ex: il ratto delle sabine) e la fase di predominio etrusco nel periodo finale della monarchia. La fondazione di Roma È difficile immaginare che Roma sia sorta dall’oggi al domani, la nascita della città dovette essere piuttosto il risultato di un processo lento alla quale si presuppone una sorta di federazione tra le comunità separate che già si erano insediate sui colli. Alcuni villaggi situati sul colle Palatino possono essere considerati come nucleo originario di Roma. Sembra improbabile anche che la città abbia preso il nome del fondatore Romolo, ma sembra più probabile il contrario: che una città chiamata Roma faceva pensare che fosse stata fondata dall’ eroe eponimo Romolo. Non sappiamo stabilire con certezza l’origine del nome Roma. Il pomerio e i riti di fondazione Marco Terenzio Varrone ci descrive come nella fondazione di una città un ruolo fondamentale era svolto dal pomerio (linea sacra che delimitava il perimetro della città). In un secondo momento il nome designava la zona che separava le case dalle mura. Il pomerio non coincideva spesso con le mura, poiché il primo era tracciato secondo un’usanza religiosa, il secondo viene invece edificato rispondendo alle esigenze di difesa. L’area del pomerio era limitata da cippi infissi nel terreno e la cerimonia era presieduta dal pontefice massimo. Un’antica disposizione prevede che l’area del pomerio potesse essere estesa solo se si fosse aumentata anche la superficie dello stato. Il pomerio fu accresciuto fino a Silla (I sec a.C). Lo stato romano arcaico Alla base dell’organizzazione sociale dei latini ci fu una struttura suddivisa in famiglie, alla cui testa vi era il pater, figura depositaria di potere assoluto su tutti i suoi componenti. Tutte le famiglie che riconoscevano un antenato in comune costituivano la gens, gruppo organizzato religiosamente e politicamente. La popolazione dello Stato romano arcaico era divisa in gruppi religiosi e militari chiamati curie che comprendevano tutti gli abitanti. Rappresentarono il fondamento della più antica assemblea cittadina: i comizi curiati. (non conosciamo la loro funzione in età arcaica) A essi spettava il compito di conferire il potere al magistrato eletto (votando la lex emperio) Un'altra importante suddivisione era quella fatta per tribù, la cui creazione fu attribuita a Romolo. Originariamente erano tre: Tities, Ramnes, Luceres. In tarda età regia, che coincide grossomodo con il predominio etrusco, lo Stato romano si organizzò secondo criteri più precisi: ogni tribù venne divisa in 10 curie, da ogni tribù venivano scelti 100 senatori (10 per ogni curia, 300), fornivano inoltre un contingente di cavalleria e uno di fanteria (100 e 1000 per tribù). T13 p 36 plutarco, Romulus, 20.2-3 La monarchia romana La monarchia romana era elettiva: l’elezione del re era demandata all’assemblea dei rappresentanti delle famiglie. Originariamente il re era affiancato da un consiglio di anziani composto dai patres (capi delle famiglie più nobili, il nucleo di quello che sarebbe stato il senato). Della fase monarchica a Roma rimangono due testimonianze fondamentali: • Rex sacrorum sacerdote che aveva il compito di eseguire i riti precedentemente eseguiti dal re • Interrex è il magistrato che subentra in caso di indisponibilità dei consoli P ag .6 Il potere del re doveva essere limitato da quello detenuto dai capi delle gentes principali. Il re era anche supremo capo religioso e nella celebrazione veniva affiancato da un collegio di sacerdoti. Importante è il collegio dei pontefici, depositari e interpreti delle norme giuridiche prima che esse vennero trascritte. Gli auguri avevano il compito di interpretare le volontà divine. Le vestali erano votate alla castità trentennale e avevano il compito di mantenere accesa la fiamma nel tempio di Vesta. Patrizi e plebei Non si conosce l’origine della suddivisione sociale alla base di Roma per tutta la storia della repubblica. Per la tradizione i patrizzi erano semplicemente i discendenti dei primi senatori (patres). I patrizi sarebbero stati grandi proprietari terrieri mentre i plebei corrispondevano ai ceti emergenti economicamente, ma tenuti in una condizione di inferiorità rispetto alla rappresentanza politica. È probabile che la differenziazione tra patrizi e plebei sia la fine di un lungo processo evolutivo sociale. L’influenza etrusca Roma si trovò sotto il controllo etrusco nel corso del VI sec a.C, in questo periodo conobbe uno sviluppo notevole. Il predominio etrusco ha lasciato impronte della tradizione letteraria. Secondo la tradizione Tarquinio Prisco è il figlio di un uomo di Corinto e di una donna appartenente dell’aristocrazia locale. L’origine straniera impedisce al figlio di accedere al governo della città. Tarquinio decide di trasferirsi a Roma e, divenendo amico del re, successe a Anco Marcio alla sua morte. Servio Tullio e Tarquinio il superbo La figura di Servio Tullio, identificato talvolta con il nome Mastarna, è avvolta da elementi eroici. Servio era molto caro alla moglie di Tarquinio, di cui sposò una delle figlie. Alla morte di Tarquinio (per mano dei figli di Anco Marcio) ella gli permise di assumere i poteri regi nascondendo la morte del marito e, dichiarando che Tarquinio le avesse detto di volere Servio come reggente. Dopo aver dichiarato la morte di Tarquinio Servio assunse i poteri regi in maniera non pienamente legittima (mancava l’approvazione dell’interrex) Tarquinio il Superbo viene dipinto come il promotore di potere pubbliche e di una politica espansionistica che venne poi cacciato da una congiura capeggiata da Publio Valerio detto Publicola. La storicità del personaggio di Publio Valerio ha avuto riscontro nel tempio di una divinità laziale dove un’incisione ci fa dedurre che Publio Valerio fosse il capo di una banda di armati. T17 p 38 Livio, Ab urbe condita, I 42.4-43.9 Rafforzamento della monarchia Durante il predominio etrusco si rafforzò l’istituzione monarchica: il questo periodo dovette essere costruito l’edificio sede ufficiale del re (regia) Viene definita anche l’area riservata all’attività politica del popolo e del senato. La tradizione attribuisce a Tarquinio Prisco l’aumento del numero dei senatori e a Servio Tullio l’introduzione dell’ordinamento centuriato, che organizzava la popolazione in classi articolate in unità chiamate centurie secondo un criterio basato sulla capacità economica del cittadino. L’ordinamento, nella forma in cui lo conosciamo, non risale ad un’età così remota ma è probabile che a già in questo periodo il criterio di divisione delle classi (prima dovuti alla anascita) inizi a mutare. Il censo fu il criterio con cui si arruolavano i componenti del nuovo esercito formato da • Classis – cittadini in grado di procurarsi un’armatura pesante • Infra classem – cittadini dotati di un’armatura leggera. A Servio è attribuita anche l’stituzione di 4 tribù territoriali che corrispondono alle regioni nella quale egli suddivise la città. Tradizione orale e storiografica Le tradizioni orali variano a seconda dell’ambiente sociale che le conserva, elabora e trasmette. A Roma la letteratura, la storeografia e il dramma nacquero nella seconda metà del III sec a.C. A partire da allora ci sono testi scritti. P ag .7 Il fondatore della moderna storeografia su Roma arcaica elaborò, all’inizio del XIX sec, una teoria secondo la quale le leggende su Roma arcaica erano state create nei canti recitati ai banchetti (carmina convivalia). Questi carmina erano noti a Catone, è possibile ipotizzare un corpus scritto di questi che sarebbe poi andato perduto. La famiglia La nozione di Famiglia (familia) romana comprendeva un raggruppamento più grande di come lo intendiamo noi oggi. Facevano parte della medesima familia tutti coloro che ricadevano sotto l’autorità di un capofamiglia, al quale spettava il controllo sui beni. È un’unità economica, politica e religiosa. Di una stessa famiglia facevano parte i figli legittimi, ma anche tutti coloro che sceglievano di sottoporsi alla potestas del capofamiglia. La donna La donna aristocratica riceveva un’educazione intellettuale, il suo ruolo non si esauriva nella vita domestica (sorveglianza degli schiavi…), la moglie accompagnava il marito nella vita pubblica e insieme a lui educava i figli. Il potere del marito sulla moglie (il manus) non conosce limiti. La legge proibiva che una ragazza si sposasse prima di aver raggiunto i dodici anni, ma venivano promesse ancora bambine. Il matrimonio era un’istituzione privata ma aveva importanti conseguenze giuridiche. La nascita della repubblica la tradizione storiografica sulla nascita della repubblica la storeografia antica, rappresentata da Tito Livio e da Dionigi da Alicarnasso, ci presenta un quadro chiaro: Sesto Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo, violenta una giovane aristocratica (Lucrezia). Ella prima di suicidarsi narra il fatto al padre e a due amici: Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio Publicola. Questi nel 510 scatenano una rivolta, Tarquinio il Superbo, allora impegnato in una missione ad Ardea, non è in grado di rispondere. Nel 509 i poteri del re passano a due magistrati eletti dal popolo, i consoli, uno dei quali è lo stesso Bruto. Fallimentare fu il tentativo di un re etrusco, Porsenna, di restaurare il potere di Tarquinio. I rinvenimenti archeologici forniscono pochi elementi di riscontro, la critica si è dovuta concentrare ai dati della tradizione cercando di separare i dati storici da quelli fittizi. T25 p 41 Polibio, Historiae II 22.1-5 I fasti I Fasti sono liste di magistrati eponimi della Repubblica. Ci sono giunti tramite la tradizione letteraria (Livio antepone alla narrazione un dato anno con il nome dei corrispondenti magistrati) e attraverso documenti epigrafici. Sui dati contenuti nei fasti capitolini si basa una cronologia elaborata da Marco Terenzio Varrone, la cronologia varroniana non è esatta (lo dimostra il sincronismo istituito da Polibio tra la presa di Roma da parte dei Galli e la conclusione della pace di Antalcida in Grecia. Tale sincronismo porta a datare il sacco gallico non al 390 ma al 386 a.C). L’attendibilità di queste liste è stata messa in dubbio dalle incongruenze tra le diverse versioni, l’inserimento di alcuni anni di anarchia e soprattutto la comparsa di consoli con nomi di gentes plebee nella prima metà del V sec (dalle fonti letterarie sappiamo che questa carica è riservata ai patrizi fino al 367 a.C). Nessuno di questi elementi consente di rigettare totalmente la credibilità di questi documenti. La fine della monarchia e la creazione della Repubblica: evento traumatico o passaggio graduale? La storia della violenza subita da Lucrezia contiene diversi elementi che ricordano la caduta di diverse tirannidi greche, ma non spiega i motivi profondi dalla caduta del regime monarchico. Il ruolo di spicco che un ristretto gruppo di aristocratici ebbe nella cacciata dei Tarquini e il dominio che il patriziato sembra aver esercitato sulla prima Repubblica inducono a pensare che la fine della monarchia sia da attribuire ad una rivolta del patriziato. L’odio feroce che l’aristocrazia romana dimostra nel corso dell’età repubblicana contro l’istituto monarchico sembra indicare che il mutamento di regime sia stato il risultato di un evento traumatico. P ag .1 0 • I duoviri sacris faciundis erano incaricati di custodire i Libri Sibillini, un’antichissima raccolta di oracoli in greco, Nel caso si verificassero prodigi nefasti il senato poteva chiedere al collegio di consultare i ilibri per trovare rimedio. Non di rado la soluzione adottata consisteva dell’introdurre a Roma un culto straniero. La denominazione cambiò con il tempo con il crescere del numero dei collegiali che divennero 10 nel 367 a.C e 15 alla fine dell’età repubblicana. Accanto ai tre collegi maggiori si ricordano gli Aruspici, incaricati di chiarire la volontà divina mediante l’esaminazione delle viscere delle vittime sacrificali (usanza di origine etrusca). Una rilevante funzione politica avevano i fetiales. La loro funzione era quella di dichiarare guerra attenendosi ad un complesso cerimoniale assicurando così a Roma il favore degli dei nel conflitto, avevano un ruolo importante anche nel trasmettere una richiesta di riparazione o un ultimatum nella conclusione di un trattato. Il senato il vecchio consiglio regio formato dai capi delle famiglie nobili divenne il perno della nuova Repubblica a guida patrizia successiva alla caduta della monarchia. Nel corso dell’età repubblicana la composizione del consiglio era decisa dai consoli prima, poi dai censori che ne completavano i ranghi scegliendo ex magistrati. Il principale strumento del senato per influire sulla vita politica della Repubblica era l’auctoritas patrum, che è il diritto di sanzione che i senatori avrebbero posseduto già in età regia ma che vediamo applicarsi agli atti legislativi a partire dalla metà del V sec a.C. La carica di senatore era vitalizia. La cittadinanza e le assemblee popolari Il terzo pilastro sul quale si resse l’apparato istituzionale della Roma repubblicana è costituito dalle assemblee popolari. Non tutta la popolazione dello stato romano poteva far parte di questi organismi ma solo i maschi adulti di condizione libera e in possesso del diritto di cittadinanza. Si diveniva cittadini romani per diritto di nascita, in quanto figli legittimi di padre in possesso della piena cittadinanza. Sulla questione dei diritti civici Roma manifestò una notevole apertura. L’accoglienza nel corpo civico di elementi provenienti da altre comunità dell’Italia centrale non era un evento eccezionale. Già nei prim i anni della Repubblica gli schiavi liberati, i liberti, avrebbero ricevuto a pienezza dei diritti civici mentre ad Atene gli ex schiavi erano assimilati alla condizione di stranieri residenti. La più antica assemblea di Roma, i comitia curiata, durante l’età repubblicana persero progressivamente significato parallelamente con l’accrescersi delle competenze delle altre assemblee. La loro funzione più importante era quella di conferire ufficialmente i poteri ai nuovi magistrati ma si ridusse ad un evento formale. Nella prima età repubblicana l’assemblea più importante a Roma è costituita dai Comizi Curiati, fondati su una ripartizione della cittadinanza in classi di censo, suddivise a loro volta in centurie. Il meccanismo dei comizi centuriati prevede che le risoluzioni siano presi a maggioranza delle unità di voto costituite dalle centurie. Esse non avevano tutte un eguale numero di componenti. Si può osservare che le 18 centurie dei cavalieri e le 80 della I classe, se avessero votato compatte, avrebbero potuto raggiungere da sole la maggioranza su un totale di 193 o 194 centurie. (inserire schema p 54) Spettava ai comitia centuriata l’elezione dei consoli e degli altri magistrati superiori, Abbiamo inoltre testimonianza di un’attività legislativa limitata a materie di diritto internazionale quali la dichiarazione di guerra e forse la conclusione di trattati. Ultimi per data di creazione tra le assemblee sono i comitia tributa. In questa assemblea il popolo votava per tribù territoriali istituite da Servio Tullio. Anche nei comitia tributa venne creandosi una forma di disuguaglianza: il numero di tribù urbane rimase sempre 4 mentre il numero di tribù rustiche si accrebbe dalle 16 di età regia fino a raggiungere il numero di 31 nel 241 a.C. Anche l’assemblea tributa aveva funzione elettorale, scegliendo i magistrati minori, e legislativa. P ag .1 1 I poteri delle assemblee popolari soggiacevano a diverse limitazioni. Non potevano autoconvocarsi e assumere alcuna iniziativa autonoma, spettava ai magistrati che le presiedevano indire l’adunanza, decidere l’ordine del giorno e sottoporre al voto le proposte di legge che l’assemblea poteva accettare o respingere, ma non modificare. Ogni decisione dei comizi, prima di divenire vincolante, doveva ricevere la sanzione del senato. La compara di un presagio infausto consentiva ai consoli, su avviso degli auguri, di interrompere le assemblee. ( introdurre schema p 56) Il conflitto tra patrizi e plebei Nelle fonti a nostra disposizione il periodo che va dalla nascita della Repubblica al 287 a.C. è dominato dai contrasti civili che opposero il patriziato e la plebe. È necessario tenere presente che vicende interne e esterne furono strettamente interconnesse ed ebbero reciproca influenza tra loro. Il problema economico La caduta dei Tarquini e i mutamenti nel quadro internazionale della prima metà del V sec a.C ebbero pesanti ripercussioni nella situazione economica di Roma. La sconfitta subita dagli Etruschi nella battaglia navale combattuta davanti a Cuma (474 a.C) portò al definitivo crollo del dominio etrusco in Campania, causando un grave danno alla stessa Roma che era prosperata grazie alla sua funzione di punto di passaggio sul Tevere.Al mutato quadro esterno fanno riscontro crescenti difficoltà interne, in particolare le annate di cattivo raccolto che si successero nel corso del V sec a.C. La crisi economica è dimostrata da prove archeologiche: il numero delle ceramiche di importazione sembra crollare nel corso della metà del V sec. A.C. Il problema economico è evidente nella tradizione letteraria, nella quale la crisi ha un ruolo centrale nella lotta tra patrizi e plebei. Gli effetti dei cattivi raccolti e delle malattie colpivano in particolare i piccoli agricoltori, i quali per fronteggiare la crisi si trovavano costretti a indebitarsi nei confronti dei più ricchi. Accadeva frequentemente che il debitore, incapace di risarcire il proprio debito, fosse costretto al servizio del creditore per ripagarlo. L’istituto del nexum riduceva coloro che erano vincolati ad una condizione non dissimile a quella di uno schiavo. Davanti alla crisi economica le richieste della plebe riguardavano una mitigazione delle norme sui debiti e una più equa distribuzione dell’ ager publicus (terreno di proprietà dello Stato) Il problema politico I membri più ricch della plebe erano meno interessati dalla crisi economica, ciò che essi rivendicavano era una parificazione dei diritti politici tra i due ordini. Una seconda rivendicazione era quella di un codice scritto di leggi, che ponesse i cittadini al riparo delle arbitrarie applicazioni delle norme in mano ai patrizi riuniti nel collegio dei pontefici. le strutture militari e la coscienza della plebe i problemi politici ed economici non furono gli unici elementi che portarono al confronto tra i due ordini: vi è anche una progressiva presa di coscienza della propria importanza da parte dei plebei. L’esercizio dei diritti civici a Roma andava di pari passo con la capacità del cittadino di difendere lo Stato. Questa circostanza è dimostrata nell’ordinamento centuriato: le centurie non furono solamente unità di voto all’interno dell’assemblea ma rimasero, per tutta la prima età repubblicana, unità di reclutamento dell’esercito; se le 18 centurie degli equites e le 80 centurie della I classe potevvano costituire maggioranza politica, le stesse 98 centurie pagavano il tributo di sangue maggiore, mentre i capite censi, privi di ruolo nell’assemblea centuriata, furono esentati dal servizio militare. Proprio nel V sec a.C. si afferma definitivamente il nuovo modello tattico oplitico-falagitico (ereditato dal mondo greco attraverso la mediazione etrusca) L’ordinamento falangitico eclissa progressivamente il modello di combattimento aristocratico fondato su una cavalleria di nobili seguiti dai ceti meno abbienti con armamento leggero, il nerbo dell’esercito romano sarà costituito dalla fanteria pesante reclutata tra le P ag .1 2 classi di censo in grado di permettersi l’armamento oplitico. La legione era quindi reclutata su base censitaria, indifferentemente che essi sia aristocratici o plebei. Nelle guerre quasi sempre vittoriose del V sec a.C si definisce la convinzione che gli uomini decisivi sul campo di battaglia non potessero essere ridotti a un ruolo secondario nella vita politica, economica e sociale dello Stato. La prima secessione e il tribunato della plebe Il conflitto tra i due ordini si apre nel 494 a.C. La plebe ricorse ad una sorta di sciopero che lascia la città priva di forza lavoro e indifesa contro le aggressioni esterne. Questa forma di protesta, in cui la plebe si ritirò sul colle Aventino, prese il nome di secessione. In occasione della prima secessione la plebe si diede propri organismi un’assemblea generale, che inizialmente votava per centurie, poi nel 471 a.C votò per tribù. Nota come concilia plebis tributa. Il meccanismo di voto assicurava dei concilia plebis la prevalenza dei proprietari terrieri iscritti nelle più numerose tribù rustiche. L’assemblea poteva emanare dei provvedimenti, i plebiscita, che non avevano valore vincolante per lo Stato ma solamente per la plebe. L’atto finale del cammino verso la completa assimilazione dei plebisciti fu rappresentato ladda legge Ortensia del 287 a.C. Vennero poi scelti dei rappresentanti ed esecutori della volontà della plebe : i tribuni della plebe. Ai propri tribuni la plebe decise di riconoscere diversi poteri : • Il diritto di venire in soccorso di un cittadino contro l’azione di un magistrato (ius auxilii) • Il potere di porre il veto a un qualsiasi provvedimento di un magistrato (ius intercessionis) Per dare forza concreta ai diritti dei tribuni della plebe e per proteggerli, la plebe accordò l’oro l’inviolabilità (sacrosanctitas). Chi avrebbe commesso violenza contro un tribuno della plebe sarebbe diventato sacer (consacrato alla divinità; sacrificio umano) e le sue proprietà sarebbero state confiscate e donate al tempio di Cerere sull’Avertino. I tribuni ebbero infine il potere di convocare e presiedere l’assemblea della plebe e di sottoporre ad essa le proprie proposte. Vennero creati anche altri due rappresentanti, gli edili plebei, che nella tarda età repubblicana si occupavano dell’organizzazione di giochi, di sorvegliare i mercati, del controllo sulle strade e sugli edifici pubblici. Le loro funzioni originarie rimangono sconosciute. È possibile che abbiano agito come assistenti dei tribuni della plebe. La prima secessione approdò quindi ad un risultato politico: il riconoscimento della plebe e della sua organizzazione interna da parte dello Stato. Il problema dei debiti rimase insoluto. Della crisi economica cercò di intervenire in favore dei debitori il console del 486 a.C Spurio Cassio, che propose una legge per la ridistribuzione delle terre che sembra anticipare la proposta dei Gracchi. Cassio venne accusato di aspirare alla tirannide e venne esiliato. Il decemvirato e le leggi delle XII tavole La plebe chiedeva con forza la redazione di un codice di leggi scritto. Dopo alcuni anni di agitazioni nel 451 a.C venne nominata una commissione composta da 10 uomini (nota con il nome di decemvirato) patrizi incaricati di stendere un codice giuridico. Il nuovo collegio avrebbe poi assunto il controllo completo dello Stato: le magistrature repubblicane vennero sospese, in particolare il consolato e il tribunato per la plebe per impedire che con i