Scarica Tecnologie per l'educazione 2 PARTE e più Sintesi del corso in PDF di Didattica Pedagogica solo su Docsity! Tecnologie per l’educazione PARTE 2 Capitolo 9 La Media Education 9.1 Comunicazione ed educazione: una lunga storia La storia della comunicazione umana risponde a due principali logiche strettamente legate: la prima è una “Logica Burocratica”-> Per M.Weber la burocrazia intesa come possibilità di mettere ordine è una delle direttrici di sviluppo dell’Occidente nel suo processo di razionalizzazione; nel caso della comunicazione e nello specifico della comparsa dei sistemi di scrittura, quest’istanza burocratica va cercata nel tentativo dell’uomo di dotarsi di qualcosa che gli consentisse di sostenere la memoria. la seconda è una “Logica Educativa”-> scrivere significa che delle informazioni vengono fissate in modo da essere rese disponibili in futuro; la scrittura, come sistema di comunicazione, risponde a un’esigenza di registrazione e tale esigenza è funzionale alla trasmissione da una generazione all’altra di quel che si ritiene qualificante e proprio di una determinata comunità; tale trasmissione rende possibile l’inserimento dell’individuo nel gruppo e, al tempo stesso, la sopravvivenza della comunità. Prima dell’introduzione dei sistemi di scrittura, la trasmissione culturale avveniva per modellamento (s’impara a cacciare osservando gli adulti che cacciano) e, in un secondo momento, attraverso la comunicazione orale. Quando l’insieme degli elementi diviene troppo ampio x essere tramandato oralmente viene introdotta la scrittura. La comunicazione è strutturalmente ed essenzialmente educazione, quindi si può dire che la ME, ovvero il chiedersi a quali condizioni si possa fare un uso corretto dei sistemi di comunicazione, nasca con la comunicazione stessa. 9.2 La questione dello sguardo Uno scatto, sia nella storia della comunicazione che nella riflessione sui suoi risvolti educativi, si ha nel 900; qst scatto è da porre in relazione con l’avvento e la diffusione di alcuni mezzi di comunicazione come la radio, il cinema, la tv. Sono due le ragioni che spiegano questo fatto: -La prima ragione è che la “radio” e il “cinema” sono forse i primi media veramente di massa, dato che non hanno bisogno che il destinatario abbia particolari competenze: non occorre saper leggere e scrivere per ascoltare la radio o vedere un film. Qst caratteristica è legata all’uso che i totalitarismi ne hanno fatto, mettendo in evidenzia la capacità dei media di aggirare la ragione parlando direttamente alle emozioni. -La seconda ragione che spiega il salto rispetto ai risvolti educativi dei media va invece cercata nella nuova centralità dello sguardo che questi media producono; guardare significa conoscere; e quando il cinema e la televisione sollecitano fortemente lo sguardo, la percezione di una potenziale pericolosità educativa delle immagini è quasi automatica: qsti espongono allo sguardo dello spettatori i corpi e le cose, mostrando qll che si ritiene si possa vedere e anche qll che si ritiene non si possa vedere. 9.3 Insegnare il pensiero critico e la partecipazione Quando la Media Education nasce ufficialmente negli anni 70 del secolo scorso, essa ha già avuto una storia recente (scritta da tutti coloro che si erano già occupati degli effetti educativi di radio, cinema e tv) e una preistoria (quella che da Platone in poi ha portato filosofi e uomini di cultura a interrogarsi sullo stesso problema). Le istituzioni che le fanno da mentore sono due: l’UNESCO e il Consiglio d’Europa. L’UNESCO->ha a che fare con il tema della promozione e dei diritti umani; educare ai media in questa prospettiva, significa sviluppare la capacità di conoscerne i linguaggi e quindi di recepirne in modo attivo e consapevole i messaggi. Il Consiglio d’Europa->ha invece a che fare con la costruzione della cittadinanza. Il tema della cittadinanza viene associato al lavoro mediaeducativo. Significa comprendere che diritti e doveri sono strettamente legati alla produzione e al consumo dei media e che tutti i grandi temi dell’educazione civica trovano nella ME uno spazio dove possono essere attuati efficacemente. 9.4 Movimento e ricerca Alla definizione del 2001 di Media Education->”come quell’ambito delle scienze dell’educazione e della comunicazione e del lavoro educativo che considera i media come risorsa integrale per l’intervento formativo”: possiamo aggiungere alcune considerazioni: -la prima è che la Media Education è un ambito interdisciplinare. Essa si colloca tra le scienze dell’Educazione e della Comunicazione prendendo da entrambi precisi tratti di metodo: delle scienze dell’educazione condivide i metodi attivi e collaborativi, forme ed esperienze dell’animazione, l’ispirazione di fondo del problematicismo e della pedagogia critica; delle scienze della comunicazione le teorie degli effetti, i metodi di analisi del testo e del consumo propri della semiotica e degli Audience Studies, il media making. -Ma la Media Education è anche un ambito del lavoro educativo; essa è vissuta del lavoro degli insegnanti, delle associazioni professionali, delle comunità autorganizzate dal basso. -la Media Education considera i media una “risorsa integrale” per l’intervento formativo. Questo allude al fatto che essa riguarda l’educare con, ai, per, attraverso i media. Educare Con I Media-> è servirsi di prodotti educational, usare documentari a supporto della dialettica: espressione di una prospettiva strumentale, questa dimensione della Media Education è probabilmente quella più classica e finisce in parte per sovrapporsi alla didattica mediale. Educare Ai Media->è sviluppare pensiero critico sui contenuti mediali: espressione di una prospettiva testuale, è la dimensione della Media Education che più chiama in causa la semiotica e i metodi dell’analisi e che supporta il lavoro dell’insegnante sui linguaggi e le forme mediali. Educare Attraverso I Media->è rendere i media trasversali alle diverse discipline del curricolo. Educare Per I Media->significa sviluppare competenze di scrittura mediale, educare l’espressività, creare le condizioni per un uso linguisticamente corretto dei media: si tratta di un’istanza che è soggetta al media making in scuola, ma che comprende anche il lavoro che pratiche sociali che riguardano la fruizione mediale, sui significati soggettivi attribuiti sia alle pratiche che ai prodotti comunicativi. 10.3.1 Rilevazione statica: Uno degli strumenti più diffusi di analisi dei consumi mediali o più genericamente culturali, è la rilevazione statica; si tratta di uno strumento quantitativo finalizzato a misurare un determinato in un certo lasso di tempo. Le fonti del dato possono essere diverse (questionari,bilanci di esercizio cumulativi,analisi di settore) ma generalmente hanno natura istituzionale e sono difficilmente replicabili da soggetti non istituzionali. E’ per es il caso delle statistiche culturali messe a disposizione dall’Istat che, anno dopo anno, fotografano l’andamento dei consumi d’intrattenimento e cultura nel nostro Paese. Sul sito dell’Istat è possibile ricercare informazioni relative al pubblico del cinema, del teatro, della radio e della televisione, delle istituzioni museali e culturali, ma anche dei concerti e degli eventi sportivi. Per ciascuno di questi ambiti la tipologia del dato cambia: per es. per quanto riguarda i musei sono disponibili i numeri assoluti dei visitatori in un anno, mentre per il cinema e il teatro il dato restituisce la percentuale di individui con pari caratteristiche che hanno assistito almeno una volta nell’ultimo anno a uno spettacolo ecc. Le statistiche relative ai consumi mediali e culturali interpretano il consumo stesso come una serie di comportamenti individuali, sconnessi tra loro, riconducibili ad alcuni indicatori oggettivi misurali; molto difficile è avere l’idea di come le diverse pratiche di consumo sono realizzate da uno stesso individuo che vede la tv, il cinema, legga un giornale; oppure come le diverse pratiche di consumo si relazionino tra di loro messe in atto da gruppi di soggetti. 10.3.2 Rilevazioni audiometriche: Si caratterizzano per il proposito di misurare l’ascolto secondo un approccio che è stato definito “positivista”, ispirato, cioè al modello teorico per il quale la realtà è osservabile, descrivibile e quantificabile in maniera neutra e oggettiva. Storicamente l’esempio più evidente è dato dal sistema di rilevazione del pubblico televisivo italiano, l’Auditel (nato metà anni 80). Di norma le “rilevazioni audiometriche” si basano su un campione rappresentativo della popolazione, un panel di soggetti che viene parzialmente rinnovato in modo periodico; l’attività di consumo degli individui che compongono il panel è rilevata in modo diverso a seconda dei media. Nel caso di Auditel->l’unità minima di analisi è tradizionalmente il nucleo domestico, dal momento che il consumo di televisione è stato interpretato, soprattutto negli anni 80 e 90, come una pratica condivisa su base familiare. Il dispositivo di rilevazione è il cosiddetto people- meter, un’apparecchiatura elettronica che rileva automaticamente il canale sintonizzato sul televisore, registra i dati relativi ai membri del nucleo familiare all’ascolto e li trasmette alla banca dati centrali; i dati raccolti consentono, in breve tempo, di fotografare il consumo televisivo e di tradurlo in una serie di parametri. 10.3.3 Survey: Sono indagini a carattere “quantitativo” che usano, di norma, lo strumento del questionario somministrato a un campione rappresentativo della popolazione; il questionario può essere definito come una tecnica di ricerca fondata sulla somministrazione di domande. La somministrazione del questionario può avvenire in presenza o a distanza, per esempio attraverso invio postale, chiamata telefonica o rilevazione online. La possibilità di costruire un questionario, di somministrarlo online a una platea molto vasta di rispondenti e di produrre in tempo reale analisi e rapporti rende le web survey uno strumento utile nel caso di interventi mediaeducativi. 10.3.4 Intervista: E’ uno strumento di indagine a carattere “qualitativo”; mentre il questionario si basa sulla percentuale standardizzata domanda-risposta, l’intervista assume un taglio più narrativo e un andamento più naturalmente discorsivo. Le caratteristiche principali dell’intervista qualitativa, detta anche “in profondità”, riguardano le sue finalità, le fonti informative che utilizza, la rappresentatività del campione e la focalizzazione. Il fine è la comprensione di una realtà sociale vissuta e valutata in prima persona dai soggetti che vi sono coinvolti; la fonte principale è la parola di tali soggetti che raccontano, descrivono, interpretano, giudicano la propria esperienza e il proprio vissuto; il campione è molto contenuto, limitato a pochi testimoni e dunque non ha alcuna pretesa di rappresentare l’universo di tutti gli individui che fanno esperienze simili ma solo di far emergere il maggior numero di elementi significati. 10.3.5 Focus group: Condivide con l’intervista in profondità l’approccio “qualitativo” e “discorsivo” ma lo interpreta in un frame più ampio rispetto alla relazione tra intervistatore e informatore; a rispondere alle sollecitazioni del conduttore è qui, infatti, un piccolo gruppo compreso tra i 4 e gli 8 individui. Nasce negli Stati Uniti ad opera di due sociologi degli anni ‘40 del Novecento, K. Lewin e R. K. Merton, è una tecnica in cui un gruppo di persone è invitato a parlare, discutere e confrontarsi riguardo all'atteggiamento personale nei confronti di un tema, di un prodotto, di un progetto, di un concetto, di una pubblicità, di un'idea o di un personaggio. Le domande sono fatte in modo interattivo, infatti, i partecipanti al gruppo sono liberi di comunicare con gli altri membri, seguiti dalla supervisione di un conduttore (in genere il ricercatore o un suo assistente). Si tratta di un metodo utilizzato soprattutto nella ricerca pubblicitaria e di marketing per testare le reazioni a un determinato prodotto o messaggio. 10.3.6 Etnografia (e autoetnografia): Interviste in profondità e focus group danno corpo metodologico a quella che è stata definita la “svolta etnografica” della ricerca sull’audience. La metodologia più compiuta e significativa in tale prospettiva è, appunto, l’etnografia del consumo e in particolare la cosiddetta “osservazione partecipante”->si tratta di una forma d’immersione del ricercatore nel proprio campo d’indagine, sul modello già sperimentato e diffuso dalla Scuola di Chicago negli anni 20-30. I vantaggi sono legati alla possibilità per il ricercatore di accedere direttamente alla scena sociale in cui si svolgono i processi che intende studiare, senza riprodurli in modo artificiale, ma osservandoli in prima persona mentre si realizzano sotto i suoi occhi. La naturalizzazione del ricercatore è dunque il passaggio più delicato di questa metodologia e, dal momento che essa si basa sull’instaurazione di un rapporto di fiducia tra osservatore e il gruppo dei soggetti osservati, solleva diverse questioni dal punto di vista dell’etica della ricerca. 11 Capitolo Il virtuale: identità,relazioni,apprendimento 11.1 Quotidianità virtuale Il rapporto tra “realtà” e “virtualità” è stato oggetto di ricerca in diversi ambiti come per es: quello scientifico-tecnologico in cui si è focalizzata l'attenzione sulla progettazione di dispositivi che potessero replicare l'esperienza ambientale/fisica, quello antropologico-psicologico che ha posto l'attenzione sugli effetti di esperienze virtuali, quello filosofico-estetico che h affrontato il tema dello statuto del corpo e del ruolo della corporeità x i processi di conoscenza. La tradizionale dicotomia realtà/virtualità assume diverse dimensioni argomentativo, pensiamo ai dispositivi mobili come gli smortphone che ci accompagnano ovunque e che, come nel caso delle tecnologie wearable, come gli orologi smart, vengono letteralmente “indossati”. Uno smartphone o un tablet ci consentono facilmente e con costi contenuti un collegamento a Internet 24/7 e grazie alle numerose app scaricabili sul dispositivo è possibile accedere alla mail, all’account dei social network come Facebook, Twitter, Instagram, ma anche a diversi servizi per la creazione di contenuti che possono, poi, istantaneamente, essere condivisi con la comunità di utenti con cui siamo in contatto. Il poter produrre contenuti, siano essi messaggi testuali, immagini o video attraverso un dispositivo che è presente nella nostra quotidianità significa che tali azioni non sono più limitate a uno spazio-tempo specifico, ma contraddistinguono, potenzialmente,ogni momento della giornata, personale/privato e/o pubblico e professionale generando una mescolanza di situazioni comunicative in contesti diversi. Un indagine Istat del 2017 mostra che il 44,6% degli utenti di Internet usa gli smartphone mentre è fuori casa o lontano dal posto di lavoro. Naturalmente questa attitudine è individuale ma dagli studi statistici risulta una pratica diffusa,sia tra la popolazione adulta che nella fascia d’età che comprende adolescenti e giovani adulti. Le interazioni che oggi avvengono diffusamente attraverso media sociali fanno parte della quotidianità e non dello spazio-tempo "altro", quello che un decennio fa era dedicato x lo più da attività di svago. Lo spostamento di prospettiva, da uno spazio-tempo dedicato (e limitato) a una continuità piena dell’uso delle tecnologie all’interno del nostro vissuto, accresce la complessità del quotidiano e naturalmente coinvolge profondamente la scuola; infatti le implicazioni dal punto di vista pedagogico/didattico non riguardano solo un target audience molto giovane da educare alle tecnologie ma anche il mondo adulto in quando sono gli stessi concetti di identità, cittadinanza e cultura è essere stati investiti da questo impatto con le tecnologie. 11.2 Identità Le questioni legate al rapporto tra “identità” e “virtualità” emergono con la nascita stessa delle interazioni a distanza ancor prima del Word Wide Web (Web); già a negli anni 80 “The Well” (una delle più vecchie comunità virtuali tuttora attive) offriva un luogo virtuale d'integrazione. L'avatar non è solo una rappresentazione 3d bensì un “corpo intenzionale”, che agisce e percepisce e il quale si muove in uno spazio geometrico, mappabile e percorribile in diversi modi, crea oggetti e interagisce con altri utenti utilizzando diversi canali di comunicazione. Ci sono due tipologie di “mondi” utilizzati ampiamente nel contesto scolastico: Il primo è Minecraft, a livello internazionale e il secondo è Edmondo, ben accolto dal 2012 nel contesto italiano. Minecraft è un cosiddetto sandbox che ha avuto esordio nel 2009, ed ha riscosso molto successo soprattutto fra i più piccoli grazie alla semplice grafica a blocchi simile al Lego. Data l'ampiezza di utenza di bambini in età scolare ha spinto la società Mojang, successivamente acquisita da Microsoft, allo sviluppo di una versione Education, che dal 2016 offre la possibilità al docente di disporre di una piattaforma per la comunità degli educatori e di gestire l'ambiente in base alle esigenze dei propri alunni e degli obiettivi didattici. La piattaforma diventa una comunità di apprendimento in cui docenti e studenti possono esplorare le conoscenze di base e individuare risposte ai propri problemi attraverso ambienti di supporto come wiki e forum. Uno dei punti di forza di Minecraft è la versalità che oltre alla versione x PC, c'è anche quella x dispositivi mobili. Il secondo è edMondo, il quale nasce nel contesto italiano nell'ambito di un progetto più ampio dedicato alla didattica immersiva. La caratteristica che distingue edMondo da altri mondi virtuali sociali è la specificità dell'utenza a cui è indirizzato, cioè solo a docenti e studenti, e ciò lo rende più appetibile da un punto di vista della sicurezza evitando così problematiche legate a fenomeni di molestia tipici di ambienti multi-utente non controllati. L’ambiente è gratuito e consente al docente di ogni ordine e grado di gestire gli account x i propri studenti i quali possono essere coinvolti attivamente in progetti che investono macro aree educative o progettazioni didattiche a livello micro con obiettivi disciplinari specifici. 12 Capitolo progettazione di percorsi di Media Education 12.1 Media Education e New Media Education Il concetto di Media Education si è evoluto parallelamente allo sviluppo dei media e delle tecnologie che li supportano e di conseguenza sono cambiati anche il concetto e le modalità di progettazione rendendo la progettazione di percorsi di ME più complessa, più ricca e più diversificata. Al concetto di Media Education si sono sovrapposti e talvolta sostituiti concetti come new media, social media, media literacy o mobile media. Dovey e Kennedy (2006) hanno sottolineato i termini più legati ai Media studies e quelli legati al New Media studies. Per quanto riguarda i termini dei Media studies riconducono a un'immagine di un fruitore che osserva qualcosa, un film, un video ecc. Mentre i termini del New Media Studies rimandano ad un'immagine formata da tanti elementi che interagiscono fra loro. Non c’è più uno spettacolare bensi un utente immerso in un contesto ed agisce. Da una percezione di distacco si passa alla partecipazione. 12.1.1 La Media Education nella vita quotidiana Da un punto di vista storico la media education era più facilmente riconoscibile quando anche i media erano degli oggetti distinti dagli altri: La radio, la tv e il cinema. McLuhan nel 1964 li chiamava media elettrici ed erano distinti dall'uomo infatti li definiva estensioni dell'essere umano. Poi con lo sviluppo della tv satellitare, vennero creati i primi canali che si occupavano di argomenti specifici come RAI Educational o RAI storia. Un insegnante cosi poteva consultare il palinsesto e vedere i programmi che presentavano argomenti relativi alla propria disciplina, in modo da registrarli e utilizzarli nel corso delle proprie lezioni. In questa prima attività didattica sono palesi gli aspetti di ME: contatti con un network, utilizzo di filmati, fruizione e lettura di immagini ecc. Nel 1995 venne avviato il Primo Piano di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche. Con questo piano vennero costruiti i primi laboratori multimediali nelle scuole e la rete cominciò a entrare a scuola. Improvvisamente ci si è accorti che i media erano dappertutto e non solo più dentro la tv. Nel 2005 nacque anche Youtube dove abbiamo cominciato a visionare, creare, caricare e condividere filmati autoprodotti. Progressivamente sono nate applicazioni che ci permettono di agire con i media. Di conseguenza hanno delineato molteplici contesti educativi e didattici fino a diventare quasi invisibili. Ora li usiamo e basta. La Media Education di oggi si deve insinuare in questa quotidianità mediale inconsapevole e restituirne significato. Questo è stato uno sviluppo incontrollabile ed è dovuto a un fenomeno chiamato “convergenza dei media” che Può essere definito come “l’unione di più strumenti del comunicare, una fusione resa possibile dalla tecnologia digitale”. Fino agli anni 80 i media erano diversi e si basavano su tecnologie differenti e non dialogavano facilmente tra loro: il cinema era il cinema e la radio era la radio. Attraverso la digitalizzazione degli strumenti tecnologici, iniziata dagli anni 90 in poi, i media ora si basano sulla medesima tecnologia, dialogano tra loro fino a condensarsi in un unico strumento ovvero lo smartphone (partecipare a discussioni attraverso app di messaggistica istantanea, vedere serie TV su netflix, produrre immagini e filmati da pubblicare sui vari social e così via). Quindi prima le attività di ME erano più riconoscibili e semplificate ora sono mescolate in mezzo a tante attività quotidiane e estramemente complesse in quanto collegate tra loro. VANTAGGIO: possibilità di manipolare tanti oggetti mediali in modo semplice e tapido; SVANTAGGIO: rischio di banalizzare qst azioni, considerandole semplici attività meccaniche e automatiche. 12.2 Il nuovo significato di progettazione per la Media Education I poli su cui basare la propria azione progettuale sono due: da un lato ci sono i media e le loro caratteristiche; Rivoltella (2017) indica le principali caratteristiche dei nuovi media e sono: i media sono diventati sociali, si possono indossare (indossabilità), vengono sempre con noi (mobilità), rappresentano il nostro rapporto con la società (cittadinanza digitale), la loro azione si snoda in molti ambienti e contesti (scuola e territorio). Dall'altro lato c’è il termine Education che ci pone una serie di questioni ovvero come i media diventano protagonisti di percorsi educativi, cosa bisogna osservare ecc. Progettare un percorso di educazione mediale significa essenzialmente far emergere la relazione che c e fra le persone e i media. Se ci focalizziamo sull'ambiente scuola, ideare delle azioni centrate sui media e sulla loro valenza educativa è necessario: 1. Essere consapevoli che una relazione implicita con i media esiste. 2.Lo scopo è rendere palese tale relazione in modo che l'alunno ne sia progressivamente consapevole. 3. All'interno di questa relazione possono essere individuati diversi aspetti relativi all’educazione: aspetti cognitivi, aspetti sociali, aspetti etici, estetici e culturali. La competenza più vicina alla Media Education non è solo quella relativa alla competenza digitale (digital literacy) ma quella definita “senso di iniziativa e di imprenditorialità” in cui vengono indicate “la creatività e l'innovazione”. È una competenza che aiuta gli individui non solo nella loro vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società ma anche nel lavoro, ad avere consapevolezza del contesto in cui operano e a poter cogliere le opportunità che si offrono. È necessario distinguere le declinazioni delle azioni che caratterizzano le tecnologie dell'istruzione e quelle della Media Education. Le prime, le tecnologie dell'istruzione, sono orientate di più al ruolo che gli strumenti tecnologici hanno nei processi apprenditivi e nella loro organizzazione. La Media Education invece si concentra sugli aspetti culturali, sociali e di cittadinanza, il suo focus è centrato sui linguaggi e sulle attinenze/conseguenze economiche e sociali dei media, sull’idea di società che si evolve insieme ai media, sulle culture e le percezioni che vi sono fra le culture. Il documento istituzionale di riferimento per la Media Education in Italia è il sillabo per L’educazione Civica Digitale emanato dal Miur nel 2018. Sul sito di riferimento si possono trovare 5 aree di intervento: Internet e il cambiamento in corso, Educazione ai Media, Educazione All’informazione, Quantificazione e Computazione: dati e intelligenza artificiale, Cultura e creatività digitale. Il documento e il sito rappresentano il punto di partenza per la progettazione delle attività da parte dell'insegnante. Di seguito si analizzano il CHI, COME, COSA, DOVE, XKE si progettano percorsi di ME. 12.2.1 Progettare percorsi di Media Education: fra insegnante ed educatore Colui che progetta percorsi di Media Education è il Media Educator il quale è un ibrido fra un insegnante e un educatore. L’azione didattica viene condotta con uno stile che è allo stesso tempo tipico dell’insegnante e delle azioni condotte in un contesto specifico come l aula ed è tipico anche dell educatore e delle azioni condotte in contesti destrutturati come il territorio. Quindi È opportuno sviluppare una mentalità da Networked educators in quanto l’attività di Media Education si snoda in un ambiente e in contesti diversificati. Il ruolo del conduttore, insegnante o educatore è quello di far emergere le peculiarità dei contesti e condurre i partecipanti a leggere profondamente e costruire consapevolmente il mondo dei media. 12.2.2. Progettare percorsi di Media Education: fra discipline e trasversalità Negli anni 80 e 90 i progetti di Media Education venivano concentrati su attività rivolte all'educazione alla salute, educazione alimentare, l'educazione alla cittadinanza e alla socialità. I progetti erano belli ma correvano il rischio di essere considerati degli accessori e non è più significativa, poiché secondo gli autori non ci si rende conto della complessità del presente, a partire dai pilastri della scuola: imparare a leggere e a scrivere. Ecco che la scuola entra in gioco, insieme agli ambiti educativi più ampi, per accompagnare la sperimentazione di tutti i linguaggi e attraverso una metodologia di lavoro in classe basata sull’esperienza situata, sull’analisi critica, la negoziazione e il confronto continuo. Un secondo sguardo è dato dall’approccio trasmediale di JENKINS, che presume un compito di lettura compositiva, tipica del digitale. Anzi nel definire il tipo di comprensione favorita dal digitale, Jenkins parla di “comprensione additiva”, per indicare un processo di analisi, aggiunta e confronto tra i pezzi di un puzzle che stanno insieme attraverso il lavoro interpretativo del soggetto. del cartone animato che ho visto. Il videogioco aggiunge una sfumatura un pezzo,un commento che rende più significativa la storia disseminata su più piattaforme e raccontata su linguaggi diversi, ma integrati. 13.3 La dimensione metodologica SI possono insegnare i media? Questa domanda apre uno scenario che ci riporta al metodo e alle tecniche di lavoro in classe. La risposta è probabilmente si. Si può fare pratica, fare media e pensare ai media. L’approccio e il metodo passano attraverso una maggiore attenzione al fare e una presenza più forte della pratica, rispetto alla teoria. Produrre e lavorare insieme ai compagni, guidati dall insegnante, implica la revisione del concetto di spazio, in quanto terzo educatore svolge un ruolo decisivo nella relazione educativa e didattica. Uno degli aspetti che viene affrontato durante i laboratori e i percorsi di ME è proprio la necessità di rimodulare lo spazio fisico, funzionale al lavoro mentale. Quando la ME entra in classe questa diventa laboratorio si organizza in maniera funzionale al momento di lavoro proposto: in forma classica o frontale (quando l'insegnante dà le coordinate di lavoro o uno stimolo per attivare la classe), in forma circolare (nel caso di un brainstorming o di confronto tra vari punti di vista), a isole (lavoro di piccolo gruppo o x guardare un video su cui fare analisi insieme), in modalità palcoscenico (quando si valutano i prodotti dei compagni che vengono esposti). L arredamento leggero e mobile della classe rende tutto ciò più agevole. La classe quindi non è solo un contenitore di tecniche e prassi ma è un ambiente di ricerca e di riflessione di cui bambini e I ragazzi sono protagonisti e responsabili. 13.4 La dimensione tecnologica Cosa serve per fare ME in classe? Si possono immaginare almeno tre scenari. Il primo è rappresentato dalla logica della dotazione tecnica “in school”, che prevede un investimento da parte dell’istituzione. Se da un lato, la dotazione scolastica permette di non preoccuparsi del recupero dei dispositivi, è anche vero che non sempre si tratta di infrastrutture performanti o di dispositivi aggiornati e, soprattutto, si è vincolati alla disponibilità dei device per tutti. È caso delle aule informatiche o delle aule attrezzate con dispositivi mobili, che tuttavia vanno prenotate rendendo meno routinario l’accesso ai device e richiedendo un impegno di programmazione e coordinamento con i colleghi non indifferente. Il secondo scenario è quello del BYOD prevede che gli studenti portino il proprio dispositivo e che lo usino in chiave didattica nel corso delle lezioni. I vantaggi del BYOD sono: riduzione dei costi di investimento, maggiore cura da parte dei soggetti interessati, minori costi di aggiornamento, familiarità con i dispositivi e maggiore flessibilità organizzativa. Gli aspetti problematici sono raccolti invece attorno a due dimensioni: la definizione di policy d’uso, la compatibilità delle app, la disuguaglianza tra studenti che hanno possibilità di acquisto diverse, la resistenza di molti genitori. Se da un lato, il BYOD implica il superamento della barriera della disponibilità materiale degli strumenti, è anche vero che si tratta di una possibilità che favorisce la libertà didattica dell’insegnante, a patto che vi siano delle chiare azione di accompagnamento educativo. Quindi si tratta di rendere qst scelta un’occasione x riflettere su cosa sia meglio fare in classe e su cosa sia sbagliato, collaborando alla creazione di un "contratto pedagogico" (MEIRIEU) nel quale ci si impegna a vivere la tecnologia come risorsa integrale. Il terzo scenario: LA MEDIA EDUCATION carta e matita, soluzione a basso tasso tecnologico, funzionale e ragionare sui media come cultura e come tessuto connettivo. È il caso soprattutto di percorsi attraverso i quali si vuole promuovere consapevolezza critica su come funzionano i social media sotto i 14 anni, età limite x l’accesso