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Tesi di maturità sulla povertà., Tesine di Maturità di Lingue e letterature classiche

Tesi di maturità sulla povertà per una classe quinta del liceo linguistico, (lingue inglese, spagnolo e tedesco).

Tipologia: Tesine di Maturità

2018/2019
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Caricato il 13/01/2019

BenedettaS22
BenedettaS22 🇮🇹

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28 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Tesi di maturità sulla povertà. e più Tesine di Maturità in PDF di Lingue e letterature classiche solo su Docsity! Liceo Linguistico "Temistocle Calzecchi Onesti" La povertà: conseguenze economiche e sociali, ieri e oggi. “I mangiatori di patate” Vincent van Gogh « Nulla è scandaloso quanto gli stracci e nessun crimine è vergognoso quanto la povertà. » (George Farquhar) 1 di Benedetta Smerilli classe VA anno scolastico 2015-2016 INDICE: MAPPA pag. 3 INTRODUZIONE pag. 4 https://it.wikipedia.org/wiki/Povert%C3%A0 STORIA pag. 5 http://www.irre.toscana.it/acqua/multiverso/sovicille/ipertesto_sul_tempo/in_italia.htm ITALIANO pag. 6 https://it.wikipedia.org/wiki/Rosso_Malpelo TEDESCO pag. 8 INGLESE pag. 12 SPAGNOLO pag. 15 https://es.wikipedia.org/wiki/Misericordia_(novela) https://srhernandez.wordpress.com/2009/01/11/comentario-de-texto-dona-rosa-va-y-viene-de-la-colmena- por-camilo-jose-cela/ FILOSOFIA pag. 21 FINE pag. 22 http://www.edscuola.it/archivio/interlinea/poverta.htm 2 abbienti, a cui assicurava protezione, paralizzando agricoltura e industria, mentre l'azione repressiva del governo si esplicava sulle masse popolari. Al centro dell’attenzione viene sottoposto anche il lavoro dei ragazzi, i cosiddetti carusi, impiegati come garzoni nel duro lavoro nelle miniere di zolfo. Essi erano costretti a trasportare sulla schiena del minerale in sacchi o ceste, dalla galleria dove veniva scavato dal picconiere, fino al luogo dove all’aria aperta si faceva la basterella, ovvero la riunione, delle casse dei diversi picconieri, prima di riempire il calcarone (fornace). Ogni picconiere impiegava in media da due a quattro ragazzi, la cui età variava dai sette agli undici anni. Sotto terra si lavorava da otto a dieci ore al giorno e all’aria aperta per undici-dodici ore. Il carico dipendeva dall’età e dalla forza dei ragazzi, ma era sempre molto superiore a quanto potesse portare una creatura di tenera età. Si compievano numerosi viaggi a seconda delle profondità diverse delle miniere e delle gallerie . Il guadagno giornaliero di un ragazzo di otto anni era di £ 0,50,dei più piccoli e deboli era di £ 0,35. Questi poveri carusi uscivano dalle bocche delle gallerie dove la temperatura era caldissima, grondando sudore e contratti sotto i gravissimi pesi che portavano, e uscivano all’aria aperta, dove dovevano percorrere un’altra cinquantina di metri, esposti a un vento ghiaccio. Altre schiere di fanciulli lavoravano all’aria aperta trasportando il minerale dalla basterella al calcarone. Là dei lavoranti riempivano le ceste e le caricavano sui ragazzi, che correndo le portavano fino alla bocca della fornace, dove un altro operaio li sorvegliava, gridando questo, spingendo quello, dando ogni tanto una sferzata a chi correva meno. ITALIANO Rosso Malpelo Rosso Malpelo è una novella di Giovanni Verga, che comparve per la prima volta su Il Fanfulla nel 1878 e in seguito pubblicata nel 1880 nella raccolta Vita dei campi. Giovanni Verga Il protagonista è Rosso Malpelo, un adolescente operaio in una cava di rena rossa, visto di cattivo occhio dalla gente per via dei suoi capelli rossi, simbolo di malizia. Egli non trova affetto dalla madre che non si fida di lui a tal punto da sospettare che egli rubi soldi dallo stipendio