Scarica Teologia 2 - Teologia II e più Appunti in PDF di Teologia II solo su Docsity! LA FEDE CRISTIANA CHI SONO I CRISTIANI? La risposta, nella storia Occidentale da millenni cristiana, è sempre stata ovvia e coincideva con il credere in Gesù Cristo risorto e redentore. Quando tutti erano cristiani, porsi la domanda non aveva senso. La domanda si pone quando l’identità dei cristiani cessa di essere un dato evidente o quando il pluralismo religioso costringe a rendere esplicito il proprio modo di credere. Oggi i popoli e le religioni vengono a contatto in uno stesso ambiente e si comincia a interrogarsi in maniera più esplicita su chi sono i cristiani. Ci sono due modi per rispondere a questa domanda: L’identità cristiana può essere definita a partire da un concetto generale di religione. C’è la religione e poi c sono le tante religioni (cristianesimo, islam, buddhismo ecc) i cristiani sono persone e comunità che aderiscono ad una fede religiosa che, in particolare, si identifica in un suo particolare modo. L’etimologia del termine “cristiano” rimanda a Gesù e alla sua vicenda storica. Nel Nuovo Testamento la relazione con Gesù si presenta in due forme fondamentali: 1. il discepolo che ha incontrato personalmente Gesù: questa cerchia è limitata perché presuppone l’essere vissuto nel tempo e nello spazio in cui ha vissuto Gesù. È una condizione privilegiata, unica e irripetibile. 2. il credente che l’ha conosciuto attraverso la parola dei testimoni: il credente incontra Gesù attraverso la mediazione di parole, gesti, comunità che conserva la Sua parola. La condizione perché la Sua parola possa arrivare a tutti è proprio il fatto che l’incontro non è limitato a chi ha conosciuto Gesù personalmente, ma è possibile anche attraverso la testimonianza. Il discepolo 1. incontra Dio attraverso la parola e la vita di Gesù, poiché egli parla di Dio e del Suo Regno, non di sé stesso. Nella parola di Gesù il discepolo incontra Dio stesso. 2. si converte a una vita nuova: questo elemento è evidente nei racconti dei discepoli, Gesù strappa i discepoli e li indirizza a una vita nuova. C’è una dimensione che tocca il modo concreto di agire, cambiato dall’incontro con Gesù. 3. entra a far parte di una comunità che è germe del popolo di Dio Il credente è colui che 1. crede in Gesù Cristo, morto e risorto, incontrato attraverso la parola di chi lo annuncia 2. riceve il battesimo (in origine era fatto agli adulti, secondo una scelta di cambiare modo di vivere, ovvero una conversione) 3. dallo Spirito è rinnovato per vivere una vita nuova nella Chiesa Entrambe le figure – il discepolo e il credente – presentano gli elementi dell’identità cristiana: 1. una fede 2. una pratica (un determinato stile di vita con comandamenti e istruzioni sul modo di agire) 3. una comunità Dall’equilibrio e dal collegamento con questi tre elementi nasce l’identità del cristiano, ma nel corso dei secoli non sempre questa coscienza è rimasta equilibrata: la storia del cristianesimo mostra che in alcuni casi l’unità degli elementi che definiscono l’identità cristiana è andata perduta e un aspetto è stato messo in risalto in modo esclusivo. 1. un cristianesimo ridotto a dottrina impari il catechismo e sei cristiano, con il rischio di dire che sapendo una dottrina si è cristiani 2. un cristianesimo riotto a morale la scienza ha spiegato tanti fenomeni la cui causa prima era attribuita a Dio, quindi dal punto di vista dottrinale risulta superata e porta solo un ruolo moralizzatore delle persone. Vedere il cristianesimo solo come azione punitrice per chi si comporta amoralmente porta alla ribellione (Nietzsche limite a vivere liberamente) 3. un cristianesimo ridotto all’istituzione ecclesiale costruzione di chiese, cura dei malati sono modi di intervenire di un’istituzione storica e gloriosa che agisce nella società soccorrendo i bisognosi. Fermandosi ad uno solo di questi aspetti ci si forma un’immagine parziale della Chiesa. La fede: 1. ha una irriducibile dimensione personale: è una decisione che spetta unicamente al singolo e non è fede far parte di una comunità per “tradizione”. 2. non si riduce però alla sincerità del sentimento soggettivo, ma ha un essenziale riferimento alla storia di Gesù: non sei cristiano se la tua pratica non è legata a Gesù la fede cristiana si costruisce in relazione a Gesù. 3. è infine fede condivisa dalla comunità dei credenti. Nel punto di incontro tra queste dimensioni si trova il Credo. Il Credo o Simbolo della fede è la formula che mette in relazione l’atto personale del credere con l’azione di Dio nella storia umana e con la comunità che nel corso dei secoli ha professato la fede con le medesime parole. Le cose più importanti della Scrittura sono qui sintetizzate e si chiede a chi lo recita di condividerlo. La sua funzione è di permettere alla comunità di professare insieme la sua fede. Il fatto che dal IV secolo in avanti la Chiesa professi la sua fede con queste parole dà un indizio che la fede è la medesima professata dai padri e da chi mi sta accanto e pronuncia le stesse parole. Nel corso dei secoli la fede cristiana ha trovato formulazioni diverse, ma due testi sono i più autorevoli e sono ancora oggi riconosciuti dalla maggior parte delle chiese cristiane. Nonostante le spaccature che ci sono state, queste professioni sono ancora fondo comune: 1. Il Simbolo Apostolico (attestato nella liturgia battesimale della Chiesa di Roma nel III secolo) Il simbolo era un modo concreto nell’antichità che si usava per avere un riconoscimento: si prendeva un coccio e veniva spezzato, i due che avevano i due pezzi, unendoli, si trovavano parte di uno stesso insieme. Nella liturgia battesimale il credente ripeteva il Credo che gli era stato insegnato, restituiva e faceva combaciare quel credo che gli era stato consegnato. 2. il Simbolo Niceno-Costantinopolitano frutto dei Concili di Nicea (325) e Costantinopoli (381) Il Simbolo Apostolico Io credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. E in Gesù Cristo, Suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, mori e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen LA CREAZIONE Il Credo esordisce con la professione di fede in Dio al quale attribuisce l’opera della creazione: Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. indicando gli opposti dicono tutta la realtà Il tema della creazione è oggi tornato di attualità: il problema ecologico ha reso consapevoli del delicato equilibrio esistente tra l’essere umano e il suo mondo. Questo equilibrio si è incrinato a causa dei comportamenti umani e non per una fatalità. Si discute tra gli specialisti e i politici sul fenomeno del riscaldamento globale, ma l’opinione quasi unanimemente sostenuto ritiene che la sua causa sia umana. È necessario individuare soluzioni tecniche e operative per porre rimedio a questo circolo vizioso a cui noi stessi siamo all’origine e abbiamo bisogno di capire in quale direzione rivolgere il nostro agire: abbiamo bisogno di una saggezza che indirizzi la relazione uomo-mondo. Alcuni si rivolgono alla Bibbia per cercare una sapienza in grado di ristabilire l’equilibrio tra l’essere umano e il suo mondo. In particolare, i racconti della creazione propongono una visione in cui l’essere umano non è padrone del suo mondo, ma solo amministratore, che ha ricevuto da Dio il compito di custodire la “casa” creata per l’umanità. La differenza è sentirsi padroni o amministratori di un bene che ci è stato affidato, sia in una visione religiosa che meno: lasciare ai posteri un mondo abitabile. Altri, al contrario, accusano la Bibbia di essere all’origine di una concezione che afferma il dominio degli esseri umani sulla creazione ed è quindi causa dello squilibrio ecologico attuale. Nel primo capitolo del libro della Genesi Dio disse “crescete e moltiplicatevi, sottomette le creature”: l’idea di una crescita senza limite e della superiorità dell’uomo starebbe all’origine di questo squilibrio. L’idea che il mondo sia dominato da potenze divine, seppur affascinante, limita l’azione: Dio ha affidato il mondo all’uomo e alla sua responsabilità. L’Oriente pensa al mondo come un tutt’uno (infinito+finito), mentre l’Occidente li separa: il mondo ci è affidato e possiamo agire senza suscitare ‘ira’ divina. Per gli uni e per gli altri i racconti biblici della creazione sollevano questioni soprattutto riguardo alla compatibilità delle loro affermazioni con l’immagine del mondo che la scienza ha delineato. I primi capitoli della Genesi sono racconti di grande ingenuità, che si scontrano con la teoria evoluzionistica. I racconti biblici della creazione ricorrono al genere letterario sapienziale: non sono narrazioni di un testimone, ma risultato di un percorso a ritroso che, partendo dal presente, colloca all’inizio i dati fondamentali circa il mondo e l’umanità. Ciò che si trova all’inizio è una caratteristica permanente ed universale: quello che c’è sempre è perché c’è stato all’inizio (es. si vive quando si respira: Genesi 2 > Dio soffia e ci dona il respiro) Genesi 2, 4-7: “Queste sono le origini del cielo e della terra, quando vennero creati. Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il suolo. Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente.” È un racconto ingenuo, ma non privo di significato: 1. Il mondo è un giardino fatto perché l’uomo vi abiti e perché lo coltivi 2. L’uomo è plasmato dalla terra e appartiene alla terra, non alla sfera della divinità 3. Da Dio l’uomo riceve il respiro vitale e vive finché questo dono gli è concesso Genesi 2, 18-24 “Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo (…) ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne.” La solitudine dell’uomo nella prima parte del racconto rivela che la creazione è incompiuta. L’uomo dà il nome agli animali, un modo per mettere ordine al mondo e dargli comprensibilità. Dare un nome significa conoscere e poi esprimere la propria signoria. Ma gli animali non gli corrispondono, non sono all’altezza di un rapporto di reciprocità e alla pari a cui l’uomo aspira. C’è un dislivello e il desiderio di comunione tra l’uomo e altro si compie con la creazione della donna. Nel mondo antico l’identità era legata al clan. La forza che stacca una persona dai legami con la famiglia di origine è quella che permette un’unione tra un uomo e donna che ristabilisce l’unità originale (“ossa, carne della mia carne”). - La creazione dell’uomo non è completa fino a quando egli non trova l’aiuto che gli corrisponde. - Gli animali non sono la risposta alla solitudine dell’uomo, ma solo la donna con la quale può vivere una relazione di reciprocità. Genesi 1, 1-5 “In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano gli abissi e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo.” L’esperienza religiosa ebraica vede nella parola la manifestazione di Dio. Israele fa propria e assume quegli aspetti della scienza, soprattutto cosmologica, di Babilonia. Il racconto diviene più raffinato. Alcuni interpreti parlano di un’intenzione proto-scientifica. Israele, da un lato, assimila le conoscenze sul mondo e, dall’altro, le sigilla e mette un segno originale. Uno solo parla: Dio. Non c’è risposta o un dialogo tra Dio e l’uomo. C’è un solo testimone della creazione: Dio. E solo lui può parlare di essa. - Il racconto d Genesi 1 è scritto nel periodo dell’esilio, quando Israele si trova a confronto con la mitologia babilonese e con le sue cosmogonie. - Da queste descrizioni dell’origine del mondo il testo biblico assume alcuni elementi e, al tempo stesso, si distingue da esse affermando che Dio crea mediante la sua parola. Genesi 1, 26-27 “Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.” L’uomo e la donna partecipano della creazione. L’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio. Nel mondo babilonese ed egiziano il re era considerato rappresentante di Dio sulla terra, perché è in grado di esercitare il potere. La religione di questi popoli abbondava inoltre di rappresentazioni (statue) delle diverse divinità. Queste due affermazioni sono contrastate nella formula per cui Dio crea l’uomo a sua immagine e somiglianza. Il racconto della Genesi afferma che: 1. La creatura umana – non gli idoli – è l’unica immagine che corrisponde a Dio, perché è lui stesso che l’ha fatta (le rappresentazioni non rivelano Dio, Egli può essere riconosciuto negli uomini) 2. La capacità di rappresentare Dio nel mondo non è riservata al re, ma è propria di ogni essere umano La differenza tra uomo e donna è ricondotta all’immagine di Dio e non è legata ad un’incompiutezza della creazione, come in Genesi 2. Gli esegeti insistono su due aspetti - l’essere umano è immagine di Dio in quanto capace di parola, comunicazione e dialogo, esemplificato nel rapporto tra uomo e donna, che nella loro diversità possono comunicare tra loro - È una comunione, quella tra uomo e donna, capace di creare vita e generare esseri umani: partecipano della potenza creatrice di Dio. 2 Maccabei 7, 28 “Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano” Epoca ellenistica, successiva alla morte di Alessandro Magno, in cui Israele subisce un dominio stretto da parte di Antioco: perdita di indipendenza politica e colonizzazione culturale e religiosa che vuole cancellare la Legge di Israele. Una madre esorta il figlio ad essere fedele verso Dio. Si parla di una creazione dal nulla. In un contesto segnato dal confronto con la cultura ellenistica, la fede di Israele nel Dio creatore abbandona la forma del racconto e gli elementi cosmologici, per esprimersi nell’affermazione che Dio ha fatto tutte le cose dal nulla (linguaggio astratto). La fede di Israele nel Dio creatore ha trovato espressione in una pluralità di linguaggi. Essa assume e corregge le concezioni circa l’origine del mondo di volta in volta disponibili. Ma non si identifica mai con una concreta immagine del mondo. Se il modo in cui si descrive cambia, vuol dire che non è la cosa più importante. L’evoluzionismo, in quanto teoria scientifica, non è incompatibile con la creazione. Esso rappresenta infatti il tentativo di spiegare un insieme di fenomeni osservati. La fede nel Dio creatore non si pone sul piano del come ha avuto origine il mondo e l’umanità, ma del perché c’è il mondo e l’umanità. Quando non si comprende e non si rispetta questa distinzione, si crea conflitto. Positivismo: convinzione che la scienza empirica può dare spiegazione di tutta la realtà. Nella storia dell’uomo, iniziando a cercare una risposta ai fenomeni, l’essere umano è partito dalla mitologia, passando alla filosofia e approdando alla scienza. Concordismo: tentativi della teologia di mostrare corrispondenza tra dati scientifici e predicazione biblica. Si mescolano così codici diversi e vie di ricerca e conoscenza della realtà metodologicamente diverse. Ma si parla dello stesso mondo, per questo vorremmo una teoria in grado di darci una teoria sintetica sul mondo. La forma del racconto dell’origine è in uso anche oggi, nella spiegazione di dati numerici. Il riferimento a Ponzio Pilato, cioè all’autorità politica sotto la cui giurisdizione è avvenuta la morte di Gesù, indica in maniera molto chiara il radicamento storico di quanto viene raccontato: Gesù è morto in un tempo precisamente definito e per opera delle autorità romane. Qual è stato l’atteggiamento di Gesù di fronte alla possibilità della sua morte? L’invito rivolto da Gesù ai suoi discepoli ad essere pronti al martirio (Mc 8, 35: chi vuole salvare la propria vita la perderà…; Mt 10, 28: non abbiate paura di coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l’anima…) deve valere prima di tutto per lui. Gesù ha dunque fatto i conti con la possibilità di una morte violenta. La minaccia di morte non induce Gesù a modificare il suo atteggiamento. Egli anzi verso la fine della su amissione compie alcuni gesti che possono essere interpretati come un ultimo appello rivolto a Israele per ottenere la sua conversione, un appello caratterizzato da un’urgenza che non ammette incertezze o tentennamenti. Egli manda in missione i suoi discepoli (Lc 10, 1) e, nonostante il pericolo, entra con loro a Gerusalemme (ciò che doveva apparire per lo meno come una provocazione). Se l’atteggiamento fondamentale che caratterizza tutto l’agire di Gesù è l’obbedienza filiale nei confronti del Padre, possiamo supporre che egli abbia accettato anche la propria morte con espressione della volontà del Padre. Certamente Gesù voleva la fede di Israele. M questo non esclude che egli integri nella coscienza della sua missione la possibilità del fallimento. In Lc 22, 15-16 (Ho desiderato ardentemente mangiare questa pasqua con voi prima della mia passione, poiché vi dico: non ne mangerò più finché essa non si compia nel regno di Dio) Gesù pronuncia una profezia piena di speranza: al di là della morte celebrerà di nuovo la pasqua e realizzerà il banchetto del regno di Dio, che sicuramente viene. La sua morte quindi non ferma la salvezza e il regno di Dio certamente viene. Gesù ha compreso la sua morte come quella del servo di Dio sofferente di Is 53, la cui sofferenza assume un valore di espiazione e diviene principio di una nuova alleanza. Come il servo di Jahvè, Gesù prende su di sé il peccato del popolo- il rifiuto della sua missione come inviato di Dio – e in questo modo supera anche il rifiuto rendendo possibile una nuova alleanza. La fede cristiana non “crea dal nulla” quando interpreta la morte di Gesù alla luce della Scrittura; la fede piuttosto riconosce la conformità alle Scritture della morte di Gesù e formula in termini espliciti il significato contenuto nell’essere per gli altri di Gesù, mantenuto fino alla morte. Questo non toglie che il processo attraverso cui i discepoli hanno superato lo scandalo della croce e sono giunti a comprenderne il senso sia stato faticoso e graduale e che la risurrezione rappresenti la chiave di lettura e la luce che permettono di scorgere un significato che prima era nascosto, ma non assente. La risurrezione di Gesù dai morti è la conferma della missione divina di Gesù e rappresenta la chiave interpretativa che, attraverso la lettura degli eventi precedenti, permette di comprendere il senso della sua vita e della sua morte. SPIRITO SANTO Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti. L’azione dello Spirito Santo si estende a tutta la storia della salvezza: - è lo Spirito di Dio che dà la vita alla creazione e che suscita i profeti per testimoniare la parola di Dio; - il Messia è pieno dello Spirito Santo (battesimo) ed è guidato dallo Spirito durante tutta la missione; - lo Spirito Santo costituisce il principio vitale della comunità dei credenti che rendono testimonianza a Cristo morto e risorto. Nonostante lo Spirito Santo abbia una presenza costante e decisiva nella storia della salvezza, esso occupa una posizione molto marginale nella coscienza di fede di molti cristiani, quando non è del tutto assente. Questo è dovuto in parte ad un limite della tradizione occidentale, che era preoccupata soprattutto di due cose: come conoscere Dio e come essere salvati. A queste due domande è stata trovata risposta nella manifestazione di Dio nel figlio che ci salva attraverso la sua croce. È una logica binaria e non trinitaria che ha conquistato una certa credibilità nella catechesi e nel modo in cui si concepisce la fede, dimenticandosi del fatto che la storia di Gesù rimarrebbe bloccata nel suo tempo-spazio se non ci fosse lo Spirito Santo. È tuttavia comprensibile, perché l’azione dello Spirito non è paragonabile a quella di Gesù (che ha agito ecc); esso ci rende capaci di cogliere in questa storia la manifestazione di Dio. Lo Spirito Santo cade al di fuori di questa visione, è come l’occhio, la vista: vediamo la realtà ma non la vista, l’occhio che vede. È la difficoltà di cogliere lo Spirito come dato oggettivo che può portare alla sua dimenticanza. Alla base del termine “spirito” (ruah) c’è l’idea di “vento”, “respiro”. - dal punto di vista cosmico, il vento è percepito come una potenza che l’uomo non riesce a dominare ed è quindi considerata strumento nelle mani di Dio; - dal punto di vista antropologico, dall’osservazione elementare che l’uomo che respira è vivo e si passa a identificare il respiro con la vita (Gen 2, 7); ma per l’uomo il respiro non è un possesso stabile, al contrario egli lo perde con la morte. Una sintesi della concezione dell’Antico Testamento del rapporto tra Dio e lo Spirito si trova nel Sal 104, 29- 30: “Se nascondi il tuo volto, vengono meno, togli il respiro, muoiono, e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati e rinnovi la faccia della terra.” Lo Spirito su Gesù: “Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: ‘Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento’” (Lc 3, 21-22) Quello che accade all’inizio è un sigillo che segna anche tutto quello che avviene anche dopo. L’azione di Gesù può essere compresa solo a partire dallo Spirito. Lo Spirito di Gesù: “Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. […] Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: ‘Abbà! Padre!’. Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria” (Rm 8, 9-17) Per Paolo il nostro essere umano, che è insieme corporeo e spirituale, presenta da un lato una condizione di debolezza, di limite e di peccato (carne) ma siamo anche vita in cerca di un compimento. Si può vivere secondo la carne assecondando l’inclinazione al peccato, o lasciandosi guidare dallo Spirito. Il principio vitale donato a Gesù nella Resurrezione viene donato ora a chi crede. Lo Spirito fa sì che gli uomini non vivano secondo la carne, ma secondo la vita dello Spirito. Lo Spirito di Dio non esclude la presenza del corpo: il corpo viene guarito per diventare rinnovato e che vive in virtù dello Spirito. Comprendiamo che c’è lo Spirito in noi, perché non abbiamo paura di Dio, non ci sentiamo schiavi nei suoi confronti e non siamo nel timore di aver sbagliato qualcosa e di aver causato l’ira di Dio, non abbiamo paura di una conseguente punizione. Lo Spirito dato alla Chiesa: “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono d discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.” (1Cor 12, 4-11) Da un lato Paolo non vuole negare che libertà sia libertà dell’individuo ma non vuole neanche perdere il senso di comunità. Lo Spirito costruisce la comunità nella sua unità: i doni dello Spirito, pur essendo diversi, hanno una stessa fonte. San Paolo sceglie un termine comune, di basso profilo, cioè carisma, nel senso di dono. Più la comunità cresce più la tendenza è quella a specializzarsi. Quello che succede nella comunità non è solo una divisione del lavoro razionalizzata; l’origine del dono, che diventa servizio, è lo Spirito che lo concede. La chiesa non è fatta di credenti ognuno dei quali cerca di realizzare nel più grado alto le proprie doti in senso individualistico, ma di credenti che operano per l’edificazione della comunità. È lo Spirito che dà vita ad una comunità. Simbolo apostolico Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen Simbolo Niceno-Costantinopolitano Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica. Professo un solo Battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen La prima missione che i discepoli che hanno visto Gesù risorto sentono è quella di andare ad Israele e predicare la conversione, anche per quelli che l’hanno condannato e rifiutato. Ci sono tempi diversi in cui la comunità cristiana comprende i due livelli: il primo, cioè la coscienza della risurrezione di Gesù, si sviluppa molto rapidamente; il secondo, cioè la consapevolezza che si costituisce una comunità nuova, distinta rispetto al popolo di Israele e che accoglie tutti, è più lungo. Gesù voleva o non voleva una nuova Chiesa? Prima della Pasqua c’è un legame tra l’annuncio del regno di Dio e il popolo che, rinnovato, prende forma attorno a lui. Dopo la Pasqua, con l’incontro con il Signore risorto e il dono dello Spirito, questa comunità, che pure svolge il suo appello a Israele, prende anche coscienza di essere qualcosa di nuovo, che non è limitata alla discendenza di un popolo. 1. A Gerusalemme nasce e si sviluppa una comunità cristiana che mantiene profondi legami con la tradizione di Israele: gli ebrei che si convertono non sentono l’adesione al messaggio di Cristo come una smentita della propria religione e comunità, ma come un suo compimento 2. La missione rivolta ai pagani porta alla nascita di comunità cristiane nelle città ellenistiche: da qui nasce il problema su quale forma la comunità debba adottare Modelli per le chiese cristiane in ambiente ellenistico: 1. la famiglia (casa, famiglia in cui una comunità vive) 2. le associazioni volontarie (corporazioni, con momenti di culto insieme: solidarietà, banchetti) 3. la sinagoga della diaspora (mostra come ci si può organizzare con una propria identità religiosa in un contesto orientato diversamente) 4. la scuola filosofica “A conti fatti, dobbiamo dire che la domus fu il contesto di base in cui si formarono molti (se non tutti) i locali gruppi paolini, mentre la vita molteplice delle associazioni volontarie, il particolare adattamento della sinagoga alla vita urbana, e l’organizzazione dell’istruzione e dell’esortazione presente nelle scuole filosofiche, si pongono come altrettanti esempi di gruppi intenzionati a dare soluzioni a problemi che anche i cristiani non potevano eludere. Ma volendo esaminare le strutture messe in atto dalla missione paolina, strutture che in definitiva possono apparirci come qualcosa di unicum, è giocoforza rifarci alle fonti originarie che quella missione ci ha lasciato.” (W. A. Meeks, I Cristiani dei primi secoli, Il Mulino, Bologna 1992, pp.230-231) Il nome chiesa deriva dal termine greco ekklesia (assemblea), il cui significato si definisce in una duplice direzione: 1. Il vocabolario dell’Antico Testamento per indicare il popolo di Dio 2. L’assemblea pubblica della città ellenistica: messaggio rivolto a tutti LA CHIESA IN PAOLO Per l’apostolo Paolo, che sente di non aver rinnegato le origini ebraiche, il problema con il legame di Israele rimane centrale nel problema sull’identità delle Chiese cristiane. Quando finisce la generazione delle chiese legate alla figura degli apostoli, si crea una comunità più distante dal punto di vista storico. Israele e la chiesa (Romani 9-11) La questione: “Dico la verità in Cristo, non mentisco, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne” (Rm 9, 1-3) Si interroga su perché quel cammino svolto da lui, che da fedele osservante della Legge e interprete della Scrittura è divenuto apostolo del Vangelo, non l’hanno fatto anche gli altri. Perché il popolo eletto non ha riconosciuto Gesù? Cos’è il popolo di Dio e come si è rapportato con Lui nella venuta di Cristo? 1- La scelta di Dio “Tuttavia la parola di Dio non è venuta meno. Infatti non tutti i discendenti di Israele sono Israele, né per il fatto di essere discendenza di Abramo sono tutti suoi figli. No, ma: in Isacco ti sarà data una discendenza, cioè: non sono considerati figli di Dio i figli della carne, ma come discendenza sono considerati solo i figli della promessa. Queste infatti sono le parole della promessa: Io verrò in questo tempo e Sara avrà un figlio.” (Rm 9, 6-9) 2- Il resto d’Israele “Che diremo dunque? Che i pagani, che non ricercavano la giustizia, hanno raggiunto la giustizia: la giustizia però che deriva dalla fede; mentre Israele, che ricercava una legge che gli desse la giustizia, non è giunto alla pratica della legge. E perché mai? Perché non la ricercava dalla fede, ma come se derivasse dalle opere. Hanno urtato così contro la pietra d’inciampo, come sta scritto: Ecco che io pongo in Sion una pietra di scandalo e un sasso d’inciampo; ma chi crede in lui sarà deluso.” (Rm 9, 30-33) Argomenta contro la convinzione che bisogni seguire la Legge di Mosè spiegando della scelta di Abramo, antecedente alle Leggi di Mosè. Ciò che conta è la fede. Questo ha rappresentato uno scandalo, cioè un inciampo che non ha permesso al popolo di riconoscere il segno di Dio, così come la venuta di Gesù, uomo umile con una tragica fine. Con la venuta di Gesù si crea una divisione tra quelli che riconoscono l’azione di Dio e quelli che non la riconoscono. Coloro che credono portano avanti la tradizione ebraica. 3- Israele e la salvezza dei pagani “Ora io domando: Forse inciamparono per cadere sempre? Certamente no. Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta ai pagani, per suscitare la loro gelosia. Se pertanto la loro caduta è stata ricchezza del mondo e il loro fallimento ricchezza dei pagani, che cosa non sarà la loro partecipazione totale!” (Rm 11, 11-12) L’incredulità degli ebrei ha portato a rivolgersi ai pagani, che hanno creduto. Gli ebrei devono ora essere gelosi di essere stati superati dai pagani: devono quindi ravvedersi. Si preoccupa però di non far montare la testa ai pagani, la cui radice è ebraica. 4- La salvezza finale di Israele “Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero perché non siate presuntuosi: l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato come sta scritto: Da Sion uscirà il liberatore, egli toglierà le empietà da Giacobbe. Sarà questa la mia alleanza con loro quando distruggerò i loro peccati. Quanto al vangelo, essi sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!” (Rm 11, 25-29) Alla fine tutto Israele sarà salvato. Non pensa alla conversione di Israele e ad una congiunzione dei due popoli, ma all’idea che, seppur separati, i due popoli sono legati e quando la storia arriverà al suo compimento con la presenza del Signore risorto, tutto Israele sarà salvato. IL CORPO DI CRISTO La novità della Chiesa sta nel corpo di Cristo. L’immagine del corpo è usata anche nella cultura ellenistica per indicare le funzioni svolte da persone diverse che creano armonia nel corpo sociale (es. corpo docenti). “Come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri” (Rm 12, 4-5) Il battesimo “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. e in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra.” (1Cor 12, 12-14) Il battesimo in Cristo unisce in comunità e conferisce una nuova identità che va al di là della propria appartenenza, giudaica o greca, schiavo o libero. L’eucarestia “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione (partecipazione) con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, no è forse comunione (partecipazione) con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane.” (1Cor 10, 16-17) Invito a riflettere a quale mensa si partecipa, confrontando la mensa dei demoni e la cena del Signore. Nel corpo di Cristo si trova il principio di unità. Nelle lettere ai Colossesi e agli Efesini vengono trattati ancora questi argomenti: 1. Il corpo mortale e il corpo glorioso (cfr. col 2, 11-15) 2. La chiesa universale (cfr. Ef 1, 22-23) 3. Cristo capo del corpo ecclesiale LE LETTERE PASTORALI La chiesa cresce e con il tempo vengono meno le figure degli apostoli, diretti testimoni di Cristo, e in queste lettere, indirizzate ai collaboratori di Paolo per la guida delle comunità cristiane. Scritta dagli allievi e attribuita al maestro (pratica oggi non ammessa ma che nell’antichità era cosa comune). 1. I dissensi sull’insegnamento apostolico: la tradizione interpretativa non univoca ha dato adito a lacerazioni 2. Il ministero pastorale: i presbiteri e gli episcopi 3. Una comunità ormai stabilmente insediata nella società 1. “Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche, sedotti dall’ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro I SACRAMENTI DELLA CHIESA La celebrazione dei riti cristiani è fortemente sentita, anche se spesso non per quegli stessi motivi per cui ha valore nella Chiesa. IL CONCETTO DI SACRAMENTO Nel Nuovo Testamento non si trova un concetto che designa l’insieme dei riti celebrati dalla comunità cristiana (battesimo, eucaristia, ecc). Ci sono i sacramenti, ma non c’è un nome comune applicato a questi riti. Il termine mysterion, dal quale deriva il nostro termine sacramento, ha un significato più ampio. Nel mondo antico il termine mysterion ha tre significati: 1. nell’ambito dei culti misterici indica un rito che attualizza per gli iniziati il destino di una divinità 2. nella filosofia indica la verità da conoscere al di là della realtà visibile (es. Platone) 3. nell’uso profano indica il sonno o il segreto in genere Negli scritti del Nuovo Testamento mysterion, nella linea della tradizione apocalittica (della rivelazione), indica il piano di Dio per la storia umana: “Quando poi Gesù fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogarono sulle parabole. Ed egli disse loro: A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio!” (Mc 4, 10-11) Il Regno di Dio è il momento in cui Dio prende l’iniziativa, salva il suo popolo o lo strappa dai poteri che gli impediscono di vivere. Finisce una storia di sofferenza e oppressione, perché giunge il regno di Dio. Il profeta nella tradizione apostolica vede il progetto di Dio. Nel Vangelo di Marco, Gesù spiega che gli apostoli riescono a comprendere perché il mistero gli è stato rivelato: l’opera di Dio, che rimane nascosta, si rivela grazie alle parole e ai gesti di Gesù. Nelle lettere di Paolo l’accento è posto sulla rivelazione del mysterion: 1. Era nascosto fin dall’origine del mondo 2. Dio l’ha rivelato in Cristo 3. Alla Chiesa è affidato il compito di proclamare il mistero di Cristo 4. Troverà compimento nella gloria finale “Per questo, io Paolo, il prigioniero di Cristo per voi Gentili… penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro beneficio: come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di cui sopra vi ho scritto brevemente. Dalla lettura di ciò che ho scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo. Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo, del quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell’efficacia della sua potenza.” “A me, che sono l’infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo, e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo, perché sia manifestata ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle Potestà la multiforme sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore.” (Ef 3, 1-11) Quello che è accaduto ai cristiani, prima pagani e quindi lontani dalle promesse di Dio, che sono stati chiamati alla fine, si è realizzato per un disegno grandioso. Nell’epoca patristica (II sec. – VIII sec.), il termine mysterion continua ad essere utilizzato prevalentemente nel senso delle lettere di Paolo: è il piano di Dio rivelato in Cristo e proclamato dalla Chiesa, fino a che trovi la sua piena realizzazione. In epoca patristica si comincia anche a usare il termine mysterion in riferimento ai riti celebrati dalla Chiesa. In senso polemico, gli Apologisti sottolineano che i riti cristiani sono altro dai misteri pagani (ma implicitamente li accostano: se c’è pericolo di confonderli è perché forse non sono così dissimili). In epoca patristica mysterion rimane un concetto sintetico che indica: 1. Il piano di Dio manifestato e realizzato nella storia della salvezza 2. I riti nei quali il dono della salvezza diviene presente 3. La verità che Dio ha rivelato nella storia della salvezza Nel passaggio dal greco al latino, il termine mysterion è reso con i due termini misterium e sacramentum. Entrambi i vocaboli sono utilizzati sia per indicare il disegno divino di salvezza che i riti liturgici nei quali esso diviene attuale per i fedeli. Non c’è una distinzione o specializzazione delle due parole. Il termine sacramentum nella lingua latina indicava: 1. Il giuramento militare di fedeltà 2. La cauzione in denaro depositata in un luogo sacro prima di affrontare un processo I due significati hanno in comune un impegno di carattere sacro. Tertulliano assume il termine sacramentum, che indica un impegno sacro, per designare il battesimo, sottolineando in particolare l’impegno di fedeltà assunto dal battezzato nei confronti del suo Signore (ci si battezzava da adulti). Gradualmente l’uso del concetto si estenderà anche agli altri riti sacramentali. Isidoro di Siviglia (ca 630) “Si ha sacramento in una celebrazione quando ciò che si compie viene fatto in modo tale da far comprendere che tale azione significa un’altra realtà da ricevere santamente. Sono sacramenti il battesimo, la cresima, il corpo e il sangue (del Signore). Questi sono detti sacramenti perché sotto il velo di entità corporee, la potenza divina opera segretamente la salvezza propria di ciascun sacramento; di conseguenza essi sono qualificati come sacramenti proprio in ragione della loro potenza salvifica nascosta o realtà sacra. Essi sono fruttuosi quando li celebra la chiesa, perché lo Spirito Santo che dimora in essa produce il loro effetto. Per questa stessa ragione i sacramenti sono celebrati nella chiesa sia da ministri buoni che cattivi.” (Etymologiae VI, 19, 39-42) L’ultima parte è una risposta ai donatisti (linea rigorista) che ritenevano che se uno riceve i sacramenti da una chiesa con ministri che avevano ceduto alla persecuzione, allora il sacramento non era valido. L’epoca patristica è più vicina a Platone ed invita ad andare oltre. Il Medioevo invece si accosta ad Aristotele e guarda alla natura vera. La teologia, che trova casa nell’università, acquisisce l’ambizione di essere sapere scientifico, con un carattere rigoroso, razionale, appunto scientifico, nel senso medioevale. Ugo di San Vittore (XII secolo) “Sacramentum est corporale vel materiale elementum foris sensibiliter propositum ex similitudine repraesentans, et ex institutione significans, et ex sanctificatione continens aliquam invisibilem et spiritualem gratiam.” (PL 176, 317-318) Il Sacramento è l’elemento corporeo, materiale, presentato ai nostri sensi, che contiene una invisibile grazia spirituale: vi è una realtà visibile ed una invisibile. Similitudine: c’è analogia tra quello che si percepisce con i sensi e quello che è la realtà invisibile: se