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Teologia 3 Pessani - Il cristiano nel mondo, Sintesi del corso di Teologia

Riassunto Il cristiano nel mondo. Introduzione alla teologia morale Parte quarta: Persona e società – Eros Monti

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

In vendita dal 06/07/2018

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Scarica Teologia 3 Pessani - Il cristiano nel mondo e più Sintesi del corso in PDF di Teologia solo su Docsity! Il cristiano nel mondo. Introduzione alla teologia morale Parte quarta: Persona e società – Eros Monti Capitolo 1: Un’etica sociale cristiana 1. Tre domande per cominciare L’obiettivo di questa parte di testo è quello di indagare il fondamento dell’etica sociale cristiana, in particolare facendo riferimento a 3 elementi basilari nella questione: • L’elemento sociale: cos’è società oggi? • L’eticità del sociale: in che senso la vita sociale è frutto di decisioni libere e assoggettabili a giudizio etico? • La cristianità del sociale: in che senso la fede cristiana ha a che fare con la società? 2. Sguardo all’attuale fenomeno sociale La società si presenta oggi all’insegna della “complessità”, ovvero come una realtà in cui è necessario comprendere e tenere insieme le differenti tensioni al suo interno, i suoi soggetti e il continuo mutamento. Il tratto caratteristico del nostro tempo è la globalizzazione, che si presenta per ora settoriale e a più velocità, più economica che politica o giuridica. La società appare come un fenomeno storico-antropologico da leggere e da comprendere non soltanto alla luce di una semplice analisi descrittiva, ma risalendo alle cause del mutamento sociale attuale. Si esaminano ora le differenti forme della relazione sociale rilevanti dal punto di vista etico. La tensione fondamentale oggi sussistente sembra essere quella tra individuo e società, ma in realtà la persona è sempre un “essere-in-relazione” con gli altri. La coscienza è allora la consapevolezza di quanto gli altri ci trasmettono. Nelle relazioni la logica dell’“io” individualista tende ad evolvere perché sia arriva a costruire dei “noi” che diventano essenziali (famiglia, amici…). Ci si chiede quale ruolo investano le istituzioni sociali, o meglio l’agire (personale o comunitario) mediato dalle grandi istituzioni sociali. L’istituzione non è mai qualcosa di puramente neutrale ma proviene dalla libertà congiunta di molti che nel tempo hanno dato vita ad esso, e vive in forza delle persone che la animano e la riplasmano. L’istituzione deve essere riconosciuta come prodotto dell’accumularsi della libertà di molti, che influisce e orienta le scelte che a essa si riferiscono. Si pensi ad esempio alla cultura o al linguaggio, ovvero a forme correnti e condivise del pensare e dell’agire; ma come anche alle grandi forme assunte al relazionarsi di una società: l’istituzione familiare, le istituzioni educative o economiche, lo stato e le sue leggi che regolano gran parte dell’agire socialmente condiviso. Tali realtà rendono più strutturata e agevole la vita sociale, attribuendo modi di fare e ruoli soggettivi certi; consentendo inoltre alla società di tramandare sé stessa, la propria cultura e la propria civiltà, nel tempo e nello spazio. Ci si chiede allora se vi possa essere pace e dialogo tra le diverse identità. La libertà dell’uomo si rende affermabile in tre dimensioni: personale, comunitaria e istituzionale. Ciò significa che ogni problema sociale necessita di essere indagato sotto questi tre profili. Sono tre dimensioni sociali unificate e attraversate dal tempo, perché la società, come ogni vissuto umano, è esperienza storica che non conosce solo sviluppi lineari, ma anche momenti qualitativamente diversi gli uni dagli altri. Ha l’esigenza di una gradualità per poter riconoscere le tappe più opportune in vista del realizzarsi del bene che la riguarda nel suo insieme. Prendersi cura della società è un modo per prendersi cura dell’altro nel senso più ampio possibile: edificare la società è servire l’umanità del futuro e prendersi cura degli uomini e della loro storia. 