che porta alla famiglia; la sorella lo "accoglie" sempre picchiandolo. L’unico a volergli bene è il padre, Mastro Misciu (soprannominato "Bestia"), con cui lavora alla cava. 5 Un giorno Misciu Bestia accetta l'offerta del suo padrone di lavorare all'abbattimento di un pilastro ormai giudicato inutile nella cava; mentre gli altri lavoratori si erano rifiutati di scavare egli è spinto a farlo dal disperato bisogno di soldi. Di sera, mentre Misciu lavorava, gli cadde addosso il pilastro. Il figlio, preso dalla disperazione e dal panico, inizia a scavare nella roccia fino a strapparsi le unghie, e a chiedere aiuto disperatamente ma, quando anche gli altri accorrono, ormai è troppo tardi e Mastro Misciu è già morto. Tutto ciò che a Malpelo rimane del padre sono pochi oggetti che egli custodisce come tesori che stimolano il suo ricordo, ad esempio i calzoni che gli sembrano morbidi “come le mani del babbo che solevano accarezzargli i capelli”. Qualche tempo dopo alla cava viene a lavorare un ragazzino "Ranocchio", egli viene subito preso di mira da Malpelo che cerca di stimolare il suo spirito di reazione picchiandolo e insultandolo. Più Ranocchio non si difende, più lui continua: vuole che impari a reagire e ad affrontare la vita, una continua sfida non sempre facile. In realtà, il vero motivo di tutto ciò è che Malpelo si sente legato a lui e vuole insegnargli come difendersi. Spesso infatti, per Ranocchio, si priva di parte della sua razione di cibo oppure lo aiuta nei lavori pesanti. Successivamente Ranocchio, ammalatosi di tisi, muore all'improvviso. Allora, Malpelo rimasto solo poichè la madre si era rimaritata e la sorella era andata a vivere in un altro quartiere, accetta il compito pericoloso di esplorare una galleria ancora sconosciuta. Nessuno si sarebbe assunto un compito così pericoloso ma lui, sapendo che ormai non gli è rimasto più niente, prende del pane, del vino, gli attrezzi e i vestiti di suo padre e si addentra in quella galleria da dove non uscirà mai più. Da allora i lavoratori della cava hanno il timore di vederselo spuntare da un momento all'altro con i suoi "occhiacci grigi e i capelli rossi" sotto forma di fantasma. Foto ritraente un gruppo di giovanissimi minatori di una cava della Sicilia (1899) Analisi Questa novella presenta un narratore popolare omodiegetico che si eclissa e la voce narrante è interna al mondo rappresentato; attraverso la tecnica dello "straniamento" l'autore compie una regressione culturale, per cui fa coincidere il suo punto di vista con l’opinione comune del villaggio di Malpelo. Rosso Malpelo descrive la realtà di povertà e sfruttamento delle classi disagiate in Sicilia alla fine del XIX secolo. Per tale motivo, l'opera può essere considerata un ritratto, umanissimo e di grande 6 attualità, di un adolescente, il quale a causa dei pregiudizi popolari sul suo nomignolo e sul colore rosso dei capelli, è condannato a un duro lavoro in una cava, a subire la violenza, ad essere emarginato e ad una tragica fine. Nonostante il principio dell'impersonalità, tipico degli scrittori veristi, Verga lascia trasparire la pietà che prova per Malpelo, un "vinto" che non ha alcuna possibilità di sottrarsi al suo destino. Questi ragazzi reagiscono al male subito infliggendo altrettanta sofferenza e cercando di reprimere i sentimenti di compassione pur di sopravvivere, tutto ciò spiega i comportamenti rudi del protagonista nei confronti di Ranocchio e dell'asino. Per rendere più realistico il racconto, inoltre, decide di esprimersi con parole dialettali e modi di dire popolari; per descrivere Malpelo lo paragona spesso a una bestia. Il linguaggio realistico e le descrizioni oggettive delle brutalità, di cui Malpelo è vittima, causano un profondo disagio nel lettore, forzandolo