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teologia 2 con Compiani/Bosetti, Sintesi del corso di Teologia II

sunto esaustivo del libro CHIESA di REPOLE utile per passare teologia 2 con Compiani/Bosetti per frequentanti e non.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica teologia 2 con Compiani/Bosetti e più Sintesi del corso in PDF di Teologia II solo su Docsity! PARTE PRIMA – PER PARTIRE DALLA SCRITTURA. CAP.1 PREMESSE FONDAMENTALI 1. In principio è la chiesa. Riferimento alla frase di Giovanni “In principio era il verbo”: parola di Dio come realtà pre-temporale. Con questa frase si sottolinea che la chiesa è invece una realtà storica. La verità della frase è inerente a due fattori: • Prima del Nuovo Testamento esistono delle lettere di Paolo che non raccontano quasi nulla di Gesù, ma si interessano piuttosto della vita di varie comunità o chiese. Si tratta di una raccolta epistolare originale con queste comunità credenti in Gesù grazie all’opera di grandi nomi come Paolo, Barnaba, Timoteo, Pietro. In queste lettere troviamo anche testimonianze di altre chiese preesistenti alle stesse. • Prima di ogni documento neotestamentario esistevano già delle comunità in cui si viveva e professava la fede in Gesù. Gli autori neotestamentari sono tutti membri di una comunità, scrivono per utilità della stessa. 2. Una realtà più grande del termine. La parola chiesa ricalca il termine greco “Ekklesia”, fa riferimento all’idea di un gruppo riunito sulla base di un punto centrale, di una chiamata dal di fuori: il termine greco infatti deriva dal verbo “convocare”. Nell’antichità era usato per indicare l’assemblea pubblica dei cittadini della polis. Nel NT il primo che utilizza il termine “chiesa” è Paolo, sceglie questo termine per indicare la realtà singolare delle comunità dei credenti in Gesù, probabilmente per il carattere pubblico dell’assemblea cristiana. Ciò che distingue la realtà cristiana da quella delle città greche è la specificazione paolina “chiesa di Dio”. In ogni caso con questo termine si indicano innanzitutto delle realtà locali. Solo successivamente con le deutero- paoline il termine indicherà la chiesa universale. Questo senso collettivo offre alle comunità cristiane un fattore riscontrabile nella prima lettera di Pietro: invita i cristiani a resistere al nemico attraverso l’unione e la fede, usa la parola “fratelli”. Si tratta della realtà della “Adelphòtes”, il valore concreto della fraternità, che è più della fratellanza. Pur appartenendo a chiese diverse, Pietro invita i cristiani all’amore collettivo verso fratelli e sorelle; tutte queste comunità hanno sia qualcosa di analogo, sia delle differenze. • La necessità di usare il termine “chiesa” appare sensato per indicare la realtà delle comunità cristiane, realtà comune rispetto alle comunità religiose dell’epoca. • Allo stesso tempo le chiese e la chiesa si esprimono attraverso immagini/concetti/parole diverse. 3. Alla luce della Pasqua. Tutti gli scritti neotestamentari sono stati composti dopo la resurrezione di Gesù. Quindi, ogni volta che si parla di chiesa lo si fa considerando quel che è avvenuto nella Pasqua: un mutamento non solo per Gesù stesso ma anche per tutti i discepoli, che da quel momento sono diventati credenti. Solo dopo questo avvenimento si è sentita la necessità di scrivere i testi del NT. NT come conseguenza della Pasqua perché ciò che ci narra non è comprensibile se non alla luce della Resurrezione. Quindi possiamo dire con sicurezza che l’uso del termine “chiesa” è un’acquisizione post-pasquale. CAP. 2 – IN MATTEO E NELL’OPERA LUCANA 1. Due testi carichi di storia. Gli unici passi evangelici in cui troviamo espressamente la parola “chiesa” sono nel primo vangelo (Matteo): • Quando Gesù dice a Pietro “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”. • Quando Gesù descrive l’atteggiamento da tenere nei confronti del fratello che commette la colpa e dice “Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità” (il termine “comunità” si riferisce alla “chiesa”). L’uso di un diverso termine indica già due realtà che vanno distinte ma non separate: chiesa come “realtà totale” dei credenti in Cristo; nel secondo caso ci si riferisce a tale realtà “nella concretezza” di una comunità. In questi due passi troviamo il concetto di chiesa secondo Matteo: • Nel primo passo troviamo il fatto che per Matteo la chiesa sia qualcosa di successivo alla morte e resurrezione di Gesù e sia quindi opera sua (si parla al futuro, “edificherò”). Sempre nel primo passo troviamo la particella “mia” prima di “chiesa”: secondo Matteo la chiesa è di Cristo ed è una realtà in cui si trovano riuniti tutti coloro che come Pietro riconoscono Gesù come Figlio di Dio. Troviamo anche un ancoramento con la vita terrena, un legame tra il Messia e la vita terrena (“su questa pietra”). • Nel secondo passo viene richiamata la necessità di correzione fraterna all’interno della comunità dei credenti in Cristo. La comunità deve intervenire nel caso in cui un peccatore non si converta. Possiamo dire che il significato di chiesa qui fa riferimento ad una realtà in cui si vive un amore reciproco di concordia. 