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Tesi laurea triennale in scienze e tecniche psicologiche, Tesi di laurea di Psicologia Clinica

Si tratta di una tesi incentrata sulla comunicazione in carcere e sulla teatroterapia che dopo una premessa sugli stessi, approfondisce le terminologie di maggiore uso all'interno degli istituti detentivi e presenta un'esperienza di teatroterapia all'interno del carcere di Rebibbia.

Tipologia: Tesi di laurea

2009/2010

Caricato il 31/01/2023

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Scarica Tesi laurea triennale in scienze e tecniche psicologiche e più Tesi di laurea in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! 1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ENNA "KORE" Corso di Laurea Interateneo in Scienze e Tecniche psicologiche Tesi di Laurea di Davide Ferlito Salvatore La comunicazione in carcere. Una ricerca pilota sulla teatroterapia Relatore: Prof.ssa. Irene Petruccelli __________________ ANNO ACCADEMICO 2009/2010 2 INDICE Introduzione.....................................................................................................................................pag 5 I. Comunicazione e Comportamento.............................................................................................pag 7 1. 1.Premessa..................................................................................................................................pag 7 1. 2.Caratteristiche ed Elementi della comunicazione umana........................................................pag 8 1. 2. 1. Comunicazione immediata, mediata, e relativi ambiti di studio..................................pag 8 1. 2. 2. Elementi della comunicazione umana..........................................................................pag 9 1. 3. Comunicazione verbale e non verbale............................................................................... .......pag 12 1. 3. 1. Premessa............................................................................................ .............................pag 12 1. 3. 2. La comunicazione verbale................................................................. .............................pag 12 1. 3. 3. La comunicazione non verbale.......................................................... .............................pag 14 1. 4. La Scuola di Palo Alto e i cinque assiomi della comunicazione umana....................................pag 19 1. 4. 1. La nascita di una nuova scuola di pensiero.....................................................................pag 19 1. 4. 2. Il primo assioma................................................................................. .............................pag 21 1. 4. 3. Il secondo assioma...........................................................................................................pag 22 1. 4. 4. Il terzo assioma.................................................................................. ..............................pag 22 1. 4. 5. Il quarto assioma..............................................................................................................pag 23 1. 4. 6. Il quinto assioma................................................................................ ..............................pag 24 1. 5. Comunicazione efficace e inefficace e stili comunicativi...........................................................pag 25 1. 5. 1. Premessa............................................................................................. ................................pag 25 1. 5. 2. La comunicazione efficace............................................................... ................................pag 25 1. 5. 3. La comunicazione non efficace e patologica...................................................................pag 27 1. 5. 4. Gli stili comunicativi......................................................................... ...............................pag 30 1. 5. 5. Stili comunicativi e personalità........................................................................................pag 32 1. 6. Il comportamento comunicativo e la comunicazione in carcere.................................................pag 33 1. 6. 1. Premessa...........................................................................................................................pag 33 1. 6. 2. Il comportamento comunicativo....................................................... ...............................pag 33 1. 6. 3. La comunicazione non verbale in carcere........................................................................pag 36 1. 6. 4. La comunicazione orizzontale e verticale........................................................................pag 40 1. 6. 5. La comunicazione verbale in carcere...............................................................................pag 41 1. 6. 6. Il codice linguistico carcerario................................................................... ......................pag 42 II. La Teatroterapia.............................................................................................................................pag 44 2. 1. Premessa....................................................................................................................................pag 44 2. 2. L'Arteterapia................................................................................................ ..............................pag 44 2. 2. 1. Qualche cenno storico sull'Arteterapia.............................................................................pag 44 2. 2. 2. Che cos'è l'Arteterapia?................................................................................. ...................pag 46 2. 2. 3. Ambiti di intervento................................................................................................ .........pag 48 2. 2. 4. Metodologie arteterapeutiche...........................................................................................pag 50 2. 3. Fondamenti di Teatroterapia....................................................................... ................................pag 51 5 comunicazione, possano presentare nel carcere delle peculiarità che lo distinguono radicalmente dal contesto quotidiano a cui siamo abituati. Lo scopo primario di questo lavoro sarà, quindi, quello di proiettare il lettore, all'interno del mondo carcerario e delle sue modalità comunicative, nonchè fornire dei riscontri pratici in riferimento al ruolo dell'attività teatrale nel modificare e facilitare la comunicazione. Il lavoro è, inoltre, articolato in tre capitoli: nel primo verranno inizialmente esplicitati gli elementi, le caratteristiche, le tipologie e i riferimenti teorici della comunicazione con un occhio di riguardo alla scuola di Palo Alto e, successivamente, ci si concentrerà sul tema della comunicazione, verbale e non verbale, in carcere e del comportamento comunicativo, partendo dagli studi del Professor Gaetano De Leo sull’azione deviante comunicativa. Nel secondo capitolo, dopo un breve excursus sull'arteterapia, verrà, invece, preso in esame il tema della teatroterapia con riferimento particolare alle metodologie utilizzate ed alle caratteristiche tipiche di questa modalità d'intervento. Si farà, altresì, riferimento all'applicazione della teatroterapia all'interno del carcere ed alle funzionalità della stessa nell'ambito della comunicazione. Infine nel terzo capitolo è riportata una ricerca pilota sul ruolo del teatro. Quest'ultima, realizzata nel carcere romano di Rebibbia, è stata portata avanti mediante l'uso del focus group e di altre metodologie utili come l'intervista semi-strutturata e la Scala di Bales. Sono stati, quindi, affrontati i temi emersi dall’ esperienza vissuta dai detenuti all'interno del laboratorio teatrale. 6 Capitolo 1. Comunicazione e Comportamento 1. 1. Premessa Prima di iniziare a parlare dei vari aspetti inerenti alla comunicazione ed al comportamento inteso come modalità comunicativa, risulta necessaria una piccola premessa riguardante il significato del termine "comunicazione". Nel corso degli anni sono state portate avanti diverse definizioni di tale termine. Una delle prime è stata, sicuramente, quella di Shannon e Weaver (1949) che definiscono la comunicazione come un mero processo di trasmissione di informazioni mediante segnali da una fonte ad un destinatario. Oggi, invece, risulta esemplificativa la definizione emessa nell'ambito della dichiarazione sui diritti di comunicazione del World Forum on Comunication Rights (2003) in cui essa viene intesa come un processo sociale fondamentale e alla base di tutta l'organizzazione sociale, che va al di là della semplice trasmissione di messaggi e rappresenta, quindi, l'interazione umana tra individui e gruppi attraverso cui le identità si formano e i significati vengono condivisi. Possiamo, quindi, parlare di comunicazione come:  Un atto sociale;  Un atto reciproco;  Un atto mediato. I primi due aspetti fanno riferimento alla partecipazione dei soggetti, l'ultimo, invece, all'uso di simboli nella comunicazione tra gruppi e individui diversi (T. Fogliani, A. M. Fogliani, 2007). 7 1. 2. Caratteristiche ed Elementi della comunicazione umana 1. 2. 1. Comunicazione immediata, mediata, e relativi ambiti di studio La comunicazione può essere divisa in due tipologie:  Immediata (faccia a faccia);  Mediata. La comunicazione faccia a faccia rappresenta sicuramente quella maggiormente persuasiva. In essa il piano verbale viene associato e talvolta sostituito da quello analogico (non verbale). All'interno di tale tipologia di comunicazione possiamo distinguere tra il piano del contenuto, quello della relazione e la condivisione di luogo e tempo. Il primo riguarda quei contenuti direttamente visibili della comunicazione, espressi mediante il canale verbale e il codice simbolico, che descrivono adeguatamente il messaggio. Il secondo aspetto fa riferimento al significato della relazione che può essere amicale, ostile, di ruolo, ecc. Il terzo, infine, rappresenta l'elemento peculiare della comunicazione immediata che può realizzarsi, infatti, solo se i partecipanti condividuono luogo e tempo. La comunicazione faccia a faccia può, inoltre, essere formale o informale in base al contesto e al ruolo dei partecipanti. La comunicazione mediata viene, invece, portata avanti mediante l'uso di mezzi esterni ed ha come caratteristica principale il fatto che i partecipanti non si vedono e non si sentono. Viene, quindi, a mancare la condivisione spazio/temporale tipica della comunicazione immediata. All'interno della comunicazione mediata distinguiamo quella scritta e quella elettronica portava avanti mediante l'uso di computer, cellulari, ecc. Nell'ambito della comunicazione umana possiamo distinguere tre aree di studio:  La sintassi; 10 Con il termine codice facciamo riferimento a quel sistema di segni dai significati condivisi che rende possibile la comunicazione. Esso in particolare riguarda l'insieme di suoni, disegni, parole, gesti, usati nell'ambito comunicativo. Umberto Eco fornisce particolare importanza al codice nel suo modello semiontico informazionale. L'assunto principale è che emittente e destinatario siano caratterizzati da competenze linguistiche, enciclopediche e comunicative differenti. La comunicazione diventa, quindi, un processo di negoziazione e cooperazione che può comprendere un processo di rifiuto volontario (Verrastro, 2007). Umberto Eco parla di "decodifica aberrante" che si verifica a causa di:  Assenza di codici;  Disparità di codici tra emittente e destinatario;  Incomprensione del messaggio per interferenza circostanziale (nonostante il codice sia condiviso e la decodifica adeguata non si presenta una corretta interpretazione dei codici);  Rifiuto del messaggio per delegittimazione dell'emittente (si tratta di un rifiuto ideologico). La codifica è quel processo portato avanti dall'emittente con cui cerca di organizzare le proprie idee e parole per produrre un messaggio comprensibile al ricevente. La decodifica, invece, rappresenta il processo con cui il ricevente trasforma quanto giunto dall'emittente in un significato che può risultare uguale, simile, o distante dalle intenzioni dello stesso. Perchè questi processi abbiano successo e, quindi, perchè la comunicazione sia efficace, è fondamentale che il codice sia condiviso. Il Feedback non è altro che l'informazione di ritorno che il ricevente tende ad inviare all'emittente nel corso della comunicazione. Questo risulta di fondamentale importanza proprio perchè permette all'emittente di comprendere adeguatamente se il suo messaggio è stato compreso dall'interlocutore o meno e di comportarsi di conseguenza. 11 Il termine contesto fa riferimento allo sfondo all'interno del quale si realizza la comunicazione, è la situazione in cui essa ha luogo. Esso è caratterizzato da quattro dimensioni:  Fisica;  Temporale;  Sociale (ruoli e posizioni);  Psicologica (clima). Inoltre può essere reale o virtuale. Nel primo caso fa riferimento all'ambiente in cui avviene la comunicazione, nel secondo, invece, alle conoscenze ed ai rapporti che fanno da sfondo al contenuto di una comunicazione. Infine il messaggio rappresenta il contenuto della comunicazione. Esso può essere definito come una singola unità di comunicazione, intesa nel suo insieme di moduli comportamentali (verbali, timbrici, posturali, contestuali) (Serra, 2004). Il messaggio può essere verbale o non verbale e la sua forma dipende dal canale che lo veicola, dal codice usato, e dagli obiettivi dei comunicanti. 