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TEOLOGIA II PROF MAFFEIS DOTTRINA DEI SACRAMENTI, Sintesi del corso di Teologia

teologia II dottrina dei sacramenti di nocke. PARTE DUE RIASSUNTO

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 22/05/2023

Martinatorrisi
Martinatorrisi 🇮🇹

4.9

(8)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica TEOLOGIA II PROF MAFFEIS DOTTRINA DEI SACRAMENTI e più Sintesi del corso in PDF di Teologia solo su Docsity! 19/10/2021 Cenni di storia dell’etica cristiana – è importante comprendere lo sviluppo, le difficoltà e l’impegno nell’elaborazione di un’etica cristiana in un contesto che inizialmente non era assolutamente a maggioranza cristiana. Il motivo che spinge ad affrontare lo studio dello sviluppo storico dell’etica cristiana non è soltanto pedagogico, ma piuttosto l’intento è quello di considerare quella crisi che caratterizza oggi l’etica cristiana e che da alcuni è vista come frattura epistemologica che chiede un nuovo modello di moralità. Nel passaggio da un modello all’altro si può correre il rischio di fare tabula rasa pretendendo come di ripartire da zero “confezionando” una sorta di etica ex novo. Cercare invece di conoscere le origini e ciò che ha preceduto può servire ad una maggior comprensione del presente e per certi versi anche a tracciare le linee per un futuro. Per questo seguiremo lo sviluppo storico dell’etica cristiana a partire dai primi secoli del cristianesimo (periodo patristico), quando gli autori cristiani hanno dovuto confrontarsi con un ambiente per la maggioranza pagano e con difficoltà nel comprendere alcuni termini, valori, prospettive che la nascente teologia cristiana iniziava a prospettare. La teologia e l’etica cristiana non è stata da subito oggetto di una riflessione sistematica da parte dei primi autori cristiani – così è stato per altri ambiti teologici. Per la riflessione dell’etica i grandi autori della chiesa primitiva, non fanno una riflessione sistematica, prendono piuttosto da delle situazioni contingenti – rintracciamo perciò alcuni riferimenti all’etica cristiana per mezzo di sermoni di alcuni Padri della Chiesa, commenti della Sacra Scrittura. È quindi necessario avere una capacità di rilettura di tali contributi e sapere che serviranno alcuni secoli prima che siano redatti alcuni trattati specifici di teologia morale. In modo particolare potremmo dire che il primo Cristianesimo ha dovuto fronteggiare 3 tipi di problemi: 1. Il rapido sviluppo del Cristianesimo, che ha posto il problema della reintegrazione di coloro che avevano abiurato la fede (nel periodo della persecuzione dei cristiani del III e IV sec. alcuni abiuravano ed abbandonavano la fede – la questione era cosa fare di coloro che avevano abbandonato la fede). La riflessione dei primi autori cristiani è che i lapsi (caduti) erano di due atteggiamenti: tra chi voleva che venissero eliminati completamente dall’ambito della fede e chi invece era disposto a riaccoglierli tramite un percorso adeguato che potesse definire la propria conversione e quindi un atteggiamento di rinnovato impegno; 2. Il confronto con il mondo pagano che ha costretto gli autori cristiani a fissare delle linee di condotta – quale atteggiamento doveva tenere il Cristiano di fronte all’idolatria ufficiale (stagione in cui gli Imperatori romani si facevano dichiarare o dichiaravano divinità), in quale misura potevano condividere i costumi del loro tempo, dovevano aderire a tutti gli obblighi imposti dall’autorità politica o vi era una riflessione circa un’obiezione dei confronti dell’autorità stessa; 3. I primi autori cristiani si sono sforzati di rilevare i punti di continuità e di rottura fra la dottrina della fede cristiana e le filosofie dominanti del tempo – basti citare Giustino uno dei Padri Apologisti vissuto tra il 100/165 d.C. che cercò di creare un ponte tra la predicazione evangelica e la filosofia greca. Autori che spesso possono essere rintracciati nei testi di etica cristiana: a) Ireneo di Lione = vissuto tra il 130 e il 202 d.C. formatosi in Asia e trasferitosi poi in Gallia – egli insiste nella sua produzione sulla creazione dell’uomo a immagine di Dio, vedendo in ciò