2. Gesù ha fondato la chiesa? In realtà, il riferimento alla connessione esistente tra la chiesa e la Pasqua, indica già come risulti poco plausibile che Gesù abbia dato vita alla chiesa durante la sua esistenza terrena. Stando ai vangeli, specie quello di Matteo, Gesù sembra consapevole di doversi anzitutto rivolgere a Israele per raccogliere il popolo di Dio già esistente: questo è evidente dall’invio dei Dodici, che rappresentano simbolicamente le dodici tribù di Israele che si tratta di radunare. Ciò non significa che la chiesa non abbia a che fare con Cristo, al contrario sottolinea come egli sia molto più interiore e coinvolgente, non è il fondatore ma il fondamento intimo. Per Matteo, Gesù risorto è sempre presente nella chiesa, ne è costitutivo. Il fatto che non abbia fondato la chiesa e si sia rivolto al popolo di Israele fa intravedere un allargamento a livello universale e qualche intenzionalità riguardo alla realtà successiva alla Pasqua (una chiesa composta da giudei e pagani). Esempi di questo allargamento: contatti con i samaritani, l’apertura nei confronti della donna siro-fenicia, l’apprezzamento della fede del centurione. Si tratta di un allargamento fondamentale che fa capire come la comunità cristiana primitiva, nel decidere di rivolgersi anche ai pagani, lo abbia fatto potendosi richiamare alle parole e all’atteggiamento del Gesù pre- pasquale. La chiesa da cui proviene Matteo deve avere avuto un forte legame con la figura di Pietro, costui ha un ruolo primario nel suo vangelo. è una chiesa fatta di giudei ma anche di pagani: per questo è probabile che ci siano stati delle tensioni tra le parti della comunità. Matteo nel suo vangelo vuole sottolineare il carattere umile dei credenti in Cristo, denuncia invece gli atteggiamenti della comunità giudaica, come vanità e ricerca del sé. 3. La chiesa nel tempo. Luca non usa il termine “chiesa” nel suo vangelo, lo utilizza negli Atti e in misura abbondante dalla morte di Stefano, in cui la chiesa si distingue sempre più come comunità di giudei e pagani che credono in Cristo (diverso dal giudaismo, rappresentato da israeliti che non credono in Gesù). Prendiamo ad esempio due testi degli Atti: • Il primo segue immediatamente la morte di Stefano, mettendo in evidenza la novità della chiesa di Gesù: “In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la chiesa di Gerusalemme”. • Il secondo è un passaggio di un discorso che Luca tiene agli anziani di Efeso: “pastori della chiesa di Dio”. Luca mette “chiesa” e “storia” in rapporto reciproco: inserisce la realtà della chiesa nella più vasta storia della salvezza, che comprende una prima tappa nell’epoca che va dalla creazione a Cristo; che implica la vicenda di Cristo, centro del tempo; e che include, infine, il tempo della chiesa, dalla glorificazione di Gesù alla sua piena manifestazione, presenza. In quest’ultimo tempo la chiesa di Cristo è partecipe della sua stessa missione: portare la testimonianza di Cristo al mondo (diventa sempre più chiara l’apertura universale della chiesa). Per Luca tale tempo è caratterizzato anche dalla presenza e azione dello Spirito Santo ossia chiesa come popolo della Pentecoste, ovvero della presenza e azione dello Spirito, sparso su tutti. All’interno della chiesa ci sono però anche delle distinzioni: • Per quanto riguarda i ministeri è evidente il ruolo centrale degli apostoli e al loro interno di Pietro. Luca ritiene i loro insegnamenti fondamentali e strutturanti la chiesa. • Altrettanto importanti risultano i presbiteri, ovvero gli anziani. • Luca crede anche in una chiesa in cui alcuni cristiani abbiano doni particolari, come il dono della profezia. Per Luca lo Spirito Santo si rende particolarmente presente nell’annuncio della Parola del Signore che convoca la chiesa e la fa esistere, una Parola come contenuto centrale di tutto il mistero di Cristo, che sembra essere un’esistenza autonoma; ma appare anche come parola dell’apostolo, quindi umana. La chiesa avviene quando la Parola è accolta con fede, per questi i cristiani sono detti credenti. Questa fede viene celebrata nella preghiera e soprattutto nel gesto dello “spezzare il pane” (inizio della celebrazione eucaristica) che diventa poi attivo e pratico della comunione. 