1. 3. Comunicazione verbale e non verbale 1. 3. 1. Premessa La comunicazione umana si avvale del contemporaneo uso di più moduli comunicativi e, quindi, della sinergia di più codici semiontici (Vero, 2006). Essa può essere condotta mediante due diverse modalità: verbale cioè espressa mediante il linguaggio, e non verbale che si avvale, invece, di altri mezzi come, ad esempio, i gesti. 12 1. 3. 2. La Comunicazione verbale Ciò che ci distingue dagli animali, nonostante forme di comunicazione per lo più primitive siano presenti anche in questi, è la capacità di comunicare mediante l'uso del linguaggio verbale. Quest'ultimo, che rappresenta la forma di comunicazione più potente ed efficace dell'uomo, fa uso di diversi segni linguistici che permettono di costituire suoni articolati e parole. Il linguaggio verbale presenta diverse caratteristiche tra cui possiamo annoverare:  I significati usati sono arbitrari;  Gli elementi che caratterizzano il linguaggio verbale (parole, fonemi, morfemi, ecc) sono discreti (ad esempio due parole con significati diversi devono avere almeno un tratto fonologico diverso);  Abbiamo due tipi di struttura. Quella che riguarda gli elementi costitutivi e quella relativa ai messaggi linguistici determinati dalle combinazioni dei diversi elementi;  È possibile produrre messaggi verbali nuovi e creativi;  Il linguaggio verbale deve essere appreso;  È possibile parlare del linguaggio;  Il significato dei messaggi verbali è determinato dalle convenzioni sociali;  Usa il canale verbale uditivo;  Tutti sono in grado di produrre e ricevere i messaggi;  Il tipo di linguaggio dipende dalla relazione tra i comunicanti e, quindi, anche dai rispettivi ruoli e dal contesto fisico e sociale in cui essa ha luogo (Vianello, 1998). Le funzioni del linguaggio verbale sono:  Funzione espressiva; 15 proprio contenuto, essere contraddetta (ad esempio in presenza di un opposto stato emotivo) ed essere completata e resa meno ambigua. Le caratteristiche paralinguistiche possono essere definite come l'insieme delle proprietà acustiche transitorie che accompagnano la pronuncia di qualsiasi enunciato e che possono variare in modo contingente da situazione a situazione (Anolli, 2002). Nell'ambito della comunicazione non verbale non possiamo non fare riferimento, tuttavia, anche al silenzio che rappresenta una sorta di strategia di comunicazione il cui significato varia in base alla situazione, alla relazione e alla cultura. In genere esso è associato a condizioni in cui la relazione fra i partecipanti è ambigua o incerta oppure a situazioni di asimmetria nel potere sociale fra i partecipanti (Anolli, 2002). Il sistema cinesico fa riferimento ai diversi movimenti del corpo, del volto e degli occhi. Il primo elemento che possiamo analizzare è dato dalle espressioni facciali che comprende diversi aspetti tra cui la fronte, le ciglia, le sopracciglia, gli occhi, le labbra, le guance, ecc. Quest’ultimi sono stati oggetto di un accurato studio da parte di Paul Ekman e Wallace Friesen che hanno elaborato il FACS (Facial Action Coding System) che rappresenta un sistema di osservazione e di classificazione di tutti i movimenti facciali ed in cui quest'ultimi sono stati divisi in 44 unità di azione (AU) attraverso cui sono analizzabili ben 7000 espressioni facciali. Paul Ekman, nell'ambito dello studio delle espressioni facciali, prende in considerazione due diversi livelli di analisi. Il primo è quello molecolare che riguarda i movimenti minimi e distinti dei vari muscoli che permettono una maggiore espressività del volto. Il secondo riguarda, invece, la configurazione che risulta e si manifesta nell'assumere una determinata espressione facciale come corrispondente ad una data esperienza emotiva (Anolli, 2002). Le espressioni del volto svolgono tre funzioni:  Funzione d'espressione delle emozioni e degli atteggiamenti 16 interpersonali;  Funzione di invio dei segnali relativi all'interazione;  Funzione di manifestazione degli aspetti della personalità (cioè modelli espressivi stabili determinati dalle esperienze di vita) (Cozzolino, 2007). Nell' ambito delle espressioni facciali possiamo parlare anche dello sguardo che è costituito sia da elementi fisiologici ed involontari (ad esempio il battito delle ciglia) che da altri consapevoli. Attraverso lo sguardo è possibile comunicare atteggiamenti interpersonali, istaurare relazioni ed ottenere un ottimo feedback nel corso della conversazione. Ovviamente il tipo di sguardo può variare in base alla relazione tra i soggetti, alla loro personalità, all'argomento, ecc. Inoltre svolge anche una funzione di regolazione durante la conversazione fornendo, ad esempio, i turni per ogni interlocutore. È sicuramente da considerare anche la fissazione oculare cioè lo sguardo prolungato e duraturo. Essa ha un forte impatto nella comunicazione e determina anche la vicinanza o l'allontanamento relazionale tra i comunicanti. Può, infatti, essere segno di minaccia o di vicinanza relazionale. Altro elemento del sistema cinesico è dato dalla postura che rappresenta la posizione che il corpo tende ad assumere sia in stato di movimento che di quiete. Anch'essa ha un ruolo significativo nell'espressione degli atteggiamenti e delle emozioni e nella presentazione della personalità e di se stessi. Argyle prese in considerazione due importanti dimensioni della postura: l'immediatezza e il rilassamento. La prima è indirizzata verso persone con cui si ha un rapporto stretto (di simpatia ad esempio). La seconda, invece, in condizioni di asimmetria di ruolo (ad esempio situazioni di dominanza-sottomissione) (Serra, 2004). L'ultimo elemento del sistema cinesico che prenderemo in esame è quello 17 dei gesti con cui facciamo riferimento alle diverse azioni prodotte consciamente per comunicare informazioni e per raggiungere, quindi, un determinato scopo. Essi riguardano i movimenti degli arti, della testa e di tutto il corpo anche se la maggior parte degli studi sono stati indirizzati verso la gestualità della mani. I gesti presentano diverse funzioni:  Manifestano gli stati d'animo del soggetto;  Indicano e illustrano determinati oggetti;  Sostituiscono stati di conflitto o frustrazione (gesti autistici ad esempio);  Chiariscono meglio i diversi contenuti verbali e il significato dei propri atteggiamenti. Ekman e Friesen hanno definito ben cinque categorie di segnali non verbali che sono state riferite soprattutto ai gesti delle mani. Le classi prese in esame dai due autori sono:  Gesti emblematici cioè emessi intenzionalmente ed aventi un significato specifico (ad esempio il saluto);  Gesti illustratori che rappresentano quei movimenti volti ad illustrare ciò che si dice, a scandire le parti del discorso, a completare il contenuto verbale, ecc;  Gesti regolatori cioè quelli che definiscono gli interventi verbali all'interno di un dialogo (ad esempio i turni di comunicazione) e misurano anche il livello di interesse dell'interlocutore e la relativa volontà di proseguire la conversazione;  Gesti indicatori dello stato emotivo (ad esempio il coprirsi il volto in segno di vergogna);  Gesti adattivi che hanno lo scopo di soddisfare e controllare bisogni, motivazioni, emozioni e che possono a loro volta dividersi in auto- adattivi cioè di manopolazione del proprio corpo; centrati sull'altro; e 20 visione della comunicazione e di una nuova corrente di pensiero nota come "Scuola di Palo Alto". Egli, infatti, fu promotore di un nuovo modello, definito pragmatico in quanto si considerava che per comprendere adeguatamente la psiche del soggetto fosse necessario osservarlo mentre comunica. Capire la psiche voleva, inoltre, dire analizzare e comprendere le relazioni intepersonali che determinano i comportamenti (T. Fogliani, A. M. Fogliani, 2007). L'assunto di partenza della teoria pragmatica, definito dallo stesso Watzlawick nell'opera Pragmatics of Human Communication (1967), fa riferimento alle regole del comportamento-comunicativo raccolte nei cinque assiomi della comunicazione individuati dallo stesso Watzlawick. La scuola di Palo Alto si interessò particolarmente degli effetti della comunicazione sul comportamento, considerando oltre le interazioni verbali e non, tra il mittente e il ricevente, anche il comportamento in generale. Dagli studi di questa nuova scuola di pensiero possono essere tratte due considerazioni. La prima fa riferimento al fatto che, poichè i processi di comunicazione sono a retroazione, non è possibile definire un inizio ed una fine ma ogni partecipante alla stessa può rappresentare nello stesso tempo sia mittente che ricevente. Si ha, quindi, una sorta di circolarità del processo comunicativo poichè ogni comportamento rappresenta l'effetto del precedente e la causa del successivo. La seconda considerazione fa, invece, riferimento al come il normale ed il patologico, all'interno di questa nuova corrente, appaiano come entità del tutto relative in quanto ogni parte della comunicazione non può essere compresa se non nel suo contesto, e quindi, normale e patologico fanno riferimento più a processi interattivi che ad attributi individuali. La comunicazione per la scuola di Palo Alto viene, quindi, intesa in una logica sistemica. Infatti il soggetto, in quanto vive in stretta relazione con l'ambiente circostante, viene in questa nuova visione considerato come un 21 sistema aperto. Pertanto l'interazione continua con l'ambiente, rende un insieme inscindibile individuo e contesto, una totalità che non equivale alla semplice somma delle sue parti e che non può essere definita come l'incontro di due realtà "ermeticamente chiuse" (Verrastro, 2007). La conseguenza della stretta interdipendenza che ne deriva, è che se si ottiene un cambiamento anche minimo in qualsiasi punto del sistema, si avranno ripercussioni sull'intera organizzazione individuo-ambiente (ibidem). Le relazioni che si stabiliscono tra i comunicanti sono influenzate, quindi, sia dal contesto nel qui ed ora dell'interazione, che dalle relazioni tra i diversi sistemi d'appartenenza. Non possiamo, di conseguenza, considerare la comunicazione solo come il mero scambio tra emittente e ricevente. Infatti, secondo la Scuola di Palo Alto, essa si attua con la compenetrazione di sistemi più ampi e sottosistemi, che durante l'interazione incidono in maniera dirompente sulla sua evoluzione (Verrastro, 2007). Inoltre in ambito terapeutico Paul Watzlawick definì il funzionamento del paradosso che collega la logica del cambiamento a quella della comunicazione cioè invece di imporre il proprio linguaggio, il proprio sistema, conviene inserirsi in quello del paziente per condurre ad una trasformazione interiore (Giacomarra, 2008). Un altro concetto importante veicolato dalla Scuola di Palo Alto è quello di realtà di primo e di secondo livello. Infatti secondo questa nuova corrente di pensiero, la percezione della realtà che viene realizzata attraverso i sensi (realtà di primo livello) differisce dall'interpretazione che ne diamo (realtà di secondo livello). Quest'ultima è la base del nostro modo di comunicare intorno a queste percezioni. Solo se vi è un accordo effettivo tra i soggetti interagenti sulle molteplici variazioni di questa interpretazione, può realizzarsi la comunicazione. Ma l'elemento maggiormente caratterizzante Watzlawick e la scuola di Palo Alto è dato, sicuramente, dalla definizione dei cinque assiomi della 22 comunicazione umana. Tali assiomi saranno definiti nei prossimi paragrafi. 1. 4. 2. Il primo assioma Il primo assioma della comunicazione umana definisce l'impossibilità di non comunicare. Questa caratteristica è determinata da due premesse, la prima delle quali afferma che ogni comportamento è comunicazione, e la seconda, invece, che il comportamento non ha un suo opposto e, quindi, in ogni circostanza non è possibile non avere uno specifico comportamento. La conseguenza di queste due premesse sarà, quindi, che in ogni situazione in cui ci troviamo non possiamo non comunicare. Infatti l'attività, lo sguardo, le parole e lo stesso silenzio hanno un insito valore di messaggio e tendono ad influire sul processo comunicativo. Inoltre anche colui che riceve il messaggio non può fare a meno di rispondere a questo e, quindi, di comunicare anch'egli. Anche laddove non vi fosse alcuna espressione verbale, interverrebbe la comunicazione non verbale nel trasmettere le informazioni tra emittente e ricevente. Infatti, ad esempio, un passeggero in aereo che riposa ad occhi chiusi, sta insitamente inviando il messaggio che non intende comunicare, e questo viene accolto dagli altri passeggeri che, infatti, non lo disturbano. 1. 4. 