Scarica Tecnologie per l'educazione, Rivoltella Rossi e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Dello Sviluppo E Dell'educazione solo su Docsity! Cap 3 Tecnologie a supporto della progettazione del docente il ricorso al digitale fornisce schemi e percorsi guidati che indirizzano la produzione dei documenti. In questi ultimi anni sono stati realizzati molti programmi di progettazione che supportano il progettista nell’organizzazione del suo lavoro. La necessità di disporre di un supporto esterno nella mente umana dipende dalla complessità delle strutture da costruire. Negli anni 90’ era necessario costruire LEARNING OBJECT che potessero essere utilizzati in diversi LEARNING MANAGEMENTE SYSTEM. ADL (Advanced Distributed Learning) propose SCORM, una standard per l’interoperabilità utile a guidare la progettazione di oggetti didattici riutilizzabili. Ma il limite di SCROM è stato quello di fornire e richiedere molte indicazioni tecnologiche che rendevano oneroso il lavoro del progettista. Per rispondere a tale limite nel 2000 l’IMS Global Learning Consortium definì l’IMS LD (Learning Design) ovvero uno standard di interoperabilità che potesse supportare il docente nella realizzazione di percorsi didattici, che diversamente dallo SCORM lo guidasse anche sul piano pedagogico. Soluzioni ai problemi emersi vennero fuori grazie ai nuovi modelli di progettazione quali le API (Application Programming Interface) che permettevano di far dialogare componenti di diversi applicativi al fine di produrre aggregazioni di materiali. Parole chiave e tag garantivano la possibilità di organizzare i materiali senza strutture troppo rigide quali richieste da IMS e ADL. Dal nuovo millennio è emersa una nuova attenzione alla progettazione didattica supportata da applicazioni digitali cha ha riguardato non più principalmente la creazione di percorsi online. Il gruppo di lavoro LEARNING DESIGN GROUP ha individuato quattro progetti che hanno alimentato tale ricerca. I quattro progetti avevano in comune la visione che il miglioramento dell’insegnamento e dell’apprendimento passasse attraverso lo sviluppo di framework descrittivi dei processi dell’azione didattica. Il LEARNING DESIGN SUPPORT ENVIROMENT, progettato e realizzato dal gruppo dio ricerca della Laurillard è un supporto digitale all’organizzazione delle attività didattiche del docente attraverso una scansione delle azioni con cui l’autrice propone una strategia interattiva tra docenti e studenti. Viene connessa la rappresentazione dei processi alla possibilità di supportare la progettazione. La possibilità di descrivere il proprio progetto permette al docente in fase di progettazione di distanziarsi e dialogare con il proprio artefatto per attivare processi di simulazione dell’azione, di anticipazione, di previsione con cui testare il processo stesso. Lo sviluppo degli spazi web all’interno dei quali poter organizzare, gestire e condividere materiali didattici ha portato allo sviluppo di ambienti nei quali aggregare materiali per poi condividerli con la classe. I LMS avevano una tale finalità, ma il loro utilizzo era principalmente diretto alla didattica online o alle attività online connesse a precorsi blended. Si pensi alle web app che permettono al docente di organizzare le risorse multimediali selezionate in rete e di condividerle con i propri studenti all’interno della classe, virtuale o in presenza. Tale ambiente mette insieme due delle condizioni inerenti l’uso di artefatti digitali nella didattica: la facoltà di aggregare media differenti e la possibilità di manipolare e modificare gli artefatti stessi. Ma qual è la funzione dell’artefatto progettuale? dovrebbe supportare sia il docente nell’elaborazione del percorso, raccogliendo e organizzando tutto ciò che egli utilizzerà a lezione che gli studenti orientandoli e fornendo loro una visione organica del percorso didattico e i materiali da usare per lo svolgimento delle attività. L’uso di applicazioni esistenti ha però fatto emergere un problema: se nascono fuori dal mondo educativo si portano dietro logiche che non sono proprie di questo mondo. Il progetto DEPIT promosso dall’uni di Mc, si pone lo scopo di supportare la progettazione attraverso un dispositivo basato su di un modello pedagogico derivante dal Conversational framework, che permetteva la condivisione in classe dell’artefatto progettuale. Tale artefatto progettuale digitale è costituito da più mappe tra loro interconnesse, ed ogni mappa rappresenta un diverso livello della granularità che