4. Una comunità cristiana in controluce. Luca connette chiesa e tempo, ma fa trasparire anche che una comunità cristiana che fa esperienza del peccato e che quindi necessita della conversione e del perdono divino. Si spiega così la forte insistenza sul tema della conversione e sulla misericordia di Cristo (il fatto che Gesù muoia invocando il perdono per i suoi uccisori e promettendo il paradiso al ladrone pentito), la chiesa ha bisogno del continuo perdono divino. Tempo della chiesa corrisponde a tempo dell’agire dello Spirito (Luca). L’evangelista scopre infatti un vuoto di preghiera nella sua chiesa e lo si capisce dall’insistenza sull’importanza della preghiera che ha come centro la richiesta dello Spirito. È altrettanto importante l’ascolto della Parola, la sua custodia e meditazione, oltre alla sua annunciazione e testimonianza; ci parla di una chiesa che può annunciare la Parola, solo se la si ascolta e medita. Infine nel vangelo di Luca troviamo la sua forte insistenza al pericolo delle ricchezze (attaccamento ai beni terreni per “sostituire” l’attesa della venuta di Cristo che porta all’individualismo) e per l’amore per i poveri. CAP. 3 – PROSPETTIVE PAOLINE 1. Un termine e un’esperienza. Paolo è il primo tra gli autori del NT ad usare il termine ekklesia per indicare chi aderisce alla fede a Cristo (anche se questa esisteva già da prima). Compare la prima volta nella lettera ai Tessalonicesi: “Paolo e Silvano e Timoteo alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù cristo”. • L’utilizzo del termine si riferisce agli abitanti e non al luogo. • La specificazione “in Dio padre e nel Signore Gesù Cristo” è peculiarità di Paolo, che usa poi sempre la locuzione “chiesa di Dio” (ekklesia sembra essere abbreviazione di he ekklesia tou theou = la chiesa di Dio). Il termine indica l’assemblea, la riunione dei credenti in Cristo in un luogo particolare ma universale, Ekklesia non indica un edificio fisico, ma il loro stesso radunarsi in assemblea. Nonostante Paolo lo usi per indicare realtà locali, è consapevole degli elementi che accomunano le diverse chiese e che ne fanno un tutt’uno, tra cui i rimandi a una tradizione uguale per tutti e la certezza di una fede condivisa. La prima lettera ai Corinti invita a considerare l’esperienza personale di Paolo che ebbe la propria rivelazione sulla via di Damasco, ciò che lo ha spinto ad annunciare Gesù tra le genti. “Genti” deriva dell’idea che si sarebbe verificato un afflusso di tutti i popoli verso Gerusalemme alla fine dei tempi. L’interpretazione di Paolo è nuova e originale, possibile solo sulla base dell’evento di Cristo, specie della Pasqua; per lui Cristo è il superamento della Legge, pone Gesù in parallelo con • Passo del Pastore di Erma: vede la chiesa come un’anziana, precisamente più vecchia del mondo stesso. • Passo dello Pseudo-Clemente: si parla di una chiesa spirituale creata “prima del sole e della luna”. • Passo di Ignazio d’Antiochia: si rivolge alla chiesa “che è stata predestinata prima dei secoli”. La chiesa viene descritta anche attraverso diverse immagini tratte dalla Scrittura: il nuovo popolo di Dio, casa o tempio di Dio, sposa di Cristo, madre che genera alla vita divina i credenti, “casta-meretrix” (santa ancorché composta da peccatori, accolti dalla stessa), “mysterium lunae” (brilla come la luna di una luce riflessa, quella del sole, che è Cristo), barca di Pietro che offre la salvezza. Tuttavia nella concezione della chiesa in epoca patristica, la nozione di Paolo, di chiesa come corpo di Cristo risulta essere la più determinante. 2. Chiesa ed Eucaristia: un vincolo illuminante. La prospettiva paolina per cui la partecipazione dell’uomo all’unico calice e all’unico pane spezzato è comunione con il corpo di Cristo, segna la stagione patristica. Molti padri infatti inducono a considerare il nesso tra corpo di Cristo nato dalla Vergine, quello eucaristico e quello ecclesiale, sinteticamente così espresso: il corpo di Cristo donato nella Pasqua, per la mediazione del corpo di Cristo eucaristico accoglie in sé coloro che mangiano di quell’unico pane. L’Eucaristia viene vista nel suo doppio simbolismo: attualizzazione della Pasqua nel dono del suo corpo, segno della comunione della chiesa (realizzata con la Pasqua) ed anticipo della comunione piena che si realizzerà alla fine dei tempi. L’omelia d’Agostino nel giorno di Pentecoste fa capire il legame intimo e illuminante tra Eucaristia e chiesa. La recezione del corpo di Cristo eucaristico è quindi per i cristiani ciò che essi sono, il loro essere in quanto chiesa. Per questo nei diversi testi patristici viene designata come “segno di carità” o “vincolo di unità” e si ricorre spesso al simbolismo del pane (composto da diversi chicchi di grano) e del vino (costituito da molti acini d’uva) per esprimere l’unità dei cristiani realizzata attraverso l’eucaristia. 3. Communio ecclesiarum. Perché l’eucaristia avvenga in un luogo determinato, per chiesa s’intende quella concreta porzione d’umanità che nella fede viene radunata in un determinato luogo dal vangelo. Gli elementi che permettono il realizzarsi della chiesa in un luogo determinato (eucaristia e il ministero episcopale) immettono simultaneamente i cristiani nell’unico corpo di Cristo, mettendo così in relazione ogni singola chiesa con le altre. Molto presto si avvertì in tale visione, il compito singolare di garante dell’unità e della comunione che ha la chiesa di Roma, con il suo vescovo. Kehl dice che è proprio questo il significato di “communio ecclesiarum”: la Chiesa universale cattolica è la “comunione delle Chiese locali”; i medesimi elementi strutturali che garantiscono l’unità della chiesa locale valgono anche per la chiesa universale. Tra gli elementi strutturali si può far riferimento al principio sinodale e a quello della paradosis (tradizione): • Il primo fa riferimento al fatto che laddove emergevano delle problematiche che oltrepassavano i confini di una singola chiesa locale, i vescovi di diverse chiese vicine e coinvolte si riunivano in sinodi regionali per deliberare a proposito delle questioni problematiche. Successivamente questa pratica porterà alla creazione di concili all’interno dei quali si discute su questioni riguardanti la fede di tutti i cristiani. • Il secondo elemento fa riferimento al fatto che le chiese affermarono la propria ortodossia richiamando il loro collegamento alla tradizione degli apostoli. Le chiese fondate dagli apostoli o in cui essi avevano operato assunsero infatti un ruolo particolare e vennero dette “sedes apostolicae” (segno di una comunione sincronica delle chiese con tutte le altre in un’unica chiesa cattolica, ma una comunione anche diacronica con il fondamento posto dagli apostoli). CAP. 2 – NEL MEDIOEVO: CONTINUITA’ NELLA NOVITA’ 1. Mutamento del senso di corpo di Cristo. Per molti aspetti ciò che il termine chiesa esprime all’epoca dei padri permane anche lungo il medioevo. In particolare rimane l’idea che sia il corpo di Cristo. Si registra però un sensibile mutamento di prospettiva: le dispute eucaristiche porranno l’accento sulla questione della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Un cambiamento nell’uso del vocabolario segnala una modifica di pensiero: all’epoca dei padri l’aggettivo mistico era usato per indicare il corpo di Cristo eucaristico e indicava la presenza del “corpo di Cristo nel mistero”; ora designava invece sempre più spesso la chiesa, come “corpo mistico di Cristo”, ora la chiesa è misticamente (cioè nel mistero) significativa dell’Eucaristia. Questa vicenda indurrà sempre più a pensare la chiesa in analogia del corpo dell’uomo e della “società civile” invece che con il corpo di Cristo eucaristico. De Lubac afferma: il corpus mysticum verrà poi concepito non solo con il corpo naturale dell’uomo, ma anche con le società umane tornando all’antico ecclesiae corpus. In questa epoca iniziano riflessioni relative al rapporto sacerdozio-impero, chiesa in senso monarchico ed in maniera rappresentativa e conciliarista. 