il fondamento di tutta l’etica cristiana. Egli nella sua riflessione distingue tra la somiglianza “similitudo Dei” comunicata dallo spirito e l’immagine di Dio; pertanto, l’etica cristiana designa l’itinerario che fa passare il Cristiano dall’immagine alla somiglianza; b) Clementino D’Alessandria = ci spostiamo qui in Egitto – Clemente assieme al suo allievo riveste un’importanza decisiva per l’etica cristiana. Alcuni vorrebbero indicarlo come il Padre dell’etica cristiana (egli manifesta qualità specifiche di moralista, poiché nelle sue descrizioni è piuttosto attento, sottile, preciso a definire i costumi della società del suo tempo, tracciando così il ritratto morale del cristiano e componendo per lui un trattato sul come debba comportarsi il Cristiano). Clemente nei suoi scritti afferma che è necessario porre la filosofia al servizio del Vangelo, sostenendo che il logos (verbo) istruisce l’umanità intera e diffonde dei semi di verità nelle religioni e filosofie. Ciò lo porta a ritenere che la Filosofia Platonica abbia svolto un ruolo pedagogico per il mondo pagano che lui paragona a quello che è stato il compito svolto dai testi dell’AT per il mondo giudaico. Inoltre, nei suoi testi, traccia una via “via delle inculturazioni successive” – come il messaggio cristiano sia entrato nelle culture con le quali è entrato in contatto cercando anche di dialogare con queste. In questo suo lavoro dimostra di avere ottime conoscenze sia della filosofia platonica, ma anche della proposta storica ed è capace, perciò, di adattare tali contributi alla proposta di un’etica cristiana, facendo riferimento a due categorie che diventeranno classiche: delle passioni e delle virtù, che caratterizzano – secondo la sua prospettiva – l’uomo. Le virtù scoperte dalla filosofia e quelle rivelate dal Cristianesimo si richiamano e completano vicendevolmente. c) Giovanni Crisostomo = si forma ad Antiochia (Siria) per terminare la sua vita ed esperienza come Vescovo di Costantinopoli. Giovanni vive tra il 344 ed il 407 d.C. – nei suoi testi dimostra di conoscere la realtà più profonda dell’uomo, descrivendolo con precisione, oltre al fatto che dimostra di conoscere le fragilità umane. Questa descrizione delle fragilità umane nelle sue omelie e testi non lo portano tuttavia a definire l’uomo incapace di emendarsi e correggersi, anzi secondo Giovanni è necessario all’uomo un impegno per conformarsi sempre meglio alla prospettiva e progetto che Dio ha su di lui. Dai suoi scritti si possono desumere i 3 momenti dell’antropologia cristiana: 1. Primo momento = l’uomo è per lui creato ad immagine e somiglianza di Dio, ha ricevuto una vocazione celeste, è stato colmato di doni; 2. Secondo momento = il peccato che priva l’uomo della gloria divina – l’uomo che ha peccato si lascia fuorviare e ricondurre a quella schiavitù delle passioni che lo dominano; 3. Terzo momento = l’uomo può essere guarito e salvato soltanto dalla grazia del redentore. Si può quindi cercare di definire meglio le principali caratteristiche della riflessione dei Padri: - I Padri cercano di trarre dalla Bibbia un senso morale che deve permettere loro di rispondere agli interrogativi della fede (come il cristiano possa vivere). Tutta la scrittura contiene per loro un senso morale e questa deve essere la fonte prima d’ispirazione dell’agire del cristiano; - Per presentare la morale cristiana i Padri scelgono un’impostazione sapienziale – uno dei testi che mostra meglio tale aspetto è di autore ignoto: una raccolta di insegnamenti che spiega che chi vuole diventare perfetto ha davanti a sé 2 vie 1) la via della vita 2) la via della morte. Non si obbedisce alla legge perché essa comanda, ma perché l’obbedienza è un cammino di vita. Le proibizioni sbarrano la strada che conduce alla morte. termine “amore” – la morale dello stoicismo è una morale della fraternità ed è per questo che tra le attività permesse secondo la prospettiva stoica vi è anche quella proposta dell’impegno per la gestione della cosa pubblica e della politica. La morale stoica insiste sulla nozione di “progresso” – ma come è possibile avanzare nella via del bene? Lo stoicismo pone 3 mezzi: 1. La scelta di maestri = che ci si