3. Il secondo assioma Il secondo assioma parte dal presupposto che in ogni forma di comunicazione siano presenti sia un aspetto di contenuto che uno di relazione. Quindi avremo un elemento informativo ed uno di comando che fa riferimento alla relazione tra i comunicanti che può essere amichevole, 25 quello digitale. Spesso, infatti, il messaggio che il nostro interlocutore cerca di trasmetterci verbalmente viene da noi interpretato diversamente proprio perchè non lo troviamo congruente con quanto emerge dagli elementi della comunicazione non verbale. 1. 4. 6. Il quinto assioma Il quinto assioma parte dal presupposto che gli scambi comunicativi siano o simmetrici o complementari. Vengono, quindi, definiti due diversi modi di relazionarsi, quello simmetrico e quello complementare. Questi due elementi sono determinati anche dai temi del controllo, dello status e del potere. La comunicazione simmetrica è caratterizzata dall'uguaglianza-parità e, quindi, da un sostanziale equilibrio tra i due partecipanti alla comunicazione. In questo caso facciamo, perciò, riferimento a tutti i rapporti in cui i soggetti interagenti tendono a considerarsi sullo stesso piano, come nel caso dei coniugi, dei colleghi di lavoro, dei compagni di scuola, etc. Gli scambi complementari, invece, si determinano quando i comunicanti si pongono su un piano differente, cioè quando uno dei due tende alla supremazia e l'altro alla sottomissione. La differenza-complementarietà tra i soggetti ne rappresenta, quindi, l'aspetto principale. Un esempio di questa modalità comunicativa è dato dai rapporti tra adulto e bambino, dirigente e impiegato, docente e allievo, che si accomunano proprio per questa diversità di posizione tra interlocutori. Le relazioni tra gli individui non sono mai definitive ma tendono a mutare anche senza l'intervento di fattori esterni. 26 1. 5. Comunicazione efficace e inefficace e stili comunicativi 1. 5. 1. Premessa Come abbiamo già detto, la comunicazione è un aspetto fondamentale in ambito sociale. Risulta, quindi, altrettanto importante riuscire a portare avanti tale processo in modo efficace piuttosto che incongruente e poco comprensibile. 1. 5. 2. La comunicazione efficace Saper comunicare in modo adeguato non è una competenza che riusciamo ad acquisire già dalla nascita, ma si forma nel corso delle nostre esperienze di vita (familiari e sociali ad esempio). In generale si ha comunicazione efficace quando il ricevente interpreta il messaggio dell'emittente così come questo voleva fosse compreso. Si ha, inoltre, comunicazione efficace quando i tre principali elementi del processo comunicativo, cioè il verbale, il paraverbale e il non verbale sono congruenti tra di loro e, quindi, non si contraddicono. Può, infatti, capitare che questi tre elementi risultino incongruenti e, quindi, veicolino verso il nostro interlocutore un messaggio ambiguo e/o contraddittorio. Il portare avanti in modo efficace la nostra comunicazione risulta fondamentale a livello relazionale in quanto ci permette di entrare realmente in contatto con l'altro, di scambiarsi fiducia e di coinvolgersi reciprocamente ottenendo, così, consenso. Gli elementi principali per istaurare una comunicazione efficace sono:  Empatia;  Ascolto;  Flessibilità; 27  Feedback;  Spontaneità;  Assertività. L'empatia è la capacità di comprendere e immedesimarsi nei pensieri e negli stati d'animo altrui mantenendo, tuttavia, la coscienza della propria identità separata. Un aspetto fondamentale di questo elemento è che attraverso l'empatia l'interlocutore evita di analizzare e fornire delle direttive e rinuncia a portare avanti giudizi positivi e negativi sui comportamenti dell'altro. L'ascolto può essere considerato come l'elemento alla base di una comunicazione efficace tanto che la sua assenza può condurre inevitabilmente alla comunicazione inefficace e/o patologica. L'ascolto non è, però, solo passivo ma necessita di una componente attiva cioè di partecipazione diretta per poter comprendere ciò che l'altro sta dicendo. L'ascolto attivo ha come scopo quello di migliorare la comprensione reciproca e si concentra non solo sulle parole ma anche sul comportamento non verbale dell'interlocutore in modo da poter comprendere le diverse sfaccettature (T. Fogliani, A. M. Fogliani, 2007). La flessibilità è un altro aspetto importante di una sana comunicazione. Risulta, infatti, fondamentale riuscire ad adattare, anche in itinere, il nostro modo di comunicare a quello dell'interlocutore. Abbiamo già definito nei precedenti capitoli che cos'è un feedback. Risulta, quindi, direttamente deducibile l'importanza dell'informazione di ritorno nel permetterci di comprendere se l'interlocutore ha compreso il messaggio e comportarci di conseguenza. La spontaneità è un altro elemento che può ritenersi fondamentale in ambito comunicativo. Infatti la comunicazione efficace non può essere, ovviamente, programmata a tavolino ma dev'essere spontanea. Essa è, infatti, il frutto delle nostre esperienze di interazione e dipende da noi, 30  Insuccessi nello studio e nel lavoro;  Problemi familiari (T. Fogliani, A. M. Fogliani, 2007). L'inefficacia della comunicazione può sfociare, inoltre, nella comunicazione patologica. Infatti anche le diverse patologie di carattere psichico presentano peculiari modalità comunicative e secondo diversi studi quest'ultime rappresenterebbero dei fattori fondamentali per la genesi e il mantenimento di tali problematiche. Un esempio in tal senso può essere rappresentato dalla schizofrenia. Infatti il soggetto affetto da tale patologia presenta uno stile comunicativo contraddittorio, frammentario, disperso, sgrammaticato, e caratterizzato da neologismi e forme sintattiche idiosincratiche che, ovviamente, risulta di difficile comprensione e che, tuttavia, permette al soggetto di mantenere un controllo verso le relazioni con gli altri e la propria realtà (Anolli, 2002). Questo stile comunicativo, però, non riguarda solo lo schizofrenico ma si allarga anche ai vari membri della sua famiglia attraverso un peculiare sistema di squalifiche, ambiguità, contraddizioni e bizzarrie imprevedibili. Questa patologia comunicativa sarebbe determinata dall'impossibilità di definire le relazioni tra i partecipanti che rende le interazioni del soggetto insostenibili e la comunicazione impossibile. La comunicazione schizofrenica è, quindi, determinata dalla richiesta paradossale di cambiare una definizione della relazione che non è, invece, mai stata definita. A causa di ciò, ovviamente, ogni tentativo di cambiamento fallirà. Tale situazione porterà a considerare ognuno sempre fuori posto e a svalutare qualunque cosa si faccia. Si giunge, perciò, ad una condizione comunicativa indecidibile perchè diventa impossibile pronunciarsi sulla realtà dei rapporti ed ogni scambio comunicativo finisce nell'ambiguo e nel vago (Anolli, 2002). Di conseguenza anche i significati di ciò che viene detto risultano poco comprensibili e imprevedibilmente contraddittori. Per comprendere adeguatamente, anche da un punto di vista comunicativo, 31 l'eziologia schizofrenica non possiamo tralasciare i concetti di paradosso e doppio legame. Il primo fa riferimento ad una contraddizione che deriva dalla deduzione corretta da premesse coerenti (Anolli, 2002). Abbiamo tre tipi di paradossi: l'antinomia logica che fa riferimento al piano sintattico, quella semantica ed il paradosso pragmatico in cui la contraddizione riguarda il comportamento che diventa, così, impossibile. Il paradosso non conduce inevitabilmente alla patologia ma può comportare tale problematica nel caso del doppio legame. Tale concetto definito da Gregory Bateson fa riferimento ad una sequenza comunicativa contraddittoria che crea una relazione interpersonale disturbata (Anolli, 2002). Tale condizione prevede:  Un soggetto che sia coinvolto in una relazione che sente significativa ed intensa e voglia comunicare, quindi, con quell'interlocutore;  Che questo soggetto rimanga prigioniero di una situazione dove l'altro emette messaggi contraddittori e sia impossibilitato a rispondere adeguatamente agli stessi;  Che non abbia, inoltre, la possibilità di metacomunicare e, quindi, non riesca ad analizzare e/o sottrarsi a questi messaggi paradossali. Secondo Bateson, quindi, la patologia schizofrenica deriverebbe dall'esperienza del soggetto e dal suo conseguente coinvolgimento, sin dall'infanzia, in diversi doppi legami (ibidem). A causa di ciò la struttura astratta e metaforica del linguaggio non viene compresa in quanto la capacità di discriminare i segnali metacomunicativi è altamente compromessa (Verrastro, 2007). 1. 5. 4. Gli Stili comunicativi Dall'efficacia o meno della comunicazione possono derivare un insieme di 32 stili comunicativi. Gli stili comunicativi che possono essere presi in considerazione sono:  Assertivo;  Passivo;  Aggressivo;  Passivo-Aggressivo. Lo stile comunicativo assertivo è tipico di quei soggetti che riconoscono i propri diritti e quelli altrui e sanno ascoltare il punto di vista dell'interlocutore, esprimendo il proprio disaccordo laddove presente, mantenendo, però, il rispetto reciproco. Tale soggetto fa della negoziazione il proprio strumento principale nella risoluzione dei conflitti interpersonali che vengono superati attraverso il libero confronto di idee. La persona assertiva, quindi, riesce a mantenere e coltivare i rapporti con gli altri e a raggiungere gli obiettivi preposti. Ciò gli permette da un lato di mantenere salda la propria autostima e dall'altro di essere rispettato dagli altri. Tra gli elementi tipici di un soggetto assertivo possiamo, quindi, elencare:  L'ascolto attivo;  L'autostima;  Il saper dire di no;  L'avere obiettivi chiari;  Sapersi assumere dei rischi (ad esempio esprimendo liberamente le proprie convinzioni e aspettative);  Criticare in maniera costruttiva;  Saper ammettere gli sbagli;  L'empatia;  Il descrivere in modo avalutativo il comportamento;  Spiegare il cambiamento desiderato del comportamento e considerarne le conseguenze positive e negative; 35 l'opposto al comportamento ne consegue che è impossibile non comunicare qualcosa al nostro interlocutore, anche laddove stiamo in silenzio. Il carcere come luogo chiuso nei suoi schemi comporta, ovviamente, peculiari modalità di comunicazione e di decodifica dei messaggi che, se non adeguatamente conosciute, possono, inevitabilmente, condurre a situazioni conflittuali. l. 6. 2. Il Comportamento comunicativo Il comportamento comunicativo fa riferimento ai messaggi che inviamo esplicitamente o implicitamente attraverso i nostri comportamenti che non sono necessariamente sostenuti o accompagnati dal linguaggio verbale. Ci riferiamo a fenomeni visibili nei diversi contesti in cui viviano, basti pensare a quello familiare o a quello scolastico in cui apprendiamo col tempo quanto necessario per inviare adeguati messaggi e decodificare in modo consono quelli altrui. Si tratta di aspetti già trattati nei precedenti capitoli che, però, possiamo approfondire per quanto riguarda il contesto deviante. In tale aspetto risulta di grande interesse la teoria dell'azione deviante comunicativa portata avanti dal professor Gaetano De Leo e dalla professoressa Patrizia Patrizi (De Leo et al., 2004). L'assunto di base da cui questa prende quota è dato dalla teoria della Goal Direct Action (azione diretta allo scopo) di Harrè e Von Cranach secondo cui le azioni di ognuno di noi sono dirette ad uno specifico scopo con cui si fa riferimento ad un processo di anticipazione mentale degli affetti della nostra azione. Tale teoria viene rappresentata mediante un triangolo concettuale caratterizzato da tre fattori:  Il comportamento manifesto che riguarda quelle caratteristiche del comportamento che possono essere direttamente osservabili; 36  La cognizione cosciente con cui facciamo riferimento ai processi mentali portati avanti dal soggetto cioè i suoi scopi e le sue strategie ad esempio;  I significati sociali che corrispondono alle diverse norme, regole, forme di controllo presenti all'interno della società. Nell'agire finalizzato (nell'associazione di azioni) il comportamento manifesto è guidato (parzialmente) da cognizioni coscienti, che a loro volta sono (in parte) di origine sociale; in questo modo la società attraverso il controllo delle cognizioni, (parzialmente) produce e controlla l'agire dell'individuo, che, d'altra parte, attraverso le proprie azioni, modifica le strutture sociali (De Leo et al., 2004). Da questa definizione risulta chiaro come i significati sociali tendano ad avere una determinata influenza e controllo sulle cognizioni che a loro volta determinano e orientano il comportamento effettivo del soggetto creando, quindi, una sorta di processo a catena. Nell'ambito della teoria dell'azione deviante comunicativa questi tre elementi, vengono visti in un'ottica interazionista e messi sotto forma unitaria nell'azione deviante. Secondo De Leo e Patrizi (De Leo, Patrizi, 2002) nell'azione deviante possiamo riscontrare due diverse tipologie di effetti:  Effetti pragmatico-strumentali;  Effetti espressivo-comunicativi. Con i primi facciamo riferimento ad anticipazioni connesse all'azione (ciò che reputa di ottenere), ai suoi obiettivi e vantaggi. Facendo riferimento ad una rapina, ad esempio, questi effetti riguarderebbero gli oggetti di valore che vengono sottratti. Questi effetti non fanno riferimento, però, solo alle azioni devianti e criminose ma riguardano ogni nostra azione, anche la più comune. I secondi, che fanno riferimento ad