2. Impronta dionisiaca e spinte conciliariste. La linea di pensiero canonistico e poi teologico orienta ad una visione ierocratica (potere politico in mano ai sacerdoti) della chiesa. Il Papa è il vicario di Cristo sulla Terra ed a volte viene interpretato come quasi-divino. In lui risiede la sorgente di quel potere che s’estende poi a tutti gli altri cristiani. Si inizia a concepire il potere della chiesa come superiore rispetto a quello dell’impero: questo perché Cristo non può avere due estremi. L’unica testa è il Papa, il quale cederà la spada del potere temporaneo all’imperatore, principio alla base della bolla unam sanctam di Bonifacio VIII del 1302 in relazione a Filippo il Bello. Quindi: chiesa come universale congregazione di fedeli guidati da un unico pastore, il Papa, vicario di Cristo. A questa concezione concorrono diversi fattori: • Piano “politico”: la chiesa finisce pian piano per assorbire in sé le forme di quell’impero a cui si oppone e i suoi pastori (tra cui il Papa in primis) si interpretano sempre più secondo le forme dell’impero. • Piano “storia delle idee”: influenza importante da parte del pensiero dello pseudodionigi nel corso del medioevo. Si crede che egli sia il discepolo di Paolo e che dia vita ad un pensiero che vede la realtà secondo un ordine gerarchico rispetto a Dio, in modo tale che gli esseri inferiori possano essere ricondotti a Dio attraverso degli intermediari. Questo pensiero verrà applicato sul piano della gerarchia dei poteri (perché gli uomini sono considerati tutti uguali dalla chiesa) ed il corpo ecclesiale verrà visto come una sorta di piramide che dal Papa scende fino all’ultimo laico. Anche il pensiero degli ordini mendicanti avrà la sua influenza: hanno messo in atto una missione ricevuta direttamente dal Papa, considerato detentore di un potere universale e supremo (torna l’dea di un popolo unico sottomesso a una autorità). Oltre a questa concezione troviamo posizioni antitetiche che si sviluppano sempre nel tardo medioevo, c’è chi afferma l’idea che la chiesa sia la congregatio fidelium che si deduce solo da Cristo. 3. I cinque significati del termine chiesa. Marsilio da Padova, autore che ha espresso una critica alla concezione ierocratica della chiesa e al modo di articolare il rapporto chiesa/stato. Egli attribuisce 5 significati al termine chiesa (pensiero medievale): 1. Accezione “politica”, assemblea di cittadini. 2. Accezione “spaziale”, il tempio o la casa in cui i fedeli adorano Dio. 3. Accezione “clericale”, ministri, preti o vescovi e diaconi che amministrano e sono a capo di una chiesa. 4. Chiesa come “chiesa romana”, universale sotto il Papa, da cui proviene ogni potere (Marsilio afferma che sia un significato non conforme alle Scritture e alla prassi della chiesa primitiva). 5. Chiesa come “insieme di tutti coloro che credono e invocano il nome di Cristo”, l’universitas fidelium (a detta di Marsilio il più vero di tutti i significati). In sintesi possiamo dire che nel medioevo la chiesa viene concepita: o come capo del corpo (il padre da cui proviene ogni potestà), (ipotesi più valida), o come tutte le membra del corpo (congregatio fidelium). CAP.3 – EPOCA MODERNA E CONCILIO VATICANO I 1. L’unità infranta e alcuni principi della ecclesiologia riformata. L’epoca moderna inizia con la svolta culturale, dell’autonomia e della libertà, ma non è facile determinare il momento storico in cui inizia, c’è chi fa risalire la sua nascita alla Riforma Protestante di Lutero, ciò che più ha minato la cristianità, il cui risultato fu la separazione delle chiese in confessioni. Una tra le prime conseguenze fu quindi che il termine chiesa iniziò a far riferimento a confessioni cristiane differenti che accentuano elementi tra loro diversi finendo per compromettere anche quel che è comune. Il cuore della Riforma sta in una riaffermazione del primato di Dio, del “sola Scriptura”, della “sola Gratia”, del rifiuto della Messa come sacrificio, della vicinanza all’idea conciliarista ed in contrasto con la chiesa verticista. Consideriamo il pensiero di Lutero: • La chiesa è “creatura Verbi divina”, è la parola di Dio a crearla, quindi c’è una sorta di corrispondenza tra chiesa e Parola di Dio. Critica quindi la pretesa del potere clericale e papale d’essere sorgente della chiesa. • La chiesa non può essere definita a partire dai suoi elementi esteriori e visibili, perché è “sancta fidelium congregatio” e “la communio sanctorum”, è opera di Dio e ha Cristo per unico Signore. Lutero parla di una chiesa abscondita: Cristo è presente nella chiesa come lo era nel grembo di Maria, in modo occulto; perché quanto di essenziale vi è in essa è invisibile agli occhi di chi la considera solo dall’esterno. • È inammissibile vincolare la cristianità con Roma e con l’autorità del papato romano ed è essenziale ridare centralità al sacerdozio comune in tutti i credenti. • Chiesa spirituale (quando la Parola è annunciata e accolta con fede e si celebrano i sacramenti) e chiesa visibile (realtà visibile ed esterna); non sono però da considerare separatamente. 