ad una riflessione sulle sue pessime condizioni di vita. Il pensiero di Verga emerge anche qui, in quanto egli crede che chi nasce povero, nonostante i vari sforzi fatti per cambiare la sua vita, rimarrà nella condizione sociale iniziale. TEDESCO Weberlied Carl Wilhelm Hübner, Die schlesischen Weber, 1846 Im düstern Auge keine Träne, Non hanno negli occhi cupi una lacrima, Sie sitzen am Webstuhl und fletschen die Zähne: siedono ai telai e digrignano i denti; Deutschland, wir weben dein Leichentuch, Oh Germania, tessiamo il tuo telaio funebre. Wir weben hinein den dreifachen Fluch. Ci tessiamo dentro tre maledizioni. Wir weben, wir weben! Tessiamo, tessiamo! Ein Fluch dem Gotte, zu dem wir gebeten Maledetto il Dio, al quale pregammo In Winterskälte und Hungersnöten; nelle carestie e nei freddi inverni; Wir haben vergebens gehofft und geharrt, Abbiamo pregato, sperato e aspettato, Er hat uns geäfft, gefoppt und genarrt. Egli ci ha beffato, preso in giro e ingannato. Wir weben, wir weben! Tessiamo, tessiamo! 7 Sie behandelte verschiedene, zunächst historische und dann gegenwärtige Themen. Als sie in Prenzlauer Berg wohnte, widmete sich Käthe ihren Sozialstudien: Sie zeichnete Arme, Alte, Arbeitlose, Mütter mit Kindern, Behinderte oder hungrige Kinder in Cafés und Kneipen, auf Bänken, im Parks, in Ämtern oder am Hafen. Der Tod ihres Sohnes sowie die Erfahrunge des Krieges beeinflussten ihre darauf folgenden Arbeit stark. Sie gestaltete Plakate, die an die Kriegsopfer erinnerten oder Hilfsplakate für hungernde Menschen in Russland und für den Antikriegstag sowie für die Arbeiterhilfe zur Unterstützung hungernder Kinder für den Internationalen Gewerkschaftsbund. Weberzug 1893 Käthe Kollwitz die Uraufführung von Gerhart Hauptmanns Stück Die Weber und von 1893 bis 1898 arbeitete sie an dem Radierzyklus Ein Weberaufstand. Das vierte Bild des Weberzyklus trägt den Namen Weberzug. Es stellt den Protestzug von ungefähr 30.000 Webern zum Hause eines Großhändlers dar. Sie wollen von ihm mehr Lohn und bessere Arbeitsbedigungen. Auf diesem Bild sind ungefähr 16 Weber auf einem ungepflasterten Weg durch eine kahle Landschaft zu sehen. Sie sind ärmlich bekleidet und mit allen möglichen Werkzeugen bewaffnet: einige haben ihr Beil oder eine Spitzhacke geschultert und sie sehen entschlossen aus, sie im Kampf einzusetzen, andere Männer haben ihre Hände in die 10 Taschen gesteckt und ihr Werkzeug erschöpft an den Arm gehängt. Einige Menschen marschieren, die Köpfe zu Boden geneigt. Ihre Gesichter zeigen einen ernsten, hoffnungslosen Ausdruck, andere erheben ihre Fäuste, schreien zuversichtlich und verbissen. In der Mitte des Bildes ist eine schwarz angezogene jüngere Frau mit einem schlafenden Kind auf dem Rücken zu sehen. Ihre Haare sind zurückgebunden, ihr Gesicht ist abgemagert und trägt die Zeichen ihres jungen, aber mühsamen Lebens. Sie schaut besorgt zu Boden, ungeachtet der Anstrengung, ihr Kind auf den Schultern zu tragen. Sie ist nür auf das Kommende konzentriert. Im Bild herrscht eine Atmosphäre der Hoffnunglosigkeit und zugleich der Entschlossenheit vor, für die eigenen Rechte zu kämpfen. Ihr Milieu hat, nämlich ihre Lebensbedingungen geprägt. Erkennbar ist hier der typische realistische und expressive Strich von Käthe Kollwitz. Diese Radierung beschäftigt sich mit Stoffen aus den unteren sozialen Schichten der Weber, die entschlossen aber auch resigniert, geschwächt und verzweifelt aussehen. INGLESE Charles Dickens Charles Dickens was born in Portsmouth, on the southern coast of England, in 1812. Much oft he content of his novels was inspired by his unhappy and suffering childhood: his father went to prison for debt, and he had to work in a factory at the age of twelve. Setting, characters and didactic