un livello cognitivo latente, consistono in anticipazioni espressive cioè il soggetto tende ad usare l'azione per 37 comunicare ed inviare messaggi a se stesso e agli altri ma lo fa in modo non cosciente (De Leo, Patrizi, 2002). Questi messaggi vanno al di là del significato stesso dell'azione perchè tendono ad assolvere delle funzioni più ampie che sono connesse alla soggettività dell'autore in relazione al contesto di riferimento. Uno stesso tipo di crimine può mostrare funzioni comunicative differenti e diversi livelli di consapevolezza del soggetto che le compie in riferimento agli effetti ricercati. Riprendendo il precedente esempio della rapina, possiamo considerare come il soggetto che la attua non si limiti ad ottenere dei vantaggi di carattere strumentale, ma anche espressivi e comunicativi. Quest'ultimi fanno riferimento a ciò che la sua azione può trasmettere negli altri in termini di leardership, forza, ecc, ma anche al contesto di riferimento. De Leo e Patrizi hanno individuato quattro principali effetti espressivi che l'attore sociale tende ad anticipare mediante il comportamento deviante:  Effetti Sè;  Effetti di relazione;  Effetti di controllo;  Effetti di cambiamento. Gli effetti Sè fanno riferimento a quelli che l'azione può produrre sul soggetto agente e sulla sua organizzazione. L'azione permette, infatti, al soggetto di verificare se stesso, definire la propria individualità in interazione, lascia tracce personali e assume feedback che rimandano al processo continuo di elaborazione dell'identità. Nell'agire, infatti, il soggetto comunica con se stesso, riinviando al proprio Sè nuove immagini e negoziazioni con cui costantemente memorizza il proprio essere attore sociale (De Leo et al., 2004). Si tratta di un effetto che si presenta quando, ad esempio, la propria immagine e, quindi, anche l’autostima migliorano in riferimento al raggiungimento di un obiettivo. Gli effetti di relazione risultano connessi agli effetti Sè. Si tratta di effetti 40 determinata subcultura e consentono, quindi, al detenuto di far emergere la propria identità, distinguersi rispetto agli altri ed evitare l'omologazione che il carcere tende a causare (Serra, 2004). Abbiamo diversi elementi individuali ed istituzionali che possono influenzare la comunicaizone non verbale all'interno del carcere. Nel primo caso risultano rilevanti:  Il livello di istruzione che è correlato alle diverse forme, modalità e caratteristiche della comunicazione non verbale. Infatti maggiore è questo aspetto, maggiore sarà la complessità dei comportamenti messi in atto dal detenuto;  Il periodo di detenzione che è connesso alla qualità e quantità dei comportamenti non verbali. Ovviamente un soggetto inserito da poco nell'istituzione manifesta meno elementi non verbali rispetto ad uno più veterano;  L'atteggiamento nei confronti dell'istituzione che può avere degli effetti diretti sulla frequenza e sul tipo di comunicazione non verbale. Un soggetto che accetta la propria condatta ha meno bisogni di esprimere aggressività ed autonomia e, quindi, meno comportamenti atti ad espletare tali bisogni;  Il tipo di reato commesso e l'appartenenza a determinati gruppi culturali che possono orientare il linguaggio corporeo verso determinate direzioni. Tra gli elementi propri dell'istituzione, invece, possiamo annoverare:  La sindrome di prisonizzazione cioè quel processo che comporta la sostituzione dei propri valori con quelli omologanti dell'istituzione carceraria, conducendo, inevitabilmente, il detenuto ad un processo di spersonalizzazione e destrutturazione del sè che comporterà una riduzione dell'espressione corporea fino al silenzio (Serra, 2004);  La deprivazione sensoriale e motoria che è determinata dall'impossibilità di muoversi liberamente, dalla carenza di 41 stimolazioni sensoriali e dalla forzatura nella convivenza fisica con altri soggetti. Ciò può provocare dei disturbi di carattere fisico e psichico che possono limitare l'espressione corporea dei bisogni;  La repressione dell'individualità e il controllo su tutti gli aspetti della vita del detenuto. Tra le forme di comunicazione non verbale all'interno del carcere si fa riferimento anche alle tipologie di aggregazione tra detenuti e alle relative strutture gerarchiche. Ad esempio colui che svolge il ruolo di capo determina tipologie di comunicazione improntate verso il rispetto e la sottomissione. Ovviamente anche il vestiario e i vari oggetti ed accessori che ad esso si accompagnano possono avere la loro funzione comunicativa ed identitaria. Inoltre l'eccessiva cura del proprio corpo, portata avanti secondo modalità che rasentano l'ossessività, l'esercizio fisico, l'uso di tatuaggi, il rifiuto del cibo offerto dall'istituzione sono tutte manifestazioni di come il corpo recluso ed impossibilitato a muoversi ed esprimersi liberamente diventi oggetto di una costante attenzione da parte del detenuto, laddove, invece, esso sembra essere trascurato e abbandonato a se stesso (Serra, 2004). Il tatuaggio in particolare può rappresentare un rito d'iniziazione fondamentale per il nuovo detenuto che attraverso questo può manifestare la sua appartenenza alla cultura delinquenziale ma anche un modo per distinguersi dagli altri ed affermare la propria individualità. Il rifiuto del cibo offerto dall'istituzione e il confezionarselo da solo rappresentano, invece, dei messaggi di rifiuto e aggressività verso questa e di riaffermazione della propria individualità. Anche il modo di rapportarsi con gli altri nelle cosiddette ore d'aria rappresentano dei peculiari modi di comunicare. Infine possiamo annoverare il ruolo dello sguardo che nel carcere perde la sua funzione di sostegno del linguaggio parlato data la prevaricazione tipica della comunicazione verbale che risulta 42 compromessa. Inoltre una peculiarità è data dagli occhi del detenuto che evita di fissare il proprio interlocutore proprio perchè implicato nelle stereotipie del contesto detentivo in cui uno sguardo troppo ostinato e fermo è considerato provocatorio. 1. 6. 4. La comunicazione orizzontale e verticale Anche nel contesto carcerario tanto la comunicazione verbale quanto quella non verbale vengono portate avanti su due livelli diversi cioè quello orizzontale e quello verticale. La prima modalità di comunicazione coinvolge esclusivamente i detenuti. Ogni nuovo detenuto, infatti, nel momento in cui fa il suo ingresso all'interno del carcere, cerca di instaurare i primi contatti con coloro che hanno commesso lo stesso tipo di reato cercando di farsi accettare dagli altri ed integrarsi all'interno del gruppo anche attraverso la costruzione di un'immagine personale adeguata al contesto. Questa è costruita attraverso i racconti sulla vita precedente alla carcerazione e, quindi, anche del reato commesso, che si caratterizzano per aspetti di carattere fantasioso e per quelli ottenuti mediante i feedback che gli altri carcerati gli forniscono. Questi elementi permettono al soggetto di definire una rappresentazione stabile di sè. La costruzione di questa immagine è indirizzata, quindi, all'adattamento e a favorire i rapporti con gli altri detenuti, oltre che fornire una nuova identità al soggetto. La comunicazione verticale è, invece, quella che vede coinvolti, oltre ai detenuti, i componenti dello staff istituzionale cioè agenti di polizia penitenziaria, direttore, educatore, psicologo, assistenti sociali, medico, cappellano, ecc. Si tratta di una comunicazione impersonale e legata ai diversi ruoli, agli stereotipi e pregiudizi, influenzata dalle norme e dalle 45  Berna (Guardia giurata);  Camoscio (Agente di custodia);  Carruba (Agente dei carabinieri);  Carciofone (Agente di polizia penitenziaria);  Dura (Rapina in genere cioè presa di possesso del bottino mediante l'uso della forza e/o della minaccia);  Erbetta (Avere l'ergastolo);  Fibbia (Inviare un messaggio riservato ad un detenuto recluso in un altro carcere attraverso un compagno trasferito nello stesso);  Gaggio (Persona ingenua);  Imbarellato (Persona ottenebrata dalla droga o dall'alcol);  Latino (Latitante);  Loffio (Persona da tenere alla larga);  Marmotta (Cassaforte);  Messia (Assistenti volontari);  Nasca (Persona esosa, incontentabile);  Occhiolino (È lo spioncino del blindo e serve per controllare gli occupanti della cella senza che questi se ne accorgano);  Paranza (Sodalizio fra più persone che si dividono i proventi di attività illecite esercitate in un territorio stabilito dai capi dell'organizzazione);  Peculio (Denaro posseduto dal detenuto e tenuto in un deposito dalla direzione dell'istituto);  Randa (Persona senza fissa dimora, nè lavoro e che si arrangia con piccoli espedienti);  Rebonza (Refurtiva);  Scavellare (Disarmare qualcuno);  Smarronare (Tradirsi nel parlare); 46  Tragicatore (Persona che insinua discordia tra gli altri);  Verbona (Persona stupida);  Zanza (Truffatore). 47 Capitolo 2. La Teatroterapia 2. 1. Premessa Si stanno oggi diffondendo un insieme di tecniche di riabilitazione e di cura lontane da quelle tradizionali e che incorporano aspetti prima non presi in considerazione. Infatti l'uso di forme comunicative anche complesse come lo psicodramma, la musicoterapia, ed in genere di tutte le artiterapie, non sono altro che uno sviluppo del concetto sempre più complesso della cura, attraverso modalità che coinvolgono i diversi registri e le diverse forme della comunicazione (Verrastro, 2007). Oggi il termine terapia non è impiegato, quindi, solo nell'ambito dei trattamenti medici e scientifici ma fa riferimento ad un intervento indirizzato allo sviluppo personale e di tipo umanistico. Infatti tanto l'arteterapia in generale, quanto la teatroterapia nello specifico possono essere considerati come dei veri e propri processi pedagogici di crescita e di sviluppo della persona. In questo capitolo saranno, quindi, affrontate le tematiche relative alle nuove forme di terapia ed alla funzione terapeutica del teatro con particolare riferimento al contesto detentivo. 2.2. L'Arteterapia 2. 2. 1. Qualche cenno storico sull'Arteterapia Modalità arcaiche di arteterapia sono presenti sin dall'antichità. Infatti già 50 motivo gli interventi possono essere indirizzati a diverse utenze tra cui: anziani, minori, disabili, utenti psichiatrici (autistici ad esempio), carcerati, tossicodipendenti, minoranze etniche, ecc. Attraverso questa nuova disciplina, che dà più spazio alle forme espressive non verbali, è possibile ordinare i pensieri e gli avvenimenti della nostra vita attraverso l'immagginario. La base di questa modalità terapeutica è data dal fatto che ogni soggetto è in grado di elaborare creativamente l'insieme delle sensazioni non esprimibili sul piano della parola e nei contesti tipici della vita quotidiana. Attraverso l'azione creativa, infatti, l'immagine interna diviene esterna e permette, quindi, di comunicare e condividere con gli altri i diversi elementi del proprio mondo interiore, cognitivo ed emotivo. Inoltre le nostre emozioni sono condizionate dalle esperienze che ci hanno accompagnato sin dall'infanzia, alcune delle quali, essendo state codificate come negative, sono state sottoposte all'azione dei meccanismi difensivi. Ognuno di noi, quindi, presenta una propria struttura psicologica e formale che risulta unica rispetto agli altri. Attraverso l'arteterapia, quindi, tutto ciò può risultare visibile. Infatti l'arte va sempre a toccare i vissuti delle persone e sia chi dipinge sia chi osserva si trova spesso dentro il quadro come attore protagonista e non (Molteni, 2007). Inoltre l'arte svolge una fondamentale funzione in ambito terapeutico anche perchè permette non solo l'espressione del problema ma anche fornisce a quest'ultimo una vera e propria identità attraverso l'uso di specifici metodi e tecniche diverse in base al tipo di arteterapia. Permette, altresì, di visualizzare il problema da un altro punto di vista in modo da avvicinarsi maggiormente alla risoluzione. L'arteterapia non viene portata avanti a distanza ed in solitudine ma si base anche e soprattutto sul contatto emotivo tra l'utente e il terapeuta che, per realizzare le finalità che ci si propone, dev'essere fondato sulla fiducia. Solo, infatti, attraverso quest'ultima è possibile porre le basi del rapporto terapeutico in cui l'attività dell'operatore non sia vissuta 51 come intrusiva. L'arteterapeuta, però, non deve concentrarsi su quanto emerge dalla performance del soggetto, sia essa un disegno o l'interpretazione di un personaggio, ma deve concentrasi su quegli elementi che possono essere significativi da un punto di vista comunicativo in quanto permettono di comprendere quegli elementi alla base del problema. È, infatti, più importante comprendere cosa il soggetto, attraverso la propria opera, vuole comunicarci, rispetto all'elemento meramente estetico. In questo lavoro, di conseguenza, non c'è spazio per interpretazioni riguardo i prodotti artistici perchè il significato di quest'ultimi è sempre soggettivo, personale ed egocentrato e va, quindi, individuato attraverso il colloquio facendo in modo che sia lo stesso soggetto a identificare il vero messaggio della propria creazione. Inoltre l'arteterapia si concentra sulle risorse del paziente e non sui suoi limiti, favorendo così anche la fiducia nelle proprie capacità. Infatti agendo sulle risorse e, quindi, su quanto di positivo il soggetto possiede, è possibile facilitare i cambiamenti e renderli stabili nel tempo. L'arteterapia si concentra sul patrimonio relativo alla creatività, alla fantasia, all'intuizione, alle percezioni sensoriali del soggetto, dando meno spazio invece all'intelletto e all'aspetto cognitivo, come base di sostegno verso le situazioni difficili della vita che il soggetto può incontrare. Infatti, ad esempio, attraverso il disegno e i relativi colori è possibile entrare in contatto con gli elementi aggressivi del soggetto, attraverso la musica facilitare l'espressione dei sentimenti ed emozioni, attraverso la danza rendere possibile l'espressione del linguaggio corporeo al di là delle convenzioni sociali ed, infine, mediante il teatro permettere al soggetto di interpretare più ruoli e mettersi, quindi, nei panni degli altri (L'Arteterapia e l'Espressione di se stessi, scaricato da www.benessere.com/ , il 7/10/2010). Mediante tutte queste tecniche e materiali l'arteterapia favorisce, quindi, la conoscenza di se stessi e delle proprie risorse e potenzialità, facilitando in 52 questo modo non solo la risoluzione dei problemi ma anche l'evoluzione e la crescita personale. 2. 2. 3. Ambiti di intervento In generale l'arteterapia può essere utilizzata per tre tipologie d'intervento:  Terapeutico;  Riabilitativo;  Preventivo ed educativo. Il primo ambito di intervento è volto al trattamento terapeutico e riabilitativo di soggetti con handicap e disturbi psichiatrici molto gravi come gli schizofrenici e gli autistici. In questo contesto l'arteterapia può risultare molto utile, soprattutto se associata ad un adeguato lavoro d'equipe che comprenda diverse figure professionali tra cui medici, psichiatri, psicologi, logopedisti, ecc. Attraverso questo intervento multidisciplinare è possibile, quindi, ottenere risultati soddisfacenti con un maggiore miglioramento del paziente. Un ruolo fondamentale in ambito terapeutico, più che alle tecniche espressive che in ogni caso risultano molto importanti in tal senso, è dato dalla relazione che si instaura tra il terapeuta ed il paziente. Tuttavia attraverso queste metodologie espressive, come già detto nei precedenti paragrafi, è possibile essere consapevoli delle immagini, delle sensazioni, e dei diversi elementi propri del paziente che non possono essere facilmente espressi con le parole. Infatti i soggetti che presentano handicap gravi possono riuscire ad esprimersi adeguatamente mediante il corpo, i gesti, i disegni, i balli, ecc. Il secondo ambito di intervento fa riferimento all'insieme di attività che sono rivolte ad anziani, bambini, adolescenti e adulti portatori di handicap fisici senza presenza di problematiche di carattere psichico ma presenta 55 fanno del corpo e degli elementi emotivi determinati da questo il proprio target d'intervento. Infatti attraverso la danza è possibile liberare il corpo ed in questo modo facilitare l'espressione delle emozioni , dei sentimenti e dei pensieri. Il movimento libero tipico di quest'attività permette, quindi, al soggetto di entrare in contatto con questi elementi. Anche il cinema ed i video possono avere una funzione terapeutica. Infatti attraverso queste metodologie è possibile dar forma alle proprie emozioni dando la possibilità a ciascuno di impersonare contemporaneamente il ruolo di attore, registra, spettatore, lasciando, così, ampio spazio al proprio immaginario. Infine il teatro, di cui tratteremo approfonditamente nel prossimo capitolo, che in linea di massina permette al soggetto di comunicare con il corpo e con la voce, di assumere una prospettiva diversa attraverso l'impersonificazione del personaggio e di giocare con ciò che è finzione e ciò che è verità. 2. 3. Fondamenti di Teatroterapia 2. 3. 1. La storia della teatroterapia Già a partire da Aristotele è possibile individuare una maggiore attenzione al teatro con funzionalità terapeutica. Si deve, infatti al filosofo greco il concetto di catarsi (da "katharsis" che può essere tradotto come purificazione). Per Aristotele, infatti, lo scopo del dramma era quello di purificare gli spettatori attraverso una sorta di eccitazione artistica di alcune emozioni che fungevano, quindi, da valvola di sfogo delle passioni personali. Altri precursoni possono essere considerati il marchese De Sade (1740-1814) che rinchiuso nel manicomio di Cheranton allestiva dei lavori 56 teatrali, e l'abate Giovanni Maria Linguiti che svolgeva la stessa funzione nell'ospedale di Anversa (Teatroterapia: la funzione terapeutica del teatro, Marika Massara, scaricato da www.psicologia-psicoterapia.it/ , il 14/10/2010). Tuttavia il vero e proprio incontro tra teatro e psicologia si è verificato nel '900 ed in particolare intorno agli anni 60'. Tale condizione è stata favorita sia dalla nascita dei primi laboratori teatrali e di nuovi training per l'attore, che dall'antropologia teatrale e da innovazioni sia nel setting che nelle teorie di carattere psicoterapeutico e psicologico. Risultano in questo senso di grande importanza il lavoro di Jerzy Grotowsky "Per un teatro povero" in cui si considera il rinnovamento del teatro determinabile dai non professionisti ed in cui sono delineati i principi del laboratorio teatrale e quello di Peter Brook "the empty space" (in italiano "spazio vuoto") in cui l'atto teatrale viene visto come una forma di purificazione tanto dell'attore quanto del pubblico. Nei nuovi setting che vengono, così, strutturati si cerca di ricondurre all'unità attraverso una nuova estetica e nuove metodologie in grado di integrare il soggettivo e l'oggettivo, mente e corpo, reale e immaginario, disciplina e spontaneità, arte e vita, individualità e collettività, tradizione e ricerca del nuovo (Teatroterapia: la funzione terapeutica del teatro, Marika Massara, scaricato da www.psicologia- psicoterapia.it/ , il 14/10/2010). L'incontro tra teatro e psicologia non è poi così assurdo se consideriamo che entrambi pur con metodi e obiettivi diversi, possono essere considerati forme di conoscenza del mondo umano e possono anche essere visti, nella loro dimensione applicativa, come forme di comunicazione, modi di entrare in relazione, strumenti per intervenire e provocare un cambiamento, in una situazione, in una persona, in un gruppo (Cavallo, 2006). Inoltre col passare degli anni lo scopo dei laboratori teatrali non fu più solo quello di creare un teatro che si limitasse a rispecchiare la società ma bensì che potesse anche cambiarla. Da qui l'ingresso della teatroterapia nei 57 contesti di disagio. Tale aspetto ha avuto come maggiore precursore Jacob Levi Moreno ed il suo psicodramma. Allo psicoterapeuta romeno si deve, infatti, la creazione nel 1908 del primo laboratorio teatrale d'intervento nelle situazioni di margine. Lo psicodramma non è altro che una forma di psicoterapia di gruppo in cui ogni paziente rappresenta se stesso, dando forma drammatica (teatrale) alle proprie vicende interiori, passate o presenti, in una restituzione del senso, della unitarietà della propria esperienza e della totalità della psiche, derivante dall'oggettivazione della propria dinamica psichica e dallo scambio relazionale instaurato nel gruppo (Teatroterapia: la funzione terapeutica del teatro, Marika Massara, scaricato da www.psicologia-psicoterapia.it/ , il 14/10/2010). A partire dagli anni Settanta, invece, la teatroterapia inizia ad essere riconosciuta come una disciplina autonoma, come forma di istruzione, ricreazione, psicoterapia. Infine a partire dagli anni Ottanta viene riconosciuta in tutto il mondo come alternativa allo psicodramma; parallelamente diviene evidente che l’applicazione della drammaterapia non si esaurisce nel contesto scolastico-educativo e che metodologicamente si spinge molto oltre il semplice sostegno o incoraggiamento alla creatività, per esplorare e risolvere importanti problemi emotivi e relazionali (Cavallo, 2005). 2. 3. 2. Le Origini della teatroterapia Il teatro deriverebbe dalla storia della nostra civiltà e dalla religione. In particolare un suo antecedente sarebbe dato dalle forme rituali che sono state utilizzate sin dai primi anni di storia della civiltà umana. Il rito è connesso ad un luogo diverso rispetto alla vita quotidiana del soggetto. In esso, infatti, si verifica una sorta di trasformazione come avviene, ad 60 la teatroterapia è dato dall'autoanalisi cioè dalla capacità del soggetto di capire che la propria personalità è costituita da svariate componenti che possono essere gestite e ciò permetterebbe la rimozione dei blocchi psicologici. L'intervento curativo permette la gestione dei conflitti consci e inconsci del soggetto attraverso lo sviluppo di nuove interpertazioni di ruolo. Infatti la teatroterapia aiuta i soggetti nevrotici, depressi, borderline a sentirsi liberi di determinare le loro capacità espressive attraverso il mezzo dello spazio scenico. Inoltre il teatro permette al soggetto di migliorare le proprie capacità comunicative e modificare il proprio atteggiamento nel rapporto con il resto del mondo. L'intervento riabilitativo è indirizzato verso i soggetti in fase di recupero o reinserimento sociale come nel caso dei carcerati e dei soggetti affetti da dipendenze e non solo, quindi, verso i disabili. Il teatro, infatti, permette a questi soggetti di riprendere coscienza delle proprie capacità immaginative, motorie e spontanee e a prendere consapevolezza del proprio passato come base per riscattarsi da esso. Il recitare la parte del personaggio può aiutare tali soggetti a superare determinati traumi. L'intervento educativo e formativo viene portato avanti principalmente nell'ambito della scuola. In quest'ultimo contesto, infatti, il teatro risulta particolarmente utile sia perchè permette al soggetto, nell'interpretazione del personaggio, di scoprire peculiari capacità non emergenti spontaneamente dal contesto scolastico, sia perchè crea un atmosfera di gruppo positiva caratterizzata da collaborazione reciproca, rispetto e fiducia negli altri. Nonostante lo scopo ultimo della teatroterapia sia quello di prevenire e curare, anche l'aspetto meramente artistico svolge una funzione importante. Anche se nell'intervento l'arte funge da veicolo e non da spettacolo, quindi, la ricerca artistica può in ogni caso rafforzarne il significato. 61 2. 3. 4. Il gruppo e il conduttore Il gruppo che partecipa alla teatroterapia solitamente è composto da un minimo di dieci ad un massimo di venti persone. L'utilità di questi gruppi è data dal fatto che tendono ad oscillare tra la dimensione individuale ed il senso d'appartenenza, tra l'intrapsichico e l'extrapsichico e facilita la relazione individuo-gruppo, la formazione di coppie ed il lavoro in sottogruppi (Orioli, 2007b). Il gruppo può, inoltre, essere costruito in forma chiusa, semi aperta o aperta. Il primo tipo è costituito da un'attenta selezione dei partecipanti e non include cambi in itinere anche in caso di abbandono da parte di un membro del gruppo. Anche il tempo risulta prestabilito, infatti possono durare da tre mesi ad un anno massimo. Il secondo rappresenta la modalità maggiormente utilizzata e può durare da un anno a massimo due. Sono previsti inserimenti anche se in momenti prestabiliti. Se viene gestito in modo adeguato il gruppo semi aperto è molto simile a quello chiuso ma a differenza di questo presenta svariati vantaggi perchè permette al carattere del gruppo di variare e favorisce un maggior grado di maturazione dei membri dovuto ai diversi processi di adattamento che il gruppo deve affrontare. Infine la terza tipologia di gruppo è il più raro in quanto prevede una rapida rotazione di persone. Si ha un grado di progresso basso anche se il lavoro è maggiormente continuo e stabile rispetto agli altri due gruppi. Sono, inoltre, possibili altre tipologie di gruppo come quelli a termine o in laboratori esperenziali, quelli semi aperti a carattere continuativo, ecc. Anche nei gruppi di teatroterapia, così come negli altri, viene posto molto rilievo alle caratteristiche dello stesso ed in particolare ad elementi come l'età, le caratteristiche caratteriali, socioculturali e psicopatologiche, ma a differenza degli altri viene attenzionato anche e soprattutto lo stile motorio- 62 espressivo dato che la modalità di comunicazione psicocorporea che la teatroterapia fa emergere può dare minore peso alle varie differenze tra i partecipanti. L'importanza del gruppo in teatroterapia è data dal fatto che attraverso questo è possibile condividere emozioni, sentimenti, problematiche che possono essere facilmente elaborabili dal soggetto stesso, e dal miglioramento che si registra nelle capacità relazionali del partecipante. Infatti la disponibilità o meno delle persone a mettersi in relazione permetterà la liberazione dei desideri più nascosti e, quindi, la conoscenza degli stessi. Ma ancor più permetterà di accedere a immagini autentiche di sè attraverso la relazione con i compagni di gruppo e, quindi, di ipotizzare nuove prospettive dell'Io in dimensione sociale (Orioli, 2007a). Per quanto riguarda il conduttore si tratta di colui che ha il compito di gestire l'intero gruppo e il relativo processo creativo. È un vero e proprio leader che agisce al servizio del gruppo con lo scopo di giungere alla crescita dello stesso. Il conduttore ha, innanzitutto, il compito di fondare il setting e curarne le relative dinamiche emergenti. Per riuscire in tale scopo deve, però, svariare in diversi ruoli in base alle situazioni e, quindi, essere in grado di passare da una condizione di leader-terapeuta, a facilitatore o soggetto del gruppo-paziente, ecc. Si tratta, perciò, di un conduttore che viene visto come vero e proprio "condensatore" delle forti correnti dinamiche che attraversano il campo relazionale, che, per aiutare gli altri a divenire quello che sono, deve essere in grado di intuire quando offrire sostegno contenitivo al gruppo, quando essere discreto, mostrando la capacità di stare in disparte sullo sfondo, e quando porsi in posizione di ascolto di sè, oltre che del gruppo (Orioli, 2007b). Inoltre il conduttore deve partecipare attivamente al movimento, alle azioni sceniche, al contatto corporeo e sensoriale insieme ai vari membri del gruppo data la funzione della teatroterapia che rappresenta una 65 svolgimento dello spettacolo l'attore non è più posseduto dal suo personaggio. 2. 3. 6. Landy: Il concetto di Ruolo e di Distanza Nell'ambito del rapporto tra attore e personaggio non possiamo non citare le considerazioni di Landy sul concetto di ruolo e di distanza dallo stesso. Egli, infatti, considerava i concetti di storia e ruolo fondamentali nell'uso terapeutico del teatro. Il concetto di ruolo e storia risultano interconnessi tra di loro perchè l'attore/cliente dà vita ai propri ruoli mediante una storia. Quest'ultima non rappresenta solo la narrazione ma fa riferimento alle espressioni, ai gesti, ai suoni che permettono al regista/terapeuta e agli altri attori di comprendere la natura del ruolo giocato da quel singolo partecipante. Il ruolo, invece, rappresenta il contenitore di quegli elementi che l'individuo ha bisogno di rendere manifesti. Ruolo e storia sono gli strumenti essenziali per la trasmissione dei messaggi tra cliente e terapeuta. Tutte le comunicazioni che si attivano in drammaterapia, intrapsichiche e interpersonali, almeno dal punto di vista del cliente, procedono attraverso questi media. Essi possono essere chiamati media primari, dal momento che molti degli specifici mediatori espressivi, come burattini e maschere, video e improvvisazione, prendono vita dalle fonti di ruolo e storia. I mediatori specifici diventano quindi media secondari, i quali incarnano le proiezioni del cliente mentre gioca un ruolo o racconta una storia. I media drammatici sono delle interfaccia tra i due livelli di realtà: quello della vita quotidiana e quello dell’immaginazione. Giocando un ruolo e raccontando una storia, il cliente in terapia drammatica entra nella realtà immaginativa (narrativa), allo scopo di commentare la realtà quotidiana o di riflettere su di essa (Landy, 2005). I media secondari sono gli strumenti concreti del 66 trattamento, quelli che possono illuminare la natura di ruoli e storie dei clienti. È il compito del terapeuta aiutare il cliente a trovare i ruoli da giocare e le storie da raccontare, che possano fornire uno specchio che riflette la sua vita. Un terzo importante elemento è l'atto creativo, la fonte da cui i media primari prendono vita. Questo rappresenta il tempo delle origini, il momento dell'azione spontanea: verbale, tonale o gestuale. Al cliente in terapia è proposta una sorta di nascita, un chiamare all'esistenza parti di sé e del mondo, organizzando la propria creazione (Landy, 2005). Il concetto di distanza viene, invece, introdotto da Landy per dare una chiave di lettura rigorosa alla distinzione tra attore e ruolo. Gli attori, infatti, non diventano i personaggi che stanno interpretando, ma avvicinano se stessi e le loro esperienze alla performance, si muovono attraverso un tempo reale ed un tempo immaginario, da una realtà ordinaria a una realtà teatrale (ibidem). Il concetto di distanza indica il livello del coinvolgimento affettivo/cognitivo del soggetto che partecipa all'atto teatrale. Un positivo ed ottimale coinvolgimento viene descritto come distanza estetica, in cui abbiamo l'equilibrio di affetto e cognizione. I livelli di squilibrio sono, invece, identificati come ipodistanza, in cui abbiamo un eccessivo coinvolgimento emotivo, e iperdistanza, in cui, al contrario, abbiamo un eccessivo distacco emotivo. Landy fa coincidere il concetto di distanza estetica con quello di catarsi. Egli afferma che “la catarsi in drammaterapia non è necessariamente uno sfogo di forti sentimenti, uno sgorgare di lacrime o un parossismo della risata. È spesso una reazione modesta, un piccolo momento di riconoscimento. La catarsi implica l’abilità di riconoscere le contraddizioni, di vedere come aspetti conflittuali delle vita psichica o della vita sociale, del pensiero, del linguaggio o del sentimento possono esistere simultaneamente" (Landy, 1999; p. 140). Il lavoro drammaterapeutico ha come scopo ultimo proprio il modificare la distanza e il movimento tra i due estremi. Ciò può avvenire avvalendosi 67 delle tecniche proiettive. Per chiarire bene a cosa facciamo riferimento possiamo citare lo stesso Landy che definisce la proiezione come: "un processo in cui si immagina che un altro si sente come ci sentiamo noi" (Landy, 1999; p. 13). Il soggetto, infatti, attraverso queste tecniche proietterebbe alcuni elementi propri sul personaggio ed entrerebbe, quindi, seppur indirettamente, in contatto con questi. 2. 3. 7. Teatro e gioco L'importanza del gioco per l'essere umano è ben visibile sin dai primi anni di vita. Infatti già Piaget si era interessato del gioco del bambino individuando nel gioco percettivo-motorio, in quello simbolico, ed in quello di gruppo con regole, le tre fasi che si susseguivano nel corso dello sviluppo del bambino. Ma fu Donald Winnicot a dare per la prima volta un valore terapeutico al gioco, considerandolo anche alla base della sanità individuale. Celebre è il concetto di oggetto transizionale con cui si fa riferimento a quell'oggetto che permette al bambino di provare la prima esperienza di separazione tra Io e non Io. Nell'ambito specifico della teatroterapia sono state individuate, nell'interazione tra il gioco ed il teatro, ben quattro fasi:  Fase della fusione;  Fase della disillusione;  Fase della recitazione;  Fase dell'integrazione. Nella prima fase, che coincide con il processo pre-espressivo, l'attore ed il personaggio sono fusi. L'attore si prepara, quindi, ad improvvisare un personaggio derivato dall'inconscio attraverso un processo regressivo- catartico che lo mette in contatto con le fasi primarie dello sviluppo (Orioli, 70 considerato solo una fase di riscaldamento in quanto si occupa anche di modellare le azioni e preparare il cliente/attore alla messa in scena. La fase pre-espressiva può essere suddivisa in cinque livelli:  Tecnico;  Regressivo;  Libero;  Sensoriale;  Trascendente o transpersonale. Col primo livello facciamo riferimento a tutti i metodi che riguardano l'allenamento dell'attore e che sono stati influenzati dalle diverse culture teatrali, sia occidentali che orientali. Il secondo livello, invece, fa riferimento alla manifestazione di pulsioni sessuali e relazioni oggettuali appartenenti a fasi di sviluppo già superate. Gli stati pre-espressivi regressivi rischiano di scaricare tutta la creatività dell'attore lasciandolo, quindi, in balia delle emozioni (Orioli, 2007a). A differenza di quello tecnico in cui viene maggiormente attenzionato il rapporto tra persona e corpo organico, tra movimento e percezione del corpo in movimento, nel livello regressivo l'attenzione è indirizzata al lavoro vocale. Il terzo livello fa riferimento ad uno stato e anche stile di conduzione in cui l'attore viene lasciato libero di improvvisare in uno spazio di gioco rituale (Orioli, 2007a). Rappresenta una fase di pre-improvvisazione teatrale in cui il soggetto non deve, necessariamente, immedesimarsi col personaggio ma è indirizzata alla creazione, libera, per l'appunto, di gesti e suoni. Il quarto livello riguarda la percezione dell'intero apparato sensoriale del corpo nel corso delle attività rituali ma anche il senso dell'orientamento nello spazio mostrato dal soggetto attraverso l'udito, la vista, il tatto e l'olfatto. Il quinto livello, infine, fa riferimento ad una sorta di esperienza extra- 71 corporea ed extra-psichica; un'esperienza mistica sperimentata nella dimensione verticale, difficilmente spiegabile razionalmente (Orioli, 2007a). Il processo espressivo è fondato su un intenso lavoro sui sentimenti e sul vissuto del protagonista partendo da azioni spontanee e improvvisate più o meno guidate (Orioli, 2007b). Si tratta di una fase molto importante che permette al soggetto, dopo i risultati ottenuti in fase pre-espressiva, di esprimere senza alcun impedimento ed ostacolo i propri sentimenti ed il proprio essere grazie alla libertà fornita dalla finzione teatrale. Il soggetto, infatti, all'interno dell'atto teatrale non deve necessariamente fingere, come fa nella vita reale, ma può essere se stesso in quanto ha la possibilità di rispecchiarsi in qualunque personaggio. Quindi l'attore può liberamente interpretare l'azione sia identificandosi che estraniandosi da questa. È proprio in questo processo che agiscono le dinamiche di ingranamento- possessione del personaggio. L'espressivo rappresenta una fase di improvvisazione e di decisione di quegli aspetti di sè a cui fornire maggiore attenzione ed un linguaggio. Inoltre possono essere sperimentati uno o più ruoli attraverso un insieme di esercizi-guida come la costruzione di maschere, l'interpretazione di oggetti o animali, lo sviluppo di temi suggeriti dal terapeuta o dagli altri partecipanti (Teatroterapia, il benessere in scena, scaricato da www.benessere.com/, il 15/10/2010). In questa fase, attraverso la costruzione di un personaggio, sarà possibile rendere comunicabili e, quindi, comprensibili alcuni elementi dell'attore con cui quest'ultimo potrà entrare in contatto. Si realizza, infatti, un vero e proprio processo proiettivo. Il processo post-espressivo ha come obiettivo il dare una conclusione all'atto creativo ed un significato sociale e culturale all'opera e consiste nell'integrazione di azioni e testi che permette, infatti, di dare un senso di gruppo alle improvvisazioni. L'attività post-espressiva fa riferimento a due 72 aspetti distinti:  Attività analitica;  Attività artistica. La prima è condotta da uno psicologo teatroterapeuta che, attraverso l'attività con il gruppo, mira a far comprendere ad ogni partecipante tutti quegli elementi emersi nel corso della performance e dell'interpretazione dei personaggi. La seconda, invece, riguarda la ripetizione di azioni e scene per migliorare e specificare la qualità della performance del soggetto (Orioli, 2007b). Si tratta, in generale, di una fase in cui si porta avanti un'accurata analisi dei vissuti e dei processi avvenuti in precedenza modificando alcuni aspetti per giungere ad una rielaborazione condivisa. E' inoltre la fase in cui viene analizzato con distacco il personaggio diventando osservatori esterni e registi di se stessi, un lavoro che permette di definire dettagli attraverso un percorso che risponde al bisogno ed alla possibilità di mettere in relazione mondo interno e mondo esterno (Teatroterapia, il benessere in scena, scaricato da www.benessere.com/, il 15/10/2010). Nel post-espressivo abbiamo la cosiddetta transizione teatrale che rappresenta la messa in scena delle azioni, la prima rappresentazione dell'atto teatrale. Si tratta, infatti, del momento in cui il processo creativo sviluppatosi nella fase delle improvvisazioni deve trovare il suo compimento nella costruzione delle scene. 2. 3. 9. La funzione terapeutica del teatro Da alcuni anni si sta diffondendo sempre di più una nuova forma di terapia fondata sul teatro. Oggi, infatti, la psicoterapia sembra convergere con il fare teatro, soprattutto in contesti clinici, riabilitativi, educativi, artistici. La 75 che da queste emergono, sono connessi con un'esperienza profonda che può essere integrata nella vita quotidiana. 2. 4. La teatroterapia in carcere 2. 4. 1. Il teatro sociale Oggi si sta diffondendo sempre di più un uso comunitario e sociale del teatro che, quindi, è uscito dal contesto prettamente estetico e professionale per estendersi ad interventi di carattere terapeutico, riabilitativo e reintegrativo in ambito sociale ed in particolare nei contesti di disagio. Secondo Claudio Bernardi "il teatro sociale si occupa dell'espressione, della formazione e dell'interazione di persone, gruppi e comunità, attraverso attività performative che includono diversi generi teatrali, il gioco, la festa, il rito, lo sport, il ballo, gli eventi e le manifestazioni culturali. Il teatro sociale è parte dell'impegno antropologico attuale i cui punti forti sono la costruzione sociale della persona; la dinamica delle relazioni interpersonali e le comprensioni intersoggettive; la struttura delle comunità e delle forme sociali di piccola scala; si propone quindi come azione o liturgia delle comunità, minacciate di estinzione dall'omogeneizzazione e personalizzazione della cultura da parte della società mediale, e come ricerca del benessere psicofisico dei membri di qualsiasi comunità attraverso l'individuazione di pratiche comuinicative, espressive e relazionali, capaci di attenuare il malessere e lo stress individuale tipico della società occidentale" (Bernardi, Cuminetti, 1998, p. 157). Sulla stessa linea d'onda è anche Alessandro Pontremoli che afferma: "il teatro sociale è un preciso modello teatrale, all'interno del quale operano alcuni soggetti: persone, gruppi e comunità" (Pontremoli, 2007, p. 76 30). Queste definizioni, quindi, insistono sul ruolo sociale del teatro che può produrre cambiamenti su singoli individui, gruppi e comunità. Infatti il teatro educativo e sociale non presenta come scopo ultimo il prodotto estetico costituito dal mero spettacolo ma la possibilità di istaurare un vero e proprio processo di trasformazione che riguardi singoli individui, gruppi e società. In questa forma di teatro, inoltre, le relazioni hanno maggiore importanza rispetto ai significati e agli esiti artistici. Il teatro sociale presenta svariate funzionalità. infatti permette ai soggetti di rientrare in contatto con se stessi fornendo una concreta possibilità di recupero di frammenti di storia personale da ricondurre ad unità. Questo perchè le pratiche performative del teatro educativo e sociale che si realizzano in situazioni protette, come ad esempio il laboratorio teatrale, sono un efficace strumento per aiutare la persona a tornare ad essere protagonista della propria vita, in virtù della scoperta della propria idea narrativa (Pontremoli, 2007). La facilitazione delle relazioni, inoltre, è dovuta dalla creazione all'interno del gruppo teatrale di un processo di condivisione dell'altro. Tutto ciò può essere realizzato attraverso la narrazione a livello collettivo. Infatti il racconto di sè con una messa in gioco senza riserve, mostra l'identità dell'altro, diventa occasione di incontro e permette, nel dialogo pacifico che costruisce la propria identità il riconoscimento dell'identità altrui (Pontremoli, 2007). Il teatro può divinire anche un importante mezzo di riduzione delle caratteristiche tipiche di alcune istituzioni che sono organizzate in termini gerarchici ed in cui le relazioni sono di tipo distribuitivo cioè da un centro di potere alla periferia. Le relazioni che si vengono a creare, ad esempio all'interno di un gruppo di detenuti, in un laboratorio teatrale possono ridurre le dinamiche di potere, tipiche del contesto carcerario e predisporre le basi per nuove modalità interattive. I nuclei tematici dell'intervento teatrale in ambito sociale sono tre:  Le istituzioni; 77  Il territorio;  L'azione. Per quanto riguarda il primo è chiaro che un intervento teatrale nel contesto sociale non può fare a meno della collaborazione con le istituzioni che deve essere caratterizzata dal rispetto reciproco dei rispettivi ruoli e dalla condivisione del progetto d'intervento. La relazione con le istituzioni è finalizzata alla trasformazione delle stesse nonchè della comunità in cui sono presenti. Lo scopo del progetto realizzato insieme alle istituzioni è, quindi, quello di analizzare l'emergenza delle molteplicità dei bisogni in gioco; proporre gli strumenti per rispondere adeguatamente a questi; tutelare tutti i punti di vista coinvolti; definire relazioni che possano salvaguardare l'identità dei soggetti a cui è rivolta la proposta teatrale; valorizzare le pluralità delle azioni che possono essere anche di tipo terapeutico, animativo, di comunità, ecc (Pontremoli, 2007). Per questo motivo la gestione di tale processo non viene affidata solo al conduttore ma ad una vera e propria equipe d'intervento che ne condivide le responsabilità. In questo modo è possibile evitare i rischi che possono presentarsi lungo il percorso (come il narcisismo del conduttore, ad esempio, in cui quest'ultimo può considerare di avere priorità decisionale) e minare, così, l'efficacia dell'intervento. Il secondo nucleo tematico è rappresentato dal territorio che fa riferimento al contesto in cui vive una determinata comunità. All'interno di questa vi sono molte differenze di carattere religioso, culturale, sociale, che possono comportare dei conflitti. Il teatro sociale può, intervenendo sul territorio, ridurre tale problematica favorendo la conoscenza ed il rispetto reciproco. Tutto ciò è possibile attraverso la festa che rappresenta uno strumento di tipo rituale che può mettere in relazione tra loro culture molto distanti e creare uno spazio dove è possibile il cambiamento, la trasformazione, l'aggregazione e la condivisione. Nonostante le diversità culturali esiste sempre un linguaggio 80 Gozzini, si incominciò a sviluppare una forte tendenza verso un carcere che fosse meno segregante e il più possibile riabilitante. Infatti vennero particolarmente incrementate le misure alternative alla detenzione, considerando, inoltre, il diritto di risocializzazione per ogni detenuto. Attraverso questo maggiore interesse nei confronti della rieducazione e del reinserimento sociale, a partire dalla seconda metà degli anni 80' sono stati, quindi, istituiti i primi gruppi teatrali tra cui la Compagnia della Fortezza che opera stabilmente nel carcere di Volterra, di cui tratteremo nel prossimo paragrafo. L'attività teatrale all'interno del carcere risulta particolarmente importante se teniamo conto delle caratteristiche di questa istituzione. Infatti la vita dei reclusi si caratterizza, a differenza della nostra, per il fatto che il carcere è l'unico e solo luogo possibile al ristretto in cui dormire, mangiare, lavorare, trascorrere il tempo, mantenere rapporti con gli altri. Ogni fase della vita del recluso, inoltre, viene controllata ed organizzata secondo ritmi prestabiliti dalle norme istituzionali e ogni libera iniziativa viene repressa (Serra, 2004). Inoltre nel contesto penitenziario non viene dato spazio all'individualità e alla possibilità di esprimere le proprie emozioni, bisogni, atteggiamenti risultandone, quindi, compromessa anche la socializzazione. Questi elementi rendono il carcere una sorta di microcosmo sociale che porta ad un processo di depersonalizzazione del detenuto e che arriva a costituire una vera e propria università della delinquenza. Infatti la dipendenza da tante persone e da altrettante situazioni conflittuali, il peso che l'opinione pubblica esercita sul mondo carcerario e delle tensioni sociali, la mancanza di una razionale e prevedibile linea di condotta, trasformano il detenuto in un "animale" sensibilissimo, pronto alla giungla carceraria (Bernardi, 2005). Il teatro risulta, quindi, fondamentale nel contesto detentivo dato che, attraverso questo, è possibile il manifestarsi di bisogni, emozioni, sentimenti, desideri inespressi mediante lo svolgimento 81 di attività espressive e creative e il coinvolgimento e la condivisione nella vita di gruppo. Grazie alle attività teatrali è, infatti, possibile individuare specifici canali comunicativi, verbali e non, attraverso cui esprimersi nella propria interezza corporea e psichica (Bernardi, 2005). Inoltre L’incontro con gli operatori, i volontari, laddove si struttura in modo continuativo e significativo, restituisce alla persona senso ed interesse per la propria storia, poiché l’entrata in carcere ne annulla il significato (Atti 39° Convegno del SEAC, 2006. Scaricato dal sito www.ristetti.it in data 12/10/2010). L'intervento teatrale all'interno del carcere può avere due funzionalità evidenti. Innanzitutto, infatti, rappresenta una forma di intrattenimento che può allontanare questi soggetti dalla quotidianità della detenzione e permettergli di uscire, seppur momentaneamente, da quanto questa comporta. Il secondo tipo di intervento è quello meramente terapeutico indirizzato alla comprensione di se stessi e dell'ambiente circostante e alla risoluzione di eventuali conflitti. Un aspetto fondamentale del teatro all'interno del carcere è sicuramente dato dalla possibilità di quest'ultimo di suscitare nel detenuto un'atmosfera di libertà, di uscita dal contesto detentivo. Infatti le attività espressive e creative in cui sono coinvolti i detenuti permettono a quest'ultimi di proiettarsi mentalmente fuori dalle mura e di poter essere nel momento della preparazione e dell'esecuzione dello spettacolo un soggetto libero, uguale a qualunque altro, riappropiandosi, così, della propria vita. Il teatro si costituisce come un luogo, uno spazio che permette al detenuto di sperimentare nuovi modi di essere, nuove modalità relazionali, nuovi gesti e parole, rielaborare la propria esperienza sotto nuovi punti di vista e vivere l'emozione suscitata dallo spettacolo, sentendosi, così, libero ed uguale agli altri. Inoltre il carcere rappresenta sia a livello simbolico che di fatto il margine 82 della società rispecchiandone l'aspetto multirazziale dato che è costituito da soggetti di diversa etnia e provenienza socio-culturale. Attraverso il teatro le diverse etnie e culture apparentemente inavvicinabili, possono, invece, incontrarsi realmente e trovare la basa da cui potersi comprendere adeguatamente, evitando i conflitti determinati dai pregiudizi razziali e culturali. Infatti nonostante l’emarginazione caratterizzi fortemente la maggior parte della popolazione carceraria costituita in larga maggioranza da immigrati dai Paesi poveri, soprattutto dal Maghreb e dall’Europa dell’Est e da persone provenienti dalle frange socialmente ed economicamente più svantaggiate, il teatro rivolgendosi anche a questi cittadini “sospesi”, può diventare terreno di incontro, conoscenza, ricostruzione della propria storia personale. È, quindi, naturale che venga messa in scena la storia di un viaggio dall’esito incerto, ricco di speranze e angosce (Pedullà 2003). Il teatro all'interno del carcere mira sostanzialmente alla rieducazione e risocializzazione del detenuto. Questi due termini fanno riferimento alla possibilità di fornire al ristretto le condizioni adeguate ad un suo rientro all'interno della società e, quindi, di riappropiarsi dei valori sociali e morali della comunità a cui appartiene. Sicuramente tanto la coercizione quanto la violenza non costituiscono degli strumenti adatti per permettere tale cambiamento radicale nel soggetto detenuto anzi possono inevitabilmente avere un effetto boomerang tale da fortificare l'identità deviante. Invece il processo di rieducazione e risocializzazione del detenuto consiste nell'offrire allo stesso possibilità alternative a quelle delinquenziali, che possano, quindi, permettere al soggetto di recuperare quella forma di socialità che è venuta meno attraverso il reato commesso. Infatti attraverso il lavoro di gruppo e gli elementi di socializzazione e comunicazione intrapersonale ed interpersonale che ne derivano, il teatro conduce ad un clima di collaborazione ed interazione che può permettere al detenuto di 85 dell'istituto di Volterra aperte anche alla comunità esterna per favorire, così, l'integrazione e la conoscenza delle problematiche della detenzione;  Previsione di tournèe degli spettacoli della compagnia in base alle modalità previste dall'Ordinamento Penitenziario;  Produzione di attività culturali come incontri, convegni, mostre, etc;  Collaborazione con università e scuole;  Confronto con altre significative esperienze artistiche;  Gemellaggi con analoghe realtà straniere attraverso lo scambio di esperienze e informazioni su "Teatro e Carcere" e ricerca di finanziamenti europei per la realizzazione di progetti comuni;  Promozione e sostegno di spettacoli teatrali negli Istituti della Regione Toscana e del Territorio nazionale;  Istituzione dell'Osservatorio Nazionale ed Europeo in collaborazione tra il ministero dello Spettacolo Ente Teatrale Italiano;  Costituzione del comitato scientifico per l'analisi e la valutazione delle produzioni artistiche e culturali per la loro valorizzazione e diffusione;  Attività di formazione congiunta tra gli operatori penitenziari e collaboratori esterni a livello nazionale e regionale al fine di migliorare l'attuazione del progetto;  Attività di formazione teatrale e tecnica dei detenuti-attori;  Attività di sensibilità e promozione di opportunità lavorative per i detenuti-attori nell'ambito della Compagnia della Fortezza e nel programma teatrale italiano (Teatro e Carcere. Scaricato dal sito: www.compagniadellafortezza.org , in data 10/10/2010). Infine nel 2001 il Ministero dello Spettacolo ha riconosciuto a Carte Blanche il progetto speciale per il lavoro della Compagnia della Fortezza 86 (ibidem). La Compagnia della Fortezza, quindi, ha determinato un cambiamento nella considerazione dell'attività teatrale in ambito carcerario, costituendo delle iniziative che vanno al di là dell'attività meramente ludica e di tempo libero, per raggiunge un vero e proprio livello professionale. 2. 5. Teatro e Comunicazione 2. 5. 