sforzerà di imitare e da cui si accoglieranno consigli con venerazione (siamo agli antipodi di una morale casistica) 2. La ripetizione degli atti buoni, soprattutto se si è poco inclini a compierli 3. L’esercizio della volontà mediante il tirocinio della rinuncia Se questa è la prospettiva dello stoicismo, il nostro compito è ora vedere come lo stoicismo e la morale cristiana si siano incontrati e se ci sia stata un’influenza l’una sull’altra. L’influenza dello stoicismo sulla morale cristiana la individuano già negli ultimi libri dell’Antico Testamento e si fa più forte nel Nuovo. Anche la distinzione tra dimensione pneumatica e psichica è di origine stoica – possiamo allora dire che gli influssi appaiono con maggiore evidenza presso i primi autori cristiani, anche se il loro stoicismo è intriso di tematiche platoniche ed aristoteliche. Per evidenziare le differenze tra i due approcci bisogna riprendere il concetto di “logos”, che per gli stoici è il principio sulla base di quale l’universo si organizza. Nella prospettiva cristiana il “logos” (verbo di Dio) è una persona divina per mezzo della quale tutto è stato fatto. La morale stoica dipende da una visione armonica del ondo e della storia degli uomini – la prospettiva cristiana ha invece come orizzonte un dramma che culmina con la condanna a morte ed uccisione di Cristo sulla croce. Per la prospettiva cristiana l’uomo peccatore può raggiungere la pienezza della condizione umana solo nell’opera salvifica e restauratrice della grazia, pertanto se possiamo dire che lo stoicismo ha influenzato la lingua della riflessione dei primi autori cristiani, non l’ha esaurita (vi è tutto un rimando alla tradizione biblica). Oggi si può fare una selezione tra l’apporto dello stoicismo e ciò che rappresenterebbe il cuore dell’etica cristiana – in un certo qual modo sarebbe forse sufficiente togliere la scorza per gustare di nuovo il sapore di alcune pratiche e convinzioni delle prime comunità cristiane. Un’operazione di questo tipo non è però possibile, poiché l’etica cristiana non ha mai costituito una specie di nucleo originario chimicamente puro perché preservato da ogni influenza esterna. Essa risulta dall’incontro tra la radicale novità del messaggio evangelico e la cultura umana che lo ascoltò dall’inizio (essa offriva una delle più interessanti forme di morale, mai elaborata dall’intelligenza e cuore dell’uomo). Allora forse si può leggere questo incontro come realizzazione piena di un progetto. Importante approcciarsi nella dimensione dell’inculturazione: il messaggio cristiano incontra una cultura ed accetta di entrare in dialogo con essa. Questa modalità ha poi segnato anche quanto è avvenuto in seguito. È quindi importante tenere quindi in considerazione questo modo di portare la riflessione cristiana sull’agire pratico dell’uomo, alla luce di quell’incontro con la cultura storica, senza però restringerla ad essa. Come vedremo negli autori successivi tale comunanza non impedirà alla teologia cristiana di approfondire alcuni aspetti e riempirli di un contenuto nuovo. Perciò andiamo a considerare il contributo di Aurelio Agostino – vissuto nel IV sec. – il quale caratterizza la riflessione teologica cristiana. Alcuni lo riconoscono anche come il primo sistematico in ambito di teologia cristiana. Bisogna attendere Agostino di Ippona per assistere all’elaborazione della prima sintesi di teologia morale – sintesi, espressione attraverso cui egli più che mettersi ad elaborare una vera e propria teologia, con l’insieme delle sue opere ha offerto una riflessione sul valore morale dell’azione umana. Opportuno ricordare che la sua opera si è forgiata in un contesto polemico, e ciò ha esposto gli eredi dell’agostinismo ad alcuni irrigidimenti, che portarono la teologia latina a situazioni senza sbocca. In particolare, quando egli vuole esporre i costumi cristiani (l’agire del cristiano), lo fa in un contesto di polemica con alcune correnti culturali e teologiche che si erano fatte avanti (siamo allo scontro con i Manichei, e con il Pelagianesimo). Emerge che: Agostino spiega la questione fondamentale di ogni vita umana attraverso la categoria della felicità – come afferma: La ricerca della felicità è universale: ogni uomo porta in sé il segreto desiderio, l’inguaribile nostalgia di giorni felici. È proprio in un sermone (n. 150) che egli mostra che non si tratta di un problema teorico (la ricerca della felicità), ma riguarda la parte più profonda della vita: il senso dell’esistenza ed il destino dell’uomo. Epicurei = corrente filosofica di coloro che cercavano soltanto il godimento. Questo lungo passaggio di Agostino sembra rendere in maniera chiara quelli che erano gli atteggiamenti e anche le riflessioni di un'epoca in cui il cristianesimo andava ormai ad essere la religione più professata. Al tempo stesso era ancora pronto a confrontarsi con alcune prospettive, soprattutto appunto, con lo stoicismo che, in molti casi, gareggiava con il cristianesimo in quella che poteva essere una vita retta. Morale di Agostino = si presenta come una morale della carità. Infatti, non esita a riabilitare il tema letterario dell'amore, che era rimasto sospetto agli autori cristiani fino ad allora. L'uomo si trova di fronte alla scelta fra due amori: l'amore di dio fino al disprezzo di sé e che edifica la città di dio e l'amore di sé fino al disprezzo di dio che ha edificato appunto la città degli uomini. Per Agostino l'amore non è pura emozione soggettiva, infatti l'amore contiene in sé un'esigenza obiettiva, ovvero la preoccupazione della verità, la ricerca del vero ordine della creazione al quale tutti i comportamenti dell'uomo si devono conformare. Adatta al campo della riflessione cristiana le virtù morali elaborate e proposte dalla filosofia platonica e dal pensiero storico. Per Agostino la carità è la forma di tali virtù, anche se ciò può minare un elemento: quello di correre il rischio di schiacciare l’ordine naturale. Nella controversia con i pelagiani insiste sui danni provocati dal peccato originale: egli dice che la condizione umana dopo il peccato è risultata tragicamente corrotta. L’uomo ancora gode del libero arbitrio ma soffre della sua radicale incapacità di giungere con le proprie forze alla pienezza di cui conserva, malgrado tutto, l’inestinguibile nostalgia. Egli recupera quindi il concetto di grazia: definisce il bisogno della grazia divina, costituendo così quella coppia libertà-grazia che caratterizzerà la riflessione teologica a lui successiva. Nei secoli successive diverse correnti umanistiche esalteranno la libertà umana, gli eredi più severi dell’agostinismo (autori protestanti, gruppo dei pensatori giansenisti) accentueranno l’incontestabile pessimismo di agostino per mettere in evidenza la miseria umana, e il suo bisogno della grazia. XII sec. in cui Pietro Lombardo attraverso la sua prospettiva segna un balzo avanti nella riflessione – la teologia scolastica (nome preso dal metodo prospettato da Lombardo), ricorre alla scrittura e alla tradizione, come fonti fondamentali del sapere umano. Riscopre anche i testi dell’antichità con cui cerca di realizzare una sintesi originale e viene a crearsi una corrente di pensiero nata dal contributo di Altro passo ulteriore: “la teologia morale è sopravvissuta quasi solamente a frammenti” – Marie- Dominique Chenu. Di fatto, a partire dal quattordicesimo secolo, la morale ha subito una serie di spaccature e frammentazioni al suo interno, fino a dare origine a un nuovo modello, quello delle morali, della coscienza. Il pensiero di Tommaso che si imporrà nel tempo, ma non inizialmente, entrerà in uno scontro tra la prospettiva della scuola domenicana (ordine a cui Tommaso apparteneva) e la ricchezza della prospettiva della scuola francescana. Questo scontro porterà ad una prospettiva secondo la quale la prospettiva della scuola francescana era del primato della volontà e l’amore inteso come atto della beatitudine. Sarà proprio un autore francescano che si ergerà a portare alle estreme conseguenze il contributo di questa scuola – Guglielmo di Occan. Egli elabora un sistema rivoluzionario, che diventerà non solo la filosofia dominante, ma anche la matrice della modernità. Con il Nominalismo Occam sconvolge per lungo tempo la teologia cristiana. Secondo la sua prospettiva: c'è l'individuo. Il quale è il solo reale apprendibile. L'intelletto non è mai certo di cogliere il reale nella sua propria entità, ma soltanto nella rappresentazione che il soggetto se ne dà. Pertanto, l’universale è una designazione nominale vuota (da qui il nome della scuola): Il bene è puramente estrinseco alla cosa, una semplice denominazione estrinseca. Occam = gli uomini sono chiusi in sé stessi, con una posizione in rapporto a Dio e con gli altri uomini – ma senza reali legami. Egli è libero e nulla all’esterno, né all’interno, deve spingerlo a orientarsi in un senso piuttosto che in un altro. La volontà non si determina che a partire da se stessa. Essa deve dunque godere di una libertà, che può essere qualificata come indifferenza, poiché si mantiene in una indeterminazione tra due contrari: il bene e il male. Per Tommaso D’Acquino la libertà procede dalla ragione tanto quanto dalla libertà, mentre per Occam la libertà ha la precedenza sulla ragione e si identifica con la volontà. Si produce una sorta di frammentazione dell’agire umano. La volontà si investe totalmente in ciascuno degli atti che sceglie, così che sull’atto equivale al giudizio sul suo agente, il soggetto (la persona). L’atto libero è lo sgorgare nel singolo istante di una decisione che non ha altra causa che il potere di autodeterminazione della volontà. La condotta appare come la successione di atti singoli liberi e indipendenti – ogni decisione assume la forma del cosiddetto “caso di coscienza”. Allora la teologia morale si interesserà sempre meno delle virtù per riservare tutto lo sforzo della sua analisi ai singoli atti e casi. Morale nominalista = non è una morale dell’essere che si adegua sempre più al bene – concetto e compito delle virtù – essa si interessa piuttosto agli atti in quanto la libertà deve fare propria ad ogni istante l’obbligazione che si pone. Per Occam le inclinazioni naturali alla felicità, al bene ed alla verità costituiscono degli ostacoli – motivo per cui le respinge e pone la volontà in una posizione di indeterminismo radicale. Le inclinazioni acquisite (abiti e virtù) sussistono comunque nella riflessione nominalistica, ma vengono ridotte al ruolo minore di ausiliarie della volontà. Con Occam si abbandona in modo radicale il modello patristico delle morali della virtù per forgiare un nuovo modello: quello delle morali della legge e del contratto sociale. Ogni individuo è un’isola e non potrà legarsi con qualcun altro se non prendendo con lui accordi per cui le parti si riconoscono reciprocamente una serie di diritti ed obblighi. La volontà di Dio è assoluta ed assolutamente libera – secondo la sua prospettiva. Il bene non manifesta un’esigenza della natura divina, ma una decisione della sua volontà onnipotente – Dio potrebbe così cambiare i comandamenti, se lo ritenesse opportuno. Tutto diventa un continuo sforzo di analisi dei singoli atti e singole azioni. L’obbligo morale non precede più da un’esigenza di bene, ma dalla forza del legislatore – la sua legge Dio la impone con la sua volontà onnipotente. La funzione della ragion pratica in questa prospettiva consiste nel chiarire alla coscienza del soggetto gli obblighi contenuti nelle diverse forme della legge morale. Avremo così: 1) Leggi rivelate del decalogo 2) Leggi della chiesa 3) Leggi dello Stato A partire da quel momento questi obblighi diventano tali che l’uomo è chiamato a soddisfarli e così facendo diventa libero di agire come gli pare. La riflessione teologica che seguirà Occam porrà al centro del proprio sistema morale l’obbligo – la libertà di Dio e quella dell’uomo campeggiano in un faccia a faccia che fornirà poi il quadro ideologico anche di alcune filosofie moderno. Ogni rivendicazione della libertà umana non potrà che tradursi nella corrispondente cancellazione della potenza divina. Importante un accenno anche alla prospettiva che la teologia protestante ha elaborato: Lutero e Calvino. Sappiamo come quanto Lutero e tutta la riflessione che lo seguirà, sia assillato dal pericolo dell’orgoglio che minaccia l’uomo, come se quest’ultimo potesse vantare qualche merito per le sue azioni straordinarie contrapporsi così alla gloria di Dio. La giustificazione sta per Lutero al centro della riflessione teologica, l’uomo è giustificato dalla sola fede in Cristo e non dalle opere – eppure la giustificazione scaturisce da una pura grazia accordata dal redentore degli uomini. Esiste secondo Lutero un’etica propriamente cristiana, egli pensa che le opere seguono la fede naturalmente e non contribuiscono alla salvezza dell’uomo, poiché orientate verso il prossimo – non verso Dio. L’etica rientra perciò nel campo della santificazione e non della giustificazione – nella prospettiva di Lutero. Calvino guiderà una riflessione teologica e si differenzierà dalla prospettiva di Lutero – egli offre una risposta diversa: le opere buone esprimono per lui la riconoscenza del credente per Cristo, che gli concede gratuitamente la giustificazione. Ovvero: l’etica è per lui una sorta di esercizio del tradurre in vita la Bibbia. Vi è un ritorno alla scrittura nella preoccupazione di ritrovare la purezza delle origini, rifiutando tutte le inculturazioni dei primi secoli e proprio la ricerca di autenticità ha portato alcuni esegeti protestanti del IX e XX sec. a rimettere in discussione la canonicità di alcuni scritti influenzati da alcune filosofie dell’epoca in cui venivano a costituirsi. Se questo era l'atteggiamento, la posizione, la riflessione che ha caratterizzato tutto il sedicesimo secolo – confronto tra la teologia cristiana cattolica e la riflessione della teologia cristiana che andava costituendosi attorno a due polarità, la prospettiva luterana e la prospettiva calvinista – possiamo dire che su tutto, però, a partire dai secoli quindicesimo e sedicesimo è il nominalismo a provocare una sequenza di frantumazioni e di smembramenti della teologia morale. Infatti, la teologia morale, che veniva insegnata nelle università, diventa dotta, speculativa, razionale (appannaggio soltanto di alcuni). Possiamo dire che in questo contesto la produzione e la riflessione diventerà sempre più analitica, tanto da allontanare i più da questa riflessione. Andranno a definirsi sempre più i campi della morale – dicendo che la legge ed il precetto delimitano gli obblighi universalmente validi, andando così a definire la morale del minimo obbligatorio per tutti e un campo spirituale (facoltativo e riservato a un’elite). Questa prima separazione è decisiva: da qui in poi sembrerà normale distinguere un campo morale nel quale la legge e il precetto delimitano gli obblighi universalmente validi, la morale e il minimo obbligo per tutti, e un campo spirituale, quello in cui la libertà umana agisce con spontaneità, sotto l'impulso delle virtù teologali. In tale contesto si inseriscono fattori storici: tra cui l’elaborazione dei Gesuiti di alcuni testi destinati allo studio secondo quella ratio studiorum che viene elaborato da Ignazio e dai primi generali della compagnia di Gesù (Gesuiti). La materia morale non fa più parte delle virtù ma dei comandamenti – autori di opere di casistica sono gesuiti; essi espongono la morale dividendola in quattro parti: i 10 comandamenti di Dio, i 7 sacramenti, le censure, pene ecclesiastiche e indulgenze, gli Stati di vita e il fine ultimo. Da quel momento la morale si trova esposta al duplice rischio del legalismo e dell’umanismo naturalistico. Il successo delle “istituzioni morales” si misura dal moltiplicarsi dei manuali di teologia morale a partire dal diciassettesimo secolo che generalizzano il modello di una “etica del codice” questo modello si basa su quattro concetti principali: 1) L'uomo gode di una libertà che copre totalmente l'esercizio della volontà. 2) La legge si pone di fronte a questa libertà e viene a limitarla dall'esterno (al di fuori di ciò che la legge proibisce tutto è permesso). 3) La legge interviene con la forza dell’obbligo e cerca di tessere una fitta rete di precetti e di divieti al fine di guidare la coscienza. 4) Il peccato appare come una trasgressione della legge, la quale ha il compito di tracciare i limiti fra ciò che è permesso e ciò che è proibito. Il confessionale diventa il principale luogo di riflessione morale. Qui subentrano i casi morali: la riflessione del teologo si concentra sulla coscienza presentata in modo inedito – si sostituisce all’antica virtù della prudenza e comporta una sequenza costituita da 3 momenti: