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Tacito: Vita e Opere di Publio Cornelio Tacito, Appunti di Latino

Biografia di publio cornelio tacito, storico e politico romano, noto per le sue opere storiografiche. Discutiamo della sua vita, opere, stile e significato. Da agricola a germania, passando per la storiografia e la critica al principato.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 11/01/2024

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7 documenti

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Scarica Tacito: Vita e Opere di Publio Cornelio Tacito e più Appunti in PDF di Latino solo su Docsity! PUBLIO CORNELIO TACITO La vita di Publio Cornelio (o Gaio) Tacito è piuttosto incerta, ad esclusione delle informazioni tratte dalle sue opere storiografiche e dall’epistolario dell’amico Plinio il Giovane. L’imperatore di III secolo (275-276) Marco Claudio Tacito sosteneva di essere un suo discendente; il cognomen Tacitus era diffuso nella Gallia Narbonense, quindi forse era originario di quella zona (attuale sud della Francia). Inoltre, Plinio il Giovane si definiva come un po’ più vecchio di Tacito, quindi si può ipotizzare come data di nascita tra il 55 e il 58 d.C. Cresce a Roma, dove viene educato alla grammatica e alla retorica da Quintiliano (come Plinio). Assieme all’amico, nel 100, sostiene l’accusa al governatore dell’Africa Mario Prisco, accusato di corruzione. Nel 77 sposa la figlia di Giulio Agricola, un ex console ed illustre generale. Intraprende il cursus honorum, lo inizia sotto Domiziano., diventando questore, tribuno della plebe, pretore e anche quindecemviri sacris faciundis (un collegio sacerdotale di 15). Riceve un incarico politico di 4 anni fuori Roma e dal 97 è consul suffectus sotto Nerva. Nel 112-113 viene nominato Proconsole d’Asia da Traiano, ed è il periodo a cui risalgono le sue ultime notizie, quindi probabilmente muore tra il 112 e il 120. Tacito è un facoltoso uomo politico (afferma infatti “Sono servo dello Stato, non dell’imperatore”), ma altrettanto importante è il suo contributo letterario e, nello specifico, in ambito storiografico. È amico di Traiano, che conosce attraverso Plinio (una sorta di braccio destro per Traiano). La sua idea di libertà deriva dalla sua classe, quella privilegiata; non è generale, ma generalizzata. Afferma, inoltre, di “non dover essere servili all’imperatore” e, in un certo senso, accusa Marziale, che poi viene allontanato da Traiano. L’analisi storica di Tacito è lucida e oggettiva, concentrata su un periodo storico ristretto (l’affermazione e la consolidazione del Principato), non descrive eventi bellici e militari, ma riflette sulle dinamiche interne del potere politico (analizza le modalità di successione, i rapporti tra princeps e ceto senatorio, le cause della sua decadenza). Sebbene fosse di estrazione senatoria, Tacito ha un atteggiamento critico nei confronti del Principato, lo accusa di aver portato alla perdita della libertas e di aver trasformato i cittadini in sudditi. È comunque convinto che, per mantenere la pace ed eliminare i conflitti sociali, il Principato sia l’unica forma di governo possibile. Ha una visione pessimistica della storia, analizza i fatti per risalire alla radice delle crisi del presente. Capisce quindi che punti di debolezza sono il meccanismo di successione (solo l’adozione del migliore permette di dare il potere ai principi giusti e capaci di conciliare Principato e libertas) e la mancanza di un rapporto equilibrato tra il potere assoluto del Principe e la collaborazione del Senato. La crisi politica è data dal degrado morale contemporaneo: critica il potere tirannico dei Principi che privano il Senato del suo ruolo, il servilismo e l’adulazione dei senatori nei confronti del Princeps. Sostiene che è possibile essere uomini di Stato fedeli e liberi di pensare anche durante dittature di principi ostili. La storiografia di Tacito è fondamentale, perché non si limita a raccontare gli eventi storici, ma ne ricerca le cause e ne analizza le conseguenze. Per ricostruire i fatti in maniera obiettiva usa fonti documentarie, letterarie e testimonianze orali. La ricostruzione è dunque oggettiva e imparziale, talvolta ambigua (perché riporta versioni differenti di uno stesso evento). Protagonisti delle sue opere sono gli imperatori, di cui descrive la fisionomia psicologica e riporta i discorsi per farne comprendere la condotta politica. Lo stile di Tacito è quello tipico della tragedia, ricco di effetti drammatici che coinvolgono il lettore. Il DIALOGUS DE ORATORIBUS è un dialogo sugli oratori probabilmente scritto attorno al 102, ma altri studiosi sostengono che sia stato scritto tra il 75-80, ovvero in età giovanile (in quanto alunno di Quintiliano, che esalta il modello oratorio di Cicerone). Viene pubblicato in seguito alla morte di Domiziano. Per molto tempo è stata considerata un’opera non sua, perché il genere e lo stile sono quelli di Cicerone, ma la forma espressiva è armoniosa e pacata. Il dedicatario dell’opera è Fabio Giusto. Il lessico è aulico e complesso, con personaggi colti. Si tratta di un dialogo ciceroniano a casa del retore Curiazio Materno, con Marco Apro, Vipstano Messalla e Giulio Secondo. La conversazione iniziale è tra Apro (che sostiene che l’eloquenza sia più importante della poesia) e Materno (tesi opposta), ma poi si sposta sulle cause della decadenza della retorica: Apro sostiene che l’enfasi retorica e il gusto per le sententiae sono un’evoluzione stilistica, mentre Messalla che l’eloquenza ha perso prestigio a causa della crisi dell’educazione scolastica e della situazione politica dell’epoca (censura di parola e pensiero). Materno, dietro cui si nasconde Tacito, afferma che l’oratoria è nata in periodi di instabilità politica (nella res publica). L’introduzione del Principato ha reso il clima politico pacifico, ma ha fatto perdere la libertà al singolo: l’oratoria è dunque diventata inutile, un semplice esercizio scolastico. L’AGRICOLA (De vita et moribus Iulii Agricola) è la prima opera di Tacito, scritta tra il 97 e il 98. Si tratta di una biografia celebrativa del suocero, un valoroso generale che aveva conquistato e governato la Britannia, e invidiato da Domiziano per i suoi successi, dunque costretto a ritirarsi a vita privata fino alla morte (forse per avvelenamento proprio da Domiziano). L’opera inizia con un proemio, in cui elogia Nerva e Traiano per aver restituito la libertà e aver messo fine alla tirannide di Domiziano. Poi descrive le origini, la vita e la carriera politica del suocero, oltre ad un’ampia digressione geo-etnografica sui popoli della Britannia. Si conclude con un bilancio della vita di Agricola e con un suo commosso elogio. È un’opera composita, non è facile stabilirne il genere letterario: - monografia: laudatio funebris per celebrare nobili o politici costretti al suicidio; - pamphlet politico: emerge la contrarietà dello storico nei confronti di Domiziano; - trattato geo-etnografico: contiene una lunga digressione su usi e costumi dei Britanni, ovvero uomini incivili, bellicosi e pericolosi. Spesso la narrazione della conquista dell’isola è fatta dai vinti (i Britanni), che forniscono una visione negativa dei conquistatori romani. È una visione che non coincide con quella di Tacito, perché esalta l’Impero romano e le conquiste di Agricola, ma riflette anche sulla libertà persa da questi popoli a causa dei romani. L’imperialismo romano è quindi causa di sofferenza per i popoli assoggettati che perdono lingua, cultura, dei. Tacito descrive Agricola come un grande servitore dello Stato, anche durante la dittatura di Domiziano, rifiutando il servilismo e l’adulazione verso il Princeps. Il suo obiettivo è quindi quello di fornire un modello virtuoso e di giustificare la scelta di proseguire il cursus honorum sotto Domiziano. Critica inoltre chi gli era contro quando è stato arrestato e chi crede che l’intellettuale sia servile, perché non è quello il suo ruolo, ma è pieno di dignità e onore. La GERMANIA (De origine et situ Germanorum) è la seconda opera di Tacito, scritta nel 98. È una monografia sulla geografia della Germania e sugli usi e costumi dei Germani; si tratta quindi di un documento storico importante, in quanto l’unica monografia geo-etnografica latina giunta integra. creato prima). Inizia poi una nuova gerarchia imperiale, con la dinastia dei Severi, degli imperatori colti, ma soldati. Sono africani (la cittadinanza romana è estesa anche alle province), vengono da Leptis Magna (in Libia). Dopo di loro c’è l’anarchia militare. Tra i Severi vi sono Settimio e Caracalla (che emana la Constitutio Antoniniana de Civitate). Tutti questi cambiamenti sociali, politici e culturali influenzano fortemente anche la letteratura, e ciò è visibile in Apuleio. Buona parte della vita di Apuleio è nota grazie alle sue opere (narcisista ed esibizionista). Nasce a Madaura (Algeria, nella Tripolitania. L’asse geo-politico si è spostato, Roma non è più il centro della cultura) nel 125 da una famiglia agiata, aristocratica e benestante: il padre, infatti, faceva parte del circolo dei Duumviri (una carica politica). A Madaura studia grammatica e retorica, a Roma (a 15-16 anni) incontra Frontone, un importantissimo linguista del mondo antico studiato per il canone. Si fa spiegare alcune regole della lingua latina, perché è bilingue: scrive in greco e latino, parla anche le lingue autoctone. Va ad Atene per studiare filosofia e si avvicina al platonismo. In Grecia è inoltre educato ai riti religiosi dei Misteri Eleusini, oltre ai culti di Iside e Osiride. Sebbene in provincia, la plebe non è colpita dalla romanizzazione, rimangono comunque le culture millenarie. Viaggia molto come conferenziere in tutto l’Impero. Ad Oea (Tripoli, Libia) sposa Pudentilla, la madre dell’amico Ponziano. Lui muore, la sua eredità va alla madre. I parenti credono che Apuleio si sia sposato con lei solo per l’eredità. Lo accusano dunque di aver praticato magia oscura su Pudentilla per farla innamorare di lui. Durante il processo svoltosi a Sabrata nel 160, si difende con l’Apologia o De Magia. A Cartagine svolge un incarico sacerdotale. Probabilmente muore intorno al 180, perché le ultime notizie risalgono al 170. L’attività letteraria di Apuleio è molto vasta e comprende opere retoriche, filosofiche e romanzi. Molte sono andate perdute (tutte quelle scritte in greco), tra cui il romanzo ERMAGORA di cui abbiamo solo 2 frammenti. Torna in uso la retorica con le orazioni giudiziarie (come Cicerone), portate in auge dalla seconda sofistica (la prima è quella di Socrate, del dibattito). Si tratta di una retorica “vuota”, non è un’esercitazione sul contenuto, solo sulla forma. Il filologo tedesco Ludwig Radermacher, infatti, definisce lo stile di Apuleio come “oratoria da concerto”. La seconda sofistica è legata al platonismo (che deriva da Platone): Apuleio riprende l’idea platonica secondo cui esistono delle identità, dei demoni, delle apparizioni; mette i demoni al centro, tra cielo e terra (spirituale verso il cielo e passionale verso la terra). Tra le opere retoriche vi è l’APOLOGIA (o il DE MAGIA). Viene scritta per difendersi dalle gravi accuse dei parenti di Pudentilla che gli facevano rischiare la morte (in base alla legge Cornelia De sicariis et veneficiis). Si tratta di una rielaborazione dell’arringa recitata in tribunale, con toni ironici, arroganti e provocatori (probabilmente aggiunti dopo l’assoluzione). L’apologia pronunciata era sicuramente molto più corta e meno complessa di quella scritta. Nella prima sezione risponde alle accuse dei parenti, definendole fragili e ridicole. Lo accusano di aver usato una pozione per aver convinto Pudentilla a sposarsi, perché ha sempre una polverina bianca con sé. In realtà si tratta di dentifricio e usa la situazione per sfotterli: sono sporchi, non sanno nemmeno come sia fatto il dentifricio. Dicono anche che ha uno scheletro che usa per fare magia nera su Pudentilla, quando è solo la statuetta di Mercurio (il messaggero degli dei e protettore dei viaggiatori) e dunque li accusa di non rispettare gli dei. Ha anche uno specchio capace di sdoppiare la realtà: qui si difende giocando sul significato di “eidulum” (la parola greca) e “simulatum” (latina), delle parole filosofiche. Va fuori tema, si difende con un altro discorso che in realtà non c’entra niente, ma distrae i giudici che perdono il filo del capo d’accusa. Nella seconda sezione si difende dalle accuse di plagio, definendo la sua relazione una storia d’amore descritta con toni romantici e accusando i parenti di essere interessati al denaro della donna. Solo alla fine mostra il contratto di nozze, in cui rinuncia all’eredità destinata ai figli. Relativamente alla magia non smentisce di essere un mago, ma si limita a distinguere la magia bianca (praticata dal filosofo per raggiungere la purificazione) dalla magia nera (praticata dal mago per raggiungere scopi malefici). I FLORIDA sono 23 brani selezionati dalle conferenze di Apuleio in Africa (160-170), alcune sono trascrizioni integrali, altre solo estratti. L’ambientazione è Cartagine, lo stile è molto elaborato. Riguardano aneddoti di personaggi famosi, curiosità geografiche, descrizioni di opere artistiche e citazioni di poeti del passato. Sono divisi in 4 libri, anche se l’estensione dei testi è sufficiente per uno solo: si tratta, quindi, di una riduzione di un’antologia originaria molto più ampia. Tra le opere filosofiche vi sono: 1. DE PLATONE ET EIUS DOGMATE: un’opera che sintetizza la vita e il pensiero di Platone in 2 libri. Il primo parla di fisica, il secondo di etica. All’inizio è presente una breve biografia di Apuleio; 2. DE DEO SOCRATIS: parla della dottrina esoterica, secondo cui l’universo è popolato da demoni. È divisa in 3 parti: nella prima esamina separatamente il mondo umano e quello demoniaco, nella seconda analizza l’intermediazione dei demoni nel mondo umano e nella terza fa una dedica al demone di Socrate, che lo incita alla ricerca della verità; 3. DE MUNDO: è la traduzione latina del Perì Kosmou di Aristotele; 4. PERI HERMENIAE: è dedicata al sillogismo. Degli studiosi la definiscono spuria (falsificata), altri il III libro del De Platone et eius dogmate. Tra i romanzi vi sono LE METAMORFOSI (Metamorphoseon libri, libri delle trasformazioni), di 11 libri, in prima persona. Sono citate da Sant’Agostino nel De civitate dei come “Asino d’oro” e “Asino Lucio”. Boccaccio ritrova l’opera nella biblioteca di Montecassino e la usa come modello per scrivere il Decameron. Rispetto al Satyricon di Petronio è diversa (scritta in prosimetro) e simile (molte digressioni con racconti e novelle tipiche della Fabula Milesia). È un pastiche letterario: unisce il romanzo greco (trama amorosa, con peripezie e un lieto fine) e quello d’avventura (l’avventura di Lucio). Vi è inoltre il romanzo di formazione, perché i cambiamenti, oltre ad essere fisici, sono anche psicologici. Si tratta di una storia già narrata, prima da Lucio di Patre (di cui non si sa nulla) e poi da Luciano di Samosata, entrambe le opere in 10 libri. Apuleio rende la storia originale, anche se si riferisce alle precedenti, e vi aggiunge un libro. I primi 10 sono divisi in 321 capitoli (138 sono da considerarsi novelle). Dall’1 al 3 sono narrate le vicende di Lucio fino alla sua trasformazione in asino, con una struttura organica basata sullo schema del viaggio dell’Odissea. Il tema dominante è la magia. Dal 4 al 6 è narrata la favola di Amore e Psiche, fondamentale per la comprensione generale dell’opera. Dal 7 al 10 sono narrate le peripezie dell’uomo-asino, con digressioni e intermezzi vari. L’11 tratta di un’iniziazione al culto di Iside (Apuleio si sostituisce al protagonista come “l’autore che viene da Madaura”) e un discorso sulla religione. Il protagonista è Lucio, un giovane che durante un viaggio in Tessaglia, come visita a 2 amici, assiste ad una magia della padrona di casa, Panfila, che si trasforma in gufo per seguire il marito Milone. Affascinato da ciò, prova su di sé un esperimento, chiedendo aiuto alla serva. Lei, per sbaglio, gli porta una pozione che lo fa diventare asino, conservando però l’intelligenza e la sensibilità umana. Viene condotto nella stalla, con la promessa di essere trasformato in uomo la mattina seguente. Nella notte, però, viene rubato da dei briganti, che lo portano in una grotta assieme a Carite. La ragazza piange, è sconvolta, e Lucio cerca di consolarla. Il fidanzato la salva e i due, notando la sua sensibilità, lo portano via. I 2 si sposano, trattano bene Lucio, ma lavora come un asino. Quando muoiono, Lucio ricomincia le sue peripezie. Scappa e si addormenta in spiaggia. Prega la Luna di ritrasformarlo in uomo. In sogno gli appare la dea Iside che gli dice di una processione di culti misterici e di alcune rose. Mangiandole, Lucio torna uomo e promette ad Iside di diventare suo sacerdote (come fa Apuleio). Vi è un’ulteriore rivelazione: Iside appare in sogno a Lucio, ormai trasferitosi a Roma, e lo esorta ad iniziarsi ai misteri del fratello Osiride. Quest’ultimo compare in sogno a Lucio e lo indirizza al collegio sacerdotale dei pastofori. Le tre figure, quindi, si sovrappongono: autore (Apuleio), protagonista (Lucio) e narratore. Tra il 4 e il 6 libro sono inserite 21 novelle (il romanzo funge da cornice letteraria). La più lunga è Amore e Psiche, che rappresenta la chiave di lettura del romanzo. La situazione è analoga a quella che sta vivendo Apuleio. Il tema della curiosità è presente in tutto il romanzo: - Lucio per curiosità viene trasformato in asino ed è costretto a superare varie prove per riacquistare le sembianze originali; - Psiche, istigata dalle sorelle, spia lo sposo addormentato e ciò le provoca conseguenze disastrose: Venere la sottopone a diverse prove, tra cui scendere negli inferi con un cofanetto che non deve assolutamente aprire. La curiosità la spinge ad aprirlo (come in Orfeo ed Euridice di Ovidio), che la fa cadere in un sonno profondo, interrotto poi da Amore; - alla fine del romanzo, la curiosità mette alla prova il lettore: l’autore lo invita a concentrarsi nella lettura per gioire. La gioia promessa al lettore equivale al divertimento che riceve dalla lettura e al significato mistico-religioso che l’opera contiene. La curiosità rappresenta il percorso iniziatico, dalle tenebre alla luce, dalla colpa alla redenzione (come compiono Lucio e Psiche per raggiungere la divinità). Lo stile di Apuleio è raffinato, originale ed esuberante, in quanto sofista (della seconda sofistica). Mescola termini arcaici con termini popolari e neologismi. Talvolta risulta ampolloso, barocco, pesante e ridondante. I suoi testi sono ricchi di figure retoriche (ce ne sono molte anche nella traduzione italiana). Alcuni critici, inoltre, ritengono che l’opera fosse rivolta ad una stretta cerchia di persone colte, attraverso frequenti riferimenti letterari; altri, invece, sostengono che fosse rivolta ad un pubblico più ampio, perché sono presenti le Fabulae Milesiae.