1. La comunicazione teatrale Il teatro non si limita a svolgere un'mportante funzione espressiva ma è una vera e propria scuola di comunicazione. Nel teatro la comunicazione deve essere considerata da un punto di vista prettamente olistico. Il Corpo, la gestualità, la posa, il movimento, i sentimenti e le emozioni e la voce rappresentano gli strumenti di supporto del processo comunicativo. Nel teatro si realizza una forma di comunicazione differita che coinvolge vari livelli. Questo tipo di comunicazione, infatti, riguarda l'autore, il personaggio, gli spettatori, il regista o teatroterapeuta e gli attori. In particolare tra spettatore ed attore si istaura una forma di comunicazione nonostante possiedano un diverso codice comunicativo, dato che lo spettatore essendo ricevente del messaggio non può rispondere con lo stesso codice. Lo spettatore, però, non comunica solo passivamente ma anch'esso invia continui messaggi e feedback all'attore che possono inevitabilmente condizionare quest'ultimo, basti pensare alla presenza o assenza degli applausi o al numero degli spettatori. Infatti, ad esempio, se gli spettatori sono pochi tendono a porsi in un atteggiamento difensivo e per l'attore recitare sarà più faticoso. Se, invece, il pubblico invia numerosi feedback positivi, ad esempio applaudendo parecchio, l'attore può cadere nella tentazione di strafare (La comunicazione teatrale, scaricato da 87 www.centrogiusepperomano.it , il 12/10/2010). È, infatti, anche grazie la componente interattiva del teatro, che si stabilisce, come abbiamo detto a più livelli, che la comunicazione viene facilitata. È nello spettacolo, però, che si realizza la “premessa” del teatro: la comunicazione con l’altro e con la comunità (Boria, 2005). Infatti proprio attraverso questo si manifestano le diverse modalità comunicative che coinvolgono tanto gli attori quanto gli spettatori. Nello svolgimento del ruolo assegnatogli l'attore assume piena consapevolezza delle conseguenze che le sue parole e i suoi movimenti determinano sul pubblico, sugli altri attori e su se stesso. Egli, infatti, può comprendere l'universalità delle sue parole e azioni che gli permette di instaurare un contatto reciproco con gli altri. Tutto ciò rende possibile, inoltre, la comprensione del significato espresso dal personaggio mettendolo in correlazione con gli elementi più significativi della propria esistenza. L'avvicinamento all'universale è portato avanti tirando dentro di se il personaggio e non uscendo fuori da sè perchè è proprio il mondo interiore degli utenti, i propri rapporti ed equilibri emozionali che arricchiscono la costruzione del personaggio. La rappresentazione teatrale è un fatto sacrale; viene proposta sul palco e lo spettatore la guarda: è in grado di creare un evento autentico quando tutti sanno che non è vero. Il motore della creazione e dell’autenticità è la capacità dell’attore di creare una trama di realtà tra lui, i compagni, gli spettatori (Boria, 2005). Nell'ottica di un radicale miglioramento della comunicazione interpersonale, la partecipazione al gruppo teatrale svolge, sicuramente, un ruolo fondamentale, ponendosi come base da cui condividere le proprie esperienze, i propri bisogni, sentimenti e poterli, quindi, comunicare agli altri. Infatti la manifestazione di bisogni, emozioni, sentimenti, desideri inespressi dai detenuti, può avvenire attraverso la partecipazione ad attività espressive e creative mediante il coinvolgimento nell’associazionismo, così 90  La funzione catartica;  La funzione espressiva attiva;  La funzione rituale personale;  La funzione rituale transpersonale e sociale;  La funzione artistica conoscitiva;  La funzione analitica;  La funzione corporea e l'effetto ribalta. Per quanto riguarda la prima funzione possiamo considerare come la tensione muscolare mostri costantemente la relazione dell'Io corporeo con la psiche. Infatti nella pratica teatrale, ad esempio, attraverso la tensione muscolare si esprime l'affermazione dell'Io e della sua volontà in un processo che può essere reso consapevole (Orioli, 2007a). Tutto ciò è visibile nell'improvvisazione di una scena da parte dell'attore, nelle posture che assume, nei movimenti del suo corpo. La funzione regolatoria si manifesta concretamente nel comportamento dell'attore in fase performativa come risposta ipertensiva consapevole strutturata in un linguaggio completamente nuovo, extraquotidiano, che induce cambiamenti radicali nelle priorità percettive dell'ambiente, del proprio corpo, del movimento e della voce. Linguaggio che emerge dal corpo dell'attore solo se è predisposto ad una regolazione della tensione fisica, accompagnata da una predisposizione psichica al gioco (Orioli, 2007a). Le tensioni muscolari possono inibire la regolazione delle diverse azioni. Infatti tutto il lavoro pre-espressivo dipende proprio dalla capacità di regolazione estensiva che va dal rilassamento alla concentrazione muscolare volontaria (ibidem). La seconda funzione è quella immaginativa con cui facciamo riferimento al ruolo dell'immagine cioè dell'insieme di simboli e metafore del reale, nello stimolare il gioco ed il movimento estensivo dell'attore nel setting scenico. Tutto ciò permette di infondere allo stesso una propria visione di sè 91 all'interno di questo contesto speciale. Fu Stanislavskij per primo a dare importanza alla componente immaginativa sviluppando una metodologia con cui facilitare nell'attore il processo immaginativo e la realizzazione dello stesso. La funzione immaginativa sviluppa una percezione particolare che viene codificata nell'azione organica della scena teatrale; a sua volta, questa inedita percezione produce una nuova immagine di sè nell'attore e, per riflesso, anche nello spettatore (Orioli, 2007a). Nel caso dell'attore immagine e linguaggio coincidono nella stessa forma contribuendo a definire tanto il contenuto quanto la produzione di significati. La funzione catartica è sicuramente una delle più importanti. Col termine catarsi facciamo riferimento al processo che permette all'attore di superare i meccanismi di difesa e fare emergere gli elementi inconsci. Si tratta di un concetto già ampiamente trattato in ambito psicoanalitico in cui veniva inteso come quel processo costituito dalla partecipazione emotiva del soggetto nei processi di rievocazione nel qui ed ora dei vissuti traumatici del passato, canalizzando, esprimendo ed elaborando, così, le pulsioni e le emozioni riferite a tali eventi. Nella teatroterapia la catarsi costituisce il centro funzionale della creatività. È, infatti, attraverso la rappresentazione performativa, che avviene nel setting rituale, che all'attore è possibile rivivere gli eventi e i conflitti rimossi da cui possono emergere emozioni molto forti. La teatroterapia rielabora poi questo materiale nella fase post- espressiva, raffreddando i vissuti emotivi per trovare soluzioni drammaturgiche che trasformano le rivelazioni catartiche in metafore teatrali. Un processo che Walter Orioli definisce di "sdrammatizzazione poetica" in quanto fa i conti con la forma performativa, il bello artistico e abbandona l'aspetto intimo e privato del dramma a favore della dimensione universale (Orioli, 2007a). La funzione espressiva attiva è tipica del linguaggio teatrale e si realizza nel momento della creazione del personaggio, potendo, però, assumere 92 svariate dimensioni e direzioni. L'attore, infatti, cerca di sviluppare un linguaggio globale e coerente col personaggio ma potrà, successivamente, interpretarne altri non necessariamente omogenei al primo ed in questo modo attiverà diversi tratti della propria personalità. La funzione espressiva attiva riconduce al meccanismo dell'ingranamento, già trattato nei precedenti paragrafi, in cui il soggetto vive il paradosso di essere se stesso in un altro e non è più nè solo se stesso nè solo il personaggio. Il teatro può, quindi, arricchire le funzioni espressive e comunicative dell'attore attraverso stratificazioni di significati e costruzioni, chiamate "effetto personaggio". Lo spettatore coglierà, dunque, il particolare modo di esprimersi di ogni attore e cercherà di entrare in contatto con queste diversità e di unificarle nella struttura drammaturgica. Questa operazione è possibile solo in quanto sia l'attore che lo spettatore, si collocano nell'area del gioco e del confronto (Orioli, 2007a). E' proprio grazie alla componente attiva della funzione espressiva realizzata con il corpo, che è possibile portare avanti dei cambiamenti nel soggetto-attore. Abbiamo già definito come il teatro sia nato dal rito. Entriamo, però, nello specifico trattando della funzione rituale personale. Quest'ultima accompagna l'attore alla ricerca del gesto significativo per entrare in contatto con il mondo del significante, mentre personale è la funzione che crea l'opera che dà autostima, non con finalità espressive o comunicaive, ma come luogo dove rafforzarsi individualmente (come immagine di sè), nel ruolo di attuante del rito (Orioli, 2007a). Il rito, inoltre, svolge la funzione di regolazione del bisogno d'intimità e di riduzione dell'ansia dovuta ai forti cambiamenti di stato a cui è sottoposto l'attore. Tutto ciò è possibile proprio perchè il rito viene considerato come un gioco. Ad esempio, infatti, il gioco di toccarsi reciprocamente il viso crea una forte intimità tra le persone, cosa che, invece, non avverrebbe nel contesto quotidiano, dove ciò sarebbe causa di imbarazzo e ansia. Un'altra funzione 95 voce agli stati psicologici ed emotivi che la persona, con l'uso di meccanismi difensivi, tende a celare ed a rimuovere dalla coscienza. Passiamo adesso a spiegare cos'è l'effetto ribalta. Come è facilmente deducibile nella situazione teatrale l'attenzione dell'attore è indirizzata, attraverso lo sguardo, sugli spettatori che fungono anche da stimolo esterno. In tale circostanza la regolazione delle emozioni dell'attore è resa visibile dalla propria esperienza corporea di tensione che riguarda i muscoli sia nel tono che nella contrazione. Proprio questa tensione corporea, che viene determinata dalla relazione con lo spettatore e che rappresenta una normale reazione fisiologica, è chiamata effetto ribalta in quanto riguarda l'autorappresentazione del corpo, la regolazione delle emozioni e la produzione dei sentimenti. In questo processo le tensioni muscolari si focalizzano nelle spalle, nel collo, nel viso e nei muscoli funzionali al movimento oculare. Attraverso l'effetto ribalta è possibile agire direttamente sull'identità nucleare stabile. Infatti nell'alternanza tra tensione e riposo è possibile misurare l'equilibrio nell'attività tonica posturale e, quindi, la definizione dell'identità nucleare (Orioli, 2007a). 96 CAPITOLO 3. LA RICERCA PILOTA 3. 1. Obiettivi e Ipotesi Lo scopo dell'intervento, realizzato a Roma all'interno del carcere di Rebibbia, è stato quello di promuovere nei detenuti una maggiore consapevolezza della propria identità interna ed esterna al carcere, cercando, il più possibile, di favorire la partecipazione e la propositività dei soggetti coinvolti lungo il percorso di ricerca. L'obiettivo principale è stato, quindi, quello di esplorare il senso di appartenenza dei soggetti studiati al proprio gruppo di riferimento, di analizzarne la "cultura di gruppo", la condivisione degli orientamenti e della progettualità, con riferimento particolare alle tematiche espresse nelle attività teatrali in carcere. L'uso dei focus group ha avuto come obiettivi:  La facilitazione della discussione sui temi della detenzione, del carcere e del trattamento e dell'introduzione dell'attività teatrale in carcere;  Il raccogliere in modo partecipato e a "caldo", valutazioni e opinioni dei partecipanti, riguardanti le specifiche tematiche sopra accennate;  L'esaminare le dinamiche interpersonali. Le ipotesi di partenza facevano riferimento al considerare l'attività ricreativa del teatro, svolto all'interno del carcere, come occasione d'incontro tra detenuti di diversa cultura ed etnia e, quindi, come strategia di comunicazione efficace, e come mezzo per uscire da un contesto intriso di sofferenza, stereotipi, modalità comunicative peculiari. Il Teatro, quindi, viene inteso come uno spazio dove potersi sentire realmente liberi. Si è cercato, perciò, di fare emergere i vissuti e le dinamiche generate dalla 97 partecipazione dei detenuti all'attività teatrale e di spingere gli stessi ad un lavoro di elaborazione della propria esperienza e sugli effetti di quest'ultima sui propri comportamenti, nonchè sulla capacità di instaurare relazioni, anche interculturali, all'interno del contesto carcerario. 3. 2. Metodologie e Strumenti 3. 2. 1. Premessa La metodologia utilizzata nel corso della ricerca è stata quella del focus group a cui sono stati affiancati, come strumenti, l'intervista semi- strutturata e la scala di Bales. 3. 2. 2. Il Focus Group Il focus group è una tecnica di ricerca che nasce negli Stati Uniti nel 1940 ed è stato teorizzato da due famosi sociologi K.Lewin e R.Merton con lo scopo di focalizzare un determinato argomento e fare emergere le relazioni tra i partecipanti. Si tratta di una modalità molto usata nel marketing, soprattutto prima di promuovere determinati prodotti e per avere, quindi, una prima valutazione degli stessi da parte di un gruppo di possibili consumatori. Normalmente non durano meno di 90 minuti e non oltre i 120. La conduzione viene effettuata da due soggetti, uno che svolge il ruolo di moderatore e che, quindi, si occupa di indirizzare la discussione verso l'argomento da trattare, ed un altro che, invece, funge da osservatore e si occupa di esaminare le dinamiche relazionali emergenti. Sono, tuttavia, possibili anche delle modalità alternative. Tra queste spiccano: