Scarica Teoria del legame chimico: legami forti e deboli - Prof. Falini e più Sintesi del corso in PDF di Chimica solo su Docsity! Introduzione al corso di chimica generale La CHIMICA è lo studio di composizione, struttura e proprietà della materia e studio delle reazioni attraverso le quali una forma della materia può essere prodotta o trasformata in un’altra forma Storia della chimica: • I filosofi della Grecia riteneva che la natura fosse composta da quattro elementi: fuoco, acqua, terra e aria • Stahl nel 1700 ipotizza che tutte le sostanze infiammabili contenessero un componente detto “flogisto” Futuro della chimica: 1. Ruolo delle scienze chimiche: essenziali e connesse 2. Domanda futura: chimica per l’impatto 3. Tendenze sociali: cambiamento della forza lavoro e degli atteggiamenti pubblici La chimica è una scienza centrale per quanto riguarda: salute e medicina, energia e ambiente, alimentazione e agricoltura e materiali e tecnologia Il metodo scientifico Il metodo scientifico nasce con un osservazione e quindi una domanda, dalla domanda verrà formulata un’ipotesi. A seguito verrano attuati degli esperimenti che hanno l’obiettivo di verificare l’ipotesi e se danno esito positivo si avrà una teoria. Una LEGGE è un’affermazione sintetica di una relazione tra fenomeni che è sempre la stessa alle stesse condizioni Una TEORIA è un principio unificante che spiega un insieme di fatti e/o quelle leggi che si basano su di essi L’oggetto di studio della chimica è la materia, cioè tutto ciò che ha una massa e occupa uno spazio, in particolare è una scienza che studia: • La struttura e la composizione della materia • Le trasformazioni che la materia subisce • L’energia coinvolta nelle trasformazioni Trasformazione FISICA: non altera la composizione o l’identità di una sostanza, es ghiaccio che si scioglie Trasformazione CHIMICA: altera la composizione o l’identità delle sostanze coinvolte, es legno che brucia Unità di misura Una proprietà ESTENSIVA di un materiale dipende da quanta materia viene considerata (massa, lunghezza, volume) Una proprietà INTENSIVA di un materiale non dipende da quanta materia viene considerata (densità, temperatura, colore) La conoscenza della massa di un corpo e delle proprietà intensive della sostanza di cui è costituito permette di ricavare le proprietà estensive Le unità di misura fondamentali del sistema internazionale sono sette: • Lunghezza (m) • Massa (kg) • Tempo (s) • Corrente elettrica (A) • Temperatura (K) • Quantità di sostanza (mol) • Intensità luminosa (cd) Il peso è una forza data dal prodotto della massa per l’accelerazione gravitazionale (non è unità di misura)! Il VOLUME si misura in m^3, ma 1L corrisponde a 1dm^3, quindi 1mL è uguale a 1cm^3 La DENSITÀ si misura in kg/m^3, quindi la densità è data dal rapporto tra massa e volume Confronto tra scale di misura Ciascun elemento è caratterizzato in modo univoco dal numero di protoni contenuti nel nucleo, questo valore si indica con Z e si chiama NUMERO ATOMICO Ciascun elemento ha anche un NUMERO DI MASSA A dato dalla somma del numero di protoni e neutroni Vengono definiti ISOTOPI tutti quegli elementi che hanno uno stesso numero atomico Z ma diverso numero di massa A, poichè differiscono per il numero dei neutroni contenuti nel nucleo Un atomo caratterizzato da un dato valore di Z e da un dato valore di A si definisce NUCLIDE Protoni e neutroni, dal momento che vanno a costituire il nucleo, sono definiti NUCLEONI Il numero atomico indica anche il numero di elettroni dato che l’atomo è neutro Il numero di neutroni presente in un atomo si calcolare con la differenza tra il numero di massa e il numero atomico Abbondanza isotopica: percentuale di quell’isotopo nel campione dell’elemento Radioattività: emissione spontanea di energia e particelle (radiazioni ionizzanti) da parte di nuclei instabili (radionuclidi) per trasformarsi in nuclei stabili Dal rapporto N/Z si può valutare la stabilità di un nuclide e prevedere il di decadimento dei nuclei instabili: • Nuclidi stabili si trovano in una stretta banda di rapporti N/Z • N/Z per nuclidi stabili aumenta all’aumentare di Z • Non ci sono nuclidi stabili con numero atomico maggiore di 83 • la stretta banda di nuclidi stabili è circondata da molta instabilità IONE = atomo che ha perso o acquistato elettroni: • CATIONE: ione positivo che si ottiene dalla perdita di elettroni • ANIONE: ione negativo che si ottiene dall’acquisizione di elettroni Mentre un elemento è una sostanza costituita da un’unica specie di atomi, la MOLECOLA è un aggregato neutro di atomi, uguali o diversi, che costituisce la più piccola particella di sostanza che ne conservi le proprietà chimiche COMPOSTO CHIMICO: una sostanza pura formata da due o più elementi uniti da un legame chimico. Ha proprietà diverse dagli elementi che lo compongono e ben definita composizione percentuale (in massa) I composti possono essere formati da molecole o da ioni I composti vengono rappresentati dalle formule chimiche, che indicano quali elementi sono presenti e in quali rapporti essi si trovano, quindi un’informazione quantitativa e una qualitativa Atomi e molecole Quando si parla di atomo, si usa come unità di misura della massa l’UNITÀ DI MASSA ATOMICA (u o uma), che è definita come 1/12 della massa di un atomo di carbonio 12 1 uma = 1,6605 * 10^-27 Massa elettrone = 0,0005 uma Massa protone = 1,0073 uma Massa neutrone = 1,0087 uma Sommando 6 protoni, 6 neutroni e 6 elettroni di carbonio la massa è 12,099 u, mentre la massa sperimentale di un atomo di carbonio 12 è 12,000 u, perché? Massa ed energia sono in relazione secondo la formula: E = mc^2 Per cui il difetto di massa (∆m) corrisponde alla massa convertita in energia che tiene insieme il nucleo Per determinare la massa degli altri atomi: Massa fluoro 19/massa carbonio 12 = 1,58320 Massa fluoro 19 = 1,58320 * 12 = 18,9984 Uma Per calcolare gli isotopi: Il peso atomico di un elemento è dato dalla media pesata rispetto alla composizione naturale dei suoi isotopi, perciò: Si calcola il prodotto del peso in Uma di ogni isotopo per la sua percentuale di abbondanza relativa e si sommano i vari isotopi e infine si divide per 100 ESEMPIO CLORO: (34,97 * 75,77 + 36,97 * 24,23)/100 = 35,45 Uma [i processi di decadimento radioattivo dipendono anche dall’ambiente in cui avvengono e quindi sarà differente la distribuzione isotopica di un elemento] Come si può esprimere la massa di una molecola? Si sommano i pesi atomici dei diversi atomi moltiplicati per il numero di quell’atomo all’interno della molecola, si ottiene così la massa molecolare o peso molecolare Una MOLE è una quantità di sostanza che contiene tante particelle quanti sono gli atomi contenuti in 12g di C12. Questo numero di particelle è numero di Avogadro ed è uguale a: NA = 6,022 * 10^23 Una mole di sostanza contiene sempre lo stesso numero di particelle, indipendentemente da quale sia la sostanza Si definisce MASSA MOLARE (MM), e si misura in g/mol, la massa di una mole di sostanza e corrisponde come valore numerico al peso molecolare o peso atomico Esercizi
1) Il biossido di azoto (NO)) è il principale inquinante dell’aria urbana. Calcolare, per 4,000 g
di NO);
- il numero di moli M.M N = 14.007 g/mol
- il numero di molecole. O = 15.999 g/mol
Nor = 46 2 = 4 - 0,08
MM Wo g/l mNo. mg) /M (e) & E nol
m°mmoleco = Mm NA = cose | 6022-40 mol = 0,524 -40° mole
2) A quanti grammi di Au corrispondono 0,026 moli di metallo puro? Massa atomica Au = 196,967 uma
mm (9) = tm (mof) : MM (g/mof) —> mA: = aoze mol - 406,967 g/mel = 543
3) Quanti atomi di rame sono presenti in 50,00 g di metallo? —Massa atomica Cu = 63,546 uma
mu = 509 = 0,387 mol m° molcol@ = 0787 mol» Goz: 40%. mol = 4,738-40” imolco&
(3.546 hcl ogni tmoficoà di riame È costituita. dium so® atomo, quindi : 4,733: 40° AtoM di Cu
4) Quante molecole sono presenti in 32,0 g di SO, ?
ms, = = 0969 mo?
MM 502 = 46 g/md + 52 glnoé 246 g[ml ri
oe moficom Sor = 6022-40”. 69 = 4,439 - 40° mofco@ di so.
1) Calcolare quanti grammi di idrogeno sono presenti in 0,745 g di acetone (CH}COCH;).
MM CHs Cocka = (42+3 44244684243) gps = 58 gle
MM H=4 —> MM(g)= 6 g/mol
58 g/noé 6 g/mol = 08459 :X_— x- 0456 = 00F 9° di H inaczione
58
2) In quanti grammi di H,P,0; sono presenti 2,53 g di fosforo?
MM hR.03 = (EEISATE ua) gl = 45,%4 qfm MM = 6494 g/l
64,94 : 48,94 = 259: X X= 2,58 :49,94 — 4,268 3 di HF Op
64,94
3) Quante molecole di acqua sono contenute in una goccia di acqua avente una massa di 0.09 g?
MM hO = (24.6) gfml = 48 glo? MILO = o, = Q005me
tt moo@ = 0008 moli: Gore 120% me" GOLA di an
La natura della luce, elettromagnetismo Le prime indagini sulla luce hanno visto la contrapposizione di due concezioni incompatibili: quella corpuscolare e quella ondulatoria 1. Attorno all’anno 100 lo scienziato Alhazen descrive i raggi di luce come un flusso di particelle materiali emesse dagli oggetti 2. Più tardi Cartesio propone un modello ondulatorio della luce 3. Intorno al XVII secolo, Newton propose che la luce fosse formata da particelle che si propagano in tutte le direzioni, in linea retta, soggette alle leggi della meccanica 4. Huygens riteneva che la luce fosse un fenomeno ondulatorio, simile alle onde sonore o alle onde di energia meccanica 5. All’inizio dell’800 Thomas Young e Augustine Jean Frensel confermano definitivamente la validità del modello ondulatorio, studiando i fenomeni di diffrazione e interferenza della luce 6. Nel XIX secolo le indagini di Faraday e Maxwell portano a riconoscere l’unità dei fenomeni elettrici e magnetici, consentendo la formalizzazione definitiva dell’elettromagnetismo 7. Nel 1873 Maxwell propose che la luce visibile fosse costituita da onde elettromagnetiche Secondo la descrizione data dalle equazioni di Maxwell, il campo elettromagnetico trasporta energia attraverso lo spazio sotto forma di onde radio, calore, raggi x, ecc… Maxwell dimostra che un campo elettrico la cui intensità varia con il tempo, produce nello spazio circostante un campo magnetico anch’esso di intensità variabile nel tempo; il campo magnetico, variando di intensità, induce a sua volta un campo elettrico e così via 8. Nel 1900 Max Planck propose che le onde elettromagnetiche non potessero essere emesse ad un ritmo arbitrario e continuo, ma solo sotto forma di pacchetti d’onde che egli chiamò QUANTI o FOTONI ogni quanto possedeva una certa quantità di energia che dipendeva dalla frequenza (lunghezza d’onda) della radiazione, secondo la reazione: La radiazione elettromagnetica La radiazione elettromagnetica è una forma di trasmissione dell’energia attraverso lo spazio vuoto o attraverso un mezzo, in cui un campo elettrico e un campo magnetico si propagano sotto forma di onde Dal punto di vista ondulatorio, una radiazione EM è costituita da un campo elettrico e un campo magnetico oscillanti che si intersecano nello spazio. Un’onda può essere descritta da: • Lunghezza d’onda • Ampiezza • Frequenza • Periodo • Il numero di creste • Numero d’onda La frequenza d’onda è direttamente proporzionale alla velocità con cui l’onda si propaga ed inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda: La teoria di Maxwell permise di calcolare la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto, che è pari a 2,998*10^8 ms^-1. Questo valore sorprendentemente corrispondeva con la velocità della luce nel vuoto: LA LUCE E’ UNA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA DI PARTICOLARE LUNGHEZZA D’ONDA Lo spettro elettromagnetico • insieme delle radiazioni caratterizzate da tutte le possibili lunghezze d’onda, classificate secondo l’ordine crescente o decrescente della lunghezza d’onda o della frequenza • Insieme continuo, senza limiti superiori o inferiori, e viene convenzionalmente suddiviso in regioni spettrali • Insieme delle radiazioni elettromagnetiche percepibili dall’occhio umano, prende il nome di luce visibile e costituisce una piccolissima porzione dello spettro elettromagnetico Noi percepiamo ciascuna lunghezza d’onda all’interno di tale intervallo, detto SPETTRO VISIBILE, come un colore diverso Le onde elettromagnetiche trasportano energia. L’energia portata da ciascuna radiazione è inversamente proporzionale alla sua lunghezza d’onda. Ciò significa che la luce rossa è ad esempio meno energetica di quella blu La radiazione elettromagnetica Per spiegare i fenomeni relativi alla radiazione elettromagnetica occorre assumere che essa abbia un comportamento duale: ondulatorio e corpuscolare RIFRAZIONE: è il fenomeno per cui un’onda subisce una deviazione rispetto alla sua direzione iniziale quando attraversa la superficie di separazione tra due sostanze in cui viaggia a velocità diversa DIFFRAZIONE: è il fenomeno per cui quando un’onda incontra un’apertura o un ostacolo avente dimensione dello stesso ordine di grandezza della sua lunghezza d’onda, il fronte d’onda si incurva intorno ad essa. INTERFERENZA: diffrazione della luce attraverso due fessure separate da una distanza comparabile alla sua lunghezza d’onda, produce un fenomeno detto interferenza. Essa è dovuta alla sovrapposizione, in un punto dello spazio di due o più onde. Può essere costruttiva (onde in fase) o distruttiva (onde fuori fase) L’energia trasportata dalla radiazione elettromagnetica è in grado di interagire con a materia in diversi modi: Ciamician fu il primo a dimostrare come la luce è in grado di interagire con la materia Modello atomico di Rutherford Rutherford aveva dimostrato che l'atomo era costituito da un nucleo carico positivamente ed era circondato da elettroni carichi negativamente. Non era stato chiarito CHE COSA FANNO gli ELETTRONI: Se gli elettroni fossero stati FERMI, sarebbero stati attratti dal nucleo con immediata disintegrazione dell'atomo. Se gli elettroni fossero stati dotati di una VELOCITA' ENORME, avrebbero potuto evitare tale attrazione, ma restava un problema: in opportune condizioni, sono in grado di emettere e assorbire radiazione elettromagnetica secondo modalità che il modello planetario di Rutherford non era in grado di giustificare. Il modello atomico di Rutherford si basa sulla fisica classica, infatti secondo Rutherford quando l'elettrone è vicino al nucleo ruota molto velocemente per equilibrare la forte forza di attrazione elettrone-nucleo; quando l'elettrone è lontano dal nucleo la sua velocità di rotazione diminuisce per non allontanarsi dall'atomo. (Secondo Rutherford sono consentite tutte le orbite) Secondo Rutherford sull'elettrone agiscono due forze: la forza centripeta e la forza centrifuga. • forza centripeta è la forza di attrazione nucleo-elettrone data dalla legge di Coulomb; • forza centrifuga è dovuta alla velocità dell'elettrone che percorre un'orbita circolare. Lo due forze devono essere uguali e opposte affinché l’elettrone non cada sul nucleo. Il modello atomico di Rutherford non riusciva a spiegare tutte le leggi della fisica classica, in particolare modo la legge sull'elettromagnetismo; secondo la quale una particella carica (in questo caso l'elettrone) in moto circolare soggetta a una forza di attrazione (nucleo- elettrone) dovrebbe perdere energia sotto forma di radiazione elettromagnetica e cadere sul nucleo seguendo una traiettoria a spirale, l'atomo finirebbe per autodistruggersi. Modello atomico di Bohr Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr propose una teoria che combinava il modello planetario di Rutherford con un postulato che poneva delle limitazioni ai valori di energia posseduta da un elettrone in un atomo. Bohr introdusse nel modello atomico planetario il concetto di quantizzazione dell'energia formulato pochi anni prima (1900) da Max Planck. Bohr ipotizzò che l'elettrone potesse percorrere solo certe orbite o livelli energetici in cui è stabile. L'orbita e l'energia dell'elettrone nell'atomo sono quantizzate Secondo Bohr l'elettrone dell'atomo d'idrogeno può trovarsi solo su determinate orbite, che corrispondono ad altrettanti livelli energetici. Tali orbite sono disposte intorno al nucleo concentricamente e i raggi di tali orbite possono assumere solo determinati valori. Questa teoria dimostra anche gli spettri di emissione ed assorbimento Il valore negativo dell’energia deriva dalla convenzione di porre a zero l’energia potenziale dell’elettrone a distanza infinita A questi valori di energia corrispondono orbite sferiche, dette STATI STAZIONARI, nelle quali gli elettroni si muovono senza emettere energia. Altri valori di E e di r non esistono nell’atomo di Bohr L’elettrone dell’atomo di idrogeno si trova nell’orbita ad energia minore, n=1, che corrisponde allo STATO FONDAMENTALE dell’idrogeno. Quindi i livelli energetici con n>1 sono detti STATI ECCITATI dell’idrogeno L’atomo è in grado di emettere o assorbire energia solo quando si sposta da un’orbita stazionaria all’altra; il passaggio di un elettrone da un’orbita all’altra si dice TRANSIZIONE ELETTRONICA L’energia viene ceduta o assorbita come radiazione elettromagnetica, sotto forma di FOTONE Quando avviene il passaggio da un’orbita più esterna a una più interna, l’energia viene ceduta: emissione di fotoni Quando avviene il passaggio da un’orbita più interna a una più esterna, l’energia viene acquistata: assorbimento fotoni Spiegazione degli spettri a righe: la radiazione emessa, avendo una frequenza determinata dalla differenza di energia tra i due livelli energetici, è rigorosamente monocromatica e apparirà come una riga sullo spettroscopio Nella teoria di Bohr il numero quantico principale n non ha nessun significato fisico La teoria quantomeccanica Nel 1924 il fisico Louis De Broglie, avanzò la sconvolgente ipotesi che non solo l’energia (come radiazione elettromagnetica) ma anche la materia possedesse una natura duale: corpuscolare e ondulatoria In questo modo, ad ogni particella materiale veniva associata una lunghezza d’’onda, il cui valore è dato dalla relazione: Anche ai corpi macroscopici è associata una lunghezza d’onda di dimensioni infinitesime (motivo per cui non riusciamo ad osservarne il comportamento ondulatorio) Lambda è tanto più piccola quanto più grande è la massa e la velocità della particella, quindi fenomeni di carattere ondulatorio si possono realmente osservare solo con fasci di particelle atomiche o subatomiche Nel 1925 Davisson e Germer dimostrarono sperimentalmente la teoria di De Broglie utilizzando un cristallo di Nichel che agisce come reticolo capace di diffrangere le onde; si dimostra quindi che l’elettrone, dotato di massa, può avere un comportamento ondulatorio Nel 1926, l’equazione di Schrödinger dimostra matematicamente il moto di una qualsiasi particella in un campo di forza, che dipende da tre variabili: n, m, l. Questa equazione è alla base della meccanica quantistica o ondulatoria Le diverse funzioni d’onda, che risultano dall’equazione di S, indipendenti dal tempo ergono chiamate ORBITALI Il presupposto da cui parte S è la descrizione del moto dell’elettrone come un’onda stazionaria, che non si propaga ma rimane sempre nella stessa zona di spazio Il sistema viene approssimato con il modello detto della “particella nella scatola”, in cui una particella di massa m si trova confinata fra due pareti rigide distanti una lunghezza L In queste condizioni, la particella-onda può assumere solo alcuni valori di lunghezze d’onda (in base alle dimensioni della scatola) e la forma matematica che descrive il moto è quella di un’onda stazionaria Analogia corda di chitarra: le vibrazioni possono generare solo determinate note aventi una certa lunghezza d’onda ben precisa e non valori qualsiasi Gli orbitali s (l = 0) hanno sempre m = 0 e possiedono una forma sferica Ordine di riempimento degli orbitali L’energia non dipende solo dal numero quantico principale, ma anche da quello secondario, perciò l’ordine degli orbitali non coincide con l’ordine crescente del numero qauntico principale e la successione può essere stabilita con la regola della diagonale. Numero quantico di spin ms È associato alla direzione di rotazione dell’elettrone attorno al proprio asse e può avere valore +1/2 e -1/2 (Il valore s definisce la velocità di rotazione) Atomi monelettronici e atomi polielettronici Gli atomi mono elettronici sono atomi in cui troviamo un solo elettrone e un nucleo, parliamo quindi dell’idrogeno, He+, Li2+, C5+, … Negli atomi mono elettronici, a parità di n, l’energia dello stato quantico diminuisce all’aumentare della carica nucleare Z, come pure diminuisce la distanza media dell’elettrone dal nucleo Gli atomi polielettronici sono atomi che possiedono più di un elettrone. Ogni elettrone è sottoposto all’azione attrattiva del nucleo e a quella repulsiva degli altri elettroni Principio di esclusione di Pauli Nel 1925 il fisico tedesco Wolfgang Pauli formulò il principio noto come principio di esclusione, che permise di descrivere correttamente la distribuzione degli elettroni nei diversi orbitali. Il PRINCIPIO DI ESCLUSIONE DI PAULI afferma che: ogni orbitale non può contenere più di due elettroni, i quali si differenziano per il valore di un quarto numero quantico, il numero quantico di spin (+1/2, -1/2). Con una formulazione alternativa, ma equivalente diremo: il principio di esclusione di Pauli afferma che in un atomo non possono esistere 2 elettroni con tutti e quattro i numeri quantici uguali. In altre parole ogni combinazione dei quattro numeri quantici individua uno ed uno solo elettrone. Principio di massima molteplicità di Hund Gli elettroni si dispongono negli orbitali degeneri uno per orbitale con spin parallelo fino a semisaturarli tutti e, successivamente, li saturano seguendo il principio di esclusione di Pauli. Configurazione elettronica L’insieme degli n elettroni di un atomo viene descritto da una funzione d’onda complessiva data dal prodotto delle n funzioni monoelettriche. Questa funzione d’onda complessiva è detta CONFIGURAZIONE ELETTRONICA Ad ogni configurazione elettronica corrisponde un’energia totale, approssimativamente uguale alla somma delle energie dei singoli orbitali monelettrici considerati La configurazione relativa alla situazione di minima energia di un atomo è chiamata CONFIGURAZIONE ELETTRONICA FONDAMENTALE Principio dell’AUFBAU (costruzione progressiva): La configurazione elettronica fondamentale di un elemento può essere costruita inserendo uno a uno gli elettroni negli orbitali di energia via via crescente, seguendo questo ordine di riempimento: 1s —> 2s —> 2p —> 3s —> 3p —> 4s —> 3d —> 4p —> 5s —> 4d —> 5p —> 6s —> 4f —> 5d —> 6p —> 7s —> 5d… Il riempimento degli orbitali segue tre regole: 1. Principio della minima energia: in un atomo ogni elettrone occupa l’orbitale disponibile a più bassa energia 2. Principio di esclusione di Pauli: in un atomo non può esistere più di un elettrone definito da una certa quaterna di numeri quantici (differiscono almeno per ms) 3. Regola di Hund: all’interno di un gruppo di orbitali aventi gli stessi valori di n e l (stessa energia e stessa forma), gli elettroni tendono a distribuirsi in orbitali diversi occupandone il maggior numero con spin paralleli Le configurazioni elettroniche dei vari elementi sono una funzione periodica del numero attico Z. Gli elementi che appartengono allo stesso gruppo nella tavola periodica hanno la stessa configurazione elettronica esterna. A questa periodicità fa riscontro una periodicità nelle proprietà fisiche e chimiche dei vari elementi. Le proprietà degli elementi chimici dipendono in sostanza dagli elettroni più esterni (elettroni di valenza) e da quanto questi sono legati al nucleo Proprietà magnetiche degli atomi Se l'atomo ha elettroni spaiati con spin paralleli, possiede un momento magnetico permanente, proporzionale al numero di elettroni spaiati. L'atomo viene attratto verso un campo magnetico applicato dall'esterno. Tali atomi si dicono paramagnetici (ad es. H, N, Na, 0, Cr, Fe...). Se l'atomo ha tutti gli elettroni accoppiati con spin antiparalleli, ha un comportamento opposto: non genera di per sé un campo magnetico, ma la presenza di un campo magnetico esterno induce un campo magnetico indotto che si oppone a quello esterno. Tali atomi si dicono diamagnetici (ad es. He, Be, Na+, ...) e sono quindi respinti da un campo magnetico applicato. Tavola periodica Gruppi: gli elementi appartenenti allo stesso gruppo hanno configurazione elettronica esterna simile (il numero quantico principale n aumenta, gli orbitali occupati hanno lo stesso l, quindi stessa forma Periodi: gli elementi che si trovano lungo lo stesso periodo hanno gli elettroni più esterni con lo stesso numero quantico principale n (stesso livello energetico) LUNGO UN PERIODO Spostandosi lungo un periodo, da sinistra verso destra, il numero atomico Z, e quindi la carica nucleare, aumenta costantemente. La carica nucleare effettiva, Zeff, "sentita" dagli elettroni di valenza (Zeff = Z - S, dove S è la costante di schermo) aumenta. Li (Z = 3) 1s^2 2s^1 Be (Z = 4) 1s^2 2s^2. Be (Z = 5) 1s^2 2s^2 2p^1 Zeff(2s) ~ +1.3 Zeff (2s) ~ +1.9. Zeff (2p) ~ +2.6 L'effetto schermante degli elettroni aggiunti nello stesso guscio (stesso n) è minimo, perciò lungo il periodo: • La carica nucleare effettiva cresce regolarmente • Gli elettroni di valenza sono legati in modo sempre più stretto (l'energia degli orbitali diminuisce progressivamente) • Gli atomi vanno incontro ad una contrazione cioè il raggio atomico diminuisce Affinità elettronica È l’energia in gioco nella formazione di uno ione negativo da un atomo neutro ed isolato (misura della tendenza di un atomo isolato ad acquistare un elettrone). Alcuni atomi tendono spontaneamente ad acquistare un elettrone formando un anione, in questi casi il valore di AE è negativo (nel processo si libera energia, esotermico) Altri atomi non tendono spontaneamente ad acquistare un elettrone ma possono essere costretti a farlo somministrando energia; in questi casi il valore di AE è positivo (nel processo viene assorbita energia, endotermico) L’andamento nella tavola è analogo a quello della EI, ma è meno regolare poichè AE è molto sensibile anche da altri fattori quali le repulsioni interelettroniche. L’elemento con l’AE maggiore (più negativa) è il cloro Quindi più è grande l’attrazione fra un atomo e l’elettrone aggiunto e più sarà grande l’affinità elettronica: • Elementi del I gruppo: AE < 0, acquistando un elettrone riempiono l’orbitale s e perciò è un processo spontaneo • Elementi del II gruppo: AE > 0, la loro configurazione è già abbastanza stabile quindi non è un processo spontaneo • Azoto: AE ≈ 0, configurazione 2s^2 2p^3 quindi è processo non spontaneo • Elementi del VII gruppo: AE < 0, processo molto spontaneo • Gas nobili: AE > 0, processo non spontaneo Si può aggiungere più di elettrone ad un atomo però solo l’affinità elettronica relativa al primo elettrone è negativa, in altre parole, l’aggiunta di un elettrone ad uno ione mono negativo costa sempre energia REGOLA DELL'OTTETTO: Gli elementi che possiedono 8 elettroni nello strato di valenza (si dice che hanno configurazione otteziale o che hanno raggiunto l'ottetto) risultano particolarmente stabili, inerti, nel senso che manifestano pochissima tendenza a reagire con altri elementi chimici. A questo gruppo appartengono tutti i gas nobili (che infatti sono detti anche gas inerti, proprio a motivo della loro scarsa reattività) Gli altri elementi che possiedono configurazioni elettroniche simili a quella dei gas nobili tendono a perdere o ad acquistare elettroni per raggiungere tale configurazione particolarmente stabile (configurazione otteziale o ottetto). Molte reazioni chimiche o la formazione di cationi o anioni, possono essere spiegate proprio in virtù della tendenza di molti elementi ad acquisire la configurazione ad 8 elettroni superficiali dei gas nobili (regola dell'ottetto). Gli atomi utilizzano prevalentemente gli elettroni del loro livello energetico più esterno (elettroni superficiali o elettroni di valenza) per interagire e legarsi tra loro. Il comportamento chimico di un atomo dipende dal numero e dalla disposizione degli elettroni dell'ultimo livello energetico occupato. Per capire la reattività di un atomo è dunque sufficiente conoscere la sua configurazione elettronica esterna o superficiale o configurazione dello strato di valenza. Atomi di elementi diversi che presentano la medesima configurazione elettronica superficiale (il medesimo numero di elettroni sul loro ultimo livello) manifestano caratteristiche chimiche simili. Elettronegatività L’elettronegatività è la tendenza di un atomo ad attrarre su di sè gli elettroni di legame • scala di elettronegatività di Pauling: è definita come differenza di elettronegatività tra due atomi • scala di elettronegatività di Mulliken: è definita dalla differenza tra EI e AE diviso due Gli elementi a sinistra (metalli) che hanno bassa EI e bassa AE sono poco elettronegativi, mentre gli elementi a destra (non metalli) che hanno EI e AE elevate e negative sono molto elettronegativi In generale, l’elettronegatività aumenta da sinistra a destra lungo un periodo e diminuisce scendendo lungo un gruppo NUMERO DI OSSIDAZIONE: Rappresenta la carica che formalmente un atomo acquisterebbe se gli elettroni di legame venissero attribuiti all’atomo più elettronegativo nei composti covalenti. Nei composti ionici il numero di ossidazione dell’atomo coincide cin valore e carica con la sua carica ionica. Si definisce numero di ossidazione o stato di ossidazione la carica, reale o formale, che acquista un atomo quando si assegnano convenzionalmente gli elettroni di legame all'atomo più elettronegativo. La carica è reale nei composti ionici ed in tal caso coincide con il numero di cariche portate dallo ione. La carica è formale nei composti covalenti. Il numero di ossidazione si scrive sopra il simbolo chimico sotto forma di numero relativo Ciascun elemento chimico può presentare più di un numero di ossidazione, pertanto esistono alcune regole per l'attribuzione dei numeri di ossidazione: 1. il n.ox. delle sostanze elementari (H2, 02, Na, Cu etc) è sempre zero poiché ci troviamo di fronte ad atomi di uno stesso elemento, aventi perciò la stessa elettronegatività. 