caratterizza la didattica, e in questo modo permette al docente di riconnettere le dimensioni macro e micro, e ciascun livello è connesso al successivo link e ciò produce un morphing tra le diverse dimensioni temporali ed organizzative. L’artefatto digitale è un contenitore flessibile, non da intendere come un serbatoio. L’aggregatore può essere infatti usato in classe per organizzare i materiali di studio da sottoporre agli studenti, dare le consegne, raccogliere e gestire le restituzioni, archiviare i prodotti e i documenti. Si tratta di un organizzatore grafico flessibile che può essere costantemente modificato in azione. La dimensione reticolare espande la progettazione al docente sia in termini si apertura verso contenuti esterni o in rete, a specifici gruppi di studenti in percorsi paralleli. La dimensione reticolare permette anche un’estensione in dimensioni inclusiva attraverso la possibilità di personalizzare i percorsi. L’artefatto digitale risponde all’esigenza di soddisfare le diverse richieste provenienti dalla classe. L’artefatto permette una visione multiprospettica e la raccolta di contributi di ciascuno, la gestione di dibattiti, la sintesi delle diverse posizioni. La possibilità di condividere i propri prodotti estende la possibilità di incontro e di conoscenza di altre realtà permettendo il confronto e lo scambio peer to peer, in dimensione orizzontale e partecipativa. Tecnologie per supportare l’inclusione l’apprendimento è un processo sia individuale sia sociale che prende l’avvio dalle integrazioni che avvengono nella classe, e supportano in modo generativo tale processo. La personalizzazione per essere sostenibile va intesa come la predisposizione di dispositivi unici ma aperti, all’interno dei quali ciascuno studente possa agire in modo diverso in base alle proprie abilità, competenze e bisogni. Personalizzare significa predisporre dispositivi inclusivi che riescano a fare dialogare traiettorie differenti attraverso un complesso processo di progettazione. Le tecnologie possono essere di aiuto perché: erogano lo stesso contributo in formati diversi; si possono avere diverse app; si possono costruire gruppi di lavoro strutturati su più livelli; si possono realizzare percorsi di scrittura collaborativa; si può interagire con gli altri attori del processo formativo attraverso app online. Se poi l’artefatto progettuale è costruito secondo la logica “mappale”, rende visibile allo studente il proprio percorso in una dimensione che gli permette di cogliere il particolare nel generale e viceversa. Tale approccio può favorire anche lo sviluppo di una dimensione di inclusione: all’interno della mappa infatti ciascuno studente potrà cogliersi come particolare nel generale, avendo ben chiara la dimensione. Porre attenzione alla dimensione inclusiva significa realizzare un artefatto che coniughi “macro” e “micro”. Dispositivi BYOD la loro diffusione ha ampliato la possibilità dii accesso alle risorse digitali modificando la progettazione. Grazie ad essi l’artefatto progettuale non solo è visibile alla classe, ma diventa uno strumento di lavoro personale del singolo studente. Contiene tutti i materiali ed è organizzato secondo il senso con il quale il docente ha strutturato il percorso, ma, a differenza del libro è anche uno spazio di lavoro e può contenere oggetti mediali realizzati nel contesto classe. Si realizza un prodotto che ha le caratteristiche del concetto “colla”. L’artefatto aggregatore visibile anche nel BYOD funge da ponte tra il sapere sapiente e i frammenti che vengono realizzati in classe. Grazie a BYOD si crea un TERZO SPAZIO. Questi sono dispositivi che favoriscono l’interazione sociale caratterizzata da flessibilità e multifunzionalità, ma anche di macchine multimediali attraverso i quali si può assolvere a molteplici funzioni, sia in termini di lettura (testi scritti, audio) sia in termini di produzione e manipolazione (macchine fotografiche, calcolatrici). La possibilità di essere costantemente connessi alla rete rende sempre più sfumato il confine fra spazi fisici e digitali, introducendo lo “SPAZIO IBRIDO”: spazi dinamici che si trasformano costantemente in ragioni del simultaneo movimento delle persone nello spazio fisico e in quello digitale favorendo così l’inclusione di contesti remoti in quelli vissuti al momento. I dispositivi tecnologici hanno incominciato a perdere quella connotazione di eccezionalità che ne ha contraddistinto la prima diffusione e vanno via via acquisendo quella nota di ordinario, di ciò che appartiene alla vita quotidiana della classe. Lo SPAZIO IBRIDO diventa terzo spazio quando è connotato in chiave didattico-pedagogica, attraverso lo sviluppo di una interoperabilità tra componenti spaziali e digitali, permettendo di integrare i vantaggi sia degli ambienti in presenza sia di quelli a distanza. Il terzo spazio costituisce il filo rosso che connette macro e micro progettazione, vissuti collettivi della classe con quelli individuali, il sapere sapiente con le esperienze locali del gruppo classe e dei singoli studenti. ed ha mostrato che la sua costruzione ha supportato la personalizzazione dei processi di de-costruzione e ri-costruzione dell’esperienza svolta dagli insegnanti. Diversi autori sottolineano come il senso di proprietà che lo studente sviluppa nei confronti del proprio elaborato conduca alla responsabilizzazione e alla consapevolezza del proprio percorso identitario. La valutazione avviene a partire dai materiali scelti ed inseriti dallo studente stesso. Il focus è mettere in luce le competenze dello studente e non sottolineare le fragilità. Infine può essere mostrato a un pubblico esterno alla classe. Inclusione tutti coloro che hanno un deficit della visione, soffrono di dislessia, afasia o coloro che hanno difficoltà con i meccanismi della lettura, o che hanno difficoltà linguistiche, grazie all’uso di tecnologie, si offre una molteplicità di risorse che consentono una partecipazione più personalizzata e individualizzata alle attività. Il docente ha la possibilità di valutare, oltre la produzione scritta, anche la costruzione del video, di podcast e mappe concettuali, la produzione di presentazioni, la capacità di collaborare e prendere di decisione nell’organizzazione del lavoro. Le tecnologie stanno modificando le modalità con cui raccogliere e condividere la documentazione relativa al proprio percorso grazie agli OPEN BADGE. È una sorta di distintivo virtuale che precisa chi ha assegnato un riconoscimento, in cosa consiste e i criteri usati per l’assegnazione. Il badge può essere collocato in uno spazio pubblico in cui è proprietario il soggetto, svincolato dalle istituzioni formali. Il badge sono definiti da uno standard aperto, definito dalla MOZILLA FOUNDATION e gestito dalle IMS Global. Gli Open Badeg possono essere usati per supportare l’apprendimento e la valutazione introducendo caratteristiche che tipicamente non appartengono al contesto scolastico. 1 caratteristica: quella Gamification raccogliere badge che durante il percorso di apprendimento lo rendono simile ad un gioco a punti dove completare le sfide significa ricevere attestai di competenza. 2 caratteristica: la visibilità pubblica chi guadagna un badge può mostrarlo nel suo profilo social o nel suo curriculum 3 caratteristica: il badge porta con sé i criteri e la descrizione delle attività che hanno condotto al rilascio del badge stesso. In questo modo si può facilitare la comprensione del rapporto tra attività svolte e traguardi conseguiti e può rappresentar e una forma di valutazione alternativa attenta anche alle competenze. La tecnologia BLOCKHAIN è connessa alla logica degli Open Badge. Il BLOCKHAIN può essere definita come registro digitale che tiene traccia, in maniera sicura ed anonima, delle transazioni che avvengono tra diversi utenti. Per valorizzare le caratteristiche il MIT ha proposto uno standard chiamato BLOCKCERTS che permette il controllo e la verifica delle credenziali e l’interoperabilità con altri sistemi. Lo standard BLOCKCERTS consente di verificare l’emissione di un titolo senza dover contattare direttamente l’istituzione scolastica (nel caso del diploma), ma semplicemente sfruttano la prova crittografica della validità del titolo. Ciò snellirebbe gli aspetti burocratici. Il vantaggio maggiore sarebbe quello di ricomporre in un unico spazio la documentazione di percorsi formativi e lavorativi frammentari e complessi. Cap 7 Mediamorsofi dell’e-learning la complessità di questo fenomeno sta proprio nel comprendere come all’interno del “triangolo didattico” insegnante-allievo-contesto culturale si possa inserire un quarto elemento, ovvero i media. Per capire come in questo processo si colla il digitale, occorre percorrere lo sviluppo storico e concettuale dell’e-learning analizzando le tre età dei media. La prima età dell’e-learning coincide con la formazione a distanza (FAD) dove le ICT (Information and Comunications Technology) sono impiegate per supportare il processo informativo e comunicativo. Come direbbe McLuhan, i media protesizzano i nostri sensi, aiutandoci a ridurre le distanze spazio-temporali. I fattori di sviluppo del FAD sono: la necessità di rivedere continuamente i contenuti scolastici; incremento dell’obbligo scolastico; le nuove forme di analfabetismo; la richiesta di competenze professionali; la necessità di comprendere il cambiamento culturale in corso. La FAD così acquista una specificità ponendosi contro una visione sostitutiva e contro la creazione di un sistema di serie B rispetto a quella presenziale. In questa fase diventa necessario distinguerla dall’apprendimento aperto, dallo studio a domicilio, non è legato ad un’esigenza informativa, ma ad una domanda di formazione. Si tende a far coincidere il FAD di prima generazione con corsi di corrispondenza sviluppatisi tra il 1830 e il 1960. Una seconda generazione si apre quando nel 1969 nasce l’Open University, un’università a distanza con lo scopo di offrire opportunità educative in cui si può studiare solo costruendosi spazi e tempi di appropriazione di contenuti non convenzionali. Il FAD si propone come un’alternativa che riesce a trasformare una situazione di svantaggio didattico in un sistema in grado di promuovere innovazione metodologica. L’evoluzione del FAD è dovuta a: lo sviluppo di nuove tecnologie di comunicazione; uso sofisticato di materiale stampato; miglioramento nella struttura dei materiali educativi; miglioramento nella disponibilità dei servizi di assistenza agli studenti; apertura di istituzioni simili alla Open University in altri paesi. Si ripristina così la comunicazione bilaterale docente-studente che consente di uscire da forme classiche di autoapprendimento. Unici due svantaggi costo alto dei sistemi di videoconferenza e difficoltà di monitorare i progressi degli alunni. Non indeboliscono l’utilità complessiva di un sistema che consente velocità di aggiornamento, distribuzione. In questi anni si assiste all’affermarsi del ruolo chiave della FAD presso i programmi educativi della comunità Europe, allo sviluppo del mercato e alla proliferazione di definizione e modelli. Ricorrendo a modelli audiovisivi si può simulare la presenza fisica e facilitare l’interazione docente-studente come nel caso del tele-insegnamento, ricorrendo alla rete internet si possono rendere disponibili materiali didattici e rendere asincrona la comunicazione come nel Campus Vitale. La terza generazione un sistema tecnologico di comunicazione bidirezionale che sostituisce l’interazione personale in aula tra docente e allievo allo scopo di promuovere l’apprendimento autonomo degli allievi. Si scopre che qualsiasi corso può essere trasformato in un sistema a distanza, ma non tutti sono a giusto diritto corsi FAD perché: - occorre un preciso e coerente disegno didattico - non si deve identificare la FAD con la soluzione tecnica impiegata per riprodurre la distanza. Si possono rintracciare alcuni tratti comuni che sottostanno ai diversi modelli pedagogico-didattici, si tratta: - processi che garantiscono una comunicazione a due; - organizzazione che supporti lo studio; - possibilità di uno scaffolding durante l’apprendimento che avviene in modo individuale; - strumenti rigorosi di auto ed etero-valutazione; - specializzazione dei docenti. Nella terza fase FAD troviamo alcuni elementi che hanno amplificato la velocità del processo didattico, ma hanno apportato un cambiamento sui sistemi a loro connessi. Hanno avviato 3 rivoluzioni: l’interattività, la rivoluzione cognitiva e la gestione dei sistemi educativi. Questi 3 elementi hanno dato diretta conseguenza sulla concettualizzazione dell’e-learning. L’interattività sostenuta dalla tecnologia, consente di parlare di apprendimento elettronico. È stata potenziata la capacità di comunicare e ciò consente la creazione di spazi virtuali e di accedere ea una grande quantità di dati. A questo si aggiunge la grande esplosione del mercato multimediale che vede nell’ipertesto la massima espressione. Il termine “online” diventa il corrispettivo di “possibile”. Grazie ai vantaggi che la multimedialità apporta, si regista una maggiore motivazione ed entusiasmo dei soggetti in apprendimento. La novità non consiste tanto nel tipo di supporto, ma come funzioni diverse e spazi virtuali possano essere esplorati a partire dalle decisioni personali del fruitore. Il grano di individualizzazione del percorso è garantito da una gestione di spazio e tempo, non stabilita a priori dall’organizzazione formativa ma struttura a partire dalle esigenze personali, una formazione e una scuola che vanno verso lo studente e i suoi bisogni. Vi è la necessità di realizzare collegamenti tra le diverse istituzioni educative in una prospettiva europea in cui l’e-learning rappresenta il sistema integrato di azioni formative. Individualizzazione e reticolarità sono sostenute dai processi di CMC (Computer Mediated Comunication) sia nelle forme sincrone (chat, videoconferenze) sia asincrone (mail, forum). Siamo nella fase dell’e-learning in cui le ICT grazie allo sviluppo delle LMS riescono ad andare a sistema nella: costruzione dei curriculi, gestione delle informazioni e tecnico-amministrativa. Le piattaforme sono usate come: ambiente di comunicazione, progettazione didattica, valutazione, ecc. L’ambiente di apprendimento in rete si configura come lo spazio definito dal sistema di relazioni e strumenti che prende corpo in rete con lo scopo di sostenere un apprendimento attraverso processi didattici, nel quale è possibile riconoscere una dimensione culturale e sociale, e viene concettualizzato cime spazio pedagogico. L’apprendimento da individuale si apre alla collaborazione recuperando la dimensione di classe. Nella classe virtuale le forme di interazione assumono un valore essenziale per lo sviluppo dell’apprendimento, e che consentono di configurare l’ambiente tecnologico come “tecnologie di gruppo”. Dal punto di vista dell’organizzazione si assiste a una trasformazione della funzione del docente che si polverizza e si ricolloca prevalentemente in rete facendo emergere nuove funzioni di docenza e-tutor il valore aggiuntivo emerge nei servizi di assistenza e tutorship, di condivisione e collaborazione. La peculiarità è l’alta flessibilità garantita al discente di reperire sempre e comunque a contenuti formativi, permettendo l’autogestione, al fine sempre di raggiungere gli obiettivi prefissati. In questa ottica il docente-tutor svolge la funzione che presiede la zona di confine dove si intersecano gli interessi degli attori della formazione. Il suo compito è quello di lavorare per ottimizzare la situazione di apprendimento. Nell’ambiente online organizza e favorisce le relazioni e cura gli aspetti emotivi. Altra parola importante LA COMMUNITY: forma di partecipazione alle attività di una comunità, si condividono modalità di soluzione di problemi e di dilemmi, si usa la conoscenza elaborata per produrre un nuovo testo. Una comunità sviluppa la propria identità elaborando e realizzando un prodotto di conoscenza pubblico, analizzabile e criticabile. Tutto ciò venne già potenziato dal web 2.0, dove i dispositivi digitali introducono la comunicazione a una nuova fase, quella della CMC 2.0 Digital learning cambiamento di prospettiva. I media sono portabili in quanto emancipano dallo schema della comunicazione mainstream (uno solo che trasmette i messaggi a tutti) e divengono la testiera attraverso la quale ciascuno organizza i propri consumi e le proprie pratiche comunicative. Il digitale ormai attiva naturalmente i processi di ibridazione in qualsiasi campo della nostra esistenza i media digitali sostituiscono lo spazio fisico con il nuovo spazio sociale, e il loro essere sempre connessi fa sì che attraverso di essi sia possibile cucire i lembi di una comunità ai diversi livelli. La portabilità chiama subito in causa il MOBLIE LEARNING (m-learning) e il BLENDED LEARNING. Il mobile learning fa riferimento a un “learning that is supported across contexts and life transition”, e rimette in discussione la priorità degli apprendimenti formalizzati a discapito di quelli maturati nei contesti formali. Un apprendimento in mobilità oggi permette di avere sempre a disposizione non solo il sapere ma anche le forme in cui viene strutturato e manipolato, e la rete di contatti che il soggetto può aggiungere grazie al confronto e approfondimento. La “m” richiama anche una forte centratura del micro i contenuti devono per forza essere parcellizzati e fruibili. Ciò permette di avere uno studente proattivo e indipendente, che sappia collaborare in modo orizzontale, sappia sfruttare di sistemi di comunicazione sincrona. In questa direzione dovrebbe essere letto il caso dei MOOC (acronimo di Massive Online Open Course) l’apertura deve essere vista sotto molteplici punti di vista: l’apertura in quanto non vengono richiesti titoli di studio come prerequisito; tempo di fruizione e fase di accesso della valutazione dell’apprendimento, dell’accreditamento. Il MOOC porta un cambiamento di prospettiva nella progettazione del processo di apprendimento, passando da una logica “context bound” a “context sing” BLENDED LEARNING lo ritroviamo nei primi anni del 2000 come combinazione di modalità di istruzione, di metodi in presenza e online. In questi anni non si pensa a una semplice giustapposizione di presenza e di mediazione tecnologica, ma a una loro alternanza ben studiata, tesa a valorizzare al massimo le varie componenti. Il blended va nella direzione del “brice and click” che unisce all’idea della formazione pensata nella sua struttura fisica, le possibilità offerte dal digitale. Ciò rende la soluzione graduale e consente di 3. setting dedicati al lavoro sincrono: videoconferenze 4. setting dedicati agli apprendimenti informali 5. setting dedicati alla formazione sul campo con device mobili: microlearning Lo schema ADEMA risulta utile per identificare le tipologie di ambienti rispetto alle situazioni didattiche prevalenti: Delivering : tool dedicati a strategie prevalentemente trasmissive dove i feedback dei discenti sono legati sostanzialmente w procedure automatizzate Emoderating : strumenti orientati all’attivismo, basati sulla valorizzazione della comunicazione e sull’azione dell’insegnante che segue e modera l’agire dei discenti Situated : strumenti che concorrono a creare la costruzione di mondi da esplorare con diversi livelli di fedeltà rispetto a quelle autentiche a cui si riferiscono per poter agevolare gli apprendimenti. Oltre ad essere degli ambienti online devono prevedere altre situazioni quali: Administation : strumenti per l’organizzazione e la preparazione dei percorsi formativi Gestione degli utenti : definire gli accessi e i ruoli e le possibilità di azione per ciascun utente Monitoring : strumenti orientati al tracciamento delle attività svolte dalla navigazione Assessment : strumenti orientati a misurare il raggiungimento degli obiettivi formativi e didattici SETTING IMMERSIVI presentano la caratteristica di coinvolgere il discente in uno scenario che richiede elevata attenzione contemporaneamente a due sensi del soggetto (solitamente vista e udito). Lo scopo è di recuperare la massima attenzione di ogni senso in modo da creare sufficiente distanza dal contesto presenziale in cui il corpo è effettivamente situato e la vicinanza con lo scenario di lavoro. Gli ambienti immersivi permettono di simulare scenari e luoghi dove viene promosso lo sviluppo di competenze e abilità interagendo con elementi dell’ambiente stesso. Slater e Wilbur in diversi studi sulle prime tecnologie immersive hanno proposto due categorie immersività e presenza. Immersività: capacità di un ambiente di essere inclusive (possibilità che i sensi percepiscano il mondo reale circostante), extensive (numero di sensi coinvolti), surrouinding (estensione del campo visivo), vivid (risoluzione e fedeltà della riproduzione dell’ambiente). Presenza: si intende il livello di consapevolezza che il soggetto ha di essere in un ambiente virtuale. Tra questi ci sono i CAVE costruiti attraverso l’uso di più videoproiettori che permettono di visualizzare su tutti i muri della stanza un ambiente. REALTA’ VIRTUALE (VR) in crescente sviluppo. Attraverso un visore il discente è immerso in uno spazio generato da un pc. Quando si indossa il visore, è necessario ricordare che ci si sta muovendo in uno spazio fisico, mentre si sta percependo qualcosa d’altro e questa dissonanza po' generare motion sickness, per questo si consiglia di non ricreare situazioni con movimenti veloci. Un esempio è Google Expeditions, una libreria di field trip virtuali dedicata ai luoghi più belli e importanti del mondo. REALTA’ AUMENTATA (AR) a differenza della VR, non copre l’interno campo visivo ma sovrappone a esso immagini digitali. Si tratta di una soluzione più economica, poiché basterebbe soltanto l’utilizzo di uno smartphone e un applicativo in grado di riconoscere posizione e inquadratura. Con l’AR è possibile arricchire l’ambiente con informazioni e tutorial utili per comprendere in situazione. Nonostante i grandi passi avanti, vi sono ancora delle problematiche riguardanti: i limiti della tecnologia attuale che non permette di percepire pienamente alcune sensazioni (come la temperatura), e un altro limite è la presa di coscienza del fatto che le emozioni suscitate dalla realtà virtuale non sono esattamente le medesime, ma solo altre. Sistemi adattivi gli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale e dei Learning Analytics hanno dato vita ai sistemi adattivi, ovvero sistemi che si riorganizzano in base ai feedback degli utenti. Un esempio sono gli Intelligent Tutoring System, nei quali il percorso si progetta in itinere in base all’utente, al suo profilo e risposte. Nascono come evoluzione delle teaching machines, in particolare delle PAD (ambienti strutturati in modo da identificare la correttezza delle risposte degli studenti per procedere secondo ramificazione opportuna) e TAD (ambienti totalmente adattivi per considerare anche le modalità operative del discente con i dati registrati in memoria). I sistemi adattivi complessi sono in grado di cambiare gli output in seguito all’esperienza dello studente. I sistemi più recenti puntano a realizzare forme di tutoring simulate del pc, Adaptive Intelligent Tutoring System, basate principalmente sullo schema after review feedback, consistente nel simulare nel modo più accurato la risposta di un tutor in carne ed ossa che sulla base dei percorsi di ciascun discente costruisce feedback considerando il modello didattico e gli scopi formativi. I sistemi interessati sono quelli che usano tecniche in Data Minimg in Education per: Agevolare i processi di analisi e visualizzazione dei dati Fornire feedback specifici Fornire suggerimenti Presentare previsioni delle performance sulla base dei risultati Identificare i modelli di comportamento Fornire suggerimenti sulla formazione di gruppi o crearli in maniera automatica Il consolidamento e la robustezza dei dati degli algoritmi permetterebbero di ottenere risultati concreti ed utilizzabili di PLE Personal Learning Environmetn, concepiti come aggreganti di risorse che però non hanno ricevuto un effettivo riscontro nella pratica didattica dato il forte livello di autonomia. Gli sviluppi dei protocolli xAPI, utili per aggregare i dati e analizzare i dati provenienti da diversi ambienti, stanno già aprendo nuove prospettive che garantirebbero maggiore trasparenza nell’uso dei PLE. In tal modo da poter raggiungere uno sviluppo dell’industria 4.0 e del cosiddetto IOT Internet Of Things, che permetterà di integrare dati anche di dispositivi e generare algoritmi IFTTT If This Than That. Cap 9 La storia della comunicazione umana risponde a due principali logiche: La logica burocratica Per Weber la burocrazia viene intesa come possibilità di mettere in ordine, come istanza organizzativa, è una delle direttrici di sviluppo dell’Occidente. Nel caso della comunicazione, quest’istanza burocratica va cercata nel tentativo dell’uomo di dotarsi di qualcosa che gli consentisse di sostenere la memoria. La scrittura come sistema di comunicazione serve all’economia agricola e ai commerci: viene introdotta per risolvere problemi. La logica educativa scrivere significa tracciare segni su una superficie, in modo che esse possano essere disponibili in futuro. La scrittura risponde ad un’esigenza di registrazione ed è funzionale nella trasmissione da una generazione all’altra. Tale trasmissione rende possibile l’inserimento dell’individuo nel gruppo e allo stesso tempo la sopravvivenza nella comunità. Prima la trasmissione culturale avveniva per modellamento (si impara a cacciare osservando gli adulti che cacciano) e in un secondo tempo attraverso la comunicazione orale, quello che i Greci chiamavano l’ethos (comportamenti) e nomos (regole). Quando questo insieme di elementi diviene troppo ampio per essere tramandato oralmente, viene introdotta la scrittura. La comunicazione è strutturalmente ed essenzialmente educativa. La Media Education (ovvero il chiedersi a quali condizioni si possa fare un uso corretto dei sistemi di comunicazione) nasce con la comunicazione stessa. Vi è la paura che i nuovi media comportino una qualche forma di decadimento cognitivo, vi è il rischio che chi ne fa uso non abbia le competenze per farlo in maniera autonoma e consapevole, come anche il rischio del fraintendimento. Uno scatto sia nella storia della comunicazione sia nella riflessione sui risvolti educativi si ha nel 900. È da porre in relazione con l’avvento e la diffusione di alcuni mezzi di comunicazione: la radio, il cinema, la televisione. Sono due le ragioni che spiegano questo fatto: 1. La radio e il cinema sono probabilmente i primi media veramente di massa dato che i giornali presupponevano una competenza alfabetica e per secoli è stato un vero ostacolo. Mentre la radio e il cinema non hanno bisogno che il destinatario abbia particolari competenze. Questo spiega l’interesse dei totalitarismi novecenteschi 2. La cultura occidentale, dall’avvento della scrittura in poi sviluppa un deciso orientamento visivo. Un orientamento che spiega anche un certo modo di comprendere la conoscenza tipica dell’occidente: si conosce qualcosa quando la si è vista. Questo rende la vista l’accesso privilegiato alla parte più propria dell’uomo, ovvero alla sua componente razionale. Guardare significa conoscere. Così quando il cinema e la televisione sollecitano fortemente lo sguardo, la percezione di una potenziale pericolosità educativa delle loro immagini è quasi automatica, mostrando anche quello che si ritiene che non si possa vedere. Quando la MEDIA EDUCATION nasce ufficialmente negli anni 70’, essa ha già avuto una storia recente ed una preistoria. Le istituzioni che le fanno mentore sono principalmente due: l’UNESCO e il Consiglio d’Europa. Ciò è interessante e suggerisce una doppia iscrizione della Media Eduaction: 1. La prima si può ricondurre al lavoro dell’UNESCO ed ha a che fare con il tema della promozione dei diritti umani. Educare ai media significa sviluppare la capacità di conoscere i linguaggi e quindi recepirne in modo attivo e consapevole i messaggi. Si tratta di una dimensione molto importante nei Paesi in via di sviluppo, nei quali vi sono ancora regimi limitativi di libertà individuale. Don Milani afferma che la “parola fa eguali”, infatti avere accesso al linguaggio significa bilanciare il vantaggio di chi del controllo della parola ne fa una ragione di potere. Inoltre disporre i messaggi significa sviluppare un pensiero consapevole sui messaggi. 2. La seconda iscrizione spiega che il Consiglio d’Europa ha invece a che fare con la costruzione della cittadinanza. Già nella Dichiarazione di Grunwald, la vera e propria Magna Charta della Media Education, il tema della cittadinanza viene associato al lavoro mediaeducativo. Significa comprendere che i diritti e i dovrei sono strettamente legati alla produzione e al consumo dei media. Freinet è uno dei precursori della Media Education: a scuola introduce la stampa del giornalino scolastico, la pratica della scrittura collaborativa, la corrispondenza tra scuola. A scuola non si apprende, ma si lavora. Si impara il senso della partecipazione si capisce cosa si voglia dire scrivere e scrivendo esporsi con le proprie idee. Media Education viene definita da Rivoltella come “quell’ambito delle scienze dell’educazione e della comunicazione e del lavoro educativo he considera i media come risorsa integrale per l’intervento formativo”. Vi sono alcune considerazioni: 1. La Media Education non è un insieme di entusiasmi, ma una disciplina. O meglio un ambito interdisciplinare. Si colloca tra le Scienze dell’Educazione e della Comunicazione, dalle Scienze dell’Educazione condivide i metodi attivi e collaborativi, forme ed esperienze dell’animazione; dalle Scienze della Comunicazione le teorie degli effetti, metodi di analisi del testo. 2. Ma la Media Education è anche un ambito del lavoro educativo. Nel nostro Paese molto lavoro in questa direzione è stato fatto dalle associazioni di cultura cinematografica attraverso anche i cineforum. Educare con i media è servirsi di prodotti di educational, usare documenti a supporto della didattica Educare ai media è sviluppare un pensiero critico sui contenuti mediali Educare attraverso i media è rendere i media trasversali alle diverse discipline di curriculo Educare per i media significa sviluppare competenze di scrittura mediale, educare all’espressività, creare le condizioni per un uso linguisticamente corretto dei media. La Media Education viene pensata come attività da svolgere all’interno della scuola: anche i media hanno bisogno di un processo di alfabetizzazione, ovvero che vengano sviluppate negli studenti le competenze che possano servire per leggere e scrivere i media; il bambino viene visto come una persona indifesa e che necessita di particolari attenzioni perché possa sviluppare pensiero critico e responsabilità rispetto ai media, anche se la Media Education serve a far crescere futuri adulti responsabili. Occorre immaginare uno spazio per la Media Education nella scuola, nel modo che possa avere un curriculo disciplinare. La Media Education come materia e con un’insegnate e le sue ore. Ciò già capita in molti contesti internazionale, me nel nostro Paese vi è un qualcosa di simile (con le ore di Informatica). Per quanto riguarda il curriculo trasversale, la Media Education dovrebbe essere concepita in termini trasversali. Non esiste una sola disciplina, ma tutte ne provvedono a prendersi in carico alcuni temi e problemi. Le Indicazioni Nazionali spingono in questa direzione individuando in alcune discipline i luoghi più adatti a collocare questo curriculo.