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Teologia II "Perchè la Chiesa", Sintesi del corso di Teologia

I riassunti sono fatti da me, esame superato con 30

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 05/09/2018

monialacascia_
monialacascia_ 🇮🇹

4.5

(4)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Teologia II "Perchè la Chiesa" e più Sintesi del corso in PDF di Teologia solo su Docsity! Cap 1 – come introdursi all’intelligenza della chiesa Chi si imbatte in Gesù Cristo, sia un giorno dopo la sua scomparsa dall’orizzonte terreno, sia un mese dopo o cento, mille, duemila anni dopo, come può essere messo in grado di rendersi conto se Egli risponde alla verità che pretende? Questo problema è il cuore di ciò che si chiama storicamente Chiesa. La parola “Chiesa” indica un fenomeno storico il cui unico significato consiste nell’essere per l’uomo la possibilità di raggiungere la certezza su Cristo. Cap 2 - Come raggiungere oggi la certezza sul fatto di Cristo Per raggiungere un giudizio certo sulla persona di Cristo gli uomini hanno tentato diverse strade, corrispondenti a tre atteggiamenti fondamentali. 1. Un fatto del passato Questo è il primo atteggiamento: si considera Cristo come un fatto del passato, come Giulio Cesare o Napoleone. Lo si studia sui documenti e si esclude ciò che non rientra nei dati del passato (razionalismo). Ma con questo metodo si riduce il contenuto del messaggio cristiano ancora prima di prenderlo in considerazione. L’annuncio cristiano dice: Dio si è fatto uomo, si è reso presenza umana, carnale, dentro la storia; “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Luca 24). 2. Una illuminazione interiore Il secondo atteggiamento è più religioso: riconosce la possibilità che Dio sia presente. Ma come raggiunge l’uomo? Attraverso una illuminazione interiore. E’ il metodo protestante: per raggiungere il fatto di Cristo lontano stabilisce un rapporto diretto e interiore con lo Spirito. Quindi ciascuno segue ciò che lo Spirito suggerisce nel suo cuore. E’ il soggettivismoprotestante. Viene ridotto anche qui il contenuto vitale dell’annuncio cristiano: un fatto integralmente umano. L’atteggiamento protestante riduce l’esperienza cristiana ad esperienza meramente interiore. 3. Lo sguardo ortodosso-cattolico Il terzo atteggiamento è fatto proprio dal cattolicesimo e dal mondo cristiano ortodosso. Esso considera l’annuncio cristiano come l’annuncio del Dio che si è fatto ‘carne’, presenza umana concreta. Perciò per conoscerlo occorre sperimentare l’incontro con questa presenza concreta. E ciò avviene attraverso la realtà umana della Chiesa: infatti la presenza di Cristo nella storia perdura visibilmente, come forma incontrabile, nell’unità dei credenti. NB: uno sguardo valorizzatore L’atteggiamento ortodosso-cattolico valorizza ciò che c’è di positivo anche nei due atteggiamenti precedenti Valorizza la ricerca storica: infatti rende partecipi della stessa esperienza che ha generato i documenti storici e quindi rende capaci di comprenderli adeguatamente. Valorizza anche il rapporto dello Spirito divino con la singola creatura: infatti questo rapporto non è in balìa dei nostri pensieri, ma è condivisione di vita concreta con la presenza divina stessa. Cap 3 - Difficoltà odierna nel capire il significato delle parole cristiane Come mai l’uomo di oggi è così poco facilitato a rendersi conto del significato delle parole cristiane? Occorre ripercorrere un certo cammino storico che ha portato alla formazione della mentalità odierna in materia religiosa. Nel Medioevo era diffusa una mentalità per cui Dio era concepito come una realtà che c’entra con tutti gli aspetti della vita. Al di là delle incoerenze, rimaneva il fatto che l’ideale umano per eccellenza era quello delsanto. La nascita delle università, la figura di San Francesco, il fenomeno delle cattedrali (che esprimevano la grande unità della comunità cristiana a dispetto di tutte le divisioni e lotte fratricide): sono i vertici di una concezione culturale