Scarica storia romana. Geraci-Marcone pt.2 e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Parte quarta. L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO Capitolo 1. AUGUSTO Azio e la cesura tra la storia repubblicana e storia del Principato Nel 31 a.C. Ottaviano, grazie alla vittoria conseguita ad Azio su Antonio e Cleopatra si trovò ad essere padrone assoluto dello Stato romano. Che veste legale dare al novo potere personale del vincitore? (il precedente era quello di Cesare, che però era stato assassinato) Errore di interpretazione ritenere che il disegno che alla fine emerse dal lungo periodo di preminenza si Ottaviano-Augusto sia stato fin dall’inizio frutto di un suo chiaro e compiuto progetto politico. Non è corretto pensare neppure il contrario. Ciò che noi pensiamo come “definito” è stato il frutto di continui aggiustamenti e ripensamenti pur connessi a una logica di fondo. Ciò che noi chiamiamo “impero” si è venuto formando attraverso una serie di passaggi (non un improvviso atto rivoluzionario), che possono essere stati concepiti da chi li ha vissuti come un adattamento naturale e graduale. 31 a.C.--> data con cui convenzionalmente si fa iniziate il Principato il regime istituzionale incentrato sulla figura di un reggitore unico, il princeps. Compimento di quel processo di personalizzazione iniziato con la Tarda Repubblica. A differenza della Repubblica, la razionalizzazione dell’amministrazione attuata da Augusto e dai suoi successori ha implicato una progressiva integrazione in senato delle élite delle diverse regioni dell’Impero e il ruolo politico e sociale degli eserciti dislocati nelle province Storia dell’impero come storia di quel processo di integrazione di territori e popolazione rispetto al centro del potere Il rapporto con gli organismi repubblicani e il potere del principe: la translatio dello Stato al volere decisionale del senato e del popolo romano nel 27 a.C. - 35-33 a.C. trionfo di Augusto per le campagna dalmatiche - 31 a.C. vittoria di Azio - 30 a.C. vittoria sull’Egitto Gli anni dal 30 al 27 furono determinanti per l’impostazione del progetto ottavianeo di ritorno alla normalità senza rinunciare all’acquisita posizione di preminenza Dall’anno 31-23 Ottaviano-Augusto venne ininterrottamente eletto console, in una posizione di chiara preminenza fino al 28 a.C. Nel 27 a.C. Ottaviano entrò nel suo settimo consolato (avendo come collega Agrippa). Ottaviano rinunciò formalmente a tutti i suoi poteri straordinari, accattando solo l’imperium proconsolare per dieci anni sulle province non pacificate (Spagna, Gallia, Cipro, Siria…). Qualche giorno dopo il Senato lo proclamò “Augusto” non più legato alla sfera politica, bensì a una dimensione sacrale, religiosa (augere: innalzare). Si aggiunsero la concessione della corona civica fatta di foglie di quercia e l’onore di uno scudo d’oro (testimoniato nell’opera Res Gestae). La sua politica, tuttavia, si fondava sul compromesso con la tradizione senatoriale repubblicana. La nuova organizzazione dello Stato rappresentava il definitivo superamento delle istituzioni, ormai non più adeguate, della città-stato. Il principe si pone come un punto di riferimento e di equilibrio fra le diverse componenti della nuova realtà, che ormai poteva dirsi imperiale (comprendente le province) La crisi del 23 a.C. Dal 26 al 23 Augusto continuò ad essere eletto console fino alla sua 11esima volta. 27-25 si recò in Gallia e successivamente nella Spagna settentrionale dove combatté contro gli Asturi e i Cantanbri In tal modo dimostrava di provvedere con solerzia alla pacificazione dei territori provinciali e, nello stesso tempo, rafforzava il contatto con l’esercito e con i veterani. Augusto alternerà dei periodi circa triennali di permanenza nelle province a periodi circa biennali di permanenza a Roma, in modo che l’assestamento del nuovo ordine potesse compiersi gradualmente e in modo da rispettare l’usuale prassi secondo la quale a Roma governavano il Senato, il popolo e i magistrati, mentre lui, come console prima e come promagistrato dopo il 23 a.C., non si sottraeva al compito di trattenersi nelle province che aveva avuto il mandato di pacificare. Nel 23 a.C. si verificò una grave crisi In Spagna Augusto si era seriamente ammalato e si sentì in fin di vita. In linea di principio il problema non esisteva in quanto i poteri conferiti ad Augusto era individuali e non trasmissibili ad altri. Con la sua morte la gestione della cosa pubblica sarebbe tornata agli organi istituzionali. Nel 23 a.C. la scomparsa prematura di Augusto avrebbe potuto riaprire il flagello delle guerre civili - In assenza di figli maschi, Giulia, sua unica figlia da lui avuta da Scribonia (sorella del suocero di Sesto Pompeo) era divenuta il fulcro delle sue strategie politiche. I suoi progetti si appuntarono su Marcello (figlio di Ottavia, sorella di Augusto) che aveva sposato Giulia e sugli eventuali nipoti. Ma Marcello morì e Giulia fu data in moglie ad Agrippa, il grande e fedele generale, che divenne così un possibile aspirante a succedergli. Augusto depose il consolato e ottenne un imperium procunsolare che gli consentiva di agire con i poteri di un promagistrato su tutte le province, anche quelle che nel 27 a.C. erano riservate al popolo. Questo potere, che fu definito imperium maius (23 a.C), non consentiva però ad Augusto, quando si trovava a Roma, di agire nella vita politica. Per ovviare a tale provvedimento il principe ricevette dal Senato il potere di un tribuno della plebe alla potestà tribunizia il Senato aggiunse il diritto di convocare il senato. In questo modo Augusto continuava a detenere poteri che, presi isolatamente, erano compatibili con la tradizione repubblicana. Del tutto incompatibile con essa era, invece, il fatto che venissero detenuti contemporaneamente. La rinuncia alla carica di console la lasciava aperta alla vecchia aristocrazia senatoria, soprattutto da quando furono aggiunti i consoli detti “suffetti” (a partire dal 5 d.C.) Le elezioni erano controllate da Augusto attraverso due procedure, la nominatio, cioè l’accettazione della candidatura da parte del magistrato che sovraintendeva all’elezione e la commendatio, la raccomandazione da parte dell’imperatore stesso. All’assemblea popolare fu assegnato un ruolo del tutto marginale, mentre si perseguiva una sorta di equilibrio tra principe e senato. I comizi ratificavano infatti i candidati scelti da 10 apposite centurie miste di cavalieri e di senatori, che li designavano d’accordo con l’imperatore. Il perfezionamento della posizione di preminenza Nel 22 a.C. Augusto assunse la cura annonae, cioè l’incarico di provvedere all’approvvigionamento di Roma. Nel 19-18 a.C.--> potere di censore (insegne dei consoli: 12 littori che portavano i fasci e la sella curulis). 23 a.C.--> Agrippa riceve un imperium pronconsulare di 5 anni, grazie al quale si recò in Oriente. 22-19 a.C.--> Augusto si portò sul confine orientale, dove era necessario sistemare la questione partica ed armena (attraverso una trattativa riuscì a recuperare le insegne delle legioni di Crasso e Marco Antonio gli emblemi recuperati furono trasferiti nel tempio di Marte Ultore). Intanto Agrippa ritornava a Roma e sposava la figlia di Augusto, Giulia. Nel 18 a.C. Augusto si vede confermare i suoi poteri e Agrippa pura, con l’aggiunta della tribunicia potestas, andando in tal modo a rendere la sua posizione sempre più vicina a quella del princeps. 20 Agrippa riceve da Giulia un figlio Lucio Cesare e nel 18 Caio. Nel 17 Augusto li adottò entrambi. Nel 12 morì Lepido e Augusto divenne anche pontifex maximus. 2 a.C.--> Augusto ricevette dal senato, i cavalieri e il popolo il titolo di pater patriae. province. Successivamente denaro. erario militare (6 d.C.) garantito da una tassa sull’eredità per tutti i soldati che avessero compiuto una honesta missio (certificato di servizio onorevole) Servizio militare volontario per italici, ma erano apprezzati anche i provinciali. Volontari che restavano in servizio per più di 20 anni e che ricevevano un soldo di 225 denari l’anno. Si costituì una forza permanente attiva di 25 legioni, ciascuna delle quali era designata da un numero e da un nome. Istituzione di una guardia pretoria permanente, affidata al comando di un prefetto di rango equestre (9000 uomini) cittadini romani. Truppe ausiliarie di fanteria e cavalleria chi vi aveva militato, al congedo, otteneva la cittadinanza romana sotto ufficiali romani o capi di tribù locali. La flotta stazionava a Miseno e Ravenna anche i marinai, dopo esser stati congedati, divenivano cittadini romani. Politica estera dopo il 10 a.C. chiusura del tempio di Giano: fine della stagione della guerra. Preferì affidare alla diplomazia le questioni orientali: - Egitto estesi i confini meridionali grazie all’azione di Gallo che concluse un accordo con gli Etiopi. Il secondo prefetto d’Egitto si spinse fino allo Yemen per le vie commerciali con l’Oriente. - Confini con il regno partico (Armenia) risolti con la diplomazia nel 20 Roma era riuscita a farsi restituire le insegne di Crasso e Antonio da parte di Fraate IV. Poi Tigrane II divenne re cliente di Roma+ collaborazione dei sovrani con gli Stati contigui: 1) Erode, re di Giudea 2) Archelao, re di Cappadocia 3) Polemone, re del Ponto Trattati di amicizia, tantoché furono definiti regni-clienti di Roma. Scontri militari Occidente - Penisola iberica pacificata - Nel 25 sottomessi i Salassi della Val D’Aosta + fondazione di Augusta praetoria - Nel 20 Balbo estese il controllo nell’Africa meridionale e sud-occ contro i Garamanti - Arco alpino centrale (alto Danubio) da Augusto, Tiberio, Druso - Conquistata la Pannonia (Ungheria) - Conquistata la Mesia (Bulgaria) Mancata sottomissione della Germania. Superato il Reno con Druso nel 9 a.C., ma nel 6 a.C. scoppia una grande rivolta delle tribù germaniche. Foresta di Teutoburgo: Varo fu sconfitto da Arminio + 3 legioni annientate. La frontiera doveva rimanere il Reno La successione I poteri di Augusto (la sua auctoritas) non costituivano una vera e propria carica a cui qualcuno potesse succedere dopo la sua morte, né tali poteri e tale posizione potevano essere trasmessi secondo un principio dinastico proprio delle monarchie ellenistiche. Augusto doveva trovare il modo affinché la sua posizione di potere non andasse perduta. La prima preoccupazione di Augusto fu quella di integrare la propria famiglia nel nuovo sistema politico celebrandone l’ascendenza divina (i capostipiti sarebbero stati Venere ed Enea). Nella sua figura di pater familias sottolineava il carattere romano della propria gens, allargando l’idea del suo prestigio anche ai più stretti amici e collaboratori. Il ruolo di primo piano assunto dalla domus principis gli consentiva di trasferire al proprio erede anche le clientele e il prestigio Agrippa, essendo vicino alla sua cerchia, acquistava di conseguenza un certo prestigio. L’erede scelto avrebbe avuto un prestigio che gli garantiva un accesso privilegiato alla carriera politico-militare e un ruolo singolare nella res publica. la potestà tribunizia e l’imperium sarebbero state assegnate al momento stesso della successione. - Fu attraverso il matrimonio di Giulia con il nipote Marcello, figlio di sua sorella Ottavia che Augusto cerò, per la prima volta, di inserire un discendente maschio nella famiglia. Marcello si ammalò e morì nel 23 a.C. - La seconda personalità a cui Augusto fece attribuire poteri analoghi a quelli da lui cumulati fu Agrippa, il quale divorziò dalla prima moglie e sposò Giulia, vedova di Marcello e ricevette l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia. Nel 12 a.C. Agrippa morì. - Augusto insisté quindi con Caio e Lucio Cesari, ma erano troppo giovani e Agrippa era già morto - Augusto si rivolse ai figli della terza moglie Livia, nati dal primo matrimonio di questa con Nerone: Tiberio e Druso. Tiberio aveva sposato una delle figlie di Agrippa, ma dovette divorziare e sposare Giulia. Esercitò due volte il consolato, si distinse per le sue campagne germaniche, ottenne la potestà tribunizia, ma poi si ritirò nell’isola di Rodi (forse a causa della propensione di Augusto per Lucio e Caio morirono nel 2 d.C. e nel 4 d.C. o forse a causa del pessimo rapporto con Giulia) Giulia fu esiliata persino dal padre a causa di uno scandalo a causa dei suoi amanti Augusto pretese da Tiberio che adottasse Germanico, figlio di suo fratello Druso e di Antonia (figlia di Ottavia, sorella di Augusto) anche se Tiberio avesse un proprio figlio di nome Druso minore Tiberio adottò Germanico e Augusto adottò Tiberio. Successivamente a Tiberio furono attribuiti la potestà tribunizia e l’imperium proconsolare. Nel 13 d.C. celebrò il trionfo sui Germani e gli venne conferito un imperium pari a quello di Augusto. alla morte di Augusto, quindi, esisteva una personalità con pari poteri in campo civile e militare che poteva ereditare l’influsso e il carisma che Augusto aveva reso una prerogativa della propria casa. L’organizzazione della cultura Il programma edilizio di Augusto mirava a completare i progetti di Giulio Cesare e a celebrare propagandisticamente il ritorno della tradizione repubblicana. La celebrazione della figura di Augusto avveniva regolarmente anche in pubbliche cerimonie, nella monetazione, nella letteratura, nel coinvolgimento degli intellettuali nella promozione del suo programma di restaurazione morale all’interno dello Stato e di pacificazione all’esterno. Le Res Gestae a tal proposito sono un documento molto importante nel quale è lo stesso Augusto a ripercorrere le tappe del suo operato, illustrando in che modo abbia reso il mondo soggetto al potere del popolo romano e abbia portato pace e prosperità. Anche attraverso le opere di storici come Tito Livio o dei grandi poeti dell’Età Augustea possiamo intendere quali fossero i messaggi, le idee e la politica culturale dell’epoca (Virgilio nelle Eclogiche e nelle Georgiche canta la pace che il nuovo regno ha garantito e il ritorno della sicurezza della vita dei campi, nell’Eneide celebra Enea come antenato di Augusto, Orazio, Properzio, Ovidio celebrata l’estensione dei confini fino all’ecumene, la sottomissione dei popoli non ancora assoggettati, la vendetta sui Parti, la celebrazione della figura di Augusto come il provvidenziale salvatore della romanità). L’adesione degli intellettuali al programma del principe si doveva in gran parte a Mecenate che con un’opera di persuasione (o chi era in difficoltà come Orazio e Virgilio) riuscì a legare i poeti e gli artisti agli ideali della politica augustea. Sappiamo con certezza però anche dell’esistenza di voci contrastanti nel panorama intellettuale e culturale: lo stesso Ovidio dopo un primo periodo passato con Mecenate fu relegato a Tomi nel Ponto, accusato di aver scritto carmi che non erano in linea con la riforma dei costumi (oppure Asinio Pollione o Timagene) Istituzione di un culto della sua persona Ludi saeculares, 17 a.C. per proclamare la rigenerazione di Roma, o le celebrazioni dei giochi che si tenevano ogni 4 anni a Nicopoli (la città fondata ad Azio per celebrare la vecchia vittoria). Il nome di Augusto era inserito nelle preghiere del collegio sacerdotale dei Salii, il suo compleanno festeggiato pubblicamente e bisognava rendergli omaggio anche privatamente. In Occidente, il culto di Roma era affiancato a quello di Cesare divinizzato, o venivano costruiti templi in onore del Genio di Augusto, ma non direttamente alla sua persona. In Oriente istituzione di un vero e proprio culto dell’imperatore celebrato insieme alla dea Roma. In Occ fa eccezione la creazione di un altare del culto di Roma e Augusto a Lugdunum (Lione) + altri altari in Germania, sul Reno, sull’Elba. Carriera equestre in età imperiale. Comandi militari: comando di un reparto della fanteria ausiliaria (cohors), comando di un reparto legionario (tribunus militum angusticlavius), comando di un reparto della cavalleria ausiliaria (ala). Procuratele finanziarie, procuratele di alcune province. Questi due tipi diversi di procuratele non venivano rivestiti secondo un ordine prefissato. Talvolta i cavalieri potevano detenere il comando di una delle due flotte imperiali di Miseno e di Classe. Infine, le grandi prefetture: praefectus Aegypti (governatore della provincia d’Egitto), praefectus praetorio (cavaliere più importante dell’Impero), praefectus annonae (responsabile dell’approvvigionamento della città), praefectus vigilum (comandante dei vigili del fuoco). Il cursus honorum senatorio in età imperiale nella documentazione epigrafica in ordine dalla più bassa alla più alta o inverso oppure personalizzato in cui si collocano le cariche secondo criteri diversi per esempio quello geografico (posizione preminente sempre consolato). - Vigintivirato denominazione di diversi collegi magistratuali con diverse funzioni: 1) Decemviro per il giudizio delle controversie 2) Triumviro per la pena capitale 3) Triumviro monetale coniazione 4) Quattuorviro per la cura delle vie, sotto la supervisione degli edili Il numero complessivo dei magistrati che detenevano queste quattro diverse funzioni era appunto 20 Un anno di servizio militare (in età imperiale due tipi di tribunato militare, uno senatorio e l’altro equestre la toga era ciò che distingueva i diversi tribuni) come tribunus militum laticlavius Questore: 1) Urbano (tesoriere del senato) 2) propretore delle province (amministrazione finanziaria delle province del popolo) 3) questore del principe (portavoce imperatore in senato) 4) questore del console (portavoce console in senato) Tribuno della plebe/aedilis. (I Patrizi potevano saltare questo grado). Aedilis curulis poteva essere ricoperto anche dai patrizi. Le due magistrature erano considerate sullo stesso piano Pretore: 1) Urbano cause giudiziaria che vedevano coinvolti due cittadini romani 2) Peregrino che amministrava la giustizia nella cause in cui almeno una delle due parti non aveva la cittadinanza romana Aerarii, incaricato della sovrintendenza dalla cassa statale, aerarium. Ex pretori -> comandanti in capo della legione (legatus legionis), governatori di province minori (Legatus Augusti pro praetore provinciae) Console Ordinari (in vigore dal primo gennaio con funzione eponima) riteneva un gesto sacrilego. Questa richiesta aveva oltretutto risvegliato vecchi conflitti fra Ebrei e Greci. Nel gennaio del 41 d.C. Caligola cadde vittima di una congiura organizzata dai pretoriani. La sua morte evitò che scoppiasse un vero e proprio conflitto in Giudea. Questi episodi li conosciamo grazie alla narrazione di Flavio Giuseppe storico di origine ebraica e che scrisse una storia del rapporto fra gli Ebrei e il loro rapporto con i sovrani ellenistici e con Roma (che riceverà la cittadinanza romana sotto Vespasiano 69-79 d.C.) e del filosofo ebreo di Alessandria Filone, uno degli ambasciatori inviati a Gaio per chiedere la tutela dei propri diritti. Il breve Principato di Caligola rappresenta un episodio premonitore dei rischi inerenti alla struttura stessa del Principato esposto ai rischi di involuzione autocratica e assolutistica. Claudio (41-54 d.C.). Zio di Caligola, le fonti lo dipingono come uno sciocco e inetto, dedito a manie erudite. In realtà è il suo stesso regno a contraddire questa presentazione. Malgrado il suo rispetto per il Senato, Claudio attuò una significativa riforma: l’amministrazione centrale fu divisa in quattro grandi uffici: 1) un segretariato generale per le finanze 2) – a patrimonio per le finanze 3) – ad epistulis – per le suppliche 4) per l’istruzione dei processi da tenersi davanti all’imperatore – a libellis. A capo di questi uffici vennero chiamati dei liberti ed è per questo che l’Impero di Claudio è ricordato come «regno dei liberti». Creò anche nuove soluzioni ai problemi di approvvigionamento granario, sistema che vide un netto miglioramento e idrico. Costruì il porto di Ostia, per consentire l’attracco alle navi granarie di grande tonnellaggio, che prima abitavano a Pozzuoli. L’organizzazione delle distribuzioni granarie fu probabilmente tolta dalle mansioni senatorie e assegnata al prefetto dell’annona. Costru’ un nuovo acquedotto e bonificò la piana del Fucino Concesse ai notabili della Gallia Comata il diritto di accedere al senato e ci mostra il suo interesse nei confronti delle province (testimoniato da una tavola di bronzo scoperta a Lione) La sua politica di integrazione è attestata anche da altre opere: intensa opera di fondazione di colonie in Britannia, Germania, Mauretania e altre regioni imperiali; la concessione della cittadinanza ad alcune popolazioni alpine (Tabula Clesiana) e il grande numero di diplomi militari che garantivano l’inserimento nella cittadinanza romana Nella prima parte del suo impero dovette chiudere alcune questioni rimaste aperte del Principato di Caligola. Affrontò la guerra in Mauretania a cui pose fine con l’organizzazione di due province, affidate a procuratori equestri (propretori) e anche la questione orientale fu oggeto di un suo intervento di modifica dell’assetto dei regni clienti istituiti da Caligola. La preoccupazione di prevenire disordini e tumulti fu anche all’origine del provvedimento di espulsione degli Ebrei da Roma adottato nel 49 d.C., ma che riacquistarono tutti i loro diritti in Oriente, tutelando quelli della poleis greche. L’impresa militare più rilevante di Claudio, fu infine, nel 43 d.C., la conquista della Britannia meridionale, che fu ridotta a provincia. Il regno di Claudio è caratterizzato dagli intrighi di corte. (Sposò la dissoluta Messalina da cui ebbe un figlio Britannico, e lei fu messa a morte perché accusata di cospirare contro il marito). Nel 54 d.C. Agrippina (prima sposata con Enobarbo) non esitò ad avvelenare Claudio pur di assicurare al figlio la successione al trono. La società imperiale Era dato per scontato che vi dovesse essere un’articolazione e una differenza formalmente riconosciuta dello status giuridico delle persone. Augusto si occupò di definite le differenze dei ceti dirigenti a Roma (senatori ed equites). Si occupò anche di regolare i privilegi, lo statuto e l’articolazione degli altri gruppi che componevano la società, oltre a prevedere dei meccanismi di promozione sociale. La schiavitù era divenuta un fenomeno caratteristico della società e dell’economia a partire dalla tarda Repubblica. Grandi quantità di schiavi erano impiegate dell’agricoltura dai proprietari di vaste tenute (villa schiavile tardo repubblicana), ma vi era anche una notevole presenza di schiavi domestici impiegati anche in attività artigianali e di schiavi di origine greca più istruiti, impiegati nell’ambito dei ‘servizi’ (istruzione, medicina etc.). Poi c’erano gli schiavi imperiali, la familia Caesaris, impiegati nell’amministrazione e nella gestione finanziaria del patrimonio imperiale organizzati secondo vere e proprie gerarchie. Gli schiavi a capo di dipartimenti finanziari potevano essere anche più ricchi di esponenti del ceto senatorio. Ricchezza e potere non davano automaticamente accesso ad un ceto superiore, anche se ne aiutavano a costituire i presupposti. Il liberto era uno schiavo che acquistava la sua libertà (poteva riceverla sia durante la sua attività, sia grazie a disposizioni testamentarie), anche se rimaneva comunque legato al proprio ex padrone da un rapporto di clientela e spesso anche di prestazione lavorativa e aveva delle limitazioni nella vita pubblica (p.es. accesso alle magistrature a Roma e nei municipi) Era comunque il ceto economicamente più attivo in vari settori dell’economia e soprattutto aveva grosse potenzialità nella scalata sociale potevano raggiungere forme di promozione sociale ricoprendo cariche all’interno delle associazioni professionali e dei collegi. Nella casa imperiale lo spirito d’iniziativa dei liberti si espresse ai massimi libelli, dato che le possibilità avanzamento a corte, nella gestione pubblica/privata del governo erano enormi. I quattro liberti di Claudio: Callisto, Pallante, Polibio, Narcisso ottennero la direzione dei nuovi sevizi amministrativi. I provinciali liberi che comprendeva gli abitanti delle poleis greche così come quelli dei villaggi dei Britanni o i nomadi del deserto. Come testimoniato dalla lettera inviata da Claudio agli abitanti di Alessandria per ristabilire l’ordine dopo il conflitto tra Greci ed Ebrei che aveva turbato la città sotto Caligola (lettera che ci è pervenuta da una copia su papiro) l’imperatore poteva intervenire nelle questioni interne relative allo status e ai privilegi dei diversi gruppi cittadini. Il princeps poteva anche concedere la cittadinanza a singoli individui, a intere città o categorie di persone. I cittadini romani, ricordiamo, godevano infatti di particolari garanzie personali e dell’immunità da tasse e obblighi che invece gravavano sui provinciali, anche se tali privilegi materiali vennero via via diminuendo. Una volta ottenuta la cittadinanza, anche per i provinciali il passo successivo di promozione sociale era l’accesso ai due ceti dirigenti, l’ordo senatorius e il ceto equestre. Si è visto sopra come Claudio si impegnasse per l’entrata in Senato dei notabili della Gallia Comata, ma già il servizio svolto nei quadri dell’esercito poteva costituire per i provinciali un motivo di promozione I cittadini romani delle province potevano infatti raggiungere posizioni importanti nella carriera equestre, grazie al patronato e alle raccomandazioni di ufficiali superiori che segnalavano all’imperatore i meriti e i talenti dei loro sottoposti L’esercito, accanto al denaro, fu dunque uno dei fattori più importanti di promozione sociale nel corso dell’età imperiale. I veterani delle legioni, una volta terminato il loro servizio, entravano a far parte delle élite municipali e facevano acquisire prestigio alla loro famiglia, arrivando essi a rivestire le magistrature locali Nerone (54-68 d.C.) Il principato di Nerone fu impostato su premesse del tutto diverse da quelle augustee. Il mutamento di concezione del potere del princeps si evince già nel De Clementia, opera composta nel 55 d.C. da Anneo Seneca, filosofo precettore di Nerone, una sorta di “programma di governo” per Nerone. L’ideologia augustea che sottolineava il permanere nella responsabilità di governo a popolo e senato, appare completamente superata: da Augusto in poi, secondo Seneca, la res publica è nelle mani di una sola personalità, il potere e la ricchezza sono assoluti e dono dagli dèi e implicano per il principe la responsabilità di porre virtus e clementia alla base delle proprie azioni. Inizialmente Nerone assecondò l’influenza di Seneca e di Burro, ma se ne distaccò progressivamente per inclinare verso una linea teocratica e assoluta del potere imperiale. Fu un grande ammiratore della Grecia, dell’Oriente e dell’Egitto, luoghi che gli fornirono spunti che trasformarono in senso assolutistico e monarchico il potere imperiale, provocando