2. Il n.ox. di uno ione monoatomico è pari alla sua carica 3. L'idrogeno presenta sempre n.ox. +1 tranne che quando si lega direttamente con metalli più elettropositivi (idruri), in cui ha dunque n.ox. -1. 4. L'ossigeno ha sempre n.ox. -2 tranne quando forma un legame covalente puro con se stesso (perossidi -O-O-) dove presenta n.ox. -1. L'ossigeno ha n.ox. =+2 SOLO quando si lega con il fluoro (più elettronegativo). 5. In generale, il n.ox. più elevato di un elemento corrisponde al numero d'ordine del gruppo cui appartiene. Così, gli elementi del primo gruppo presentano n.ox. +1, quelli del secondo +2, quelli del terzo +3 e così via fino agli elementi del settimo gruppi che presentano come n.ox. più elevato +7 Le formule molecolari possono essere definite per tutte le sostanze gassose e per quelle allo stato solido o liquido che possiedono molecole ben definite. La formula molecolare specifica il numero di atomi di ciascun elemento presenti in una specie chimica molecolare. La regola da seguire per scrivere una formula molecolare è quella dell'elettroneutralità. I COMPOSTI IONICI sono costituiti da ANIONI e CATIONI tenuti insieme da forze di attrazione elettrostatica: in questo caso si parla di UNITÀ DI FORMULA. L'unità di formula di un composto ionico è il più piccolo insieme di ioni elettricamente neutro che ci dice in quale rapporto stechiometrico stanno fra loro anioni e cationi in quel composto. Nella realtà è impossibile trovare un'unica unità di formula per un composto ionico. 6. Il numero di ossidazione dei metalli del primo gruppo è sempre +1, quello dei metalli del secondo gruppo è sempre +2 7. In una specie chimica neutra la somma dei numeri di ossidazione di tutti gli atomi che la compongono deve sempre essere nulla 8. In uno ione poliatomico la somma dei numeri di ossidazione dei diversi atomi deve sempre essere paria alla carica totale dello ione Come si rappresentano le molecole? Eccezioni alle regole di nomenclatura: PEROSSIDI: ossidi che contengono due atomi di ossigeno legati tra loro, ciascuno dei quali ha numero di ossidazione -1 SUPEROSSIDI: composti formati da due atomi di ossigeno legati tra loro, ciascuno dei quali ha numero di ossidazione -1/2 IDRATI: composto che contiene nei suoi cristalli molecole di acqua debolmente legate. Se l’acqua viene rimossa si ottiene il composto anidro. Esempio CuSO4 * 5H2O —> solfato rameico pentaidrato CROMO: Il cromo può assumere numero di ossidazione +2, +3, +6: • Con il numero di ossidazione +2 si comporta come metallo formando un: ossido basico CrO, monossido di cromo (IUPAC) o ossido cromoso (tradiz.) • Con il numero di ossidazione +3 si comporta da metallo, ma anche da non metallo, formando un: ossido anfotero Cr2O3 triossido di dicromo (IUPAC) o ossido cromico (tradiz.) • Con il numero di ossidazione +6 si comporta da non metallo e forma di conseguenza un ossido acido (o anidride): ossido acido CrO3 triossido di cromo (IUPAC) o anidride cromica (tradiz.). E due ossoacidi: H2CrO4 acido cromico; H2 Cr2O7 acido dicromico MANGANESE: Il manganese può assumere numero di ossidazione: +2, +3, +4, +6, +7: • Con i numeri ossiazione +2 e +3 si comporta da metallo formando ossidi basici: MnO monossido di manganese (IUPAC) ossido manganoso (tradiz.); Mn2O3 triossido di dimanganese (IUPAC) ossido manganico (tradiz.); e idrossidi: Mn(OH)2 diidrossido di manganese (IUPAC) idrossido manganoso (tradiz.); Mn(OH)3 triidrossido di manganese (IUPAC) idrossido manganico (tradiz) • Con il numero di ossidazione +4 ha un comportamento anfotero: MnO2 diossido di manganese • Con i numeri di ossidazione +6 e +7 si comporta da non metallo e forma ossidi acidi (o anidridi): MnO3 triossido di manganese (IUPAC) anidride manganica (tradiz.); Mn2O7 eptaossido di dimanganese (IUPAC) anidride permanganica (tradiz.); e ossoacidi: H2MnO4 acido manganico; HMnO4 acido permanganico TIOCOMPOSTI: sono composti in cui uno o più atomi di ossigeno sono sostituiti da zolfo: prefisso numerico per numero di sostituzioni + TIO CIANURI: HCN è acido cianidrico e CN- è ione cianuro CIANATI: HCNO è acido cianico e CNO- è ione cianato SOLFOCIANURI: HSCN è acido solfocianidrico e SCN- è ione solfocianuro FERROCIANURI E FERRICIANURI: ione ferrocianuro Fe(CN)6 4- e ione ferricianuro Fe(CN)6 3- Esercizi nomenclatura
1) Calcolare il numero di ossidazione di tutti gli elementi nei seguenti composti:
a) NH3z
b) CO;
c) CaCl:
d) Na:SO4
e) PO}
f) KS
g) P20s
h) HCIO4
i) KNO»
j) co}
2) Scrivere il nome dei seguenti composti ed indicare il numero di ossidazione di tutti gli elementi:
a) KCIO
b) H3PO;
c) CaS
d) K2C03
e) K2$04
f) NaNO3
g) HCIO4
h) NHCI
i) Na.SO3
j) LINO;
k) Fe2S3
1) PCls
m) NaNO:
n) Cr($04)3
0) Na:CO3
p) K3As04
3) Scrivere la formula bruta dei seguenti composti ed indicare il numero di ossidazione di tutti gli
elementi:
a) carbonato di calcio
b) nitrato di bario
c) solfato di sodio
d) cloruro di alluminio
e) acido solforico
f) idrossido di calcio
g) ipoclorito di sodio
h) solfito di potassio
i) acido ortofosforico
j) acido nitroso
k) solfuro ferroso
1) perclorato di magnesio
m) fosfato di calcio
n) nitrato rameico
o) bicarbonato di sodio
p) acido solforoso
q) clorato di potassio
r) solfato ferrico
s) arseniato di sodio
Le reazioni di scambio, neutralizzazione e di dissociazione sono reazioni che avvengono senza trasferimento di elettroni, mentre le reazioni che avvengono con trasferimento di elettroni sono definite reazioni di OSSIDO- RIDUZIONE O REDOX, in cui alcune specie cambiano la propria struttura elettronica e numero di ossidazione. Reazioni ed equazioni chimiche Per reazione chimica si intende una trasformazione di una o più sostanze definite REAGENTI in una o più sostanze definite PRODOTTI. Per scrivere un’equazione chimica è necessario conoscere le formule chimiche di tutti i reagenti e di tutti i prodotti di reazione: aA + bB —> lL + mM con A e B reagenti, L e M prodotti, a,b,l,m coefficienti stechiometrici e la freccia indica che la reazione è avvenuta completamente I COEFFICIENTI STECHIOMETRICI sono numeri generalmente interi che indicano il numeri di atomi, molecole, ioni, ecc, di reagenti e prodotti che partecipano alla reazione. Rappresentano anche il numero di moli dei reagenti e dei prodotti BILANCIAMENTO DI UNA REAZIONE CHIMICA: l’equazione chimica ha un significato quantitativo solo quando viene bilanciata, cioè quando vengono posti davanti ai reagenti ed ai prodotti gli opportuni coefficienti stechiometrici: Nelle reazioni senza trasferimento di elettroni i coefficienti stechiometrici devono soddisfare i seguenti principi: • Principio di conservazione della massa: il numero totale degli a atomi di tutti gli elementi presenti nei prodotti di reazione deve essere uguale al numero totale degli atomi di tutti gli elementi presenti nei reagenti • Principio di conservazione della carica: la somma algebrica delle cariche degli ioni presenti nei reagenti deve essere uguale alla somma algebrica delle cariche degli ioni presenti nei prodotti Nelle ossido-riduzioni i coefficienti stechiometrici devono soddisfare: • Principio di conservazione della massa • Principio di conservazione della carica • Bilanciamento elettronico: il numero degli elettroni ceduti dalla specie riducente deve essere uguale al numero di elettroni acquistati dalla specie ossidante. Il bilanciamento elettronico viene effettuato attraverso: la determinazione dei numeri di ossidazione di tutte le specie, l’individuazione di tutte le specie che cambiano il numero di ossidazione, il riconoscimento delle due semi-reazioni e la scelta degli opportuni coefficienti stechiometrici ELETTROLITI Tutte le sostanze che sciogliendosi in acqua producono ioni si chiamano elettroliti e la reazione che porta alla formazione di ioni viene anche detta di reazione di ionizzazione o dissociazione. Un esempio classico è la dissoluzione in acqua del cloruro di sodio, che produce ioni Na+ e ioni CI-. Il processo consiste nell'interazione delle molecole di acqua con gli ioni Na+ e Cl- alla superficie del reticolo cristallino del solido: questa interazione fa sì che gli ioni preferiscano abbandonare il reticolo cristallino per poter essere circondati dalle molecole di acqua e ciò provoca la dissociazione del solido, rappresentata dall'equazione: NaCI(s) → Na+(aq) + Cl-(aq) dissociato al 100% Definizione di elettrolita: composto le cui soluzioni acquose conducono l'elettricità Se si introducono in una soluzione ionica due elettrodi, collegati ad un generatore di corrente continua, il movimento degli ioni non è più casuale ma si genera un movimento dei cationi verso l'elettrodo negativo (anodo) e degli anioni verso quello positivo (catodo). Si registra il passaggio di corrente elettrica. Dissoluzione di un soluto in acqua: Quando il composto ionico si dissolve, libera in acqua gli ioni di cui è composto. Il processo di dissoluzione comporta la dissociazione negli ioni del composto ionico. Gli ioni agiscono come trasportatori di carica. I composti ionici che in acqua danno origine a ioni sono detti ELETTROLITI, quando la loro dissociazione è COMPLETA sono detti elettroliti FORTI I composti molecolari che in acqua non danno origine a ioni sono detti NON ELETTROLITI, questi composti non subiscono dissociazione ionica. • Composti che in soluzione sono completamente dissociati: ELETTROLITI FORTI (sali, acidi e basi forti) freccia singola • Composti che in soluzione sono parzialmente dissociati: ELETTROLITI DEBOLI (acidi e basi deboli) doppia freccia • Composti che in soluzione non sono dissociati: NON ELETTROLITI (glucosio, amido, alcol etilico) Reazioni chimiche in aula: Come faccio a prevedere quali saranno i prodotti di una reazione? Può essere utile classificare le reazioni in due gruppi: • Reazioni di doppio scambio: si verificano quando due composti si scambiano gli elementi che li costituiscono per formare due nuovi composti. Possono portare alla formazione di precipitati. AB + CD —> AD + BC • Reazioni di scambio singolo o spostamento: possono portare alla formazione di gas o di acqua (reazioni di neutralizzazione) REAZIONI DI PRECIPITAZIONE: quando uno dei prodotti non è solubile nel solvente di reazione e precipita come solido AX(aq) + BY(aq) —> BX(s) + AY(aq). BX è insolubile e forma un precipitato quando nella stessa soluzione si trovano B+ e X- Esempio: 2KI(aq) + Pb(NO3)2(aq) —> 2KNO3(aq) + PbI2(s) si forma un precipitato giallo di ioduro di piombo (II) Le reazioni tra composti ionici in soluzione acquosa Quando si mescolano due soluzioni si può avere la formazione di un solido (o precipitato): I composti ionici sono elettroliti forti, perciò in soluzione acquosa saranno completamente dissociati negli ioni costituenti: Si noti come gli ioni K+ e NO3- appaiano in forma identica sia tra i reagenti sia tra i prodotti. Questi ioni vengono definiti IONI SPETTATORI e si possono omettere nella scrittura della reazione Equazione ionica netta: Un’equazione ionica netta comprende solamente le molecole o gli ioni coinvolti direttamente nella reazione. Solubili: s > 0,1 mol/L. Insolubili: s < 0,01 mol/L. Parzialmente solubili ed eccezioni: 0,1 mol/L < s < 0,1 mol/L 1. Quasi tutti i sali dei metalli alcalini e di ammonio sono solubili. 2. Quasi tutti i nitrati, acetati e perclorati sono solubili. 3. Quasi tutti i sali di argento, piombo e mercurio(1) sono insolubili. 4. Quasi tutti i cloruri, bromuri e ioduri sono solubili. 5. Quasi tutti i carbonati, cromati, solfuri, ossidi, fosfati e idrossidi sono insolubili; fanno eccezione gli idrossidi di Ba, Ca e Sr, che sono leggermente solubili. 6. Quasi tutti i solfati sono solubili; fanno eccezione il solfato di calcio e il solfato di bario, che sono insolubili. 7. I cromati dei metalli alcalini sono solubili, quelli con altri metalli sono tutti insolubili. La temperatura del nostro pianeta è cresciuta in media di un grado da secondo dopoguerra ad oggi. Il velocizzarsi senza precedenti di questo processo coinciso con l’avvento dell’era industriale e con il crescere delle emissioni inquinanti che hanno prodotto l’effetto serra Circa un quarto di CO2 presente nell’atmosfera va a finire in mari ed oceani. A contatto con l’acqua reagisce chimicamente, portando alla formazione di acido carbonico. Come conseguenza dell’acidificazione degli oceani, tutta la fauna marina viene messa in pericolo REAZIONI CON SVILUPPO DI GAS Quando il bicarbonato di sodio acquoso è mescolato con l’acido cloridrico acquoso, nella miscela di reazione si sviluppano bolle di CO2 NaHCO3(aq) + HCl(aq) —> H2O(l) + NaCl(aq) + CO2(g) Piogge acide: Il carbonato di calcio, CaCO3, abbondante in natura come calcare, marmi, alcune arenarie, perle, coralli, conchiglie e altri gusci di molluschi La pioggia diviene acida a causa di alcuni gas che si combinano con l’acqua formando vari acidi. La pioggia è di solito leggermente acida, a causa del diossido di carbonio disciolto in acqua e per la presenza di una piccola quantità di cloro (proveniente dal sale marino). Questo porta a un valore del pH della pioggia intorno a 5 Prima della rivoluzione industriale il valore tipico del pH della pioggia era tra 5 e 6, per cui il termine pioggia acida è utilizzato per le piogge con un pH inferiore a 5 L’acidificazione dell’oceano: Altre reazioni di scambio o spostamento con formazione di gas: • Solfito + acido —> sale + SO2 + acqua • Solfuro + acido —> sale + H2S • Sale di ammonio + base forte —> sale + NH3 + acqua COMPOSTI DI COORDINAZIONE: acidi e basi Il concetto di acido e base secondo Lewis Un acido è una sostanza che può ACCETTARE una coppia di elettroni da un altro atomo per formare un nuovo legame Una base è una sostanza che può DONARE una coppia di elettroni ad un altro atomo per formare un legame A (acido) + :B (base) —> A:B (addotto) Il prodotto è spesso chiamato addotto acido-base. Questo tipo di legame chimico è anche chiamato legame di coordinazione I composti di coordinazione o complessi sono composti in cui un atomo con un numero di ossidazione positivo, più comunemente si tratta di uno ione di un metallo di transizione, è circondato da ioni negativi o molecole neutre in numero superiore al suo numero di ossidazione. Gli ioni negativi o le molecole neutre che circondano o sono coordinate all'atomo centrale sono dette leganti e il loro numero è il numero di coordinazione. • I composti di coordinazione sono formati per reazione acido-base (di Lewis) fra un catione metallico e molecole neutre o anioni mono o poliatomici. • Il metallo agisce da acido (di Lewis) accettando una coppia di elettroni non condivisa che è ceduta dalle altre specie che agiscono come basi di Lewis e si chiamano leganti o ligandi Una definizione più rigorosa di complesso può essere: "Un complesso è un composto chimico in cui un atomo lega un numero di altre specie chimiche superiore al suo numero di ossidazione" Un acido di Lewis deve avere orbitali vuoti per ospitare una coppia di elettroni: con questa definizione rientrano fra gli acidi di L. anche molti cationi metallici e molecole. AgCI + 2NH3 → [Ag(NH3)2]Cl In questa reazione, l'acido di Lewis è lo ione Agt, mentre la base di Lewis è NH3. L'ammoniaca è una base di L. in quanto possiede una coppia di elettroni non condivisa che può DONARE. Tipi di LEGANTI • Monodentati: donano una singola coppia di elettroni (F-; CN-, NH3) • Bidentati (o polidentati): hanno due (o più) atomi, ognuno dei quali può simultaneamente formare legami con lo stesso centro metallico. Sono detti anche leganti chelanti La carica del complesso risultante è determinata dalla carica del metallo e la somma delle cariche dei leganti. Ad es. se il metallo è lo ione Pt2+, si possono avere i seguenti complessi dove i leganti sono molecole di ammoniaca o ioni cloruro: [Pt(NH3)4]2+ ; [Pt(NH3)3 C|]+ ; [Pt(NH3)2 Cl2] ; [Pt(NH3)Cl3]- ; [PtCl4]2- Lo stato di ossidazione non cambia Si può prevedere il numero di Coordinazione? Si possono fare alcune considerazioni generali: Il numero di coordinazione dipende da: • dimensioni dell'atomo centrale • interazioni steriche ed elettrostatiche tra i leganti • fattori elettronici (configurazione elettronica del metallo centrale) FORMAZIONE DI UNO IONE COMPLESSO Reazione dei sali del rame: 1. CuSO4 (aq) +2NH3 (aq) + 2H20 (l) → Cu(OH)2 (s) + (NH4)2S04 (aq) 2. Cu(OH)2 (s) + 4NH3 (aq) —>. [Cu(NH3)4](OH)2 (aq) Formazione di complessi dell'argento: AgCI + 2NH3 → [Ag(NH3)2]CI Formazione di complessi dell'alluminio: Al(OH)3 + NaOH → Na[Al(OH)4] Formazione di complessi del ferro: 4Fe(NO3)3 + 3K4[Fe(CN)6] —> Fe4[Fe(CN)6]3 + 12KNO3 Reazione dei sali del ferro: Esacianoferrato (lI) di Ferro (III) o Ferrocianuro Ferrico Fe4[Fe(CN)6]3 [Fe(CN)6]4- ione esacianoferrato (Il) La reazione viene utilizzata nei colorifici per produrre la base del colore detto Blu di Prussia. + 6 2 - +7 +4 3MmO4 + 4H + 7 2MmB4 + MmOz +2H20 ambiente ACIDO - e 7 -> +2e +4 +2 2t +62-2MOl + 350: + GHt > 2 Mm + 5504 + 3H20 ambiente ACIDO 7 1 +se -22 + 7 +4 2- +6 +6 2- O2MmOi + 583 + 20H < 2Mmp ++ H20 ambiente Basico4 S 4 T T te -ze +7 +4 2 Mmoj + 33 + Hel 2 MmOz + 3582 + 20H ambiente NEUTR - + 30 - Le Icez e let ↳ 22e > 20e- - ~ t I - Ch Ce geometria angolare , POLARE Ce I ce geometria lineare, apolare Xe F2-22e- SF434e Br0k - 26 er IFI molecola Il molecola F Xe F a sella O I a selle IE S POLARE B POLARE APOLARE El inmolecola lineare I F - a KHCO3 + (NH1)>COz = 4 , 78g 77 % di massa "va via" 2kHC03() 2(2(g) + K20(s) + H2O(e) mKHC 3 = X m(NH4)2 Co z = Y (NH4)2(03(s) CO2(g) + 2NH3(g) + Hz0(g) x + y = 4.78 g ... X + y = 4.78g XE ( 101 glmoet 16 glmoel mK20 = 4 ,789 - 3 . 68g = 1 . 10g nK20 = 1x101 g/mol (m K20 =E glmoe : 90 glmoe) o 48X = 1 , 10g x = 1 ,108 . 101 = 2 ,39 = X 48 Mot y = 4 ,78g - X = 4,78 - 2 . 39 = 2 , 489 = y Elettronegatività e polarità del legame: La polarità di un legame dipende dalla differenza di elettronegatività fra i due atomi legati. Un legame è tanto più polare quanto maggiore è la differenza di elettronegatività tra i due atomi La differenza di elettronegatività (∆x) fra gli atomi costituenti un legame dà un’informazione QUANTITATIVA per stabilire se un legame è covalente polare o covalente puro o un legame ionico ➢ Legame Covalente puro ∆x < 0.4 ➢ Legame Covalente polare 0.4 < ∆x <1.7-1.9 ➢ Legame ionico ∆x ≥ 1.9 Modelli di legame chimico Parametri che definiscono un legame: • L’energia di legame (kJ/mol o kcal/mol) è la quantità di energia che è necessario fornire a una mole di sostanza per rompere il legame fra i suoi atomi, cioè è l’energia che occorre impiegare per separare gli atomi contenuti nella molecola. Tanto maggiore è l’energia di legame, tanto più stabile è il composto,tanto più è forte il legame che si è instaurato tra gli atomi. • La lunghezza di legame è definita come la distanza media (perché gli atomi sono in perenne vibrazione, ciascuno attorno ad una sua posizione centrale di equilibrio) che intercorre tra i nuclei di due atomi uniti da un legame. Le lunghezze di legame sono misurate in Angstrom o picometri. La lunghezza di legame aumenta all’aumentare delle dimensioni atomiche e al diminuire dell’energia di legame. In realtà, ogni ione tende a circondarsi del maggior numero possibile di ioni di carica opposta (si forma un reticolo) Legame ionico Il legame ionico è il legame che si realizza quando un atomo a bassa energia di ionizzazione si combina con un atomo ad elevata affinità elettronica. È il tipo più semplice di legame chimico ed è interpretabile in base alle leggi classiche dell’elettrostatica. ➢ Si assume un completo trasferimento di elettroni dall’atomo a bassa energia di ionizzazione all’atomo ad alta affinità elettronica. Il legame si produce come conseguenza dell’attrazione elettrostatica che si manifesta tra i due ioni di carica opposta che si formano. Un esempio classico di legame ionico si ha nella formazione del cloruro di sodio a partire dal Sodio e dal Cloro elementari. Il legame ionico, a differenza del legame covalente, non è direzionale. L'attrazione tra cariche di segno opposto, come sono cationi ed anioni, non si sviluppa solo in un'unica direzione, ma agisce uniformemente in tutte le direzioni con simmetria sferica, producendo aggregati ionici macroscopici strutturati in cui anioni e cationi si alternano in un reticolo ordinato. Nei composti ionici ogni catione risulta circondato da un certo numero di anioni e viceversa, formando uno sconfinato reticolato geometrico (reticolo cristallino), in cui ioni di carica opposta si alternano ordinatamente nelle tre direzioni dello spazio. Tale disposizione ordinata è detta cristallina, poiché genera macroscopicamente un cristallo che conserva la geometria della sottostante struttura atomica. Nel reticolo cristallino uno ione attrae tutti gli ioni di segno opposto: perciò il legame ionico è legame non direzionale Proprietà dei composti ionici: • Sono sostanze solide cristalline, dure ma fragili • Hanno un punto di fusione (e di ebollizione) molto alto • Generalmente sono solubili nei solventi polari e con un’alta costante dielettrica • Sono buoni conduttori allo stato fuso o in soluzione Energie in gioco nella formazione del legame ionico: 1° stadio: l’atomo X perde elettroni (si forma uno ione positivo) 2° stadio: l’atomo A acquista elettroni (si forma uno ione negativo) 3° stadio: lo ione positivo X+ e lo ione negativo A- si attraggono reciprocamente (si forma una coppia ionica) Energia reticolare L’energia reticolare può essere determinata sperimentalmente tramite un ciclo di Born-Haber, in cui il processo di formazione del legame ionico viene spezzato in una serie di fasi che trasformano i reagenti negli ioni gassosi nel solido L’energia reticolare di un solido ionico corrisponde all’energia che viene liberata nel processo di formazione del reticolo cristallino solido a partire dagli ioni isolati allo stato gassoso. Per convenzione, le energie assorbite hanno segno positivo, le energie cedute segno negativo L’energia reticolare, oltre che dal ciclo di Born-Haber, può essere calcolata mediante l’equazione di Born-Landè: La costante di Madelung (M) dipende solo dal tipo di reticolo La costante di Madelung è sempre > 1, l’energia di attrazione elettrostatica globale è di conseguenza sempre maggiore (in valore assoluto) nel reticolo rispetto alla singola coppia ionica. Questa energia, energia di Madelung, è la principale responsabile della stabilità dei cristalli delle sostanze ioniche. Se essa non ci fosse, esisterebbero solo coppie ioniche isolate. L’energia reticolare è data dalla combinazione di due termini opposti: la repulsione tra i gusci elettronici (energia di repulsione elettronica) e l’attrazione tra ioni di carica opposta (energia di Madelung). Quando idealmente gli ioni di carica opposta si avvicinano, l’energia reticolare diminuisce fino ad arrivare ad un valore minimo per una distanza tra gli ioni pari alla somma dei loro raggi ionici. Il numero di anioni che circonda un catione all’interno del reticolo cristallino è detto numero di coordinazione del catione. Il numero di cationi che circonda un anione all’interno del reticolo cristallino è detto numero di coordinazione dell’anione. Nei composti ionici, la formula chimica non descrive una struttura molecolare autonoma, ma indica il rapporto numerico esistente nel cristallo tra ioni positivi e negativi (formula minima). Allo stesso modo è più corretto, riferendosi ai composti ionici, parlare di massa (peso) formula piuttosto che di massa (peso) molecolare. Es: Fluorite. La formula CaF2 indica dunque che nel reticolo cristallino del fluoruro di calcio, il rapporto tra ioni calcio e ioni fluoro è 2:1. Questi composti sono detti semiconduttori ed hanno bassa conducibilità elettrica a temperatura ambiente, che aumenta fortemente all’aumentare della temperatura. Le proprietà di semiconduttori o di isolanti dipendono quindi dall’intervallo (gap) tra la banda di valenza e quella di conducibilità La separazione fra le diverse bande è tanto minore quanto minore è la differenza di energia fra gli orbitali atomici dei singoli atomi e quanto minore è la distanza fra atomi adiacenti nel cristallo. Poiché gli elettroni interni restano praticamente ancorati ai loro ioni, sono le bande originate dagli elettroni di valenza che determinano le proprietà fisiche dei solidi. A parità di distanza interatomica i livelli più profondi si separano meno dei livelli più esterni in quanto le loro funzioni d’onda atomiche sono più localizzate e quindi la loro sovrapposizione è minore. Quando la distanza interatomica decresce oltre un certo limite le bande derivanti da orbitali atomici distinti cominciano a sovrapporsi. Conduttori, semiconduttori e isolanti Nei conduttori (tutti i metalli) la banda di valenza e quella di conducibilità sono praticamente sovrapposte e gli elettroni saltano facilmente dall’una all’altra. Negli isolanti la differenza di energia tra le bande è grande, per cui gli elettroni non possono saltare dall’una all’altra. In alcuni casi (es. Si, Ge) la distanza in energia tra la banda di valenza e quella di conducibilità è sufficientemente piccola da permettere, in opportune condizioni, il salto di elettroni dall’una all’altra. Struttura del legame metallico Il modello di legame giustifica una struttura costituita da un denso reticolato di ioni positivi molto vicini tra loro secondo il principio del massimo impaccamento. Il numero di atomi adiacenti a ciascun atomo è detto numero di coordinazione (N.C.) e per i metalli è molto elevato, tipicamente 8 o 12. Per questo motivo la densità dei metalli è generalmente superiore a quella degli altri materiali. La disposizione degli atomi metallici all’interno del reticolo cristallino può essere di tipo compatto o di tipo non-compatto. Le disposizioni di tipo compatto sono le più frequenti (90%) e si basano su stratificazioni di atomi con distribuzione esagonale. Le disposizioni di tipo non-compatto si basano su stratificazioni di atomi con distribuzione quadrata Le sfere del secondo strato giacciono nelle depressioni create dal primo strato, mentre le sfere del terzo strato giacciono nelle depressioni create dal secondo strato in modo da trovarsi esattamente sopra le sfere del primo strato Condizioni per la formazione di un composto metallico • Gli atomi devono cedere facilmente elettroni: elementi con bassa energia di ionizzazione • L’interazione degli atomi deve portare ad una banda parzialmente piena: il numero degli elettroni di valenza deve essere inferiore al numero degli orbitali dello strato più esterno • La struttura cristallina deve essere molto compatta: alto numero di coordinazione Generalmente le forze di coesione nei metalli aumentano al crescere del numero di elettroni di valenza (da Li a Be; da Na a Al; ecc.) e diminuiscono, a parità di elettroni di valenza, all’aumentare delle dimensioni atomiche (da Li a Cs, ecc.) Legame covalente Configurazione di Lewis degli elementi Lewis sviluppò un particolare simbolismo per rappresentare le configurazioni elettroniche esterne degli atomi e giustificare la formazione di ioni. Gli elettroni di valenza sono rappresentati da punti disposti attorno al simbolo dell’atomo. Tutti gli elementi che appartengono ad un medesimo gruppo chimico, possedendo la medesima configurazione elettronica superficiale, presentano la stessa struttura di Lewis. Teoria di Lewis del legame covalente I due elettroni che formano la coppia condivisa tra gli atomi devono appartenere in origine, ciascuno ad uno dei due atomi ed occupare da soli un orbitale atomico (elettroni spaiati) • Ogni coppia di elettroni condivisi rappresenta un singolo legame covalente • Il numero di legami che un atomo può formare dipende dal suo numero di elettroni spaiati, cioè dalla sua configurazione elettronica • Due atomi possono mettere in compartecipazione al massimo tre coppie di elettroni; si parla quindi di: - legame singolo (una coppia condivisa); - legame doppio (due coppie condivise); - legame triplo (tre coppie condivise). Normalmente ogni atomo tende ad utilizzare nei legami tutti i suoi elettroni spaiati per ottenere la massima stabilizzazione energetica. Quando due o più atomi si legano fra loro con legami covalenti, ciascuno di essi, mettendo in comune gli elettroni, tende a realizzare una configurazione elettronica completa del tipo dei gas nobili, caratterizzata da un “ottetto” di elettroni esterni (regola dell’ottetto di Lewis). In realtà, questa regola è rispettata solo dagli elementi del II periodo, che hanno soltanto orbitali s e p (N, C, O, F); le eccezioni sono molto numerose. Ogni atomo di Cl ha un elettrone spaiato sull'ultimo orbitale p ed un’elevata affinità elettronica (forte tendenza ad acquistare un ulteriore elettrone) per raggiungere la configurazione stabile del gas nobile successivo (Ar). Possiamo pensare che entrambi i nuclei attirino fortemente l'elettrone spaiato dell'altro atomo senza riuscire a strapparlo. Il risultato di questa intensa attrazione incrociata è che i due elettroni spaiati vengono alla fine condivisi da entrambi gli atomi ed il doppietto elettronico funge da legame, finendo per appartenere ad entrambi gli atomi. I due atomi di