nel battesimo usi l’acqua, che pulisce e purifica, stai purificando non solo il corpo ma anche lo spirito Istituzione: non è solo una corrispondenza spontanea con il mondo, ma è stata istituita da Gesù, che ha ideato questo gesto e ha voluto che avesse questo significato Santificazione: in virtù di questo atto la comunità viene santificata Pietro Lombardo (XII secolo): fino agli inizi del XVI sec il suo testo era fondamentale nella teologia (poi Agostino) “Sacramentum enim proprie dicitur quod ita signum est gratiae Dei et invisibilis gratiae forma, ut ipsius imaginem gerat et causa existat.” (Sent. IV, 1, 4) Con la categoria di causa non siamo più nell’orizzonte della rappresentazione, del segno, ma in quello della causa: i sacramenti non sono soltanto riti che evocano qualcosa, ma sono causa della realtà spirituale che comunicano, di questa grazia invisibile. È necessario che l’effetto del sacramento può essere raggiunto solo se c’è fede, ma il centro della discussione non è questo in questo periodo. La teologia scolastica nel XII secolo giunge a una definizione precisa del concetto di sacramento, sulla base della quale fissa il numero di sette sacramenti. Concilio di Firenze (1439): sancisce accordo tra la Chiesa di Roma e quella bizantina “Sette sono i sacramenti della Nuova Legge, cioè: il battesimo, la confermazione, l’eucaristia, la penitenza, l’estrema unzione, l’ordine e il matrimonio, e differiscono molto dai sacramenti della Legge Antica. Quelli, infatti non causavano la grazia, ma prefiguravano soltanto che questa sarebbe stata data per la passione di Cristo. Questi nostri sacramenti, invece, contengono in sé la grazia e la conferiscono a coloro che li ricevono degnamente.” I sacramenti sono causa della grazia che contengono e che conferiscono a chi li riceve degnamente. La Riforma protestante mette in questione la dottrina scolastica sui sacramenti e la prassi liturgica del tempo. Lutero rifiuta il nuovo linguaggio filosofico della riflessione teologica per tornare al vero linguaggio delle Scritture. Sulla base di un più ristretto concetto di sacramento (promessa di grazia legata a un segno), sono riconosciuti come sacramenti solo il battesimo e la cena del Signore. (Rischio secondo la Chiesa cattolica: che tutto si riduca alla fede del singolo, senza riconoscere il valore del segno, cioè il dono di Dio) Concilio di Trento (sess. VII, 1547): Trento è città italiana e imperiale, è una sorta di compromesso “Se qualcuno afferma che i sacramenti della Nuova Legge non sono stati tutti istituiti da Gesù Cristo nostro Signore o che sono più o meno di sette, e cioè: battesimo, confermazione, eucaristia, penitenza, estrema unzione, ordine e matrimonio, o afferma che qualcuno di questi non è sacramento in modo vero e proprio, sia anatema.” (can. 1) Il Concilio di Trento ribadisce quello che il Concilio di Firenze aveva già detto, con alcune precisazioni; si riconosce il valore del lavoro della scolastica. L’oscillazione tra due e sette sacramenti è dovuta al fatto che nelle Scritture se ci sono casi con chiare parole di Gesù, in altri casi l’istituzione del sacramento no è così chiaro. La differenza tra cattolici e protestanti sta nella ricerca o meno di una esplicita parola di istituzione: L’immersione evoca la sepoltura. E con il battesimo si rinuncia alla vita di prima. Inizia una vita nuova, che si deve arricchire di sostanza grazie alla capacità di vivere questa nuova vita. - Rinati a una nuova vita “Rispose Gesù a Nicodemo: In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio. Gli disse Nicodemo: Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?. Gli rispose Gesù: In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che p nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: dovete rinascere dall’alto.” (Gv 3, 3-7) Giovanni gioca su un equivoco per spiegare il concetto di rinascere a vita nuova, che avviene grazie all’acqua ed allo Spirito. “Il battesimo rimette il peccato originale, tutti i peccati personali e le pene dovute al peccato; fa partecipare alla vita divina trinitaria mediante la grazia santificante, la grazia della giustificazione che incorpora a Cristo e alla sua Chiesa; fa partecipare al sacerdozio di Cristo e costituisce il fondamento della comunione con tutti i cristiani; elargisce le virtù teologali e i doni dello Spirito Santo. Il battezzato appartiene per sempre a Cristo: è segnato infatti con il sigillo indelebile di Cristo (carattere).” (Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, n. 263) In passato il battesimo era praticato agli adulti, che si convertivano dal paganesimo. Sin dalle origini però può essere che il battesimo dei bambini fosse praticato. Non ci sono prove né positive né negative sul battesimo dei bambini. Obiezioni al battesimo dei bambini: 1. Si viola la libertà personale 2. Non esiste più un ambiente tale da garantire l’educazione cristiana 3. Il sacramento suppone la personale risposta di fede La pratica del battesimo dei bambini presuppone: 1. Una concezione non astratta della libertà: la libertà è rimanere nel vuoto? Ogni scelta esclude altre possibilità. Scegliendo in realtà si creano le condizioni che la persona sia libera (es. genitori e salute/istruzione dei figli) 2. La verifica di condizioni che assicurino un’educazione cristiana 3. La convinzione che la chiamata di Dio precede la risposta della fede: tempi diversi tra chiamata e risposta L’EUCARISTIA L’eucaristia celebrata dalla Chiesa rimanda alla comunione di mensa vissuta da Gesù con i discepoli, con i peccatori, con tutti coloro che accoglievano la sua parola. Il pasto comune è il segno della raccolta del popolo di Dio e dell’unità che il regno di Dio rende sperimentabile. La situazione del popolo di Israele in cui Gesù compie la sua missione è una situazione di scarsità, la meta è un banchetto, in cui si può mangiare in abbondanza e in riconciliazione con gli altri. L’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli prima di morire è il luogo nel quale Gesù anticipa la sua morte e la spiega come offerta di sé stesso – il suo corpo e il suo sangue – in espiazione dei peccati e per la nuova alleanza. “Mentre mangiavano Gesù prese il pane, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo. Prendete, questo è il mio corpo. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molto. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio. E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.” (Marco 14, 22-26) L’ultima cena di Gesù rimanda alla tradizione ebraica della cena pasquale nella quale Israele faceva memoria della liberazione dall’Egitto compiuta da Dio per i Padri, celebrava la presenza del dono della salvezza e, insieme, l’attesa della liberazione definitiva. Le comunità cristiane delle origini celebrano la cena del Signore come memoria e presenza della Pasqua che si è compiuta nella morte e risurrezione di Gesù: “Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga.” (1 Corinti 11, 26) Alla metà del II secolo, la struttura della celebrazione eucaristica domenicale è già ben delineata: “Nel giorno chiamato del sole, tanto quelli che abitano in città come quelli che abitano in campagna, si radunano nello stesso luogo e si fa la lettura delle memorie degli apostoli e degli scritti dei profeti fin che il tempo lo permette. Quando il lettore ha terminato, chi presiede tiene un discorso per ammonire ed esortare all’imitazione di questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci leviamo e innalziamo preghiere: indi cessate le preci si reca, come si è detto, pane, vino e acqua; e il capo della comunità nella stessa maniera eleva preghiere e rendimenti di grazie con tutte le sue forze e il popolo acclama dicendo: amen. Quindi si fa la divisione e la spartizione a ciascuno degli alimenti consacrati e se ne manda, per mezzo dei diaconi, anche ai non presenti. I facoltosi e i volonterosi spontaneamente danno ciò che vogliono: ciò che si raccoglie è consegnato al capo, il quale soccorre gli orfani e le vedove, i bisognosi per malattie o altro, i detenuti e gli ospiti. Ci raduniamo tutti nel giorno del sole perché è il primo giorno in cui Dio, mutando la tenebra e la materia, plasmò il mondo e in cui Gesù Cristo Salvatore nostro risuscitò dai morti.” (Giustino, Prima Apologia, 67 > in difesa delle riunioni domenicali dei cristiani) Nell’antichità cristiana la liturgia e la riflessione teologica sull’eucaristia mettono in risalto tre aspetti: 1. è rendimento di grazie 2. è memoria della morte e risurrezione del Signore 3. è sacrificio (in generale, elemento tipico di tutte le religioni. Nel senso del Nuovo Testamento è il sacrificio di Gesù) Nel passaggio dall’antichità al medioevo, la perdita della nozione di simbolo familiare al pensiero platonico, porta la teologia scolastica a concentrare l’attenzione sulla trasformazione che si compie nel pane e nel vino: la realtà di tale trasformazione è definita come cambiamento della sostanza o transustanziazione (sostanza: concetto aristotelico). La Riforma protestante contesta la comprensione dell’eucaristia come sacrificio in nome dell’unico sacrificio di Cristo. Sulla presenza di Cristo nel pane e nel vino, le posizioni variano da chi, pur rifiutando il concetto di transustanziazione, riconosce la presenza reale (Lutero) a chi ne dà un’interpretazione puramente simbolica (Zwingli). Il Concilio di Trento definisce la fede cattolica: “Se qualcuno nega che nel santissimo sacramento dell’eucaristia è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue e insieme con l’anima e la divinità di nostro Signore Gesù Cristo e pertanto Cristo tutto intero, ma afferma che in esso vi è solo come nel segno o nella figura, oppure solo con la sua efficacia, sia anatema.” (sess. XIII, can. 1) “Se qualcuno afferma che nel santissimo sacramento dell’eucaristia rimane la sostanza del pane e del vino insieme con il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo, e nega quella meravigliosa e singolare conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue – così che del pane e del vino rimangono solo le specie – conversione che la chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazione, sia anatema.” (sess. XIII, can. 2) C’è un concetto di sostanza metafisico: la realtà cambia grazie al sacramento. Dimensioni del sacramento dell’eucaristia: 1. Il convito: il segno fondamentale del sacramento dell’eucaristia è la comunione di mensa, il mangiare insieme di una comunità raccolta. 2. Il rendimento di grazie: nel mangiare e nel bere gli esseri umani sperimentano la loro dipendenza dal mondo che permette loro di vivere; per questo il banchetto è luogo in cui nasce il rendimento di grazie. Anche al centro della celebrazione eucaristica sta la grande preghiera di ringraziamento: il motivo di questo ringraziamento è il dono del pane e del vino e di tutta la creazione, ma anche quanto Dio ha compiuto nella storia del suo popolo. 3. La memoria: il rendimento di grazie si trasforma in racconto che fa memoria (anamnesi) dell’ultima cena di Gesù e nella memoria l’evento ricordato si rende presente alla comunità che celebra l’eucaristia. 4. La venuta di Cristo: nella celebrazione eucaristica la presenza di cristo ha anzitutto carattere personale e si manifesta in una pluralità di forme: “Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro […] sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. […] è presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. È lui presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20)” (Sacrosanctum Concilium, n. 7) 5. La trasformazione del pane e del vino e della comunità: nella celebrazione eucaristica il pane e il vino divengono corpo e sangue del Signore e l’assemblea dei fedeli è a sua volta trasformata in “corpo di Cristo” (cfr. 1 Cor 10, 14-17). 6. L’invocazione dello Spirito Santo: la venuta di Cristo, la partecipazione al dono di sé che egli compie, la trasformazione dei doni in vista della trasformazione in corpo di Cristo dei membri della comunità, tutto questo avviene nell’eucaristia mediante lo Spirito Santo invocato nell’epiclesi. 7. L’anticipazione del compimento: dopo la consacrazione, l’assemblea acclama “annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Nell’eucaristia, insieme alla memoria della Pasqua, la Chiesa celebra l’attesa della venuta del Signore nella gloria e del compimento del Regno di Dio. 8. Celebrazione della Chiesa: l’eucaristia è sempre celebrazione della Chiesa, che nell’assemblea liturgica manifesta in particolare la sua caratteristica locale, la sua identità di comunità nella quale è presente la chiesa una, santa, cattolica e apostolica (cfr. Lumen gentium n. 26)