Scarica Tacito: vita e opere. e più Sintesi del corso in PDF di Latino solo su Docsity! Tacito Elementi biografici Abbiamo pochissime notizie sulla vita di (Publius o Caius) Cornelio Tacito, le quali derivano dalle sue opere e da alcune epistole che Plino il Giovane1 gli inviò. Sappiamo che probabilmente proveniva da una famiglia non nobile della Gallia Narbonese; studiò a Roma e nel 78 d. C. sposò la figlia di Giulio Agricola (comandante militare molto importante che nel 78 era anche console). Tacito svolse il suo cursus honorum sotto il Flavi: «la mia carriera politica è iniziata sotto Vespasiano, è continuata sotto Tito e ha raggiunto il suo culmine, non lo nego, sotto Domiziano» (Historiae I 1). Da Vespasiano infatti ottenne la possibilità di far parte del senato; da Tito la questura e sotto Domiziano svolse l’incarico di pretore. Sappiamo inoltre che, quando nel 93 d. C. morì Agricola, Tacito non riuscì a prendere parte al funebre perché lontano da Roma, probabilmente per qualche importante incarico in una provincia. Nel 97 d. C., sotto il regno di Nerva, Tacito era console; in quanto oratore famoso pronunciò l’elogio funebre di Virginio Rufo (console morto durante l'anno di carica in cui era subentrato Tacito). Sotto il principato di Traiano (98-117 d. C.), sostenne, insieme a Plinio il Giovane, l’accusa dei provinciali dell’Africa contro l’ex governatore Mario Prisco, accusato di corruzione; il processo si concluse nel 100 d. C. con la condanna di Prisco. Successivamente Tacito fu proconsole in Asia nel 112-113; morì intorno al 117. Cronologia delle opere • De vita Iulii Agricolae (comunemente conosciuta come Agricola) venne pubblicata nel 98 d. C.; è formata da quarantasei capitoletti. • De origine et situ Germanorum (comunemente nota come Germania) probabilmente del 98 d. C.; è formata da quarantasei capitoletti. • Dialogus de oratoribus, successivo al 100 d. C.; è dedicata a Fabio Giusto console nel 102 d. C.; • Historiae: dodici o quattordici libri composti tra il 100 e il 110 d. C.; • Annales: in sedici o diciotto libri composti successivamente alle Historiae. De vita Iulii Agricola (o Agricola) Tacito decise di pubblicare la sua prima opera agli inizi del regno di Traiano, approfittando della ritrovata libertas dopo la morte di Diocleziano. L’Agricola è in primo luogo un’opera che dovrebbe tramandare il ricordo e la nobile e virtuosa condotta politica e privata di Giulio Agricola, suocero di Tacito. Lo storico unisce diversi generi letterari per realizzare il suo progetto: • Il panegirico (discorso composto per lodare, anche esageratamente, qualcuno) che si articola secondo i canoni della biografia; • La Laudatio funebris (la laudatio era un’orazione che veniva pronunciata a Roma fin dai tempi arcaici per commemorare un defunto); 1 Plinio il Giovane 61-113 d. C. scrisse un Panegyricus, versione ampliata del discorso di ringraziamento a Traiano, quando venne nominato console nel 100. Abbiamo anche una raccolta di epistole che lui stesso pubblicò, sia di carattere pubblico che privato • Le opere etnografiche e storiche. L’Agricola presenta la seguente strutturazione: • Prefazione: come in tutte le opere storiche o storiografiche la sezione proemiale ha un carattere programmatico molto importante. Nel caso specifico dell’Agricola, Tacito approfitta di questa sezione per riflettere sulla differenza tra l’atteggiamento degli storici del passato e quelli del presente, differenza che risiede nel fatto che gli storici del passato hanno avuto la possibilità di tramandare le azioni virtuose degli uomini del passato senza problemi, cosa che, soprattutto durante il regno di Domiziano, non era stata più assolutamente possibile. Lo storico caratterizza il regno di Domiziano in tutti i suoi aspetti più negativi: eliminazione della libertas, condanna dei filosofi e abolizione di qualsiasi libertà d’espressione per coloro che praticavano l’attività letteraria. A questo punto Tacito loda la nuova epoca inaugurata da Nerva e Traiano (nunc demum redit animus, «ora finalmente si torna a respirare» / «ora finalmente ritorna il coraggio») e ritiene opportuno approfittare della raggiunta libertà per lasciare memoria scritta della passata servitù. • Dopo la prefazione Tacito inserisce la biografia di Agricola con una ordinata esposizione in ordine cronologico delle vicende del protagonista: la patria d’origine, la famiglia e l’istruzione ricevuta; seguono poi le tappe della carriera di Agricola, partendo dalla sua attività come tribuno militare in Britannia fino al raggiungimento del consolato nel 77 d.C. Queste tappe biografiche servono a mettere in luce la caratteristica fondamentale di Agricola: la virtus. Questa caratteristica è messa in evidenza soprattutto nelle campagne militari condotte in Britannia (durarono sette anni), nelle quali Agricola si distinse particolarmente sia come capo di un esercito in guerra, sia come governatore in grado di servire lo stato con lealtà e competenza anche sotto un pessimo principe come Domiziano. • La narrazione delle campagne militari in Britannia è preceduta da un excursus geografico ed etnografico (cosa insolita per una biografia) sui Britanni. È particolarmente rilevante la narrazione dell’ultimo anno di guerra (c. 29) e soprattutto, in previsione dello scontro definitivo, i discorsi pronunciati rispettivamente da Càlgaco (cc.30-32) e da Agricola (cc.33-34) ai loro eserciti prima della battaglia definitiva, descritta da Tacito in ben quattro capitoletti (35-38). Il discorso di Calgaco è particolarmente significativo perché Tacito mette in bocca al condottiero dei Calèdoni (popolazione della Britannia) tutti gli elementi della “propaganda antiromana”: come «predoni del mondo intero» giungono ovunque a portare devastazione, miseria e ruberie, spinti dal desiderio di ricchezze che nascondono dietro il «falso nome» della pax Romana. Nella conclusione del suo lungo discorso il condottiero dei Calèdoni afferma che i Romani non hanno possibilità di vittoria, perché non solo non sono incitati dalle loro mogli e dai loro affetti più cari, ma non combattono neppure per la stessa motivazione che spinge la popolazione dei Britanni a sollevare le armi: la perdita della liberà. Il discorso di Càlgaco, in cui Tacito dà voce ai vinti, non deve essere interpretato come una condanna alle conquiste romane; in realtà, come si legge anche in altri capitoli dell’Agricola, quello che Tacito vuole mettere in luce è probabilmente una denuncia nei confronti di alcuni governatori che avevano abusato della loro posizione, governando male le province, soffocando sempre con durezza le popolazioni autoctone e pensando solo ad arricchirsi. Agricola, invece, convinto dell’inutilità delle armi, decise di mettere in atto una serie di provvedimenti volti a migliorare le condizioni di vita dei Britanni, evitando inutili punizioni e alleviando la riscossione dei tributi. Tacito presenta il ritratto dell’ottimo funzionario imperiale, il fortuna di vivere in un periodo di libertà, nel quale era consentito tutto per raggiungere cariche e onori. Questa sfrenata ambizione in età repubblicana determinò un’eloquenza magnifica e allo stesso tempo un periodo di caos e corruzione, che si concluse con la perdita della libertà. Infatti, il principato riportò la pace e la concordia, ma tolse all’oratoria il terreno in cui prosperava: il dibattito pubblico e politico. Ormai gli affari di governo erano affidati al volere di un solo uomo; quindi per la securitas Roma rinunciò alla sua libertas. Questa riflessione tacitiana è alla base di tutta la sua produzione: l’Impero è un male necessario, poiché l’unica forza che è stata (e lo è ancora al tempo di Tacito) in grado di salvare lo stato dal caos delle guerre civili. Per Tacito non esistono alternative al principato, ma, pur consapevole dello strettissimo spazio d’azione concesso all’oratore e all’uomo politico in questa situazione, lo storico sostiene che sia ancora possibile fare qualcosa di dignitoso e utile per lo stato (questo è un interessante legame con la prospettiva di Quintiliano e del ruolo che il retore cerca di ritagliare nell’ambito civile alla figura del orator). Le Historiae • Epoca di composizione e piano dell’opera: grazie a due epistole di Plinio il Giovane sappiamo che Tacito si apprestava alla composizione dell’opera tra il 100 e il 110 (gli anni centrali del principato di Traiano). Non conosciamo quale fosse l’ampiezza originaria dell’opera, che però doveva trattare di un passato abbastanza recente, partendo da gennaio del 69, quando, ucciso Nerone, Galba si trovò a fronteggiare i primi ammutinamenti degli eserciti provinciali, inizio della guerra civile. Le Historiae seguono la narrazione annalistica e comprendevano gli anni da 69 (inizio della “anarchia militare”) al 96 (morte di Domiziano e fine della dinastia flavia). Ci sono giunti solo i primi cinque libri (il V è mutilo), comprendenti il racconto delle vicende di Roma fino al 70 d.C., quando Vespasiano, diventato imperatore, si muoveva per reprimere la rivolta giudaica. Quindi abbiamo: o I primi quattro libri in cui sono narrate le vicende del 69 d.C.: il breve regno di Galba, la sua uccisione e l’elezione all’Impero di Otone. Le legioni stanziate in Germania, nel frattempo, proclamano imperatore Vitellio. Segue la lotta tra Otone e Vitellio e quella successiva tra Vitellio e Vespasiano. o Il quinto libro (si ferma al capitolo ventisei) riguarda le rivolte in Giudea e la presenza di Tito nella provincia per placarle. • Il programma tacitiano e l’importanza del proemio: il progetto di scrivere un’opera storica vasta era già stato esposto da Tacito nell’Agricola; lo storico aveva espresso l’intenzione di raccontare gli anni della tirannide di Domiziano e la restaurata libertas sotto Nerva e Traiano. Come abbiamo già detto l’opera arriva fino alla morte di Domiziano; infatti nel proemio Tacito afferma chiaramente di riservare per la vecchiaia la narrazione dei principati di Nerva e Traiano, affrontando nelle Historiae il periodo cupo della storia romana, sconvolto dalla guerra civile e conclusosi con la tirannide di Domiziano. Nell’esporre il suo programma, sempre nel proemio, Tacito passa in rassegna le opere anteriori ed esprime un giudizio sulla storiografia dell’età imperiale: mentre gli autori di epoca repubblicana avevano raggiunto un livello altissimo nello spirito di indipendenza, nella narrazione dei fatti, nell’eloquenza e nello stile, nell’età imperiale (come per l’eloquenza) il genere storico aveva subito un declino a causa del servilismo della cultura al potere imperiale. Tacito ha come proposito quello di attenersi alla verità ed essere imparziale nell’esposizione dei fatti (questo è un topos classico dei proemi a opere storiche). Ancora nel proemio Tacito esprime la sua idea sul principato: l’unico in grado di garantire la pace, la stabilità degli eserciti e la coesione dell’Impero. Accennando ad Augusto e alla battaglia di Azio, lo storico sottolinea come il potere di una sola persona si rivelò l’unico efficace; ovviamente quest’unica persona non dovrebbe essere né inetto come Galba, né spietato come Domiziano, ma unire in sé le qualità necessarie per gestire le truppe e lasciare una certa dignità al rango senatorio. Auspica la realizzazione di un “principato moderato” che sembra riconoscere in quello degli imperatori per adozione. • Attualità del discorso di Galba: il problema dell’adozione: Tacito racconta eventi accaduti trent’anni prima, ma il tema da lui trattato era molto attuale nel dibattito politico contemporaneo. In primo luogo, Nerva, come Galba, si era trovato a fronteggiare una rivolta di pretoriani e come lui aveva designato il suo successore per adozione. Tacito riporta anche il discorso con cui Galba adotta Pisone (un nobile di antico stampo, poco adatto a favorirsi le truppe), probabilmente frutto della sua invenzione, ma funzionale alla politica filotraianea che aveva enfatizzato molto la procedura dell’adozione, quale atto di supremo rispetto verso lo stato romano. Galba appare da subito come una figura inadeguata, debole e ancorato a ideali di mos maiorum ormai inapplicabili alla reale situazione storica; la sua inadeguatezza traspare anche nella scelta del suo successore, a differenza invece della scelta fatta da Nerva con Traiano. • Le milizie, la plebe e il senato: Nella narrazione tacitiana le milizie, soprattutto quelle stanziate nelle provincie dell’Impero, sono le protagoniste assolute delle vicende storiche: innalzano Galba e poi lo abbandonano perché inadatto a soddisfare le loro richieste; intimoriscono Otone e costringono Vitellio a restare sul trono anche quando vorrebbe abbandonarlo. Il fatto che un principe potesse essere eletto lontano da Roma e che la sua forza si basasse principalmente sulle truppe era un segnale tristissimo dell’oscurità dei tempi. Il senato è descritto in modo molto negativo, come imbelle e inetto, terrorizzato dalle truppe. Si salvano solo alcuni uomini eccezionali come Elvidio Prisco che continua a difendere in senato la libertas. La plebe è descritta come instabile e volubile, pronta a sostenere sempre il più forte. Tacito è molto bravo a descrivere e raccontare le masse: incalzanti e spaventose, ma anche tranquille che insorgono lentamente oppure che si disperdono in preda al panico. • Tacito e il suo “realistico pessimismo”: la descrizione storica di Tacito risente molto del suo status, il quale lo porta a condannare lo strapotere dei soldati e il suo disprezzo per la plebe mutevole e indifferente, oltre che la condanna verso l’inettitudine di molti senatori. Tacito però presenta una vera e propria diagnosi delle cause che hanno portato alla guerra civile: la fine violenta della gens Iulia poneva un problema difficile, vale a dire affidare di nuovo l’impero a un appartenente alla stessa gens in un contesto sociale e politico notevolmente mutato rispetto a quando Augusto lo aveva fondato. Si affacciavano sempre con più prepotenza nuove forze politiche, fra le quali i grandi comandanti militari che possedevano l’unica arma efficacie per esprimere l’ultima parola: glie eserciti. In queste condizioni il senato e il popolo di Roma dovettero assistere impotenti all’ascesa del primo imperatore non nobile e di origine provinciale. Gli Annales • Problema del titolo: Annales è il titolo che si è imposto fin dal XVI secolo e trova la sua ragion d’essere nel fatto che Tacito, parlando della sua opera, adopera questo termine, anche se in modo generico. Il manoscritto che ci tramanda l’opera presenta un altro titolo: Ab excessu divi Augusti («Dalla morte del divo Augusto»), a cui però andrebbe sottinteso libri o annales. • Periodo di composizione dell’opera: La composizione dell’opera è collocabile o nel periodo conclusivo dell’impero di Traiano o agli inizi di quello di Adriano. Un importante studioso di letteratura latina (Ronald Syme) ritiene che il racconto di Tacito dell’assunzione al trono di Tiberio (non particolarmente amato da Augusto, ma sostenuto dalla moglie di questo e madre di Tiberio, Livia) richiami la nomina di Adriano al principato, realizzatasi grazie alle dinamiche di palazzo messe in moto da Plotina, la moglie di Traiano. Mancano elementi per stabilire con sicurezza il periodo della composizione. • Le fonti: oltre ai Bella Germanica di Plinio il Vecchio e a storici dell’età neroniana, Tacito attinse direttamente agli acta senatus, cioè i verbali delle sedute che si tennero in senato e agli acta diurna, cioè i verbali in cui erano registrati eventi pubblici. • Progetto originario dell’opera e quello che ci è giunto: L’opera non ci è giunta per esteso; abbiamo: o Libri dal I al IV; o Parte del V libro; o Libro VI; o Parte del XI libro; o Libri dal XII al XV; o Parte del XVI libro. Il problema a cui i critici non sono riusciti a dare una risposta unitaria è quello riguardante la complessiva estensione dell’opera: Tacito ha concluso la sua opera arrivando fino alla morte di Nerone, quindi gli ultimi libri sono andati perduti, oppure, forse a causa della sua morte, non è riuscito a completare l’opera? Con gli Annales Tacito aveva probabilmente intenzione di raccontare tutta la storia della dinastia Giulio-claudia; molti critici ritengono che il progetto originario fosse quello di comprendere gli anni dal 14 d.C. al 68 d.C., anno della morte di Nerone, così da riallacciarsi alle Historiae. Il fatto che la narrazione si fermi al XVI libro, precisamente al 66 d.C., rimane spiegabile attraverso le due ipotesi proposte sopra. Infine, è necessario ricordare che probabilmente Tacito idealmente considerava la sua opera un prosieguo di quella di Tito Livio, il cui progetto iniziale prevedeva 150 libri che dovevano arrivare a includere il principato di Augusto (Livio morì prima di portare a termine il progetto della sua Ab urbe condita libri), • Proemio: più breve ed essenziale rispetto a quello delle Historiae, costituisce una testimonianza sul pensiero storiografico tacitiano. Viene rievocata brevemente la storia di Roma, dall’epoca dei re ai tempi migliori della repubblica e al sorgere dei grandi capi militari al tempo delle guerre civili. Per lo storico il principato è sorto come conseguenza diretta della degenerazione della lotta politica e delle guerre civili che interessarono l’ultimo secolo della res publica. Ottaviano, l’unico sopravvissuto, aveva «sovvertito» le magistrature repubblicane, accentrando nelle sue mani tutto il potere, legando a sé con elargizioni e donativi popoli ed eserciti. Molti, afferma, «preferivano le sicurezze delle condizioni presenti ai pericoli delle antiche». La libertas era solo un vuoto ornamento del senato, perché tutti si attenevano alle disposizioni del principe. Il problema del principato, così impostato da Augusto, si basa per Tacito su una contradizione di fondo: l’assolutismo del princeps accanto alla formale sopravvivenza delle istituzioni repubblicane. Lo scopo dichiarato di Tacito è quello di raccontare sine ira et studio tutto ciò che accadde dopo la morte di Augusto. • Libri I-VI e la parte del V e il VI descrivono la parte finale del principato di Augusto e Tiberio. In questi libri la scelta quasi imposta di Tiberio come successore di Augusto emerge chiaramente nella narrazione tacitiana. Le pagine più interessanti sono quelle che riguardano gli intrighi per l’ascesa al trono di Tiberio; Tacito riporta i fatti unendo insieme diverse dicerie che si susseguivano e adopera questa tecnica in molti punti della narrazione. Famoso è il “ritratto indiretto” che lo storico fornisce di Tiberio, proprio attraverso dicerie, osservazioni e commenti