2. Reazione cattolica. Vi è una reazione che spinge a porre l’accento sull’autorità magisteriale della chiesa, in particolare del Papa. Si assiste a forte difesa e giustificazione. Rispetto all’idea di chiesa abscondita l’accento cade sulle dimensioni visibili, esteriori e gerarchiche della chiesa, viene pensata sempre più come una società organizza uno stato, forte centralità di Roma, monarchia come forma di governo migliore. La dimensione del rapporto mistico di Cristo con la chiesa rischia di essere oscurata: lui è fondatore della chiesa, ma questa non è più vista come il suo più intimo e profondo fondamento, bensì come organizzazione. Quindi la chiesa nei secoli successivi alla Riforma è un’istituzione, un governo, una “società perfetta” che ha in sé tutto ciò che occorre per procurare il fine per cui è fatta, senza aver bisogno di interventi dello stato. Questione dell’”infallibilità”: la chiesa è di per sé infallibile, ma la questione riguarda il fatto che il Papa stesso sia il soggetto di tale infallibilità. Questo porterà a maturare due idee: l’idea che il Papa non sia soggetto a fallacia e l’idea che a una ecclesia docens corrisponda una ecclesia credens o addirittura una ecclesia discens. In conclusione possiamo affermare che anche dopo il furore polemico alle tesi dei riformanti prevale un’immagine apologetica ed esternante della chiesa e manca la valorizzazione dei suoi aspetti misterici. 3. Concilio Vaticano I. 1869-1870 avviene il Concilio Vaticano I, un evento importantissimo per la determinazione di cosa sia chiesa. La chiesa nei secoli XVI-XIX subì 3 traumi: • uno di ordine ecclesiale: rigurgiti di conciliarismo che esprimevano la rivendicazione di una responsabilità del collegio dei vescovi sul piano della chiesa universale e l’autorità dei singoli vescovi nelle loro diocesi. • uno di ordine politico: “il sistema della chiesa di stato” in cui le chiese dipendono molto dal monarca e dalla burocrazia statale; sovranità assoluta della monarchia del re anche sulla chiesa. • uno di tipo spirituale-culturale: l’Illuminismo con il suo pensiero pone in discussione le tradizioni e le autorità. Si assiste a un rifiuto della chiesa che portò a una definitiva consapevolezza di potersi realizzare solo fuori di essa, senza fede. Questi traumi svilupparono la necessità per i cattolici di difendersi dalla modernità, attraverso la restaurazione del principio di autorità, rafforzando quindi l’autorità papale. Le affermazioni del concilio appaiono come la risposta della chiesa a questi shock. Si tratta di una sorta di modernizzazione della chiesa, si assiste a una presa di distanza dalle modernità ma attraverso la recezione di alcune prospettive tipiche dello sviluppo del pensiero moderno. Il ritorno al principio di autorità è riscontrabile nell’opera di M.Cappellari (che diventerà Papa Gregorio XVI) “Il trionfo della Santa Sede e della chiesa contro gli assalti dei novatori combattuti e respinti colle loro stesse armi”, qui vuole sostenere la sovranità del Papa basandosi però su principi della mentalità moderna: dà per scontato la forma attuale del governo della chiesa e riconosce la sovranità assoluta del Papa (come se fosse un monarca). Le due affermazioni dogmatiche della costituzione Pastor aeternus durante il Concilio sono: • Si afferma il potere di giurisdizione del romano pontefice, ordinario, episcopale e immediato sulla chiesa. • Viene dichiarata l’infallibilità del Papa a determinate condizioni che riguardano soggetto (Papa come pastore supremo), oggetto (in merito alla dottrina in materia di fede e morale) e atto. Nel postconcilio si confermò la concezione massimalista delle affermazioni del concilio Vaticano. Quindi in sintesi nel cattolico medio del 1950 l’infallibilità è di fatto il Papa e l’autorità piena e universale è ancora il Papa. Si fa sempre di più a immagine d’uno stato moderno amministrativo e centralizzato. 4. Immagine di chiesa. Cos’è cambiato nel sottendere il termine chiesa con il concilio Vaticano I fino agli anni ’20: • È evidente la dimensione dell’autorità come carattere fondamentale della realtà della chiesa. • Privilegio conferito alla dimensione esterna, visibile e giuridica della chiesa “società perfetta” a dispetto della dimensione misterica, invisibile e comunitaria della stessa. • Carattere fortemente papalista. • Concezione fortemente clericale di chiesa, forte difesa della dimensione gerarchica della stessa, questo aspetto porterebbe alle dimenticanze di fedeli e comunità, una contrapposizione tra autorità e obbedienza. CAP.4 – VERSO UN RINNOVAMENTO ECCLESIOLOGICO 1. Prodromi (segnali) di un cambiamento. Nel XIX secolo ci furono istanze di rinnovamento ecclesiologico. Un ritorno allo studio dei primi secoli cristiani permise di mostrare come il termine chiesa poteva e doveva esprimere realtà ben più vitali di quanto si era soliti ritenere. La ricerca da parte di molti teologi pose le basi per un mutamento di concezione della chiesa, che porterà a un cambiamento della prassi ecclesiale con la grande teologia del Novecento con l’enciclica Mystici Corporis (1943) ed il concilio Vaticano II. Facciamo riferimento a due opere dell’800 a titolo esemplificativo e ad alcuni mutamenti significativi della prima metà del XX secolo. 2. L’unità nella chiesa. La lezione di Joan Adam Möhler. Möhler scrive nel 1900 l’opera “L’unità della chiesa. Il principio del cattolicesimo nello spirito dei padri della chiesa dei primi tre secoli”. • Parte dallo studio dei Padri, dei primi secoli di cristianesimo e da qui inizia a ripensare la realtà della chiesa. • Fondamentale per lui risulta conciliare due prospettive che sembrano inconciliabili: le idee di chiesa come società in cui esiste una distinzione essenziale tra chi insegna e chi ascolta, chi governa e chi obbedisce; l’immagine della chiesa che era maturata in lui secondo cui il principio guida è lo Spirito Santo che ricrea il popolo cristiano, in cui è centrale la comunità e la partecipazione di tutti. Lo studio dei Padri gli permette di trovare una via d’uscita: afferma che sia l’unità il fine che la chiesa esprime. • Secondo Möhler noi attraverso lo Spirito arriviamo al Figlio e questi ci conduce al Padre; considerando questa via capiamo cosa si sottenda al termine chiesa. Lo Spirito Santo è l’inesauribile tesoro del nuovo principio vitale, la sorgente di vita dell’umanità che riempie e struttura la chiesa. • Due capisaldi del pensiero di Möhler: per lui il cristianesimo è vita nello Spirito, presente nei fedeli come sorgente di vita stessa (“vitalismo”); tale vita è poi necessariamente organica, ecco perché il suo essere presente nei fedeli li struttura in un organismo, la chiesa (“organicismo”). La chiesa è dunque vita comunitaria ma lo è in modo tale da salvaguardare e presupporre delle individualità: il singolo infatti è uno in quanto diverso dagli altri, parte unica e irrepetibile dell’organismo della chiesa. Da qui nascono due conseguenze fondamentali: la fede, che si sviluppa in forza dello Spirito, coincide con l’amore, in quanto crea quest’unità che differenzia; solo nell’esperienza dell’unità è possibile conoscere Cristo. Perché dunque si realizzi la chiesa sono necessari alcuni elementi “oggettivi” ma è opportuno considerare anche l’elemento “soggettivo”, la concreta porzione d’umanità che viene raccolta nello Spirito in Cristo. Anche il tessuto di relazioni che s’instaurano tra i credenti dev’essere preso in considerazione per definire la realtà della chiesa, essa è realizzata infatti anche dai molteplici vincoli fraterni che legano i cristiani tra loro. Quindi possiamo dire che anche le caratteristiche più “socio-culturali” di ognuna di queste porzioni di umanità diventano d’interesse teologico, divengono chiesa e ne concorrono alla realizzazione, in questo senso si può parlare di chiesa locale. La chiesa locale è il realizzarsi a livello di un luogo dell’unità dell’umanità di Cristo: ognuna di esse è una realizzazione storica ma allo stesso tempo anche universale, perché la chiesa universale non può che darsi attraverso le chiese particolari dato che non può esistere al di fuori degli eventi storici. Si tratta di una pluralità di chiese in comunione tra loro in forza dell’unicità della chiesa. C’è quindi simultaneità tra locale e universale comprensibile secondo il dinamismo della cattolicità: in ogni chiesa locale si realizza il tutto e reciprocamente ogni chiesa locale vive secondo il tutto. Nel considerare la chiesa quale popolo di Dio nella forma del corpo di Cristo, capiamo che la presenza del risorto può manifestarsi in ogni luogo col dono del suo corpo. Tuttavia ciò che si realizza in ogni luogo è il raccogliersi del popolo di Dio nel corpo di Cristo, aperto alla totalità dell’umanità. 3. Chiese e comunità ecclesiali. Nel definire dove si dia chiesa va considerato il nesso tra chiesa cattolica romana e comunioni non cattoliche. Prima del Vaticano II era chiara la concezione di chiesa come chiesa cattolica romana, durante il concilio i padri affermarono che la chiesa del NT continua ad esistere precisamente nella chiesa cattolica e si trova qui con unità ed integrità di tutte le sue proprietà inalienabili (santità, cattolicità, apostolicità) e coi mezzi di salvezza di Dio. Con questa nuova prospettiva si riconosce che al di fuori della chiesa cattolica non esista un vuoto ecclesiale: anche nelle altre chiese si realizza la chiesa ma in modo più o meno pieno a seconda delle proprietà conservate. Nei testi conciliari troviamo una distinzione linguistica tra chiese e comunità ecclesiali separate: nel primo caso ci si riferisce alle comunità orientali riconosciute come chiese, anche se non in piena comunione con Roma; nel secondo caso ci si rifà alle comunità sorte dalla separazione in Occidente. La distinzione linguistica è dovuta a un criterio d’ecclesiologia eucaristica per cui non c’è piena realtà della chiesa laddove non c’è piena realtà dell’Eucaristia. Si tratta sempre di chiese, ma che non lo sono in modo rivendicato dalla chiesa cattolica, in cui chiesa equivale a popolo di Dio che raccolto nell’Eucaristia. In conclusione si può affermare che si stabilisce il luogo del realizzarsi della chiesa sulla base degli elementi ecclesiali che le singole comunità cristiane hanno conservato. Anche se nel considerare dove sia realmente la chiesa non si debba prendere in seria considerazione tutti gli elementi citati, perché infine questi hanno effetto in misura in cui sono posti in essere dagli umani. CAP. 3 – CHIESA: PER CHI? 1. Sacramento universale di salvezza. La categoria ecclesiologica della sacramentalità compare nei testi conciliari anche se non massivamente. In epoca postconciliare questa categoria assunse ampia rilevanza, viene presentata da A.Dulles come modello capace d’armonizzare i valori veicolati dagl’altri modelli di chiesa considerati. L’uso di tale categoria è lecito quando si specifica che ad essere sacramento è la chiesa intesa come popolo di Dio in forma di corpo di Cristo, e proprio perché tale, è sacramento della salvezza che in Cristo è rivolta a tutti. Nella chiesa si realizza la salvezza offerta da Cristo, attraverso la comunione sia verticale sia orizzontale (in relazione a Cristo e all’intera umanità che egli vuol salvare universalmente). È una salvezza già apparsa, ma non ancor interamente compiuta. 2. Responsabilità. Durante il Vaticano II viene affermato che “questa chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza”; si fa riferimento ai credenti, necessari alla salvezza in forza del legame col Salvatore che abita la chiesa. La chiesa, nel suo essere sacramento (segno e strumento) della salvezza offerta da Cristo, è necessaria a sé stessa. Il modo in cui la chiesa esplica il suo servizio necessario alla salvezza dell’umanità è offerto da Ratzinger, aiuta a capire come la chiesa, accedendo alla salvezza (dono della vita di Cristo) viene resa responsabile della salvezza di tutti coloro per cui Cristo si è offerto. Essendo accolti nel corpo di Cristo si diventa quindi partecipi dello stesso dinamismo d’offerta della vita in favore dell’umanità. La chiesa non è responsabile secondo un modo che rende inutile ciò che vivono gli uomini che non le appartengono, si tratta di una responsabilità che ne suscita d’altre. La responsabilità quindi non è in contraddizione con la missione ma la comporta. 3. Missione. In passato si riteneva che tutto il mondo avesse già conosciuto il Vangelo e che quindi la missione fosse già compiuta. Il Vaticano II afferma che la chiesa è missionaria per 3 fattori: • Il rinnovamento teologico intorno al tema della missione. • La nascente presa di coscienza che l’Europa, tradizionalmente cristiana, può ormai essere essa stessa “terra di missione” in certi luoghi; ma ciò comporta anche riconoscere che le strutture della cristianità paiano inadatte all’accoglienza di chi non è più “normalmente cristiano”. • Passaggio da Chiesa mondiale potenziale a Chiesa mondiale attuale, presente ovunque con gradi d’ intensità. I testi conciliari ci offrono quindi una visione di missione allargata: la chiesa è frutto della missione divina ma è chiamata a continuarla nella storia. La missione però dev’essere contestuale, un dinamismo che chiede d’essere pensato in contesto di fine cristianità, che l’Occidente si trova a vivere: affinché la chiesa si ristrutturi e si riformi ponendo al centro l’annuncio evangelico. Fare ciò significa continuare a pensare alle due relazioni: quella al Dio manifestato in Gesù e quella alla totalità degli uomini per la cui la salvezza Dio ha comunicato sé stesso.