cloro “condividono” una coppia di elettroni e tale “condivisione” costituisce il legame covalente. In questo modo ora i due elettroni non appartengono più all'uno o all'altro atomo, ma ruotano entrambi intorno all'intera struttura molecolare biatomica. Si dice che i due elettroni sono stati messi in comune o in compartecipazione. Ciascun nucleo "vede" ora intorno a se i 6 elettroni non condivisi più i 2 elettroni condivisi per un totale di 8 elettroni. La condivisione di una coppia di elettroni permette a ciascun atomo di cloro di raggiungere la configurazione stabile dell’ottetto. Il legame che si forma per condivisione di una coppia di elettroni è detto legame covalente semplice o singolo e può essere rappresentato mediante una barretta che unisce i due simboli chimici. Le coppie di elettroni superficiali che non vengono condivise sono dette coppie (o doppietti) di non-legame o coppie solitarie (Lone Pairs). In seguito alla formazione di legami covalenti tra atomi possono avere origine: • entità definite e stabili, tutte caratterizzate dallo stesso rapporto fra gli atomi ed indipendenti l’una dall’altra (molecole) OPPURE • reticoli di atomi legati fra loro, estesi indefinitamente, caratterizzati da un preciso rapporto fra gli atomi (sostanze covalenti a struttura infinita) Parametri di legame: Lunghezza: la lunghezza di legame è solitamente misurata in Ǻngström (1 Ǻ = 10-10 m) o in picometri (1 pm = 10-12 m). Energia: l'energia di legame, misurata in Kcal/mol (o in kJ/mol), è l’energia che si libera quando due atomi allo stato gassoso passano da distanza infinita alla distanza di legame. Coincide con l'energia che è necessario fornire al sistema (allo stato gassoso) per rompere il legame, portando i due atomi a distanza infinita. L’energia di legame è una misura della “forza” di un legame chimico (maggiore è l’energia di legame, più “forte” è un legame) Angolo: l’angolo di legame è l’angolo interno che si genera tra i segmenti congiungenti il nucleo di un atomo centrale con quelli di altri due atomi legati ad esso Negli elementi dei gruppi 2, 13 e 14, promuovendo un elettrone dall’orbitale s ad un orbitale p si ottiene una configurazione elettronica eccitata che ha due elettroni spaiati in più rispetto alla configurazione fondamentale. Pur passando da una configurazione elettronica esterna più stabile ad una meno stabile, il carbonio dispone ora di 4 elettroni spaiati (contro i due precedenti) che può condividere formando 4 legami chimici. PROMOZIONE ELETTRONICA Consideriamo i composti fra l’idrogeno e gli elementi di vari gruppi • Per gli elementi dei gruppi da 15 a 17 il numero dei legami con l’idrogeno corrisponde realmente al numero di elettroni spaiati della configurazione elettronica fondamentale • Per il berillio, il boro e gli elementi del gruppo 14 il numero dei legami è uguale al numero di elettroni spaiati più due Consente ad un atomo di trasferire un elettrone da un orbitale superficiale saturo ad un orbitale superficiale vuoto. In questo modo un doppietto viene trasformato in due elettroni spaiati che, condivisi con altri atomi, possono essere utilizzati per formare due ulteriori legami chimici. E’ il caso del carbonio che, in quasi tutti i suoi composti promuove un elettrone dall’orbitale saturo 2s ad un orbitale 2p vuoto. Pur passando da una configurazione elettronica esterna più stabile ad una meno stabile, il carbonio dispone ora di 4 elettroni spaiati (contro i due precedenti) che può condividere formando 4 legami chimici (maggiore guadagno energetico). La promozione elettronica avviene quando la differenza di energia tra la configurazione elettronica di partenza e quella di arrivo è piccola. Eccezioni alla regola dell’ottetto: ottetto incompleto e ottetto espanso La regola per la quale ogni atomo legato deve avere non più di 8 elettroni superficiali (regola dell’ottetto) vale rigorosamente solo per gli elementi non metallici del secondo periodo chimico (C N O F) i quali, non possedendo orbitali d, non sono in grado di trasferirvi elettroni (promozione elettronica) per aumentare il numero dei loro legami. I primi elementi del secondo periodo possono avere meno di otto elettroni nel loro stato legato (4 per il Berillio e 6 per il Boro = ottetto incompleto). Es. BF3, BCl3, [B(OH)3] Gli elementi non metallici dei periodi superiori al secondo, S, P, Cl possono invece avere più di 8 elettroni superficiali (ottetto espanso) nel loro stato legato. Perché hanno orbitali d vuoti abbastanza vicini in energia: possono promuovere e- in tali orbitali ed aumentare il numero di e- spaiati per massimizzare il numero di legami formati. Es: quelli del gruppo 15, come il fosforo, possono avere 10 elettroni superficiali, mentre quelli del gruppo 16 come lo zolfo possono arrivare a 12 e quelli del gruppo 17, come il cloro ne possono avere 14. REGOLE PER RICAVARE LE FORMULE DI LEWIS 1. Si calcola il n° totale di e- = somma degli e- di valenza di tutti gli atomi + (-) carica ionica se il composto è un anione (catione) 2. Si determinano le disposizioni degli atomi nella molecola (connettività). L’atomo centrale è generalmente quello con affinità elettronica meno negativa. 3. Si pone una coppia di elettroni tra ogni coppia di atomi legati per formare un legame singolo. 4. Determinare gli elettroni residui da posizionare. Sottrarre gli elettroni di legame dagli elettroni di valenza, ottenendo in tal modo il numero di elettroni che devono ancora essere posizionati. Nel nitrito di metile CH3NO2, gli elettroni di legame sono 12, mentre quelli di valenza sono 24 e devono pertanto essere ancora posizionati 24 – 12 = 12 elettroni. 5. Si usano gli e- rimasti come coppie solitarie attorno a ciascun atomo terminale (tranne H), in modo da completare gli ottetti, iniziando con gli atomi più elettronegativi. 6. Spostare coppie solitarie per completare l’ottetto. Se un atomo non ha l’ottetto completo, usare una coppia di elettroni solitari dell’atomo adiacente che possiede il maggior numero di doppietti non condivisi, per formare un doppio o un triplo legame. La regola per la quale ogni atomo legato deve avere non più di 8 elettroni superficiali (regola dell’ottetto) vale rigorosamente solo per gli elementi non metallici del secondo periodo chimico (C, N, O, F) i quali, non possedendo orbitali d, non sono in grado di trasferirvi elettroni (promozione elettronica) per aumentare il numero dei loro legami. I primi elementi del secondo periodo possono avere meno di otto elettroni nel loro stato legato (4 per il Berillio e 6 per il Boro = ottetto incompleto). Gli elementi non metallici dei periodi superiori al secondo possono invece avere più di 8 elettroni superficiali (ottetto espanso) nel loro stato legato. Come regola generale, legami doppi o tripli si formano solo quando entrambi gli atomi si trovano nella seguente lista: C, N, O, S. Le strutture di Lewis sono utili per prevedere la reale struttura di una molecola o di uno ione CARICA FORMALE Quando scriviamo le formule di Lewis, stiamo descrivendo come gli elettroni sono distribuiti in una molecola. Possiamo scrivere più formule di Lewis ragionevoli per la stessa molecola, per cui come sappiamo quale sarà quella che la rappresenta meglio? Per fare questo si determinano le cariche formali di ogni atomo, cioè la carica che ogni atomo avrebbe se tutti gli atomi della molecola avessero la stessa elettronegatività (se i legami fossero covalenti puri). Per calcolare la carica formale, ad ogni atomo gli elettroni vengono assegnati come segue: - Tutti gli elettroni di non legame (coppie solitarie) sono assegnati all’atomo su cui si trovano - per qualsiasi legame, metà degli elettroni di legame sono assegnati a ciascun atomo che prende parte al legame La carica formale di ciascun atomo è quindi calcolata sottraendo dal numero di elettroni di valenza dell’atomo isolato, il numero di elettroni assegnati all’atomo nel legame (elettroni di valenza nel legame). carica formale = e- valenza atomo isolato - e- valenza atomo legato Quando le diverse strutture di Lewis possibili per una molecola, presentano una distribuzione diversa delle cariche formali, si ritiene più aderente alla realtà la struttura in cui le cariche formali hanno valore più vicino a zero, oppure quella in cui le cariche negative si trovano posizionate sugli atomi più elettronegativi. Le strutture-limite possono contribuire in misura diversa all’ibrido in relazione al loro contenuto energetico. Le strutture-limite più stabili contribuiscono maggiormente all’ibrido. Questo significa che l’ibrido assomiglierà maggiormente alla struttura-limite più stabile. L’ibrido è una media ponderata delle sue strutture- limite. Viene definita energia di risonanza la differenza tra l’energia della molecola reale (misurata) e quella della sua struttura di risonanza più stabile (calcolata). Un ibrido di risonanza è tanto più stabile (elevata energia di risonanza) quanto più numerose e tra loro RISONANZA Si dice che lo ione risuona tra situazioni estreme, rappresentate dalle due strutture, dette formule limite. Il fenomeno della risonanza si indica con la doppia freccia ( ↔ ) RISONANZA tra diverse formule limite non vuol dire che la distribuzione della densità elettronica cambia nel tempo “oscillando” tra differenti situazioni, ma piuttosto che essa è mediamente ripartita tra i diversi legami in modo uniforme e non può quindi essere rappresentata correttamente con una sola formula di Lewis equivalenti dal punto di vista energetico sono le sue strutture-limite. E' allora evidente che se una delle strutture-limite risulta molto più stabile di tutte le altre, l'ibrido assomiglierà a tal punto a quest'ultima da rendere la risonanza poco evidente e si potrà pertanto accettare la struttura più stabile come una buona approssimazione della reale struttura molecolare. LA GEOMETRIA DELLE MOLECOLE - Teoria VSEPR I legami covalenti sono direzionali, nel senso che essi formano tra loro angoli caratteristici che determinano la geometria della molecola, cioè disposizione relativa nello spazio degli atomi costituenti una molecola o un composto covalente a struttura infinita. La geometria molecolare si esprime in termini di angoli di legame, cioè degli angoli individuati dagli assi di due legami che hanno un atomo in comune. La geometria di una molecola o di un composto covalente a struttura infinita è determinata dal principio basilare di rendere massima l’energia di legame. A parità di forze attrattive, ciò si realizza quando si rendono minime le repulsioni elettrostatiche tra le varie coppie elettroniche e tra i nuclei La teoria VSEPR permette di fare previsioni sulla geometria delle molecole. Questa teoria afferma che il fattore preponderante nel determinare la geometria molecolare sia la repulsione tra le coppie di elettroni di valenza, sia di legame che solitarie, dell’atomo centrale, che formano, ognuna, una sfera elettronica. • Una sfera per ogni legame singolo (‘normale’ o dativo); • Una (sola!!!!) sfera per ogni legame multiplo; • Una sfera per ogni coppia solitaria. Molecole polari Le molecole polari risentono l’influenza di un campo elettrico esterno: • in assenza di campo elettrico, le molecole polari sono orientate in maniera casuale • in presenza di un campo elettrico, i dipoli si orientano in modo da disporre il loro vettore µ parallelamente a quello del campo elettrico esterno, ma con verso opposto TEORIA DEL LEGAME COVALENTE Teoria del legame di valenza (VB) Considera la molecola come costituita da atomi che mantengono il loro carattere distinto anche quando sono chimicamente legati: essi contribuiscono solamente con i loro elettroni più esterni (gli elettroni di valenza) a formare legami con altri atomi. La molecola è vista come un insieme di centri atomici e di legami fra questi centri. Si può dire che la teoria VB è l'espressione quantitativa del modello di Lewis delle coppie elettroniche. Teoria degli orbitali molecolari (MO) Considera la molecola come un insieme di nuclei e di elettroni e, valutando le loro reciproche interazioni, determina le funzioni d'onda Y che descrivono gli elettroni nella molecola in modo analogo a quello usato per individuare le y che descrivono gli elettroni negli atomi isolati. Secondo la teoria MO tutti gli elettroni sono delocalizzati fra tutti gli atomi Secondo la teoria VB, invece, solo alcuni elettroni partecipano ai legami e sono localizzati fra i due atomi legati (gli altri elettroni si trovano sui rispettivi atomi e non vengono considerati). Da ciò discende che un legame è una prerogativa dei due atomi legati e non ha influenza sugli altri legami che questi atomi possono formare La teoria MO è rigorosa e di applicazione generale, ma difficile da utilizzare perché richiede un trattamento matematico complesso La teoria VB permette di interpretare e prevedere le caratteristiche di molte specie chimiche in modo semplice ed intuitivo, ma porta talvolta a risultati in contrasto con la realtà sperimentale e non è in grado di spiegare la formazione del legame in alcune sostanze TEORIA DEL LEGAME DI VALENZA (VB) Proposta nel 1927 da W. Heitler e F. London e successivamente ampliata e sviluppata da L. Pauling con l'introduzione dei concetti di risonanza (1928) e di ibridazione orbitalica (1930). La teoria interpreta la formazione del legame covalente mediante il concetto quantomeccanico di orbitale. Il legame covalente, che nella teoria di Lewis viene visto come una condivisione da parte di due atomi di una coppia di elettroni, viene descritto come una sovrapposizione degli orbitali atomici che ospitano i due elettroni spaiati da condividere. Le funzioni d'onda dei due orbitali si sommano (in modo analogo ai fenomeni di interferenza per le onde) per dare una nuova funzione d'onda che descrive un nuovo orbitale. Il nuovo orbitale appartiene ad entrambi gli atomi legati ed ospita i due elettroni con spin antiparallelo. La funzione di distribuzione radiale della densità elettronica (probabilità) del nuovo orbitale che si è formato mostra un massimo tra i due nuclei. Si suppone che, quando gli atomi di H si avvicinano, ciascun elettrone condiviso possa passare da un nucleo all’altro, cioè che a distanze ravvicinate i nuclei non distinguano gli elettroni di legame La teoria VB interpreta il legame tra due atomi A e B presenti in una molecola mediante una funzione d'onda bielettronica che descrive la coppia di elettroni condivisa dai due atomi, ignorando tutto il resto. Il legame si può dunque formare solamente accoppiando due elettroni che occupano da soli altrettanti orbitali atomici (elettroni spaiati). Secondo questo modello, nelle molecole tutti gli elettroni sono accoppiati; ciò rende conto del fatto che la maggior parte delle molecole (ma non tutte!) sono diamagnetiche Criterio della massima sovrapposizione: Il legame è tanto più forte quanto maggiore è la sovrapposizione delle funzioni d'onda atomiche che descrivono i due elettroni coinvolti nel legame. La teoria d Lewis da sola non è in grado di rendere ragione delle differenze che si osservano tra legami covalenti, in composti quali H2, F2, HF, ad esempio. Dobbiamo determinare quali orbitali sono coinvolti nella formazione del legame Due tipi di legame covalente: π e o (sigma) Il legame covalente π è più debole di un legame o, a causa della minor sovrapposizione LEGAME COVALENTE DOPPIO è sempre formato da un legame o e da un legame o e da un legame π Quando in una molecola si forma un legame covalente doppio si genera un legame o lungo la congiungente i due nuclei ed un legame π costituito da due nuvole elettroniche disposte simmetricamente (sopra e sotto) rispetto al legame o. Un doppio legame è una struttura rigida e non consente la libera rotazione dei due atomi legati attorno all'asse di legame. Il legame doppio è quindi più forte di un legame semplice, ma presenta tuttavia una forza inferiore a quella di due legami semplici essendo costituito da un legame o (più forte) ed un legame π (più debole). LEGAME COVALENTE TRIPLO è sempre formato da un legame o e da 2 legami π In un legame covalente triplo si genera un legame o lungo la congiungente i due nuclei e due legami π costituiti da quattro nuvole elettroniche disposte simmetricamente ai quattro lati del legame o (un legame sopra-sotto ed un legame davanti- dietro). Anche un triplo legame è una struttura rigida e non consente la libera rotazione dei due atomi legati attorno all'asse di legame. Il legame triplo è quindi più forte di un legame semplice, ma presenta tuttavia una forza inferiore a quella di tre legami semplici essendo costituito da un legame o (più forte) e da due legami π (più deboli). Se si forma un solo legame (legame singolo), esso è di tipo o. Se si formano legami multipli (doppi o tripli), uno è di tipo o, mentre gli altri sono di tipo π (disposti su piani perpendicolari). Formazione di legami π Avviene per: - Sovrapposizione p-p: esclusiva degli elementi del II° periodo. Es. CO2 (cfr. SiOz), N2 (cfr. Pa), O2 (cfr. Sg) - Sovrapposizione p-d: elementi dal III° periodo in poi. Es. P4O10, SO2, SO3 La capacità di formare doppi o tripli legami con elettroni p, è una prerogativa degli elementi del II° periodo Gli elementi dei periodi successivi formano di preferenza legami singoli, a meno che nella formazione dei doppi legami non siano coinvolti elettroni d. In generale, nell'ambito di un gruppo, la capacità di formare legami multipli diminuisce all'aumentare delle dimensioni atomiche. Riassumendo: • Legame sigma: la regione di massima densità elettronica si trova lungo l’asse che congiunge i due nuclei • Legame pi-greco: la densità elettronica è ripartita in due regioni identiche che non comprendono l’asse Inter nucleare e che si trovano da parti opposte rispetto ad esso • Numero massimo di legami tra due atomi: 3 (sempre almeno uno sigma e il resto π) • Forza di legame: sigma > pi-greco Riassumendo... La TEORIA DEL LEGAME DI VALENZA (VB) interpreta il legame chimico nelle molecole e nei composti covalenti a struttura infinita; i punti fondamentali sono: • si considerano solo gli elettroni più esterni (quelli di valenza) • ogni legame si forma dalla messa in comune di una coppia di elettroni da parte dei due atomi (gli elettroni possono anche provenire entrambi dallo stesso atomo, nel caso del legame covalente dativo) • le coppie di elettroni di legame sono localizzate tra i due atomi interessati dal legame • esistono legami di tipo o e legami di tipo π • la geometria delle molecole si può prevedere con il modello VSEPR o mediante l'introduzione degli orbitali atomici ibridi La teoria VB si trova però in difficoltà • nel descrivere molecole in cui le coppie di elettroni non si comportano come se fossero localizzate fra i vari atomi (artificio della risonanza) • nello spiegare le proprietà magnetiche di molte molecole semplici (ad es. O2, V. foto a lato) • nel descrivere gli stati eccitati delle molecole, quindi nel'interpretare le proprietà spettroscopiche TEORIA DEGLI ORBITALI MOLECOLARI (MO) La teoria degli orbitali molecolari (Molecular Orbitals, MO) considera la molecola come un insieme di nuclei e di elettroni e, valutando le loro reciproche interazioni, determina le funzioni d'onda Y che descrivono gli elettroni nella molecola in modo analogo a quello usato per individuare le Y che descrivono gli elettroni negli atomi isolati Secondo la teoria MO, tutti gli elettroni della molecola risentono dell'attrazione di tutti i nuclei, che si considerano fissi nelle loro posizioni di equilibrio (approssimazione di Born-Oppenheimer). Gli elettroni di una molecola vengono descritti da funzioni d'onda dette orbitali molecolari le cui superfici limite si estendono su tutta la molecola Le superfici limite degli orbitali molecolari sono sempre policentriche, abbracciando tutti i nuclei della molecola, a differenza di quelle degli OA che sono monocentriche, ovvero riferite a un solo nucleo. Gli elettroni sono, almeno in linea di principio, delocalizzati su tutta la molecola; secondo questo modello ciascun elettrone contribuisce a tenere insieme tutti i nuclei della molecola Ogni elettrone di una molecola è descritto da una funzione d'onda Y (orbitale molecolare monoelettronico) tale che il suo quadrato rappresenti la probabilità di trovare l'elettrone nell'intorno del punto considerato. Ciascun orbitale monoelettronico descrive un solo elettrone che risente dell'attrazione di tutti i nuclei della molecola e delle repulsioni di tutti gli altri elettroni, mediate nel tempo. Come per gli OA, ogni funzione d'onda molecolare Y è definita da una terna di numeri quantici e a ciascun orbitale molecolare corrisponde un valore di energia. La funzione d'onda complessiva che descrive l'insieme di tutti gli n elettroni della molecola è data dal prodotto delle funzioni d'onda monoelettroniche relative ai singoli elettroni Y тот = Y1 Y2 Y3 Y4… Yn = πY L'energia elettronica totale della molecola è data dalla somma delle energie dei singoli orbitali "occupati", più o meno un termine correttivo R che tiene conto delle repulsioni "istantanee" degli elettroni (analogia con gli atomi polielettronici) E tot = E1 + E2 + E3 + E4 + … + En +/- R = ∑Ei +/- R La configurazione elettronica fondamentale si costruisce seguendo le regole dell'Aufbau già viste per gli atomi polielettronici, ossia distribuendo gli elettroni negli orbitali molecolari in ordine di energia crescente, nel rispetto del principio di Pauli e della regola di Hund (per le configurazioni eccitate, invece, occorre rispettare solo il principio di esclusione di Pauli) La molecola più semplice è quella di H2+, costituita da un elettrone sottoposto all'azione di due protoni posti ad una certa distanza l'uno dall'altro. In questo caso si può risolvere l'equazione di Schrödinger in modo rigoroso e trovare le funzioni orbitali e i valori delle energie, come per l'atomo di idrogeno e gli ioni idrogenoidi In tutti gli altri casi (sistemi a più elettroni) non è possibile risolvere esattamente l'equazione d'onda; bisogna quindi ricorrere a METODI APPROSSIMATI che tengano conto in qualche modo delle interazioni inter-elettroniche Per addizionare due funzioni d'onda, si usa il metodo della combinazione lineare di orbitali atomici (Linear Combination of Atomic Orbitals, LCAO) che consiste nel ricavare le funzioni d'onda mono-elettroniche Y di una molecola combinando linearmente le funzioni d'onda Y degli atomi che formano la molecola. Nel caso di una molecola biatomica AB si ottiene: Dalla combinazione di due orbitali atomici si ottengono sempre due orbitali molecolari. Dalla combinazione di n OA si ottengono n OM, i cui livelli energetici possono essere tutti distinti o anche in parte coincidenti (orbitali degeneri) Ci sono due modi per combinare i due OA 1s: Per potersi combinare linearmente: 1. Gli orbitali atomici devono avere energie molto simili 2. Gli orbitali atomici devono sovrapporsi il più possibile alla distanza di legame (criterio massima sovrapposizione) 3. Gli orbitali atomici devono avere la stessa simmetria rispetto all’asse internucleare Per via del primo criterio alla base del metodo LCAO, solo orbitali atomici con lo stesso numero quantico n possano contribuire efficacemente alla formazione di OM. Per il secondo criterio, quando due OA hanno un'estensione limitata e alla distanza di legame danno una sovrapposizione quasi nulla, non possono formare OM; questi orbitali rimangono sostanzialmente inalterati nella molecola (orbitali di non legame) INTERAZIONE FRA MOLECOLE POLARI E MOLECOLE APOLARI Interazione dipolo permanente - dipolo indotto Avvengono tra una molecola polare ed una apolare sulla quale la prima induce un dipolo indotto. Quando una molecola apolare si trova in un campo elettrico, subisce una polarizzazione, cioè il campo elettrico induce una separazione di carica con formazione di un dipolo indotto. FORZE DI DISPERSIONE O DI LONDON TRA MOLECOLE APOLARI Interazione dipolo istantaneo - dipolo indotto Si crea un’attrazione tra dipolo “induttore” e dipolo “indotto”. Forze attrattive tra molecole apolari, dovute alla loro mutua polarizzabilità, che hanno origine dall’interazione tra dipoli istantanei reciprocamente indotti. Ciò determina la comparsa di un momento di dipolo elettrico istantaneo variabile nel tempo. Ciascun dipolo istantaneo genera un campo elettrico che polarizza le particelle circostanti, creando dei dipoli indotti variabili. L'intensità delle forze di London dipendono dalla facilità con cui la nuvola elettronica di un atomo o di una molecola può venire distorta (polarizzata) dal dipolo istantaneo di un atomo o molecola adiacente. Più alta è la polarizzabilità dell'atomo o della molecola, più le forze di dispersione sono elevate In genere atomi e molecole grandi sono più facilmente polarizzabili di atomi e molecole di piccole dimensioni. Piccole fluttuazioni nella distribuzione delle nuvole elettroniche dovrebbero essere dunque in grado di indurre nelle molecole apolari, capaci di indurre nelle molecole adiacenti polarità di segno contrario (dipolo indotto), creando le condizioni per un'attrazione reciproca. Ciascun dipolo istantaneo genera un campo elettrico che polarizza le particelle circostanti, creando dei "dipoli indotti" variabili continuamente. L'intensità delle forze di London dipende ovviamente solo dalla polarizzabilità delle molecole. Molecole più grandi e massicce (con elettroni superficiali meno legati) risentono in misura maggiore delle forze di London. Le forze di London: sono presenti per qualsiasi tipo di particella, si sviluppano fra particelle identiche, aumentano all’aumentare della massa delle particelle e dipendono dalla forma delle molecole Le forze intermolecolari influenzano le temperature di ebollizione e di fusione dei composti, e quindi il loro stato fisico a condizioni ordinarie di T e P. LEGAME A IDROGENO Il legame idrogeno appartiene alle interazioni dipolo-dipolo: si ha quando l'idrogeno è legato ad un atomo molto elettronegativo (O,N, F). I legami a idrogeno presentano energie tipiche superiori (20 - 50 kJmol-') rispetto ai normali legami dipolo-dipolo. Il legame a idrogeno viene rappresentato con una breve linea tratteggiata che unisce l'idrogeno di una molecola con l'elemento elettronegativo di un'altra. Tipici composti in grado di dare intensi legami a idrogeno sono l'acido fluoridrico HF, l'acqua H20 e l'ammoniaca NH3. L'esistenza di tale legame aumenta notevolmente la coesione interna tra le molecole, e ciò si riflette in modo evidente su alcune proprietà fisiche delle sostanze interessate. È un'interazione elettrostatica che si verifica nelle molecole che possiedono un atomo di idrogeno legato ad un atomo X molto elettronegativo e piccolo (X = F, O, N. L'atomo di idrogeno si trova ad avere un'alta densità di carica positiva e può attrarre l'estremità negativa di un'altra molecola Le molecole che interagiscono si orientano in modo da esporre la propria coppia di elettroni liberi verso l’idrogeno Il legame a idrogeno determina: • forti interazioni fra le molecole di H2O e quindi elevata temperatura di ebollizione (100°C a 1 atm) • Organizzazione delle molecole di acqua che allo stato solido (ghiaccio) porta ad una spaziatura tra le molecole superiore a quanto avviene in altri solidi, da cui risulta che la densità del ghiaccio è inferiore a quella dell’acqua liquida Temperatura di ebollizione di idruri covalenti La temperatura di ebollizione di un liquido può essere presa come indice delle forze di coesione che esistono fra le molecole nel liquido Come si spiegano queste differenze di temperatura? A causa del legame a idrogeno, le temperature di fusione e di ebollizione di HF e H2O sono notevolmente più alte di quelle degli idruri degli altri elementi dei loro gruppi Riassumendo, le interazioni molecolari e i legami chimici giocano un ruolo importante sia negli stati di aggregazione della materia e i passaggi di stato, sia nella solubilità dei materiali In ordine di forza crescente: interazione dipolo istantaneo - dipolo indotto —> interazione dipolo - dipolo indotto —> interazione dipolo - dipolo —> interazione ione - dipolo —> legame a idrogeno —> legame chimico ionico —> legame chimico covalente TENSIONE SUPERFICIALE: le molecole sulla superficie hanno interazione solo con le molecole all’interno del liquido (le interazioni con l’aria e le pareti sono da considerarsi nulle). Perciò sono soggette ad una forza attrattiva diretta verso l’interno del liquido, ma non possono spostarsi all’interno perchè vi sono altre molecole. Pertanto, la lamina superficiale è soggetta ad una continua tensione che tende a mantenere unito lo strato superficiale ANGOLO DI CONTATTO: la superficie di un liquido a contatto con una superficie solida forma un angolo con essa La resa teorica è definita come la massima quantità di prodotto che può essere ottenuta considerando il limitante La resa reale è la quantità di prodotto ottenuta realmente a seguito della reazione svolta in laboratorio La resa percentuale è calcolata come (resa reale / resa teorica) *100 Stechiometria La stechiometria è il calcolo delle quantità dei reagenti e dei prodotti implicati in una reazione chimica. Essa si basa sull'equazione chimica e sulla relazione tra massa e moli. Si ricordi che bisogna passare necessariamente attraverso le moli, perché convertire direttamente tra le masse non è possibile. Reagente limitante Può capitare che i reagenti siano combinati in quantità diverse dalle proporzioni molari date dall’equazione chimica. In tal caso solo uno dei reagenti, quello limitante, si consuma completamente, mentre l’altro, quello in eccesso, rimane inalterato.
Esercizio 1
Calcolare la quantità in grammi di acido nitrico HNO; (MM = 63,016 g/mol) contenuti in
200 mL di una sua soluzione 2,5 M (= 2,5 mol/L).
Calcoliamo le moli di soluto:
Neoluto = M + Vsoluzione = 2,5 mol/L - 0,2 L = 0,5 mol
massa soluto = n *Mm = 0,5 mol - 63,016 g/mol = 31,50 g
Esercizio 2
Qual è la molarità di una soluzione di KOH contenente 0,150 moli in 80,0 ml di soluzione?
M= n moli/ V(L) = 0,150 / 0,080 L =1,875 mol/L
Esercizio 3
Se devo preparare un litro di soluzione 0,02 M di glucosio CH,,0g. quanti grammi di
glucosio devo pesare? (le masse atomiche sono: 12.01 per C, 1.008 per H, 16.00 per O)
Occorre dapprima definire la massa molecolare del glucosio:
(6 x 12,01) + (12 x 1,008) + (6 x 16,00) = 72,06 + 12,096 + 96,00 = 180,16
m glucosio = n moli x MM = 180,16 g /mol x 0,02 n mol = 3,603 g
Calcolare la molarità delle seguenti soluzioni acquose
NH; in acqua 28 %, d = 0.9 g/mL
acido solforico H,SO,, 98 %, d = 1.840 g/mL
acido nitrico, HNO:, 70 %, d = 1.413 g/mL
acido fosforico, H3PO,, 85 %, d = 1.685 g/mL
perossido di idrogeno, H,0,, 30%, d = 1.11 g/mL
Diluizioni Diluire significa preparare una nuova soluzione la cui concentrazione più bassa rispetto a quella della soluzione di partenza a molarità nota Uno dei metodi di preparazione di soluzioni, è quello di partire da soluzioni più concentrate e diluire ad un volume noto. Ci * Vi = Cf * Vf Esempio 1: Qual è la molarità di una soluzione ottenuta per diluizione a 500 mL, di 25 mL di HCI 1.5 M? Cf = Ci * Vi / Vf = 1,5M x 25 mL / 500 mL = 0,075 mol/L Esempio 2: Diluendo con acqua 6 ml di una soluzione di CuCI2 0,15 M, fino ad un volume finale di 25 ml, qual è la nuova concentrazione? 0,15 M × 6 ml = Cf × 25 ml Cf = 0,036 M Le proprietà chimiche e fisiche di una soluzione (reattività, colore, conducibilità elettrica, ecc.) dipendono dalla quantità dei soluti e del solvente. È quindi necessario specificare sempre la composizione di una soluzione, precisando le quantità relative dei componenti (CONCENTRAZIONE). SOLUZIONI CONCENTRATE: quantità di soluto/i GRANDE SOLUZIONI DILUITE: quantità di soluto/i PICCOLA Stato gassoso • I gas sono comprimibili • Hanno basse densità (densità dipende da T e P) • I gas formano fra loro miscele omogenee in tutte le proporzioni • Esercitano una pressione sulle pareti del recipiente che li contiene • Non hanno forma né volume proprio • Occupano tutto il volume disponibile I gas furono le ultime sostanze ad essere identificate dal punto di vista chimico; infatti l’idea dell’esistenza di diversi tipi di gas si affermò solo lentamente. Nonostante ciò i gas furono le prime sostanze le cui proprietà fisiche furono spiegate in termini di leggi semplici. Le variabili termodinamiche più appropriate per descrivere lo stato termodinamico del gas e le eventuali trasformazioni sono la pressione P, il volume V e la temperatura T. Teoria cinetico-molecolare dei gas: proposta da Maxwell-Boltzmann spiega le proprietà dei gas a partire dalla natura molecolare. Si basa su 4 ipotesi: • un gas è composto da particelle separate da distanze ampie. Il volume occupato dalle singole molecole è trascurabile • le molecole di gas sono in moto costante e casuale lungo percorsi rettilinei. Urtano le pareti del contenitore che le contiene con urti elastici (l’energia viene trasferita totalmente) • le molecole di gas non esercitano forze attrattive o repulsive le une con le altre • l’energia cinetica media è proporzionale alla temperatura assoluta La pressione di una gas è originata dalle collisioni delle molecole con le pareti del recipiente. Il valore della pressione dipende sia dalla frequenza degli urti sia dalla forza con cui le molecole urtano il recipiente Gas ideale o perfetto Un gas ideale o perfetto è considerato essere costituito da molecole puntiformi, con volume trascurabile rispetto al volume del recipiente, e non interagenti tra loro. Si ha un comportamento ideale quando si hanno basse pressioni ed elevate temperature. Vm indica il volume occupato da una mole di gas. 1) Legge isoterma di Boyle Se si fanno variare i valori della pressione p e il volume V di un gas ideale in equilibrio termodinamico mantenendo costante la temperatura T si trova che il prodotto della pressione per il volume ha sempre lo stesso valore. Vale cioè la legge di Boyle: PV = costante, a temperatura costante la pressione è inversamente proporzionale al volume. Questa trasformazione (isoterma) tra due stati di equilibrio di un gas si può realizzare, in un contenitore, con una parete diatermica in contatto con una sorgente di calore alla temperatura T ed una parete mobile con variazioni infinitesime di pressione tra gas e ambiente esterno. Si realizzano in questo modo condizioni di equilibrio meccanico e termico e possiamo assumere che durante la trasformazione la temperatura sia costante e la pressione del gas sempre eguale a quella esterna. Il prodotto della pressione per il volume di un gas è una costante, quando la temperatura e la composizione del gas rimangono costanti. La legge di Boyle spiega perché non si deve risalire troppo in fretta durante un’immersione e non si deve trattenere il respiro. Introduzione al corso di chimica generale La CHIMICA è lo studio di composizione, struttura e proprietà della materia e studio delle reazioni attraverso le quali una forma della materia può essere prodotta o trasformata in un’altra forma Storia della chimica: • I filosofi della Grecia riteneva che la natura fosse composta da quattro elementi: fuoco, acqua, terra e aria • Stahl nel 1700 ipotizza che tutte le sostanze infiammabili contenessero un componente detto “flogisto” Futuro della chimica: 1. Ruolo delle scienze chimiche: essenziali e connesse 2. Domanda futura: chimica per l’impatto 3. Tendenze sociali: cambiamento della forza lavoro e degli atteggiamenti pubblici La chimica è una scienza centrale per quanto riguarda: salute e medicina, energia e ambiente, alimentazione e agricoltura e materiali e tecnologia Il metodo scientifico Il metodo scientifico nasce con un osservazione e quindi una domanda, dalla domanda verrà formulata un’ipotesi. A seguito verrano attuati degli esperimenti che hanno l’obiettivo di verificare l’ipotesi e se danno esito positivo si avrà una teoria. Una LEGGE è un’affermazione sintetica di una relazione tra fenomeni che è sempre la stessa alle stesse condizioni Una TEORIA è un principio unificante che spiega un insieme di fatti e/o quelle leggi che si basano su di essi L’oggetto di studio della chimica è la materia, cioè tutto ciò che ha una massa e occupa uno spazio, in particolare è una scienza che studia: • La struttura e la composizione della materia • Le trasformazioni che la materia subisce • L’energia coinvolta nelle trasformazioni Trasformazione FISICA: non altera la composizione o l’identità di una sostanza, es ghiaccio che si scioglie Trasformazione CHIMICA: altera la composizione o l’identità delle sostanze coinvolte, es legno che brucia Unità di misura Una proprietà ESTENSIVA di un materiale dipende da quanta materia viene considerata (massa, lunghezza, volume) Una proprietà INTENSIVA di un materiale non dipende da quanta materia viene considerata (densità, temperatura, colore) La conoscenza della massa di un corpo e delle proprietà intensive della sostanza di cui è costituito permette di ricavare le proprietà estensive Le unità di misura fondamentali del sistema internazionale sono sette: • Lunghezza (m) • Massa (kg) • Tempo (s) • Corrente elettrica (A) • Temperatura (K) • Quantità di sostanza (mol) • Intensità luminosa (cd) Il peso è una forza data dal prodotto della massa per l’accelerazione gravitazionale (non è unità di misura)! Il VOLUME si misura in m^3, ma 1L corrisponde a 1dm^3, quindi 1mL è uguale a 1cm^3 La DENSITÀ si misura in kg/m^3, quindi la densità è data dal rapporto tra massa e volume Confronto tra scale di misura Ciascun elemento è caratterizzato in modo univoco dal numero di protoni contenuti nel nucleo, questo valore si indica con Z e si chiama NUMERO ATOMICO Ciascun elemento ha anche un NUMERO DI MASSA A dato dalla somma del numero di protoni e neutroni Vengono definiti ISOTOPI tutti quegli elementi che hanno uno stesso numero atomico Z ma diverso numero di massa A, poichè differiscono per il numero dei neutroni contenuti nel nucleo Un atomo caratterizzato da un dato valore di Z e da un dato valore di A si definisce NUCLIDE Protoni e neutroni, dal momento che vanno a costituire il nucleo, sono definiti NUCLEONI Il numero atomico indica anche il numero di elettroni dato che l’atomo è neutro Il numero di neutroni presente in un atomo si calcolare con la differenza tra il numero di massa e il numero atomico Abbondanza isotopica: percentuale di quell’isotopo nel campione dell’elemento Radioattività: emissione spontanea di energia e particelle (radiazioni ionizzanti) da parte di nuclei instabili (radionuclidi) per trasformarsi in nuclei stabili Dal rapporto N/Z si può valutare la stabilità di un nuclide e prevedere il di decadimento dei nuclei instabili: • Nuclidi stabili si trovano in una stretta banda di rapporti N/Z • N/Z per nuclidi stabili aumenta all’aumentare di Z • Non ci sono nuclidi stabili con numero atomico maggiore di 83 • la stretta banda di nuclidi stabili è circondata da molta instabilità IONE = atomo che ha perso o acquistato elettroni: • CATIONE: ione positivo che si ottiene dalla perdita di elettroni • ANIONE: ione negativo che si ottiene dall’acquisizione di elettroni Mentre un elemento è una sostanza costituita da un’unica specie di atomi, la MOLECOLA è un aggregato neutro di atomi, uguali o diversi, che costituisce la più piccola particella di sostanza che ne conservi le proprietà chimiche COMPOSTO CHIMICO: una sostanza pura formata da due o più elementi uniti da un legame chimico. Ha proprietà diverse dagli elementi che lo compongono e ben definita composizione percentuale (in massa) I composti possono essere formati da molecole o da ioni I composti vengono rappresentati dalle formule chimiche, che indicano quali elementi sono presenti e in quali rapporti essi si trovano, quindi un’informazione quantitativa e una qualitativa Atomi e molecole Quando si parla di atomo, si usa come unità di misura della massa l’UNITÀ DI MASSA ATOMICA (u o uma), che è definita come 1/12 della massa di un atomo di carbonio 12 1 uma = 1,6605 * 10^-27 Massa elettrone = 0,0005 uma Massa protone = 1,0073 uma Massa neutrone = 1,0087 uma Sommando 6 protoni, 6 neutroni e 6 elettroni di carbonio la massa è 12,099 u, mentre la massa sperimentale di un atomo di carbonio 12 è 12,000 u, perché? Massa ed energia sono in relazione secondo la formula: E = mc^2 Per cui il difetto di massa (∆m) corrisponde alla massa convertita in energia che tiene insieme il nucleo Per determinare la massa degli altri atomi: Massa fluoro 19/massa carbonio 12 = 1,58320 Massa fluoro 19 = 1,58320 * 12 = 18,9984 Uma Per calcolare gli isotopi: Il peso atomico di un elemento è dato dalla media pesata rispetto alla composizione naturale dei suoi isotopi, perciò: Si calcola il prodotto del peso in Uma di ogni isotopo per la sua percentuale di abbondanza relativa e si sommano i vari isotopi e infine si divide per 100 ESEMPIO CLORO: (34,97 * 75,77 + 36,97 * 24,23)/100 = 35,45 Uma [i processi di decadimento radioattivo dipendono anche dall’ambiente in cui avvengono e quindi sarà differente la distribuzione isotopica di un elemento] Come si può esprimere la massa di una molecola? Si sommano i pesi atomici dei diversi atomi moltiplicati per il numero di quell’atomo all’interno della molecola, si ottiene così la massa molecolare o peso molecolare Una MOLE è una quantità di sostanza che contiene tante particelle quanti sono gli atomi contenuti in 12g di C12. Questo numero di particelle è numero di Avogadro ed è uguale a: NA = 6,022 * 10^23 Una mole di sostanza contiene sempre lo stesso numero di particelle, indipendentemente da quale sia la sostanza Si definisce MASSA MOLARE (MM), e si misura in g/mol, la massa di una mole di sostanza e corrisponde come valore numerico al peso molecolare o peso atomico Esercizi
1) Il biossido di azoto (NO)) è il principale inquinante dell’aria urbana. Calcolare, per 4,000 g
di NO);
- il numero di moli M.M N = 14.007 g/mol
- il numero di molecole. O = 15.999 g/mol
Nor = 46 2 = 4 - 0,08
MM Wo g/l mNo. mg) /M (e) & E nol
m°mmoleco = Mm NA = cose | 6022-40 mol = 0,524 -40° mole
2) A quanti grammi di Au corrispondono 0,026 moli di metallo puro? Massa atomica Au = 196,967 uma
mm (9) = tm (mof) : MM (g/mof) —> mA: = aoze mol - 406,967 g/mel = 543
3) Quanti atomi di rame sono presenti in 50,00 g di metallo? —Massa atomica Cu = 63,546 uma
mu = 509 = 0,387 mol m° molcol@ = 0787 mol» Goz: 40%. mol = 4,738-40” imolco&
(3.546 hcl ogni tmoficoà di riame È costituita. dium so® atomo, quindi : 4,733: 40° AtoM di Cu
4) Quante molecole sono presenti in 32,0 g di SO, ?
ms, = = 0969 mo?
MM 502 = 46 g/md + 52 glnoé 246 g[ml ri
oe moficom Sor = 6022-40”. 69 = 4,439 - 40° mofco@ di so.
1) Calcolare quanti grammi di idrogeno sono presenti in 0,745 g di acetone (CH}COCH;).
MM CHs Cocka = (42+3 44244684243) gps = 58 gle
MM H=4 —> MM(g)= 6 g/mol
58 g/noé 6 g/mol = 08459 :X_— x- 0456 = 00F 9° di H inaczione
58
2) In quanti grammi di H,P,0; sono presenti 2,53 g di fosforo?
MM hR.03 = (EEISATE ua) gl = 45,%4 qfm MM = 6494 g/l
64,94 : 48,94 = 259: X X= 2,58 :49,94 — 4,268 3 di HF Op
64,94
3) Quante molecole di acqua sono contenute in una goccia di acqua avente una massa di 0.09 g?
MM hO = (24.6) gfml = 48 glo? MILO = o, = Q005me
tt moo@ = 0008 moli: Gore 120% me" GOLA di an
La natura della luce, elettromagnetismo Le prime indagini sulla luce hanno visto la contrapposizione di due concezioni incompatibili: quella corpuscolare e quella ondulatoria 1. Attorno all’anno 100 lo scienziato Alhazen descrive i raggi di luce come un flusso di particelle materiali emesse dagli oggetti 2. Più tardi Cartesio propone un modello ondulatorio della luce 3. Intorno al XVII secolo, Newton propose che la luce fosse formata da particelle che si propagano in tutte le direzioni, in linea retta, soggette alle leggi della meccanica 4. Huygens riteneva che la luce fosse un fenomeno ondulatorio, simile alle onde sonore o alle onde di energia meccanica 5. All’inizio dell’800 Thomas Young e Augustine Jean Frensel confermano definitivamente la validità del modello ondulatorio, studiando i fenomeni di diffrazione e interferenza della luce 6. Nel XIX secolo le indagini di Faraday e Maxwell portano a riconoscere l’unità dei fenomeni elettrici e magnetici, consentendo la formalizzazione definitiva dell’elettromagnetismo 7. Nel 1873 Maxwell propose che la luce visibile fosse costituita da onde elettromagnetiche Secondo la descrizione data dalle equazioni di Maxwell, il campo elettromagnetico trasporta energia attraverso lo spazio sotto forma di onde radio, calore, raggi x, ecc… Maxwell dimostra che un campo elettrico la cui intensità varia con il tempo, produce nello spazio circostante un campo magnetico anch’esso di intensità variabile nel tempo; il campo magnetico, variando di intensità, induce a sua volta un campo elettrico e così via 8. Nel 1900 Max Planck propose che le onde elettromagnetiche non potessero essere emesse ad un ritmo arbitrario e continuo, ma solo sotto forma di pacchetti d’onde che egli chiamò QUANTI o FOTONI ogni quanto possedeva una certa quantità di energia che dipendeva dalla frequenza (lunghezza d’onda) della radiazione, secondo la reazione: La radiazione elettromagnetica La radiazione elettromagnetica è una forma di trasmissione dell’energia attraverso lo spazio vuoto o attraverso un mezzo, in cui un campo elettrico e un campo magnetico si propagano sotto forma di onde Dal punto di vista ondulatorio, una radiazione EM è costituita da un campo elettrico e un campo magnetico oscillanti che si intersecano nello spazio. Un’onda può essere descritta da: • Lunghezza d’onda • Ampiezza • Frequenza • Periodo • Il numero di creste • Numero d’onda La frequenza d’onda è direttamente proporzionale alla velocità con cui l’onda si propaga ed inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda: La teoria di Maxwell permise di calcolare la velocità di propagazione della radiazione elettromagnetica nel vuoto, che è pari a 2,998*10^8 ms^-1. Questo valore sorprendentemente corrispondeva con la velocità della luce nel vuoto: LA LUCE E’ UNA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA DI PARTICOLARE LUNGHEZZA D’ONDA Lo spettro elettromagnetico • insieme delle radiazioni caratterizzate da tutte le possibili lunghezze d’onda, classificate secondo l’ordine crescente o decrescente della lunghezza d’onda o della frequenza • Insieme continuo, senza limiti superiori o inferiori, e viene convenzionalmente suddiviso in regioni spettrali • Insieme delle radiazioni elettromagnetiche percepibili dall’occhio umano, prende il nome di luce visibile e costituisce una piccolissima porzione dello spettro elettromagnetico Noi percepiamo ciascuna lunghezza d’onda all’interno di tale intervallo, detto SPETTRO VISIBILE, come un colore diverso Le onde elettromagnetiche trasportano energia. L’energia portata da ciascuna radiazione è inversamente proporzionale alla sua lunghezza d’onda. Ciò significa che la luce rossa è ad esempio meno energetica di quella blu La radiazione elettromagnetica Per spiegare i fenomeni relativi alla radiazione elettromagnetica occorre assumere che essa abbia un comportamento duale: ondulatorio e corpuscolare RIFRAZIONE: è il fenomeno per cui un’onda subisce una deviazione rispetto alla sua direzione iniziale quando attraversa la superficie di separazione tra due sostanze in cui viaggia a velocità diversa DIFFRAZIONE: è il fenomeno per cui quando un’onda incontra un’apertura o un ostacolo avente dimensione dello stesso ordine di grandezza della sua lunghezza d’onda, il fronte d’onda si incurva intorno ad essa. INTERFERENZA: diffrazione della luce attraverso due fessure separate da una distanza comparabile alla sua lunghezza d’onda, produce un fenomeno detto interferenza. Essa è dovuta alla sovrapposizione, in un punto dello spazio di due o più onde. Può essere costruttiva (onde in fase) o distruttiva (onde fuori fase) L’energia trasportata dalla radiazione elettromagnetica è in grado di interagire con a materia in diversi modi: Ciamician fu il primo a dimostrare come la luce è in grado di interagire con la materia Modello atomico di Rutherford Rutherford aveva dimostrato che l'atomo era costituito da un nucleo carico positivamente ed era circondato da elettroni carichi negativamente. Non era stato chiarito CHE COSA FANNO gli ELETTRONI: Se gli elettroni fossero stati FERMI, sarebbero stati attratti dal nucleo con immediata disintegrazione dell'atomo. Se gli elettroni fossero stati dotati di una VELOCITA' ENORME, avrebbero potuto evitare tale attrazione, ma restava un problema: in opportune condizioni, sono in grado di emettere e assorbire radiazione elettromagnetica secondo modalità che il modello planetario di Rutherford non era in grado di giustificare. Il modello atomico di Rutherford si basa sulla fisica classica, infatti secondo Rutherford quando l'elettrone è vicino al nucleo ruota molto velocemente per equilibrare la forte forza di attrazione elettrone-nucleo; quando l'elettrone è lontano dal nucleo la sua velocità di rotazione diminuisce per non allontanarsi dall'atomo. (Secondo Rutherford sono consentite tutte le orbite) Secondo Rutherford sull'elettrone agiscono due forze: la forza centripeta e la forza centrifuga. • forza centripeta è la forza di attrazione nucleo-elettrone data dalla legge di Coulomb; • forza centrifuga è dovuta alla velocità dell'elettrone che percorre un'orbita circolare. Lo due forze devono essere uguali e opposte affinché l’elettrone non cada sul nucleo. Il modello atomico di Rutherford non riusciva a spiegare tutte le leggi della fisica classica, in particolare modo la legge sull'elettromagnetismo; secondo la quale una particella carica (in questo caso l'elettrone) in moto circolare soggetta a una forza di attrazione (nucleo- elettrone) dovrebbe perdere energia sotto forma di radiazione elettromagnetica e cadere sul nucleo seguendo una traiettoria a spirale, l'atomo finirebbe per autodistruggersi. Modello atomico di Bohr Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr propose una teoria che combinava il modello planetario di Rutherford con un postulato che poneva delle limitazioni ai valori di energia posseduta da un elettrone in un atomo. Bohr introdusse nel modello atomico planetario il concetto di quantizzazione dell'energia formulato pochi anni prima (1900) da Max Planck. Bohr ipotizzò che l'elettrone potesse percorrere solo certe orbite o livelli energetici in cui è stabile. L'orbita e l'energia dell'elettrone nell'atomo sono quantizzate Secondo Bohr l'elettrone dell'atomo d'idrogeno può trovarsi solo su determinate orbite, che corrispondono ad altrettanti livelli energetici. Tali orbite sono disposte intorno al nucleo concentricamente e i raggi di tali orbite possono assumere solo determinati valori. Questa teoria dimostra anche gli spettri di emissione ed assorbimento Il valore negativo dell’energia deriva dalla convenzione di porre a zero l’energia potenziale dell’elettrone a distanza infinita A questi valori di energia corrispondono orbite sferiche, dette STATI STAZIONARI, nelle quali gli elettroni si muovono senza emettere energia. Altri valori di E e di r non esistono nell’atomo di Bohr L’elettrone dell’atomo di idrogeno si trova nell’orbita ad energia minore, n=1, che corrisponde allo STATO FONDAMENTALE dell’idrogeno. Quindi i livelli energetici con n>1 sono detti STATI ECCITATI dell’idrogeno L’atomo è in grado di emettere o assorbire energia solo quando si sposta da un’orbita stazionaria all’altra; il passaggio di un elettrone da un’orbita all’altra si dice TRANSIZIONE ELETTRONICA L’energia viene ceduta o assorbita come radiazione elettromagnetica, sotto forma di FOTONE Quando avviene il passaggio da un’orbita più esterna a una più interna, l’energia viene ceduta: emissione di fotoni Quando avviene il passaggio da un’orbita più interna a una più esterna, l’energia viene acquistata: assorbimento fotoni Spiegazione degli spettri a righe: la radiazione emessa, avendo una frequenza determinata dalla differenza di energia tra i due livelli energetici, è rigorosamente monocromatica e apparirà come una riga sullo spettroscopio Nella teoria di Bohr il numero quantico principale n non ha nessun significato fisico La teoria quantomeccanica Nel 1924 il fisico Louis De Broglie, avanzò la sconvolgente ipotesi che non solo l’energia (come radiazione elettromagnetica) ma anche la materia possedesse una natura duale: corpuscolare e ondulatoria In questo modo, ad ogni particella materiale veniva associata una lunghezza d’’onda, il cui valore è dato dalla relazione: Anche ai corpi macroscopici è associata una lunghezza d’onda di dimensioni infinitesime (motivo per cui non riusciamo ad osservarne il comportamento ondulatorio) Lambda è tanto più piccola quanto più grande è la massa e la velocità della particella, quindi fenomeni di carattere ondulatorio si possono realmente osservare solo con fasci di particelle atomiche o subatomiche Nel 1925 Davisson e Germer dimostrarono sperimentalmente la teoria di De Broglie utilizzando un cristallo di Nichel che agisce come reticolo capace di diffrangere le onde; si dimostra quindi che l’elettrone, dotato di massa, può avere un comportamento ondulatorio Nel 1926, l’equazione di Schrödinger dimostra matematicamente il moto di una qualsiasi particella in un campo di forza, che dipende da tre variabili: n, m, l. Questa equazione è alla base della meccanica quantistica o ondulatoria Le diverse funzioni d’onda, che risultano dall’equazione di S, indipendenti dal tempo ergono chiamate ORBITALI Il presupposto da cui parte S è la descrizione del moto dell’elettrone come un’onda stazionaria, che non si propaga ma rimane sempre nella stessa zona di spazio Il sistema viene approssimato con il modello detto della “particella nella scatola”, in cui una particella di massa m si trova confinata fra due pareti rigide distanti una lunghezza L In queste condizioni, la particella-onda può assumere solo alcuni valori di lunghezze d’onda (in base alle dimensioni della scatola) e la forma matematica che descrive il moto è quella di un’onda stazionaria Analogia corda di chitarra: le vibrazioni possono generare solo determinate note aventi una certa lunghezza d’onda ben precisa e non valori qualsiasi Gli orbitali s (l = 0) hanno sempre m = 0 e possiedono una forma sferica Ordine di riempimento degli orbitali L’energia non dipende solo dal numero quantico principale, ma anche da quello secondario, perciò l’ordine degli orbitali non coincide con l’ordine crescente del numero qauntico principale e la successione può essere stabilita con la regola della diagonale. Numero quantico di spin ms È associato alla direzione di rotazione dell’elettrone attorno al proprio asse e può avere valore +1/2 e -1/2 (Il valore s definisce la velocità di rotazione) Atomi monelettronici e atomi polielettronici Gli atomi mono elettronici sono atomi in cui troviamo un solo elettrone e un nucleo, parliamo quindi dell’idrogeno, He+, Li2+, C5+, … Negli atomi mono elettronici, a parità di n, l’energia dello stato quantico diminuisce all’aumentare della carica nucleare Z, come pure diminuisce la distanza media dell’elettrone dal nucleo Gli atomi polielettronici sono atomi che possiedono più di un elettrone. Ogni elettrone è sottoposto all’azione attrattiva del nucleo e a quella repulsiva degli altri elettroni Principio di esclusione di Pauli Nel 1925 il fisico tedesco Wolfgang Pauli formulò il principio noto come principio di esclusione, che permise di descrivere correttamente la distribuzione degli elettroni nei diversi orbitali. Il PRINCIPIO DI ESCLUSIONE DI PAULI afferma che: ogni orbitale non può contenere più di due elettroni, i quali si differenziano per il valore di un quarto numero quantico, il numero quantico di spin (+1/2, -1/2). Con una formulazione alternativa, ma equivalente diremo: il principio di esclusione di Pauli afferma che in un atomo non possono esistere 2 elettroni con tutti e quattro i numeri quantici uguali. In altre parole ogni combinazione dei quattro numeri quantici individua uno ed uno solo elettrone. Principio di massima molteplicità di Hund Gli elettroni si dispongono negli orbitali degeneri uno per orbitale con spin parallelo fino a semisaturarli tutti e, successivamente, li saturano seguendo il principio di esclusione di Pauli. Configurazione elettronica L’insieme degli n elettroni di un atomo viene descritto da una funzione d’onda complessiva data dal prodotto delle n funzioni monoelettriche. Questa funzione d’onda complessiva è detta CONFIGURAZIONE ELETTRONICA Ad ogni configurazione elettronica corrisponde un’energia totale, approssimativamente uguale alla somma delle energie dei singoli orbitali monelettrici considerati La configurazione relativa alla situazione di minima energia di un atomo è chiamata CONFIGURAZIONE ELETTRONICA FONDAMENTALE Principio dell’AUFBAU (costruzione progressiva): La configurazione elettronica fondamentale di un elemento può essere costruita inserendo uno a uno gli elettroni negli orbitali di energia via via crescente, seguendo questo ordine di riempimento: 1s —> 2s —> 2p —> 3s —> 3p —> 4s —> 3d —> 4p —> 5s —> 4d —> 5p —> 6s —> 4f —> 5d —> 6p —> 7s —> 5d… Il riempimento degli orbitali segue tre regole: 1. Principio della minima energia: in un atomo ogni elettrone occupa l’orbitale disponibile a più bassa energia 2. Principio di esclusione di Pauli: in un atomo non può esistere più di un elettrone definito da una certa quaterna di numeri quantici (differiscono almeno per ms) 3. Regola di Hund: all’interno di un gruppo di orbitali aventi gli stessi valori di n e l (stessa energia e stessa forma), gli elettroni tendono a distribuirsi in orbitali diversi occupandone il maggior numero con spin paralleli Le configurazioni elettroniche dei vari elementi sono una funzione periodica del numero attico Z. Gli elementi che appartengono allo stesso gruppo nella tavola periodica hanno la stessa configurazione elettronica esterna. A questa periodicità fa riscontro una periodicità nelle proprietà fisiche e chimiche dei vari elementi. Le proprietà degli elementi chimici dipendono in sostanza dagli elettroni più esterni (elettroni di valenza) e da quanto questi sono legati al nucleo Proprietà magnetiche degli atomi Se l'atomo ha elettroni spaiati con spin paralleli, possiede un momento magnetico permanente, proporzionale al numero di elettroni spaiati. L'atomo viene attratto verso un campo magnetico applicato dall'esterno. Tali atomi si dicono paramagnetici (ad es. H, N, Na, 0, Cr, Fe...). Se l'atomo ha tutti gli elettroni accoppiati con spin antiparalleli, ha un comportamento opposto: non genera di per sé un campo magnetico, ma la presenza di un campo magnetico esterno induce un campo magnetico indotto che si oppone a quello esterno. Tali atomi si dicono diamagnetici (ad es. He, Be, Na+, ...) e sono quindi respinti da un campo magnetico applicato. Tavola periodica Gruppi: gli elementi appartenenti allo stesso gruppo hanno configurazione elettronica esterna simile (il numero quantico principale n aumenta, gli orbitali occupati hanno lo stesso l, quindi stessa forma Periodi: gli elementi che si trovano lungo lo stesso periodo hanno gli elettroni più esterni con lo stesso numero quantico principale n (stesso livello energetico) LUNGO UN PERIODO Spostandosi lungo un periodo, da sinistra verso destra, il numero atomico Z, e quindi la carica nucleare, aumenta costantemente. La carica nucleare effettiva, Zeff, "sentita" dagli elettroni di valenza (Zeff = Z - S, dove S è la costante di schermo) aumenta. Li (Z = 3) 1s^2 2s^1 Be (Z = 4) 1s^2 2s^2. Be (Z = 5) 1s^2 2s^2 2p^1 Zeff(2s) ~ +1.3 Zeff (2s) ~ +1.9. Zeff (2p) ~ +2.6 L'effetto schermante degli elettroni aggiunti nello stesso guscio (stesso n) è minimo, perciò lungo il periodo: • La carica nucleare effettiva cresce regolarmente • Gli elettroni di valenza sono legati in modo sempre più stretto (l'energia degli orbitali diminuisce progressivamente) • Gli atomi vanno incontro ad una contrazione cioè il raggio atomico diminuisce Affinità elettronica È l’energia in gioco nella formazione di uno ione negativo da un atomo neutro ed isolato (misura della tendenza di un atomo isolato ad acquistare un elettrone). Alcuni atomi tendono spontaneamente ad acquistare un elettrone formando un anione, in questi casi il valore di AE è negativo (nel processo si libera energia, esotermico) Altri atomi non tendono spontaneamente ad acquistare un elettrone ma possono essere costretti a farlo somministrando energia; in questi casi il valore di AE è positivo (nel processo viene assorbita energia, endotermico) L’andamento nella tavola è analogo a quello della EI, ma è meno regolare poichè AE è molto sensibile anche da altri fattori quali le repulsioni interelettroniche. L’elemento con l’AE maggiore (più negativa) è il cloro Quindi più è grande l’attrazione fra un atomo e l’elettrone aggiunto e più sarà grande l’affinità elettronica: • Elementi del I gruppo: AE < 0, acquistando un elettrone riempiono l’orbitale s e perciò è un processo spontaneo • Elementi del II gruppo: AE > 0, la loro configurazione è già abbastanza stabile quindi non è un processo spontaneo • Azoto: AE ≈ 0, configurazione 2s^2 2p^3 quindi è processo non spontaneo • Elementi del VII gruppo: AE < 0, processo molto spontaneo • Gas nobili: AE > 0, processo non spontaneo Si può aggiungere più di elettrone ad un atomo però solo l’affinità elettronica relativa al primo elettrone è negativa, in altre parole, l’aggiunta di un elettrone ad uno ione mono negativo costa sempre energia REGOLA DELL'OTTETTO: Gli elementi che possiedono 8 elettroni nello strato di valenza (si dice che hanno configurazione otteziale o che hanno raggiunto l'ottetto) risultano particolarmente stabili, inerti, nel senso che manifestano pochissima tendenza a reagire con altri elementi chimici. A questo gruppo appartengono tutti i gas nobili (che infatti sono detti anche gas inerti, proprio a motivo della loro scarsa reattività) Gli altri elementi che possiedono configurazioni elettroniche simili a quella dei gas nobili tendono a perdere o ad acquistare elettroni per raggiungere tale configurazione particolarmente stabile (configurazione otteziale o ottetto). Molte reazioni chimiche o la formazione di cationi o anioni, possono essere spiegate proprio in virtù della tendenza di molti elementi ad acquisire la configurazione ad 8 elettroni superficiali dei gas nobili (regola dell'ottetto). Gli atomi utilizzano prevalentemente gli elettroni del loro livello energetico più esterno (elettroni superficiali o elettroni di valenza) per interagire e legarsi tra loro. Il comportamento chimico di un atomo dipende dal numero e dalla disposizione degli elettroni dell'ultimo livello energetico occupato. Per capire la reattività di un atomo è dunque sufficiente conoscere la sua configurazione elettronica esterna o superficiale o configurazione dello strato di valenza. Atomi di elementi diversi che presentano la medesima configurazione elettronica superficiale (il medesimo numero di elettroni sul loro ultimo livello) manifestano caratteristiche chimiche simili. Elettronegatività L’elettronegatività è la tendenza di un atomo ad attrarre su di sè gli elettroni di legame • scala di elettronegatività di Pauling: è definita come differenza di elettronegatività tra due atomi • scala di elettronegatività di Mulliken: è definita dalla differenza tra EI e AE diviso due Gli elementi a sinistra (metalli) che hanno bassa EI e bassa AE sono poco elettronegativi, mentre gli elementi a destra (non metalli) che hanno EI e AE elevate e negative sono molto elettronegativi In generale, l’elettronegatività aumenta da sinistra a destra lungo un periodo e diminuisce scendendo lungo un gruppo NUMERO DI OSSIDAZIONE: Rappresenta la carica che formalmente un atomo acquisterebbe se gli elettroni di legame venissero attribuiti all’atomo più elettronegativo nei composti covalenti. Nei composti ionici il numero di ossidazione dell’atomo coincide cin valore e carica con la sua carica ionica. Si definisce numero di ossidazione o stato di ossidazione la carica, reale o formale, che acquista un atomo quando si assegnano convenzionalmente gli elettroni di legame all'atomo più elettronegativo. La carica è reale nei composti ionici ed in tal caso coincide con il numero di cariche portate dallo ione. La carica è formale nei composti covalenti. Il numero di ossidazione si scrive sopra il simbolo chimico sotto forma di numero relativo Ciascun elemento chimico può presentare più di un numero di ossidazione, pertanto esistono alcune regole per l'attribuzione dei numeri di ossidazione: 1. il n.ox. delle sostanze elementari (H2, 02, Na, Cu etc) è sempre zero poiché ci troviamo di fronte ad atomi di uno stesso elemento, aventi perciò la stessa elettronegatività. 2. Il n.ox. di uno ione monoatomico è pari alla sua carica 3. L'idrogeno presenta sempre n.ox. +1 tranne che quando si lega direttamente con metalli più elettropositivi (idruri), in cui ha dunque n.ox. -1. 4. L'ossigeno ha sempre n.ox. -2 tranne quando forma un legame covalente puro con se stesso (perossidi -O-O-) dove presenta n.ox. -1. L'ossigeno ha n.ox. =+2 SOLO quando si lega con il fluoro (più elettronegativo). 5. In generale, il n.ox. più elevato di un elemento corrisponde al numero d'ordine del gruppo cui appartiene. Così, gli elementi del primo gruppo presentano n.ox. +1, quelli del secondo +2, quelli del terzo +3 e così via fino agli elementi del settimo gruppi che presentano come n.ox. più elevato +7 Le formule molecolari possono essere definite per tutte le sostanze gassose e per quelle allo stato solido o liquido che possiedono molecole ben definite. La formula molecolare specifica il numero di atomi di ciascun elemento presenti in una specie chimica molecolare. La regola da seguire per scrivere una formula molecolare è quella dell'elettroneutralità. I COMPOSTI IONICI sono costituiti da ANIONI e CATIONI tenuti insieme da forze di attrazione elettrostatica: in questo caso si parla di UNITÀ DI FORMULA. L'unità di formula di un composto ionico è il più piccolo insieme di ioni elettricamente neutro che ci dice in quale rapporto stechiometrico stanno fra loro anioni e cationi in quel composto. Nella realtà è impossibile trovare un'unica unità di formula per un composto ionico. 6. Il numero di ossidazione dei metalli del primo gruppo è sempre +1, quello dei metalli del secondo gruppo è sempre +2 7. In una specie chimica neutra la somma dei numeri di ossidazione di tutti gli atomi che la compongono deve sempre essere nulla 8. In uno ione poliatomico la somma dei numeri di ossidazione dei diversi atomi deve sempre essere paria alla carica totale dello ione Come si rappresentano le molecole? Eccezioni alle regole di nomenclatura: PEROSSIDI: ossidi che contengono due atomi di ossigeno legati tra loro, ciascuno dei quali ha numero di ossidazione -1 SUPEROSSIDI: composti formati da due atomi di ossigeno legati tra loro, ciascuno dei quali ha numero di ossidazione -1/2 IDRATI: composto che contiene nei suoi cristalli molecole di acqua debolmente legate. Se l’acqua viene rimossa si ottiene il composto anidro. Esempio CuSO4 * 5H2O —> solfato rameico pentaidrato CROMO: Il cromo può assumere numero di ossidazione +2, +3, +6: • Con il numero di ossidazione +2 si comporta come metallo formando un: ossido basico CrO, monossido di cromo (IUPAC) o ossido cromoso (tradiz.) • Con il numero di ossidazione +3 si comporta da metallo, ma anche da non metallo, formando un: ossido anfotero Cr2O3 triossido di dicromo (IUPAC) o ossido cromico (tradiz.) • Con il numero di ossidazione +6 si comporta da non metallo e forma di conseguenza un ossido acido (o anidride): ossido acido CrO3 triossido di cromo (IUPAC) o anidride cromica (tradiz.). E due ossoacidi: H2CrO4 acido cromico; H2 Cr2O7 acido dicromico MANGANESE: Il manganese può assumere numero di ossidazione: +2, +3, +4, +6, +7: • Con i numeri ossiazione +2 e +3 si comporta da metallo formando ossidi basici: MnO monossido di manganese (IUPAC) ossido manganoso (tradiz.); Mn2O3 triossido di dimanganese (IUPAC) ossido manganico (tradiz.); e idrossidi: Mn(OH)2 diidrossido di manganese (IUPAC) idrossido manganoso (tradiz.); Mn(OH)3 triidrossido di manganese (IUPAC) idrossido manganico (tradiz) • Con il numero di ossidazione +4 ha un comportamento anfotero: MnO2 diossido di manganese • Con i numeri di ossidazione +6 e +7 si comporta da non metallo e forma ossidi acidi (o anidridi): MnO3 triossido di manganese (IUPAC) anidride manganica (tradiz.); Mn2O7 eptaossido di dimanganese (IUPAC) anidride permanganica (tradiz.); e ossoacidi: H2MnO4 acido manganico; HMnO4 acido permanganico TIOCOMPOSTI: sono composti in cui uno o più atomi di ossigeno sono sostituiti da zolfo: prefisso numerico per numero di sostituzioni + TIO CIANURI: HCN è acido cianidrico e CN- è ione cianuro CIANATI: HCNO è acido cianico e CNO- è ione cianato SOLFOCIANURI: HSCN è acido solfocianidrico e SCN- è ione solfocianuro FERROCIANURI E FERRICIANURI: ione ferrocianuro Fe(CN)6 4- e ione ferricianuro Fe(CN)6 3- Esercizi nomenclatura
1) Calcolare il numero di ossidazione di tutti gli elementi nei seguenti composti:
a) NH3z
b) CO;
c) CaCl:
d) Na:SO4
e) PO}
f) KS
g) P20s
h) HCIO4
i) KNO»
j) co}
2) Scrivere il nome dei seguenti composti ed indicare il numero di ossidazione di tutti gli elementi:
a) KCIO
b) H3PO;
c) CaS
d) K2C03
e) K2$04
f) NaNO3
g) HCIO4
h) NHCI
i) Na.SO3
j) LINO;
k) Fe2S3
1) PCls
m) NaNO:
n) Cr($04)3
0) Na:CO3
p) K3As04
3) Scrivere la formula bruta dei seguenti composti ed indicare il numero di ossidazione di tutti gli
elementi:
a) carbonato di calcio
b) nitrato di bario
c) solfato di sodio
d) cloruro di alluminio
e) acido solforico
f) idrossido di calcio
g) ipoclorito di sodio
h) solfito di potassio
i) acido ortofosforico
j) acido nitroso
k) solfuro ferroso
1) perclorato di magnesio
m) fosfato di calcio
n) nitrato rameico
o) bicarbonato di sodio
p) acido solforoso
q) clorato di potassio
r) solfato ferrico
s) arseniato di sodio
Le reazioni di scambio, neutralizzazione e di dissociazione sono reazioni che avvengono senza trasferimento di elettroni, mentre le reazioni che avvengono con trasferimento di elettroni sono definite reazioni di OSSIDO- RIDUZIONE O REDOX, in cui alcune specie cambiano la propria struttura elettronica e numero di ossidazione. Reazioni ed equazioni chimiche Per reazione chimica si intende una trasformazione di una o più sostanze definite REAGENTI in una o più sostanze definite PRODOTTI. Per scrivere un’equazione chimica è necessario conoscere le formule chimiche di tutti i reagenti e di tutti i prodotti di reazione: aA + bB —> lL + mM con A e B reagenti, L e M prodotti, a,b,l,m coefficienti stechiometrici e la freccia indica che la reazione è avvenuta completamente I COEFFICIENTI STECHIOMETRICI sono numeri generalmente interi che indicano il numeri di atomi, molecole, ioni, ecc, di reagenti e prodotti che partecipano alla reazione. Rappresentano anche il numero di moli dei reagenti e dei prodotti BILANCIAMENTO DI UNA REAZIONE CHIMICA: l’equazione chimica ha un significato quantitativo solo quando viene bilanciata, cioè quando vengono posti davanti ai reagenti ed ai prodotti gli opportuni coefficienti stechiometrici: Nelle reazioni senza trasferimento di elettroni i coefficienti stechiometrici devono soddisfare i seguenti principi: • Principio di conservazione della massa: il numero totale degli a atomi di tutti gli elementi presenti nei prodotti di reazione deve essere uguale al numero totale degli atomi di tutti gli elementi presenti nei reagenti • Principio di conservazione della carica: la somma algebrica delle cariche degli ioni presenti nei reagenti deve essere uguale alla somma algebrica delle cariche degli ioni presenti nei prodotti Nelle ossido-riduzioni i coefficienti stechiometrici devono soddisfare: • Principio di conservazione della massa • Principio di conservazione della carica • Bilanciamento elettronico: il numero degli elettroni ceduti dalla specie riducente deve essere uguale al numero di elettroni acquistati dalla specie ossidante. Il bilanciamento elettronico viene effettuato attraverso: la determinazione dei numeri di ossidazione di tutte le specie, l’individuazione di tutte le specie che cambiano il numero di ossidazione, il riconoscimento delle due semi-reazioni e la scelta degli opportuni coefficienti stechiometrici ELETTROLITI Tutte le sostanze che sciogliendosi in acqua producono ioni si chiamano elettroliti e la reazione che porta alla formazione di ioni viene anche detta di reazione di ionizzazione o dissociazione. Un esempio classico è la dissoluzione in acqua del cloruro di sodio, che produce ioni Na+ e ioni CI-. Il processo consiste nell'interazione delle molecole di acqua con gli ioni Na+ e Cl- alla superficie del reticolo cristallino del solido: questa interazione fa sì che gli ioni preferiscano abbandonare il reticolo cristallino per poter essere circondati dalle molecole di acqua e ciò provoca la dissociazione del solido, rappresentata dall'equazione: NaCI(s) → Na+(aq) + Cl-(aq) dissociato al 100% Definizione di elettrolita: composto le cui soluzioni acquose conducono l'elettricità Se si introducono in una soluzione ionica due elettrodi, collegati ad un generatore di corrente continua, il movimento degli ioni non è più casuale ma si genera un movimento dei cationi verso l'elettrodo negativo (anodo) e degli anioni verso quello positivo (catodo). Si registra il passaggio di corrente elettrica. Dissoluzione di un soluto in acqua: Quando il composto ionico si dissolve, libera in acqua gli ioni di cui è composto. Il processo di dissoluzione comporta la dissociazione negli ioni del composto ionico. Gli ioni agiscono come trasportatori di carica. I composti ionici che in acqua danno origine a ioni sono detti ELETTROLITI, quando la loro dissociazione è COMPLETA sono detti elettroliti FORTI I composti molecolari che in acqua non danno origine a ioni sono detti NON ELETTROLITI, questi composti non subiscono dissociazione ionica. • Composti che in soluzione sono completamente dissociati: ELETTROLITI FORTI (sali, acidi e basi forti) freccia singola • Composti che in soluzione sono parzialmente dissociati: ELETTROLITI DEBOLI (acidi e basi deboli) doppia freccia • Composti che in soluzione non sono dissociati: NON ELETTROLITI (glucosio, amido, alcol etilico) Reazioni chimiche in aula: Come faccio a prevedere quali saranno i prodotti di una reazione? Può essere utile classificare le reazioni in due gruppi: • Reazioni di doppio scambio: si verificano quando due composti si scambiano gli elementi che li costituiscono per formare due nuovi composti. Possono portare alla formazione di precipitati. AB + CD —> AD + BC • Reazioni di scambio singolo o spostamento: possono portare alla formazione di gas o di acqua (reazioni di neutralizzazione) REAZIONI DI PRECIPITAZIONE: quando uno dei prodotti non è solubile nel solvente di reazione e precipita come solido AX(aq) + BY(aq) —> BX(s) + AY(aq). BX è insolubile e forma un precipitato quando nella stessa soluzione si trovano B+ e X- Esempio: 2KI(aq) + Pb(NO3)2(aq) —> 2KNO3(aq) + PbI2(s) si forma un precipitato giallo di ioduro di piombo (II) Le reazioni tra composti ionici in soluzione acquosa Quando si mescolano due soluzioni si può avere la formazione di un solido (o precipitato): I composti ionici sono elettroliti forti, perciò in soluzione acquosa saranno completamente dissociati negli ioni costituenti: Si noti come gli ioni K+ e NO3- appaiano in forma identica sia tra i reagenti sia tra i prodotti. Questi ioni vengono definiti IONI SPETTATORI e si possono omettere nella scrittura della reazione Equazione ionica netta: Un’equazione ionica netta comprende solamente le molecole o gli ioni coinvolti direttamente nella reazione. Solubili: s > 0,1 mol/L. Insolubili: s < 0,01 mol/L. Parzialmente solubili ed eccezioni: 0,1 mol/L < s < 0,1 mol/L 1. Quasi tutti i sali dei metalli alcalini e di ammonio sono solubili. 2. Quasi tutti i nitrati, acetati e perclorati sono solubili. 3. Quasi tutti i sali di argento, piombo e mercurio(1) sono insolubili. 4. Quasi tutti i cloruri, bromuri e ioduri sono solubili. 5. Quasi tutti i carbonati, cromati, solfuri, ossidi, fosfati e idrossidi sono insolubili; fanno eccezione gli idrossidi di Ba, Ca e Sr, che sono leggermente solubili. 6. Quasi tutti i solfati sono solubili; fanno eccezione il solfato di calcio e il solfato di bario, che sono insolubili. 7. I cromati dei metalli alcalini sono solubili, quelli con altri metalli sono tutti insolubili. La temperatura del nostro pianeta è cresciuta in media di un grado da secondo dopoguerra ad oggi. Il velocizzarsi senza precedenti di questo processo coinciso con l’avvento dell’era industriale e con il crescere delle emissioni inquinanti che hanno prodotto l’effetto serra Circa un quarto di CO2 presente nell’atmosfera va a finire in mari ed oceani. A contatto con l’acqua reagisce chimicamente, portando alla formazione di acido carbonico. Come conseguenza dell’acidificazione degli oceani, tutta la fauna marina viene messa in pericolo REAZIONI CON SVILUPPO DI GAS Quando il bicarbonato di sodio acquoso è mescolato con l’acido cloridrico acquoso, nella miscela di reazione si sviluppano bolle di CO2 NaHCO3(aq) + HCl(aq) —> H2O(l) + NaCl(aq) + CO2(g) Piogge acide: Il carbonato di calcio, CaCO3, abbondante in natura come calcare, marmi, alcune arenarie, perle, coralli, conchiglie e altri gusci di molluschi La pioggia diviene acida a causa di alcuni gas che si combinano con l’acqua formando vari acidi. La pioggia è di solito leggermente acida, a causa del diossido di carbonio disciolto in acqua e per la presenza di una piccola quantità di cloro (proveniente dal sale marino). Questo porta a un valore del pH della pioggia intorno a 5 Prima della rivoluzione industriale il valore tipico del pH della pioggia era tra 5 e 6, per cui il termine pioggia acida è utilizzato per le piogge con un pH inferiore a 5 L’acidificazione dell’oceano: Altre reazioni di scambio o spostamento con formazione di gas: • Solfito + acido —> sale + SO2 + acqua • Solfuro + acido —> sale + H2S • Sale di ammonio + base forte —> sale + NH3 + acqua COMPOSTI DI COORDINAZIONE: acidi e basi Il concetto di acido e base secondo Lewis Un acido è una sostanza che può ACCETTARE una coppia di elettroni da un altro atomo per formare un nuovo legame Una base è una sostanza che può DONARE una coppia di elettroni ad un altro atomo per formare un legame A (acido) + :B (base) —> A:B (addotto) Il prodotto è spesso chiamato addotto acido-base. Questo tipo di legame chimico è anche chiamato legame di coordinazione I composti di coordinazione o complessi sono composti in cui un atomo con un numero di ossidazione positivo, più comunemente si tratta di uno ione di un metallo di transizione, è circondato da ioni negativi o molecole neutre in numero superiore al suo numero di ossidazione. Gli ioni negativi o le molecole neutre che circondano o sono coordinate all'atomo centrale sono dette leganti e il loro numero è il numero di coordinazione. • I composti di coordinazione sono formati per reazione acido-base (di Lewis) fra un catione metallico e molecole neutre o anioni mono o poliatomici. • Il metallo agisce da acido (di Lewis) accettando una coppia di elettroni non condivisa che è ceduta dalle altre specie che agiscono come basi di Lewis e si chiamano leganti o ligandi Una definizione più rigorosa di complesso può essere: "Un complesso è un composto chimico in cui un atomo lega un numero di altre specie chimiche superiore al suo numero di ossidazione" Un acido di Lewis deve avere orbitali vuoti per ospitare una coppia di elettroni: con questa definizione rientrano fra gli acidi di L. anche molti cationi metallici e molecole. AgCI + 2NH3 → [Ag(NH3)2]Cl In questa reazione, l'acido di Lewis è lo ione Agt, mentre la base di Lewis è NH3. L'ammoniaca è una base di L. in quanto possiede una coppia di elettroni non condivisa che può DONARE. Tipi di LEGANTI • Monodentati: donano una singola coppia di elettroni (F-; CN-, NH3) • Bidentati (o polidentati): hanno due (o più) atomi, ognuno dei quali può simultaneamente formare legami con lo stesso centro metallico. Sono detti anche leganti chelanti La carica del complesso risultante è determinata dalla carica del metallo e la somma delle cariche dei leganti. Ad es. se il metallo è lo ione Pt2+, si possono avere i seguenti complessi dove i leganti sono molecole di ammoniaca o ioni cloruro: [Pt(NH3)4]2+ ; [Pt(NH3)3 C|]+ ; [Pt(NH3)2 Cl2] ; [Pt(NH3)Cl3]- ; [PtCl4]2- Lo stato di ossidazione non cambia Si può prevedere il numero di Coordinazione? Si possono fare alcune considerazioni generali: Il numero di coordinazione dipende da: • dimensioni dell'atomo centrale • interazioni steriche ed elettrostatiche tra i leganti • fattori elettronici (configurazione elettronica del metallo centrale) FORMAZIONE DI UNO IONE COMPLESSO Reazione dei sali del rame: 1. CuSO4 (aq) +2NH3 (aq) + 2H20 (l) → Cu(OH)2 (s) + (NH4)2S04 (aq) 2. Cu(OH)2 (s) + 4NH3 (aq) —>. [Cu(NH3)4](OH)2 (aq) Formazione di complessi dell'argento: AgCI + 2NH3 → [Ag(NH3)2]CI Formazione di complessi dell'alluminio: Al(OH)3 + NaOH → Na[Al(OH)4] Formazione di complessi del ferro: 4Fe(NO3)3 + 3K4[Fe(CN)6] —> Fe4[Fe(CN)6]3 + 12KNO3 Reazione dei sali del ferro: Esacianoferrato (lI) di Ferro (III) o Ferrocianuro Ferrico Fe4[Fe(CN)6]3 [Fe(CN)6]4- ione esacianoferrato (Il) La reazione viene utilizzata nei colorifici per produrre la base del colore detto Blu di Prussia. + 6 2 - +7 +4 3MmO4 + 4H + 7 2MmB4 + MmOz +2H20 ambiente ACIDO - e 7 -> +2e +4 +2 2t +62-2MOl + 350: + GHt > 2 Mm + 5504 + 3H20 ambiente ACIDO 7 1 +se -22 + 7 +4 2- +6 +6 2- O2MmOi + 583 + 20H < 2Mmp ++ H20 ambiente Basico4 S 4 T T te -ze +7 +4 2 Mmoj + 33 + Hel 2 MmOz + 3582 + 20H ambiente NEUTR - + 30 - Le Icez e let ↳ 22e > 20e- - ~ t I - Ch Ce geometria angolare , POLARE Ce I ce geometria lineare, apolare Xe F2-22e- SF434e Br0k - 26 er IFI molecola Il molecola F Xe F a sella O I a selle IE S POLARE B POLARE APOLARE El inmolecola lineare I F - a KHCO3 + (NH1)>COz = 4 , 78g 77 % di massa "va via" 2kHC03() 2(2(g) + K20(s) + H2O(e) mKHC 3 = X m(NH4)2 Co z = Y (NH4)2(03(s) CO2(g) + 2NH3(g) + Hz0(g) x + y = 4.78 g ... X + y = 4.78g XE ( 101 glmoet 16 glmoel mK20 = 4 ,789 - 3 . 68g = 1 . 10g nK20 = 1x101 g/mol (m K20 =E glmoe : 90 glmoe) o 48X = 1 , 10g x = 1 ,108 . 101 = 2 ,39 = X 48 Mot y = 4 ,78g - X = 4,78 - 2 . 39 = 2 , 489 = y Elettronegatività e polarità del legame: La polarità di un legame dipende dalla differenza di elettronegatività fra i due atomi legati. Un legame è tanto più polare quanto maggiore è la differenza di elettronegatività tra i due atomi La differenza di elettronegatività (∆x) fra gli atomi costituenti un legame dà un’informazione QUANTITATIVA per stabilire se un legame è covalente polare o covalente puro o un legame ionico ➢ Legame Covalente puro ∆x < 0.4 ➢ Legame Covalente polare 0.4 < ∆x <1.7-1.9 ➢ Legame ionico ∆x ≥ 1.9 Modelli di legame chimico Parametri che definiscono un legame: • L’energia di legame (kJ/mol o kcal/mol) è la quantità di energia che è necessario fornire a una mole di sostanza per rompere il legame fra i suoi atomi, cioè è l’energia che occorre impiegare per separare gli atomi contenuti nella molecola. Tanto maggiore è l’energia di legame, tanto più stabile è il composto,tanto più è forte il legame che si è instaurato tra gli atomi. • La lunghezza di legame è definita come la distanza media (perché gli atomi sono in perenne vibrazione, ciascuno attorno ad una sua posizione centrale di equilibrio) che intercorre tra i nuclei di due atomi uniti da un legame. Le lunghezze di legame sono misurate in Angstrom o picometri. La lunghezza di legame aumenta all’aumentare delle dimensioni atomiche e al diminuire dell’energia di legame. In realtà, ogni ione tende a circondarsi del maggior numero possibile di ioni di carica opposta (si forma un reticolo) Legame ionico Il legame ionico è il legame che si realizza quando un atomo a bassa energia di ionizzazione si combina con un atomo ad elevata affinità elettronica. È il tipo più semplice di legame chimico ed è interpretabile in base alle leggi classiche dell’elettrostatica. ➢ Si assume un completo trasferimento di elettroni dall’atomo a bassa energia di ionizzazione all’atomo ad alta affinità elettronica. Il legame si produce come conseguenza dell’attrazione elettrostatica che si manifesta tra i due ioni di carica opposta che si formano. Un esempio classico di legame ionico si ha nella formazione del cloruro di sodio a partire dal Sodio e dal Cloro elementari. Il legame ionico, a differenza del legame covalente, non è direzionale. L'attrazione tra cariche di segno opposto, come sono cationi ed anioni, non si sviluppa solo in un'unica direzione, ma agisce uniformemente in tutte le direzioni con simmetria sferica, producendo aggregati ionici macroscopici strutturati in cui anioni e cationi si alternano in un reticolo ordinato. Nei composti ionici ogni catione risulta circondato da un certo numero di anioni e viceversa, formando uno sconfinato reticolato geometrico (reticolo cristallino), in cui ioni di carica opposta si alternano ordinatamente nelle tre direzioni dello spazio. Tale disposizione ordinata è detta cristallina, poiché genera macroscopicamente un cristallo che conserva la geometria della sottostante struttura atomica. Nel reticolo cristallino uno ione attrae tutti gli ioni di segno opposto: perciò il legame ionico è legame non direzionale Proprietà dei composti ionici: • Sono sostanze solide cristalline, dure ma fragili • Hanno un punto di fusione (e di ebollizione) molto alto • Generalmente sono solubili nei solventi polari e con un’alta costante dielettrica • Sono buoni conduttori allo stato fuso o in soluzione Energie in gioco nella formazione del legame ionico: 1° stadio: l’atomo X perde elettroni (si forma uno ione positivo) 2° stadio: l’atomo A acquista elettroni (si forma uno ione negativo) 3° stadio: lo ione positivo X+ e lo ione negativo A- si attraggono reciprocamente (si forma una coppia ionica) Energia reticolare L’energia reticolare può essere determinata sperimentalmente tramite un ciclo di Born-Haber, in cui il processo di formazione del legame ionico viene spezzato in una serie di fasi che trasformano i reagenti negli ioni gassosi nel solido L’energia reticolare di un solido ionico corrisponde all’energia che viene liberata nel processo di formazione del reticolo cristallino solido a partire dagli ioni isolati allo stato gassoso. Per convenzione, le energie assorbite hanno segno positivo, le energie cedute segno negativo L’energia reticolare, oltre che dal ciclo di Born-Haber, può essere calcolata mediante l’equazione di Born-Landè: La costante di Madelung (M) dipende solo dal tipo di reticolo La costante di Madelung è sempre > 1, l’energia di attrazione elettrostatica globale è di conseguenza sempre maggiore (in valore assoluto) nel reticolo rispetto alla singola coppia ionica. Questa energia, energia di Madelung, è la principale responsabile della stabilità dei cristalli delle sostanze ioniche. Se essa non ci fosse, esisterebbero solo coppie ioniche isolate. L’energia reticolare è data dalla combinazione di due termini opposti: la repulsione tra i gusci elettronici (energia di repulsione elettronica) e l’attrazione tra ioni di carica opposta (energia di Madelung). Quando idealmente gli ioni di carica opposta si avvicinano, l’energia reticolare diminuisce fino ad arrivare ad un valore minimo per una distanza tra gli ioni pari alla somma dei loro raggi ionici. Il numero di anioni che circonda un catione all’interno del reticolo cristallino è detto numero di coordinazione del catione. Il numero di cationi che circonda un anione all’interno del reticolo cristallino è detto numero di coordinazione dell’anione. Nei composti ionici, la formula chimica non descrive una struttura molecolare autonoma, ma indica il rapporto numerico esistente nel cristallo tra ioni positivi e negativi (formula minima). Allo stesso modo è più corretto, riferendosi ai composti ionici, parlare di massa (peso) formula piuttosto che di massa (peso) molecolare. Es: Fluorite. La formula CaF2 indica dunque che nel reticolo cristallino del fluoruro di calcio, il rapporto tra ioni calcio e ioni fluoro è 2:1. Questi composti sono detti semiconduttori ed hanno bassa conducibilità elettrica a temperatura ambiente, che aumenta fortemente all’aumentare della temperatura. Le proprietà di semiconduttori o di isolanti dipendono quindi dall’intervallo (gap) tra la banda di valenza e quella di conducibilità La separazione fra le diverse bande è tanto minore quanto minore è la differenza di energia fra gli orbitali atomici dei singoli atomi e quanto minore è la distanza fra atomi adiacenti nel cristallo. Poiché gli elettroni interni restano praticamente ancorati ai loro ioni, sono le bande originate dagli elettroni di valenza che determinano le proprietà fisiche dei solidi. A parità di distanza interatomica i livelli più profondi si separano meno dei livelli più esterni in quanto le loro funzioni d’onda atomiche sono più localizzate e quindi la loro sovrapposizione è minore. Quando la distanza interatomica decresce oltre un certo limite le bande derivanti da orbitali atomici distinti cominciano a sovrapporsi. Conduttori, semiconduttori e isolanti Nei conduttori (tutti i metalli) la banda di valenza e quella di conducibilità sono praticamente sovrapposte e gli elettroni saltano facilmente dall’una all’altra. Negli isolanti la differenza di energia tra le bande è grande, per cui gli elettroni non possono saltare dall’una all’altra. In alcuni casi (es. Si, Ge) la distanza in energia tra la banda di valenza e quella di conducibilità è sufficientemente piccola da permettere, in opportune condizioni, il salto di elettroni dall’una all’altra. Struttura del legame metallico Il modello di legame giustifica una struttura costituita da un denso reticolato di ioni positivi molto vicini tra loro secondo il principio del massimo impaccamento. Il numero di atomi adiacenti a ciascun atomo è detto numero di coordinazione (N.C.) e per i metalli è molto elevato, tipicamente 8 o 12. Per questo motivo la densità dei metalli è generalmente superiore a quella degli altri materiali. La disposizione degli atomi metallici all’interno del reticolo cristallino può essere di tipo compatto o di tipo non-compatto. Le disposizioni di tipo compatto sono le più frequenti (90%) e si basano su stratificazioni di atomi con distribuzione esagonale. Le disposizioni di tipo non-compatto si basano su stratificazioni di atomi con distribuzione quadrata Le sfere del secondo strato giacciono nelle depressioni create dal primo strato, mentre le sfere del terzo strato giacciono nelle depressioni create dal secondo strato in modo da trovarsi esattamente sopra le sfere del primo strato Condizioni per la formazione di un composto metallico • Gli atomi devono cedere facilmente elettroni: elementi con bassa energia di ionizzazione • L’interazione degli atomi deve portare ad una banda parzialmente piena: il numero degli elettroni di valenza deve essere inferiore al numero degli orbitali dello strato più esterno • La struttura cristallina deve essere molto compatta: alto numero di coordinazione Generalmente le forze di coesione nei metalli aumentano al crescere del numero di elettroni di valenza (da Li a Be; da Na a Al; ecc.) e diminuiscono, a parità di elettroni di valenza, all’aumentare delle dimensioni atomiche (da Li a Cs, ecc.) Legame covalente Configurazione di Lewis degli elementi Lewis sviluppò un particolare simbolismo per rappresentare le configurazioni elettroniche esterne degli atomi e giustificare la formazione di ioni. Gli elettroni di valenza sono rappresentati da punti disposti attorno al simbolo dell’atomo. Tutti gli elementi che appartengono ad un medesimo gruppo chimico, possedendo la medesima configurazione elettronica superficiale, presentano la stessa struttura di Lewis. Teoria di Lewis del legame covalente I due elettroni che formano la coppia condivisa tra gli atomi devono appartenere in origine, ciascuno ad uno dei due atomi ed occupare da soli un orbitale atomico (elettroni spaiati) • Ogni coppia di elettroni condivisi rappresenta un singolo legame covalente • Il numero di legami che un atomo può formare dipende dal suo numero di elettroni spaiati, cioè dalla sua configurazione elettronica • Due atomi possono mettere in compartecipazione al massimo tre coppie di elettroni; si parla quindi di: - legame singolo (una coppia condivisa); - legame doppio (due coppie condivise); - legame triplo (tre coppie condivise). Normalmente ogni atomo tende ad utilizzare nei legami tutti i suoi elettroni spaiati per ottenere la massima stabilizzazione energetica. Quando due o più atomi si legano fra loro con legami covalenti, ciascuno di essi, mettendo in comune gli elettroni, tende a realizzare una configurazione elettronica completa del tipo dei gas nobili, caratterizzata da un “ottetto” di elettroni esterni (regola dell’ottetto di Lewis). In realtà, questa regola è rispettata solo dagli elementi del II periodo, che hanno soltanto orbitali s e p (N, C, O, F); le eccezioni sono molto numerose. Ogni atomo di Cl ha un elettrone spaiato sull'ultimo orbitale p ed un’elevata affinità elettronica (forte tendenza ad acquistare un ulteriore elettrone) per raggiungere la configurazione stabile del gas nobile successivo (Ar). Possiamo pensare che entrambi i nuclei attirino fortemente l'elettrone spaiato dell'altro atomo senza riuscire a strapparlo. Il risultato di questa intensa attrazione incrociata è che i due elettroni spaiati vengono alla fine condivisi da entrambi gli atomi ed il doppietto elettronico funge da legame, finendo per appartenere ad entrambi gli atomi. I due atomi di cloro “condividono” una coppia di elettroni e tale “condivisione” costituisce il legame covalente. In questo modo ora i due elettroni non appartengono più all'uno o all'altro atomo, ma ruotano entrambi intorno all'intera struttura molecolare biatomica. Si dice che i due elettroni sono stati messi in comune o in compartecipazione. Ciascun nucleo "vede" ora intorno a se i 6 elettroni non condivisi più i 2 elettroni condivisi per un totale di 8 elettroni. La condivisione di una coppia di elettroni permette a ciascun atomo di cloro di raggiungere la configurazione stabile dell’ottetto. Il legame che si forma per condivisione di una coppia di elettroni è detto legame covalente semplice o singolo e può essere rappresentato mediante una barretta che unisce i due simboli chimici. Le coppie di elettroni superficiali che non vengono condivise sono dette coppie (o doppietti) di non-legame o coppie solitarie (Lone Pairs). In seguito alla formazione di legami covalenti tra atomi possono avere origine: • entità definite e stabili, tutte caratterizzate dallo stesso rapporto fra gli atomi ed indipendenti l’una dall’altra (molecole) OPPURE • reticoli di atomi legati fra loro, estesi indefinitamente, caratterizzati da un preciso rapporto fra gli atomi (sostanze covalenti a struttura infinita) Parametri di legame: Lunghezza: la lunghezza di legame è solitamente misurata in Ǻngström (1 Ǻ = 10-10 m) o in picometri (1 pm = 10-12 m). Energia: l'energia di legame, misurata in Kcal/mol (o in kJ/mol), è l’energia che si libera quando due atomi allo stato gassoso passano da distanza infinita alla distanza di legame. Coincide con l'energia che è necessario fornire al sistema (allo stato gassoso) per rompere il legame, portando i due atomi a distanza infinita. L’energia di legame è una misura della “forza” di un legame chimico (maggiore è l’energia di legame, più “forte” è un legame) Angolo: l’angolo di legame è l’angolo interno che si genera tra i segmenti congiungenti il nucleo di un atomo centrale con quelli di altri due atomi legati ad esso Negli elementi dei gruppi 2, 13 e 14, promuovendo un elettrone dall’orbitale s ad un orbitale p si ottiene una configurazione elettronica eccitata che ha due elettroni spaiati in più rispetto alla configurazione fondamentale. Pur passando da una configurazione elettronica esterna più stabile ad una meno stabile, il carbonio dispone ora di 4 elettroni spaiati (contro i due precedenti) che può condividere formando 4 legami chimici. PROMOZIONE ELETTRONICA Consideriamo i composti fra l’idrogeno e gli elementi di vari gruppi • Per gli elementi dei gruppi da 15 a 17 il numero dei legami con l’idrogeno corrisponde realmente al numero di elettroni spaiati della configurazione elettronica fondamentale • Per il berillio, il boro e gli elementi del gruppo 14 il numero dei legami è uguale al numero di elettroni spaiati più due Consente ad un atomo di trasferire un elettrone da un orbitale superficiale saturo ad un orbitale superficiale vuoto. In questo modo un doppietto viene trasformato in due elettroni spaiati che, condivisi con altri atomi, possono essere utilizzati per formare due ulteriori legami chimici. E’ il caso del carbonio che, in quasi tutti i suoi composti promuove un elettrone dall’orbitale saturo 2s ad un orbitale 2p vuoto. Pur passando da una configurazione elettronica esterna più stabile ad una meno stabile, il carbonio dispone ora di 4 elettroni spaiati (contro i due precedenti) che può condividere formando 4 legami chimici (maggiore guadagno energetico). La promozione elettronica avviene quando la differenza di energia tra la configurazione elettronica di partenza e quella di arrivo è piccola. Eccezioni alla regola dell’ottetto: ottetto incompleto e ottetto espanso La regola per la quale ogni atomo legato deve avere non più di 8 elettroni superficiali (regola dell’ottetto) vale rigorosamente solo per gli elementi non metallici del secondo periodo chimico (C N O F) i quali, non possedendo orbitali d, non sono in grado di trasferirvi elettroni (promozione elettronica) per aumentare il numero dei loro legami. I primi elementi del secondo periodo possono avere meno di otto elettroni nel loro stato legato (4 per il Berillio e 6 per il Boro = ottetto incompleto). Es. BF3, BCl3, [B(OH)3] Gli elementi non metallici dei periodi superiori al secondo, S, P, Cl possono invece avere più di 8 elettroni superficiali (ottetto espanso) nel loro stato legato. Perché hanno orbitali d vuoti abbastanza vicini in energia: possono promuovere e- in tali orbitali ed aumentare il numero di e- spaiati per massimizzare il numero di legami formati. Es: quelli del gruppo 15, come il fosforo, possono avere 10 elettroni superficiali, mentre quelli del gruppo 16 come lo zolfo possono arrivare a 12 e quelli del gruppo 17, come il cloro ne possono avere 14. REGOLE PER RICAVARE LE FORMULE DI LEWIS 1. Si calcola il n° totale di e- = somma degli e- di valenza di tutti gli atomi + (-) carica ionica se il composto è un anione (catione) 2. Si determinano le disposizioni degli atomi nella molecola (connettività). L’atomo centrale è generalmente quello con affinità elettronica meno negativa. 3. Si pone una coppia di elettroni tra ogni coppia di atomi legati per formare un legame singolo. 4. Determinare gli elettroni residui da posizionare. Sottrarre gli elettroni di legame dagli elettroni di valenza, ottenendo in tal modo il numero di elettroni che devono ancora essere posizionati. Nel nitrito di metile CH3NO2, gli elettroni di legame sono 12, mentre quelli di valenza sono 24 e devono pertanto essere ancora posizionati 24 – 12 = 12 elettroni. 5. Si usano gli e- rimasti come coppie solitarie attorno a ciascun atomo terminale (tranne H), in modo da completare gli ottetti, iniziando con gli atomi più elettronegativi. 6. Spostare coppie solitarie per completare l’ottetto. Se un atomo non ha l’ottetto completo, usare una coppia di elettroni solitari dell’atomo adiacente che possiede il maggior numero di doppietti non condivisi, per formare un doppio o un triplo legame. La regola per la quale ogni atomo legato deve avere non più di 8 elettroni superficiali (regola dell’ottetto) vale rigorosamente solo per gli elementi non metallici del secondo periodo chimico (C, N, O, F) i quali, non possedendo orbitali d, non sono in grado di trasferirvi elettroni (promozione elettronica) per aumentare il numero dei loro legami. I primi elementi del secondo periodo possono avere meno di otto elettroni nel loro stato legato (4 per il Berillio e 6 per il Boro = ottetto incompleto). Gli elementi non metallici dei periodi superiori al secondo possono invece avere più di 8 elettroni superficiali (ottetto espanso) nel loro stato legato. Come regola generale, legami doppi o tripli si formano solo quando entrambi gli atomi si trovano nella seguente lista: C, N, O, S. Le strutture di Lewis sono utili per prevedere la reale struttura di una molecola o di uno ione CARICA FORMALE Quando scriviamo le formule di Lewis, stiamo descrivendo come gli elettroni sono distribuiti in una molecola. Possiamo scrivere più formule di Lewis ragionevoli per la stessa molecola, per cui come sappiamo quale sarà quella che la rappresenta meglio? Per fare questo si determinano le cariche formali di ogni atomo, cioè la carica che ogni atomo avrebbe se tutti gli atomi della molecola avessero la stessa elettronegatività (se i legami fossero covalenti puri). Per calcolare la carica formale, ad ogni atomo gli elettroni vengono assegnati come segue: - Tutti gli elettroni di non legame (coppie solitarie) sono assegnati all’atomo su cui si trovano - per qualsiasi legame, metà degli elettroni di legame sono assegnati a ciascun atomo che prende parte al legame La carica formale di ciascun atomo è quindi calcolata sottraendo dal numero di elettroni di valenza dell’atomo isolato, il numero di elettroni assegnati all’atomo nel legame (elettroni di valenza nel legame). carica formale = e- valenza atomo isolato - e- valenza atomo legato Quando le diverse strutture di Lewis possibili per una molecola, presentano una distribuzione diversa delle cariche formali, si ritiene più aderente alla realtà la struttura in cui le cariche formali hanno valore più vicino a zero, oppure quella in cui le cariche negative si trovano posizionate sugli atomi più elettronegativi. Le strutture-limite possono contribuire in misura diversa all’ibrido in relazione al loro contenuto energetico. Le strutture-limite più stabili contribuiscono maggiormente all’ibrido. Questo significa che l’ibrido assomiglierà maggiormente alla struttura-limite più stabile. L’ibrido è una media ponderata delle sue strutture- limite. Viene definita energia di risonanza la differenza tra l’energia della molecola reale (misurata) e quella della sua struttura di risonanza più stabile (calcolata). Un ibrido di risonanza è tanto più stabile (elevata energia di risonanza) quanto più numerose e tra loro RISONANZA Si dice che lo ione risuona tra situazioni estreme, rappresentate dalle due strutture, dette formule limite. Il fenomeno della risonanza si indica con la doppia freccia ( ↔ ) RISONANZA tra diverse formule limite non vuol dire che la distribuzione della densità elettronica cambia nel tempo “oscillando” tra differenti situazioni, ma piuttosto che essa è mediamente ripartita tra i diversi legami in modo uniforme e non può quindi essere rappresentata correttamente con una sola formula di Lewis equivalenti dal punto di vista energetico sono le sue strutture-limite. E' allora evidente che se una delle strutture-limite risulta molto più stabile di tutte le altre, l'ibrido assomiglierà a tal punto a quest'ultima da rendere la risonanza poco evidente e si potrà pertanto accettare la struttura più stabile come una buona approssimazione della reale struttura molecolare. LA GEOMETRIA DELLE MOLECOLE - Teoria VSEPR I legami covalenti sono direzionali, nel senso che essi formano tra loro angoli caratteristici che determinano la geometria della molecola, cioè disposizione relativa nello spazio degli atomi costituenti una molecola o un composto covalente a struttura infinita. La geometria molecolare si esprime in termini di angoli di legame, cioè degli angoli individuati dagli assi di due legami che hanno un atomo in comune. La geometria di una molecola o di un composto covalente a struttura infinita è determinata dal principio basilare di rendere massima l’energia di legame. A parità di forze attrattive, ciò si realizza quando si rendono minime le repulsioni elettrostatiche tra le varie coppie elettroniche e tra i nuclei La teoria VSEPR permette di fare previsioni sulla geometria delle molecole. Questa teoria afferma che il fattore preponderante nel determinare la geometria molecolare sia la repulsione tra le coppie di elettroni di valenza, sia di legame che solitarie, dell’atomo centrale, che formano, ognuna, una sfera elettronica. • Una sfera per ogni legame singolo (‘normale’ o dativo); • Una (sola!!!!) sfera per ogni legame multiplo; • Una sfera per ogni coppia solitaria. Molecole polari Le molecole polari risentono l’influenza di un campo elettrico esterno: • in assenza di campo elettrico, le molecole polari sono orientate in maniera casuale • in presenza di un campo elettrico, i dipoli si orientano in modo da disporre il loro vettore µ parallelamente a quello del campo elettrico esterno, ma con verso opposto TEORIA DEL LEGAME COVALENTE Teoria del legame di valenza (VB) Considera la molecola come costituita da atomi che mantengono il loro carattere distinto anche quando sono chimicamente legati: essi contribuiscono solamente con i loro elettroni più esterni (gli elettroni di valenza) a formare legami con altri atomi. La molecola è vista come un insieme di centri atomici e di legami fra questi centri. Si può dire che la teoria VB è l'espressione quantitativa del modello di Lewis delle coppie elettroniche. Teoria degli orbitali molecolari (MO) Considera la molecola come un insieme di nuclei e di elettroni e, valutando le loro reciproche interazioni, determina le funzioni d'onda Y che descrivono gli elettroni nella molecola in modo analogo a quello usato per individuare le y che descrivono gli elettroni negli atomi isolati. Secondo la teoria MO tutti gli elettroni sono delocalizzati fra tutti gli atomi Secondo la teoria VB, invece, solo alcuni elettroni partecipano ai legami e sono localizzati fra i due atomi legati (gli altri elettroni si trovano sui rispettivi atomi e non vengono considerati). Da ciò discende che un legame è una prerogativa dei due atomi legati e non ha influenza sugli altri legami che questi atomi possono formare La teoria MO è rigorosa e di applicazione generale, ma difficile da utilizzare perché richiede un trattamento matematico complesso La teoria VB permette di interpretare e prevedere le caratteristiche di molte specie chimiche in modo semplice ed intuitivo, ma porta talvolta a risultati in contrasto con la realtà sperimentale e non è in grado di spiegare la formazione del legame in alcune sostanze TEORIA DEL LEGAME DI VALENZA (VB) Proposta nel 1927 da W. Heitler e F. London e successivamente ampliata e sviluppata da L. Pauling con l'introduzione dei concetti di risonanza (1928) e di ibridazione orbitalica (1930). La teoria interpreta la formazione del legame covalente mediante il concetto quantomeccanico di orbitale. Il legame covalente, che nella teoria di Lewis viene visto come una condivisione da parte di due atomi di una coppia di elettroni, viene descritto come una sovrapposizione degli orbitali atomici che ospitano i due elettroni spaiati da condividere. Le funzioni d'onda dei due orbitali si sommano (in modo analogo ai fenomeni di interferenza per le onde) per dare una nuova funzione d'onda che descrive un nuovo orbitale. Il nuovo orbitale appartiene ad entrambi gli atomi legati ed ospita i due elettroni con spin antiparallelo. La funzione di distribuzione radiale della densità elettronica (probabilità) del nuovo orbitale che si è formato mostra un massimo tra i due nuclei. Si suppone che, quando gli atomi di H si avvicinano, ciascun elettrone condiviso possa passare da un nucleo all’altro, cioè che a distanze ravvicinate i nuclei non distinguano gli elettroni di legame La teoria VB interpreta il legame tra due atomi A e B presenti in una molecola mediante una funzione d'onda bielettronica che descrive la coppia di elettroni condivisa dai due atomi, ignorando tutto il resto. Il legame si può dunque formare solamente accoppiando due elettroni che occupano da soli altrettanti orbitali atomici (elettroni spaiati). Secondo questo modello, nelle molecole tutti gli elettroni sono accoppiati; ciò rende conto del fatto che la maggior parte delle molecole (ma non tutte!) sono diamagnetiche Criterio della massima sovrapposizione: Il legame è tanto più forte quanto maggiore è la sovrapposizione delle funzioni d'onda atomiche che descrivono i due elettroni coinvolti nel legame. La teoria d Lewis da sola non è in grado di rendere ragione delle differenze che si osservano tra legami covalenti, in composti quali H2, F2, HF, ad esempio. Dobbiamo determinare quali orbitali sono coinvolti nella formazione del legame Due tipi di legame covalente: π e o (sigma) Il legame covalente π è più debole di un legame o, a causa della minor sovrapposizione LEGAME COVALENTE DOPPIO è sempre formato da un legame o e da un legame o e da un legame π Quando in una molecola si forma un legame covalente doppio si genera un legame o lungo la congiungente i due nuclei ed un legame π costituito da due nuvole elettroniche disposte simmetricamente (sopra e sotto) rispetto al legame o. Un doppio legame è una struttura rigida e non consente la libera rotazione dei due atomi legati attorno all'asse di legame. Il legame doppio è quindi più forte di un legame semplice, ma presenta tuttavia una forza inferiore a quella di due legami semplici essendo costituito da un legame o (più forte) ed un legame π (più debole). LEGAME COVALENTE TRIPLO è sempre formato da un legame o e da 2 legami π In un legame covalente triplo si genera un legame o lungo la congiungente i due nuclei e due legami π costituiti da quattro nuvole elettroniche disposte simmetricamente ai quattro lati del legame o (un legame sopra-sotto ed un legame davanti- dietro). Anche un triplo legame è una struttura rigida e non consente la libera rotazione dei due atomi legati attorno all'asse di legame. Il legame triplo è quindi più forte di un legame semplice, ma presenta tuttavia una forza inferiore a quella di tre legami semplici essendo costituito da un legame o (più forte) e da due legami π (più deboli). Se si forma un solo legame (legame singolo), esso è di tipo o. Se si formano legami multipli (doppi o tripli), uno è di tipo o, mentre gli altri sono di tipo π (disposti su piani perpendicolari). Formazione di legami π Avviene per: - Sovrapposizione p-p: esclusiva degli elementi del II° periodo. Es. CO2 (cfr. SiOz), N2 (cfr. Pa), O2 (cfr. Sg) - Sovrapposizione p-d: elementi dal III° periodo in poi. Es. P4O10, SO2, SO3 La capacità di formare doppi o tripli legami con elettroni p, è una prerogativa degli elementi del II° periodo Gli elementi dei periodi successivi formano di preferenza legami singoli, a meno che nella formazione dei doppi legami non siano coinvolti elettroni d. In generale, nell'ambito di un gruppo, la capacità di formare legami multipli diminuisce all'aumentare delle dimensioni atomiche. Riassumendo: • Legame sigma: la regione di massima densità elettronica si trova lungo l’asse che congiunge i due nuclei • Legame pi-greco: la densità elettronica è ripartita in due regioni identiche che non comprendono l’asse Inter nucleare e che si trovano da parti opposte rispetto ad esso • Numero massimo di legami tra due atomi: 3 (sempre almeno uno sigma e il resto π) • Forza di legame: sigma > pi-greco Riassumendo... La TEORIA DEL LEGAME DI VALENZA (VB) interpreta il legame chimico nelle molecole e nei composti covalenti a struttura infinita; i punti fondamentali sono: • si considerano solo gli elettroni più esterni (quelli di valenza) • ogni legame si forma dalla messa in comune di una coppia di elettroni da parte dei due atomi (gli elettroni possono anche provenire entrambi dallo stesso atomo, nel caso del legame covalente dativo) • le coppie di elettroni di legame sono localizzate tra i due atomi interessati dal legame • esistono legami di tipo o e legami di tipo π • la geometria delle molecole si può prevedere con il modello VSEPR o mediante l'introduzione degli orbitali atomici ibridi La teoria VB si trova però in difficoltà • nel descrivere molecole in cui le coppie di elettroni non si comportano come se fossero localizzate fra i vari atomi (artificio della risonanza) • nello spiegare le proprietà magnetiche di molte molecole semplici (ad es. O2, V. foto a lato) • nel descrivere gli stati eccitati delle molecole, quindi nel'interpretare le proprietà spettroscopiche TEORIA DEGLI ORBITALI MOLECOLARI (MO) La teoria degli orbitali molecolari (Molecular Orbitals, MO) considera la molecola come un insieme di nuclei e di elettroni e, valutando le loro reciproche interazioni, determina le funzioni d'onda Y che descrivono gli elettroni nella molecola in modo analogo a quello usato per individuare le Y che descrivono gli elettroni negli atomi isolati Secondo la teoria MO, tutti gli elettroni della molecola risentono dell'attrazione di tutti i nuclei, che si considerano fissi nelle loro posizioni di equilibrio (approssimazione di Born-Oppenheimer). Gli elettroni di una molecola vengono descritti da funzioni d'onda dette orbitali molecolari le cui superfici limite si estendono su tutta la molecola Le superfici limite degli orbitali molecolari sono sempre policentriche, abbracciando tutti i nuclei della molecola, a differenza di quelle degli OA che sono monocentriche, ovvero riferite a un solo nucleo. Gli elettroni sono, almeno in linea di principio, delocalizzati su tutta la molecola; secondo questo modello ciascun elettrone contribuisce a tenere insieme tutti i nuclei della molecola Ogni elettrone di una molecola è descritto da una funzione d'onda Y (orbitale molecolare monoelettronico) tale che il suo quadrato rappresenti la probabilità di trovare l'elettrone nell'intorno del punto considerato. Ciascun orbitale monoelettronico descrive un solo elettrone che risente dell'attrazione di tutti i nuclei della molecola e delle repulsioni di tutti gli altri elettroni, mediate nel tempo. Come per gli OA, ogni funzione d'onda molecolare Y è definita da una terna di numeri quantici e a ciascun orbitale molecolare corrisponde un valore di energia. La funzione d'onda complessiva che descrive l'insieme di tutti gli n elettroni della molecola è data dal prodotto delle funzioni d'onda monoelettroniche relative ai singoli elettroni Y тот = Y1 Y2 Y3 Y4… Yn = πY L'energia elettronica totale della molecola è data dalla somma delle energie dei singoli orbitali "occupati", più o meno un termine correttivo R che tiene conto delle repulsioni "istantanee" degli elettroni (analogia con gli atomi polielettronici) E tot = E1 + E2 + E3 + E4 + … + En +/- R = ∑Ei +/- R La configurazione elettronica fondamentale si costruisce seguendo le regole dell'Aufbau già viste per gli atomi polielettronici, ossia distribuendo gli elettroni negli orbitali molecolari in ordine di energia crescente, nel rispetto del principio di Pauli e della regola di Hund (per le configurazioni eccitate, invece, occorre rispettare solo il principio di esclusione di Pauli) La molecola più semplice è quella di H2+, costituita da un elettrone sottoposto all'azione di due protoni posti ad una certa distanza l'uno dall'altro. In questo caso si può risolvere l'equazione di Schrödinger in modo rigoroso e trovare le funzioni orbitali e i valori delle energie, come per l'atomo di idrogeno e gli ioni idrogenoidi In tutti gli altri casi (sistemi a più elettroni) non è possibile risolvere esattamente l'equazione d'onda; bisogna quindi ricorrere a METODI APPROSSIMATI che tengano conto in qualche modo delle interazioni inter-elettroniche Per addizionare due funzioni d'onda, si usa il metodo della combinazione lineare di orbitali atomici (Linear Combination of Atomic Orbitals, LCAO) che consiste nel ricavare le funzioni d'onda mono-elettroniche Y di una molecola combinando linearmente le funzioni d'onda Y degli atomi che formano la molecola. Nel caso di una molecola biatomica AB si ottiene: Dalla combinazione di due orbitali atomici si ottengono sempre due orbitali molecolari. Dalla combinazione di n OA si ottengono n OM, i cui livelli energetici possono essere tutti distinti o anche in parte coincidenti (orbitali degeneri) Ci sono due modi per combinare i due OA 1s: Per potersi combinare linearmente: 1. Gli orbitali atomici devono avere energie molto simili 2. Gli orbitali atomici devono sovrapporsi il più possibile alla distanza di legame (criterio massima sovrapposizione) 3. Gli orbitali atomici devono avere la stessa simmetria rispetto all’asse internucleare Per via del primo criterio alla base del metodo LCAO, solo orbitali atomici con lo stesso numero quantico n possano contribuire efficacemente alla formazione di OM. Per il secondo criterio, quando due OA hanno un'estensione limitata e alla distanza di legame danno una sovrapposizione quasi nulla, non possono formare OM; questi orbitali rimangono sostanzialmente inalterati nella molecola (orbitali di non legame) INTERAZIONE FRA MOLECOLE POLARI E MOLECOLE APOLARI Interazione dipolo permanente - dipolo indotto Avvengono tra una molecola polare ed una apolare sulla quale la prima induce un dipolo indotto. Quando una molecola apolare si trova in un campo elettrico, subisce una polarizzazione, cioè il campo elettrico induce una separazione di carica con formazione di un dipolo indotto. FORZE DI DISPERSIONE O DI LONDON TRA MOLECOLE APOLARI Interazione dipolo istantaneo - dipolo indotto Si crea un’attrazione tra dipolo “induttore” e dipolo “indotto”. Forze attrattive tra molecole apolari, dovute alla loro mutua polarizzabilità, che hanno origine dall’interazione tra dipoli istantanei reciprocamente indotti. Ciò determina la comparsa di un momento di dipolo elettrico istantaneo variabile nel tempo. Ciascun dipolo istantaneo genera un campo elettrico che polarizza le particelle circostanti, creando dei dipoli indotti variabili. L'intensità delle forze di London dipendono dalla facilità con cui la nuvola elettronica di un atomo o di una molecola può venire distorta (polarizzata) dal dipolo istantaneo di un atomo o molecola adiacente. Più alta è la polarizzabilità dell'atomo o della molecola, più le forze di dispersione sono elevate In genere atomi e molecole grandi sono più facilmente polarizzabili di atomi e molecole di piccole dimensioni. Piccole fluttuazioni nella distribuzione delle nuvole elettroniche dovrebbero essere dunque in grado di indurre nelle molecole apolari, capaci di indurre nelle molecole adiacenti polarità di segno contrario (dipolo indotto), creando le condizioni per un'attrazione reciproca. Ciascun dipolo istantaneo genera un campo elettrico che polarizza le particelle circostanti, creando dei "dipoli indotti" variabili continuamente. L'intensità delle forze di London dipende ovviamente solo dalla polarizzabilità delle molecole. Molecole più grandi e massicce (con elettroni superficiali meno legati) risentono in misura maggiore delle forze di London. Le forze di London: sono presenti per qualsiasi tipo di particella, si sviluppano fra particelle identiche, aumentano all’aumentare della massa delle particelle e dipendono dalla forma delle molecole Le forze intermolecolari influenzano le temperature di ebollizione e di fusione dei composti, e quindi il loro stato fisico a condizioni ordinarie di T e P. LEGAME A IDROGENO Il legame idrogeno appartiene alle interazioni dipolo-dipolo: si ha quando l'idrogeno è legato ad un atomo molto elettronegativo (O,N, F). I legami a idrogeno presentano energie tipiche superiori (20 - 50 kJmol-') rispetto ai normali legami dipolo-dipolo. Il legame a idrogeno viene rappresentato con una breve linea tratteggiata che unisce l'idrogeno di una molecola con l'elemento elettronegativo di un'altra. Tipici composti in grado di dare intensi legami a idrogeno sono l'acido fluoridrico HF, l'acqua H20 e l'ammoniaca NH3. L'esistenza di tale legame aumenta notevolmente la coesione interna tra le molecole, e ciò si riflette in modo evidente su alcune proprietà fisiche delle sostanze interessate. È un'interazione elettrostatica che si verifica nelle molecole che possiedono un atomo di idrogeno legato ad un atomo X molto elettronegativo e piccolo (X = F, O, N. L'atomo di idrogeno si trova ad avere un'alta densità di carica positiva e può attrarre l'estremità negativa di un'altra molecola Le molecole che interagiscono si orientano in modo da esporre la propria coppia di elettroni liberi verso l’idrogeno Il legame a idrogeno determina: • forti interazioni fra le molecole di H2O e quindi elevata temperatura di ebollizione (100°C a 1 atm) • Organizzazione delle molecole di acqua che allo stato solido (ghiaccio) porta ad una spaziatura tra le molecole superiore a quanto avviene in altri solidi, da cui risulta che la densità del ghiaccio è inferiore a quella dell’acqua liquida Temperatura di ebollizione di idruri covalenti La temperatura di ebollizione di un liquido può essere presa come indice delle forze di coesione che esistono fra le molecole nel liquido Come si spiegano queste differenze di temperatura? A causa del legame a idrogeno, le temperature di fusione e di ebollizione di HF e H2O sono notevolmente più alte di quelle degli idruri degli altri elementi dei loro gruppi Riassumendo, le interazioni molecolari e i legami chimici giocano un ruolo importante sia negli stati di aggregazione della materia e i passaggi di stato, sia nella solubilità dei materiali In ordine di forza crescente: interazione dipolo istantaneo - dipolo indotto —> interazione dipolo - dipolo indotto —> interazione dipolo - dipolo —> interazione ione - dipolo —> legame a idrogeno —> legame chimico ionico —> legame chimico covalente TENSIONE SUPERFICIALE: le molecole sulla superficie hanno interazione solo con le molecole all’interno del liquido (le interazioni con l’aria e le pareti sono da considerarsi nulle). Perciò sono soggette ad una forza attrattiva diretta verso l’interno del liquido, ma non possono spostarsi all’interno perchè vi sono altre molecole. Pertanto, la lamina superficiale è soggetta ad una continua tensione che tende a mantenere unito lo strato superficiale ANGOLO DI CONTATTO: la superficie di un liquido a contatto con una superficie solida forma un angolo con essa La resa teorica è definita come la massima quantità di prodotto che può essere ottenuta considerando il limitante La resa reale è la quantità di prodotto ottenuta realmente a seguito della reazione svolta in laboratorio La resa percentuale è calcolata come (resa reale / resa teorica) *100 Stechiometria La stechiometria è il calcolo delle quantità dei reagenti e dei prodotti implicati in una reazione chimica. Essa si basa sull'equazione chimica e sulla relazione tra massa e moli. Si ricordi che bisogna passare necessariamente attraverso le moli, perché convertire direttamente tra le masse non è possibile. Reagente limitante Può capitare che i reagenti siano combinati in quantità diverse dalle proporzioni molari date dall’equazione chimica. In tal caso solo uno dei reagenti, quello limitante, si consuma completamente, mentre l’altro, quello in eccesso, rimane inalterato.
Esercizio 1
Calcolare la quantità in grammi di acido nitrico HNO; (MM = 63,016 g/mol) contenuti in
200 mL di una sua soluzione 2,5 M (= 2,5 mol/L).
Calcoliamo le moli di soluto:
Neoluto = M + Vsoluzione = 2,5 mol/L - 0,2 L = 0,5 mol
massa soluto = n *Mm = 0,5 mol - 63,016 g/mol = 31,50 g
Esercizio 2
Qual è la molarità di una soluzione di KOH contenente 0,150 moli in 80,0 ml di soluzione?
M= n moli/ V(L) = 0,150 / 0,080 L =1,875 mol/L
Esercizio 3
Se devo preparare un litro di soluzione 0,02 M di glucosio CH,,0g. quanti grammi di
glucosio devo pesare? (le masse atomiche sono: 12.01 per C, 1.008 per H, 16.00 per O)
Occorre dapprima definire la massa molecolare del glucosio:
(6 x 12,01) + (12 x 1,008) + (6 x 16,00) = 72,06 + 12,096 + 96,00 = 180,16
m glucosio = n moli x MM = 180,16 g /mol x 0,02 n mol = 3,603 g
Calcolare la molarità delle seguenti soluzioni acquose
NH; in acqua 28 %, d = 0.9 g/mL
acido solforico H,SO,, 98 %, d = 1.840 g/mL
acido nitrico, HNO:, 70 %, d = 1.413 g/mL
acido fosforico, H3PO,, 85 %, d = 1.685 g/mL
perossido di idrogeno, H,0,, 30%, d = 1.11 g/mL
Diluizioni Diluire significa preparare una nuova soluzione la cui concentrazione più bassa rispetto a quella della soluzione di partenza a molarità nota Uno dei metodi di preparazione di soluzioni, è quello di partire da soluzioni più concentrate e diluire ad un volume noto. Ci * Vi = Cf * Vf Esempio 1: Qual è la molarità di una soluzione ottenuta per diluizione a 500 mL, di 25 mL di HCI 1.5 M? Cf = Ci * Vi / Vf = 1,5M x 25 mL / 500 mL = 0,075 mol/L Esempio 2: Diluendo con acqua 6 ml di una soluzione di CuCI2 0,15 M, fino ad un volume finale di 25 ml, qual è la nuova concentrazione? 0,15 M × 6 ml = Cf × 25 ml Cf = 0,036 M Le proprietà chimiche e fisiche di una soluzione (reattività, colore, conducibilità elettrica, ecc.) dipendono dalla quantità dei soluti e del solvente. È quindi necessario specificare sempre la composizione di una soluzione, precisando le quantità relative dei componenti (CONCENTRAZIONE). SOLUZIONI CONCENTRATE: quantità di soluto/i GRANDE SOLUZIONI DILUITE: quantità di soluto/i PICCOLA Stato gassoso • I gas sono comprimibili • Hanno basse densità (densità dipende da T e P) • I gas formano fra loro miscele omogenee in tutte le proporzioni • Esercitano una pressione sulle pareti del recipiente che li contiene • Non hanno forma né volume proprio • Occupano tutto il volume disponibile I gas furono le ultime sostanze ad essere identificate dal punto di vista chimico; infatti l’idea dell’esistenza di diversi tipi di gas si affermò solo lentamente. Nonostante ciò i gas furono le prime sostanze le cui proprietà fisiche furono spiegate in termini di leggi semplici. Le variabili termodinamiche più appropriate per descrivere lo stato termodinamico del gas e le eventuali trasformazioni sono la pressione P, il volume V e la temperatura T. Teoria cinetico-molecolare dei gas: proposta da Maxwell-Boltzmann spiega le proprietà dei gas a partire dalla natura molecolare. Si basa su 4 ipotesi: • un gas è composto da particelle separate da distanze ampie. Il volume occupato dalle singole molecole è trascurabile • le molecole di gas sono in moto costante e casuale lungo percorsi rettilinei. Urtano le pareti del contenitore che le contiene con urti elastici (l’energia viene trasferita totalmente) • le molecole di gas non esercitano forze attrattive o repulsive le une con le altre • l’energia cinetica media è proporzionale alla temperatura assoluta La pressione di una gas è originata dalle collisioni delle molecole con le pareti del recipiente. Il valore della pressione dipende sia dalla frequenza degli urti sia dalla forza con cui le molecole urtano il recipiente Gas ideale o perfetto Un gas ideale o perfetto è considerato essere costituito da molecole puntiformi, con volume trascurabile rispetto al volume del recipiente, e non interagenti tra loro. Si ha un comportamento ideale quando si hanno basse pressioni ed elevate temperature. Vm indica il volume occupato da una mole di gas. 1) Legge isoterma di Boyle Se si fanno variare i valori della pressione p e il volume V di un gas ideale in equilibrio termodinamico mantenendo costante la temperatura T si trova che il prodotto della pressione per il volume ha sempre lo stesso valore. Vale cioè la legge di Boyle: PV = costante, a temperatura costante la pressione è inversamente proporzionale al volume. Questa trasformazione (isoterma) tra due stati di equilibrio di un gas si può realizzare, in un contenitore, con una parete diatermica in contatto con una sorgente di calore alla temperatura T ed una parete mobile con variazioni infinitesime di pressione tra gas e ambiente esterno. Si realizzano in questo modo condizioni di equilibrio meccanico e termico e possiamo assumere che durante la trasformazione la temperatura sia costante e la pressione del gas sempre eguale a quella esterna. Il prodotto della pressione per il volume di un gas è una costante, quando la temperatura e la composizione del gas rimangono costanti. La legge di Boyle spiega perché non si deve risalire troppo in fretta durante un’immersione e non si deve trattenere il respiro. VELOCITA’ MOLECOLARI Le particelle (molecole o atomi) di un campione di gas non si muovono tutte alla stessa velocità, ma c’è una distribuzione dei valori di velocità, cioè numero di particelle che si muovono ad una certa velocità, fissata la temperatura. Il massimo della curva corrisponde alla velocità più probabile o velocità media delle particelle All’aumentare della temperatura il massimo della distribuzione si sposta verso valori di velocità più alte e la curva si allarga. All’aumentare della temperatura il massimo della distribuzione si sposta verso valori di velocità più alte e la curva si allarga. La velocità delle particelle dipende anche dalla loro massa. Il gas più leggero, alla stessa T, ha una maggiore velocità media. GAS REALI Le molecole non sono masse puntiformi ma possiedono un volume proprio; inoltre esistono delle interazioni tra le molecole. I GAS REALI si avvicinano al comportamento ideale a: bassa P (V grandi) alta T (lontano dalla temperatura di liquefazione) Le linee tratteggiate indicano il comportamento ideale, mentre quelle continue il comportamento reale Per descrivere più accuratamente il comportamento dei gas reali bisogna correggere l’equazione di stato dei gas ideali. (P + ∆P) · (Vm-∆V) = RT: EQUAZIONE di VAN DER WAALS • le molecole di gas hanno volume proprio: il volume disponibile per molecola è inferiore a quello del recipiente. DV = b b = covolume ≈ 4 × V molecola • nel gas esistono forze intermolecolari: la pressione va addizionata ad un termine che è proporzionale alla densità (∂) del gas. ∆P = cost · ∂^2 = a/Vm^2 a è una costante di proporzionalità diversa da gas a gas. Grandezza relativa della molecola di CO2 e volume a disposizione per molecola in CO2 gassoso alle condizioni standard T = 0 °C = 273,15 K P = 1 atm Il volume a disposizione per molecola nel gas corrisponde a un cubo di lato 33,4 Å. Soltanto una parte su 790 del volume per molecola è occupato. Si può considerare con buona approssimazione che il gas abbia un comportamento ideale Esercizio 1 Determinare se 1 mole di diazoto (a = 1.41 L2 atm mol-2; b = 0,0391 L mol-1) posta a 0°C in 224,1 L o in 0,2241 L ha un comportamento ideale. 1) V= 224,1 L Gas ideale PV = nRT P = nRT/V = 22,43 L atm / 224,1 L = 0,1 atm Gas reale (P + n2a/V2) x (V-nb) = n R T (P + 0,0000281) x (224,1-0,0391) = 1 x 0,082 x 273,15 (P + 0,0000281) x (224,06) = 22,41 (P + 0,0000281) = 0,100 P = 0,100 atm (Valore coincidente con quello previsto dalla legge dei gas ideali) 2) V= 0,2241 L Gas ideale PV = nRT P = nRT/V = 22,43 L atm / 0,2241 L = 100 atm Gas reale (P + 28,1) x (0,2241-0.0391) = 1 x 0,082 x 273,15 (P + 28,1) x (0,185) = 22,41 (P + 28,1) = 121,14 P = 93,0 atm (Valore inferiore gas ideale) Esercizio 2 1 mole benzene (a = 18.24 L2 atm mol-2; b = 0,1154 L mol-1) posta a 0°C in 224,1 L o in 0,2241. Cosa possiamo dire rispetto al caso dell’azoto? 1) V= 224,1 L Gas ideale PV = nRT P = nRT/V = 22,43 L atm / 224,1 L = 0,1 atm Gas reale (P + n2a/V2) x (V-nb) = n R T (P + 0,000363) x (224,1-0,1154) = 1 x 0,082 x 273,15 (P + 0,000363) x (223,98) = 22,41 (P + 0,000363) = 0,100 P = 0,099 ~ 0,100 atm (Valore coincidente con quello previsto dalla legge dei gas ideali) 2) V= 0,2241 L Gas ideale PV = nRT P = nRT/V = 22,43 L atm / 0,2241 L = 100 atm Gas reale (P + 363,2) x (0,2241-0.1154) = 1 x 0,082 x 273,15 (P + 363,2) x (0,109) = 22,41 (P + 363,2) = 205,7 P = -157,6 atm (Valore negativo, in queste condizioni il benzene non è un gas. Il fattore interazioni è predominante ) COLLOIDI (DISPERSIONI COLLOIDALI) Miscela caratterizzata da alcune proprietà tipiche delle soluzioni ed altre tipiche delle sospensioni La dimensione di una particella colloidale è maggiore di una singola molecola ma sufficientemente piccola da NON precipitare DIMENSIONI DELLE PARTICELLE: SOSPENSIONE > 1000 nm DISPERSIONE COLLOIDALE 1 – 100 nm SOLUZIONE < 1 nm Le particelle colloidali presentano un’elevata area superficiale e presentano, solitamente, un’elevata carica. La presenza di cariche dello stesso segno sulla superficie delle particelle fa si che queste si respingano fra loro e ne impedisce l’aggregazione e quindi la precipitazione. L’aggiunta di elettroliti ne facilita l’aggregazione e la precipitazione (coagulazione o flocculazione). Colloidi idrofili: affinità tra le particelle disperse e la fase disperdente (acqua). Presenza di gruppi polari come –OH, –NH2, =CO che possono interagire con il mezzo disperdente (es. ione-dipolo, legame idrogeno) e stabilizzare il colloide. Es. gelatine, budini, proteine, amido. Colloidi idrofobi: scarsa affinità tra le particelle disperse e la fase disperdente (acqua). Stabilità dovuta alle repulsioni tra le particelle o con la fase disperdente. Es. dispersioni di grassi in acqua (latte) o di acqua nei grassi (maionese). sol: dispersione in forma liquida gel (es., idrossidi di Fe, gelatina di brodo, gel di silice): si forma una struttura rigida in cui viene catturata la fase disperdente. SOLUZIONI IDEALI: soluzione in cui tutte le interazioni tra tutte le molecole della soluzione sono uguali. L’entalpia di una soluzione ideale e tendenzialmente 0. Soluzioni molto diluite si comportano da soluzioni ideali SOLUZIONI NON IDEALI: soluzione in cui si formano interazioni di diverso tipo tra le diverse molecole presenti. L’entalpia può essere un valore positivo o negativo ma non 0. Soluzioni molto concentrate si comportano da soluzioni non ideali L’entalpia di una soluzione dipende da: • Forze intermolecolari tra le molecole del solvente • Forze intermolecolari tra le molecole del soluto • Forze intermolecolari tra le molecole do solvente e soluto PROPRIETÀ COLLIGATIVE Si definiscono colligative le proprietà di una soluzione, il cui valore dipende solo dal numero “reale” delle particelle per unità di volume (cioè dalla concentrazione) che le determinano e non dalla natura chimica. Esse si generano con un soluto NON volatile e si intensificano con l’aumento della concentrazione. Tali proprietà sono servite per determinare le MM dei soluti. Per le soluzioni esse sono: • Abbassamento della tensione di vapore • Innalzamento della temperatura di ebollizione (innalzamento ebullioscopico) • Abbassamento della temperatura di congelamento (abbassamento crioscopico) • Pressione osmotica Abbassamento della tensione di vapore La tensione di vapore di un liquido (o pressione di vapore) è la pressione che la fase gassosa esercita sulla propria fase liquida in condizioni di equilibrio. Essa dipende da: natura del liquido, temperatura, pressione esterna Alla fine dell’800 fu sperimentalmente osservato che la tensione di vapore del solvente veniva abbassata dall’aggiunta di un soluto non/poco volatile. In particolare nel 1886 Raoult osservò che l’entità di questo abbassamento non dipendeva dal tipo di soluto ma solo dalla sua concentrazione (frazione molare). A una determinata temperatura, la tensione di vapore di una soluzione risulterà sempre minore di quella di uno stesso volume di solvente puro. Questa proprietà colligativa sarà indipendente dal tipo di soluto, purché esso risulti meno volatile dell’acqua, dipendendo, esclusivamente, dal numero di particelle del soluto per unità di volume. Consideriamo la soluzione di un solvente volatile A e un soluto non o poco volatile e non elettrolita B. LEGGE DI RAOULT: Per le soluzioni ideali, la tensione di vapore parziale del solvente, PA, sopra la soluzione è uguale alla tensione di vapore del solvente puro, PA°, moliplicata per la frazione molare del solvente, xA N.B. Se il soluto è non volatile, PA è la pressione di vapore totale della soluzione. L’abbassamento della tensione di vapore dipende dalla concentrazione del soluto (siccome xA+ xB = 1) ma non dalla sua natura ed è quindi una proprietà colligativa. Se il soluto (B) è volatile (ma meno volatile del solvente), ad esempio un liquido sciolto in un altro liquido, possiamo scrivere per la soluzione ideale A + B: P(totale) = PA + PB = PA° xA + PB° xB = In questo caso la fase gassosa e la fase liquida possono avere composizione diversa: la fase vapore sarà ricca nel componente più volatile. Innalzamento ebullioscopico L’aggiunta di un soluto non volatile abbassa la tensione di vapore della soluzione. Un grafico della tensione di vapore contro T mostra che occorre una temperatura maggiore (rispetto al solvente puro) affinché la tensione di vapore della soluzione raggiunga la pressione esterna (1 atm) e si abbia ebollizione. Per soluzioni diluite si può dimostrare che: ∆Tb=Tb(soluzione)-Tb(solvente) = Kb m Kb costante ebullioscopica (°C/m), dipende solo dal solvente molalità = moli di soluto / Kg di solvente Abbassamento crioscopico Anche per quanto riguarda il congelamento (passaggio dallo stato liquido allo stato solido) di una soluzione con un soluto non volatile, la temperatura a cui avviene il fenomeno è diversa da quella a cui congela il solvente puro: in particolare, la temperatura a cui avviene il congelamento si abbassa. ∆Tf = Tf(solvente) - Tf(soluzione) = Kf m Kf costante crioscopica (°C/m) dipende solo dal solvente. m molalità della soluzione Osmosi Anche il fenomeno dell’osmosi (pressione osmotica) è associato all’abbassamento della tensione di vapore. Esso riveste una grande importanza in relazione a sistemi biologici. Coinvolge membrane semipermeabili, cioè strati sottili e con fori di dimensioni tali da permettere il passaggio delle molecole di solvente, ma non di soluto, specie di elevato peso molecolare. Osmosi: flusso di molecole di solvente dal solvente puro alla soluzione (in generale dalla soluzione meno concentrata a quella più concentrata). Pressione osmotica (π): pressione che occorre esercitare sulla soluzione, A, per bloccare il flusso osmotico La pressione osmotica è una proprietà colligativa ed è proporzionale alla concentrazione molare del soluto M: π = M R T Mantenimento del bilancio osmotico L’acqua si muove attraverso la membrana cellulare dalla zona a bassa concentrazione di soluto (alta [H2O]) ad una ad alta concentrazione di soluto (bassa [H2O]) • Normalmente la [NaCl] extracellulare bilancia la [soluto] intracellulare • Il bilancio è mantenuto dalla pompa Na-KATP Quando si aggiunge il sale all’acqua, la nuova soluzione che si forma, bolle ad una temperatura più alta o a una più bassa? L’aggiunta di un soluto NON VOLATILE ad un solvente (con la formazione dunque di una soluzione) provoca un abbassamento della tensione di vapore (es.: per l’acqua da 760 mmHg a 750 mmHg). Quindi, l’acqua bolle ad una temperatura più alta dopo l’aggiunta del soluto. Proprietà colligative di soluzioni di elettroliti Per spiegare le proprietà colligative di soluzioni di elettroliti si deve tener conto della concentrazione totale di tutti gli ioni piuttosto che della concentrazione dell’elettrolita. Ad esempio l’abbassamento del punto di congelamento di una soluzione di NaCl 0,1 m è (circa) il doppio di quello di una soluzione di glucosio 0,1 m. Ciò perché ogni unità formula NaCl si dissocia in ioni Na+ e Cl-, cioè in due particelle che contribuiscono entrambe a tale proprietà colligativa. Se il soluto è un elettrolita (forte o debole) bisogna tenere conto del coefficiente di van’t Hoff fattore di correzione adimensionale che esprime la quantità di particelle o ioni che effettivamente si producono dalla dissoluzione di una mole di soluto (inizialmente allo stato solido) in un solvente: i = 1 + α(ν − 1) dove α è il grado di dissociazione e ν rappresenta le moli di ioni formate dalla dissociazione di ogni mole di sostanza (ovvero il numero di ioni in cui si dissocia una molecola di soluto), ricavabile dalla relazione stechiometrica. Per un elettrolita forte: la reazione è quantitativa; α = 1; i = ν In generale per le principali proprietà colligative si può scrivere: ∆Tb = i Kb m ∆Tf= i Kf m π = i M R T in cui i è il numero di ioni provenienti da ogni unità formula. NaCl → Na+ + Cl- —> i = 2 K2SO4 → 2K+ + SO4^2- —> i = 3 Fe2(SO4)3 → 2Fe^3+ + 3SO4^2- —> i = 5 n.b. Questo è rigorosamente vero solo per soluzioni molto diluite. EUTETTICO Un eutettico è una miscela di sostanze il cui punto di fusione è più basso di quello delle singole sostanze che la compongono. Una miscela eutettica, ad un determinato valore di pressione costante, è caratterizzata da un ben determinato rapporto in peso tra i suoi costituenti e da un ben determinato valore di temperatura eutettica. Perché in inverno si cospargono le strade di sale? L’aggiunta di un soluto NON VOLATILE a un solvente (con la formazione dunque di una nuova soluzione) provoca un abbassamento della temperatura di congelamento (es.: per l’acqua da 0°C a– 3°C). 1° PRINICIPIO DELLA TERMODINAMICA In un sistema chiuso ogni variazione di energia interna, in seguito ad una trasformazione termodinamica, è uguale all’energia, di qualunque tipo, che il sistema cede o riceve dall’ambiente; se il sistema è isolato la sua energia rimane costante. ∆E = Q + W = Q - P∆V Per il 1° principio della termodinamica: • in trasformazioni a volume costante: ∆V=0 e ∆E = QV • in trasformazioni a pressione costante: ∆E = QP - P∆V P∆V = ∆(PV) QP = ∆E + ∆PV = ∆(E + PV) = ∆H entalpia H = (E + PV) Termochimica La termochimica si occupa dell’effetto termico associato alle reazioni chimiche. aA + bB + . . . → lL + mM + . . . Hi = entalpia molare Ei = energia interna molare Sperimentalmente si verifica che il calore rilasciato o assorbito in una reazione chimica dipende dallo stato iniziale e finale del sistema, dalla massa e dallo stato di aggregazione dei reagenti e dei prodotti e dalle condizioni di trasformazione. Le reazioni possono essere condotte in condizioni sperimentali diverse, ad esempio: a T e V costanti (in un reattore a volume costante) a T e P costanti (in un reattore mantenuto a P = 1 atm) La maggior parte delle reazioni chimiche è condotta a T e P costanti, per cui il calore ad esse associato è rappresentato dalla variazione di entalpia, ∆H. La determinazione sperimentale dei calori di reazione è condotta in apparecchiature opportune chiamate calorimetri. Equazioni termochimiche Quando in una equazione stechiometrica compare il calore svolto o assorbito dalla reazione si parla di equazione termochimica: C(s,gr) + O2(g) → CO2(g) ∆H(25°C, 1 atm) = - 394,0 KJ Occorre specificare: l’unità di misura con cui è espresso il calore; il numero di moli di tutte le sostanze; lo stato di aggregazione di ogni sostanza; la temperatura e la pressione a cui la reazione è condotta. Per uniformare i dati calorimetrici è necessario stabilire uno stato di riferimento detto stato standard: Gas: gas ideale alla pressione di 1 atm Liquidi: liquido puro alla pressione di 1 atm Solidi: solido puro alla pressione di 1 atm. Se il solido presenta più forme cristalline, si considera la forma cristallina stabile alla temperatura considerata e a P= 1 atm Soluto: soluzione ideale a concentrazione 1 molare La temperatura non compare nella definizione di stato standard; in genere, i dati sono tabulati alla temperatura di 25°C. Quando ci si riferisce allo stato standard si scrive H° o ∆H°. ∆Hi-f = ∆Hi-a + ∆Ha-b + ∆Hb-f Entalpia Standard di Reazione ( ∆H°reaz) Si definisce entalpia standard di reazione l’effetto termico che accompagna la reazione quando sia i prodotti sia i reagenti si trovano nel loro stato standard e reagiscono secondo i rapporti molari indicati nell’equazione, a T e P costanti. I valori della variazione di entalpia standard di una reazione sono solitamente riportati a 25°C. 2 H2 (g) + O2 (g) → 2 H2O(g) ∆H°(25°C) = - 242,0 KJ Le reazioni esotermiche, caratterizzate da sviluppo di calore, presentano ∆H°< 0 Le reazioni endotermiche, caratterizzate da assorbimento di calore, presentano ∆H° > 0 Calcolo delle entalpie di reazione Per il calcolo dell’entalpia di reazione (calore di reazione a pressione costante) i dati essenziali sono le entalpie molari delle singole specie chimiche partecipanti alla reazione: Qp = ∆H = (lHL + mHM + …) - (aHA + bHB + …) = ∑ViHi Le entalpie molari delle sostanze vengono determinate facendo riferimento alle reazioni di formazione delle sostanze stesse, ponendo uguale a zero l’entalpia molare degli elementi Entalpia Molare Standard di Formazione (∆H°f) Si definisce reazione di formazione di un composto la reazione in cui una mole del composto considerato si forma dagli elementi costituenti. La variazione di entalpia molare standard di formazione rappresenta la variazione di entalpia della reazione di formazione condotta in condizioni standard. ½H2 (g) + ½ Cl2 (g) → 1 HCl (g) ∆H°f, HCl(g) = - 92,3 KJ/mol Convenzionalmente è stato assegnato valore zero all’entalpia molare standard degli elementi nel loro stato standard (H°f, el = 0) : ∆H°f, HCl(g) = H° HCl(g) – ( ½ H° H2 (g) + ½ H° Cl2 (g) ) = - 92,3 J/mol = H° HCl(g) I ∆H°f (e quindi gli H°) sono misurabili direttamente solo per poche reazioni perché solo per poche sostanze è possibile condurre sperimentalmente una reazione di formazione “pulita”. Legge di Hess “In una reazione chimica l’effetto termico a pressione costante è indipendente dagli stati intermedi attraverso i quali la reazione passa (o si immagina che passi), ma dipende solo dagli stati iniziali e da quelli finali” Entropia (S), Energia libera (G) e criteri di spontaneità Le variazioni energetiche (∆E o ∆H) che accompagnano una reazione chimica nella maggior parte dei casi, forniscono delle indicazioni di massima sul verso naturale della reazione, in quanto la maggior parte delle reazioni esotermiche risulta spontanea. Esistono numerose eccezioni a questo assunto e non tutte le reazioni che presentano un ∆H (o un ∆E) negativo risultano poi spontanee. Necessario individuare un criterio di spontaneità che ci permetta di prevedere il verso delle reazioni in modo esauriente e generale. 2° PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA il grado di disordine dell'universo può solo aumentare ed una trasformazione spontanea è sempre accompagnata da un aumento del disordine complessivo dell'universo La funzione di stato in grado di misurare il disordine di un sistema è l'entropia. Il calcolo dell'entropia può essere effettuato utilizzando la relazione di Clausius: S = ∆Q/T ∆Q = calore scambiato dal sistema T = temperatura assoluta. L'entropia si misura in J/K (Joule/Kelvin). se la variazione di entropia del sistema, sommata alla variazione di entropia dell'ambiente (variazione di entropia dell'universo) indotta da una trasformazione risulta complessivamente positiva, allora la trasformazione risulta spontanea. ∆S totale = ∆S sistema + ∆S ambiente > 0 Nelle reazioni chimiche a pressione costante (la maggior parte) la variazione di entropia dell'ambiente è direttamente collegabile al calore che il sistema scambia con il suo intorno. ∆S ambiente = -∆H/T. ∆S totale = -∆H/T + ∆S sistema. -T*∆S totale = ∆H - T * ∆S sistema < 0 Il prodotto -T.∆S totale viene definito come variazione di una nuova funzione di stato, chiamata Energia libera G (da Gibbs) ∆G = ∆H - T * ∆S sistema < 0 risulta pertanto spontanea una reazione per la quale la variazione totale di entropia è positiva o, utilizzando la funzione di stato G, per la quale risulti negativa la variazione di energia libera. L'equazione di Gibbs per il calcolo dell'Energia libera è formata da un termine energetico (∆H) e da un termine entropico (T∆S) che possono influire in modo diverso sulle variazioni di Energia libera del sistema. ∆G = ∆H - T * ∆S sistema • Reazioni esotermiche (∆H < 0) con ∆S > 0 (aumento Entropia) Si tratta di reazioni sicuramente spontanee. La variazione del ∆G non può essere che negativa. • Reazioni endotermiche (∆H > 0) con ∆S < 0 (diminuzione Entropia) Si tratta di reazioni sicuramente non spontanee. La variazione del ∆G non può essere che positiva. • Reazioni esotermiche (∆H < 0) con ∆S < 0 (diminuzione Entropia) In tal caso il termine energetico e quello entropico si muovono in direzioni opposte. Il termine energetico (∆H) tende a rendere spontanea la reazione, quello entropico (∆S) tende a contrastarla. In generale il termine energetico risulta maggiore, a 25°C, rispetto al termine entropico, per cui la maggior parte di queste reazioni risulta spontanea a temperatura ambiente. La spontaneità di tali reazioni tende invece ad annullarsi ad elevate temperature, in quanto il termine entropico diventa più importante, dovendo essere moltiplicato per T. Un esempio è la sintesi dell’ammoniaca. Il DG° di una sostanza è calcolato in condizioni standard (25°C, pressione parziale di 1 atm, concentrazione 1M). Si può dimostrare che il DG in condizioni diverse da quelle standard varia con la concentrazione (o la pressione parziale per le sostanze gassose). Per una generica sostanza A la relazione è la seguente Per una generica reazione del tipo se la reazione era spontanea e quindi con un DG° negativo, man mano che I reagenti si trasformano nei prodotti di reazione il rapporto delle loro concentrazioni aumenta fino al punto in cui il DG della reazione non si azzera. In queste condizioni ( DG = 0) il sistema ha raggiunto l'equilibrio ed il rapporto delle concentrazioni di equilibrio è la costante di equilibrio K della reazione. Tale relazione può essere ottenuta per qualsiasi costante di equilibrio (vedi in seguito). Reazioni all’equilibrio In alcune reazioni i prodotti aumentano fino ad un certo livello e poi raggiungono concentrazioni stabili. Analogamente un liquido in un recipiente chiuso evapora fino a raggiungere un equilibrio L’equilibrio è dinamico: le reazioni continuano in entrambe le direzioni • Durante la sintesi dell’ammoniaca la concentrazione molare di N2, H2 e NH3 viene mutando con il tempo fino a quando si assesta su valori che vedono i tre componenti tutti e tre presenti e che rimangono costanti. • Ripetendo l’esperimento a partire dall’ammoniaca pura, questa si decompone e la composizione si assesta secondo una miscela di ammoniaca, azoto e idrogeno che non varia ulteriormente. L’equilibrio chimico dal punto di vista cinetico L’equilibrio chimico è raggiunto quando le velocità di reazione diretta ed inversa sono uguali. Quando un sistema è all’equilibrio: ➢ le velocità di formazione dei prodotti e quella di formazione dei reagenti si equivalgono, ➢ le concentrazioni dei prodotti e dei reagenti rimangono costanti nel tempo All’equilibrio i rapporti fra le concentrazioni di prodotti e reagenti restano costanti nel tempo, le concentrazioni assolute sono però DIVERSE *reazione cinetica elementare EQUILIBRIO FISICO: H2O(l) <—> H2O(g). La stessa specie chimica è in equilibrio fra due stati di aggregazione diversi (sono coinvolte le forze intermolecolari) EQUILIBRIO CHIMICO: 2H2O(l) <—> H3O^+ + OH- (aq). Una specie chimica è in equilibrio con altre specie chimiche, che si ottengono da essa per rottura di legami chimici L’equilibrio chimico Caratteristiche fondamentali: • Le proprietà macroscopiche del sistema si mantengono costanti in determinate condizioni • I processi microscopici continuano ma le proprietà macroscopiche non variano, in quanto processi opposti si bilanciano • L’equilibrio può essere raggiunto in entrambi i sensi, sia partendo dai reagenti sia partendo dai prodotti (reazione reversibile) • L’equilibrio può essere raggiunto solo in un sistema chiuso, che non scambia materia con l’esterno. LEGGE DI AZIONE DI MASSA O LEGGE DI GULDBERG-WAAGE “Ad equilibrio raggiunto il rapporto tra il prodotto delle concentrazioni dei prodotti e il prodotto tra le concentrazioni dei reagenti, elevate ciascuna ad un potenza corrispondente al proprio coefficiente stechiometrico è, per una data reazione invariante e il suo valore dipende solo dalla temperatura”. Riassumendo… • Il valore assunto dalla costante di equilibrio (Kc o Kp) ci informa se la reazione avviene in modo più o meno completo. • Se il valore della costante di equilibrio è elevato (in genere molto maggiore di 1) ciò significa che il numeratore è molto più grande del denominatore: l'equilibrio viene cioè raggiunto quando le concentrazioni dei prodotti di reazione sono molto maggiori delle concentrazioni dei reagenti. In tal caso si dice che l'equilibrio è spostato verso destra (verso i prodotti). • Se il valore della costante di equilibrio è basso (in genere molto minore di 1) ciò significa che il numeratore è molto più piccolo del denominatore: l'equilibrio viene cioè raggiunto quando le concentrazioni dei reagenti sono molto maggiori delle concentrazioni dei prodotti di reazione . In tal caso si dice che l'equilibrio è spostato verso sinistra (verso i reagenti). • Si tenga presente che il valore della costante di equilibrio non da alcuna indicazione sulla velocità della reazione, la quale dipende essenzialmente dall'energia di attivazione, dalla temperatura e dalle concentrazioni dei reagenti. • I valori delle costanti di equilibrio si trovano tabulati per le diverse reazioni. Conoscendole possiamo ricavare le concentrazioni delle specie chimiche all'equilibrio. L’unità di misura delle costanti di equilibrio varia a seconda della stechiometria della reazione. Tuttavia questo concetto andrà rivisto in corsi di termodinamica. La maggior parte delle reazioni che abbiamo visto fino ad ora sono state scritte con una sola freccia, ad indicare che la reazione all’equilibrio FAVORIVA la formazione dei prodotti. Il valore assoluto delle concentrazioni di equilibrio dipende dalle qualità iniziali, ma il loro rapporto, espresso dalla Keq, è costante Anche queste reazioni sono reazioni che raggiungono una condizione di EQUILIBRIO, ma in tali casi all’equilibrio i reagenti sono trasformati completamente o quasi in prodotti. Esempi di tali reazioni sono: - Reazioni che avvengono con formazione di solidi; - Reazioni che avvengono con sviluppo di gas; - Reazioni di combustione - Reazioni di complessazione L’equilibrio chimico è una situazione dinamica: le reazioni continuano in entrambe le direzioni, ma le concentrazioni di equilibrio, una volta raggiunte, si mantengono. 2NO2(g) <—> N2O4(g) Riassumendo: Il valore assunto dalla costante di equilibrio (Kc, Kp o Keq) ci dice se la reazione avviene in modo più o meno completo. • Se il valore della costante di equilibrio è elevato (in genere »1), il numeratore è molto più grande del denominatore: l'equilibrio viene raggiunto quando le concentrazioni dei prodotti di reazione sono molto maggiori delle concentrazioni dei reagenti. l'equilibrio è spostato verso destra (verso i prodotti). • Se il valore della costante di equilibrio è basso (in genere «1), il numeratore è molto più piccolo del denominatore: l'equilibrio viene raggiunto quando le concentrazioni dei reagenti sono molto maggiori delle concentrazioni dei prodotti di reazione . l'equilibrio è spostato verso sinistra (verso i reagenti). I valori delle costanti di equilibrio alla temperatura di 25°C (298 K) sono tabulati. N.B. Anche le reazioni che vanno a completamento, alla fine del loro percorso sono caratterizzate da una condizione di equilibrio. Tuttavia, siccome sono caratterizzate da costanti di equilibrio di valore elevatissimo, possiamo scriverle con una freccia rossa Modificazioni di un equilibrio chimico: il principio di Le Chatelier Il principio di Le Chatelier ci offre un criterio generale per prevedere lo spostamento di un equilibrio in risposta a sollecitazioni esterne. Il principio afferma infatti che un sistema in equilibrio tende a mantenerlo inalterato, neutralizzando per quanto possibile qualsiasi azione di disturbo esterna. Per quanto riguarda un equilibrio chimico afferma che se esso viene sottoposto ad un'azione perturbatrice esterna, l'equilibrio si sposterà, facendo variare le concentrazioni di equilibrio delle specie chimiche, in modo tale da rendere minimi gli effetti della perturbazione.