loro veti potessero paralizzare l’azione dei decemviri, per il medesimo motivo non sarebbero stati soggetti al diritto di appello. Nel primo anno di attività compilarono un complesso di norme che vennero poi pubblicate su 10 tavole esposte nel Foro. Rimanevano da trattare alcuni punti, venne così eletta l’anno successivo una seconda commissione di decemviri nella quale sarebbe stata rappresentata anche la plebe. Nel corso di questo anno compilarono altre due tavole di leggi. Tra le disposizioni prese nel 450 a.C vi era anche quella che impediva i matrimoni misti tra patrizi e plebei. La commissione, sotto la spinta di Appio Claudio, cercò di prorogare i propri poteri assoluti. Il tentativo si scontrò con l’opposizione della plebe guidati da Marco Orazio e Lucio Valerio. Come per la caduta della monarchia, è la violenza su una giovane a far precipitare la situazione: le insidie portate da Appio Claudio alla figlia di un centurione provocano una seconda secessione, a seguito della quale i decemviri sono costretti a deporre il potere. Nel 449. a.C viene ripristinato il consolato e i magistrati P ag .1 5 Da quell’anno i comizi tributi e l’assemblea della plebe erano accomunati dal medesimo sistema di voto e da eguali poteri. I comitia tributa e i concilia plebis rimasero ben distinti per due motivi : • Ai comizi tributi prendevano parte anche i patrizi, esclusi dai concili della plebe • I consoli o i pretori avevano il diritto di convocare i comizi tributi, mentre il concilio della plebe era convocato da i tribuni o dagli edili della plebe. La nobilitas parizio-plebea Dopo le grandi conquiste della plebe si chiuse l’età del dominio dei patrizi sul lo Stato. Si venne progressivamente formando una nuova aristocrazia composta da plebei ricchi e stirpi patrizie. A questa nuova èlite si è soliti dare il nome di nobilitas, che designa tutti coloro che avevano raggiunto il consolato o che discendevano da un console o da un pretore. Si è conservato una sorta di “manifesto” degli ideali della nobilitas nell’ elogio funebre di Lucio Cecilio Martello , buon soldato e ottimo generale che aveva raggiunto le più alte cariche dello Stato, era un’eccellente oratore, aveva acquisito la propria ricchezza in modo nobile e aveva numerosi figli. La nuova nobiltà si dimostro non dissimile dal vecchio patriziato: l’accesso alle magistrature era riservato ai membri di poche famiglie. Divenne talmente esclusiva che per i pochi personaggi che raggiunsero i vertici venne coniata la definizione di homines novi. Prima di intraprendere la carriera politica bisognava servire per almeno 10 anni nella cavalleria. Inizialmente il censo minimo per accedervi era pari a quello richiesto alla I centuria, in seguito venne elevato. Ma il solo denaro non era sufficiente: le assemblee elettorali erano costituite da nobili, per vere successo era indispensabile ereditare la rete clientelare paterna o godere della protezione politica di qualche nobile influente. La conquista dell’Italia La situazione del Lazio alla caduta della monarchia a Roma Alla caduta della monarchia etrusca a Roma, che secondo la tradizione controllava un territorio che si estendeva dal Tevere alla regione Pontina, crollava anche la politica matrimoniale condotta dai re etruschi. Il dato è confermato dal primo trattato romano-cartaginese risalente, secondo Polibio, al primo anno di repubblica. In questo trattato i cartaginesi si impegnano a non attaccare le città del Lazio soggette a Roma, mentre se fossero state conquistate città Latine avrebbero dovuto consegnarle all’alleato. Tra la fine del VI e l’inizio del V sec a.C. molte città latine approfittarono delle difficoltà interne di Roma per allontanarsi dalla sua egemonia. Le città latine si riunirono in una lega nella quale condividevano alcuni diritti • Ius connubii: il diritto di contrarre matrimonio legittimi con cittadini di altre comunità latine • Ius commercii: il diritto di siglare contratti fra cittadini di comunità diverse • Ius migrationis: il diritto di assumere pieni diritti civici in una città diversa da quella di nascita prendendovi residenza La battaglia del lago Regillo e il foedus Cassianum Qualche anno dopo la battaglia di Aricia la leda tentò di affermarsi attaccando Roma: secondo la tradizione la guerra sarebbe stata suscitata da Ottavio Mamilio di Tusculo con la speranza di restaurare il potere di Tarquinio il superbo. In una leggendaria battaglia combattuta nel 496 a.C. su lago Regillo la lega venne sconfitta. Questa sconfitta portò alla conclusione di un trattato che avrebbe regolato i rapport tra Roma e i Latini per 150 anni. Siglato nel 493 a.C. da Spurio Cassio, prevedeva che le due parti si impegnassero a mantenere tra di loro la pace e a prestarsi aiuto nel caso una delle due fosse stata attaccata, l’eventuale bottino sarebbe stato poi diviso. Gli alleati si riconoscono reciprocamente i diritti che abbiamo visto nella lega latina. Tra gli elementi più efficaci grazie ai quali riuscirono a consolidare le proprie vittorie è da ricordare la fondazione di nuove colonie. I cittadini che le occupavano provenivano sia da Roma, ma anche dalle città latine e venivano inglobati gli abitanti originari. Nel 486 a.C. Roma completò il suo sistema di alleanze stringendo un accordo con gli Ernici con i medesimi termini dell’accordo Cassiano. P ag .1 6 I conflitti con Sabini, Equi e Volsci. L’alleanza stretta da Roma con la Lega latina e gli Ernici si rivelò preziosa per fronteggiare le popolazioni che dagli Appennini premevano verso il Lazio: i Sabini, gli Equi e i Volsci. Questo movimento faceva parte di un moto più generale che coinvolse quasi tutta l’Italia centro-meridionale. Le sedi originarie di questi popoli non erano in grado di assicurare la sopravvivenza di una popolazione in crescita e l’unica soluzione risiedeva nella migrazione verso terre più fertili. Secondo la nostra documentazione questo movimento prese il nome di “primavera sacra”, secondo questa tradizione i popoli avrebbero dovuto migrare seguendo le indicazioni di un animale sacro: i Piceni raggiunsero le loro sedi sulla costa adriatica mentre i Sanniti occuparono le vecchie città greche ed etrusche nella costa campana. Le fonti riportano per il V sec a.C. una lunga serie di conflitti tra Roma e le popolazioni montanare, soprattutto con Equi e Volsci. Spesso l’esito fu favorevole per Roma. I Volsci durante la fine del IV sec a.C. riuscì ad occupare tutta la parte meridionale del Lazio. Gli Equi invece avanzarono dalla sponda occidentale del Fucino alla regione dei monti Prenestini conquistando Tivoli. Gli alleati romani riuscirono a bloccarli sui colli Albani, teatro di un’importante vittoria contro gli eserciti coalizzati di Equi e Volsci nel 431 a.C. Il conflitto con Veio Roma si trovò sola a fronteggiare la città di Veio, sua rivale nel controllo delle vie di comunicazione lungo il corso del Tevere. Il contrasto tra Roma e Veio attraversò tutto il V sec a.C. e sfociò in tre guerre. Nella prima (483-426 a.C.) i Veienti riuscirono ad occupare un avamposto sulla riva latina del Tevere: Fidene. Il tentativo di reazione di Roma finì tragicamente: un esercito di 300 uomini venne annientato sul fiume Cremera. A seguito della vittoria Veio si vede riconoscere il possesso di Fidene. Nella seconda guerra veiente (437-426 a.C.) il romano Aulo Cornelio Cosso uccise in duello quello che le fonti chiamano il tiranno di Veio, Fidene venne conquistata e distrutta dai Romani. Nella terza guerra veiente (405-296 a.C.) Veio venne assediata per circa 10 anni dai Romani. Alla fine del lungo assedio la città venne presa e distrutta. La presa di Veio segnò una svolta importante per Roma: il lungo assedio aveva tenuto i soldati lontani dalle loro terre, si rese necessaria l’introduzione di una paga, lo stipendium, per far fronte alle spese militari venne indotta una tassa straordinaria chiamata tributum, rapportata in misura proporzionale al censo. La tassazione colpiva più duramente le classi più elevate. A maggiori poteri politici, dato si che costituivano la maggioranza nelle centurie, nell’assemblea centuriata finirono dunque per corrispondere maggiori obblighi militari. L’invasione gallica I risultati raggiunti da Roma furono messi in pericolo dalla calata dei Galli sulla città. Nei decenni precedenti diverse tribù galliche si erano insediate nell’Italia settentrionale. Nel 390 a.C. (cronologia Varroniana) invasero l’Italia centrale e attaccarono Roma, in cerca di nuove sedi secondo le fonti antiche, per una semplice spedizione di razzia secondo gli studiosi moderni. Il primo obiettivo dei Galli fu la città di Chiusi, da qui si diressero su Roma. L’esercito romano si dissolse al primo co tatto avvenuto sull’Allia e si rifugiò tra le rovine di Veio. Roma, rimasta priva di difese, venne presa e saccheggiata. Dopo di che i Galli scomparvero tanto rapidamente quanto erano apparsi, probabilemnte in cerca di nuove imprese. Parte della tradizione storiografica tentò di salvare l’onore immaginando che il Campidoglio avesse resistito agli invasori, poco credibili sono i racconti dell’incendio che i Galli avrebbero appiccato alla città. La ripresa il disastro gallica fu un evento certamente traumatico, ma con conseguene meno gravi di quelle che le fonti antiche ci lasciano intendere. Roma si riprese rapidamente e animò la sua politica estera a partire dal 390 a.C. La conquista e della distribuzione del vasto e fertile territorio di Veio si rivelarono decisivi. Il territorio venne diviso in 4 nuove tribù. Negli stessi anni probabilmente iniziò la costruzione delle mura serviane. La cinta P ag .1 7 muraria, che doveva proteggere la città da nuove incursioni galliche, si rivelò decisiva per scoraggiare ogni velleità da parte di invasori come Pirro o Annibale. L’atteggiamento di Roma è comunque orientato a un’azione offensiva e trova il suo esecutore in Camillo. Già pochi anni dopo il sacco di Roma gli Equi sono annientati. Più linga e difficile è la lotta contro i Volsci che trovarono appoggio negli Ernici e in alcune città latine. Nel 381°.C. la città latina di Tuscolo venne annessa al territorio romano, conservò le sue strutture di governo e la sua autonomia interna, ma ai suo abitanti vennero assegnati i medesimi diritti e doveri dei cittadini romani. Tusculo divenne il primo municipium, termine con il quale saranno designate le comunità indipendenti incorporate nello stato romano Nel 358 a.C: i Volsci furono costretti a cedere la piana Pontina, gli Ernici parte dei loro territori nella valle del fiume Sacco: in entrambi i territori vennero insediati i cittadini romani, iscritti in due nuove tribù. Ne 354 a.C. cessò la resistenza di Tivoli e Preneste. Anche gli Etruschi di Tarquinia e Cere furono costretti a siglare una tregua. Il primo confronto con i Sanniti La posizione di potere raggiunta da Roma trova espressione nel trattato concluso con i Sanniti nel 354 a.C. nel quale si fissa il confine tra le zone di egemonia delle due potenze (il fiume Liri). I Sanniti occupavano un’area che si estendeva lungo la catena appenninica centro-meridionale. Il territorio del Sannio, essendo prevalentemente montuoso, era povero e incapace di sostenere una crescita demografica, l’unico rimedio alle carestie era la migrazione. Dal punto di vista politico il Sannio era organizzato in pagi (cantoni) entro i quali si trovavano uno o più villaggi (vici), governato da un magistrato elettivo (meddiss). Più pagi costituivano una tribù, chiamata touto, alla testa del quale si trovava un meddiss toutiks, le quattro tribù formavano la Lega Sannitica, che possedeva una sorta di assemblea federale e poteva nominare, in caso di guerra, un comandante suprema. Nel corso del V sec a.C. alcune popolazioni, separandosi dai Sanniti, occuparono ricche regioni della Campania. Qui, sotto l’influenza greca ed etrusca, si allontanarono dal punto di vista culturale e politico da loro connazionali. Alcune di queste città erano riunite in una Lega campana che aveva il centro principale nella città di Capua. La tensione sfociò in una guerra nel 343 a.C. quando i Sanniti attaccarono Teano, occupata dai Sidicini. Costoro si rivolsero alla Lega Campana, la quale a sua volta chiese l’aiuto di Roma. La decisione di intervenire sarebbe venuta, secondo Livio, solamente quando i Capuani decisero di consegnarsi totalmente a Roma mediante un atto formale di deditio. La prima guerra sannitica (343-341 a.C.) si risolse rapidamente con un parziale successo dei Romani che già nel primo anno di guerra sconfissero il nemico a Capua. Roma non fu in grado di proseguire l’offensiva, dunque acconsentì alle richieste di pace avanzate dai Sanniti nel 341 a.C. Il trattato rinnovava l’alleanza del 354 a.C. e riconosceva a Roma la Campania e ai Sanniti Teano. La grande guerra Latina L’accordo del 341 a.C. portò ad un ribaltamento delle alleanze, costringendo Roma a fronteggiare i suoi vecchi alleati Latini, Campani e Sidicini, cui si aggiunsero i Volsci. L’insoddisfazione dei Campani e Sidicini per gli esiti della prima guerra sannitica si saldò alla volontà dei Latini di distaccarsi dell’alleanza con Roma e al desiderio dei Volsci di prendersi una rivincita. Il conflitto (341-338 a.C.) noto come grande guerra latina fu durissimo. L’andamento delle operazioni appare incerto ma alla fine i Romani ebbero la meglio. La lega Latina venne disciolta: alcune città che ne facevano parte vennero incorporate nello Stato romano in qualità di municipi, altre conservarono la propria indipendenza formale e i consueti diritti con Roma ma non poterono intrattenere alcuna relazione tra di loro. Alle vecchie città latine si aggiunsero le nuove colonie latine, fondate da Roma e composte di cittadini romani e latini: essi una volta insediati nella nuova comunità perdevano la propria cittadinanza per acquisirne una nuova. P ag .2 0 Anche in Italia la situazione stava precipitando, approfittando dell’assenza di Pirro i Romani avevano riconquistato posizioni. Il re decise dunque di lasciare incompiuta l’impresa siciliana e tornare in Italia, subendo gravi perdite nella traversata. Lo scontro decisivo con le forze romane avvenne nel 275 a.C. nel luogo dove qualche anno dopo verrà fondata la colonia di Benevento, dove le truppe epirote vennero messe in fuga. Pirro per non dare l’impressione di aver abbandonato l’impresa lascio una guarnigione a Taranto. Pirro morì nel 272 a.C. per le vie di Argo. In quello stesso anno Taranto si arrese entrando a far parte dei socii di Roma La conquista del Mediterraneo La prima guerra punica Nel 364 a.C. Roma controllava tutta l’Italia peninsulare fino allo stretto di Messina, in quest’area gli interessi di Roma e Cartagine entrarono in conflitti. Lo scontro venne precipitato dalla questione dei Mamertini, mercenari italici, che dopo essere stati congedati dal re di Siracusa si erano impadroniti di Messina e iniziarono a saccheggiare i territori circostanti questo comportamento provocò la reazione dei Siracusani, guidati da Ierone, che inflissero ai Mamertini una severa sconfitta. I Mamertini accolsero l’offerta di aiuto di una flotta cartaginese che vedeva con preoccupazione la possibilità che i siracusani si impadronissero dello stretto, una guarnigione cartaginese si instaurò a Messina e Ierone fu costretto a tornare a Siracusa. I Mamertini decisero di fare appello poi a Roma, dove iniziò un serrato dibattito. Sostenere i Mamertini poteva apparire incongruente con il comportamento tenuto a Reggio dove i Romani erano intervenuti per cacciare una guarnigione di soldati mercenari. L’intervento a messina avrebbe causato un grave incidente con Cartagine e con Siracusa. Cartagine era al centro di un vasto impero che si estendeva dalle coste dell’Africa settentrionale a quelle della spagna meridionale. Saldamente guidata da un regime oligarchico, Cartagine, poteva godere di grandi eserciti. Non siamo n grado di valutare se l’intervento in Sicilia abbia potuto costituire una violazione degli accordi tra Roma e Cartagine: il dibattito ruota attorno l’esistenza di una clausola che includeva la Sicilia nell’egemonia cartaginese, mentre la penisola italiana nell’influenza Romana. Questa clausola era ricordata da Filino, ma l’unica testimonianza al riguardo è quella di Polibio che ne negava l’esistenza. Nonostante l’opinione di Polibio è possibile che esistesse un accordo che regolamentasse le sfere d’influenza, lo potrebbe far sospettare il fatto che l’apparizione di una flotta punica davanti le acque di Taranto nel 272 a.C. costituì secondo le fonti una violazione dei patti. Se molte ragioni consigliavano di mantenere la pace, non intervenire significava lasciare ai cartaginesi il controllo della zona dello Stretto. Secondo Polibio la motivazione economica avrebbe indotto l’assemblea popolare, cui il senato aveva demandato la questione, a inviare un esercito. Formalmente Roma non aveva dichiarato guerra a Cartagine ma questa decisione aprì la lunghissima prima guerra punica (264-241 a.C.) Durante i primi anni di guerra i Romani riuscirono a respingere da Messina Cartaginesi e Siracusani. Nel 263 il re Ierone comprese che la pace con Cartagine era pericolosa per i Siracusani, decise di concludere una pace e di schierarsi dalla parte di Roma. Il sostegno di Ierone si rivelò indispensabile per il rifornimento degli eserciti romani impegnati in Sicilia. Grazie alla netta superiorità delle sue forze navali Cartagine conservava saldo il controllo sulle località costiere, Roma decise dunque di creare una flotta, contando anche sull’aiuto dei socii navales. Lo sforzo fu premiato nel 260 a.C. da una clamorosa vittoria del console Caio Duilio sulla flotta cartaginese a Milazzo. Roma pensò di poter assestare un colpo mortale a Cartagine attaccandola in Africa. L’invasione iniziò nel 256 a.C. la flotta romana sconfisse quella cartaginese a largo di capo Ecnomo e fece sbarcare l’esercito nella penisola in Africa. Le prime operazioni furono favorevoli al console Marco Attilio Regolo, che non seppe sfruttare i successi: imponendo condizioni durissime fece fallire le trattative di pace che rafforzarono la determinazione dei cartaginesi. Non riuscì nemmeno a sfruttare il malcontento che serpeggiava tra gli alleati cartaginesi. Nel a.C. Regolo venne battuto da un esercito cartaginese. Nel rientrare la folla romana perse la maggior parte delle sue navi in una tempesta. Nel 249 a.C., a seguito della sconfitta nella battaglia navale di Trapani, Roma era priva di forze navali mentre i Cartaginesi, anch’essi esausti non seppero sfruttare la loro superiorità. P ag .2 1 Solo dopo qualche anno Roma fu in grado di costruire una nuova flotta anche grazie ad un prestito di guerra, venne allestita una flotta di 200 quinquiremi e inviata al comando del console Caio Lutazio Catulo a bloccare Trapani e Lilibeo, la flotta cartaginese fu sconfitta alle isole Egadi nel 241 a.C.. a Cartagine si domandò la pace: le clausole prevedevano lo sgombero dell’intera Sicilia e delle isole Lipari e Egadi, oltre al pagamento di un indennizzo di guerra. (mappa p 91) La prima provincia romana Roma era entrata in possesso di un ampio e fertile territorio. Il sistema con quale Roma integrò questi nuovi possedimenti segnò una svolta nella sua storia istituzionale. Nella penisola, città e popolazioni erano state incorporate nello Stato romano oppure legate da trattati, in Sicilia alle comunità un tempo soggette a Cartagine venne il posto il pagamento di un tributo annuale ( un decimo della produzione di cereali ) L’amministrazione della giustizia, il mantenimento dell’ordine interno e la difesa dalle aggressioni esterne dei nuovi possedimenti siciliani vennero affidati a un magistrato romano inviato annualmente nell’isola, inzialmente era probabilmente uno dei quattro questori della flotta, creati per la prima vola nel 267°.C. A partire del 227 a.C. vennero eletti nuovi pretori, uno venne inviato in Sicilia e l’altro in Sardegna Da questo momento il termine provincia, che originariamente indicava la sfera di competenza di un magistrato, viene ad indicare il territorio soggetto all’autorità di un magistrato La prima provincia romana di Sicilia non si estendeva sull’intera isola, alcuni Stati erano formalmente indipendente come il regno di Ierone e Messina. Tra le due guerre Il periodo che va dalla fine della I (241 a.C.) allo scoppio della II guerra punica (218 a.C.) vide un consolidamento delle posizioni delle due grandi avversarie, Roma e Cartagine. Cartagine, spossata dal punto di vista finanziario non era in grado di assicurare il pagamento delle numerose truppe mercenarie. I mercenari si ribellarono, coinvolgendo alcune popolazioni dell’Africa soggette a Cartagine (241-237 a.C.). La rivolta fu soffocata da Amilcare Barca, Quando però i Cartaginesi allestirono una spedizione per recuperare la Sardegna si dovettero scontrare con l’opposizione Romana. Cartagine fu accusata di prepararsi ad aprire le ostilità con Roma, che si disse pronta a dichiarare guerra. I cartaginesi di piegarono, accettando di pagare un indennizzo e cedere la Sardegna, che insieme alla Corsica formò la seconda provincia Romana Pochi anni dopo questa impresa nel Tirreno, Roma intervenne anche nell’Adriatico. Qui, approfittando del declino dell’Epiro, il regno di Illiria aveva esteso la sua influenza. Le scorrerie dei pirati Illiri arrecavano danni alle città greche della costa adriatica. In risposta alle loro richieste, il senato inviò proteste alla regina reggente degli Illiri, davanti al rifiuto della regina di far cessare le azioni ostili dei suoi sudditi decise di dichiarare guerra (229 a.C.). la prima guerra illirica s risolse a favore di Roma, Teuta (regina degli Illiri) fu costretta a cedere la reggenza, agli Illiri fu proibito di navigare con più di due navi, disarmate, a sud della località di Lissus, dovettero quindi rinunciare alle pretese sulle città greche della costa adriatica. Qualche anno dopo Roma intervenne nuovamente in Illiria a seguito degli atti ostili intrapresi da Demetrio di Faro, di cui si temeva anche l’alleanza con il re di Macedonia Filippo V. Anche la seconda guerra Illirica fu un impresa di poco conto, Demetrio fuggì presso Filippo V, Faro entrò nel protettorato romano (219 a.C.) Maggiori sforzi richiese la conquista dell’Italia settentrionale, avviata negli anni tra le due guerre puniche ma portata a conclusione solo nel II sec a.C. l’attenzione di Roma venne richiamata da un’incursione di Galli che si arrestò a Rimini nel 236 a.C. Quattro anni dopo, il tribuno della plebe Caio Flaminio propose di distribuire l’ager Gallicus, il provvedimento consentiva di sorvegliare meglio il corridoio adriatico attraverso il quale i Galli potevano penetrare in Italia centrale. Secondo Polibio la legge Flaminia destò l’allarme di una tribù gallica e fu una delle cause della guerra gallica. Nello scontro le due principali popolazione della Gallia Cisalpina ottennero l’appoggio delle truppe provenienti dalla Transalpina mentre i Galli Cenomani e i Veneti preferirono schierarsi dalla parte di Roma. I Galli riuscirono a penetrare in Etruria ma nel 225 a.C. vennero annientati a Telamone. La breve campagna fu coronata dalla vittoria sugli Insubiri a Casteggio nel 222 a.C. e la conquista di Mediolanum. P ag .2 2 All’indomani della vittoria nella seconda guerra Punica Roma procedette alla definitiva sottomiss ione della pianura padana. Fondamentale per l’organizzazione e il consolidamento della conquista fu la costruzione della rete stradale: nel 220 a.C. la via Flaminia che collega Roma a Rimini nel 187 a.C. la via Emilia da Rimini a Piacenza e nel 148 a.C. la via Postumia da Genova a Aquileia. Cartagine, ripresasi dallo scontro con i mercenari, cercava di costruire una nuova base per la sua potenza in Spagna. La conquista della spagna potrebbe apparire quasi un fatto privato della famiglia Barca, le operazioni furono condotte da Amilcare, poi dal genero Asdrubale e poi dal figlio Annibale. L’avanzata dei Barca destò l’allarme della città greca di Marsiglia e di Roma, di cui era alleata. Nel 226 a.C. un’ambasceria del senato concluse con Asdrubale un trattato secondo il quale gli eserciti cartaginesi non potevano oltrepassare il fiume Ebro, un potenziale elemento di contrasto tra Roma e Cartagine era costituito dal trattato di alleanza che Roma aveva stretto con Sagunto, che si trovava a sud dell’ebro. La seconda guerra punica La sconfitta del 241 a.C. avevano creato a Cartagine un forte sentimento di rivincita contro Roma, La questione di Sagunto venne sfruttata da Annibale per far esplodere il conflitto nel momento che riteneva favorevole. Alle prime minacce d un attacco cartaginese i Saguntini chiesero aiuto ai Romani. Alcune ambascerie di protesta vennero inviate presso Annibale e nella stessa Cartagine, ma Roma si preparò alla guerra solo quando Annibale abeba già espugnato Sagunto (218 a.C.). Roma doveva la vittoria nella prima guerra punica al genio dei suoi generali e all’immenso potenziale assicurato dal suo dominio sull’Italia, era dunque necessario colpire il nemico nella base della sua potenza, cercando di staccare da Roma i suoi alleati. A seguito del trattato di pace i Cartaginesi avevano un’assoluta inferiorità nelle forze navali, l’invasione poteva avvenire solamente via terra. Annibale partì nella primavera del 218 a.C. dalla base di Nova Carthago. Valicati i Pirene Annibale riuscì a evitare lo scontro con l’esercito romano al comando di Publio Cornelio Scipione. L’esercito Cartaginese riuscì ad attraversare le Alpe riscuotendo il sostegno dei Galli. Il primo grande scontro si ebbe sul fiume Trebbia, dove Annibale sconfisse gli eserciti di Scipione e Tiberio Sempronio Longo. Nell’anno seguente il generale cartaginese riuscì a eludere gli eserciti romani che tentavano di impedirgli il passaggio degli Appennini e a sorprendere le truppe del console Caio Flaminio al lago Trasimeno. L’esercito romano venne annientato, lo stesso Flaminio fu tra le vittime. A Roma iniziò a farsi strada che l’idea di sconfiggere Annibale in campo aperto, secondo l’ex console Quinto Fabio Massimo. Secondo la strategia di Fabio Massimo era necessario evitare le battaglie campali e limitarsi a impedire gli aiuti (per questo fu detto Cunctator- il temporeggiatore) La strategia di Fabio Massimo alla lunga avrebbe portato alla vittoria, ma a breve termine significava assistere alla devastazione dell’Italia. Per questo motivo, scaduti i sei mesi di dittatura di Fabio Massimo, a Roma si Decise di passare all’offensiva. Nel 216 a.C. Annibale riuscì ad annientare gli eserciti congiunti dei consoli Caio Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo nella paia di Canne (campo scelto da Annibale). La guerra pareva oramai perduta per Roma. Numerose comunità, tra le quali Capua, defezionarono. Nel 215 a.C. Ierone di Siracusa morì. Il nipote Ieronimo decise di schierarsi dalla parte di Cartagine. I romani vennero a conoscenza di un’alleanza tra Annibale e Filippo V di Macedonia. Gli alleati dell’Italia centrale rimasero fedeli a Roma e il ritorno alla strategia attendista consentì a Roma di riguadagnare le posizioni perdute. Nel 212 a.C. anche Taranto si schierò dalla parte dei Cartaginesi. Nel 211 a.C. Capua venne riconquistata dai Romani. In Sicilia le forze romane, al comando di Marco Claudio Martello, riuscirono a conquistare Siracusa. Nell’Adriatico una flotta di 50 quinquiremi si rivelò sufficiente per impedire un invasione dell’Italia da Filippo V. Roma riuscì a paralizzare l’azione del re macedone creando una coalizione di Stati greci a lui ostili, tra i quali la Lega etolica. Quando apparve chiaro che gli Etoli intendevano rinunciare alla lotta, anche Roma si affrettò a concludere con Filippo un pace che lasciava immutato il quadro territoriale (205 a.C.). P ag .2 5 Nei medesimi anni la straordinaria diffusione del culto di Bacco è segno di una tensione religiosa, culturale e sociale. Nel 186 a.C. il senato diede mandato ai consoli di condurre una severissima inchiesta. I Baccanali, congreghe dei seguaci di Bacco, dovevano essere stroncati, negli anni seguenti sacerdoti e adepti vennero imprigionati e condannati, dall’atteggiamento del governo di Roma si comprende che ciò che aveva obbligato il senato ad adottare misure drastiche era il fatto che i devoti si fossero dati un’organizzazione interna che poteva configurarsi come una sorta di Stato all’interno dello Stato romano, o contro. La terza guerra macedonica la pace di Apamea aveva escluso dallo scacchiere dell’egeo il regno di Siria, ma vi era rimasto il regno di Macedonia, abbastanza potente da coltivare qualche ambizione di riscossa contro Roma. Un’ombra nei rapporti tra le due si era destata all’indomani di Apamea, quando le ambizioni di Filippo V sulle città delle coste della Tracia vennero frustrate da Roma. Nei medesimi anni la posizione di Roma in Grecia si faceva delicata: sempre più spesso giungevano ambascerie in senato per risolvere le controversie che opponevano le une alle altre città. Roma adottò nella soluzione di questi contrasti la linea che privilegiava i gruppi aristocratici pronti ad accogliere ogni desiderio di Roma, alienandosi le simpatie delle masse popolari. Nel 179 a.C. alla morte di Filippo V successe suo figlio Perso. L’elemento democratico nelle città greche cominciò a volgersi verso Perseo. Agli occhi di Roma questo era sufficiente per fare del re una minaccia per il sistema egemonico sul mondo greco, ogni mossa diplomatico e ogni azione militare di Perseo venne interpretata come gesto di sfida. Questi sospetti furono alimentati da Eumene di Pergamo che, nel 172 a.C. si presentò a Roma con un lungo elenco di accuse contro Perseo. I preparativi di guerra iniziarono nel 171 a.C. dopo che le trattative per raggiungere un accordo fallirono. Nei primi anni di guerra i comandanti romani si distinsero per le rapine commesse ai danni nelle città greche. Qualche modesto successo militare di Perseo venne salutato con enorme entusiasmo dai democratici. Il re macedone ottenne un aiuto concreto dalla popolazione epirota dei Molossi e dal re di Illiria. La svolta si ebbe quando il re di Illiria nel 168 a.C. venne sconfitto mentre Perseo fu costretto da Lucio Emilio Paolo ad accettare battaglia campale nella località di Pidna dove venne sconfitto. Il re fu portato prigioniero in Italia e la monarchia abolita in Macedonia. La regione venne suddivisa in quattro repubbliche che non potevano intrattenere rapporti tra loro: i matrimoni tra abitanti di due diversi stati erano proibiti, non era concesso possedere terre in più di uno Stato. Tre delle repubbliche poterono conservare modeste forze armate ma fu impedito loro di sfruttare il legname per costruire navi e di estrarre metalli dalle miniere. I quattro stati dovevano versare un tributo a Roma. La lega Achea fu costretta a consegnare 1000 persone di lealtà sospetta, tra cui Polibio. I Molossi furono puniti con la totale devastazione del loro territorio, Rodi per aver tentato di mediare tra Roma e Perseo fu privata della Caria e della Licia, venne inoltre colpita dalla creazione, nell’isola di Delo, di un porto franco nel quale le merci erano esentate dai dazi. La quarta guerra macedonica e la guerra acaica In appena venti anni divenne evidente che la sistemazione data da Roma all’area greca era inadeguata. La morte di Callicrate, fedele strumento della politica di Roma, e i tentativi di secessione di Sparta dalla lega coincisero una rivolta in Macedonia. Qui un tale Andrisco, facendosi passare per figlio di Perseo, riuscì a prevalere sulle milizie repubblicane e a riunire le forze macedoni sotto la bandiera monarchica. Dopo qualche successo Andrisco venne eliminato nel 148 a.C. da Quinto Cecilio Metello. Scongiurata la minaccia di Andrisco il senato ordinò che fossero staccate dalla lega Sparta, Argo e Corinto, ciò avrebbe significato la fine della lega achea. L’assemblea della lega, dominata dai nazionalisti ostili a Roma, decise la guerra. Gli achei non poterono impedire l’invasione del Peloponneso da parte di Metello, qui il comando passò a Lucio Mummio che sconfisse l’esercito acheo. Corinto, principale città della Lega, venne saccheggiata e distrutta nel 146 a.C. A Roma si decide di prendere un impegno diretto nell’area greca. La Macedonia venne ridotta a provincia romana, il suo governatore poteva intervenire per regolare le questioni della Grecia. Tutte le leghe vennero scolte e furono imposti regimi aristocratici di provata fedeltà. P ag .2 6 La III guerra punica Nello stesso anno in cui Corinto venne data alle fiamme venne distrutta anche Cartagine. Dopo la rovinosa sconfitta nella II guerra punica, Cartagine si era ripresa con rapidità riuscendo a saldare il pagamento dell’indennità di guerra a Roma e fornendo costantemente cereali agli eserciti romani. Nel 196 a.C. Annibale fu eletto per uno dei due posti da massimo magistrato. Nonostante egli si fosse concentrato su una riforma interna della costituzione cartaginese, un’ambasceria giunta da Roma lo accusò di preparare un’alleanza con Antioco III di Siria. Annibale fu costretto alla fuga in Oriente. Un elemento che poteva turbare la situazione in Africa settentrionale era costituito dalle dispute di confine tra Numidia e Cartagine. Il re di Numidia, approfittando del fatto che i limiti del suo stato non erano delineati con precisione avanzò pretese sempre più ambiziose. Cartagine, che secondo gli accordi, non poteva entrare in guerra senza il consenso romano si rivolse alla potenza egemone senza risultato. Nel 151 a.C. a Cartagine prevalse il partito favorevole alla guerra. La mossa si rivelò disastrosa: l’esercito venne smembrato. Nello stesso tempo la violazione degli accordi del 201 a.C. diede voce a coloro che a Roma premevano per la distruzione di Cartagine. Nel 149 a.C. un importante esercito sbarcò in Africa. Net tentativo di evitare la guerra i Cartaginesi acconsentirono a cedere gli armamenti. Quando i consoli che comandavano l’esercito romano chiesero loro di abbandonare la città resistettero. Quella che si pensava essere una facile azione militare si trasformò in un lungo assedio risolto nel 146 a.C. sotto il comando di Publio Cornelio Scipione Emiliano. La città fu saccheggiata e rasa al suolo, il suo territorio venne trasformato nella nuova provincia d’Africa. La Spagna All’indomani della II guerra punica i Romani si erano saldamente stabiliti in due zone della penisola iberica; intorno alla città di Cadice e nella vallata del Guadalquivir. Nel 197 a.C. le due aree vennero organizzate nelle nuove provincia di Spagna Citeriore a nord e Spagna Ulteriore a sud. Le comunità spagnole dovevano pagare a Roma un tributo, detto stipendium, e a fornire truppe in caso di necessità. La penetrazione verso l’interno si rivelò lenta e difficile, la sottomissione della penisola venne completata solo con Augusto. Le sconfitte furono numerose e le vittorie mai decisive, sottomessa una tribù altre si ribellavano. Tra i legionari serpeggiava il malcontento che sfociò in episodi di renitenza alla leva. Questa situazione costrinse lo Stato nel 149 a creare un tribunale speciale e permanente, incaricato di giudicare il reato di concussione, le questio perpetua de repetundis (tribunale permanente che persegue le estersioni), che estese le sue competenze su tutti i casi di abuso di potere da parte dei governi provinciali. Roma tentò vari approcci nella regione, due esempi : ➢ M. Porcio Catone venne inviato in Spagna Citeriore nel 195 a.C. in qualità di console. Al comando di un forte esercito catone procedette alla sistematica sottomissione delle tribù dell’ebro ➢ Tiberio Sempronio Gracco, governatore della Spagna Citeriore tra il 180 e il 178 a.C., dopo aver ottenuto significativi successi militari cercò di rimuovere le ragioni dell’ostilità verso Roma. La sua strategia fu coronata da una serie di trattati con le tribù. Dopo il 139 a.C. la lotta si concentrò intorno alla città di Numanzia. Nel 137 a.C. sotto le mura della città Caio Ostilio Mancino, sconfitto, fu costretto a siglare una pace umiliante per Roma. Il trattato venne disconosciuto dal Senato e la guerra numantina fu affidata a Scipione Emiliano che conquistò e distrusse la città nel 133 a.C. La crisi della Repubblica e le guerre civili Dai Gracchi alla guerra sociale L’età dei Gracchi (133-121 a.C.): una svolta epocale? La tradizione storiografica aristocratica ha canonicamente identificato nell’età dei Gracchi l’origine della degenerazione dello Stato romano, non più fondato sulla solidarietà civica, e l’inizio del tempo delle guerre civili. In tale periodo sono indubbiamente venuti a maturazione fenomeni e problemi tra loro connessi che affondavano le radici negli squilibri creati dall’espansione del dominio romano. Mutamento degli equilibri sociali P ag .2 7 La guerra annibalica aveva percorso l’Italia e inferto profonde ferita alla sua agricoltura. Le continue campagne belliche avevano tenuto i Romani e gli alleati lontano dai loro poderi. Le conquiste esterne avevano comportato anche un consistente afflusso di ricchezze e un ampliamento degli orizzonti e delle occasioni di sfruttamento e di mercati. Le tasse e i gravami riscossi nelle provincie avevano fatto affluire a Roma ingenti capitali che avevano progressivamente mutato la struttura sociale ed economica dello Stato I Romani e gli Italici si erano introdotti nel grande commercio : i negotiatores avevano iniziato ad istallarsi nelle provincie recentemente acquisite. I Romaioi (come venivano chiamati dai Greci) esercitavano anche professioni bancarie. Tali attività avevano fatto fare fortuna a molti senatori e avevano favorito l’ascesa degli equites. Esclusi dalle cariche pubbliche, erano comunque interessati a difendere i propri interessi e a entrare a far parte del tribunale permanente. Tutti questi ambienti avevano contribuito alla diffusione in Italia e a Roma dell’ellenismo, i giovani romani più ricchi erano cresciuti da nutrici e precettori di cultura greca e schiavi greci colti amministravano case, proprietà e patrimoni dei loro padroni o ne curavano il servizio domestico, l’aspetto e la salute fisica. P141 t46 Plutarco, Cato maior, 22.1-7 La crisi della piccola proprietà fondiaria e inurbamento Lo sviluppo degli scambi commerciali aveva modificato in modo diverso secondo le regioni la fisionomia dell’agricoltura: il massiccio ricorso all’opera servile, l’importazione di grano e di materie prime costituirono una concorrenza rovinosa per la tradizionale agricoltura d’autosussistenza. I piccoli proprietari, già impoveriti dagli effetti della II guerra punica, si erano trovati a vendere le loro proprietà. La concentrazione fondiaria che ne era derivata aveva accelerato la tendenza vero un’agricoltura incentrata su prodotti da commerciare: il modello diventava la grande azienda agricola (villa rustica) basata sullo sfruttamento di personale schiavile. Per le piccole proprietà l’unica possibilità era a riconversione delle colture che esigeva grandi spese e la creazione o il supporto di strutture per la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti. Molti affluivano a Roma in cerca di occupazione. Questo contribuì a creare una massa urbana sempre più consistente: Roma iniziava la sua trasformazione in grande metropoli. Le rivolte servili Il moltiplicarsi delle grandi tenute a personale schiavile e il dilatarsi delle zone destinate a pascolo crearono i presupposti per il ripetuto esplodere di rivolte servili. Teatro dei moti schiavili più gravi fu la Sicilia, in cui le masse servili si sollevarono nel 140-132 a.C. La prima rivolta, scoppiata a Enna, nelle tenute di Damofilo si estese a tutta l’isola. A capo di essa fu posto uno schiavo siriaco Euno. Roma fu costretta a inviare nell’isola tre consoli. Soltanto L’ultimo, Publio Rupilo, riuscì nel 132 a.C. a domare la rivolta. Due fazioni dell’aristocrazia: optimates e populares L’accelerarsi dei mutamenti non mancò di ripercuotersi sugli equilibri che avevano regolato la classe dirigente romana. Cominciarono a delinearsi due fazioni, entrambe scaturite dalla nobilitas: optimates e populares. Gli optimates si richiamavano alla tradizione degli avi, si autodefinivano boni, e cercavano di ottenere l’approvazione dei benpensanti ispirati dai buoni principi, sostenitrice dell’autorità del senato. I populares si consideravano difensori dei diritti del popolo, che gli optimates descrivevano come padrone del mondo ma che in realtà conducevano un’esistenza miserabile, e ribadivano la necessità di riforme in campo politico e sociale. Vennero approvate tre leggi tabellarie (concernenti l’espressione scritta del voto): 1. Lex Gabina Tabellaria: la introduceva nei comizi elettorali 2. Lex Cassia Tabellaria: la introduceva nei giudizi popolari (tranne per quelli di tradimento) 3. Lex Papiria Tabellaria: la introduceva nei comizi legislativi La questione dell’ager publicus e il tentativo di riforma agraria di Caio Lelio P ag .3 0 Massimo posero le basi per la nuova provincia che fu organizzata intorno alla colonia di Narbo Martius, dedotta nel 118 a.C. e attraversata dalla Via Domizia che congiungeva Italia e Spagna. Consolidato il possesso delle isole verso la spagna nel 123 a.C. furono conquistate le Baleari. Nella maggiore di esse, Maiorca, furono fondate due colonie romani. Nel contempo le campagne militari contro le tribù della Dalmazia avevano portato i mercanti romani in contatto con i paesi danubiani che si estendevano a nord-ovest dei confini macedoni. I commercianti italici e l’Africa; Giugurta; Caio Mario Scipione Emiliano aveva regolato le questioni africane, dopo la III guerra punica, tramite la costruzione della provincia d’Africa e i rapporti di buon vicinato con le città libere e con i figli del re di Numidia. Tra essi si era imposto Micipsa che era divenuto unico re di Numidia. La politica filoromana sua e di suo padre aveva attirato commercianti romani e italici. Morto Micipsa il regno venne conteso tra tre eredi principali. Giugurta, che aveva combattuto seguendo gli ordini di Scipione Emiliano a Numanzia, assassinò uno dei tre. L’altro, Aderbale, fu costretto a rifugiarsi a Roma e a chiedere l’arbitrato del senato che, nel 116 a.C., optò per la divisione del regno in due parti: ad Aderbale la parte orientale e a Giugurta la parte occidentale. Nel 112 a.C. Giugurta, intenzionato ad impadronirsi della porzione dell’altro erede, ne assediò la capitale, Cirta. Presa la città fece trucidare non solo il rivale ma anche i romani e gli italici all’interno di essa. Sotto l’impulso dei cavalieri che vedevano compromessi i loro guadagni, Roma si vide costretta a scende in guerra nel 111 a.C. Le operazioni militari furono condotte fiaccamente fino al 109 a.C. quando al comando della guerra fu posto Quinto Cecilio Metello. Sconfisse ripetutamente Giugurta ma non riuscì a concludere la campagna. Le reazioni degli ambienti commerciali non si fecero attendere: i mercanti tempestarono agenti e rappresentanti romani di lettere di protesta. In questo clima Caio Mario, al seguito di Metello, venne eletto console nel 107 a.C. con un plebiscito voltato dai comizi su proposta dei tribuni della plebe e gli venne affidato il comando della guerra. Maro era un homo novus, non vantava antenati illustri. Incarnava il nuovo tipo di uomo politico, uscito dall’ambiente dei ricchi possidenti e dalla carriera militare. T54 p 124 CIL L’arruolamento dei nullatenenti e la fine della guerra Già al tempo delle campagne militari spagnole si erano riscontrate gravi difficoltà nel reclutamento, limitato ai cittadini appartenenti alle 5 classi censitarie. Per ovviare al problema si era diminuito il censo minimo per l’attribuzione dei cittadini alla quinta classe in modo che molti degli appartenenti alla classe più povera potessero essere arruolati. Mario, bisognoso di truppe, aprì l’arruolamento volontario ai capite censi. Con il suo nuovo esercito tornò in Africa ma gli occorsero tre anni per porre fine al conflitto contro Giugurta, grazie a trattative diplomatiche con il re di Mauretania Bocco. Bocco tradì Giugurta e lo consegnò a Roma. La Numidia orientale fu assegnata ad un nipote di Massinissa e la parte rimanente a Bocco. Cimbri e Teutoni; ulteriori trasformazioni dell’esercito Nel frattempo due popolazioni germaniche, i Cimbri e i Teutoni avevano iniziato a migrare verso sud. Oltrepassato il Danubio vennero affrontati al di là delle alpi dal console Cneo Papirio Carbone, inviato a proteggere i confini d’Italia e a tutelare una zona commerciale ricca di miniere. Presso Noreia i Romani vennero sconfitti nel 113 a.C. Intorno al 110 a.C. i Cimbri e i Teutoni comparvero in Gallia e minacciarono la provincia narbonese. I tentativi di respingerli si risolsero in catastrofi, che culminarono della disfatta di Aurasio dove il disaccordo tra due comandanti costò all’esercito romano una vergognosa sconfitta. Mentre a Roma cresceva la polemica verso l’incapacità dei generali di origine nobiliare e aumentava il terrore che Cimbri e Teutoni potessero invadere l’Italia, Mario venne rieletto console per il 104 a.C. e gi fu affidato il comando della guerra (lo fu per 5 volte di seguito dal 104 al 100 a.C.). Nell’attesa dei barbari Mario provvide a riorganizzare l’esercito, ogni legione risultò articolata non più in 30 piccole unità (manipoli) ma in 10 coorti da 600 uomini, ciascuna delle quali costituiva un’unità tattica sufficientemente grande da poter operare autonomamente. P ag .3 1 Il suo lavoro di riorganizzazione toccò quasi tutti gli aspetti dell’attività militare: l’addestramento individuale (con l’aiuto di Lucio Cornelio Silla e Quinto Sertorio), l’arruolamento, l’equipaggiamento. Quando i germani ricomparvero nel 103 a.C. i Romani si rivelarono in grado di sostenerne l’urto. Cimbri e Teutoni si erano divisi: i Teutoni attraversavano la Gallia meridionale, i Cimbri si accingevano a valicare le Alpi. Mario affrontò prima i Teutoni nel 102°.C. sterminandoli ad Aquae Sextiae. L’anno dopo raggiunse i Cimbri presso Vercellae e li annientò. (mappa p 135) Eclissi politica di Mario; Saturnino e Glaucia Mentre era impegnati sul fronte militare, Mario si era appoggiato a Lucio Apuleio Saturnino. Mario lo aveva aiutato ad essere eletto tribuno della plebe nel 103 a.C. e in cambio Saturnino aveva fatto approvare la distribuzione di terre in Africa ai veterani delle campagne africane di Mario. Aveva poi proposto una legge frumentaria che riduceva il prezzo politico del grano fissato da Caio Gracco. Un’altra legge la dui proposta, la lex de maiestate, puniva il reato di lesione all’autorità (maiesatas) del popolo romano, compiuto dai magistrati travalicando i poteri conferitigli: il collegio giudicante era composto da cavalieri. Nel 100 a.C. Mario venne eletto al suo sesto consolato, Saturnino venne rieletto tribuno della plebe e Caio Servilio Glaucia pretore. Contando sull’appoggio di Mario, Saturnino propose una legge che prevedeva assegnazioni di terre nella Gallia meridionale e la fondazione di colonie in Sicilia, Acaia e Macedonia. Nel frattempo Glaucia aveva restituito le giuri permanenti per i processi di concussione ai cavalieri. Saturnino ottenne la rielezione anche per l’anno successivo mentre Glaucia si candidava al consolato. Durante le votazioni scoppiarono tumulti nei quali un competitore di Glaucia venne assassinato. Il senato, proclamando il senatus consltum ultimum, mise Mario nella scomoda posizione di doverlo applicare contro i suoi alleati politici. Saturnino e Glaucia vennero uccisi e Mario decise di allontanarsi da Roma. Pirati; schiavi; Cirenaica. L’stallarsi di Roma in Anatolia l’aveva condotta a stretto contatto con il problema della pirateria. Nella particolare conformazione dell’Asia Minore meridionale si succedevano la Cilicia Tracheia a occidente, montuosa a picco sul mare, e la Cilicia Pedìas a oriente, pianeggiante e urbanizzata con al centro Tarso. Al brigantaggio interno, nella Cilicia Tracheia, si accompagnava l’attività piratica che minacciava l’asse marittimo che dall’Egeo conduceva a Cipro e alla Siria-Fenicia. il controllo delle zone interne aveva impegnato i Saleucidi e gli Attalidi; suoi mari le funzioni di contenimento erano state svolte dai Rodii. Rodi e l’Egitto si erano avvalse dei pirati per contrastare i Seleucidi; Roma se ne disinteressò Mentre Roma stava concludendo le guerre cimbriche l’azione dei pirati fu avvertita come pericolosa per la sicurezza e per gli affari dei negotiatores romani. Nel 102 a.C. si decise di intervenire inviando il pretore Marco Antonio con il compito di distruggere le basi anatoliche dei pirati e di impadronirsene. L’azione si protrasse per un paio di anni, accompagnata dalla costruzione di una provincia costiera di Cilicia con la funzione di proteggere il commercio marittimo d’Asia. La promulgazione di una lex de provinciis praetoriis nel 101-100 a.C. con misure anti-piratiche dimostra che il problema era ritenuto ancora incombente e irrisolto. L’impegno militare richiesto dalle guerre cimbriche indusse Mario a richiedere soldati agli alleati italici e a quelli oltremare. Tra essi Nicomede III di Bitinia declinò l’invito sostenendo che parte dei suoi uomini erano stati rapiti dai pirati o sequestrati e venduti in schiavitù per i debiti. Roma volle porre rimedio con un provvedimento che ordinava ai governatori provinciali di condurre inchieste in merito. Dopo una prima fase di applicazione del provvedimento che comportò il ritorno di molti alla libertà, la crescente opposizione dei detentori di schivai riuscì a fare in modo che la misura rimanesse lettera morta. Ne scaturirono numerose rivolte servili. Qualche anno dopo (96 a.C.) venne lasciata a Roma una parte del territorio tolemaico, la Cirenaiaca, Roma si disinteressò fino al 75-74 a.C. Marco Livio Druso e la concessione della cittadinanza agli italici P ag .3 2 Il I sec a.C. si aprì con forti tensioni politiche e sociali. Per porre un po’ di ordine nelle procedure di presentazioni delle leggi un provvedimento del 98 a.C: rese obbligatorio un intervallo di tre nundinae tra l’affissione di una proposta di legge e la sua votazione. Veniva vietata la formulazione di una lex satura: una disposizione che includesse più argomenti non connessi tra loro. Continuava nel mentre il conflitto tra senatori e i cavalieri per i tribunali permanenti. Nel 92 a.C. una giuria equestre aveva condannato Publio Rutilio Rufo che in Asia aveva tentato di arginare lo strapotere e gli abusi dei pubblicani. Nel 95 a.C. una legge Licinia Mucia aveva istituito una commissione per verificare le richieste di cittadinanza romana e per espellere da Roma ogni residente che risultasse illegalmente inserito nelle liste del censo. In questa atmosfera fu eletto tribuno della plebe nel 91 a.C. Marco Livio Druso, figura enigmatica di aristocratico, tentò di destreggiarsi con una politica di reciproca compensazione. Da un lato promulgò provvedimenti popolari, come una legge agraria volta alla distribuzione di nuove terre, l’abbassamento del prezzo del grano e alla deduzione di nuove colonie. Dall’altro restituì ai senatori i tribunali per le cause di concussione, proponendo l’ammissione dei cavalieri in senato che veniva aumentato a 600 membri. Druso venne misteriosamente assassinato e l’esasperazione degli Italici aveva raggiunto il punto di non ritorno La guerra sociale La differenza di stato giuridico e sociale tra cittadini di Roma e alleati latini e italici non aveva suscitato grandi contestazioni agli inizi del II sec a.C. Ma essa perdeva ora la sua ragion d’essere via via che l’Italia penetrava in uno spazio mediterraneo, La condizione di cittadino romano era divenuta sempre più vantaggiosa e ciò aumentava le rivendicazioni degli Italici, consci di aver contribuito ai successi di Roma. Delle distribuzioni agrarie e frumentarie beneficiavano i soli cittadini romani, gli Italici ne erano esclusi e vedevano riassegnati ai cittadini romani terreni da loro utilizzati. Non prendevano parte alle decisioni politiche, economiche e militari che vedevano coinvolti anche loro. L’assassinio di Druso fu per gli alleati Italici il segnale che non vi era altra possibilità di difendere le proprie rivendicazioni se non con la rivolta armata contro Roma. A Roma non si comprese la gravità della situazione, tanto che si approvò un provvedimento che perseguiva i capi della “cospirazione italica”. Il segnale delle ostilità partì da Ascoli nel 90 a.C. dove un pretore e i Romani residenti nella città vennero massacrati e la rivolta si estese sul versante adriatico e sull’appennino centrale. La guerra fu lunga e sanguinosa. I Romani si trovarono a combattere contro gente armata e addestrata allo stesso loro modo. Gli insorti si erano dati nel frattempo istituzioni federali comuni, una capitale (Corfinium) e una monetazione propria. Furono messe in campo tutte le forze migliori e due consoli si spartirono i due principali settori d’azione. A settentrione Publio Rutilio Lupo. A meridione Lucio Giulio Cesare. Si ebbero sconfitte su entrambi i fronti, Publio Rutilio Lupo cadde in combattimento. L’incerto andamento delle operazioni fece maturare a Roma una soluzione politica del conflitto. Con un primo provvedimento si erano autorizzati i comandanti militari ad accordare la cittadinanza agli alleati che combattevano ai loro ordini. Venne poi approvata una legge che concedeva la cittadinanza agli alleati rimasti fedeli (lex Iulia de civitate). A Questa si aggiunse nell’ 89 a.C. la lex Plautia Papiria che estendeva la cittadinanza agli Italici che si fossero registrati presso il pretore di Roma entro 60 giorni. Tali misure circoscrissero la rivolta, anche se si trascinò con una certa violenza. Con la concessione della cittadinanza a tutta l’Italia transpadana si inaugurava un ricesso di unificazione politica dell’Italia. Le aristocrazie italiche erano riuscite a fondare i presupposti per un loro accesso alle magistrature. Per esercitare i loro diritti i neocittadini dovevano recarsi a Roma. Non tutti avrebbero potuto farlo ma gli interessi di molti iniziarono a convogliare verso la città. P 210 T42 Floro, Epitome, Praefatio P152 T71 Velleio Patercolo, Historiae Romanae, II 15.1-2 I primi grandi scontri tra fazioni in armi Mitridate VI Eupatore P ag .3 5 appropriazione di beni pubblici (de peculatu), broglio e corruzione elettorale (de ambitu), assassinio e avvelenamento (de sicariis et veneficiis), frode testamentaria (de falsis), lesioni alle persone (de iniuriis). Vennero regolamentati l’ordine di successione alle magistrature e le età minime per accedervi; nessuna carica avrebbe potuto essere iterata prima di un intervallo di 10 anni. Nell’anno successivo alla magistratura pretori e consoli accedevano alle promagistrature recandosi ad amministrare province. Furono ridimensionati i poteri dei tribuni della plebe, limitato il loro diritto di veto e annullato quello di proporre leggi. Fu fatto divieto a chi avesse ricoperto il tribunato di poter accedere a qualunque altra carica- Il Pomoerium fu esteso. Computa l’organizzazione dello stato, Silla abdicò e si ritirò nei suoi possedimenti. Il tentativo di reazione antisillana di Marco Emilio Lepido Già nello stesso 78 a.C. uno dei consoli, Marco Emilio Lepido tentò di ridimensionare l’ordinamento silliano, proponendo il richiamo dei proscritti in esilio, il ripristino delle distribuzioni frumentarie a prezzo politico e la restituzione delle terre confiscate. L’opposizione incontrata dai suoi progetti scatenò una rivolta in Etruria. Lepido, partito per assumere come proconsole il governo della provincia Narbonese, si fermò in Etruria dove fece causa comune con i ribelli e marciò poi su Roma, reclamando un secondo consolato e la restaurazione dei poteri dei tribuni della plebe. Il senato dichiarò il senatus consultum ultimum. Poiché non si erano tenute le elezioni consolari venne conferito eccezionalmente a Pompeo l’imperium. La rivolta venne stroncata. Lepido fuggì in Sardegna e il suo luogotenente, Paperna, si trasferì in Spagna a ingrossare le file degli ex mariani capeggiati da Sertorio. La resistenza mariana; Sertorio Quinto Sertorio si era distinto nelle guerre contro Cimbri e Teutoni e nella guerra sociale. Nell’82 a.C., dopo le prime vittorie di Silla, era diventato governatore della Spagna Citeriore. Là aveva creato una sorta di stato mariano in esilio. Tutti i tentativi di abbatterlo, iniziati con Silla ancora vivo, si erano rivelati vani. Verso la dine del 77°.C. so erano congiunte a Sertorio anche le truppe di Paperna. Questa consistente presenza di profughi consentì di istituire a Osca un senato di 300 membri e una scuola dove i capi delle tribù spagnole potevano inviare i loro figli per educarli alla romana. Corsero a Roma voci di sue alleanze con i pirati e con Mitridate. Il senato decise di ricorrere nuovamente a Pompeo affidandogli, in deroga alle norme silliane, la Spagna Citeriore con attribuzione di un imperium straordinario. Arrivato in Spagna nel 76 a.C. Pompeo subì da Sertorio alcune sconfitte e fu costretto a minacciare il senato sollecitando l’invio di rifornimenti e rinforzi. Ottenutili (74 a.C.) la situazione migliorò lentamente, mentre nel campo avversari cominciavano a manifestarsi dissapori e la popolarità di Sertorio diminuiva. Furono orditi complotti contro di lui finché Paperna lo assassinò a tradimento (72a.C.), venne poi sconfitto e giustiziato da Pompeo. La rivolta servile di Spartaco Nel 73 a.C. era scoppiata la terza grande rivolta schiavile. La scintilla era scoccata a Capua in una scuola per gladiatori, una settantina dei quali si rifugiò sul Vesuvio. Là furono raggiunti da altri schiavi e da uomini di condizione libera impoveriti. Si posero a capo della rivolta due gladiatori, Spartaco e Crisso. La rivolta si estese in tutto il sud Italia. Mancava però un piano preciso: Spartaco intendeva condurli ad li là delle Alpi in modo che ciascuno raggiungesse poi il proprio paese d’origine. Gli altri preferirono abbandonarsi alla razzia. Vagarono così per l’Italia arrivando fino in Cisalpina e poi ripiegando verso sud. Il senato decise di affidare un comando eccezionale a Marco Licinio Crasso che riuscì a isolare Spartaco in Calabria. Migliaia di prigionieri furono fatti crocifiggere lungo la via Appia tra Roma e Capua. Una consistente schiera di superstiti tentò la fuga verso nord ma fu intercettata in Etruria da Pompeo che rientrava dalla Spagna. Il consolato di Pompeo e Crasso e lo smantellamento dell’ordinamento sillano Pompeo si fece titolo di merito delle proprie vittorie per poter presentare la propria candidatura per il 70 a.C. pur essendo al di sotto dell’età minima e non possedendo i requisiti di carriera. Anche Crasso si presentò candidato: vinsero entrambi. P ag .3 6 Fu allora portato a compimento lo smantellamento dell’ordinamento sillano. Già nel 75 a.C. era stato abolito il divieto ai tribuni della plebe di ricoprire cariche successive. Nel 73 a.C. i consoli avevano fatto approvare una legge frumentaria (lex Terentia Cassia) che ripristinava le distribuzioni di grano. Pompeo e Crasso restaurarono i poteri dei tribuni della plebe: essi poterono di nuovo proporre leggi all’assemblea popolare e porre il veto alle iniziative degli altri magistrati. I censori epurarono il senato di 64 membri giudicati indegni e condussero il censimento. Infine il pretore Lucio Aurelio Cotta fece modificare la composizione delle giurie dei tribunali permanenti, togliendone l’esclusiva ai senatori e ripartendole in porzioni uguali tra senatori, cavalieri e tribuni arearii (categoria sconosciuta). Pompeo in Oriente; operazioni contro i pirati; nuova guerra mitridatica Negli anni tra l’80 e il 70 a.C. in Oriente erano riemerse due gravi minacce: i pirati e Mitridate. La prateria aveva ripreso forza per l’instabilità delle strutture politiche locali e per l’importanza assunta dal commercio di schiavi. I Romani avevano tollerato che essa continuasse in oriente, le sue basi principali erano disseminate lungo le coste dell’Asia Minori, di Creta e del litorale africano. Attaccavano le lente navi commerciali depredandole e riuscivano a dileguarsi dinanzi le flotte da guerra più lente e pesanti. Di conseguenza il costo dei trasporti marittimi si era alzato. Dopo ripetuti tentativi di combattere i pirati sulle coste meridionali dell’Asia minore, nel 78-75 a.C. si tentò di rafforzare la presenza romana in Cilicia. Nel 74 a.C. fu inviato contro i pirati con un comando speciale Marco Antonio che preferì concentrare i suoi sforzi sull’isola di Creta, riportandovi una pesante sconfitta. Nello stesso 74 a.C. la Cirenaica venne fatta provincia, anche come base per combattere la pirateria. Le operazioni contro Creta furono affidate nel 69 a.C. a Quinto Cecilio Metello che riconquistò l’isola e divenne provincia romana. Nel frattempo era divenuta inevitabile una nuova guerra contro Mitridate. Dopo la pace di Dardano aveva continuato a covare propositi di rivincita e l’occasione si era ripresentata nel 74 a.C. quando, alla morte di Nicomede IV, il regno di Bitinia venne lasciato in eredità ai Romani con un testamento che destò sospetti di falsificazione. La deduzione della Bitinia dava ai Romani il controllo e l’accesso al Mar Nero. Mitridate decise di invaderla. Contro di lui furono mandati i due consoli del 74 a.C. Marco Aurelio Cotta e Lucio Licinio Lucullo. L’essenziale delle operazioni fu condotto da Lucullo che, sgomberata la Bitinia, occupò il Ponto, costringendo Mitridate a rifugiarsi in Armenia. Lucullo invase l’Armenia assediandone e conquistandole la capitale Tigranocerta nel 69 a.C.. Da lì si spinse ancora più a nord seguendo Mitridate e Tigrane, ma la sua marcia fu fermata da un duplice malcontento: i suoi soldati, stanchi, si rifiutarono di proseguire, i finanzieri romani fecero pressioni perché Lucullo fosse destituito. I comandi gli furono progressivamente revocati e Mitridate e Tigrane ne approfittarono per riprendere le ostilità. Nel 67 a.C. un tribuno della plebe propose delle misure drastiche contro i pirati, le cui incursioni stavano colpendo direttamente le forniture di grano romane, e che, per questo scopo, venissero attribuiti a Pompeo per tre anni l’ imperium infinitum su tutto il mediterraneo e sull’entroterra fino a 50 miglia dalle coste. Nonostante l’opposizione senatoria il decreto fu approvato. Ripartito il Mediterraneo in tredici settori, Pompeo cacciò i pirati dal Mediterraneo occidentale, costringendoli in Cilicia dove vennero sconfitti. Nel 66 a.C., mentre era ancora impegnato nella guerra piratica, un altro tribuno della plebe propose che venisse esteso a Pompeo anche il comando della guerra contro Mitridate. Subentrato a Lucullo, Pompeo riuscì a convincere il re dei Parti a tenere impegnato Tigrane mentre egli marciava verso il Ponto. Mitridate fu costretto a rifugiarsi a nord nel Bosforo, là si fece trafiggere per non cadere nelle mani dei Romani (63 a.C.) nel frattempo Pompeo aveva compiuto una spedizione del Caucaso giungendo quasi fino al mar Caspio, confermato a Tigrane il trono di Armeni lo privò della Siria, di cui fece provincia romana. Poi passò in Palestina, dove si impadronì di Gerusalemme e dove costituì uno stato autonomo aggregato alla provincia di Siria. Riorganizzate le sue conquiste e regolati i rapporti con i re vassalli e le città libere nel 62 a.C. Pompeo rientrò a Roma. (mappa p 154) P 128 T63 Cicerone, actio secunda in Verrem, V56.145-146 Il consolato di Cicerone e la congiura di Catilina P ag .3 7 Durante l’assenza di Pompeo a Roma si era verificata una grave crisi. Lucio Sergio Catilina si era arricchito durante l’età silliana ma aveva perso enormi somme per mantenere un elevato tenore di vita. La sua campagna per ottenere il consolato del 65 a.C. gli era costata molto ma alla fine fu respinta per indegnità. Prosciolto dell’accusa di concussione si ripresentò alle elezioni consolari per il 63 a.C. sostenuto da Marco Licinio Crasso, al quale si trovava collegato un emergente patrizio, Caio Giulio Cesare, di antica nobiltà ma sprovvisto dei mezzi necessari per contendere nella gara degli onori pubblici e vicino al campo dei populares, a Caio Mario e a Cinna. Riuscì ad essere eletto console un homo novus, Marco Tullio Cicerone, sostenitore di Pompeo. Catilina non demorse e mise a punto un programma elettorale che pensava lo avrebbe condotto a ottenere il consolato nel 62 a.C. basato sulla cancellazione dei debiti (novae tabulae). Abbandonato dai suoi sostenitori Catilina riuscì nuovamente sconfitto. Mise mano ad un’ ampia cospirazione che mirava a sopprimere i consoli e a terrorizzare la città. Venne concentrato in Etruria un esercito composto da veterani sillani. Il piano fu scoperto da Cicerone che poté indurre il senato a ricorrere al senatus consultum ultimum. Un attacco durissimo costrinse Catilina ad allontanarsi da Roma e a raggiungere a Fiesole gli armati. Acquisite le prove scritte della congiura Cicerone poté arrestare i capi della cospirazione, Catilina cadde a Pistoia combattendo valorosamente. Egitto, Cipro; Cirenaica La grande distanza e i buoni rapporti avevano tenuto il regno tolemaico lontano dalle mire dirette di Roma. Alla morte di Tolemeo VIII le contese tra i successori fecero sì che ci si rivolgesse ripetutamente a Roma. Nel 96 a.C. sarebbe stata lasciata in eredità a Roma la Cirenaica. Anche Tolemeo X in lotta con il fratello maggiore Tolemeo IX, in circostanze belliche e finanziarie difficili legò per testamento l’Egitto ai Romani. Gli unici Tolemei rimasti nell’ 80 a.C. erano i due figli di Tolemeo IX, il maggiore dei quali (Tolemeo XII Aulete) gli Alessandrini proclamarono re d’Egitto, il minore re di Cipro. La principale preoccupazione politica di Tolemeo XII f quella di farsi riconoscere da Roma come amico e alleato. Ne venne a capo nel 59 a.C. Il problema egiziano divenne attuale per Roma quando Pompeo ebbe ridotto la Siria a provincia romana nel 64-63 a.C.. Dopo un primo tentativo, probabilmente voluto da Crasso, una legge agraria del 63 a.C. sembra includere l’Egitto in un progtto di assegnazioni fondiarie. Nel 58 a.C. Tolemeo XII, cacciato dall’Egitto, si rifugiò a Roma ponendosi sotto la protezione di Pompeo. Nel 55 a.C. Aulo Gabinio, corrotto da Tolemeo, lo riportò ad Alessandria. Dal “primo triumvirato” alle idi di Marzo Il ritorno di Pompeo e il cosiddetto “primo triumvirato” Nel 62 a.C. sbarcava a Brindisi Pompeo. Smobilitò il suo esercito, convinto di ottenere dal senato la ratifica degli assetti territoriali e provinciali da lui decisi in oriente e le concessioni di terre ai suoi veterani. In senato i suoi avversari politici lo ricambiarono facendo rimandare continuamente i riconoscimenti. Pompeo si riavvicinò a Crasso e all’emergente Cesare con cui strinse un accordo (60 a.C.) di sostegno reciproco comunemente chiamato “primo triumvirato” (definizione impropria perché il triumvirato esistito come magistratura della Repubblica è quello di Ottaviano, Lepido e Antonio nel 43 a.C.). questo fu un accordo privato e segreto la cui esistenza divenne chiara successivamente, quando Cesare sarebbe dovuto essere eletto console nel 59 a.C. e avrebbe dovuto varare la legge agraria che sistemasse i veterani di Pompeo. L’accordo fu cementato con il matrimonio tra Pompeo e la figlia di Cesare, Giulia. Caio Giulio Cesare console Come d’accordo Cesare venne eletto console nel 59 a.C.. Egli fece votare due leggi agrarie che prevedevano la distribuzione ai veterani di Pompeo tutto l’agro pubblico rimanente in Italia, tranne la Campania, e per i fondi necessari si sarebbero utilizzati i bottini di guerra di Pompeo. Furono poi fatte ratificare le decisioni assunte da Pompeo in Oriente. Fu approvata una lex Iulia de repetundis, per i procedimenti di concussione che ampliava la legislazione sillana. Un altro provvedimento prevedeva la pubblicazione dei verbali delle sedute senatorie e delle assemblee popolari. P ag .4 0 seconda legge aveva fatto obbligo a tutti di presentare le proprie candidature di persona, era stato aggiunto però un codicillo che riprendeva l’eccezione a favore di Cesare. A partire dal 51 a.C. ebbero inizio le discussioni sul termine dei poteri di Cesare e cominciò, tra Cesare e i suoi avversari, una lotta a colpi di cavilli ed espedienti legali tesa a raggiungere, da parte di Cesare, l’estensione del suo comando, da parte dei suoi oppositori, l’immediata sostituzione di Cesare. Nel 50 a.C. un tribuno della plebe propose che per uscire da questa crisi si dovessero abolire tutti i comandi straordinari, sia di Cesare che di Pompeo. Intorno a quegli anni Cicerone aveva propugnato, ne De Repubblica e nel De legibus, la necessità d un’intesa civica tra tutte le componenti dello Stato, fondata sull’equilibrio dei diritti e dei doveri e garantita da un moderatore sopra le parti. All’inizio del 49 a.C. Cesare inoltrò al senato una lettera nella quale si dichiarava disposto a deporre il comando se anche Pompeo lo avesse fatto. Minacciato dal veto di due tribuni in senato votò il senatus consultum ultimum affidando a ai consoli e a Pompeo il dovere di difendere lo Stato. Vennero nominati i successori di Cesare. Appresa questa decisione Cesare varcò in armi il torrente Rubicone dando inizio alla guerra civile. Pompeo abbandonò la città diretto a brindisi. Cesare percorse l’Italia travolgendo le scarse resistenze, ma non riuscì ad arrestare Pompeo e il suo piano di trasferirsi in oriente, bloccare i rifornimenti e affamare l’Italia per poi tentare la rivalsa. Ritornato in breve tempo a Roma Cesare cominciò ad affrontare la minaccia occidentale, rivolgendosi contro le forze pompeiane in spagna. Lasciata parte delle sue forze ad assicurarsi le spalle assediando Marsiglia Cesare assalì e sconfisse i pompeiani spagnoli a Ilerda. Tornato a Roma alla fine del 49 a.C. rivestì la carica di dittatore al solo scopo di convocare i comizi elettorali. I comizi lo elessero console per il 48 a.C. Nel frattempo Pompeo aveva posto il suo quartier generale a Tessalonica. Cesare, compiendo la traversata in inverno, riuscì a traghettare 7 legioni e a porre l’assedio a Durazzo. Cesare fu costretto ad attaccare la città non appena ricevuti i rinforzi, ma fu respinto. Avanzò allora verso la Tessaglia, inseguito da Pompeo, lo scontro decisivo si ebbe a Farsalo nell’agosto del 48 a.C. e si tradusse in una disfatta pompeiana. Pompeo fuggì verso l’Egitto. Ma in Egitto era in corso una contesa dinastica tra Tolemeo XIII e la sorella maggiore Cleopatra VII, e i consiglieri del re fecero assassinare Pompeo. Arrivato ad Alessandria, Cesare si trattenne in Egitto per un anno allo scopo di sedare le lotte tra i due fratelli e di assicurarsi l’appoggio del regno. Assediato dai partigiani di Tolemeo ad Alessandria fu costretto ad attendere rinforzi prima di poter affrontare il re che morì nel Nilo. Cleopatra VII fu confermata regina d’Egitto insieme a suo fratello minore Tolemeo XIV. Nel mentre il figlio di Mitridate aveva tentato di approfittare della situazione per recuperare i territori paterni. Cesare lo sconfisse a Zela, nel Ponto. Nell’autunno del 47 a.C. Cesare sostò brevemente a Roma, dopo aver fatto fronte al malcontento delle sue truppe che attendevano di essere congedate, ripartì per l’Africa. Superate alcune difficoltà conseguì una vittoria risolutiva a Tapso. Ritornato a Roma Cesare celebrò tutti i trionfi sulla Gallia, sull’Egitto, su Farnace e su Giuba. Verso la fine dell’anno fu costretto a partire per la Spagna dove avevano ripreso fiato i suoi avversari guidati dai figli di Pompeo, Sesto e Cneo. Cesare Dittatore Perpetuo Mentre si trovava in Egitto, Cesare era stato nominato dittatore per un anno, prima di partire per l’Africa era stato eletto al suo terzo consolato per il 46 a.C. a cui cumulò un quinto e un sesto. Alla fine del 44 a.C. cumulò il titolo di dictator perpetuus (dittatore a vita). Dopo Tapso era stato fatto per tre anni praefector moribus, con l’incarico di vigilare sui costumi e di controllare le liste dei senatori, dei cavalieri e dei cittadini. Gli fu riconosciuta la facoltà di sedere tra i tribuni della plebe, poi gli vennero assegnate le prerogative dei tribuni (inviolabilità il diritto di veto). Gli fu attribuito il potere di fare trattati o dichiarazioni di guerra senza consultare il senato e di presiedere l’attribuzione delle magistrature e di raccomandare i suoi candidati, di assegnare ai propri legati le province pretorie e gli onori del primo posto in senato con il titolo di imperator a vita. P ag .4 1 Già dal 49 a.C. aveva messo mano a molte riforme: erano stati concessi il perdono e il richiamo degli esuli, vennero accordate facilitazioni ai debitori, il diritto di ottenere la cittadinanza romana venne esteso agli abitanti della Transpadana. Tra il 46 e il 44 a.C. il senato fu portato da 600 a 900 membri, fu aumentato da 20 a 40 il numero dei questori, da 4 a 6 quello degli edili, da 8 a 16 quello dei pretori, venivano garantite così maggiori possibilità di carriera politica. Furono abbassate le qualifiche necessarie per l’ammissione all’ordine equestre, le giurie dei tribunali permanenti furono nuovamente ripartite tra senatori e cavalieri. Furono introdotte sanzioni nei confronti di quanti si fossero resi consapevoli di malversazioni e venne rivisto i sistema tributario provinciale. Fu fatto divieto ai cittadini fra i venti e i sessanta anni residenti in Italia di rimanere assenti dal paese per più di tre anni e fu consentito ai figli dei senatori di allontanarsene solo per incarico dello Stato. Vennero disciolte le associazioni popolari. Furono confermate le distribuzioni gratuite di grano ma il numero dei beneficiari fu ridotto. Per decongestionare Roma e l’Italia fu realizzato un programma di colonizzazione. Una considerevole attività di ristrutturazione urbanistica ed edilizia e una serie di lavori pubblici contribuirono a favorire lavoro. Per combattere la disoccupazione in Italia i proprietari vennero obbligati a impiegare un terzo di uomini liberi. Con un’apposita legge furono riordinate le dorme di governo e d amministrazione pubblica. Effetti duraturi ebbe la riforma del calendario civile. (mappa p 169) Le idi di marzo L’eccessiva concentrazione di poteri nelle mani di Cesare finirono per creare allarme tra gli ex pompeiani superstiti e tra i sostenitor di Cesare. Nei primi mesi del 44 a.C. Cesare aveva preparato una grande campagna militare contro i Parti con l’intenzione di ristabilire l’egemonia romana in Asia. A Roma venne messo in giro un oracolo secondo il quale solo un re avrebbe potuto sconfiggere il re dei parti, ciò andò ad aumentare i sospetti di aspirazione monarchica di Cesare. Fu allora ordita una congiura guidata da Marco Giunio Bruto, Caio Cassio Longino e Decimo Bruto, prima della sua partenza alle idi di marzo del 44 a.C. Cesare morì pugnalato nella curia di Pompeo dove doveva presiedere una seduta del senato. Agonia della Repubblica L’eredità di Cesare; la guerra di Modena Abbattuto Cesare, i cesaricidi non si preoccuparono di eliminare i suoi collaboratori, Marco Emilio Lepido e Marco Antonio. Questi cominciarono a riorganizzarsi mentre i cesaricidi dimostrarono la totale mancanza di un programma che andasse al di là dell’assassinio di Cesare. I congiurati trovarono a Roma un’accoglienza così fredda che preferirono ritirarsi sul Campidoglio per discutere. Antonio riuscì a imporre una politica di compromesso: da un lato l’amnistia per i congiurati, dall’altro la convalida degli atti di Cesare e il consenso ai funerali di stato- Publio Cornelio Dolabella sarebbe stato console insieme ad Antonio e le province già attribuite sarebbero state confermate agli assegnatari. Fu stabilito che, dopo il consolato, ad Antonio sarebbe toccata la Macedonia e a Dolabella la Siria. Fattosi consegnare il testamento di Cesare, Antonio seppe trasformare le esequie in una grandiosa manifestazione, i cesaricidi preferirono abbandonare Roma. Fu abolita la dittatura dalle cariche dello stato. Antonio approfittò del possesso delle carte di Cesare per far passare una serie di progetti di legge che egli sostenne di avervi trovato e che gli assicurarono grande popolarità. Alla lettura del testamento di Cesare si scoprì che aveva nominato su erede il figlio adottivo Caio Ottavio. Il giovane Ottavio alle idi di marzo si trovava in Apollonia. Appena saputo del testamento Ottavio giunse a Roma. Qui vi reclamò l’eredità. Entratone in possesso onorò i lasciti in denaro previsti dal testamento, ponendo come principale caposaldo del suo impegno politico la tutela, e la celebrazione della memoria di Cesare e la vendetta della sua uccisione. P ag .4 2 Antonio, per poter controllare l’Italia allo scadere del suo consolato, si era fatto assegnare dai comizi le due province della Gallia al posto della Macedonia per la durata di 5 anni. Quando però Antonio si mosse verso la Cisalpina, il governatore precedentemente designato si rifiutò di cedergliela e si chiuse a Modena. Ebbe così inizio la “guerra di Modena” (43 a.C.). Il senato ordinò ai due consoli del 43 a.C. di muovere in soccorso di Decimo Bruto; ad essi venne associato con un imperium anche Ottavio. Vicino a Modena Antonio fu battuto e costretto a ritirarsi presso la Narbonese. Il triumvirato costituente; le prescrizioni; Filippi Poiché i consoli erano scomparsi, Ottavio chiese al senato il consolato. Al rifiuto, non esitò a marciare su Roma. Nell’agosto del 43 a.C. venne eletto console insieme al cugino. I due consoli fecero revocare tutte le misure di amnistia e istituirono un tribunale speciale per la persecuzione degli assassini di Cesare. Decimo Bruto fu ucciso mentre cercava di valicare le Alpi per ricondursi agli altri cesaricidi. Annullato il provvedimento senatorio che aveva dichiarato Antonio nemico pubblico nel 43 a.C. Ottaviano, Antonio e Lepido si incontrarono nei pressi di Bologna dove stipularono un accordo. In base ad esso veniva istituito un triumvirato rei publicae costituendae (per la riorganizzazione dello stato), che diveniva una magistratura ordinaria per la durata di 5 anni. Essa conferiva il diritto di convocare il senato e il popolo, di promulgare editti e di designare i candidati alle magistrature. Antonio avrebbe conservato la Gallia Cisalpina e la Gallia Comata, Lepido avrebbe ottenuto la Gallia Narbonese e le due Spagne, Ottaviano l’Africa, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica. A Ottaviano era toccata la parte peggiore: la Sicilia e la Sardegna erano minacciate da Sesto Pompeo cui il senato aveva conferito il comando delle forze navali. Vennero resuscitate le liste di proscrizione, con i nomi degli assassini di Cesare e dei nemici dei triumviri. Centinaia di senatori e cavalieri vennero uccisi, una delle vittime fu Cicerone. Rimesse in sesto le loro finanze, i triumviri poterono rivolgere le armi verso l’Oriente dove Bruto e Cassio si erano costituiti una base solida e avevano raccolto un consistente esercito. Ma prima si provvide alla divinizzazione di Cesare. Antonio e Ottaviano partirono per la Grecia. Lo scontro decisivo si ebbe a Filippi, in Macedonia nell’ottobre del 42 a.C.. Ottaviano si trovò in difficoltà, Cassio, battuto da Antonio, credette che anche Bruto fosse stato sconfitto e si suicidò. Bruto lo seguì. Le proscrizioni, le guerre intestine e Filippi avevano decimato molte famiglie dell’antica aristocrazia. Il loro posto fu preso da una nuova aristocrazia composta da membri delle classi dirigenti municipale italiche e da persone di fiducia dei triumviri. Consolidamento di Ottaviano in Occidente; la guerra di Perugia; Sesto Pompeo; gli accordi di Brindisi, di Miseno e di Taranto; Nauloco Dallo scontro con i cesaricidi usciva rafforzato il prestigio di Antonio che si trovò a trattare con gli altri triumviri in una posizione di forza. Egli si riservò il comando su tutto l’Oriente. A Lepido fu assegnata l’Africa. Ottaviano ebbe le Spagne, il compito di sistemare in Italia i veterani e il problema di Sesto Pompeo che dominava la Sicilia. Per Ottaviano era una somma di impegni gravosa, ma sarebbe stata in grado di assicurargli una base politica e militare non meno forte di quella di Antonio. L’incarico di procedere all’assegnazione di terre era tra i più difficili perché non era rimasto agro pubblico e bisognava espropriare dei terreni. Venivano colpiti soprattutto gli interessi dei piccoli e medi proprietari. Le proteste sfociarono nel 41 a.C. in aperta rivolta, sfruttata dalla mogli di Antonio e dal fratello di Antonio che se ne misero a capo. Ottaviano fu costretto ad affrontare gli insorti che si chiusero a Perugia. Dopo un feroce assedio la città fu espugnata, molti fuggirono a infoltire le fila di Sesto Pompeo che, impadronitosi della Sardegna e della Corsica impediva i rifornimenti in Italia. Ottaviano intanto aveva provveduto ad appropriarsi delle Gallie. Profilandosi un’alleanza tra Antonio e Sesto Pompeo, Ottaviano sposò la sorella del suocero di Sesto Pompeo. Preoccupato Antonio si mosse dell’Oriente verso l’Italia ma in un primo momento gli fu impedito di sbarcare. Poi Ottaviano e Antonio si incontrarono a brindisi dove venne sottoscritta un’intesa che assegnava l’Oriente ad Antonio e l’Occidente a Ottaviano. P ag .4 5 secondo la quale a Roma governavano il senato, il popolo e i magistrati, mentre lui non si sottraeva al compito di trattenersi nelle province che aveva il mandato di pacificare. Nel 23 a.C. si verificò una grave crisi. In Spagna Augusto si era gravemente ammalato e temette di morire. Uno degli aspetti più delicati del principato riguardava la successine. In linea di principio il problema non esisteva in quanto i poteri conferitigli erano individuali e non trasmissibili. Con la sua morte la gestione dello Stato sarebbe tornata in mano agli organi istituzionale dello Stato. Nel 23 a.C. la prematura morte di Augusto avrebbe potuto far riapparire il flagello delle guerre civili. Per questa ragione nel nuovo regime furono introdotte delle correzioni che definirono la sostanza dei poteri imperiali. Augusto depose il consolato e ottenne un imperium proconsulare che gli consentiva di agire con i poteri di un promagistrato su tutte le province. Questo potere, che venne definito imperium maius, non consentiva ad Augusto di agire nella vita politica. Per ovviare a tale impedimento il principe ricevette dal senato il potere di tribuno della Plebe, vitalizio. In virtù di esso Augusto diveniva protettore della plebe di Roma a tale potestà tribunizia in senato aggiunse il diritto di convocare il senato. Quanto alle elezioni, era state ristabilite in forma regolare si dal 27 a.C.. In realtà erano controllate da Augusto attraverso due procedure: la nominatio cioè l’accettazione della candidatura, e la commendatio, la raccomandazione da parte dell’Imperatore. Augusto realizzo nel 5 d.C. un sistema di compromesso che teneva conto della nuova politica. Di fatto all’assemblea fu attribuito un ruolo marginale, mentre si perseguiva una sorta di equilibrio tra principe e senato. Il perfezionamento della posizione di preminenza Nel 22 a.C., in seguito a una carestia, Augusto rifiutò la dittature e assunse la cura annonae, l’incarico di provvedere all’approvvigionamento di Roma. Nel 19-18 a.C. esercitò anche i poteri di censore, ottenendo il diritto di utilizzare le insegne dei consoli; la sella curulis e i 12 littori che portavano i fasci. Anche Agrippa aveva ricevuto nel 23 a.C. un imperium proconsulare di 5 anni, grazie al quale si recò in Oriente. Tra il 22 e il 19 a.C. Augusto si portò sul confine orientale, dove era necessario sistemare la questione partica e armena. Attraverso una trattativa diplomatica riuscì a recuperare le insegne delle legioni di Crasso e di Marco Antonio. Intanto Agrippa sposava la figlia di Augusto, Giulia. Nel 18 a.C. scadevano il mandato di 10 anni sulle province non pacificate attribuite ad Augusto e ad Agrippa. Entrambi si videro rinnovare per 5 anni l’imperium proconsulare. Agrippa ricevette anche la tribunicia potestas, così da rendere la sua posizione sempre più vicina a quella del princeps. Agrippa ebbe due figli da Giulia che Augusto adottò. Nel 12 a.C., alla morte di Lepido che aveva rivestito la carica di pontefice massimo, Augusto assunse anche questa carica, che lo poneva alla guida della vita religiosa romana. L’ultima espressione di riconoscimento ufficiale della sua posizione di preminenza fu il conferimento del titolo di pater patriae che gli attribuirono nel 2 d.C. I ceti dirigenti (senatori ed equites) L’attribuzione dell’imperium proconsolare e del potere tribunizio crearono un potere personale non riconducibile alla somma delle magistrature repubblicane da cui esso era costituito. Il senato negli ultimi anni della Repubblica aveva visto una profonda trasformazione con un aumento dei suoi membri. Augusto agì su questa situazione in varie fasi e attraverso diversi provvedimenti che miravano a ripristinar la dignità e il prestigio dell’assemblea senatoria favorendo l’accesso delle élite provinciali. Le misure prese da Augusto furono adottate in due occasioni; nel 29-28 a.C. e nel 18 a.C.. nella prima si fece conferire la potestà censitoria e procedette alla lectio senatus, cioè alla revisione delle liste dei senatori, espellendo le persone indegne. Nel 18 a.C. condusse una più radicale revisione riportando il numero di senatori a 600 previsti da Silla. Augusto rese la dignità senatoria una prerogativa ereditaria. Durante la Repubblica chi possedeva un censo pari a 400.000 sesterzi e rispondeva ad alcune caratteristiche apparteneva al ceto equestre. Quindi anche i figli dei senatori erano semplici cavalieri. I senatori si distinguevano dagli equites sol per aver intrapreso la carriera politica e avevano la possibilità di mostrarlo portando il laticlavio. Augusto proibì l’uso del laticlavio ai figli dei cavalieri, mentre lo consentì ai figli dei senatori. Infine innalzò il censo minimo per entrare in senato a un milione di sesterzi. P ag .4 6 In taluni casi Augusto stesso poteva concedere il diritto di entrare in senato a chi non apparteneva a una famiglia senatoria. Era necessario rivestire una magistratura e grazie alla procedura dell’adlectio poteva inserire persone in senato scegliendole tra le fila degli ex pretori o questori. In questo modo Augusto realizzo una distinzione netta tra ordo equester e ordo senatorius. D’altra parte anche l’appartenenza all’ordine equestre fu codificata. I senatori detenevano le più importanti magistrature di Roma e le maggiori posizioni di comando civile e militare in provincia. Poiché il loro numero non era sufficiente vennero impiegati anche membri dell’ordine equestre, oltre che in ambito giudiziario anche nel campo militare e in cariche amministrative. Roma, l’Italia, le province In coerenza con l’ideologia della restaurazione repubblicana, Augusto non diede alcun rilievo alla propria residenza, anche se con la sua elezione a pontefice massimo una parte di essa era divenuta u edificio pubblico, ospitandovi il focolare di Vesta. Accanto alla sua casa sul Palatino fece costruire un tempio ad Apollo. Egli concentrò la propria attività edilizia soprattutto nel Foro romano, dove completò i programmi edilizi di Cesare. Nel vecchio Foro repubblicano Augusto fece costruire un tempio per Cesare divinizzato. Restaurò la sede del senato ed eresse in seguito una basilica in nome dei figli di Agrippa e Giulia. Costruì un nuovo Foro, il Forum Augusti, con al centro il tempio di Marte Ulteriore, nei cui rilievi e statue si celebrava la famiglia Giulia a partire dall’ascendenza mitica dall’eroe troiano Enea. Trasformò il campo Marzio edificandovi il Pantheon dedicato ad Agrippa e il suo mausoleo, in cui veniva celebrata l’opera del princeps. Davanti al mausoleo erano incise su pilastri di bronzo le Res Gestae, l’autobiografia di Augusto che, per sua disposizione testamentaria, fu trasmesso in tutte le province dell’Impero. Durante il principato di Augusto furono costruiti restaurati molti edifici pubblici e ci si preoccupò dell’organizzazione di servizi per l’approvvigionamento alimentare e idrico. La carestia che colpì Roma nel 22 a.C. indusse Augusto ad assumere la cura annonae, e con propri mezzi finanziari riuscì a fronteggiare l’emergenza. Verso l’8 d.C. Augusto istituì un servizio stabile che doveva provvedere al rifornimento granario delle province, con a capo un prefetto di ordine equestre (praefectus annonae). Il governo di Roma era invece attribuito a un praefectus Urbi appartenete all’ordine senatorio. L’Italia non fu interessata da riforme amministrative. Dopo la guerra sociale e la legislazione cesariana tutti gli abitanti d’Italia erano diventati cittadini Romani. Le circa 400 città italiche godevano di autonomia interna, erano dotate di un proprio governo municipale. Augusto divise l’Italia in 11 regioni, utili al censimento. I più importanti provvedimenti riguardarono l’organizzazione di un sistema di strade e di un servizio di comunicazioni. Vi furono inoltre iniziative di rinnovamento edilizio nelle città d’Italia. L’amministrazione delle province vide n cambiamento di natura soprattutto politica. Le province che ricadevano sotto la responsabilità diretta di Augusto erano quelle in cui si trovavano una o più legioni. Tali province venivano governate da appositi legati, i legati Augusti pro praetore, scelti tra ex consoli e ex pretori.. essi erano subordinati all’imperium di tipo proconsolare detenuto da Augusto. I legati avevano il governo della provincia e il comando delle legioni ma non il potere di riscuotere le tasse. Nelle altre province i governatori erano sempre senatori, ma scelti a sorte tra i magistrati che avevano ricoperto la pretura o il consolato. Restavano in carica un solo anno, comandavano le forze militari presenti nella loro provincia assistiti dai questori. Un’eccezione a questo ordinamento era costituita dall’Egitto che era stato assegnato a un prefetto di rango equestre, nominato da Augusto. Il prefetto d’Egitto comandava le legioni ed era responsabile dell’amministrazione della giustizia. L’Egitto era l’unica grande provincia comandata da un prefetto equestre. A seconda delle necessità furono adottate soluzioni più idonee. Fu necessario creare un sistema razionale per l’esazione delle tasse. Augusto stabilì nuovi criteri per determinare l’ammontare dei tributi commisurati alle capacità contributive dei provinciali. Il nuovo sistema aveva come presupposto una misura dei terreni su cui era imposta la tassa fondiaria (tributum soli), il censimento della popolazione determinava il numero dei provinciali non cittadini che dovevano pagare la tassa pro capite. (mappa p 197) P ag .4 7 L’esercito, la “pacificazione” e l’espansione All’indomani di Azio gli uomini impegnati nell’esercito speravano le necessità e i mezzi dell’Impero. La paga dei soldati gravava sulla cassa dello Stato (aerarium Saturni) in cui confluivano le imposte regolari delle province. I costi delle liquidazioni dei veterani rappresentavano un peso alto, in un primo tempo furono sostenuti con il bottino di guerra e con il patrimonio personale di Augusto. In un primo tempo i veterani ricevettero soprattutto terre, in Italia e in alcune province. Successivamente ottennero per lo più denaro. La creazione di una cassa speciale nel 6 d.C., l’ erario militare, finanziati da un’apposita tassa sull’eredità garantì al soldato che avesse ottenuto l’honesta missio un premio di congedo. Con augusto il servizio militare nelle legioni fu riservato a volontari. L’esercito era formato da professionisti che restavano in servizio per 20 o più anni, stipendiati. Si costituì una forza permanente effettiva composta da 25 legioni, designate da un numero e un nome. Un’altra innovazione fu l’istituzione di una guardia pretoriana permanente, affidata al comando di un prefetto equestre. Era un corpo militare d’élite composto da 9 coorti reclutato tra cittadini romani residenti in Italia. Augusto costituì dei contingenti regolari di truppe ausiliarie di fanteria cavalleria, reclutate tra i popoli soggetti all’Impero e comandate da ufficiali romani o da capi tribù locali. Al congedo chi aveva militato otteneva la cittadinanza romana. La flotta era stazionata in due porti, Miseno e Ravenna, ed era sottoposta al comando di un prefetto equestre. Anche i marinai, una volta congedati, ottenevano la cittadinanza romana. Durante il suo regno le acquisizioni territoriali dell’Impero furono limitate. Augusto compì in tre occasioni (29; 25 e 10 a.C.) un atto di grande valore simbolico: la chiusura del tempio di Giano, un gesto propagandistico per indicare l’inizio di una stagione di pace. Augusto preferì affidare alla diplomazia le questioni orientali. In Egitto furono estesi i confini meridionali grazie all’azione di C. Cornelio Gallo che concluse un accordo con gli Etiopi. I confini con il regno partico vennero stabilizzati grazie a trattative diplomatiche e grazie a rapporti politici stretti con gli Stati contigui. Con i sovrani di tali regni (di Giudea, di Cappadocia e del Ponto) furono stretti trattati di amicizia. Si creavano in questo modo Stati cuscinetto che assolvevano una funzione di controllo su zone poco urbanizzate. Al di là dell’Eufrate, in Armenia, gli interessi di Roma si scontravano con quelli dello stato Partico. Nelle trattative diplomatiche del 20 a.C. Augusto era riuscito a farsi restituire le insegne delle legioni romane di Crasso e di Marco Antonio. Nello stesso anno Tiberio riuscì a incoronare re d’ Armenia Tigrane II, che divenne re cliente di Roma. Attraverso questa politica di accordi Augusto riduceva l’intervento militare e amministrativo in Oriente per potersi concentrare sull’Occidente. In vero teatro degli scontri militari fu l’Occidente. Nei primi anni di regno gli interventi militari si concentrarono nella penisola iberica (fino al 19 a.C.) che fu pacificata, e nell’area alpina dove nel 25 a.C. furono sottomesse le tribù della Val d’Aosta e fu fondata la colonia di Augusta Praetoria. Gli eserciti romani furono impegnati per lungo tempo sul confine renano e danubiano. La conquista dell’ arco alpino occidentale fino all’alto corso del Danubio fu realizzata nel 16 a.C.. Pochi anni dopo, tra il 14 e il 9 a.C., fi occupata da Pannonia. La successiva acquisizione della Mesia segnò il consolidamento della frontiera danubiana. La propaganda augustea non riuscì a mascherare l’insuccesso della mancata sottomissione della Germania. All’Elba i Romani arrivarono con Druso nel 9 a.C. ma il territorio germanico a oriente del Reno non fu mai sottomesso. Nel 6 d.C. scoppiò una grande rivolta delle tribù che riuscirono a far fronte contro l’invasore. Nel 9 d.C. nella foresta di Teutoburgo Quintilio Caro fu sconfitto e tre legioni vennero annientate, la frontiera doveva rimanere il Reno. (mappa p 201) La successione I particolari poteri che Augusto aveva ricevuto dal Senato non costituivano una vera e propria carica a cui dopo la sua morte qualcuno potesse succedere, né tali poteri e tale posizione potevano essere trasmessi secondo un principio dinastico. Augusto doveva trovare il modo di far sì che la sua posizione di potere non P ag .5 0 Augusto le aveva stanziate, e guadagnandosi la fiducia di Tiberio. La posizione di rilievo di cui godeva derivava dal fatto che Tiberio nel 26 d.C. si era stabilito a Capri. Seiano riuscì a monopolizzare i contatti con Tiberio e, dopo la morte di Livia, dominò la vita politica a Roma, influenzando le decisioni dell’imperatore. Probabilmente aspirò alla successione: chiese di sposare Livilla, la vedova del figlio di Tiberio, e nel 31 d.C. dichiarò Agrippina nemico pubblico. Antonia, madre di Germanico, riuscì a risvegliare in Tiberio sospetti su Seiano che fu arrestato e giustiziato. Gli ultimi anni del regno di Tiberio non furono felici: scoppiò una grave crisi finanziaria e si acuirono i contrasti con il senato. Si aprì un periodo di terrore, agrippina si suicidò e i suoi due figli maggiori furono uccisi. Rimanevano come possibili successori Tiberio Gemello, figli di Druso Minore e Gaio, detto Caligola, unico sopravvissuto dei figli di Germanico. Tiberio nominò entrambi eredi congiunti, ma alla sua morte nel 37 d.C. il senato riconobbe come unico erede il maggiorenne Caligola, che si impegnò ad adottare Tiberio Gemello, che venne ucciso lo stesso anno. Caligola (37-41 d.C.) L’impero di Gaio, detto Caligola, fu relativamente breve ed è ricordato per le sue stravaganze. Gaio fu accolto con grande entusiasmo. Il giovane imperatore si appoggiò al consenso dei pretoriani e della popolazione di Roma, inaugurando una politica di donativi, di grandi cerimoni e ambiziosi piani edilizi che portò all’esaurimento delle cospicue riserve finanziarie lasciate da Tiberio. Molto più freddo era l’atteggiamento del senato. Le fonti imputano alla malattia mentale di Caligola la sua inclinazione verso forme di dispotismo orientale e l’ondata di esecuzioni. In politica estera Caligola si curò di ripristinare in Oriente un sistema di Stati cuscinetto, con i cui sovrani aveva relazioni di amicizia ereditate da Marco Antonio. Ma fu proprio con gli Ebrei che nacque uno dei conflitti meglio documentati nell’età di Caligola: l’imperatore volle porre una propria statua net Tempio di Gerusalemme, suscitando le proteste della popolazione e dello stesso governatore romano, allarmato per le tensioni che si stavano creando. Nel gennaio del 41 d.C. Caligola cadde vittima di una congiura organizzata dai pretoriani. La sua morte evitò che scoppiasse il conflitto in Giudea e pose fine ai dissidi nelle città orientali. Claudio (41-54 d.C.) Neppure il successore di Caligola, suo zio Claudio, ebbe il favore delle fonti antiche che lo presentano come uno sciocco dedito a manie erudite. In realtà il suo regno sembra contraddire questa presentazione. Malgrado il suo rispetto per il senato, la necessità di una razionalizzazione del governo dell’Impero indusse Claudio a una significativa riforma: l’amministrazione centrale fu divisa in quattro grandi uffici, un segretariato generale, uno per le finanze (a patrimonio), uno per le suppliche (ab epistulis), uno per l’istruzione dei processi da tenersi davanti l’imperatore (a libellis). A capo di questi dipartimenti furono chiamati dei liberti. La sua politica lo portò a cercare nuove soluzioni ai problemi di approvvigionamento che periodicamente affliggevano Roma. Costruì il porto di Ostia per consentire l’attracco delle navi agrarie. il sistema delle distribuzioni granarie vide un riammodernamento: l’organizzazione del servizio venne tolta al senato e assegnata al prefetto dell’ annona. Costruì un nuovo acquedotto e bonificò la piana del Fucino. La sua politica di integrazione è attestata da molti provvedimenti, come l’intesa di fondazione di colonie in Britannia, Germania e Mauretania, la concessione della cittadinanza ad alcune popolazioni alpine e il grande numero di diplomi militari che certificano l’inserimento nella cittadinanza romana dei soldato. Nella prima parte del suo principato, Claudio affrontò la guerra in Mauretania, a cui pose fine con l’organizzazione del regno in due province, affidate a procuratori equestri. Anche la questione orientale fu oggetto di un suo intervento di modifica dell’assetto dei regni clienti istituiti da Caligola. I privilegi delle comunità Ebraiche furono ristabiliti. La preoccupazione di prevenire disordini fu l’origine del provvedimento di espulsione degli Ebrei da Roma, adottato nel 49 d.C. L’impresa militare più rilevante di Claudio fu la conquista della Britannia meridionale nel 43 d.C. che fu ridotta a provincia. Il regno di Claudio è caratterizzato dagli intrighi di corte. Egli aveva sposato Messalina, da cui ebbe un figlio, Britannico. Accusata di congiurare contro il marito, Messalina fu messa a morte nel 48 d.C. Claudio sposò P ag .5 1 la nipote Agrippina, che riuscì a far adottare a Claudio il suo primo figlio. Nel 54 d.C. Agrippina avvelenò Claudio per assicurare al figlio la successione al trono La società imperiale Alla base della concezione antica della società vi era l’idea che vi dovesse essere un’articolazione e una differenza formalmente riconosciuta dallo status giuridico. Abbiamo visto come Augusto avesse provveduto alla differenziazione delle condizioni e prerogative dei ceti dirigenti a Roma. Introdusse elementi di distinzione anche per i ceti dirigenti dei municipi e si occupò di regolare i privilegi, lo statuto e l’articolazione di altri gruppi della società. Il primo imperatore aveva previsto anche dei meccanismi di promozione sociale. La schiavitù era un fenomeno caratteristico della società della tarda Repubblica. Grandi quantità di schiavi erano state impiegate nell’agricoltura anche se il fenomeno in età imperiale si andò riducendo a favore dell’impiego di coloni liberi, ma vi era anche una notevole presenza di schiavi domestici e soprattutto di schivi di origine greca nell’ambito dei “servizi”. Una categoria particolarmente importante è quella degli schiavi imperiali, la familia Cesaris, impiegati nella gestione amministrativa e finanziaria del patrimonio imperiale e organizzati gerarchicamente. Gli schiavi imperiali potevano raggiungere ricchezza e potere superiori a quelli degli esponenti della nobiltà senatoria. Non bisogna però confondere la ricchezza con lo status giuridico. Lo schiavo riusciva ad acquistare la libertà con il patrimonio personale acquisito con il consenso del padrone, rimaneva però legato al proprio ex padrone in un rapporto clientelare, aveva delle limitazioni per quanto riguarda la vita pubblica e l’accesso alle magistrature. I liberti rappresentavano il ceto economicamente più attivo. Nella riorganizzazione degli uffici che ricadevano sotto la responsabilità del princeps i quattro liberti di Claudio (tra cui Polibio) ottennero la direzione dei nuovi servizi amministrativi. Un altro gruppo molto rilevante era costituito dai provinciali liberi, che comprendevano gli abitanti delle poleis greche e quelli dei villaggi dei Britanni p i nomadi del deserto. L’imperatore poteva intervenire nelle questioni interne relative allo status e ai privilegi dei diversi gruppi cittadini e vegliare sulla tutela del corpo civico della polis. Il princeps poteva promuovere i ceti dirigenti cittadini o intere città concedendo la cittadinanza romana. I cittadini romani godevano di particolari garanzie personali e dell’immunità da tasse e obblighi che gravavano sui provinciali, anche se tali privilegi vennero diminuiti lentamente. Una volta ottenuta la cittadinanza, anche per i provinciali il passo successivo di promozione sociale era l’accesso ai due ceti dirigenti. I cittadini romani delle province potevano raggiungere posizioni importanti nella carriera equestre grazie al patronato e alle raccomandazioni di ufficiali superiori. L’esercito fu uno dei fattori più importanti di promozione sociale. Nerone (54-68 d.C.) Il principato di Nerone fu impostato su premesse completamente diverse da quelle augustee: il consolidamento del potere del princeps e l’istituzionalizzazione della sua figura avevano mostrato le debolezze della tradizione repubblicana. Il mutamento della concezione del potere del princeps è evidente ne De Clementia, un’opera composta nel 55 d.C. dal precettore di Nerone, Anneo Seneca, un manifesto teorico e un programma di governo per Nerone: l’ideologia augustea appare completamente superata. Secondo Seneca, da Augusto in poi la res publica è nelle mani di una sola personalità. In un primo tempo Nerone cercò una forma di collaborazione con il Senato, ma se ne distaccò progressivamente inclinandosi verso un’idea assoluta del potere imperiale. Gli interessi culturali lo spinsero ad essere un grande ammiratore dell’Oriente, che gli fornì spunti che trasformarono in senso assolutistico il potere imperiale. Nerone fu sempre considerato un imperatore vicino alla plebe. Si macchiò di gravi delitti. Dopo aver fatto assassinare il fratellastro Britannico nel 59 d.C. fece uccidere anche la madre. Nel 62 d.C. divorziò da Ottavia, figlia di Claudio. Da quell’anno iniziarono processi di lesa maestà con cui Nerone cercava di annientare l’opposizione ed eliminare gli ultimi nobili che potevano vantare una parentela con Augusto. Il dispotismo di Nerone, che culminò con l’incendio di Roma nel 64 d.C., propizio le condizioni per una sua eliminazione. Non sappiamo se quanto ci narrano le fonti sulla follia di Nerone corrisponda a verità, ma la P ag .5 2 situazione che egli dovette affrontare dopo l’incendio fu gravissima. I costi della ricostruzione della città furono tanto alti da provocare una forte perdita dei consensi. Nerone cercò di rimediare alla crisi finanziaria con un importante riforma finanziaria. Al 64 d.C. risale un provvedimento che prevedeva la riduzione di peso della moneta d’argento, il denar io. Tale provvedimento si spiega con ila necessità di moneta legata al grande programma edilizio che Nerone doveva finanziare. Nelle province già nel 60 d.C. vi era stata una grave ribellione delle popolazioni locali che ebbe tra le varie cause anche il duro comportamento dei procuratori impiegati nelle esazioni fiscali. In Giudea la requisizione di parte del tesoro del Tempio di Gerusalemme, nel 66 d.C., fu uno dei motivi dello scoppio di una violenta ribellione. Nerone nel 65 d.C. fu minacciato da una grave congiura guidata da C. Calpurnio Pisone e che coinvolse vasti strati dell’élite dirigente. Seneca fu una delle principali vittime, ma anche nell’anno successivo Nerone continuò a condannare gli avversari accusati di tramare contro il princeps. In politica estera, Nerone, ottenne qualche successo significativo sul fronte Orientale, dove Domizio Corbulone riuscì ad avere la meglio sui parti e a riportare l’Armenia sotto l’influenza romana. Assicurata la situazione a Roma, Nerone partì per la Grecia dove intendeva partecipare ai tradizionali agoni periodici delle poleis. Ai giochi di Corinto proclamò la libertà delle città greche. In giudea era scoppiata una grandissima ribellione, contro cui Nerone aveva mandato Muciano e Vespasiano, mentre Vespasiano riusciva a riportare sotto controllo la situazione in Palestina, nell’inverno del 67-68 d.C. giunse a Roma la notizia della ribellione del legato della Gallia Lugduensis. La ribellione venne domata, ma fu la prima di una catena: dalla Spagna, all’Africa al Reno. Il senato dichiarò Nerone nemico pubblico, riconoscendo come nuovo princeps Galba. Nerone si suicidò. La sua fine segnò quella della dinastia Giulio-Claudia. La mancanza di una lina di successione fu la causa di una grave crisi che fece rivivere a Roma le guerre Civili. L’anno dei quattro imperatori L’anno dei quattro imperatori: il 68-69 d.C. Si erano create le condizioni per una nuova guerra civile che vide contrapposti senatori, comandanti di provincia e comandanti militari. Soprattutto l’esito finale, con la proclamazione di Vespasiano imperatore, mostrò come il Principato potesse essere rivestito da un uomo di origini modeste. La crisi del 69 d.C. con quattro imperatori (Galva, Otone, Vitellio e Vespasiano), esponenti il primo dell’aristocrazia senatoria, il secondo dei pretoriani e gli ultimi dell’esercito, che si combatterono l’uno contro l’altro, mostra come l’asse dell’ Impero di fosse spostato lontano da Roma e come le legioni fossero in grado di imporre il loro volere. L’Impero non poteva più essere appannaggio di una sola famiglia. L’alternativa che si pone tra successione dinasti o successione per adozione e tipica del II sec d.C. ➢ Servio Suplicio Galba: anziano senatore, governatore della Spagna Tarraconense. I suoi soldati lo proclamarono Cesare ma egli rifiutò il titolo ritenendo che i militari non avessero alcun diritto a conferirlo. Galba fu riconosciuto imperatore e riconobbe il titolo da una delegazione di senatori. Non seppe però guadagnarsi gli appoggi necessari a mantenere il potere. Volle restaurare la libertas senatoria, ma si rese impopolare alla plebe e ai soldati per i tagli alle spese con cui cercò di rimediare alla crisi finanziaria creatasi sotto Nerone. ➢ Marco Salvio Otone: amico di Nerone, era popolare soprattutto fra i pretoriani e l’ordine equestre. Dopo che i pretoriani ebbero linciato Galba nel Foro ebbe anche il riconoscimento dal senato. Fu proclamato imperatore il 15 gennaio del 49 d.C. Contemporaneamente le legioni sul Reno proclamarono imperatore il proprio comandante Aulo Vitellio ➢ Aulo Vitellio: era un senatore di rango consolare, ebbe il sostegno degli eserciti delle Germanie. I suoi legati riuscirono a raggiungere l’Italia prima della fine dell’inverno e sconfissero le truppe di Otone il 14 Aprile del 69 d.C. Vitellio, riconosciuto imperatore mentre si trovava in Gallia, ebbe grandi difficoltà a frenare i soldati che avevano combattuto per Otone e i propri che preferirono abbandonarsi a saccheggi e devastazioni. Fu a questo punto che le legioni orientali e quelle danubiane si ribellarono proclamando imperatore Vespasiano P ag .5 5 scegliere tra farisei e il cristianesimo se non si voleva entrare in conflitto con Roma. I primi si dedicavano all’osservazione meticolosa delle leggi di Mosè, il secondo proponeva la religione che poneva come suo fondamento la fede in Gesù cristo… Il piccolo gruppo di testimoni e seguaci degli insegnamenti di Gesù iniziò a predicare la sua parola tra le comunità ebraiche in Palestina. Le comunità cristiane si organizzarono in un primo tempo in forme diverse tra singole città. Dall’inizio del II sec d.C. prevalse la struttura di comunità guidate da un singolo responsabile (episcopus). L’autorità romana aveva affrontato la questione giudaica senza distinguere tra i vari movimenti. Augusto aveva garantito a tutte le comunità dell’impero la possibilità di conservare i propri costumi e di praticare il proprio culto. In diverse occasioni le comunità ebraiche furono avvertite come elemento estranee. Durante il regno di Tiberio vennero espulsi da Roma insieme agli Egiziani perché la diffusione di culti stranieri veniva vista in contrasto con il mos maiorum. Caligola aveva provocato una crisi gravissima con i rapporti tra romani e Giudei. Claudio ristabilì i privilegi e la tolleranza augustee, ma nel 49 d.C. espulse nuovamente gli Ebri da Roma. A partire da Nerone diviene evidente il contrasto tra l’autorità imperiale e la religione cristiana. Anche l’opinione pubblica riteneva i cristiani fossero dediti a pratiche riprovevoli. Nerone approfittò di questo clima per incolpare i cristiani dell’incendio di Roma del 64 d.C. Iniziò contro i cristiani una persecuzione e in Palestina scoppiò una ribellione. Dopo che Vespasiano e Tito ebbero stroncato la rivolta e distrutto il Tempio, non furono poste limitazioni al culto. Domiziano, volendo promuovere la figura del principe come rappresentante di Giove, si sarebbe accanito contro i cristiani e, con l’accusa di ateismo, con i circoli vicino la corte per riacquistare il favore della parte tradizionalista del senato. Non sappiamo se praticare la religione cristiana fosse un reato. Traiano ebbe un atteggiamento moderato, prescriveva che non dovessero essere perseguitati, ma puniti solo se espressamente denunciati. Le denunce anonime non dovevano essere prese in considerazione, e chi affermava di non essere cristiano lo dimostrava non doveva essere perseguitato. Nel corso del II secolo il cristianesimo si espande divenne un fenomeno che non poteva essere ignorato dall’autorità dell’Impero. Allo stesso tempo i cristiani iniziarono a far circolare testimonianze del sacrificio delle vite dei martiri, e iniziarono a comparire testi in difesa della fede cristiana. Il II secolo Il II secolo viene considerato come l’età più prospera dell’Impero romano che godette di uno sviluppo economico e culturale. Questa visione ottimistica è riflessa nelle fonti, la rinnovata stabilità grazie al redime dinastico instauratosi da Nerva, in cui il al legame consanguineo è preferito colui che sembra saper meglio governare. Nerva adottò Traiano avvenne quando la dichiarata fedeltà a Domiziano dei pretoriani fece sembrare che nel 97 d.C. si ripetessero le esperienze delle guerre Civili del 69 d.C. l’adozione fu accolta favorevolmente da parte dell’aristocrazia senatoria. Nerva 96-98 d.C. Il breve principato di Nerva vide la restaurazione delle prerogative del senato e un tentativo di riassetto degli equilibri istituzionali interni. Non disponiamo però di biografie ma ci dobbiamo basare sulla narrazione di età severiana di Cassio Didone. La prima preoccupazione di Nerva fu quella di controllare le reazioni suscitate dall’uccisione di Domiziano. Ottenne giuramenti di fedeltà dalle truppe, abolì le misure più impopolari di Domiziano, richiamò gli esiliati e sospese le accuse di lesa maestà. Garantito l’ordine interno, Nerva attuò una politica finanziaria e sociale a favore di Roma e dell’Italia: una legge agraria prevedeva l’assegnazione di terreni ai nullatenenti e probabilmente venne varato il programma delle “istituzioni alimentari” di cui però le prime attestazioni risalgono al regno di Traiano. Tale programma consentiva prestiti concessi dallo stato agli agricoltori, che ipotecavano i loro terreni: si realizzava così un incentivo al miglioramento della produttività dei fondi. L’interesse dell’ipoteca veniva versato ai municipi locali. Nerva trasferì alla cassa imperiale il costo del cursus publicus, ossia il mantenimento degli edifici pubblici e delle strade. P ag .5 6 Nel 97 d.C. si manifestarono sintomi di crisi. Gli sgravi fiscali e politica sociale accentuavano le difficoltà economiche, che già si erano manifestate sotto Domiziano. Sul versante politico i pretoriani chiesero la punizione degli assassini di Domiziano. Nerva acconsentì, punendo però coloro che l’avevano portato al potere. L’unico sistema per impedire una nuova disgregazione dell’Impero era quello di designare un successore che fosse in grado di affermarsi militarmente contro i pretoriani. Nerva così adotto M. Ulpio Traiano, governatore della Germania Superiore. Nerva visse fino al 98 d.C., alla sua morte Traiano gli succedette come imperatore, la sua nomina fu ratificata dal senato e gli eserciti gli giurarono fedeltà. (mappa p 234) Il governo dell’impero affidato al migliore: Traiano (98-117 d.C.) Traiano ricevette la notizia della sua adozione da parte di Nerva e della successione mentre era governatore in Germania Meridionale. A Roma si recò nel 99 d.C. preferendo completare l’opera di consolidamento del confine renano. Egli unì le caratteristiche dell’esperienza militare e il senso di appartenenza al senato incarnate da Augusto. Queste due prerogative lo resero l’optimus princeps, il sovrano ideale sottomesso alle leggi e gradito all’esercito. Tra i suoi programmi un posto di rilievo ha l’espansione territoriale. Le campagne daciche sembrano godere del sostegno del senato. Non abbiamo la certezza che le imprese militari di Traiano in Dacia e sul confine orientale contro i Parti e l’Arabia siano state determinate dalla volontà di impostare una soluzione militare dei problemi finanziari. Decebalo costituiva una minaccia per il confine danubiano. La Dacia fu ridotta a provincia. Una notevole importanza per l’Impero ebbe il bottino ricavato dalla conquista e l’oro ricavato dallo sfruttamento delle miniere Daciche: esso servì a finanziare imprese militari e le spese per le opere pubbliche e sociali varate da Traiano a Roma. L’imperatore mostrò grande interesse per la frontiera orientale, nacque la provincia d’Arabia. Grazie ad essa Roma acquisiva il controllo della via commerciale per l’India. Nel 114 d.C. Traiano organizzò una grande battaglia contro i Parti durante la quale furono occupate Armenia, Assiria e Mesopotamia. Nessuna di queste conquiste ebbe fortuna. Traiano, richiamato a fronteggiare una rivolta di Ebrei in Mesopotamia, decise di abbandonare le nuove conquiste. Morì in Cilicia. Le truppe acclamarono imperatore Elio Adriano. Secondo alcune fonti Traiano lo adottò come suo successore sul letto di morte, altre invece narrano che sia stata la moglie ad adottarlo, nascondendo la morte del marito. Il regno di Traiano è caratterizzato da un marcato interesse per i bisogni dell’Impero. La piena attuazione dl programma di sussidi alimentari documento le difficoltà che l’agricoltura stava incontrando. Adriano (117-138 d.C.) Anche per il regno di Adriano non disponiamo di un’adeguata opera storiografica. La famiglia di Adriano si era affermata nell’aristocrazia Italica. Egli stesso aveva percorso la carriera senatoriale a Roma, probabilmente grazie all’ aiuto di Traiano che lo volle al suo fianco in diverse guerre. Adriano subito dopo il riconoscimento da parte del senato decise di abbandonare la politica di controllo diretto delle nuove province orientali e preferì affidarlo a sovrani clienti mettendo fine alle guerre di espansione. Ciò probabilmente suscitò l’opposizione degli uomini vicini a Traiano, una traccia di dissenso può essere rintracciata nell’episodio della condanna a morte di quattro ex consoli, collaboratori di Traiano, incriminati di aver congiurato contro il principe. Per acquistarsi il consenso pubblico Adriano si preoccupò di alleviare il malessere economico, cancellando i debiti arretrati contratti a Roma e facendo distribuzioni al popolo, reintegrando il patrimonio dei senatori che avevano perduto il censo e proseguendo il programma alimentare di Traiano. Adriano fu un attento amministratore e riformatore della disciplina militare, favorì il reclutamento dei provinciali per far fronte alla riduzione del numero di reclute e creò delle nuove unità, chiamate numeri, formate da soldati che conservavano gli armamenti e i sistemi di combattimento tradizionali delle popolazioni non romanizzate. P ag .5 7 Adriano fu uomo di grande cultura e favorì l’arte, l’architettura e la letteratura. Fu appassionato costruttore di palazzi e fondatore di nuove città. Il principe volle restituire splendore ad Atene e alle poleis greche rinnovandole urbanisticamente e contribuendo alla rivitalizzazione delle istituzioni. Adriano passò gran parte del suo regno viaggiando attraverso le province: dal 121 al 125 d.C. era in Britannia dove iniziò la costruzione del Vallo di Adriano, tra il 125 e il 129 d.C. viaggiò tra Roma e l’Africa dove iniziò la costruzione nel fossatum Africae, una serie di fortificazioni che avevano lo scopo di controllare gli spostamento delle popolazioni nomadi, dal 129 al 134 d.C. intraprese un viaggio nelle poleis greche. Nel 132 d.C. dopo il suo passaggio, scoppiò in Palestina una gravissima rivolta. La rivolta era stata provocata dall’intenzione di Adriano di assimilare gli Ebrei ad altre popolazioni dell’Impero dove Adriano dove sarebbe dovuto essere oggetto di culto. La ribellione ebraica dovette essere avvertita come una grave minaccia come dimostra la violentissima repressione. Adriano trascorse dodici dei ventuno anni del suo regno al di fuori di Roma e dell’Italia. Si preoccupò personalmente di dare una forma definitiva di governo alle competenze giurisdizionali dei governatori provinciali, riorganizzò il gruppo dei propri consiglieri introducendovi giuristi e prefetti del pretorio. Si adoperò per ima efficiente amministrazione della giustizia: l’Italia fu divisa in quattro distretti giudiziari assegnati ai senatori di rango consolare. In questo modo però, intaccò lo stato privilegiato dell’Italia rispetto alle prence e lese la prerogativa giudiziaria del senato, il suo successore abolì questo provvedimento, Adriano avvertì l’importanza del ceto equestre. Introdusse una distinzione tra carriera militare e carriera civile, una scala di rango definita sulla base del compenso e estese il campo d’azione dei cavalieri. Come successore Adriano scelse il console del 136 d.C. Lucio Elio Cesare, che adottò. Morto prematuramente, la sua scelta si indirizzò verso il senatore della Gallia Narbonense Arrio Antonino, il quale adottò a sua volta Lucio il vero, figlio di Lucio Elio insieme a Marco Aurelio. Antonino Pio (138-161 d.C.) Il regno di Antonino non era dissimile da quello di Adriano, una differenza importante sta nel fatto che Antonino rinunciò ai grandi viaggi attraverso l’Impero; aveva da sempre privilegiato gli incarichi amministrativi a quelli militari. Si tratta di un periodo sostanzialmente privo di avvenimenti, un segno positivo delle condizioni generali dell’Impero. Il principe ebbe buoni rapporti con il senato, riuscì a far divinizzare il suo predecessore e fu parsimonioso amministratore Durante il regno di Antonino non furono recate minacce alla sicurezza dell’Impero. Solo i Mauretani a ci fu una ribellione. Per sua volontà il Vallo Adriano in Britannia fu avanzato. Lo statuto delle città Nell’età di Antonino Pio l’Impero raggiunse l’apogeo del proprio sviluppo. L’orazione a Roma di Elio Aristide sottolinea l’importanza del processo di integrazione dei ceti dirigenti provinciale attraverso il conferimento della cittadinanza romana e il valore attribuito alla vita cittadina. La città rappresentava il segno distintivo della civiltà rispetto alla barbarie, ovunque ci fossero delle istituzioni cittadine i Romani vi si affidarono per il controllo amministrativo; dove non esistevano vennero create comunità civiche attraverso opere di fondazione. Nell’Impero romano vi era una grande varietà di tipologie cittadine. Civitates in Occidente e poleis in Oriente, erano organizzate secondo tre tipologie a seconda del grado di integrazione nello Stato romano: • Città peregrine: preesistenti alla conquista si distinguono in base al loro status giuridico nei confronti di Roma: ➢ Città stipendiarie: sottomesse a Roma, pagano un tributo ➢ Città libere, con diritti concessi da Roma ➢ Città libere federate: città libere che hanno concluso un trattato paritario con Roma • Municipi: è una città cui Roma ha concesso di elevare il suo status precedente ai cui abitanti è accordato il diritto latino o Romano • Colonie: città di nuova fondazione con apposto di coloni con cittadinanza Romana. La colonia adotta il diritto romani ed è organizzata a immagine di Roma. A partire da Claudio le città potevano ricevere lo status di colonia come riconoscimento del grado di romanizzazione raggiunto dalla comunità P ag .6 0 Venne acclamato imperatore il prefetto del pretorio Macrino, uno dei capi della congiura. Era la prima volta che un appartenente all’ordine equestre veniva nominato imperatore. La progressiva sfiducia nell’aristocrazia muove gli imperatori a potenziare il ruolo dei cavalieri, cui verranno affidati i comandi militari e l’amministrazione delle provincie. Tuttavia, l’opposizione del senato e la scontentezza dell’esercito fecero sì che il regno di Macrino durasse un solo anno Giulia Mesa, zia di Caracalla, riuscì a far nominare dall’esercito suo nipote imperatore nel 218 d.C., Vario Avito Bassiano, noto come Elagabalo. Il regno di questo ragazzino segna uno dei momenti più oscuri della storia imperiale. La stessa Giulia Mesa impose al nipote di associare al potere il cugino Severo Alessandro. Questa soluzione di compromesso non impedì l’organizzazione di una congiura. Elagabalo fu assassinato nel 222 d.C. e i pretoriani acclamarono il cugino Severo Alessandro imperatore. Il suo regno trasse profitto dal fatto che l’azione di governo fu in mano, per un primo momento, al giurista Ulpiano. All’azione di quest’ultimo si deve il nuovo spirito di collaborazione nei rapporti tra imperatore e senato. Durante il regno di Severo Alessandro si verificò un evento che ebbe conseguenze importanti nello sviluppo della politica estera romana. Nel 224 d.C., in Persia, alla dinastia Arsacide era succeduta quella dei Sasanidi contro i quali i Greci avevano combattuto nel V sec a.C. Animati da uno spirito fortemente nazionalistico, i Persiani scatenarono un’offensiva contro la Mesopotamia arrivando a minacciare anche la Siria. L’intervento di Severo riuscì a bloccare l’offensiva. L’imperatore era appena rientrato a Roma che fu chiamato in Gallia, minacciata da incursioni barbariche. Nel 235 d.C. fu assassinato a Magonza. Finiva così la dinastia dei Severi che aveva provocato un indebolimento della classe dirigente tradizionale e accentuato la forza dell’esercito. Aveva inizio un cinquantennio di lotte militari e civili che avrebbero condotto l’Impero sull’orlo le dissolvimento. (mappe p 256-258) L’anarchia militare Al posto di Alessandro Severo l’esercito proclamò imperatore Massimino. Con il suo regno inizia l’epoca di massima crisi; questo periodo, nel quale si succedono circa 20 imperatori, viene definito come fase dell’anarchia militare. Massimino il trace ottenne dei successi nelle sue campagne contro i barbari. La durezza del suo regime spiega la ritrovata forza di coesione del senato, che giunse a dichiararlo nemico dello Stato. Il senato aderì alla proclamazione del proconsole d’Africa Giordano, a cui si associò il figlio. Quando i due Giordani trovarono la morte, lo stato affidò il governo dello Stato a 20 consoli al cui interno furono scelti come Augusti Pupieno e Balbino. Nel 238 d.C. Massimino mosse alla volta dell’Italia ma cadde assassinato dai suoi soldati. A Roma Pupieno e Balbino furono uccisi dai pretoriani, che a loro volta proclamarono augusto il nipote di Giordano, Giordano III, al quale venne associato il prefetto del pretorio TImisiteo. Alla morte di Giordano III nel 244 d.C. fu acclamato come imperatore Filippo che aveva sostituito Timisiteo nella carica di prefetto del pretorio. Si affrettò a stipulare una pace con il re dei Persiani. Anche il regno di filippo terminò in modo cruento. L’esercito acclamò imperatore il prefetto urbano Messio Decio. Il breve regno tradizionalista di Decio (249-251 d.C.) è caratterizzato dalla volontà di rafforzare l’osservanza dei culti tradizionali. Questo significava per i cristiani una forte discriminazione. Una disposizione imperiale obbligava gli abitanti dell’impero a dimostrare la propria fedeltà ai culti tradizionali. Chi non accettava di fare un sacrificio agli dei e al Genio dell’Imperatore veniva condannato a morte. Decio morì nel 251 combattendo contro i Goti. Sul confine gallico e su quello germanico premevano le popolazioni degli Alamanni e dei Franchi; la frontiera del Danubio erra attaccata dai Goti mentre in Oriente i Persiani si stavano imponendo in Siria. Valeriano, un anziano senatore, arrivò al trono dopo una serie di imperatori miliari (253-260 d.C.). data la gravità della situazione Valeriano associò al suo potere quello del figlio Gallieno, a cui affidò il compito di difendere le province occidentali. La sua campagna contro i Persiani finì tragicamente, Valeriano fu sconfitto a Edessa e fatto prigionieri. Grande impressione suscitò il fatto che egli morì in cattività nel 260 d.C. Gallieno, rimasto solo a reggere l’Impero tra il 260 e il 268 d.C., riuscì a bloccare l’avanzata degli Alemanni e dei Goti, anche se fu costretto ad arretrare la linea di frontiera al Danubio. Di fronte alle ribellioni e alle tendenze delle province a governarsi da sole, Gallieno dovette tollerare che all’interno dell’Impero di P ag .6 1 formassero due regni separatisti. Pero porre rimedio alle continue ribellioni dei comandanti militari sottrasse il comando delle legioni ai senatori e lo affidò ai cavalieri. Gli imperatori illirici L’uccisione di Gallione nel 268 d.C. portò al potere il suo comandante di cavalleria. Claudio II (268-270 d.C.) è il primo di una serie di imperatori originari dell’Illiria. Claudio conseguì due importanti successi: contro gli Alemanni e i Goti. Morto Claudio II di peste nel 270 d.C., la sua opera venne completata da Aureliano (270-275 d.C.) che riuscì ad respingere definitivamente le popolazioni barbariche penetrate nuovamente nella pianura padana. L’imponente cinta muraria con il quale Aureliano fece circondare Roma da un’idea della pericolosità della situazione. Aureliano riuscì a sottomettere i due Stati autonomi costituitisi negli anni precedenti: nel 272 d.C. sottomise la città di Palmira, che venne punita con la distruzione, e nel 274 d.C. fu sconfitto il sovrano del regno separatista delle Gallie. L’unità dell’Impero risultava ricostituita. Aureliano promosse una decisa riorganizzazione dello stato, impose l’inquadramento delle associazioni professionale. Significativa fu la sua riforma monetaria: introdusse una nuova moneta, chiamata antoniano, ma che doveva sostituire la precedente. Ucciso Aureliano nel 275 d.C. ci fu un breve regno dell’imperatore Tacito. Durante il successivo governo di Probo (276-282 d.C.) si ebbero vari pronunciamenti militare e una nuova pressione barbarica sul Reno. Probo riuscì a ottenere significativi risultati su questi fronti, ma fu ucciso mentre preparava una campagna contro la Persia. Il suo successore, Caro, condusse a compimento la campagna conquistando Ctesifonte nel 283 d.C. Nonostante questo successo anch’egli morì per una congiura militare. Stessa sorte tocco ai figli. Diocleziano L’avvento al trono di Diocleziano segna una delle cesure più nelle della storia dell’Impero romano. Con il suo regno (284-305 d.C.) si chiude l’età buia chiamata crisi del III secolo. È un’età di riforme e di novità a cominciare da quella che dava una diversa organizzazione al potere imperiale centrale; a partire da questo momento si fa iniziare la fase del cosiddetto “Dominato”, rispetto a quella precedente chiamata ”principato”. Il regno di Domiziano è contraddistinto da una forte volontà di restaurazione a livello politico-militare, amministrativo ed economico. Per garantire una migliore difesa delle regioni più minacciate spostò la propria sede in Oriente, a Nicomedia. Si deve mettere in rilievo come l’ideologia conservatrice che ispirò le sue riforme ebbe come esito una serie di misure che riorganizzarono la compagine imperiale su basi diverse rispetto a quelle originarie. Diocleziano concepì un sistema in base a quale al vertice dell’Impero c’era un collegio imperiali composto da quattro monarchi, detti tetrarchi, due dei quali erano in rango superiore ai secondi ( rispettivamente detti Augusti e Cesari). Tale sistema aveva come fine quello di fronteggiare le varie crisi regionali attraverso una ripartizione territoriale del potere e di garantire una successione ordinata. Il principio che veniva introdotto era quello della cooptazione: i due Augusti sceglievano i due Cesare e così era previsto che facessero questi due una volta diventati Augusti. Questa riforma fu creata attraverso tappe graduali. Nel 285 d.C. Diocleziano nominò Massimiano come Cesare, con il compito di reprimere le rivolte galliche, e l’anno successivo lo elevò a Augusto. I due Cesare, Costanzio Cloro associato a Massimiliano a Occidente, e Galerio, che affiancava Diocleziano in Oriente, furono proclamati nel 293 d.C. Una delle conseguenze fu quella che ciascun Augusto, affiancato da un Cesare, esercitava il suo governo alternativamente in Oriente e Occidenti. Roma cessò di essere la residenza abituale imperiale. L’esercito venne ulteriormente potenziato, aumentò anche il numero delle provincie, mentre si riduceva l’estensione del loro territorio, evitando così che i vari governatori diventassero troppo influenti. Diocleziano si impegnò anche nella riorganizzazione del sistema economico e riordinò il sistema fiscale con l’introduzione di una nuova forma di tassazione. Il sistema di calcolo si basava sul rapporto tra terra coltivabile (iugum) e il numero di coltivatori (caput). Per semplificare il calcolo l’impero fi suddiviso in 12 unità regionali, delle diocesi. L’Italia perse così il so privilegio di non far parte del sistema provinciale e fu equiparata alle altre regioni. P ag .6 2 Per bloccare la continua ascesa dei prezzi delle merci e dei servizi Diocleziano tentò di imporre, nel 301 d.C., un calmiere con il quale si indicava il prezzo massimo che non era consentito superare. Lo spirito conservatore di Diocleziano si manifesta anche in due editti che tutelano il matrimonio e la messa al bando della setta dei Maniche, seguaci di una nuova religione persiana. In campo militare i successi più significativi riguardarono la soppressione di una serie di rivolte scoppiate in Britannia e in Egitto. Nel 298 d.C. il Cesare Galerio impose ai Persiani una pace gravosa. Nel 305 Diocleziano e Massimiano abdicarono e al loro posto subentrarono i due Cesare. Essi nominarono a loro volta come Cesari Severo e Massimino Daia. Il sistema tetrarchico entrò in crisi alla morte di Costanzo Coloro a York nel 306 d.C., quando l’esercito proclamò imperatore il figlio Costantino, anche il figlio di Massimiliano rivendicò il potere imperiale. La violenta persecuzione scatenata contro i cristiani nel 303-304 d.C. iniziò quando la Chiesa cristiana aveva consolidato le proprie strutture. La fine delle persecuzioni fu ordinata da Galerio nel 311 d.C. (mappa p 264) Da Costantino a Teodosio Magno: la tarda antichità e la cristianizzazione dell’impero Un’età di rinnovamento e non di decadenza Il periodo che inizia con Costantino e che arriva fino a Giustiniano ha caratteristiche diverse da quelle dell’età precedenti. Per dare valore agli aspetti originali di questa lunga età di transizione il termine utilizzato per definire quest’età è Tarda Antichità. Due concetti esemplificano gli aspetti che sembravano caratterizzare in senso negativo la tarda antichità, quelli di Dominato, con riferimento alla posizione dell’imperatore rispetto al sistema, e quello di Stato coercitivo, con riferimento a una società in cui la divisione tra poche categorie privilegiate (gli honesitores) e la grande massa dei deboli (gli humiliores) è sempre più netta. Oggi il pregiudizio negativo sulla tarda antichità può considerarsi superato, perché si è imposta la coscienza della ricchezza delle esperienze culturali e artistiche dei quest’età. Al suo interno si distingue una fase significativa, che inizia con il regno di Costantino e arriva alla morte di Teodosio I (395 d.C.). coincide con il IV secolo. L’impero è diverso rispetto al passato: le esigenze dello stato, per il mantenimento della burocrazia e dell’esercito, impongono un forte pressione sula società. L’irrigidimento che ne scaturisce investe ogni settore, la corte si organizza secondo un preciso cerimoniale ruotante intorno all’imperatore Il governo dello Stato è diretto dai detentori delle più alte cariche civili e militari, secondo rapporti gerarchico. In conseguenza delle riforme dioclezianee l’imperatore non risiede più a Roma, il che comporta il distacco dell’aristocrazia senatoria dagli organismi di potere. In questo periodo si assiste alla scomparsa dell’ordine dei cavalieri, che occupava le principali cariche burocratiche, che viene assorbito da quello senatorio. Il senato non ha più potere reale. Vi si accede dopo aver rivestito la questura. Tuttavia si tratta di magistrature che non implicano capacità decisionale. Ai questori e ai pretori è delegato l’onere di organizzare giochi per la plebe urbana di Roma. Il consolato è ora un titolo onorifico. Nella Tarda Antichità il rapporto con la plebe di Roma è delicato: l’organizzazione dei giochi e la responsabilità degli approvvigionamenti ricade sulle famiglie senatorie. La legislazione, che vuole vincolare alla loro condizione ampie categorie di persone, è un monumento della lotta sostenuta dall’Impero per garantire la propria sopravvivenza. Vi sono rilevanti differenziazioni regionali, la pressione fiscale è un fattore negativo, cui è da ricondursi all’affermarsi del colonato come forma di immobilizzazione della forza-lavoro: il patrocinium è il patrimonio rurale dei grandi proprietari terrieri sui lavoratori alle loro dipendenze. La società che si viene creando non è immobile, le possibilità di ascesa sociale sono fornite dalle necessità dello stato, nell’amministrazione come nell’esercito. Costantino Gli anni che seguirono la morte di Costanzo Cloro e che videro, con la proclamazione imperiale di suoi figlio Costantino e del figlio di Massimiano, il fallimento del sistema tetrarchico. Costantino condusse per alcuni anni una politica prudente, che conosce una svolta nel 310 d.C., quando abbandona ogni legame con i presupposti ideologici della tetrarchia. Mentre Galerio moriva nel 311 d.C. dopo aver ordinato la cessazione delle persecuzioni contro i cristiani, Costantino ebbe la meglio su Massenzio, figlio di Massimiano, nel 312 P ag .6 5 La vittoria del cristianesimo e la risposta pagana La svolta costantiniana a favore del cristianesimo è corroborata da una legislazione antipagana degli imperatori successivi che culmina con Teodosio. La risposta pagana si situa su un piano prevalentemente culturale: a Roma ha un centro di coagulo nell’aristocrazia senatoria, che difende il paganes imo anche per tutelare la propria identità politica. La crisi economica Tra il II e il III secolo d.C. la trasformazione nei sistemi di gestione delle aziende agrarie cui si assiste può essere considerata una manifestazione di una crisi in atto. La villa schiavistica viene abbandonata e la produzione tendeva a essere decentrata su varie unità minori. Le incursioni barbariche che colpirono l’Italia determinarono, con la rottura del limes, la chiusura dei circuiti commerciali mediterranei. Le ripercussioni della crisi che si hanno sull’economia nel corso del III d.C. hanno poco riscontro nelle nostre fonti. Il tipo di Stato che alla fine emerge e caratterizzato da un irrigidimento a tutti i livelli dell’articolazione sociale. Nelle campagne compare una nuova figura, sul piano giuridico, di coltivatore, di s stato libero ma vincolato alla sede in cui lavora. Le innovazioni introdotte da Diocleziano sono importanti: tra queste c’è la perdita da parte dell’Italia della sua posizione privilegiata dal punto di vista fiscale. Conseguenze importanti per l’economia ebbe anche l’istituzione di più capitali che corrispondevano alle aree strategicamente importanti. Si dalla fine del III sec d.C. Roma cessò di essere la residenza dell’imperatore quando Massimiano trasferì la sua residenza a Milano. Tale trasferimento creò in questa città un accresciuto fabbisogno. Le accentuate esigenze fiscali producevano distorsioni nel regime economico e nelle relazioni sociali. Una circolazione limitata di beni fu garantita dall’emergere di nuove classi sociali. La frammentazione politica seguita alle invasioni barbariche provocò nel V secolo d.C. la rottura delle relazioni commercia li all’interno del Mediterraneo, che determinarono un rapido abbassamento demografico e delle condizioni di vita. Cosa si intende per Tarda Antichità Ogni periodizzazione storica reca un aspetto di provvisorietà. La precarietà di ogni periodizzazione deriva dalla ricerca storiche che la precede e la differente sensibilità che le varie epoche manifestano per il loro passato. Un cambiamento profondo si è registrato nella nostra considerazione della delicata linea di demarcazione tra Antichità e Medioevo. Sempre maggiore considerazione hanno avuto gli elementi di continuità. Come momento conclusivo dell’età tardoantica si è accettata l’invasione longobarda per l’Occidente (568 d.C.) e la fine del regno di Giustiniano per l’Oriente (565 d.C.). più controversa è la fissazione del momento iniziale. L’ideologia dell’imperatore tardoantico Per un sovrano, dopo la crisi del III secolo, si trattava di trovare una sorgente di legittimità alternativa al senato cui ci si potesse appellare per tenere a freno gli eserciti. Indebolitasi la necessità di preservare il rapporto con l’élite senatoria, gli imperatori si rivolsero altrove. Ma era necessario trovare uno strumento che fissasse origine e finalità di chi deteneva il potere. Il cerimoniale acquista così il ruolo delicato di riassumere in un codice di comportamento quello che il popolo si aspettava dal sovrano. Il sovrano, immagine dell’ordine divino in terra, è l’incarnazione della perfetta giustizia. D’altra parte il potere del sovrano non deve rendere conto a nessuno, ma non si sottrae alla legge. Un compito specifico del buon sovrano consiste nell’incrementare il sentimento morale dei suoi sudditi. Per questo si presenta come una sorta di riflesso della divinità. La sacralizzazione della figura dell’imperatore ha dietro di se una lunga storia. L’imperatore tardoantico è tale per “grazia divina”. Diocleziano utilizza questo fondamento teologico del potere monarchico per ridare vigore all’Impero romano. Fuori linea è Giuliano, profilandosi come anti-Costantino, egli non può accettare la deumanizzazione della figura del sovrano. Diventa quindi simbolo delle battaglie ideologiche delle generazioni successive. P ag .6 6 Costantino: una figura controversa La crisi dinastica avvenuta alla morte di Costantino, rese evidente quanto irrealistico fosse il suo progetto per il governo futuro dell’Impero. Gli eventi smentivano la propaganda costantiniana: l’Impero era di nuovo lacerato da conflitti di natura religiosa e politica, anche all’interno della sua stessa famiglia. Solo la morte repentina di Costanzo nel 361 d.C. aveva prevenuto la guerra tra i suoi discendenti. L nipote Giuliano moriva nel 363 d.C. combattendo contro i Persiani e contro i cristiani per la restaurazione del paganesimo. La fine della dinastia pone in evidenza il problema della non coincidenza tra destino dell’Impero e quello della Chiesa. Giuliano aveva presentato la figura di Costantino come un dissoluto e dissipatore che cercava nel cristianesimo la religione che gli garantisse il perdono per i suoi peccati, equiparava la rivoluzione costantiniana a un atto eversivo, di rottura con la tradizione che aveva garantito la grandezza dello Stato romano. Una società repressiva La Tarda Antichità è un’età di forti contraddizioni. Essa presenta caratteri autoritari e repressivi. Durante l’età repubblicana l’uso della tortura nel corso di un indagine era riservato agli schiavi. E eccezioni riguardavano i casi di presunta cospirazione contro lo Stato. Questa è la via che rese ammissibile la tortura nei confronti di chiunque fosse sospettato di complottare contro l’Imperatore. A Costantino si deve una costituzione, risalente al 316 d.C., che estendeva la tortura ai membri dell’élite provinciale. Per la stessa condanna a morte di andarono elaborando forme crudeli di esecuzione, quasi come se la sofferenza fosse una forma di espiazione. Come spiegazione per la generale tendenza all’inasprimento delle pene si possono invocare i fattori di natura diversa. Importante in questo processo è la componente di natura politica. C’è un indubbio parallelismo tra i progressi delle tendenze assolutistiche e il connesso sviluppo del culto imperiale. Si aggiungano le difficoltà incontrate dall’amministrazione nel far applicare la legge. Si tratta di fattori riconducibili al trapasso dal regime repubblicano a quello monarchico, la riforma del paganesimo di Giuliano Giuliano, nel breve periodo del suo regno (361-363 d.C.), tentò di promuovere il ritorno al paganesimo. Si impegnò anche in un complesso disegno di riforma della religione pagana. Giuliano riconosce la forza del proselitismo cristiano in virtù della sua organizzazione assistenziale e cerca di ripristinare il primato ideale del paganesimo in questo campo. Pagani e cristiani alla fine del IV secolo d.C. Il dibatto che oppone cristiani e pagani ha il suo momento intellettualmente più alto nella controversia che nel 384 d.C. oppose il prefetto di Roma al vescovo di Milano. La questione, il ripristino in senato dell’altare della Vittoria, può apparire secondaria: in realtà vede un valore simbolico che coinvolge la funzione dell’aristocrazia senatoria negli equilibri dell’Impero alla fine del IV sec d.C. La fine dell’Impero romano d’Occidente L’Impero romano e i barbari Attorno alla metà del IV secolo d.C. i Goti erano la forza predominante nella regione del Ponto. Per buona parte del IV secolo d.C. le relazioni tra Roma e i Goti furono condizionate da un trattato di pace di Costantino del 332 d.C. Il trattato del 332 d.C. contiene un importante elemento di novità, perché poneva le condizioni per l’impiego dei barbari goti come soldati al servizio di Roma. La situazione ebbe una svolta drammatica quando i vari regni gotici entrarono a loro volta in crisi per la pressione esercitata su di loro dagli Unni. L’accordo allora stipulato tra Romani e Goti, autorizzati a insediarsi all’interno delle frontiere imperiali in cambio dell’impegno a fornire soldati in caso di necessità, rappresenta una novità perché non scaturiva da un successo militare. Il trattato nel 382 finì peer consentire definitivamente l’insediamento dei Goti in Tracia, all’interno dell’Impero. L’integrazione di individui, tribù e popolazioni è stata una prassi usuale di Roma, ma P ag .6 7 soprattutto in un settore in cui si nota la presenza sempre più massiccia di Germani, nell’esercito. Per il IV secolo d.C. le fonti letterarie ci consentono di seguire l’evolversi di questo processo che non procede senza contraddizioni. L’influsso dei Germani sulla politica interna romana si basa sulla loro posizione guadagnata all’interno della gerarchia militare. Nell’esercito le possibilità di carriera non erano vincolate all’appartenenza a un ordine. L’esclusione dei senatori dai comandi militari ebbe come conseguenza il cambiamento della base sociale di reclutamento degli ufficiali. In un primo momento, a fronte del massiccio insediamento di barbari, si cercò un apposita legislazione per impedire le unioni miste al fine di ostacolare l’integrazione dei nuovi arrivati. Un altro problema riguarda la durata e l’efficacia del divieto, stabilito da Valentiniano I. è possibile che si sia trattato di un provvedimento di breve durata. La legge di Valentiniano non sembra aver conosciuto applicazione in Oriente. Cristianesimo e mondo barbarico Una considerazione particolare deve essere riservata alla risposta data dalla Chiesa alla questione barbarica. In ma di matrimonio questi uomini si limitano a sconsigliare i matrimoni misti, che tutta via non sono considerati illegittimi. È solo la disparità di culto che sconsiglia le unioni miste. Ci sono anche altri indizi che suggeriscono l’accresciuta rilevanza del problema barbarico come il problema di integrazione. Tre leggi, emanate dal figlio e successore di Teodosio in Occidente, Onorio, tra la fine del IV e l’inizio del V secolo d.C., comminano gravi pene a chiunque assuma modi di vestire e di acconciarsi propri dei barbari. Il risultato più importante del trattato del 382 d.C. fu quello di far si che i Goti venissero insediati da Teodosio nella zona della frontiera danubiana. La divisione dell’Impero; Stilicone. La morte di Teodosio nel 395 d.C. segnò un momento di svolta decisivo nella storia dell’Impero romano tardo. Per la prima volta esso fu diviso territorialmente in due parti tra i figli Arcadio, a cui toccò l’Oriente, e Onorio, a cui toccò l’Occidente. L’esito di tale smembramento risultò rovinoso per l’Occidente, minacciato dalle sempre più frequenti e pericolose incursioni barbariche mentre l’Oriente, superata la crisi gotica del 378 d.C., doveva fronteggiare il tradizionale nemico persiano. Nelle intenzioni di Teodosio il principio unitario doveva essere mantenuto vivo dal generale Stilicone, cui affidò la tutela dei figli. Il compito di Stilicone però si rivelò impossibile da realizzare, in ragione del costante aggravarsi della situazione militare. Nel 398 d.C. Stilicone riuscì a reprimere la rivolta suscitata in Africa, ma all’inizio del V secolo d.C. una serie di incursioni barbariche scosse l’Impero. Nel 402 e nel 406 d.C. anche l’Italia fu invasa dia Goti, guidati da Alarico e Radagaiso. Alla fine del 406 d.C. la frontiera renana fu travolta da numerose popolazioni germaniche. La Britannia si staccava definitivamente dall’Impero, mentre Vandali e Alani varcavano i Pirenei. In una situazione di questo genere era inevitabile che Stilicone cercasse una soluzione di compromesso almeno con i Goti che minacciavano direttamente l’Italia. Il suo piano suscitò la violenta reazione di una parte della corte imperiale. Lo stesso Onorio si schierò contro Stilicone e fu messo a morte a Ravenna nel 408 d.C. Il sacco di Roma Le conseguenze di quest’atto, che privava l’Occidente del suo migliore difensore, si fecero sentire immediatamente. L’Italia fu abbandonata alla mercé di Alarico, che nell’agosto del 410 d.C. entrò a Roma e la saccheggiò. Era la rima volta, dai tempi del sacco Gallico del 390 a.C., che la città cadeva in mano nemica. Dopo aver saccheggiato Roma, Alarico si diresse verso sud. La morte improvvisa di Alarico risparmiò ulteriori traversie all’Italia: i Goti si ritirarono nella Gallia meridionale, dove dettero vita a uno Stato con capitale Tolosa. Il suo successore, Ataulfo, sposò Galla Placida, figlia di Teodosio, e divenne regi na dei Visigoti. Ataulfo fu costretto a trovare per il proprio popolo una sede oltre i Pirenei e nel 415 d.C. fu assassinato. Poco dopo anche i Burgundi diedero vita ad uno Stato autonomo. P ag .7 0 ad assumere un ruolo di primo piano sotto la guida di Carlo Martello, che nel 734 d.C. fermò a Poitiers l’avanzata araba. (mappa p 305) La società romano-germanica L’istallazione sul suolo romano dei barbari avvenne secondo modalità molto differenti. In Britannia si era trattato di una conquista. Nella Gallia meridionale, in Spagna e in Italia l’insediamento dei Germani avvenne sulla base della copertura giuridica di un trattato, che assicurava il rispetto delle istituzioni civili. La stessa cosa può valere anche per l’Africa. Al momento delle invasioni tra i Romani i ceti socialmente più elevati avevano aderito al cristianesimo. La maggioranza de i barbari era cristiana di credo ariano. Gli invasori della Britannia erano Pagani. Ciascun popolo possedeva la sua chiesa nazionale. In taluni casi si pervenne a una piena fusione, in altri si realizzò un dualismo amministrativo, con Romani e barbari sottoposti a gerarchie differenti. L’arrivo dei barbari accelerò nelle varie regione quel processo di allontanamento dl modello di vita classico che aveva interessato ampi strati sociali già a partire dal III secolo d.C. La Gallia e le invasioni barbariche Alla fine del 406 d.C. gruppi di Vandali, Svevi e Alani varcarono il Rodano, proseguendo sino in Spagna. Poco dopo il 470 d.C., quando i Gallia penetrarono anche gli Ostrogoti, tutti il paese era nelle mani degli invasori. Nel 480 d.C. i Franchi occupavano il nord, i Visigoti il sud ovest, i Burgundi la valle del Reno e altre popolazioni erano disperse in insediamenti minor un po’ ovunque. Le invasioni barbariche che sconvolsero la Gallia meridionale avevano suscitato reazioni differenti. Le risposte a una tale situazione materiale e morale potevano essere vaie ma non molte. L’ascetismo rappresentava una delle soluzioni. Il V secolo d.C. rappresentò per l’aristocrazia gallo-romana un’epoca di grave crisi, che la costrinse a riconsiderare le modalità in cui poteva mantenere la propria unità di ceto. Una delle opzioni era la ricerca di un’alta carica ecclesiastica. L’integrazione tra Romani e barbari nei nuovi regni Rispetto alla realtà della presenza dei barbari all’interno dell’Impero registriamo significative manifestazioni di interesse per una collaborazione Nel IV secolo d.C. un ruolo decisivo nell’evoluzione dell’idea dei Goti, da nemici del mondo romano a quella di fondatori di un regno gotico d’Italia, è svolta da Cassidoro, senatore e ministro di Teodorico. Cassidoro si sforzò di trasporre l’ideologia romana nelle realtà politiche del realtà politiche del regno ostrogotico. Teodorico è presentato come il successore degli imperatori romani e il regno ostrogotico come prolungamento dell’Impero romano d’Occidente. In altri termini esprime l’idea di una nazione romano- gotica. Il monachesimo Una delle conseguenze delle invasioni germaniche nel V secolo d.C. fu l’affermarsi del monachesimo in varie forme. C’erano comunità di religioni che vivevano intorno al loro vescovo. C’erano delle vere e proprie fondazioni monastiche. Questo monachesimo provenzale si caratterizza per una mescolanza tra vita in solitudine e in comunità e per le forme moderate di ascesi. I monasteri ebbero inoltre una funzione importante come centri di cultura. Con la fine dell’Impero romano in Occidente era entrato in crisi anche il sistema scolastico. La cultura classica si conservò negli ambienti dell’aristocrazia laica, l’istruzione cristiana avvertiva l’inconciliabilità dei valori morali del cristianesimo con quelli degli scrittori pagani. La conoscenza del greco scompare e la cultura che sopravvisse era legata alla lingua latina. In Occidente non esistevano scuole cristiana. Questa carenza fu colmata da Cassidoro che aveva abbracciato la vita monastica ritirandosi in Calabria, dove fondò un monasteri. Già nel corso della sua attività pubblica aveva cercato di fondare a Roma un centro di alta cultura religiosa. L’impresa non fu realizzata a causa della guerra goto-bizantina. Cassidoro riprese il progetto nel suo monastero, dove fece trasportare una parte della sua biblioteca personale. Il monastero non sopravvisse alla morte del suo fondatore, avvenuta nel 583 d.C., P ag .7 1 anche san Benedetto ricopre un ruolo importante come fondatore della vita monastica. Il monachesimo si dovette dare sin dalle origini un programma educativo originale per trasformare gli uomini che si volevano mettere al servizio di Dio. All’interno dei monasteri il giovane monaco riceveva una preparazione religiosa. La necessità di una formazione adeguata anche per il clero fece sì che sorgessero le apposite scuole episcopali e presbiteriali. Le trasformazioni della città alla fine del mondo antico Le trasformazioni conosciute dalla città romana tra la fine del mondo antico e l’inizio del Medioevo sono diverse a seconda delle vie aree geografiche. In Italia si intrecciano in maniera peculiare elementi di continuità e discontinuità. Nelle zone interne dell’Italia centro meridionale la serie di paesi o villaggi posti su colline o bastioni sta a indicare che in età medioevale ci fu un processo insediativo diverso rispetto al passato. Nella maggior parte delle città il Foro continuò a svolgere la sua funzione di centro economico ma perse il ruolo di direzione politica con il venir meno delle assemblee. La città tardoantica aveva visto al suo interno la trascrizione urbanistica derivante dal processo di dislocazione del potere (Milano, Ravenna). L’età tardoantica è caratterizzata generalmente dalla costruzione di chiese. Questi primi edifici ecclesiastici erano costruiti all’interno delle città o al di fuori. Le chiese altomedioevali si distinguono per le loro piccole dimensioni. L’Italia durante la guerra tra Goti e Bizantini L’età di Teodorico (488-526 d.C.) aveva significato un periodo di relativa ripresa economica. L’agricoltura e il commercio poterono approfittare di un periodo di pace e di una viabilità migliorata. La guerra greco- gotica rese impossibile la consolidazione della ripresa. L’incertezza nell’esito induceva gli occupanti del momento a ogni sorta di arbitrio a spese della popolazione locale. Le città in cui si concentrava la resistenza ostrogota subirono distruzioni del tessuto urbano mentre la fame provocala un grave calo demografico. Bisanzio L’Impero d’Oriente fino al regno di giustiniano Le vicende dell’Impero d’ Oriente risultano distinte da quelle dell’Impero dell’Occidente a partire dal 395 d.C., dal momento della divisione del regno da parte di Teodosio I tra i suoi figli. Si parla di storia bizantina in quanto storia con proprie caratteristiche, il cui inizio e fine sono segnati dalla fondazione della nuova capitale e dalla sua presa da parte dei Turchi (330-1453). L’Oriente era toccato ad Arcadio, un ragazzino, una circostanza che favorì il trasferimento degli effettivi poteri di governo ad altre persone. Nel 399 d.C. una rivolta di Goti fu repressa dalla popolazione di Costantinopoli. Arbitro della situazione divenne il prefetto del pretorio Arbitro. Alla morte di Arcadio (408d.C.) gli successe il figlio Teodosio II, un bambino, in vece del quale governava il prefetto del pretorio. Nel corso del regno di Teodosio II (408-450 d.C.) anche l’impero d’Oriente dovette fronteggiare la minaccia barbarica, gli Unni arrivarono a minacciare Costantinopoli. Nel complesso l’Oriente riuscì a fronteggiare questa fase mantenendo la propria compattezza interna. Teodosio II è ricordato per la sua attività di riordino della giurisprudenza: nel 438 d.C. promulgò la raccolta di leggi imperiali da Diocleziano in poi. L’Impero d’oriente superò senza scosse anche la fase nel quale sul trono si succedettero personaggi di estrazione diversa. A travagliare Bisanzio furono le controversie di natura religiosa. Durante i regni di Leone (457-474 d.C.) e di Zenone (474-491 d.C.) si aggravarono anche i problemi di natura finanziaria. Il regno di Giustiniano Il regno di Giustiniano (527-565) rappresenta per molti aspetti l’estrema conclusione del mondo antico. Il nome di Giustiniano è legato alla sua attività di riordinamento della giurisprudenza. Nel 528 d.C. costituì una commissione che aveva il compito di predisporre una nuova raccolta di costituzioni imperiali. Nel 533 fu pubblicato una sorta di manuale contenente i fondamentali principi giuridici. P ag .7 2 Di grande rilievo fu l’attività edilizia. Forte impulso venne dato al commercio e a nuove attività economiche, tra le quali la produzione della seta. Giustiniano non godette del favore degli storici contemporanei. Noi abbiamo notizia di come egli abbia attuato varie riforme amministrative, cercando di reprimere gli abusi in campo fiscale. Il tumulto scoppiato nel 532 d.C. sta a indicare quanto fossero gravi le difficoltà interne del regno all’inizio. Tra queste un ruolo importante le avevano le controversie dottrinali. La principale era quella che opponeva l’ortodossia e il credo monofisita. Giustiniano aveva interesse a ricercare un’intesa con il papato al fine di rafforzare il suo disegno universalistico però doveva tener conto dei notevoli sostegni che il movimento monofisita godeva in Oriente. Giustiniano non riuscì a portare a una soluzione. Il forte legame di Giustiniano con la vita ecclesiastica spiega la proibizione dell’insegnamento dai pagani che comportò la chiusura della scuola di Atene ne 529 d.C. I problemi interni non distorsero Giustiniano dal disegno di riconquista dell’Occidente. Nel 533 il generale Belisario fece sì che l’Africa, la Sardegna e la Corsica passassero sotto il controllo bizantino. La guerra per i dominio dell’Italia durò dal 535 al 553. Il pretesto per l’intervento fu l’assassinio di Amalasunta. L’Italia diventa una delle prefetture dell’Impero d’Oriente. Nel 554 Giustiniano emanò un provvedimento specifico con il quale stabiliva le modalità attraverso le quali andava stabilita la vita politica ed economica della penisola. Si tratta di un atto attraverso il quale l’applicazione del diritto giustinianeo veniva estesa in Occidente. Nel 568, con l’arrivo dei Longobardi, la restaurazione giustinianea fu interrotta. A seguito della guerra greco-gotica la composizione etnica dell’Italia subì un mutamento. (mappa p 318) Costantinopoli Costantinopoli, inaugurata da Costantino nel 330 d.C., già nel corso del IV secolo contava una popolazione di 100.000 abitanti. Durante il regno di Teodosio II la sua superficie raddoppiò. Una tale densità si spiega con le distribuzioni gratuite di generi alimentari e con un’intensa attività economica. Artigiani e commercianti, organizzate in corporazioni regolate da legge, dovevano soddisfare le necessità. A Costantinopoli il re e la sua corte vivevano all’interno di una cinta muraria, isolati dal resto della città. la vita quotidiana del sovrano si svolgeva secondo un cerimoniale volto a enfatizzare la sacralità del potere. L’imperatore si mostrava al popolo nella basilica di Santa Sofia o nell’ippodromo. La società bizantina La storia del formarsi di una società bizantina ha avuto inizio quando l’impero romano dovette far fronte alla grave crisi che lo afflisse ne corso del III secolo d.C. La società bizantina conobbe un’evoluzione complessa, anche in relazione alle molte trasformazioni subite per le mutate contingenze politiche. Nel passaggio dal mondo romano al mondo bizantino si realizzò l’affermazione di un saldo apparato burocratico. Il governo dell’Impero è retto da burocrati, funzionari con funzioni specifiche al servizio diretto dell’Imperatore. L’esercito mantiene la posizione autonome e una sua capacità di entrare nella dialettica politica. Progressivamente si rafforzò l’idea che l’investitura dell’imperatore fosse concessa dalla grazia Divina. Un altro aspetto tipicamente bizantino è il complesso di simboli che circondano il potere imperiale. La simbologia del potere aveva le sue occasioni di solenne manifestazione. Il rosso della porpora era il simbolo del potere imperiale. L’uso del porpora era riservato solo all’imperatore e ai familiari . La distanza tra il sovrano e il resto della società veniva costantemente ribadita. Gli abitanti dell’Impero non sono cittadini ma sudditi. Pochi individui avevano la possibilità di vederlo di persona. C’è una parola chiave che esprime efficacemente il fondamento sul quale erano regolari i rapporti sociali nell’Impero bizantino: Taxis (ordine), si tratta dell’ordine cosmico: l’ordine terreno è un riflesso di quello cosmico che esige che tutto rimanga nella posizione designata. Lo stesso imperatore si considerava difensore della tradizione romana quanto un campione della fede cristiana. Questa concezione della taxis, come ordine sovrannaturale che regola la realtà terrena, serve a comprendere un altro ideale: quello della mimesis, del modello. L’imperatore stesso ha un modello rappresentato da Gesù Cristo.