3. Un metodo per l’etica sociale Con metodo si intende la proposta di un percorso che abiliti al riconoscimento, entro ogni fenomeno sociale, dei tratti essenziali finalizzati a una sua coerente interpretazione in senso etico. Tre sono le tappe irrinunciabili: A. Fenomeno sociale (storia): letto a partire dall’uomo in quanto la società è essenzialmente fenomeno antropologico. B. Rilettura alla luce della fede cristiana (Bibbia): la Bibbia rappresenta l’attestazione rivelatrice di Dio all’uomo e dell’uomo stesso. C. Etica sociale (dottrina sociale della Chiesa): l’esigenza etica che si manifesta in quanto direzione di compimento della libertà nelle sue varie dimensioni relazionali. In questo procedere la libertà, dimensione costitutiva dell’uomo, è chiamata a riconoscere nel momento biblico il punto più alto del suo rivelarsi a sé stessa, e in quello etico la possibilità di una mediazione alta, in cui la libertà stessa, riconoscendo l’appello del bene come suo compimento possibile, e può essere sempre di nuovo attratta e rilanciata. Il metodo proposto è circolare: dall’uomo parte e all’uomo conduce. Esso vuole educare a proseguire nella stessa logica, in modo da favorire il riconoscimento degli eventi sociali rilevanti. 4. La verità dell’agire sociale La verità delle relazioni si dà in modo pragmatico, mediante la narrazione di vicende esemplari, ad alto contenuto simbolico, in grado di manifestare la propria capacità interpretativa anche in contesti distanti nel tempo o sociologicamente differenti. La Scrittura non è quindi un “manuale di etica sociale”, ma una rivelazione di Dio all’umanità e dell’umanità a sé stessa. Tra due modalità di agire la Bibbia non definisce con criteri astratti quale sia la migliore, ma dal confronto tra esse fa scaturire la migliore perché il lettore ne sia istruito. La giustizia è per l’uomo un cammino da compiere sulla base della giustizia di Dio: essere giusti significa innanzitutto avere fede in dio, perché da Egli viene l’autentica giustizia. 4.1 Antico testamento La Legge Nel Pentateuco, la Legge di Israele, il tema della giustizia è soprattutto presente nei testi del Decalogo e della rimanente legislazione. Tra gli elementi di novità dei testi (es.: Dt 24,10-15.19-22) troviamo: • Il presupposto: non si parte dalla giustizia intesa come ordine astratto da ristabilire qualora fosse violato, ma dalla concreta vicenda storica. • La natura: giustizia è anzitutto qualità personale che si manifesta nell’agire, ed è sempre riferita all’altro. Si può essere giusti o ingiusti solo in relazione all’altro e non a una norma astratta. • La motivazione: riferita all’esigenza di giustizia che l’altro si attende. Della giustizia così concepita l’uomo non è artefice né protagonista, ma il suo agire è preceduto dall’ agire fedele di Dio, da cui il popolo di Israele si riconosce raggiunto. Per questo la nostra giustizia può fondarsi solo sulla Sua. La Profezia La Profezia denuncia forme di ingiustizia che la Legge non sempre mette bene alla luce: • L’ingiustizia generalizzata: la giustizia corrisponde ad un orientamento integrale, complessivo nel cuore dell’uomo. • L’ingiustizia occultata: nascosta dietro il velo dell’apparente legalità (es.: nell’economia spesso si calpesta il povero). Il ridimensionamento delle attese di Israele nei riguardi delle proprie istituzioni, l’apertura al riconoscimento delle altre nazioni e la ridefinizione della propria speranza nella Promessa dispongono il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. Si attende quindi l’inviato di Dio che ristabilisca la pienezza della giustizia. 4.2 Nuovo Testamento Al tempo di Gesù il giudaesimo era percorso da alcune principali correnti, tra cui quelle radicali degli zeloti e degli esseni, e altre in posizione di compromesso quali farisei e sadducei. Tratto comune di queste correnti era l’attesa di una restaurazione teocratiche, in chiave monarchico-messianica. Pur rifiutando ogni malinteso messianismo di carattere politico-regale, Gesù resta intenzionalmente all’interno del quadro politico-sociale del suo tempo. Infatti i discepoli sono inviati a migliorare la società reale in cui vivono. Il rapporto tra la fede cristiana e la realtà politica soggiace al noto episodio in cui Gesù è interrogato circa il potere di Cesare (Mc 12,13-17). Il regno di Dio non si sostituisce a quello di Cesare, ma anzi gli crea possibilità di esistenza. In questa logica si colloca il tema della laicità della politica, intesa come corretta relazione della politica a ciò che la supera: la verità, il senso ultimo della vita sociale. Il cristiano non potrà fare della sua fede una scusante per sottrarsi all’impegno sociale e politico, perché è volontà di Dio che egli si faccia carico anche di rendere a Cesare. I due regni allora sono uno finalizzato all’altro: nel regno di Dio confluirà anche il regno di Cesare, che troverà così compimento e pienezza. I principali atteggiamenti della Chiesa apostolica in riferimento alla società sono: 2. La ricerca della verità nella vita pubblica Antico Testamento Riguardo alla Legge e alla Profezia, per la prima si guarda ai suoi mediatori, giudici e re, chiamati a esercitare la giustizia presso il popolo; mentre nella seconda i profeti affermano la necessità della giustizia nelle istituzioni come nell’agire dei re e di chiunque. Nuovo Testamento Gli scritti sottolineano l’ambivalenza del potere politico e sociale perché in esso vi è la tentazione di asservire gli altri, e se fosse possibile anche Dio stesso, alle proprie finalità. L’agire politico, come ogni altra forma di agire umano, è soggetto non solo alla limitatezza e all’imperfezione, ma anche al peccato. L’atteggiamento nei confronti del potere politico è oggetto di un passo della lettera di S. Paolo ai Romani, in cui l’apostolo esorta i cristiani ad assumere un giusto atteggiamento verso la società e la politica. Paolo non intende legittimare i potenti, ma piuttosto istruire i cristiani (es.: “Voi figli obbedite ai genitori in tutto”). Essi sono esortati all’obbedienza, senza però dire che ogni forma di esercizio dell’autorità è legittima o che l’obbedienza debba essere acritica e incondizionata. L’autorità civile è comunque al servizio di Dio, quindi a Lui sottomessa. Anche l’attività politica deve essere sottoposta perennemente alla suprema autorità di Dio e alle esigenze dell’altro, essa deve infatti divenire servizio, nel proprio ambito e nei propri limiti (auctoritas, da augeo = faccio crescere). L’itinerario della fede cristiana nella storia presenta diversi modelli: • In epoca patristica vige il modello di S. Agostino in cui la letteratura della storia presenta la dialettica tra le due città, quella di Dio e quella terrena. La politica è radicalmente contrassegnata dal peccato ed in grado, al massimo, di produrre qualche utilità. • In epoca medievale prevale il modello di S. Tommaso, secondo il quale i due poteri, ecclesiale e civile, sono differenti ma coordinati entro l’unica città degli uomini, la res publica christiana. La politica è la naturale espansione della nativa razionalità dell’uomo come animale politico. • In epoca moderna la politica risulta separata da fede ed eticità, confinata prevalentemente a livello individuale. Lo Stato è il luogo di elaborazione autonoma di una “politica senza verità”. L’uomo crea la politica come attività specifica per disciplinare l’uso del potere pubblico. Lo Stato nazionale moderno si configura come: assoluto (esercizio del potere da parte del sovrano), liberale (libertà di coscienza, diritti dei cittadini, separazione dei poteri), totalitario (stato etico entro il quale il cittadino è cellula del sistema in cui la politica è l’elemento totalizzante che decide tutto al posto del cittadino), democratico (basato sulla sovranità popolare). • Nell’epoca postmoderna prevale il tentativo di perseguire per via politica la giustizia, intesa come fairness (equità, eguaglianza, onestà) (Rawls). Per costruire una società più giusta la condizione preliminare è che le persone agiscano sotto il “velo di ignoranza”, che assicura che nella scelta dei principi di giustizia nessuno venga avvantaggiato o meno, in modo che essi siano il risultato di un accordo equo. Un duplice principio consente la realizzazione della giustizia: 1. Principio di giustizia come eguaglianza, in base al quale libertà, diritti e beni primari devono essere distribuiti in modo eguale nella società 2. Principio di giustizia come differenza, subordinato al primo, riguarda le differenze ammissibili, tali solo se rispondono al maggior vantaggio anche dei meno favoriti. 3. Etica e politica nell’insegnamento sociale della Chiesa Entro ogni azione politica si dà in modo riconoscibile l’aspetto dei beni sociali da essa prodotti, ma essa veicola anche un significato etico e teologico. Una politica neutrale, come puro fatto tecnico, non esiste. Il progetto etico-politico derivante dalla Dottrina sociale della Chiesa non prospetta un ideale, ma un orientamento per la libertà inclusa in ogni azione politica. I tre cardini della prospettiva etica sono: principi, valori e virtù. Sei sono i principi, di cui quattro basilari, che di fatto tutelano le grandi dimensioni del rapporto sociale, in grado di disegnare la trama di fondo del progetto della Dottrina Sociale della Chiesa. La totalità dei principi fa riferimento all’uomo, punto di convergenza dell’intera Dottrina. • Principio personalista: primato della persona umana su ogni modalità della vita politica e sociale. Esso tutela la dignità dell’uomo, i diritti umani e la partecipazione del cittadino alla vita sociale. • Principio di sussidiarietà: relativo al primato della società civile nei confronti delle istituzioni. Le sue principali applicazioni riguardano la tutela e promozione di una società articolata e differenziata in una pluralità di soggetti, delle autonomie locali, del decentramento amministrativo. • Principio di solidarietà: governa la politica stabilendo che essa deve tendere alla condizione e alla redistribuzione corretta di beni e oneri, alla pace sociale, al riconoscimento dell’uguaglianza di fronte alla legge e alle istituzioni e della parità di dignità. La solidarietà rappresenta la virtù sociale per eccellenza, vera incarnazione della giustizia orientata al bene comune. • Principio del bene comune: determina il fine cui deve mirare l’azione politica. Esso si concretizza nell’insieme delle condizioni sociali che favoriscono lo sviluppo della persona. • Principio di partecipazione: da cui la politica deve essere ispirata in modo che si realizza una cittadinanza matura e attiva. Per quanto riguarda i valori, una nota pastorale della Conferenza Episcopale Italiana delinea il ritratto del politico cristiano come chiamato a operare in una logica di servizio al bene comune, quindi con umiltà, mitezza, competenza, trasparenza, lealtà e rispetto verso gli avversari, rispettando il metodo democratico e sollecitando il maggior consenso possibile per l’attuazione di ciò che è obiettivamente un bene per tutti. Nell’insegnamento sociale della Chiesa l’opzione preferenziale è per la democrazia. (origine nell’enciclica Libertas di Leone XIII). La laicità non implica la rinuncia né all’etica e né ai valori, ma aiuta anzi a comprendere come tali valori siano apprezzabili anche al di fuori dell’orizzonte dei credenti, in quanto essi sono proponibili a tutti perché riconosciuti come patrimonio comune dell’umanità. Capitolo quarto: Un diritto per la vera giustizia 1. Legge e giustizia nella sacra Scrittura Nell’Antico Testamento la Legge è espressione dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, essa delimita il male favorendo la corretta percezione del bene ed educando la volontà dell’uomo a perseguire il bene autentico. Nel Nuovo Testamento non è tolta la differenza tra giustizia degli uomini e giustizia di Dio, né viene vanificata la prima, anzi è raccomandato che la tensione tra le due sia avvertita e vissuta in direzione della seconda e più alta. L’autentica giustizia, annunciata alla Scrittura come prerogativa esclusiva di Dio (il solo giusto), non può arrestarsi a un livello di semplice osservanza delle procedure (Pilato), o delle tradizioni (farisei), ma impone piuttosto di mettersi in gioco nei confronti della verità. 2. Diritto, morale e costume nel corso della storia Ripercorriamo le tappe della vicenda storica riguardanti la giustizia e il diritto nell’ambito della vita sociale. Le origini La codificazione del diritto è preceduta dal costume, dal vissuto sociale. il diritto costituisce la mediazione sociale, ed è universale e perenne. L’epoca romana Il diritto vantava il primato e una pretesa di intrinseca eticità, in quanto portatore di giustizia. Il motto programmatico era “vivere onestamente, non ledere gli altri, dare a ciascuno il suo”. L’epoca medievale Qui si verifica la massima vicinanza tra diritto e giustizia, poiché il primo costituisce il contenuto obiettivo della seconda, esprimendo l’esigenza di quanto la giustizia già pratica. La stagione moderna L’intesa tra diritto e giustizia diviene faticosa e diventa contenuto delle leggi non più ciò che è giusto, ma ciò che è comandato dal sovrano. Tra etica e diritto sociale ci sarà sempre maggiore estraneità. Accanto alla legge naturale (giusnaturalismo) si afferma la legge positiva (giuspositivismo). Il diritto pretenderà che le leggi siano osservate, disinteressandosi della questione del bene. Dall’illuminismo a oggi L’Illuminismo è la stagione dei diritti dell’uomo e del cittadino come fondamento di tutte le altre leggi. Oggi sono presenti alcune nuove forme di giustizia sociale, in particolare la teoria della giustizia come equità prospettata da Rawls, che esige il crearsi di una parità di condizioni per tutti quale premessa necessaria al costituirsi di una nuova società, più giusta perché più equa. Le due principali regole di questa teoria sono: l’uguaglianza, per la quale i beni fondamentali in una società devono essere distribuiti in modo equivalente e la differenza, in base alla quale ogni diversità deve essere adeguatamente compensata o giustificata da una maggiore utilità. 3. Significato e limiti del diritto Il diritto è un linguaggio a servizio della giustizia e della verità, quindi del bene di ciascuno e di tutti. Non può sostenere totalmente le esigenze dell’etica, ma ad esse deve approssimarsi quanto più possibile; e ciò vale sia per chi ha funzioni pubbliche sia per il cittadino. Il legislatore ha la responsabilità di interpretare l’ethos vigente, riuscendo ad attivare le responsabilità del cittadino ma tenendo anche presente che non tutto può essere normato a priori. La legislazione deve essere il più possibile coerente e unitaria. Il livello minimo di coerenza è quello di una legislazione che eviti di avere gradi di tolleranza troppo disparati a seconda dei casi. Per ragioni di bene comune si deve far sì che la legge sia strumento di giustizia e non di altro, evitando eccessi legislativi o di avvantaggiare determinate categorie. A livello personale è richiesta prima di tutto la lealtà nel rispetto delle leggi, in quanto esse tendono al bene comune. In questo senso la legge è obbligatoria anche sotto il profilo etico, almeno fino a prova contraria (obiezione di coscienza, legittima difesa…). La ricerca del bene comune va poi anche oltre la legge, perché essa può essere migliorata nel suo compimento agendo non limitandosi a quanto è prescritto ma facendo un bene ulteriore. Regola suprema resta in ogni caso la carità, che suppone preventivamene si sia percorsa fino in fondo la via della giustizia, a sua volta eventualmente da migliorarsi ricorrendo all’equità. 4. L’educazione alla legalità Solo mediante un’educazione diffusa e inclusiva è possibile rifuggire dagli atteggiamenti dell’eccesso di legislazione o, all’opposto, di illegalità. A tale riguardo risulta valida la Nota pastorale alla Conferenza Episcopale Italiana “Educare alla legalità”: • Un 'esigenza fondamentale della vita sociale Gli uomini, per la loro natura sociale, costituiscono non un semplice aggregato di individui, ma una comunità di persone nella quale i bi- sogni e le aspirazioni di ciascuno, gli eguali diritti e i simmetrici doveri, si collegano e si coordinano in un vincolo solidale, ordinato a promuove- re il pieno sviluppo della persona umana e la costruzione del bene comune. Ciò implica l'affermazione di "regole di condotta", connaturate al concetto medesimo di società, che non soltanto rispecchiano giudizi di valore universalmente riconosciuti, ma presiedono al corretto svolgimento dei concreti rapporti tra gli uomini, equilibrando le individuali libertà e orientandole verso la giustizia. Senza tali regole, una società libera e giusta non può consistere. Se mancano chiare e legittime regole di convivenza oppure se queste non sono applicate, la forza tende a prevalere sulla giustizia, l'arbitrio sul diritto, con la conseguenza che la libertà è messa a rischio fino a scomparire. La "legalità", ossia il rispetto e la pratica delle leggi, costituisce per- ciò una condizione fondamentale perché vi siano libertà, giustizia e pace tra gli uomini. D'altra parte le leggi devono corrispondere all'ordine morale, poiché se il loro fondamento immediato è dato dall'autorità legittima che le emana, la loro giustificazione più profonda viene dalla stessa dignità della per- sona umana che storicamente si realizza e si esprime nella società, anzi dalla condizione creaturale dell'uomo, per cui vindice della sua dignità non è semplicemente lo Stato, ma Dio stesso1. Per questo la Rivelazione parla di una derivazione dell'autorità da Dio, e di conseguenza del valore e del limite delle leggi umane. Gesù ricorda a Pilato che egli non avrebbe alcun potere su di lui se non venisse dall'alto2. San Paolo scrive che non esiste autorità se non proviene da Dio, sicché che si ribella ad essa si contrappone a ~ui~. Questa obbedienza si estende anche ai contributi, alle tasse4. Per la stessa ragione una legge umana può o addirittura deve essere contestata se contraddice il suo fondamento ultimo, per cui gli apostoli Pietro e Giovanni esclamano davanti al Sinedrio: "Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui, giudicatelo voi stessi" (At 4.19). Il rispetto della legalità è chiamato ad essere non un semplice atto formale, ma un gesto personale che trova nell'ordine morale la sua ani- ma e la sua giustificazione. Ciò spiega come la caduta del senso della legalità può avere radici diverse, che vanno dal modo di gestire il potere e di formulare le leggi al senso della solidarietà tra gli uomini e alla loro moralità. Così la responsabilità di eventuali cadute del senso di legalità è da attribuirsi non solo a coloro che ricoprono posti e funzioni nelle istituzioni pubbliche, ma anche a tutti i cittadini, sia pure con rilevanza