l’opposizione senatoria dei gruppi tradizionalisti e delle antiche famiglie repubblicane. Fu sempre considerato un imperatore vicino alla plebe che ne apprezzava l’istrionismo e la demagogia. Si macchiò di gravi delitti: fece assassinare il fratellastro Britannico, fece uccidere la madre Agrippina che ostacolava la sua relazione con Poppea e opponeva il suo divorzio da Ottavia figlia di Claudio. Nel 62 d.C. divorziò da quest’ultima per sposare Poppea e nello stesso anno iniziarono anche i processi di lesa maestà a carico di alcuni senatori, con cui Nerone cercava di annientare l’opposizione ed eliminare gli ultimi nobili. Il dispotismo di Nerone culminò nel 64 d.C. con l’incendio di Roma, del quale fece incolpare i cristiani. Non sappiamo se quanto ci narrano le fonti circa la sua follia incendiaria corrisponda a verità. Di certo, i costi per la ricostruzione furono altissimi e esacerbarono alcune situazioni di tensione sia con il senato e la plebe, sia nelle province, e provocarono una forte perdita di consenso. Cercò di rimediare con un’importante riforma monetale: riduzione di peso e di fino della moneta d’argento, il denario, la moneta principale sulla quale si basava l’economia del mondo romano progetto legato al grande programma edilizio che comprendeva anche la costruzione della sua dimora, la domus aurea. Nelle province, in particolare in Britannia, già nel 60 d.C. vi era stata una grave ribellione delle popolazioni locali causate anche dal duro comportamento dei procuratori imperiali impegnati nelle esazioni fiscali. Parimenti in Giudea la requisizione, nel 66 d.C., di parte del tesoro del Tempio di Gerusalemme, fu uno dei motivi di una violenta ribellione nei confronti dei Romani. Per rimpinguare le casse statali, Nerone avrebbe anche utilizzato il sistema dei processi e delle conquiste, rendendosi sempre più inviso alla nobiltà senatoria. Nel 65 d.C. fu minacciato dalla «congiura dei Pisoni», dal nome di uno dei suoi cospiratori C. Calpurnio Pisone, ma che coinvolse vari strati sia dell’senatori sia di quello dei cavalieri. Seneca e Fenio Rufo, prefetto del pretorio furono uccisi, ma anche nell’anno successivo il princeps proseguì nell’eliminazione degli avversari. Ottenne qualche successo sul fronte orientale. Un suo valoroso generale, Domiziano Corbulone, riuscì ad avere la meglio sui Parti e a riportare l’Armenia sotto l’influenza romana il re Tiridate fu incoronato da Nerone a Roma nel 66 d.C., in una fastosa cerimonia che la propaganda imperiale non mancò di sottolineare, chiudendo il tempio di Giano e proclamando la pacificazione dell’impero. Assicurata la situazione romana, Nerone partì per un tour della Grecia a scopo artistico e agonistico e ai giochi di Corinto, proclamò la libertà delle città greche. In Giudea era scoppiata una ribellione contro cui Nerone aveva inviato Muciano, legato di Siria, e Vespasiano, comandante delle truppe di Giudea; mentre Vespasiano riusciva a riportare sotto controllo la situazione in Palestina, giunse a Roma la notizia della ribellione del legato della Gallia Lugdunensis. La ribellione fu presto domata, ma fu solo l’inizio di una catena di sollevazioni: seguirono quella del governatore della Spagna, dell’Africa, delle truppe del Reno. Anche i pretoriani abbandonarono Nerone e il senato lo dichiarò «nemico pubblico» riconoscendo come nuovo princeps Galba. Non gli restava che suicidarsi. La sua fine segna anche quella della dinastia Giulio-Claudia. La mancanza di una soluzione preordinata per la successione fu la causa di una grave crisi che fece rivivere per breve tempo all’Impero lo spettro delle guerre civili. Capitolo 3. L’ANNO DEI QUATTRO IMPERATORI E I FLAVI Complessivamente godé di un certo consenso, se non per l’opposizione da parte di alcuni senatori filosofi cinici e storici, che reclamavano una maggiore considerazione delle prerogative senatorie. Vespasiano reagì mettendo a morte lo stoico Prisco e bandendo alcuni filosofi da Roma. Tito (79-81) Vespasiano aveva basato la sua legittimazione sulla lex de imperio e anche per la successione seguì lo stesso sistema, cioè quello avviato da Augusto. Tito oltre ad aver ricoperto insieme al padre alcune magistrature, era anche stato prefetto del pretorio (pur non appartenendo all’ordine equestre, ma a quello senatorio). Già nel 71 d.C. aveva ricevuto l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia ma anche i titoli di Augusto e di pater patriae. Alla morte del padre il suo avvicendamento avvenne senza problemi di sorta. Il suo regno breve e funestato da forti calamità naturali, tra cui la rovinosa eruzione del Vesuvio del 77 d.C. (in cui morì Plinio il Vecchio) La sua popolarità era legata ad una politica di munificenza (fastosa generosità), giustificata anche dagli eventi catastrofici. Domiziano (81-96) Stile politico autocrate e inviso al Senato, ma non per questo non benefico per l’Impero (vittima della tradizione storiografica). Si preoccupò dell’amministrazione delle province, di reprimere gli abusi dei governatori e di promuovere i compiti burocratici del ceto equestre, assegnando loro alcuni degli uffici che Claudio aveva sottoposto a dei liberti, come l’ab epistulis e l’ab patrimonio. Scelse di rinunciare a ulteriori campagne militari a favore del consolidamento della frontiera Dopo una campagna combattuta nell’83 d.C. in Germania, sul Medio Reno, contro i Chatti, il territorio fu controllato attraverso l’impianto di accampamenti fortificati (collegati da una rete di strade) e con i forti presidiati dai soldati ausiliari sul limes (il confine dell’impero). Fu segnata la linea esterna di confine oltre il Reno (tra il fiume Lahn e il fiume Meno), attraverso la costruzione di imponenti opere difensive, che collegavano tra loro gli accampamenti degli auxiliarii. La linea avanzata aveva alle spalle la serie dei castra in cui stazionavano i legionari. In questo modo Domiziano provvedeva anche alla sicurezza di tutta la zona a sud della linea del limes. La parola limes, che nel I secolo designava le strade che si inoltravano nei territori non ancora conquistati, dotate di posti fortificati e destinate a facilitare la penetrazione romana, passò infatti ad assumere il significato di frontiera artificiale, in cui le strade limitanee servivano a collegare tra loro gli accampamenti e di fatto a disegnare la linea di separazione tra l’Impero e i territori esterni. Specialmente in Oriente e in alcune zone dell’Africa le zone del limes furono tracciate a rete a sorveglianza delle vie carovaniere, delle piste della transumanza, delle oasi del deserto, così da includere le zone ancora sfruttabili dal punto di vista agricolo. In altri casi, per esempio quello di Antonino di Britannia, il limes fu costituito da una linea di castra fortificati, collegati tra loro e difesi a nord da un vero e proprio muro di pietra, costeggiato da un fossato, che delimitava il territorio provinciale. 85 d.C. problema della Dacia (attuale Romania), nella quale il re Decebalo era riuscito a unificare le varie tribù e a guidarle in varie incursioni con i Romani. Prima campagna non ebbe successo e la seconda neppure, a causa della ribellione di Saturnino, proclamato imperator, ma governatore della Germania Superiore. Sollevazione che costrinse Domiziano a stipulare una pace provvisoria Decebalo non dovette cedere alcuna parte del suo territorio, ma semplicemente concludere un foedus in cui accettava di dipendere dall’Impero Romano Le fonti parlano di “Pace comperata” si trattava di una sistemazione provvisoria che non poneva termine alle ambizioni di Decebalo. La rivolta di Saturnino fu domata dal legato della Germania Inferiore, ma Domiziano, prima di procedere contro gli Iazigi, che minacciavano la Pannonia, si recò in Germania per punire i rivoltosi, usando ogni mezzo per identificare i colpevoli. La rivolta di Saturnino ebbe pesanti ripercussioni sulla politica di Domiziano, che anche nel periodo successivo, continuando a sentirsi minacciato, inaugurò un periodo di persecuzione ed eliminazione di persone sospette di tramare contro di lui o semplicemente in posizione tale da costituire un rischio potenziale. Lo stile autocratico costò caro a Domiziano, che si era autoproclamato censore a vita e si faceva chiamare “censore e dio”. Dopo una serie di processi intentati contri i senatori e contro presunti simpatizzanti della religione ebraica e cristiana Domiziano nel 96 d.C. cadde vittima di una congiura, cui partecipò forse anche sua moglie. Il senato, dopo la sua morte, giunse a proclamarne la damnatio memoriae, cioè a decretare che fossero abbattute tutte le sue statue, cancellato il suo nome dalle iscrizioni e distrutto ogni suo ricordo. La storiografia ci lascia di lui l’immagine di sovrano dispotico e pessimo imperatore (Tacito e Plinio il Giovane) Il sorgere del cristianesimo Il cristianesimo nasce dall’ebraismo e si forma tra il I e il II secolo d.C. Le prime comunità cristiane sorsero in seguito alla predicazione di Gesù, alla diffusione del suo messaggio, e dell’annuncio della sua resurrezione dai morti da parte degli apostoli. Le condizioni sociali e politiche dell’epoca non potevano riservare un grande futuro alle prospettive dei sadducei (gli aristocratici e i conservatori) né alle aspirazioni politiche degli zeloti (un partito di aggressivi rivoluzionari, ma da ricordare anche gli esseni, che conduceva un’esistenza rigorosa, vivendo isolati dalla società ebraica si deve a questa setta la produzione di quei testi sacri di cui ci resta testimonianza nei famosi manoscritti noti come “rotoli del mar Morto” scoperti a Qumran e nel deserto di Giuda) che non fecero altro che accelerare l’annientamento della Giudea in occasione delle due grandi rivolte ebraiche (66-70 d.C. caduta del Tempio, appendice tragica fu il suicidio collettivo degli zeloti di Masada, 132-135 d.C. distruzione di Gerusalemme). Per la maggior parte degli Ebrei si trattava dunque di scegliere fra i farisei (Legge di Mosé) e il cristianesimo. Il piccolo gruppo dei testimoni e seguaci degli insegnamenti di Gesù si dedicò presto alla predicazione della sua parola e all’annuncio della sua morte e resurrezione tra le comunità ebraiche in Palestine e tra quelle presenti nelle grandi città dell’Impero Nel I secolo d.C. la figura che si impone è quella dell’apostolo Paolo di Tarso (il nome originario era Saulo, zelante fariseo impegnato nella persecuzione dei primitivi ecclesia (i non-Gentili, che si rifacevano all’insegnamento universale del Cristo) dalle sue lettere pastorali, che ci sono pervenute nel corpus degli scritti del Nuovo Testamento, emerge la consapevolezza che l’idea di una missione universale della Chiesa rivolta all’umanità intera implicava di fatto una rottura radicale con il conservatorismo giudaico, chiuso nella difesa delle idee e dei costumi delle diverse sette. Dall’inizio del II secolo prevalse la struttura di comunità guidate da un singolo responsabile, chiamato episcopus e non il modello delle diverse comunità cristiane disposte su vari luoghi infatti si hanno poche notizie su questo assetto primitivo. L’autorità romana imperiale aveva affrontato la questione giudaica senza distinguere tra i vari movimenti, considerandola un problema di nazionalità anziché di religione. Augusto aveva garantito la possibilità di conservare i propri costumi ancestrali e di mantenere i legami con il Tempio di Gerusalemme anche a Roma avevano un profilo ben distinto Sotto Tiberio gli Ebrei furono espulsi da Roma assieme ai seguaci dei culti Egizi perché in contrasto con il mos maiorum. Caligola con l’introduzione del culto dell’imperatore aveva provocato una crisi gravissima nei rapporti con i Giudei e tra questi e le popolazioni delle città greche. Claudio ristabilì i privilegi e la tolleranza inaugurata da Augusto, ma anch’egli nel 49 d.C. espulse gli Ebrei da Roma (in quest’occasione, secondo quanto afferma Svetonio, la causa furono dei disordini fomentanti da un certo Chrestus. - A partire da Nerone diviene evidente il contrasto con l’autorità imperiale e la nuova religione cristiana, che veniva considerata sovversiva e pericolosa perché non poteva integrarsi in nessun modo con la religione tradizionale e il culto imperiale, addirittura minacciando i fondamenti della legittimità del potere degli imperatori. Nerone approfittò di questo clima di sospetto per incolpare i cristiani dell’incendio del 64 d.C. e contro di loro venne attuata una cruenta persecuzione che causò la morte degli apostoli Pietro e Paolo. Vespasiano e Tito ebbero stroncato la rivolta, distrutto il Tempio e annientato gli ultimi focolai di resistenza, non furono poste limitazioni al culto che continuò sia in Palestina sia nella Diaspora. - Domiziano fu invece ostile promosse la figura del principe come rappresentante di Giove sulla terra: si sarebbe accanito contro i circoli vicini (Flavio Clemente, cugino dell’imperatore e marito di Domizia, accusato di atheotes, cioè di ateismo) alla corte che manifestavano interessi per i nuovi fermenti giudaico-cristiani proprio per riacquistare il favore della parte più tradizionalista del senato. - Importante è l’epistolario di Plinio il Giovane. In una lettera che egli inviò a Traiano mentre era governatore della Bitinia, chiese la Principe come dovesse comportarsi nei confronti delle comunità cristiane e egli gli rispose dicendo di mantenere un atteggiamento moderato, prescrivendo che i cristiani non dovessero essere ricercati, ma puniti solo se espressamente denunciati e non bisognava considerare neanche le denunce anonime. - Nel corso del II secolo il cristianesimo mise salde radici in tutto l’Impero e si vide anche la nascita di scritti in difesa del cristianesimo che miravano a far conoscere e accettare la propria fede all’opinione pubblica e ai circoli culturali dell’Impero, nonostante il pericolo delle persecuzioni e dei processi non era stato del tutto debellato (i “martiri di Lione” sotto Marco Aurelio) anche se gli imperatori Antonini mantennero un comportamento moderato. Il II secolo vide anche la nascita di scritti in difesa del cristianesimo, con cui gli intellettuali cristiani, come Tertulliano, miravano a far conoscere e accettare la propria fede all’opinione pubblica e ai circoli culturali dell’Impero. Capitolo 4. IL II SECOLO Età più prospera dell’impero romano, sicuro dei suoi confini, poté godere di un notevole sviluppo economico e culturale. La rinnovata stabilità del regime successorio instauratori a partire da NervaA partire da Nerva, il regime successorio prevede che, al consanguineo, sia preferito colui che in assoluto dà le maggiori garanzie di sapere meglio governare. Ovviamente a questa soluzione non si arrivò in maniera indolore l’adozione di Traiano da parte di Nerva avvenne in uno stato di grave necessità, quando la dichiarata fedeltà dei pretoriani a Domiziano sembrava far sì che nel 97 d.C. si ripetessero per Roma i giorni delle guerre civili del 69 d.C. adozione accolta favorevolmente da parte dell’aristocrazia senatoria. Il Panegirico, opera di Plinio il Giovane, pronunciato nel 100 d.C., è il segno eloquente del consenso verso il nuovo regime. Nerva (96-98 d.C.) Il breve principato di Nerva vide la restaurazione delle prerogative del senato e un tentativo di riassetto degli equilibri istituzionali interni. Per questo periodo le fonti sono molti limitate (Le vite dei dodici Cesari di Svetonio arriva solo fino ai Flavi) e bisogna basarsi sulla narrazione dello storico greco Cassio Dione, sul qualche passo di Plinio il Giovane e sulle epitomi di storia romana del IV secolo d.C. In compenso però disponiamo di altre fonti, come le monete con i messaggi propagandistici. La prima preoccupazione di Nerva fu quella di controllare le reazioni all’uccisione di Domiziano e di scongiurare il pericolo dell’anarchia. Fu un amministratore attento e un riformatore della disciplina militare «avendo in amicizia più la pace che la guerra tenne in esercizio i soldati come se la guerra fosse imminente», testimoniato da l’Historia Augusta. Rinvigorì la disciplina dell’esercito e favorì il reclutamento dei provinciali. - Per far fronte alla riduzione del numero di reclute italiche Creò infine delle nuove unità, chiamate numeri, formate da soldati che conservavano gli armamenti e i sistemi di combattimento tradizionali delle popolazioni non romanizzate (discorso pronunciato a Lambaesis nel 28 alla legione III Augusta stanziata in Africa, che documenta molto bene la sua attenzione per l’organizzazione dell’esercito) - Fu anche uomo di grande cultura e dimostrò un certo interesse per la cultura ellenistica e la civiltà ellenica: 1) Volle restituire splendore ad Atene e alle poleis greche. Diede impulso alla trasformazione urbanisitica e contribuì alla rivitalizzazione delle istituzioni. Si impegnò nel controllo della situazione finanziaria dell’amministrazione e incoraggiò la promozione delle élite orientali nel Senato di Roma 2) A Roma, sulla riva destra del Tevere, fece costruire per sé un mausoleo (odierno Castel Sant’Angelo). 3) A Tivoli impressionano ancora i resti della sua villa, fatta costruire in due tappe tra il 118 e il 125 e il 125-133 Passò la maggior parte del suo regno viaggiando attraverso le province: (121-125) percorse le province renane e danubiano e visitò la Britannia dove iniziò la costruzione di un vallo sull’istmo di Tyne-Solway, a difesa della zona meridionale pacificata contro le tribù non romanizzate del Nord, passò poi in Gallia, visitò la Spagna, Africa, Asia Minore e Grecia. In Africa iniziò la costruzione del fossatum Africae una serie di fortificazioni che avevano lo scopo di controllare gli spostamenti delle popolazioni nomadi. Dal 129 al 134 intraprese un viaggio dedicato alla Grecia e alle province orientali Durante il secondo dei suoi grandi viaggi, nel 132 d.C., dopo il suo passaggio scoppiò in Palestina una gravissima rivolta, guidata da Simone Bar Kochba (“il figlio della Stella”) e si pose a capo di una resistenza fatta soprattutto di azioni di guerriglia e che si propose come nuovo messia. La rivolta era stata provocata dall’intenzione di Adriano di assimilare gli Ebrei alle altre popolazioni dell’Impero (fondazione a Gerusalemme della colonia Aelia Capitolina, dove Adriano sarebbe dovuto essere oggetto di culto, sul sito distrutto del Tempio giudaico). La ribellione ebraica doveva essere ritenuta una grave minaccia per l’esistenza dell’Impero, come dimostra la violentissima e spietata repressione attuata (1000 villaggi distrutti e 500.000 morti) Dodici dei ventuno anni di regno trascorsi fuori da Roma, consentirono ad Adriano di conoscere le diverse situazioni locali e i diversi meccanismi finanziari e amministrativi dell’Impero. Volle così dare una forma definitiva alle competenze giurisdizionali dei governatori provinciali incaricando il giurista Salvio Giuliano di stilare la pubblicazione definitiva dell’editto del pretore. Si adoperò inoltre, per una efficiente amministrazione della giustizi: l’Italia fu divisa in quattro distretti giudiziari assegnati ciascuno ad un senatore di rango consolare. In questo modo per intaccò lo stato privilegiato dell’Italia rispetto alle province e lese la prerogativa giudiziaria del Senato (il suo successore abolì questo provvedimento, che fu poi re-introdotto da Marco Aurelio). Avvertì anche l’importanza del ceto equestre per l’amministrazione finanziaria e ne riorganizzò la carriera, attraverso tappe di promozione prefissate. Introdusse la distinzione tra carriera militare e civile sulla base del compenso ed estese il campo d’azione dei cavalieri con l’impiego di procuratori equestri. I nuovi funzionari: - Amministrazione del patrimonio imperiale - Amministrazione fiscale - Uffici dell’apparato burocratico centrale Per la successione, Adriano adottò molto tardi Lucio Elio Cesare morto prematuramente, la scelta si indirizzò verso un senatore della Gallia Narbonense, Arrio Antonino, il quale adottò a sua volta Lucio Vero insieme a un nipote della propria moglie, il futuro imperatore Marco Aurelio. La complessità di tale procedura è anche sintomo di precarietà di un sistema che non era in grado di resistere a lungo alle sue tensioni interne. Antonino Pio (138-161) Antonino Pio, a differenza di Adriano, rinunciò ai grandi viaggi attraverso l’Impero già nella propria carriera precedente infatti aveva privilegiato gli incarichi amministrativi piuttosto che militari e aveva trascorso gran parte della sua vita in Italia, dove possedeva grandi tenute agricole. Periodo privo di grandi avvenimenti. Il principe ebbe buoni rapporti con il Senato (dal quale riuscì a fari divinizzare il suo predecessore); fu inoltre un coscienzioso amministratore. Durante il regno di Antonino non furono recate minacce alla sicurezza dell’Impero. Solo in Mauretania ci fu una ribellione. Per sua volontà il vallo di Adriano in Britannia fu avanzato nella Scozia meridionale (vallo di Antonino) Non a caso, proprio durante il regno di Antonino un retore greco, Elio Aristide, scrisse un elogio dell’Impero Romano, da lui celebrato come una sorta di governo ideale dell’universo. Lo statuto delle città Nell’età di Antonino l’Impero raggiunse l’apogeo del proprio sviluppo e del consenso presso le élite delle province e delle città. L’orazione di Elio Aristide dimostra due elementi: 1) Il processo di integrazione dei ceti dirigenti provinciali 2) Il valore attribuito alla vita cittadina, nella quale la cultura greca trovava la sua più compiuta espressione La città rappresentava nel mondo antico il segno distintivo della civiltà rispetto alla rozzezza e alla barbarie. Nell’Impero romano vi era dunque una grande varietà di tipologie cittadine e soprattutto una grande diversità di statuti. Civitates in Occidente e poleis in Oriente. 1) città peregrine, quelle preesistenti che si distinguono in base al loro status giuridico nei confronti di Roma le più numerose: stipendiarie, che pagano un tributo; libere, con diritti speciali concessi da Roma; libere federate, città libere che hanno concluso un trattato con Roma su un piede di eguaglianza; 2) municipi, è una città peregrina che Roma ha deciso di elevare a municipio e ai cui abitanti è accordato il diritto romano o il diritto latino; 3) colonie, città di nuova fondazione con apporto di coloni che godono della cittadinanza romana e adotta il pieno diritto romano. A partire da Claudio, le città potevano ricevere lo status di colonia anche come privilegio onorario, senza che ci fosse un effettivo trasferimento nella nuova città di nuovi coloni Questa gerarchia tra le città favoriva lo spirito di emulazione dato che ciascuna aspirava al rango superiore. L’evoluzione dello statuto delle singole città implicava un’integrazione dei provinciali nell’Impero e questo poteva avvenire per gradi, privilegiando i ceti dirigenti o attraverso il riconoscimento di uno statuto superiore accordato a singole città o a intere regioni. Le città erano oltretutto il centro delle attività economiche culturali. Nell’Oriente ellenistico vi era la lunga tradizione della polis, mentre in Spagna, Africa e Sicilia le tradizioni greche si mescolavano a quelle fenicie e puniche. Nell’Europa continentale alcune zone poteva vantare tradizioni celtiche, ma altrove, per esempio in Germania, non vi era alcuna cultura di tipo urbano, il che rese la penetrazione romana ancora più difficoltosa. La complessità delle situazioni giuridiche delle città è dunque solo un piccolo riflesso della molteplicità di culture, tradizioni, lingue, religioni e identità che convivevano nell’Impero. Le città quindi fungevano da raccordo tra Roma e le disperse realtà locali dell’Impero. Roma, diffondendo la cultura urbana e promuovendo la collaborazione e l’ascesa economica e sociale delle élite, perno della struttura cittadina, si assicurava in primo luogo il controllo dell’ordine e della stabilità su tutto l’Impero. Marco Aurelio (161-180) Marco Aurelio succedette ad Antonino secondo quanto era stato pre-ordinato non sembra invece che fosse stato previsto che, appena salito al trono, dividesse il potere con il fratello adottivo Lucio Vero. Primo caso di “doppio principato” nella storia imperiale romana, vale a dire della piena condivisione collegiale del potere da parte di due imperatori, posti su di un piano di perfetta uguaglianza. Fin dall’inizio, si riaprì la questione partica guerra che fu vinta da Vero nel 166 d.C. l’esercito, tornato dall’Oriente, portò con sé la peste, che causò lutti e devastazioni in molte regioni con gravi conseguenze demografiche ed economiche. Lo sguarnimento della frontiera settentrionale creò le condizioni perché i barbari del Nord, soprattutto Marcomanni e Quadi, si facessero pericolosi. Superato il Dannubio, essi giunsero a minacciare l’Italia, fino ad Aquileia. Marco Aurelio e Lucio Vero furono allora prevalentemente impegnati nella difesa della frontiera danubiana come risposta fu creata la praetentus Italiae et Alpium la difesa avanzata dell’Italia e delle Alpi. Morto Lucio Vero, Marco Aurelio riuscì a respingere i barbari a nord del Danubio solo nel 175 d.C., dopo campagne difficili che si protrassero per quasi 10 anni. Le sue imprese sono illustrate sui fregi della colonna a lui dedicata (oggi in Piazza Colonna a Roma). Un sintomo del malessere che l’Impero stava conoscendo è dato anche dalla rivolta del governatore di Siria Avidio Cassio, che nel 175 si autoproclamò imperatore l’essere stato ucciso dalle sue stesse truppe prevenì il conflitto. Marco Aurelio l’imperatore-filosofo stoico (opera A se stesso). Alta concezione del dovere verso i sudditi. Con lui si ritornò alla prassi della successione dinastica, al posto della cooptazione della persona ritenuta più idonea, anche se il caso volle che il figlio Commodo, da lui nominato, risultasse del tutto indegno alla carica. A Lione avvenne un episodio di cruenta persecuzione contro i cristiani. In occasione di giochi gladiatori, che prevedevano la lotta di condannati con belve feroci, i magistrati locali, sotto la pressione popolare, inflissero questo supplizio ai cristiani locali martiri di Lione. Commodo (180-192 d.C.) Commodo divenne imperatore a soli 19 anni e si dimostrò la perfetta antitesi del padre. Innanzitutto concluse definitivamente la pace con le popolazioni che premevano sul Danubio. Le sue inclinazioni dispotiche, la sua stravaganza (si faceva chiamare Ercole e volle rinominare Roma Colonna Commodiana), le sue innovazioni in campo religioso determinarono la rottura con il senato di cui egli perseguitò numerosi membri. Dal 182 al 185 governo in mano al prefetto del pretorio Perenne. 185 governo preso da un liberto, Cleandro nuovo potere del Palazzo rispetto allo Stato. divenne prefetto del pretorio senza aver percorso le precedenti tappe della carriera dei cavalieri e approfittò del disinteresse di Commdo per le istituzioni e dell’arbitrio con cui poteva esercitare il potere per vendere i titoli di console e altre magistrature.