del mondo che, pur non essendo sempre coerentemente applicata, connotava lo spirito di un’epoca. Con l’Umanesimo viene introdotta una nuova mentalità radicalmente diversa da quella medioevale: Dio è concepito come una realtà che non determina la vita concreta dell’uomo. Ciò che segna la vita dell’uomo è l’ideale della riuscita: è valido l’uomo che riesce almeno in un campo della vita sociale. Vengono riscoperte la Dea Fortuna e la Dea Fama. Al posto del santo sorge l’ideale del divo. Il Rinascimento sviluppa ulteriormente questa concezione della vita. Si afferma che la sorgente dell’essere reale è la natura, panteisticamente intesa: essendo Dio relegato al mondo etereo ultraterreno, nell’esistenza concreta dell’uomo è la realtà naturale a dare l’energia perché l’uomo stesso si possa realizzare. Ciò determina anche una svolta in campo morale: è bene ciò che la natura spinge a fare, è male ciò che frena l’impeto naturale. Si comincia quindi a sentire la religione come un limite alla vitalità dell’uomo. Si dimentica la grande fragilità di cui soffre l’uomo strutturalmente. Il Razionalismo nasce dalla scoperta del fatto che i meccanismi e le leggi della natura trovano corrispondenza nella ragione dell’uomo; così tale ragione è concepita ora non più come apertura all’essere incommensurabile, ma come misura di tutte le cose. Ciò che non rientra in questa misura Si inaugura un nuovo metodo di conoscenza: la verità non è più oggetto di una ricerca intellettuale, ma si comunica attraverso una realtà vivente (testimonianza). 2. La comunità investita da una “Forza dall’Alto” i primi cristiani hanno espresso nei documenti che della loro vita ci rimangono la ferma persuasione che la realtà del Cristo vivente afferrava la loro vita. L’idea dominante era che la loro vita era stata mossa e trasformata da una azione superna che veniva indicata come “dono dello Spirito”. Ecco come si esprimeva. (a) Il cambiamento della personalità Anzitutto avevano la consapevolezza che quel ‘dono dall’Alto’ aveva il potere di cambiare la personalità, di rinnovarla, dando all’uomo un nuovo sentimento e una nuova concezione di sé. Si sentivano personalità differenti nel mondo, nella società, differenti come concezione di sè e come forza comunicativa. (b) Tutta la realtà in modo nuovo Questo cambiamento dava la possibilità ci incominciare a sperimentare la realtà in modo nuovo. “Caparra dello Spirito”, cioè inizio, pegno o primizia: l’alba di un nuovo mondo. Gesù assicura che chi lo segue riceve “molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà”. Ed è proprio la realtà quotidiana a trasformarsi. (c) La capacità di missione La capacità di pronunciarsi di fronte al mondo, una forza di testimonianza e di missione. Il dono dello Spirito comunica un impeto a queste nuove personalità, che rende la loro vita capacità comunicativa della novità che nel mondo Gesù ha portato. Così sia l’individuo sia la comunità si sentono in grado di pronunciarsi di fronte al mondo. (d) Il miracolo E’ il documentarsi della presenza dell’energia di Cristo nella storia. Così nella comunità cristiana primitiva la potenza divina era spesso segnalata da una esperienza sensibile. Il prodigio oggi è quello della nostra adesione di uomini alla realtà di quell’Uomo di 2000 anni fa riconosciuto realmente presente dentro il volto della Chiesa. Si rende così sperimentabile all’uomo l’alba di quel mondo nuovo. 3. Un nuovo tipo di vita Non è il fenomeno comunitario come tale a distinguere il fatto cristiano, bensìil fenomeno comunitario assunto e vissuto in un determinato modo. E’ un nuovo tipo di vita che viene chiamato comunione (koinonìa). Possedevano in comune un’unica ragione di vita, la ragione della vita - cioè Gesù Cristo: “quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1 Gv 1). Se si ha in comune il senso della vita, si ha in comune tutto della vita. Tutti si riconoscevano legati a quella Presenza che costituiva il senso e il destino della vita di ognuno; e per questo si concepivano essenzialmente legati l’uno all’altro. Ora cerchiamo di delineare le connotazioni principali che questa parola “koinonìa” o “comunione” portava con sé. (a) Un ideale etico I primi cristiani sentono come legge della loro convivenza la tendenza amettere in comune, a concepire in comune le risorse materiali e spirituali. Né gli apostoli né la tradizione cristiana imposero la comunione dei beni; essa resta tuttavia l’espressione naturale della realtà della fede. (b) Un aspetto ‘istituzionale’ La parola communio o koinonia assume anche una connotazione istituzionale: un fenomeno istituzionale nuovo in seno alla società. “Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne…”: la Chiesa non è mai esistita senza ruoli oggettivi di conferma o di verifica ultima. (c) Un’espressione rituale Ciò che caratterizzava la realtà ecclesiale come comunione era il gesto eucaristico, sentito come supremamente espressivo dell’unità della Chiesa come tale. Veniva chiamato sacramento in latino, mistero in greco: è il mistero in quanto si fa conoscere sensibilmente, sperimentalmente. (d) Un fattore gerarchico La comunità dei cristiani non si è dunque mai posta né come un fatto spontaneistico né come aggregazione amorfa: in essa esistono funzioni particolari. La Chiesa dunque è fondata sugli Apostoli, nel particolare primato di Pietro. I vescovi, collaboratori e successori degli Apostoli, avevano una rete di rapporti tra loro attraverso le “lettere di pace-comunione”. Il vescovo di Roma era il perno di tutta una trama di rapporti tra vescovi, e quindi tra comunità. (e) Un fervore di comunicazione, un ideale missionario La parola koinonia indicava una realtà di vita, un istituto, una societas non chiusa in se stessa, ma potentemente animata da un fervore comunicativo. “Andate: ammaestrate tutte le nazioni”. In pochi decenni abbiamo documentazioni di comunità cristiane sparse un po’ dappertutto nell’impero. Furono infatti i cristiani tutti insieme che operarono nel mondo e proclamarono il Vangelo di Gesù. Del resto lo scopo ultimo di Gesù Cristo è raggiungere tutti. L’amore di per sé comunica, mentre l’aridità, la mancanza di amore taglia i ponti con gli altri. (f) La moralità come dinamismo di un cammino Le comunità dei cristiani primitivi si definivano comunità di “santi”. Santi cioèprotesi verso l’immedesimazione col Dio fatto uomo, verso l’imitazione dell’umanità vera che si è realizzata in Gesù, con tutte le sue energie. E’ un dinamismo di tensione sorgente dall’appartenenza a Cristo con l’aiuto del Suo Spirito. Non è quindi contraddittoria all’immagine della comunità di santi quella di una comunità cristiana primitiva che si riconosceva fatta di peccatori: c’è la certezza di un’umanità nuova, quella di Cristo, capace di trasformare qualunque povera umanità. sezione seconda – il segno efficace del divino della storia parte terza - come la chiesa ha definito se’ stessa Cap 1 - Il fattore umano nella Chiesa La concezione della vita umana che la Chiesa propone è quella di una ‘tensione’ verso l’Ideale. Perciò l’uomo cristiano è l’homo viator, cioè l’uomo pellegrino. Nella coscienza che il suo cammino è tentativo, e correggibile, e che la sua libertà è fragile e bisognosa di perdono, e che con questo è sempre in ripresa. Cap 3 - il divino nella chiesa 1. Il comunicarsi della verità: comunità, tradizione, magistero Il primo livello attraverso cui il divino nella Chiesa si comunica è questo: come comunicazione della verità riguardo ai significati ultimi della propria esistenza. Questa comunicazione di verità divina avviene nella Chiesa in due modi. a) Il Magistero ordinario E’ immanendo, vivendo dentro la comunità ecclesiale che tali verità giorno per giorno si comunicano a noi. Vari sono gli strumenti di questo magistero ordinario: i discorsi e gli scritti del Papa, del vescovo, di una comunità se riconosciuti almeno implicitamente dal vescovo… Si chiama tradizione, che è la coscienza che la comunità vive ora, ricca della memoria di tutta la sua vicenda storica. b) Il Magistero straordinario Si identifica in ultima analisi con il Papa quando intenda affermare qualcosa secondo la totalità della sua autorità: o con la convocazione di un Concilio Ecumenico, oppure con un intervento personale (definizione ex cathedra). Riguarda una definizione, o esplicitazione, attraverso cui la vita della Chiesa prende sempre più coscienza di quello che Cristo le ha portato. 2. Il comunicarsi di una realtà divina Il Divino nella Chiesa non è solo al livello della comunicazione della verità: vivere nella Chiesa comunica una realtà divina. a) La grazia soprannaturale, o santificante Nella Chiesa viene offerta una partecipazione ‘soprannaturale’ all’Essere (grazia) che tocca l’essere dell’uomo e lo muta (uomo nuovo). La parola grazia indica l’assoluta gratuità e il valore divino dell’evento. Siamo di fronte ad una novità umana il cui dinamismo resta misterioso: si può capire solo facendone esperienza. Nel cristiano tale novità è chiamata a manifestarsi come l’alba di una nuova giornata. E’ qualcosa di diverso dentro la società, l’ambiente, la storia: l’albore di una umanità più vera. b) Attraverso segni efficaci: i sacramenti I sacramenti prolungano nella storia quei segni fondamentali con cui Cristo comunicava la salvezza, cioè se stesso. Perciò Egli continua la sua presenza e i suoi gesti di salvezza nei momenti più significativi, fondamentali della vita dell’uomo. c) Nella partecipazione libera dell’individuo Tale trasformazione della persona però non avviene meccanicamente, bensì attraverso la libertà dell’uomo: si verifica solo se l’uomo vive quel gesto consapevolmente, accogliendo e ospitando il suo significato e lasciandosene investire. La libertà dell’uomo è condizione essenziale. Nel tempo la grazia mostra così la sua efficacia. Parte quarta - LA VERIFICA DELLA PRESENZA DEL DIVINO NELLA VITA DELLA CHIESA cap 1 - il luogo della verifica: l’esperienza umana La Chiesa è veramente ciò che dice di essere? Occorre verificarlo. La Chiesa, come Gesù, rivolge all’uomo la sfida che il suo messaggio si rivela capace di rispondere alle esigenze costitutive dell’uomo. L’uomo, per verificare la validità di questa notevole pretesa, deve accettare questa sfida impegnandosi con la vita proposta. Occorre come condizione la ‘povertà nello spirito’ evangelica: desiderare per poter trovare. Essendo la Chiesa una vita, occorre coinvolgersi con essa per poterla giudicare, là dove essa è vissuta sul serio e autenticamente. cap 2 - “dal frutto si conosce l’albero” Ci sono quattro categorie di frutti della presenza di Cristo nella vita della Chiesa, sintomi della efficacia della Chiesa sulla vita e sulla storia dell’uomo. Primo frutto: unità “L’unione vera non tende a dissolvere gli uni negli altri gli esseri che riunisce, ma a perfezionarli gli uni con gli altri” (H.De Lubac). “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giovanni 17). Secondo frutto: santità Santo è l’uomo che realizza più integralmente la propria personalità: rende la presenza di Cristo attuale in ogni momento, perché questa Presenza determina, in modo trasparente, ogni sua azione. E’ grande questo frutto nella storia della Chiesa. Terzo frutto: cattolicità “La Chiesa era già cattolica il mattino della Pentecoste, quando tutti i suoi membri erano contenuti in una piccola stanza… La Chiesa, in ogni uomo, si rivolge a tutto l’uomo, comprendendolo secondo tutta la sua natura” (H.DeLubac). Ciò che la Chiesa proclama e l’esperienza cui introduce, possono essere veicolati e assimilati da qualsiasi cultura e mentalità, in quanto compimento. Quarto frutto: apostolicità E’ la caratteristica che indica la capacità della Chiesa di affrontare iltempo, è la sua dimensione storica. Cristo ha legato la sua opera nel mondo agli apostoli e ai loro successori. Ed ha promesso attraverso ciò l’indeffettibilità della Chiesa nel corso dei secoli. Ricordiamo infine che la categoria dell’unità è l’orizzonte in cui si collocano tutte le altre: santità, cattolicità, apostolicità… Manca capitolo 3 “se’ di speranza fontana vivace”