themes London was the setting of most of his novels; he knew and described it in realistic details, especially he gave attention tot he public abuses, to crime and misery. At first, Dickens created 11 middle class characters, though often satirised. He gradually developed a more radical social view and he became increasingly critical of society; he was always on the side oft he poor and the outcast. Children are often the most important characters: by giving instances of good children and worthless parents or hypocritical adults he reverse, in fiction, the natural order of things, by making children the moral teachers. Dicken’s task was to make his readers love his children, to get the common intelligence oft he country and to alleviate undeniable sufferings. This didactic stance hast o teach and to let the more educated and wealthier classes know about their poorer neighbous, of which many were previously ignorant. Style and reputation Dickens employed the most effective language and the most graphic and powerful descriptions of life; he made careful choices of adjectives, repetitions of words and structures, juxtapositions of images and ideas, hyperbolic and ironic remarks. Oliver Twist Oliver Twist is a poor boy of unknown parents; he is brought up in a workhouse in an inhuman way. He is later sold to an undertaker as an apprentice, but he experiences only cruelty and unhappiness so he decides to run away to London. There he falls in the hands of a nasty gang of young pickpockets, who try to make a thief out of him, but the boy is helped by an old gentleman. Oliver is eventually kidnapped by the gang and forced to commit burglary; during the job he is shot and wounded. It is a middle-class family that adopts Oliver and shows kindness and affection towards him, at last. Investigations are made about who the boy is and it is discovered he has noble origins. In the end, the gang of pickpockets and Oliver’s half-brother, who paid the thieves in order to ruin Oliver and have their father’s property all for himself. Analysis The most important setting of the novel is London, where we can find three different social levels. First, the parochial world of the workhouse: the inhabitants of this world belong to the lower- middle-class stratum of society, they are calculating and insensible to the feelings of the poor. Second, the criminal world, which is described with pickpockets and murderers. Poverty drives them to crime and the weapon they use to achieve their end is violence. They live in dirty, squalid slums with fear and generally die a miserable death. Finally, there is the world of the Victorian middle-class, in which people show a regard for moral values and believe in the principle of human dignity. The world of the workhouse The novel fictionalizes the economic insecurity and humiliation Dickens experienced when he was a boy. He wants to attack the social evils of his times such as poor houses, unjust courts and the 12 acepta el cambio y sigue viviendo en el pasado lleno de riqueza y bienestar y sin renuncias. Doña Paca es la perfecta representante de una clase burguesa que vive sólo en la apariencia externa y la superficialidad: lo importante es probar y mostrar lo que tienes, aunque eso lo lleva a la ruina. Es un personaje triste y digno de compasión por su ceguera y su fragilidad, por su apariencia exterior de una gran señora, que contrasta con su pobreza interior, un reflejo de una sociedad caracterizada por la importancia de las aparencias y del orgullo y que se nutre de los escenarios para ocultar lo que no tiene o peor aún, lo que ha perdido. Los diálogos son vivos y reflejan la condición social del hablante. Además en los libros de Galdós ocurre un sabor de Madrid gracias a las descripciones minuciosas de los ambientes, recreados con gran exactidud: las calles, los cafés y los barrios pobres del sur y de la periferia, llenos de insalubridad, mendicidad y enfermedades que reflejan la ciudad de la época. A lo largo de la obra encontramos muchas maneras de soñar en la riqueza: por ejemplo creen en la esperanza, y doña Paca que sueña recibir una herencia, lo cual se convertirá más adelante en realidad. Capítulo VI Aquí tenemos un fragmento del capítulo sexto de la obra “Misericordia” donde Benina regresa a casa y su señora le hace muchas preguntas; Benina con gran facilidad empieza a decir mentiras y en el curso del diálogo se van perfilando las dos diferentes personalidades. Benina doña Paca [...] -¿Querrá Dios traernos mañana un buen día? -dijo con honda tristeza la señora, sentándose en la cocina, mientras la criada, con nerviosa prontitud, reunía astillas y carbones. -¡Ay! sí, señora: téngalo por cierto. -¿Por qué me lo aseguras, Nina? -Porque lo sé. Me lo dice el corazón. Mañana tendremos un buen día, estoy por decir que un gran día. -Cuando lo veamos te diré si aciertas... No me fío de tus corazonadas. Siempre estás con que mañana, que mañana... -Dios es bueno. -Conmigo no lo parece. No se cansa de darme golpes: me apalea, no me deja respirar. Tras un día malo, viene otro peor. Pasan años aguardando el remedio, y no hay ilusión que no se me convierta en desengaño. Me canso de sufrir, me canso también de esperar. Mi esperanza es traidora, y como me engaña siempre, ya no quiero esperar cosas buenas, y las espero malas para que vengan... siquiera regulares. -Pues yo que la señora -dijo Benina dándole al fuelle-, tendría confianza en Dios, y estaría contenta... Ya ve que yo lo estoy... ¿no me ve? Yo siempre creo que cuando menos lo pensemos nos vendrá el golpe de suerte, y estaremos tan ricamente, acordándonos de estos días de apuros, y desquitándonos de ellos con la gran vida que nos vamos a dar. [...] Ahora doña Paca pregunta a Benina si ella soporta la miseria, la vergüenza, tanta humillación, deber a todo el mundo, no pagar a nadie, vivir de mil enredos, trampas y embustes; Benina contesta diciendo que ella soporta todo, cada persona en la vida se defiende como puede y Dios es bueno, él no quiere que a nadie se le enfríe el cielo de la boca por no comer, y cuando no nos da dinero, un suponer, nos da la sutileza del caletre para inventar modos de allegar lo que hace falta, sin robarlo. Benina promete pagar cuando tendrá el dinero necesario... 15 -Es que tú no tienes vergüenza, Nina; quiero decir, decoro; quiero decir, dignidad. -Yo no sé si tengo eso; pero tengo boca y estómago natural, y sé también que Dios me ha puesto en el mundo para que viva, y no para que me deje morir de hambre. [...]Y mirando las cosas como deben mirarse, yo digo que Dios, no tan sólo ha criado la tierra y el mar, sino que son obra suya mismamente las tiendas de ultramarinos, el Banco de España, las casas donde vivimos y, pongo por caso, los puestos de verdura... Todo es de Dios. -Y la moneda, la indecente moneda, ¿de quién es? - preguntó con lastimero acento la señora-. Contéstame. -También es de Dios, porque Dios hizo el oro y la plata... Los billetes, no sé... Pero también, también. -Lo que yo digo, Nina, es que las cosas son del que las tiene... y las tiene todo el mundo menos nosotras...[...] ¡Ay, qué trabajo me dan estas piernas! En vez de llevarme ellas a mí, tengo yo que tirar de ellas. (Levantándose con gran esfuerzo.) Mejor andaría yo con muletas. ¿Pero has visto lo que hace Dios conmigo? ¡Si esto parece burla! Me ha enfermado de la vista, de las piernas, de la cabeza, de los riñones, de todo menos del estómago. Privándome de recursos, dispone que yo digiera como un buitre. -Lo mismo hace conmigo. Pero yo no lo llevo a mal, señora. ¡Bendito sea el Señor, que nos da el bien más grande de nuestros cuerpos: el hambre santísima!». Gracias a esas palabras podemos observar como doña Paca es una persona resignada que siempre suele lamentarse y llorar sin intentar resolver sus problemas. No tiene esperanza, no se fía de Dios, cree que él no se cansa de darle golpes, de engañarla y no la deja respirar. Está cansada, no quiere esperar ni sufrir más.; es un personaje triste, materialista y metalizada. Al contrario Benina es una mujer fiel, fervorosa, amable y humilde, llena de fuerza y voluntad, que trabaja sin parar y que ama Dios y la vida. Ella afirma que todo en el mundo es obra de Dios, el cual es bueno y no quiere que nadie de sus hijos muere de hambre. Mientras que su señora Francisca protesta por las enfermedades a la vista, a la cabeza y a las piernas, definiendo esas cosas como injusticias divinas, la vieja Benina acepta todos esos dolores y bendiga el Señor por su ayuda y por la hambre santísima, que ella considera como el bien más grande. La Colmena La colmena es una novela de Camilo José Cela, editada en Buenos Aires en el año 1951. No pudo publicarla en España hasta el año 1955, porque la censura de la época (con el dictador Franco en el poder en España) no toleraba las abundantes alusiones al sexo y al ambiente homosexual y carcelario de la época. La estructura externa está compuesta de seis capítulos y un epílogo. Cada capítulo consta de un número variable de secuencias o viñetas de corta extensión, que desarrollan episodios que están mezclados con otros que ocurren simultáneamente. De esta manera el argumento se rompe en multitud de pequeñas anécdotas, todas juntas crean un conjunto de vidas cruzadas, como las celdas de una colmena. El marco espacio-temporal es muy preciso: Madrid en unos días de 1943, en plena posguerra y en una época de crisis económica. El autor intentó reflejar con el máximo 16 verismo la realidad social de la época adoptando un punto de vista objetivista. La historia se basa en un espacio novelesco no muy amplio pero con bastantes personajes que intervienen poco en el transcurso de la obra. De poco se ha acabado la guerra civil y por las calles de Madrid se advierte el eco de otra guerra que interesa toda Europa. En el primer capítulo, primer día la atardecer, CELA describe un café, de clientela diversa, heterogénea, ejemplo y medida de la monótona variedad cotidiana. En este ambiente de pobreza generalizada y conformismo que nadie puede evitar, encontramos a una humanidad triste, acompañada de pequeñas y continuas angustias y miserias. Hay el protagoista Martín Marco, con su carga de cultura que parece no afectar a nadie, busca alguna compañía. Allí es su cuñado Roberto Gonzáles que se esfuerza para garantizar una vida digna a su familia y tal vez hacer un regalo para el cumpleaños de la esposa. Al grupo de los acomodados pertenecen figuras como Doña Rosa, la despreciable dueña del café y ardiente defensora del código moral y social tradicional. Otros personajes, como la novia de su amigo, el poeta Paco, esa chica vende su cuerpo para recuperar un poco de dinero y para ayudar a su amor, enfermo de tuberculosis. La clase media baja predomina, la pequeña burguesía venida a menos, es decir, gentes en situación inestable, que tienen un futuro incierto y han de vivir a salto de mata. Sus ilusiones y proyectos de futuro son engañosos. Es esta una sociedad enferma unas veces por la escasez del dinero para poder comprar comida y por la proliferación de enfermedades infecciosas (tuberculosis, meningitis). Estilo El autor interviene de dos formas contradictorias. En la mayoría de los casos utiliza la técnica objetivista, es decir, se limita a mostrar, a describir desde fuera, sin penetrar en el interior de los personajes. Otras veces, sin embargo, adopta una actitud omnisciente comentando irónicamente las actitudes de los personaje y revelando sueños, miedos o frustraciones. El estilo es espontáneo, la prosa contiene efectos rítmicos, paralelismos, repeticiones. El tono es cortado, brusco y directo, pero a veces se abren fragmentos líricos. En La colmena los componentes, los temporales (tres días) y lo espacial (una ciudad) son muy reducidos. Existe, por tanto, un predominio del discurso, las frases utilizadas son largas con muchas aposiciones y pocos contenido y significado. El lenguaje es cargado de ironía, sarcasmo, humor y burla; las descripciones son muy variables, en ocasiones abundantes y detalladas, al contrario a veces son pequeñas. Análisis Aquí tenemos un fragmento de La colmena. Se trata de la descripción de Doña Rosa, la dueña del café en el que se desarrolla la acción que parece al principio de la novela. “Doña Rosa va y viene” Doña Rosa va y viene por entre las mesas del café, tropezando a los clientes con su enorme trasero. Doña Rosa dice con frecuencia leñe y nos ha merengao (1). Para doña Rosa, el mundo es su café, y alrededor de su café, todo lo demás. Hay quien dice que a doña Rosa le brillan los 17 E com’è la situazione attuale? Al giorno d’oggi nel mondo, l'estrema povertà confina con l'abbondanza. Dei 6 miliardi di abitanti del pianeta, 2,8 miliardi hanno meno di 5.000 lire al giorno per sopravvivere, e 1,2 miliardi meno di 2.500 lire al giorno. Ma la povertà non è solo mancanza di soldi. Povertà è l'umiliazione, la sensazione di essere dipendenti da altri, di essere obbligati ad accettare offese, disprezzo, e trovare indifferenza quando si cerca aiuto. La povertà è un'inaccettabile privazione del benessere cui ha diritto un essere umano. È anche difficoltà d'accesso ad un adeguato livello di educazione, di risorse sanitarie e d'alimentazione. L'esperienza della povertà non è solo mancanza di benessere materiale, ma anche negazione dell'opportunità di vivere una vita tollerabile. La povertà limita la vita, la quale può essere accorciata, resa difficile, dolorosa, o casuale; privata di dignità, fiducia. Nomade mendicante I DATI SULLA FAME NEL MONDO 20 1. Circa 24.000 persone muoiono ogni giorno per fame o cause ad essa correlate. Tre quarti dei decessi interessano bambini al di sotto dei cinque anni d'età. 2. Oggi, il 10% dei bambini che vivono in paesi in via di sviluppo muoiono prima di aver compiuto cinque anni. 3. Carestia e guerre causano solo il 10% dei decessi; il resto sono dovuti alla malnutrizione cronica. I nuclei familiari semplicemente non riescono ad ottenere cibo sufficiente per colpa dell’estrema povertà. 4. Oltre alla morte, la malnutrizione cronica causa indebolimento della vista, uno stato permanente di affaticamento che causa una bassa capacità di concentrarsi e lavorare, una crescita stentata ed un'estrema suscettibilità alle malattie. Le persone estremamente malnutrite non riescono a mantenere neanche le funzioni vitali basilari. 5. Si calcola che circa 800 milioni di persone nel mondo soffrano per fame e malnutrizione. 6. Spesso, le popolazioni più povere necessitano di minime risorse per riuscire a coltivare sufficienti prodotti commestibili e diventare autosufficienti. Queste risorse possono essere: semi di buona qualità, attrezzi agricoli appropriati e l'accesso all'acqua. Minimi miglioramenti delle tecniche agricole e dei sistemi di conservazione dei cibi apportano ulteriore aiuto. 7. Numerosi esperti in questo campo, sono convinti che il modo migliore per alleviare la fame nel mondo sia l'istruzione. Le persone istruite riescono più facilmente ad uscire dal ciclo di povertà che causa la fame. Bambini malnutriti 21