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Tesi magistrale sulla povertà educativa, Tesi di laurea di Sociologia

La povertà educativa in Italia: cause ed effetti

Tipologia: Tesi di laurea

2020/2021

Caricato il 20/05/2023

Benedetta9596
Benedetta9596 🇮🇹

4.5

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Scarica Tesi magistrale sulla povertà educativa e più Tesi di laurea in PDF di Sociologia solo su Docsity! Università della Calabria DIPARTIMENTO DI CULTURE, EDUCAZIONE E SOCIETÀ Corso di Laurea Magistrale in Scienze Pedagogiche per l’Interculturalità e la Media Education ‘TESI DI LAUREA’ La povertà educativa ai tempi del Coronavirus: le azioni di contrasto e il progetto Edu-factoring sul territorio calabrese Relatrice Candidata Prof.ssa Mirabelli Maria Pisani Benedetta Matricola: 204871 Anno Accademico 2020 / 2021 2 INDICE INTRODUZIONE………………………………………………………..........4 CAPITOLO I - LA POVERTÀ: UN FENOMENO A PIÙ DIMENSIONI 1.1 Uno sguardo sulla povertà e le nuove povertà…………………………….8 1.2 Il paradigma della vulnerabilità sociale……………………………………11 1.3 Gli effetti della globalizzazione sul fenomeno della povertà………………14 1.4 Il modello italiano di povertà………………………………………………17 1.5 La povertà in Italia durante il Covid-19: i dati e le conseguenze…………..21 1.5.1 Dati e statistiche Istat della povertà in Italia in epoca di pandemia………23 1.6 Le politiche di contrasto alla povertà………………………………………28 CAPITOLO II - LA POVERTÀ MINORILE ED EDUCATIVA 2.1 La povertà dei minori: un fenomeno in forte crescita………………………34 2.2 La povertà educativa tra criticità ed invisibilità…………………………….39 2.3 La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e l’importanza dell’intervento e dell’investimento educativo…………………….44 2.4 L’importanza del Capability Approach e di formare cittadini del mondo…..51 2.5 Misurare la povertà educativa: l’Indice di Save the Children per illuminare il futuro dei bambini……………………………………………………………….57 CAPITOLO III - LE CONSEGUENZE DELLA CRISI SANITARIA E LE AZIONI DI CONTRASTO ALLA POVERTÀ EDUCATIVA 3.1 Gli effetti della pandemia da Covid-19 sulla povertà educativa……………66 5 ai quali vengono negate le opportunità di apprendere e condurre una vita autonoma, rischiano di diventare gli esclusi di domani. Si parla dunque di un fenomeno intergenerazionale in quanto si riproduce da una generazione all’altra come in una spirale negativa, determinando deprivazioni materiali riferite ad alimentazione, alloggio, lavoro, ecc. e anche deprivazioni sociali quali mancanza di istruzione, di diritti, di relazioni sociali. Tale situazione è ulteriormente amplificata dalla globalizzazione che invece di colmare i gap, ha ulteriormente allargato le disuguaglianze sociali. Porre l’attenzione su questo complesso fenomeno multidimensionale, analizzato nelle sue diverse sfaccettature ha consentito anche di analizzare le politiche di contrasto alla povertà nel nostro Paese, cercando di comprenderne le azioni e le strategie messe in atto per far fronte a tale problematica. Il primo capitolo del lavoro di tesi si concentra sulle varie definizioni del fenomeno della povertà, traendo spunto dalle considerazioni di alcuni studiosi che si sono occupati di tale tematica e analizzandone la complessità e la multidimensionalità, ponendo attenzione al suo evolversi nel contesto spazio- temporale sia sotto il profilo delle manifestazioni concrete che sotto quello dei processi sociali che influiscono sulle condizioni di vita degli individui. Verranno poi definiti alcuni concetti strettamente legati al fenomeno della povertà quali quello di bisogno, di esclusione e vulnerabilità sociale facendo riferimento all’innovativo approccio dell’economista indiano Amartya Sen, ripreso successivamente dalla filosofa Martha Craven Nussbaum. Successivamente verranno evidenziati i diversi indici utilizzati per misurare la povertà e calcolarne l’incidenza attraverso dati e statistiche Istat e quali le politiche di contrasto al fenomeno (SIA, REI, RdC, REM). Inoltre, ci si soffermerà su dati più recenti con l’intento di comprendere quali sono state le conseguenze che la pandemia da Covid-19 ha avuto sulla povertà e quali gli interventi attuati dalle istituzioni per affrontare la crisi sanitaria. 6 Nel secondo capitolo sarà introdotto l’argomento centrale della tesi, la povertà minorile ed educativa è definita da Save The Children come l’impossibilità per i minori di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni. Così come la povertà materiale, anche la povertà educativa ha carattere multidimensionale: si manifesta in un non adeguato sviluppo delle competenze cognitive, fondamentali per crescere e vivere nella società contemporanea dell’innovazione e della conoscenza, con un impatto sullo sviluppo delle competenze cosiddette “non-cognitive”, quali le capacità emotive, di relazione con gli altri, di scoperta di sé stessi e del mondo. Sulla base di quanto sopra, il presente lavoro di tesi si propone di conoscere al meglio tutte le dimensioni collegate al fenomeno della povertà educativa, i contesti in cui essa si sviluppa e le conseguenze che può determinare. Di notevole rilevanza saranno gli spunti tratti dagli scritti della filosofa Martha Nussbaum la quale sostiene che ogni individuo, secondo i principi etici su cui si basa il capability approach da lei promosso, deve avere l’opportunità e la libertà di fare ciò che è in grado di fare e di essere ciò che vuole essere al fine di favorire l’uguaglianza e il rispetto della dignità umana, senza distinzione di genere, di razza, di religione, ecc., e giungere dunque alla cosiddetta “fioritura umana” nonché ad essere “cittadino del mondo”. Il tema della povertà educativa verrà ulteriormente approfondito attraverso l’analisi dei dati italiani relativi al fenomeno forniti non solo da Istat, ma anche dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza dall’indice di misurazione fornito da Save the Children che individua quattro dimensioni fondamentali relative alla deprivazione educativa su cui è necessario intervenire: apprendere per comprendere; apprendere per essere; apprendere per vivere assieme; apprendere per vivere una vita autonoma e attiva. 7 Tutto ciò è necessario per restituire pari diritti e opportunità ai bambini, sconfiggere le povertà educative e tornare a illuminare il futuro del nostro Paese. Nel terzo capitolo, che è strettamente legato al secondo, verrà innanzitutto analizzato l’impatto che il Covid-19 ha avuto su bambini e ragazzi e l’incidenza che la crisi sanitaria ha avuto sul fenomeno della povertà educativa. Successivamente verranno evidenziate alcune delle politiche di contrasto attuate sul territorio italiano e si osserverà come, ad oggi, ancora non si sia riusciti a mettere in atto azioni e strategie efficaci che possano mettere fine alle diseguaglianze, particolarmente presenti nel Mezzogiorno e al preoccupante fenomeno della povertà educativa. In un contesto come quello del nostro Paese, il compito delle istituzioni dovrebbe essere quello di accompagnare i minori nella loro crescita, cercando di eliminare tutti quei fattori che potrebbero rappresentare un rischio per lo sviluppo del loro potenziale. Quindi, questo lavoro di tesi vuole offrire un ulteriore momento di riflessione sulle azioni che bisognerebbe intraprendere per abbattere gli ostacoli e dare vita ad un vero e proprio cambiamento sociale. Una sfida quella educativa che necessità della pianificazione di un lavoro di sinergia tra il settore pubblico e quello privato: dunque una partnership che, attraverso collaborazione e co- progettazione, favorisca il miglioramento delle politiche di contrasto alla povertà educativa. Ciò è fondamentale per una governance responsabile e rappresenta una delle caratteristiche principali del secondo welfare. Infine, nel quarto capitolo sarà analizzata l’iniziativa del progetto Edu-factoring alla quale ho avuto l’opportunità di prendere parte in qualità di operatrice volontaria di Servizio Civile Universale. Questa esperienza ha suscitato in me la voglia di approfondire la tematica della povertà educativa e di volerne indagare gli effetti e le iniziative messe in atto per contrastarla sul territorio calabrese. 10 Nella seconda area interpretativa, quella sulle condizioni materiali, vista dall’aspetto antropologico, la povertà è essenzialmente il risultato di un modello di deprivazione e non viene definita in relazione a bisogni primari o alla scarsità di risorse. In tale contesto si parla di povertà intergenerazionale, dal momento che il fenomeno si riproduce da una generazione all’altra come in una spirale negativa determinando deprivazioni materiali riferite ad alimentazione, alloggio, lavoro, ecc. e anche deprivazioni sociali quali mancanza di istruzione, di diritti, di relazioni sociali, che nel tempo diventano sempre più stabili e durature. Infine, la terza area interpretativa include tutte quelle teorizzazioni che si concentrano sulla posizione sociale, che possono essere considerate più innovative ma allo stesso tempo non prive di insidie. La prima formulazione, di stampo marxista, ritiene che è da considerarsi povero l’individuo che appartiene allo strato più basso della struttura sociale, o in termini più recenti, che fa parte dell’underclass, ossia di quello «strato di soggetti spinti sempre più ai margini del lavoro, ai quali sono stati attribuiti comportamenti devianti e una prolungata dipendenza dai sistemi di welfare», elemento determinante nel processo di disqualificazione sociale delle persone più svantaggiate3. Sempre all’interno di questo quadro interpretativo troviamo anche le teorizzazioni che declinano la povertà come «esclusione e/o vulnerabilità sociale o come mancanza di diritti». In primo luogo si fa riferimento alla teoria di Lenoir, che è stata di fondamentale importanza per la lotta contro la povertà e fonte di ispirazione anche per i Programmi Quadro della Comunità Europea, varati a partire dagli anni Novanta. L’introduzione del concetto di esclusione, nel corso del tempo, ha sostituito quello di povertà ritenuto inadeguato poiché prendeva in considerazione solo gli aspetti economici del fenomeno e ha favorito l’affermarsi di un nuovo approccio, più dinamico, che analizza tutti quei processi 3 S. Cervia, Nuove povertà: vulnerabilità sociale e disuguaglianze di genere e generazioni, op. cit., p.38 11 sociali che portano l’individuo a vivere in condizioni di grave disagio, dalla perdita del posto di lavoro, dell’abitazione, della propria identità sociale al mancato accesso alle provvidenze pubbliche. Tuttavia, come accennato precedentemente, il sociologo francese Robert Castel muove una critica verso il paradigma dell’esclusione sociale, in quanto a suo parere rischia di standardizzare tutti i percorsi di emarginazione che, invece, sono molto differenti l’uno dall’altro. Ad oggi, tutte le garanzie di quella che definisce «società salariale» che ha favorito la crescita e ha dominato fino agli anni ’70 del Novecento, sono state sostituite da un processo sociale di senso contrario caratterizzato dall’aumento dell’insicurezza sociale e dell’individualismo e dal deterioramento del tessuto collettivo, facendo riesplodere fenomeni di esclusione e vulnerabilità sociale che solo il sistema di welfare della società salariale era riuscito a contenere. 1.2 Il paradigma della vulnerabilità sociale Nella società del post-fordismo, definita da Ulrich Beck la società del rischio, a seguito della messa in discussione della validità euristica del concetto di esclusione sociale, si afferma il paradigma della vulnerabilità sociale. Tale concetto è molto complesso e necessita di un’interpretazione multidisciplinare: etica, educativa, socio-economica, politica. Secondo Emanuele Ranci Ortigiosa la vulnerabilità può essere sinteticamente definita come «una situazione di vita in cui l’autonomia e le capacità di autodeterminazione dei soggetti è permanentemente minacciata da un inserimento instabile dentro i principali sistemi di integrazione sociale e di distribuzione delle risorse»4. Rispetto alla povertà e all’esclusione, la vulnerabilità sociale permette, grazie a una chiave di lettura multidimensionale, di capire meglio quali sono le condizioni 4 E. Ranci Ortigosa, Contro la povertà. Analisi economica e politiche a confronto, op. cit., p.35 12 di difficoltà che colpiscono gli individui determinando lo sgretolarsi di quei punti di riferimento su cui fondavano le decisioni della loro vita. Secondo Beck, la vulnerabilità supera il rischio in quanto la differenza è insita nel passaggio dalla possibilità di prevedere le fragilità a quella della loro imprevedibilità; oppure, come sostiene Robert Castel, nella transizione da uno stato di relativa stabilità a uno di ordinaria insicurezza. Pur mantenendo la dimensione processuale e multidimensionale del concetto di esclusione sociale, la locuzione di vulnerabilità consente di incentrarsi su quelli che sono i fenomeni che rendono deboli i principali meccanismi di integrazione sociale piuttosto che su meri stati di deprivazione. Infatti, Castel declina questo nuovo approccio in una doppia forma di fragilizzazione dell’individuo: «quella che corrisponde al mancato inserimento nel mercato del lavoro, ambito che è fonte di reddito ma anche strumento di identità e di integrazione sociale, e quella che si traduce nella perdita, nell’allentamento, nell’assenza delle reti e dei supporti famigliari o di prossimità»5. Grazie a questo paradigma è possibile scorgere tutte quelle situazioni intermedie che, pur non essendo molto evidenti ed allarmanti rispetto a condizioni di estremo disagio, vanno a determinare comunque assetti di vita caratterizzati da fragilità e difficoltà. Secondo Nicola Negri, il diffondersi della vulnerabilità sociale è dovuto all’indebolimento di tre istituzioni fondamentali per l’individuo: in primis il mercato del lavoro, in quanto l’occupazione a tempo indeterminato viene spesso sostituita da contratti di lavoro caratterizzati da flessibilità e precarietà; in secondo luogo la famiglia, dove a relazioni stabili e durature si affiancano nuclei familiari allargati, convivenze e difficoltà a relazionarsi; infine, ma non per ordine di importanza, il Welfare che passa da sistema di protezione a stampo universalistico e centralizzato, capace di far fronte a bisogni standard e oggettivi, 5 S. Cervia, Nuove povertà: vulnerabilità sociale e disuguaglianze di genere e generazioni, op. cit., pp.29-30 15 forte peggioramento degli equilibri della biosfera planetaria, lasciando spazio ad una cronica instabilità finanziaria»8. Ci si ritrova a vivere un mondo in cui il determinismo viene sostituito dall’incertezza, l’ordine dalla complessità, il relativismo si contrappone a una visione unitaria del mondo. Mai come in questo periodo storico si era assistito ad un cambiamento così rapido della società in cui interconnessione e interdipendenza diventano elementi chiave per avere una nuova visione dell’individuo che fa del web e delle nuove tecnologie, una parte integrante ed essenziale della propria esistenza. Siamo in quella che come Beck, il filosofo Peter Koslowki definisce «società del rischio», una società frammentata in piccoli nuclei dotati di proprio autoreferenza, in cui non si può fare affidamento a nessuna istituzione che garantisca protezione e rispetto dei valori universali, quest’ultimi accantonati da individui che ormai vivono alla costante ricerca di un’identità spinti dall’entusiasmo di costruire relazioni in rete. Tutto ciò, secondo Touraine è conseguenza della globalizzazione che ha portato all’affermarsi di un sistema di modernizzazione totalmente incentrato «sulla libera impresa e sul mercato, cioè sull’egemonia dell’economia, in particolare quella finanziaria, sotto forma di un capitalismo estremo, deregolamentato e senza contrappesi, e, insieme sul ridimensionamento delle funzioni degli Stati e sulla distruzione della società»9. Da queste riflessioni emergono due temi fondamentali quali la povertà e la disuguaglianza che possono essere associati al fenomeno della globalizzazione: da un lato c’è chi sostiene la tesi che l’integrazione economica abbia favorito il benessere di tutti, dall’altro invece chi ritiene che questa abbia favorito la formazione di pochi ma grandi gruppi economico-finanziari a scapito della stragrande maggioranza dei cittadini. 8 E. Bertellini, Education e Welfare. Idee per un welfare educativo, Amazon Publisher, Torino, 2020, p.18 9 Ivi, pp.21-22 16 Prima di analizzare le cause della povertà e delle diseguaglianze e il ruolo svolto dai processi della globalizzazione, è importante considerare che proprio questi ultimi hanno significativi elementi di novità nelle stesse forme in cui i due fenomeni sopracitati si manifestano. «Il progredire dell’integrazione internazionale fa sì che anche i cosiddetti beni pubblici vengano fruiti indipendentemente dai confini politici, diventando dunque beni pubblici globali»10. Esempi di beni pubblici globali sono l’ambiente naturale, la salute, la conoscenza, la pace, la stabilità finanziaria, internet e lo spazio cibernetico che, visti in un’accezione negativa, come mali pubblici globali quindi, per certi versi sono conseguenze della globalizzazione per altri ne sono una causa. Per cui, povertà e disuguaglianza spesso non permettono di accedere ai beni pubblici globali favorendo così la nascita dei mali pubblici globali, ad esempio: chi vive in scarse condizioni igieniche e non può permettersi cure sanitarie determina degrado ambientale e allo stesso tempo la diffusione di malattie contagiose che possono essere pericolose per tutti, anche per i più ricchi; oppure, chi non ha accesso alla conoscenza non è in grado di emanciparsi, di conseguenza non favorisce la diffusione del sapere e ciò genera un danno che riguarda tutti; o ancora, le diseguaglianze molto accentuate, anche se non toccano direttamente ogni singolo individuo ma creano svantaggio solo per alcuni, non alimentano la coesione sociale, un bene che anche dal punto di vista produttivo, interessa la collettività. In teoria i beni pubblici dovrebbero essere fruibili da tutti senza o comunque con poche possibilità di esclusione, in pratica è denotabile che generalmente sono i Paesi o le persone più ricchi ad accedervi con più facilità e a proteggersi dunque dai mali pubblici globali; si genera di conseguenza un atteggiamento individualistico che sovrasta l’interesse comune di lungo periodo. 10 F. R. Pizzuti, M. L. Milone, Povertà e disuguaglianze negli anni della globalizzazione, in «Rivista dell’Associazione Rossi-Doria», Fascicolo 2, Milano, 2014, p.26 17 Le cause che determinano il fenomeno della povertà sono molteplici, spesso rimandano a motivi storici ma anche il luogo geografico di appartenenza ha la sua influenza; in tempi più recenti, la ricerca si è soffermata sul fattore istituzionale e ha messo in evidenza quanto sia importante l’attuazione concreta di politiche democratiche in determinate circostanze. La comunicazione istituzionale è di vitale importanza all’interno delle società perché gli individui devono poter comprendere e accedere liberamente alle informazioni per verificare il giusto operato di chi detiene il potere: ciò sarebbe esercizio di autentica democrazia. Ma, secondo Edward Luttwak, la globalizzazione in quanto «forza vitale che crea difficoltà alle persone e agli Stati» ha fortemente ridotto lo spazio demografico, rendendo deboli i punti fermi della vita pubblica e privata; inoltre, il turbocapitalismo, ossia la liberalizzazione dei mercati mondiali accelerati dall’uso delle tecnologie, ha letteralmente trasformato i contesti educativo, sociale ed istituzionale. Questa tendenza che «destabilizza la società e crea disoccupazione e criminalità» richiede, dunque, una politica forte che impedisca alla democrazia di soccombere11. 1.4 Il modello italiano di povertà Per analizzare in maniera esaudiente il tema della povertà nel nostro Paese è necessario considerare uno spazio temporale molto più ampio rispetto al semplice scarto annuale: dal secondo dopoguerra in poi, molte sono le fonti grazie alle quali è possibile ottenere il profilo essenziale della popolazione in stato povertà assoluta ricorrente in Italia: in letteratura tale modello è definito da alcuni studiosi come “modello italiano di povertà”. 11 M. Caligiuri, Introduzione alla società della disinformazione, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2018, p.71 20 Per quanto riguarda i pensionati, si può invece notare un’inversione di tendenza in linea con lo spostamento del peso dell’indigenza dagli anziani verso le giovani generazioni. Invece, nei nuclei più fragili, quelli tradizionalmente colpiti con persona di riferimento disoccupata, la povertà si è letteralmente acutizzata, giungendo addirittura a riguardare una famiglia su cinque. La maggiore incidenza relativa si è verificata però in quello che veniva considerato il tipo di famiglia meno esposto al rischio ossia quello costituito da un componente di riferimento occupato, infatti si è passati da una percentuale marginale di 2,2% al 5,9%, una nuova centralità di questo profilo di poveri. A questo incremento si è accompagnato quello in cui la persona di riferimento occupata è anche diplomata o laureata: tra il 2005 e il 2015, i tassi di povertà sono, infatti, cresciuti dal 6,8 all’8,4% per i nuclei con persona di riferimento con istruzione elementare, a fronte di variazioni più marcate per gradi di istruzione più alti, con incrementi dal 2,9 all’8,7% per quelli con la scuola dell’obbligo e dallo 0,9 al 3,5% in caso di diploma superiore o laurea. Tale tendenza non è di per sé sorprendente perché, come ben sappiamo, tasso di occupazione e livello di istruzione sono direttamente correlati. Nel decennio analizzato, come già accennato, seppur seguendo una tendenza di lungo periodo, il quadro del passato si è completamente ribaltato in quanto il peso dell’indigenza si è spostato sulle giovani generazioni: infatti, l’incidenza della povertà tra i nuclei con persona di riferimento fino a 34 anni è salita dal 3,2 al 10,2% e nella fascia 35-64 dal 2,3 al 7%, mentre fra le famiglie con anziani è scesa dal 5 al 4%. Da fonti Istat, a livello nazionale, se nel 2005 gli individui appartenenti a nuclei con persona di riferimento fino a 64 anni erano il 58,7% di quelli in povertà, nel 2015 sono saliti fino all’85,6%13. Alla fine di questa analisi, si può affermare che «la povertà ha rotto gli argini: l’indigenza ha rafforzato il suo radicamento tra i gruppi dove in passato era già 13 Ivi, pp.188-192 21 ampiamente diffusa, ma è anche notevolmente cresciuta - subendo l’incremento relativo maggiore - tra altri settori di popolazione, tradizionalmente colpiti marginalmente e percepiti come poco vulnerabili, nei quali oggi non ha più un’incidenza residuale. Il rischio di povertà, dunque, se prima interessava in misura significativa solo alcuni segmenti della società italiana, oggi lo fa in maniera decisamente più trasversale»14. 1.5 La povertà in Italia durante il Covid-19: i dati e le conseguenze Da circa due anni ormai, i media nazionali del nostro Paese narrano di come, a causa della pandemia del Covid-19, la povertà sia totalmente esplosa; ad esempio, per citare alcuni titoli di stampa quali Adncronos e Il Riformista: “Covid, con la pandemia povertà in aumento” oppure “Covid e crisi, mai così tanta povertà assoluta In Italia: oltre 5 milioni e mezzo di persone”. In Italia, dall’inizio della crisi economica del 2008-2009, la povertà assoluta - ossia le condizioni in cui vivono persone e famiglie che non riescono ad accedere a beni fondamentali quali alimentazione, abitazione, istruzione e svago, per condurre una vita dignitosa – colpiva circa il 3,1% della popolazione, composta in particolare da: famiglie con almeno tre figli ed entrambi i genitori senza lavoro, anziani, giovani; inoltre, la povertà assoluta era maggiormente presente nelle regioni del Mezzogiorno. La crisi finanziaria e le conseguenti politiche di contenimento della spesa hanno determinato cambiamenti non solo a livello quantitativo, dal 2008 al 2018 le persone in povertà assoluta sono salite da 1,8 a 5 milioni, ma anche a livello qualitativo in quanto con la crisi la povertà si estende e colpisce in maniera 14 Ivi, p.193 22 significativa anche il Nord del Paese, soprattutto le famiglie giovani, con almeno due figli e un solo genitore occupato. Dopo circa dieci anni di perpetuazione di tale dinamica, finalmente nel 2019 si registra un’inversione di tendenza grazie al funzionamento delle politiche di reddito medio ma, è proprio a questo punto della storia che esplode la pandemia da Covid-19 che determina nuovamente l’ascesa della curva della povertà assoluta che supera i 5,6 milioni di individui, il livello più elevato dal 2005. Il numero dei poveri, prevalentemente donne, bambini e migranti, è aumentato soprattutto al Nord, seppure sia Sud ad avere un’incidenza maggiore: preoccupanti sono i dati sulla povertà minorile che supera la media nazionale passando dal 9,4 al 13,5%, sale anche il numero dei working poor ossia i lavoratori precari o irregolari che pur lavorando non riescono a raggiungere standard di vita al di sopra della soglia di povertà, e anche quello di coloro che hanno bassi livelli d’istruzione; allarmante è lo stato di indigenza degli stranieri rispetto agli italiani, circa uno su tre è sotto la soglia di povertà assoluta15. Il Covid-19 ha, quindi, contribuito ad un peggioramento della situazione che ha annullato gli effetti positivi delle misure di reddito medio ma, ha anche portato alla luce una serie di fragilità che da tempo affliggono il nostro Paese. Secondo World Bank, la pandemia ha determinato una crisi epocale, «la peggiore recessione globale dalla Seconda Guerra Mondiale»: una crisi non solo sanitaria, ma che ha colpito violentemente altri settori quali l’economia, l’occupazione, l’istruzione, la società tutta. Con quella che è stata definita la “prima ondata” del virus, nella primavera 2020, sono emerse tante problematiche che già da tempo erano presenti nel territorio italiano: in primis l’inefficienza del sistema sanitario fortemente frammentato e diseguale in relazione al luogo di residenza, l’iniziale incapacità degli stati europei di cooperare, la quasi totale assenza della pubblica amministrazione, il 15 https://welforum.it/poveri-e-poverta-nellitalia-al-tempo-del-covid-19/ 25 di povertà individuale sale all’11,1% (11,7% nel Sud, 9,8% nelle Isole) dal 10,1% del 2019; nel Centro è pari invece al 6,6% (dal 5,6% del 2019). Come già accennato nel paragrafo precedente, attraverso i dati Istat è possibile rilevare come la condizione delle famiglie si aggravi con la presenza di figli: infatti, nel 2020, l’incidenza di povertà assoluta è al 20,5% tra quelle con cinque e più componenti e all’11,2% tra quelle con quattro; si attesta invece attorno all’8,5% se si è in tre in famiglia. La situazione si fa più critica se i figli conviventi, soprattutto se minori, sono più di uno - l’incidenza passa infatti dal 9,3% delle famiglie con un solo figlio minore al 22,7% di quelle che ne hanno da tre in su - e tra le famiglie monogenitore. Proprio per queste ultime si registra il peggioramento più deciso rispetto al 2019 (da 8,9% a 11,7%). La dinamica risulta negativa anche per le coppie con figli (dal 5,3% del 2019 al 7,2% se con un figlio, dall’8,8% al 10,5% con due figli). L’incidenza di povertà è invece più bassa, al 5,6%, nelle famiglie con almeno un anziano e scende al 3,7% tra le coppie in cui l’età della persona di riferimento della famiglia è superiore a 64 anni (nel caso di persone sole con più di 64 anni l’incidenza è pari al 4,9%). In generale, la povertà familiare presenta un andamento decrescente all’aumentare dell’età della persona di riferimento; generalmente, infatti, le famiglie di giovani hanno minori capacità di spesa poiché dispongono di redditi mediamente più bassi e hanno minori risparmi accumulati nel corso della vita o beni ereditati. La povertà assoluta riguarda il 10,3% delle famiglie con persona di riferimento tra i 18 e i 34 anni e il 5,3% di quelle con persona di riferimento oltre i 64 anni. Rispetto al 2019 l’incidenza di povertà cresce tra le famiglie con persona di riferimento di 35-44 anni (da 8,3% a 10,7%) e tra quelle in cui la persona di riferimento ha fra i 45 e i 54 anni (da 6,9% a 9,9%). Nella Figura 1 viene messo in evidenza come il livello di istruzione possa proteggere le famiglie dalla povertà: si può notare, infatti, che se la persona di 26 riferimento ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria di secondo grado l’incidenza è pari al 4,4% mentre sale al 10,9% se si possiede al massimo la licenza media: dai dati presenti entrambe le modalità sono in crescita rispetto al 2019. Figura-1. INCIDENZA DI POVERTÀ ASSOLUTA FAMILIARE PER TITOLO DI STUDIO E PER CONZIONE PROFESSIONALE DELLA PERSONA DI RIFERIMENTO. Anni 2019-2020, valori percentuali (a) (a) Il dato relativo alla categoria liberi professionisti del 2019 non è diffuso a causa della scarsa numerosità campionaria Fonte Istat del 16 giugno 2021 Particolarmente colpite dalla condizione di indigenza sono le famiglie con persona di riferimento occupata, sia essa dipendente o lavoratore autonomo, con un’incidenza che passa da 5,2% nel 2019, al 7,6% nell’anno successivo. 10,5 8,6 3,4 11,1 10,9 4,4 0 2 4 6 8 10 12 Licenza di scuola elementare, nessn titolo di studio Licenza di scuola media Diploma e oltre 2019 2020 12,7 4,3 19,7 5,2 0 10,2 1,7 15,4 4,4 19,7 7,6 3,2 13,2 2,5 0 5 10 15 20 25 In altra condizione (diversa da ritirato dal lavoro) Ritirato dal lavoro In cerca di occupazione Altro dipendente Imprenditore e libero professionista Operaio e assimilato Dirigente, quadro e impiegato 2020 2019 27 Il valore di incidenza per le famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro o in cerca di occupazione risulta, invece, stabile nel confronto tra i due anni di riferimento. A seguire, la Figura 2 analizza l’incidenza della povertà assoluta tra i minori per classe d’età: nel 2020, ad essere colpiti da tale condizione sono 1 milione 337mila minori, ossia il 13,5% degli individui a livello nazionale. Figura-1. INCIDENZA DI POVERTÀ ASSOLUTA TRA I MINORI PER CLASSE DI ETÀ. Anni 2019-2020, valori percentuali Fonte Istat del 16 giugno 2021 Dai dati Istat presenti nel grafico si può notare come, rispetto al 2019, nell’anno successivo l’incidenza è maggiore nelle classi di 7-13 anni (14,2%) e 14-17 anni (13,9%), rispetto alle 4-6 anni (dal 11,7 al 12,8%) e 0-3 anni (da 9,7 a 12%) che sono comunque in crescita rispetto all’anno di riferimento17. In conclusione, la pandemia da Covid-19 si è innestata su una situazione sociale caratterizzata da forti disuguaglianze, più ampie di quelle esistenti al momento della crisi del 2008-2009 e, il pericolo che sembra profilarsi, basandosi sui dati 17 https://www.istat.it/it/files//2021/06/REPORT_POVERTA_2020.pdf 9,7 11,7 12,9 10,5 12 12,8 14,2 13,9 0 2 4 6 8 10 12 14 16 Fino a 3 anni Da 4 a 6 anni Da 7 a 13 anni Da 14 a 17 anni 2019 2020 30 • un bonus bebè che prevedeva l’erogazione di 80 euro mensili ai nuclei con almeno un figlio nato tra il 2015 e il 2017 e con un reddito familiare inferiore a 25.000 euro l’anno; • un bonus per le famiglie numerose, misura una tantum che consiste nel contributo in buoni acquisto per beni e servizi rivolta a nuclei familiari con almeno quattro figli e con reddito inferiore a 8.500 euro; • l’Asdi ossia Assegno di disoccupazione, una misura rivolta a quanti non possono più percepire l’indennità di disoccupazione Naspi, perché ancora disoccupati e in condizione di povertà. Anche gli ultimi tre interventi riportati sopra hanno raggiunto una percentuale molto bassa delle famiglie bisognose, dando quindi un sollievo alla condizione di povertà, ma ancora insufficiente per rispondere al problema. In seguito, durante il Governo Gentiloni entrato in carica sul finire del 2016, nel marzo dell’anno successivo venne approvata la “Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali” che introdusse il REI ossia Reddito di Inclusione. Quest’ultimo venne istituito con il decreto legislativo 147/2017: era una misura di contrasto alla povertà di carattere universale subordinata alla valutazione della condizione economica. Si componeva di due parti quali la Carta Rei, un beneficio economico erogato mensilmente attraverso una carta di pagamento elettronica e, un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa volto al superamento della condizione di povertà, predisposto sotto la regia dei servizi sociali del comune. Dal 1° gennaio 2018 il Rei ha sostituito il Sostegno per l’inclusione attiva e l’Assegno di disoccupazione. L’obiettivo era che il Rei si configurasse come livello essenziale da garantire uniformemente sull’intero territorio nazionale. La parte attiva della misura prevedeva la realizzazione di un progetto personalizzato di inclusione predisposto da un’équipe multidisciplinare costituita dagli ambiti 31 territoriali interessati (in collaborazione con le amministrazioni competenti sul territorio in materia di servizi per l’impiego, formazione, politiche abitative, tutela della salute, istruzione) e in linea con principi generalizzati di presa in carico. Tali principi basati su: una valutazione multidimensionale del bisogno; la piena partecipazione dei beneficiari alla predisposizione dei progetti personalizzati; un’attenta definizione degli obiettivi; un monitoraggio degli esiti (realizzato periodicamente tramite strumenti di misurazione dell’impatto sociale). Per il finanziamento del Rei è stato istituito il Fondo nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale con una dotazione di 1,7 miliardi dal 2018. Grazie al Reddito di Inclusione l’Italia si è dotata per la prima volta di una misura strutturale di contrasto alla povertà che, però, è ancora lontana dagli schemi di reddito minimo europei 20. Da quanto detto sopra, si può notare che il Rei presenta delle criticità in quanto non riguarda tutti gli individui in condizione di deprivazione ma, individua uno specifico target di persone in povertà e ha quindi un carattere categoriale piuttosto che universalistico: infatti, hanno precedenza le famiglie con minori, con disabili gravi, con donne in stato di gravidanza accertata o persone disoccupate di età pari o superiore a 55 anni. In ultimo, questa misura non garantisce il raggiungimento della soglia di povertà poiché l’importo del beneficio è molto limitato: circa 190 euro mensili nel caso di una persona sola e fino a soli 490 euro per un nucleo familiare composto da cinque o più componenti. Nel 2018, con l’insediamento del Governo Conte, in tema di politiche socio assistenziali e di contrasto alla povertà, il Rei è stato sostituito dal Reddito di Cittadinanza, approvato nell’aprile dell’anno successivo. 20 https://www.aiwa.it/wp-content/uploads/2017/12/7_agostini_3r2w.pdf 32 Il Reddito di cittadinanza viene erogato ai nuclei familiari in possesso cumulativamente, al momento della presentazione della domanda dei seguenti requisiti: • un valore ISEE inferiore a 9.360 euro (in presenza di minorenni, si considera l’ISEE per prestazioni rivolte ai minori); • un valore del patrimonio immobiliare in Italia e all’estero, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 30.000 euro; • un valore del patrimonio mobiliare non superiore a 6.000 euro per il single, incrementato in base al numero dei componenti della famiglia (fino a 10.000 euro), alla presenza di più figli (1.000 euro in più per ogni figlio oltre il secondo) o di componenti con disabilità (5.000 euro in più per ogni componente con disabilità e euro 7.500 per ogni componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza); • un valore del reddito familiare inferiore a 6.000 euro annui, moltiplicato per il corrispondente parametro della scala di equivalenza (pari ad 1 per il primo componente del nucleo familiare, incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente maggiorenne e di 0,2 per ogni ulteriore componente minorenne, fino ad un massimo di 2,2 nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza, come definite ai fini dell’Isee). Tale soglia è aumentata a 7.560 euro ai fini dell’accesso alla Pensione di cittadinanza. Se il nucleo familiare risiede in un’abitazione in affitto, la soglia è sale a 9.360 euro. I beneficiari del Reddito di cittadinanza sono chiamati alla stipula di un patto di lavoro che determina l’immediata disponibilità al lavoro e l’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale che può prevedere attività di servizio alla comunità, per la riqualificazione professionale o il completamento degli studi, nonché altri impegni finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro e all’inclusione 35 altissimo se in famiglia nessuno dei genitori lavora, ma questo non significa che se ci fosse almeno un reddito da lavoro, il minore sarebbe protetto dal pericolo di cadere in condizione d’indigenza, in quanto il reddito percepito potrebbe non bastare a soddisfare i bisogni di tutti i componenti del nucleo familiare. La questione della povertà dei minori è quindi, un fenomeno di particolare rilevanza: esso non è limitato solo al presente ma interessa anche e soprattutto il futuro della società e le sue potenzialità di progresso economico e sociale. Infatti, si può facilmente prevedere che i minori che oggi vivono in grandi difficoltà e disagio per una serie di circostanze, avranno sicuramente pochissime se non nessuna possibilità di inserirsi nella società del domani e di uscire quindi dal limbo della povertà. Infatti, l’infanzia rappresenta un percorso formativo per lo sviluppo delle capacità fisiche, mentali ed emozionali che condizioneranno il bambino nel suo percorso di crescita. Per questa ragione, affrontare e definire politiche di contrasto alla povertà minorile significa, quantomeno, contribuire a ridurre la povertà futura, migliorare l’occupabilità dei lavoratori del domani e limitare il potenziale dei conflitti sociali che si affronterebbero sia internamente che in prospettiva globale. Come sostiene la fondazione Openpolis «oggi in Italia più una persona è giovane, più è probabile che affronti una deprivazione sociale»24. Prima della crisi economica, i più colpiti dall’indigenza erano gli over 65 con una percentuale pari a 4,5 che col passare degli anni è rimasta più o meno invariata; oggi, invece, assistiamo ad un totale capovolgimento della situazione e vediamo la fascia dei più anziani essere meno colpita dalla povertà, mentre d’altro canto la percentuale dei minori colpiti dalla condizione di povertà è drasticamente salita. Inoltre, nel 2005 la forbice tra la fascia d’età più povera e quella meno povera ovvero quella tra 35 e 64 anni, era inferiore ai 2 punti percentuali, l’indigenza quindi riguardava trasversalmente e in maniera omogenea tutte le età, mentre nel 24 https://www.openpolis.it/i-divari-generazionali-e-la-spesa-per-famiglie-e-bambini-in-italia-e- in-ue/ 36 2020, come si evince dalla Figura 3., con l’emergenza Covid, oltre il 13% dei minori è finito in povertà assoluta. I secondi più colpiti sono i giovani adulti, fascia di età compresa tra 18 e 34 anni, il cui tasso d’incidenza è salito all’11,3%25. Figura-3. Incidenza della povertà assoluta per fascia d'età (2005-2020) Fonte: elaborazione Openpolis – Con i Bambini su dati Istat (ultimo aggiornamento del 16 giugno 2021) I fattori che influenzano il rischio di povertà dei minori sono molteplici: uno tra questi è la numerosità del nucleo familiare e soprattutto la presenza o meno di minori. Si trova in condizioni di povertà assoluta il 20,5% delle famiglie con 5 e più componenti, contro l’8,5% delle famiglie composte da 3 persone. Nel 2019 l’incidenza di queste due tipologie familiari risultava rispettivamente del 16,2% e del 6,1%. La situazione si fa poi particolarmente critica se le famiglie sono monogenitore, si è passati dal 8,9% del 2019 all’11,7% del 2020 e, se i figli conviventi, specie minori, sono più di uno. L’incidenza della povertà assoluta 25 Ibidem 0 2 4 6 8 10 12 14 16 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 fino a 17 anni 18-34 anni 35-64 anni 65 anni e più 37 sale infatti dal 9,3% nelle famiglie con un solo figlio minore al 22,7% in quelle che ne hanno 3 o più, contro rispettivamente il 6,5% e il 20,2% dell’anno precedente. Allo stesso modo anche il tasso di occupazione e il livello di istruzione incidono fortemente, infatti, i bambini che vivono in famiglie a bassi intensità di lavoro e livello di istruzione, hanno più possibilità di crescere in povertà e di essere socialmente esclusi. L’educazione influenza il tipo di lavoro a cui una persona può avere accesso, quindi, l’occupazione non va solo considerata dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo in quanto, se coniugata ad un buon livello di istruzione, allontana il rischio di povertà. Quest’ultimo, in particolare quello dei minori, diminuisce infatti all’aumentare dei livelli di educazione dei genitori poiché consente ad essi l’accesso a redditi più elevati e, di conseguenza, garantisce uno standard di vita adeguato. Tale situazione influisce positivamente anche sull’educazione dei minori, perché un reddito più elevato permette ai genitori di sostenere finanziariamente gli studi dei figli. Inoltre, il fatto che i genitori abbiano un alto livello di istruzione, tendenzialmente veicola ai figli una percezione positiva dell’importanza dello studio nella vita. Invece, è noto come gli effetti della disuguaglianza condizionino tutto il processo di crescita, se non sono adeguatamente contrastati da politiche che compensino gli effetti cumulativi degli svantaggi: essere poveri da bambini e ragazzi, specie quando si combina con una bassa istruzione dei genitori, incide negativamente sulla salute e sullo sviluppo cognitivo. In effetti come emerge dai dati dell’Istat, tra i lavoratori più colpiti dalla pandemia vi sono tutte quelle persone con basse qualifiche e bassi salari, caratterizzati anche da un più difficile ricorso allo smart working; in termini contrattuali particolarmente penalizzati, quelli a tempo determinato, specie se vicini alla scadenza ed i lavoratori autonomi, atipici e stagionali. Si pensi ai piccoli commercianti ed artigiani che si sono trovati costretti a chiudere le loro 40 sfuggenti e pluridimensionali, cioè non riconducibili solo a carenze materiali e che prendono in esame anche elementi di tipo relazionale»28. Come ha evidenziato il Premio Nobel Amartya Sen: «esistono alcune buone ragioni per concepire la povertà come privazione di capacitazioni fondamentali anziché come pura e semplice scarsità di reddito». Infatti, a partire dagli anni ’90, alcuni sociologi ed economisti hanno introdotto la nozione di povertà educativa con l’obiettivo di far comprendere che la povertà non è un fenomeno determinato dal solo fattore economico bensì è multidimensionale e, non si limita quindi solo ed esclusivamente all’inadeguatezza del reddito, ma anche all’insieme dei beni materiali e immateriali che permettono all’individuo di funzionare ossia di avere una vita attiva, godere a pieno dei propri diritti e di conseguenza tutelare la propria dignità. «Fattori di rischio immateriali si insinuano nella quotidianità: legami fragili e instabili, povertà emotiva e relazionale spesso restano invisibili alle statistiche e ai servizi, ma si ripercuotono subdolamente su tutte le altre zone di fragilità. Le nuove povertà hanno sempre una componente di disagio affettivo-relazionale, legato anche alle mancate occasioni di apprendimento degli alfabeti della vita emotiva e alla poca consapevolezza di sé. Difficoltà nella vita privata e familiare possono accrescere o addirittura causare una destabilizzazione nella sfera lavorativa e finanziaria. Le vulnerabilità che affliggono il mondo adulto si ripercuotono sui bambini e sugli adolescenti, contribuendo a rendere il loro stesso futuro più incerto e minaccioso»29. Nel 2011 la Commissione Europea sosteneva che l’educazione e la cura della prima infanzia costituiscono le principali basi affinché si abbia un buon esito dell’apprendimento permanente, dello sviluppo personale dell’individuo, della sua integrazione nella società e, di conseguenza, della sua occupabilità. 28 Ivi, p.60 29 Ivi, p.62 41 Ed è proprio per tale motivo che gli adulti hanno una funzione fondamentale per lo sviluppo dei minori: non solo i genitori, ma anche gli insegnati, la comunità e le istituzioni. Infatti, tra gli elementi che influiscono maggiormente nella definizione stessa delle povertà minorili c’è proprio l’educazione, in quanto venendo meno quest’ultima si rischia di troncare sul nascere le aspirazioni e i talenti dei più piccoli, compromettendo il loro presente e di conseguenza anche il loro futuro30. Tuttavia, nel nostro Paese si può ben notare che il legame tra fattore economico e povertà minorile ed educativa è molto forte, infatti quest’ultima colpisce particolarmente quelle famiglie che hanno uno svantaggio a livello socio- economico, solitamente ereditato dalle generazioni precedenti. Per i bambini che vivono in certi contesti di povertà, privi di opportunità di sviluppo, ai quali viene negata la possibilità di condurre una vita autonoma ed attiva, significa portarsi dietro sin dalla più tenera età, gravi discriminazioni rispetto ai coetanei e di conseguenza danni che potrebbero essere irreparabili nel tempo. Povertà materiale e povertà educativa si influenzano reciprocamente: dal principio la povertà economica dei genitori determina situazioni di fragilità nonché carenza di occasioni stimolanti di crescita per i figli, generando altra povertà materiale e di conseguenza povertà educativa, e così via per le prossime generazioni, proprio come in un circolo vizioso. Le fragilità che caratterizzano le nuove povertà a volte risultano essere impercettibili e vanno a ricoprire e ad ampliare quella che viene definita la zona grigia del disagio. Pensiamo quindi ad una povertà emotiva caratterizzata da legami fragili e instabili, mancate occasioni di apprendimento, vulnerabilità familiari che si ripercuotono sui minori andando conseguentemente ad incidere sul loro stesso futuro. 30 https://www.caritas.it/caritasitaliana/allegati/7847/Cap_03_Rapporto_2018.pdf, pp. 92-93 42 Mentre se un bambino è malnutrito risalta subito agli occhi di chi lo incontra, un bambino senza istruzione, con carenze a livello emozionale ed affettivo potrebbe essere invisibile; al contrario della povertà economica quella educativa è un fenomeno meno evidente che si insinua subdolamente nella vita dei minori, sebbene come detto sia strettamente collegata alla prima. La carenza di istruzione, la mancanza di basi culturali e linguistiche, oggi riguarda molti minori provenienti soprattutto da famiglie che hanno reddito basso, ma non solo: basti pensare che spesso la povertà educativa è presente anche in famiglie che non vivono in particolari condizioni di svantaggio a livello economico ma presentano comunque gravi carenze sul piano educativo, soprattutto nella relazione genitore-figlio come la trascuratezza, la noncuranza, la mancanza di tempo, la carenza di ascolto o affetto o peggio ancora abusi e violenze. Questo tipo di povertà educativa può derivare da forme di povertà relazionale e di analfabetismo emotivo diffuse anche nel mondo degli adulti, oltre che da fragilità e disorientamento nell’esercizio della genitorialità, che si riflette inevitabilmente sulla crescita e sui diritti dei minori. «Tra di noi vivono bambini o ragazzi senza e bambini o ragazzi contro. Il senza non necessariamente sfocia nel contro. Senza può voler dire “non mi è stata data l’opportunità”, “mi manca qualcosa dentro”, “ho un vuoto interiore”, indipendentemente da quanto il minore disponga in termini materiali e da quanto vada a cercare surrogati per colmare le sue mancanze, anche attraverso comportamenti devianti. Non sempre il senza e il contro hanno a che fare con la povertà educativa o ne sono manifestazioni o sintomi. Di certo soffrono di qualche forma di deprivazione i ragazzi senza che non leggono, non hanno mai visto il mare, non hanno relazioni coi pari al di fuori del contesto scolastico, non dispongono di un collegamento wi-fi, non sanno cosa sia un museo o un sito archeologico. Creano una situazione di emergenza i ragazzi contro che 45 Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, adottata dall’ONU dal 1959 e fonte di ispirazione per la convenzione definitiva. I quattro principi fondamentali della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sono: 1. Non discriminazione (art. 2): i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere garantiti a tutti i minorenni, senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinione del bambino/adolescente o dei genitori. 2. Superiore interesse (art. 3): in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica, l'interesse del bambino/adolescente deve avere la priorità. 3. Diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo del bambino e dell'adolescente (art. 6): gli Stati devono impegnare il massimo delle risorse disponibili per tutelare la vita e il sano sviluppo dei bambini, anche tramite la cooperazione internazionale. 4. Ascolto delle opinioni del minore (art. 12): prevede il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano, e il corrispondente dovere, per gli adulti, di tenerne in adeguata considerazione le opinioni. Il testo della Convezione è diviso in tre parti ed è composto da 54 articoli e da tre Protocolli opzionali, approvati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite rispettivamente nel 2000 i primi due e nel 2011 il terzo, che riguardano i bambini di guerra, lo sfruttamento sessuale e la procedura per i reclami. Nei primi 41 articoli sono elencati i diritti riconosciuti a ogni bambino, senza alcuna distinzione. Tra questi, quattro vengono identificati come principi fondamentali e sono appunto quelli sopracitati. La seconda parte, Artt. 42-45, istituisce e regola il Comitato ONU sui diritti dell'infanzia, organismo indipendente col compito di esaminare i progressi compiuti dagli Stati parte nell'esecuzione degli obblighi derivanti dalla 46 Convenzione e dai suoi primi due Protocolli opzionali. Gli ultimi nove articoli della Convenzione attengono alle questioni procedurali: la modalità di ratifica ed entrata in vigore, la possibilità in capo agli Stati parte di proporre emendamenti o recedere dalla Convenzione stessa, il deposito del testo in varie lingue presso il Segretario generale dell’ONU33. «Qualcuno ha detto che in Afghanistan ci sono molti bambini ma manca l’infanzia» scriveva così lo scrittore Khaled Hosseini. L’infanzia, purtroppo, rischia di mancare anche nella società italiana perché priva di sicurezza familiare sociale, valoriale; per questo era e rimarrà sempre fondamentale l’intervento e l’investimento educativo34. L’articolo più rilevante in materia di educazione è l’art. 29 della Convenzione, che nella locuzione introduttiva recita «l’educazione del fanciullo deve tendere a»: viene qui sottolineato uno degli aspetti fondamentali dell’educazione, la quale non deve essere superficiale bensì deve essere rivolta all’individuo con impegno, con obiettivi chiari e ben definiti; è un processo ovviamente non semplice che deve coinvolgere diversi attori educativi affinché collaborino e tendano tutti verso il raggiungimento dello stesso, importante scopo. Secondo il pedagogista Pino Pellegrino il genio si sviluppa quando il bambino si trova in un ambiente familiare, sociale e scolastico favorevole; in altre parole, per preparare un genio occorre intervenire fin dai primi anni per permettere al bambino di fare svariate esperienze in modo che possano emergere doti latenti ed eventuali predisposizioni in qualche ambito. Il riferimento è appunto alle doti nascoste del bambino e non ai sogni repressi di genitori che iscrivono e trasportano i figli da un corso all’altro, facendogli fare a volte cose che a loro nemmeno interessano. Ecco perché, dall’ art. 29 lettera a della Convenzione, «l’educazione deve tendere a promuovere lo sviluppo della personalità del 33 https://www.unicef.it/convenzione-diritti-infanzia/articoli/ 34https://www.diritto.it/linee-guida-dell-articolo-29-della-convenzione-internazionale-sui-diritti- dell-infanzia/ 47 fanciullo, dei suoi talenti, delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutto l’arco delle sue potenzialità». Ogni vera relazione è educazione, come sosteneva don Lorenzo Milani, maestro dall’esperienza dal valore sociale, politico, storico e religioso inestimabile. Anche dopo la sua morte, molte delle sue posizioni e delle sue battaglie continuano ad essere al centro del dibattito sull’educazione, anche se in un mondo completamente capovolto dalla rivoluzione tecnologica. L’importanza della comunità educante, della predilezione dei più poveri ed esclusi dal mondo della cultura e della centralità della dimensione inclusiva rimangono dei punti fermi per la crescita della coscienza collettiva. Il maestro della scuola di Barbiana diceva: «Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola. Quello che loro credevano di stare imparando da me sono io che l’ho imparato da loro. Io ho insegnato loro soltanto a esprimersi mentre loro mi hanno insegnato a vivere»35. L’educazione deve generarsi dal rispetto, tale parola etimologicamente significa “guardare di nuovo”, “guardare dietro”, quindi è assolutamente necessario che colui che viene educato rivolga lo sguardo verso l’altro, rispecchiandocisi e immedesimandosi in esso e nei suoi bisogni. Educare al rispetto, alla conoscenza reciproca, alla condivisione, sin dalla più tenera età, significa iniziare a costruire le basi per formare adulti più liberi, più consapevoli, affettivamente e socialmente maturi. È necessario, quindi, soprattutto in mondo così complesso, lavorare assiduamente sulla quotidianità per la conoscenza delle diversità affinché si possa comprendere che queste non comportano in nessuna circostanza la superiorità di qualcuno a discapito di un altro. La storica Lucetta Scaraffia afferma che nella società in cui attualmente viviamo i genitori sono sempre più distratti e i figli abbandonati a sé stessi: ed ecco che si 35 E. Aceti, J. Moràn, Verso l’uomo. Una risposta alla povertà educativa contemporanea, Città Nuova, 2020, p.148 50 È assolutamente necessario recuperare tutte quei valori che le vecchie generazioni ci hanno lasciato, quelli delle antiche civiltà che hanno dato le basi all’umanità e, quella civiltà che oggi venendo meno sta vedendo il nostro mondo andare completamente a rotoli. Nella lettera d dell’art. 29 c’è scritto: «preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi e delle persone di origine autoctona», qui viene sottolineata l’esigenza di avere famiglie, scuole e società che mettano in atto una vera e propria rivoluzione pedagogica e si assumano, quindi, la grande responsabilità di essere autentici maestri di vita che fungano, cioè, da guida per il bambino e lo preparino al rispetto e alla valorizzazione della diversità. Infine nella lettera e dell’art. 29 della Convenzione si prevede: «sviluppare nel fanciullo il rispetto per l’ambiente naturale». Si passa, pertanto, gradualmente e coerentemente dal bambino nella sua interezza, di cui alla lettera a, a tutto quello che lo circonda, perché il rispetto presuppone circolarità e reciprocità. A tal proposito un proverbio masai recita: «Trattiamo bene la terra su cui viviamo: essa non ci è stata donata dai nostri padri, ma ci è stata prestata dai nostri figli»38. Come è noto, l’uomo è il nemico per eccellenza dell’ambiente naturale e le sue azioni possono avere purtroppo gravi conseguenze; per questo motivo bisogna fare in modo che gli individui abbiamo maggiore consapevolezza dell’ambiente e, per farlo è necessario educare al rispetto dell’habitat naturale sin dall’infanzia attraverso progetti educativi che possano permettere la diffusione di comportamenti e stili di vita sostenibili. In conclusione, si può affermare che l’educazione è da considerarsi ciò da cui si genera il cambiamento, l’unico e vero processo sociale capace di consentire una reale evoluzione rivolta al bene comune. 38 Ibidem 51 2.4 L’importanza del Capability Approach e di formare cittadini del mondo Come accennato nel paragrafo precedente, Save the Children nel definire il concetto di povertà educativa si è ispirato al capability approach di Martha Craven Nussbaum e il filoso indiano Armatya Sen, con il quale ha fondato nel 2003 la Human Development and Capability Association: entrambi sostengono che ogni individuo ha la necessità di servirsi di un contesto capacitante, in grado cioè di favorire lo sviluppo delle capabilities. Questo approccio parte da una considerazione per certi versi di Aristotele, per altri di Marx: le capacità personali dell’individuo sono viste come parti costitutive dello sviluppo economico, mentre la povertà ne è uno stato di privazione. Per prevenire e contrastare la povertà educativa servono capacità combinate, una somma di capacità interne, acquisite e sviluppate dal soggetto sin dalla prima infanzia e condizioni socio-politico-economiche che ne garantiscono lo sviluppo39. In un ambiente sempre più cosmopolita e multiculturale, l’educazione assume un ruolo fondamentale per comprendere a pieno il rapporto della società con la politica e l’economia, i cui interessi spesso prevalgono sul concetto di democrazia. In tale prospettiva, in un articolo della professoressa e ricercatrice Rossana Adele Rossi, la filosofa e pedagogista Nussbaum si scaglia contro tutte quelle teorie moderne basate sul principio del do ut des, ossia “dare per ricevere”, le quali considerano l’individuo non per il suo essere persona bensì come mezzo di produttività e, così facendo, alimentano il principio di dominio politico e lo sfruttamento economico. Per questo motivo, la Nussbaum ritiene assolutamente necessario valorizzare e comprendere la dimensione politica della democrazia: partire dal basso per definire l’acquisizione nei termini delle opportunità che si 39 L. Di Profio, Povertà Educativa: che fare? Analisi multidisciplinare di una questione complessa, op. cit., p.75 52 offrono a ogni persona, osservando le vicende concrete e il significato dei cambiamenti nelle politiche sociali, chiedersi che cosa effettivamente un individuo sia in grado di fare e di essere40. Il capability approach è fondato su principi etici e morali rapportati ad aspetti economico-sociali, che dovrebbero essere rispettati e fatti rispettare per la cura del benessere degli individui. A differenza delle altre teorie sull’economia dello sviluppo, le quali si concentrano solo sul grado di soddisfazione e sulla ricchezza, l’approccio delle capacità si focalizza su ciò che realmente le persone sono in grado di essere e di fare, ossia sulle loro capacità umane, al fine di promuovere pari opportunità e uguale dignità per tutti gli esseri umani, senza distinzioni di genere, di razza, di classe, di religione. Nel 1990, un economista pachistano Mahbub ul Haq nel primo dei rapporti dell’United Nations Development Programme, scrisse: «La vera ricchezza di una nazione è il suo popolo. E l’obiettivo dello sviluppo è creare un ambiente che consenta alla gente di godere di una vita lunga, sana e creativa. Questa verità molto semplice, ma potente, viene spesso dimenticata nell’inseguimento della ricchezza materiale e finanziaria»41. Secondo la Nussbaum, le capacità possono essere indicate in un quadro normativo costituito da dieci dimensioni fondamentali, che può essere garantito da leggi e principi costituzionali, nel quale le persone siano in grado di condurre una vita produttiva e creativa a misura delle proprie necessità e dei propri interessi. Ed è proprio attraverso la coltivazione di queste capabilities che si può giungere a quella che Aristotele definisce eudaimonia e che la Nussbaum traduce 40 Cfr. R. A. Rossi, Giustizia sociale e dignità umana: il problema pedagogico della democrazia in Martha C. Nussbaum, in NUOVA SECONDARIA n. 2, 2013, pp.28-30 41 M. C. Nussbaum, Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea, trad. it., Carocci Editore, Roma, 2006, p.13 55 diverse dalla propria. In pratica ogni persona deve ritenersi appartenente alla comunità globale, rispettare e relazionarsi con la diversità, partecipare allo scambio di critiche sulle tradizioni per discernere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. «Il terzo requisito della cittadinanza, strettamente collegato ai primi due, si potrebbe definire “immaginazione narrativa”: la capacità di immaginarsi nei panni di un’altra persona, di capire la sua storia personale, di intuire le sue emozioni, i suoi desideri e le sue speranze» 46. L’immaginazione narrativa, termine usato dalla Nussbaum, che si rifà a quello che in pedagogia corrisponde all’empatia e al prendersi cura dell’altro: è appunto, la capacità di immedesimarsi nel destino di un’altra persona o di un altro gruppo. È lo strumento necessario per prepararsi ad affrontare correttamente l’interazione morale, abituarsi ad agire empaticamente, riflettere sull’interiorità, concorrere alla formazione di un certo tipo di cittadino. Secondo la nostra autrice, per determinare lo sviluppo della capacità di immedesimarsi nell’altro è necessario coltivare l’immaginazione narrativa attraverso la cultura umanistica. La nostra società tende a creare una sorta di divisione tra il mondo scientifico e quello umanistico: valorizza la scienza, la tecnica, l’informatica a discapito di materie umanistiche come la storia, l’arte, la letteratura, la filosofia. Una formazione meramente tecnicista, permette sì di sviluppare le competenze necessarie per intraprendere un cammino sulla strada della modernità, ma inibisce altre capacità assolutamente importanti che appartengono all’essere umano, alla sua sensibilità e alla sua intelligenza. Nel volume Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, l’intellettuale statunitense si focalizza sul rapporto tra educazione e democrazia all’interno del contesto scolastico e universitario, e ritiene che il 46 Ivi, p.25 56 compito della cultura umanistica sia quello di formare individui che siano in grado di affrontare le avversità che si creano in mondo sempre più interconnesso e multiculturale. Quindi è necessario svecchiare i contenuti disciplinari dei curricoli scolastici e accademici, inserire nuove discipline e legare la cultura umanistica a quella tecnicistica. C’è bisogno di innovazione: la nostra società necessità di individui creativi e originali, in grado di risolvere problemi complessi, di adattarsi a circostanze mutevoli, con forte spirito di collaborazione e di sostegno altrui. Spingere gli studenti ad ampliare la propria conoscenza sui periodi storici precedenti, sulle culture non occidentali, sulle minoranze nel nostro paese, sulle differenze sessuali e di genere. «Ma la libertà di pensiero dello studente è pericolosa quando ciò che si vuole è un gruppo di lavoratori obbedienti, professionalmente preparati per realizzare i progetti delle élite […]. Il pensiero critico verrà scoraggiato […]»47. Con questa osservazione la Nussbaum mette in evidenza come un individuo colto possa rappresentare un ostacolo per l’ottusità morale che mira solo alla crescita economica e ad allargare le disuguaglianze sociali. Un cittadino ben istruito invece ha anche più probabilità di essere un buon cittadino che rispetta i diritti degli altri, ha cura della cosa pubblica, ha insomma una visione globale in quanto appunto, cittadino del mondo. Alla domanda su come bisogna formare i cittadini affinché essi non ricerchino la dominazione e l’esclusione, ma l’uguaglianza e il rispetto reciproco, la filosofa risponde: «Probabilmente non riusciremo mai a formare persone che siano al riparo da ogni possibile manipolazione, ma possiamo produrre una cultura sociale che valga di per sé come un potente contesto in cui radicare le tendenze che militano contro lo stigma e la prevaricazione»48. 47 R. A. Rossi, Non per profitto: l’importanza della cultura umanistica secondo Martha C. Nussbaum, in NUOVA SECONDARIA n. 1, 2013, pp.94-95 48 Ivi, p.96 57 In conclusione, la cultura umanistica riveste per tali motivi un ruolo fondamentale nella crescita personale e anche quella professionale dell’individuo, nutre il cervello e l’anima e non va mai abbandonata. 2.5 Misurare la povertà educativa: l’Indice di Save the Children per illuminare il futuro dei bambini La povertà economica e la povertà educativa sono due fenomeni strettamente connessi che si alimentano a vicenda. Sulla relazione tra le due povertà esiste un dibattito molto acceso: se da sa una parte è vero che la povertà materiale è il fattore che espone maggiormente alla povertà educativa, dall’altra è evidente anche che non sono sempre le deprivazioni materiali a generare quest’ultima. Infatti, se un bambino non legge oppure non può godere di occasioni ludiche, sportive, etc. utili per la socializzazione perché chi lo guida non ritiene significative ed educative esperienze di questo tipo, la condizione economica in queste circostanze non è il principio, ma anche una serie di circostanze sociali possono alimentare la povertà educativa. Nella maggior parte dei casi però le difficili condizioni economiche portano molti bambini ed adolescenti a non avere le stesse opportunità dei loro coetanei che vivono in uno stato di agiatezza, con conseguenze che nel tempo possono avere effetti irreparabili. Come in un circolo vizioso, la povertà educativa alimenta quella economica e viceversa. Ma quali sono le cause che determinano questo circolo vizioso? Quali sono i fattori di cui è necessario tenere conto quando si parla di povertà educativa? In che modo essa può essere misurata? 60 6. Aule connesse ad internet 7. Dispersione scolastica 8. Bambini che sono andati a teatro 9. Bambini che hanno visitato musei o mostre 10. Bambini che hanno visitato monumenti o siti archeologici 11. Bambini che sono andati a concerti 12. Bambini che praticano sport in modo continuativo 13. Bambini che utilizzano internet 14. Bambini che hanno letto libri50. Secondo l’economista, Premio Nobel James Heckman così come per neuro- scienziati e sociologi, molte delle diseguaglianze che si creano nei percorsi educativi e lavorativi degli adulti sono legate principalmente alle opportunità educative mancate e non che essi hanno avuto durante la loro infanzia. Infatti, come è noto, il periodo che precede l’entrata a scuola rappresenta per il bambino un momento di transizione cruciale ed è, per tale motivo che, la presenza dei servizi per l’infanzia, di nidi e scuole materne, deve essere essenziale e soprattutto di qualità, altrimenti la loro mancanza indica un elemento di povertà. È davvero di vitale importanza che i bambini abbiano accesso ad una pedagogia che sia finalizzata al gioco, che fornisca stimoli cognitivi ma anche socio- emozionali, il moto, la salute, l’inclusione in presenza di bambini immigrati e, che favorisca la partecipazione attiva dei genitori nel percorso formativo e di crescita dei propri figli. Inoltre oltre che di qualità, i servizi per l’infanzia devo poter essere accessibili a tutti, a prescindere dalla condizione economica della famiglia o dall’origine straniera. A tal proposito, per quanto riguarda il servizio mensa che rappresenta un indicatore importante per valutare le opportunità educative nelle diverse regioni italiane, dai dati del MIUR emerge che non in tutti i comuni l’offerta di 50 L. Di Profio, Povertà Educativa: che fare? Analisi multidisciplinare di una questione complessa, op. cit., p.80 61 refezione scolastica è alla portata di tutti: infatti, se alcuni hanno adottato criteri di equità che prevedono l’esenzione per le famiglie in situazioni di maggiore svantaggio, altri invece hanno attuato un sistema che determina conseguenze discriminatorie e alimenta, per tanto, le diseguaglianze scolastiche. Anche la sicurezza rappresenta un diritto fondamentale per i bambini, come sancito nell’Articolo 3 della CRC: ad oggi, circa la metà delle scuole presenti sul territorio italiano non possiede il certificato di agibilità/abitabilità; questo non significa necessariamente che le scuole siano tutte inagibili e insicure ma, non c’è neanche la certezza che non lo siano. Nel sistema scolastico, la povertà educativa si misura principalmente in termini di limitazione del tempo passato a scuola: oggi, in effetti, il tempo che bambini e giovani trascorrono in aula, nella maggior parte delle regioni italiane, è molto ristretto e questo ha effetti estremamente negativi sull’organizzazione e la qualità della didattica e soprattutto per tutti quei minori con bisogni educativi speciali. Una scuola di qualità si caratterizza anche per un curriculum scolastico aperto all’innovazione e, in grado di far apprendere agli studenti l’uso corretto delle tecnologie e della comunicazione. Sempre dai dati del MIUR si può constatare che in Italia, più di due terzi delle aule nelle scuole primarie e secondarie possiede la connessione ad Internet, la maggior parte anche di ottima qualità. Questa può essere considerata una nota positiva. Per quanto concerne la dispersione scolastica, spesso legata alle condizioni economiche e culturali della famiglia, è anche sintomo di un’offerta educativa che non riesce a soddisfare i bisogni educativi di tutti quei bambini che provengono da situazioni di maggiore deprivazione. In Italia, secondo i dati Eurostat del 2013, il tasso di Early School Leavers è molto alto, soprattutto in cinque regioni quali la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta, la Puglia e la Campania riguarda addirittura un quinto dei giovani, sintomo che in questi territori la privazione delle opportunità educative è maggiore. 62 Anche per quanto riguarda la partecipazione alle attività culturali quali visite ai musei e ai siti archeologici, la frequentazione di concerti o spettacoli, importanti occasioni per conoscere lo spazio in cui si vive, i dati Istat consegnano l’immagine di un Paese in cui tali opportunità sono appannaggio di pochi bambini ed adolescenti. Invece, la possibilità concreta per tutti di accedervi ed usufruirne sarebbe davvero un investimento per combattere le povertà educative. Stessa cosa vale per la pratica dello sport in maniera continuativa: quest’ultima è fondamentale per lo sviluppo fisico ed educativo dei più piccoli ma anche dei giovani adolescenti in quanto favorisce il gioco di squadra, il rispetto delle regole, l’impegno per superare gli ostacoli, la sana competizione. Nonostante ciò, nel nostro Paese e, in particolare nelle regioni meridionali, meno del 50% dei bambini e degli adolescenti pratica sport assiduamente. Ciò è dovuto anche alla mancanza di parchi, di spazi verdi pubblici e di strutture attrezzate e, anche se ci sono delle associazioni che promuovono l’attività sportiva tra bambini e ragazzi, questo non è sufficiente a garantire l’offerta educativa ed è quindi necessario l’intervento delle istituzioni pubbliche affinché promuovano l’accesso effettivo alla pratica degli sport per tutti, indipendentemente dalla condizione socio- economica. Infine, il quattordicesimo indice che riguarda la lettura è molto importante in quanto la povertà educativa si manifesta anche nella mancanza di questa opportunità, spesso determinata dalla situazione economico-culturale della famiglia, dalla mancanza di libri in casa, purtroppo spesso non compensata dall’offerte delle biblioteche pubbliche e scolastiche o da attività di promozione della lettura. Secondo i dati Istat del 2014, in Italia il 52% dei bambini e degli adolescenti ha letto in un anno, oltre a quelli scolastici, un solo libro. Anche in questo caso c’è un forte divario tra Nord, Centro e le regioni meridionali in cui la percentuale di lettori minori è davvero molto bassa51. 51 https://s3.savethechildren.it/public/files/uploads/pubblicazioni/la-lampada-di-aladino.pdf 65 4. stato e raggiungibilità degli edifici scolastici. Tutti questi indici per misurare la povertà educativa, elaborati e rielaborati nel corso degli anni, mettono in evidenza un processo in divenire che non si è sicuramente ancora concluso e che si svilupperà ulteriormente grazie alla ricerca54. 54 L. Di Profio, Povertà Educativa: che fare? Analisi multidisciplinare di una questione complessa, op. cit., p.82 66 CAPITOLO III LE CONSEGUENZE DELLA CRISI SANITARIA E LE AZIONI DI CONTRASTO ALLA POVERTÀ EDUCATIVA 3.1 Gli effetti della pandemia da Covid-19 sulla povertà educativa Oggi più che mai, l’Italia ed il mondo stanno vivendo quella che può essere considerata la più grave crisi sanitaria del dopoguerra a causa della pandemia da SARS-COV2, che nel nostro Paese ha colpito milioni di persone, causando la morte di migliaia di queste. L’impatto che il Coronavirus ha avuto sulla vita di bambini, adolescenti e intere famiglie è stato molte forte soprattutto a seguito delle misure intraprese dal Governo per far fronte all’emergenza: le chiusure di attività economiche, sociali ed educativo-culturali hanno determinato conseguenze socio-economiche disastrose. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, la disoccupazione stimata per il 2020 è pari al 12,7%, e la conseguente riduzione della capacità economica delle famiglie rischiano di aumentare considerevolmente l’incidenza della povertà materiale tra i minori. Secondo una ricerca condotta dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, dei 9,5 milioni di lavoratori impossibilitati a lavorare nel marzo 2020 a causa del lockdown, 3,7 milioni vivono in famiglie monoreddito, dove quindi è venuta a mancare l’unica fonte di sostentamento. La metà di queste famiglie è composta anche da figli a carico; tra loro 439 mila i monogenitori. La crisi sanitaria ha così cancellato non solo i miglioramenti che si erano avuti nel 2019 grazie all’introduzione del Reddito di Cittadinanza ma, ha avuto un impatto così travolgente per il quale 1 milione di bambini in più rischiano di scivolare nella povertà assoluta, andandosi così ad aggiunger agli attuali 1,2 milioni di minori 67 attualmente certificati in condizioni di indigenza ed innalzandone il tasso dall’attuale 12% al 20% in un lasso di tempo estremamente breve55. Come già detto nei capitoli precedenti, povertà materiale e povertà educativa come in un circolo vizioso, si influenzano reciprocamente e, per tale motivo, l’impatto dell’emergenza sanitaria ha avuto conseguenze negative soprattutto per bambini ed adolescenti. Chiudendo le scuole sono stati limitati importanti spazi di alfabetizzazione civica e di educazione e, tutto ciò ha privato molti minori, soprattutto i più fragili, di diritti preziosissimi. Durante i mesi di lockdown, tutti gli attori sociali ed educativi, dirigenti ed insegnanti, si sono fortemente impegnati per garantire la continuità scolastica anche a distanza, attraverso l’uso delle tecnologie: il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha offerto classi virtuali e piattaforme online a tutte le scuole con l’obiettivo di assicurare il diritto allo sviluppo e all’apprendimento di bambini e ragazzi. Tutto ciò non è stato per nulla semplice in quanto nessuno avrebbe mai immaginato che un giorno il mondo si sarebbe svegliato come rinchiuso in una bolla, per proteggersi da un invadente e pericoloso virus. In Italia vivono 9,6 milioni di minori: a seguito dell’ordinanza di quarantena durante i mesi di pandemia, oltre 8 milioni e mezzo di bambini e ragazzi frequentanti i diversi gradi d’istruzione, sono rimasti a casa. Tutto ciò ha comportato una serie di questioni pratiche da risolvere, sia per i minori che per i loro genitori che si sono ritrovati a dover conciliare i tempi della vita familiare con quelli lavorativi, a doversi munire di strumentazione e connessione adeguati a poter svolgere diverse attività quali lavoro in smart, lezioni a distanza, svolgere i compiti così come pagare bollette, ordinare la spesa, tutto esclusivamente in rete. 55 https://s3.savethechildren.it/public/files/uploads/pubblicazioni/limpatto-del-coronavirus-sulla- poverta-educativa_0.pdf 70 disposizioni organizzative e di distanziamento fisico hanno ridotto ulteriormente la disponibilità di tale servizio, penalizzando così tutti quei minori che vivono in condizioni di grave svantaggio e che oggi più che mai necessitano dell’accesso ad una sana alimentazione a scuola poiché la riduzione delle risorse economiche nelle famiglie ha determinato anche una drastica diminuzione della capacità di spesa per garantire loro un’alimentazione equilibrata. Inoltre, molti sono i bambini che vivono in ambienti molto ristretti, privi di giardino, che hanno dovuto rinunciare anche all’attività motoria non potendosi recare in spazi dedicati a quest’ultima, per chi se lo poteva permettere ovviamente. Quindi, tra le diverse conseguenza che questa situazione ha determinato abbiamo la perdita di motivazione, scarse competenze scolastiche, isolamento sociale e un incremento dell’abbandono scolastico. Comprendere gli effetti immediati della crisi sanitaria e del confinamento sui minori e sulle loro famiglie è stato estremamente difficile, ed è per questo motivo che Save the Children ha svolto un’indagine online, dal 22 al 27 aprile 2020, su un campione di 1003 minori di età compresa tra gli 8 e i 17 anni, servendosi di un questionario volto ad osservare l’impatto che le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria hanno avuto su bambini ed adolescenti in Italia. Nello specifico le domande del questionario rivolte sia ai minori che ai loro genitori riguardavano: - composizione del nucleo familiare e condizione socioeconomica; - caratteristiche demografiche dei minori; - l’impatto economico delle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria; - l’accesso alla didattica a distanza e il ruolo della scuola; - gli effetti del confinamento sul percorso scolastico dei bambini e sul loro sviluppo socio-emozionale; 71 - le aspettative rispetto al futuro58. La chiusura delle filiere produttive non alimentari e delle attività commerciali e le restrizioni imposte dal governo, in particolare quelle sul distanziamento, hanno avuto un impatto alquanto drammatico sia sul versante economico che su quello sociale. Soltanto il 14.8% dei genitori ha infatti dichiarato che la propria situazione economica non è cambiata mentre, per circa la metà delle famiglie le risorse economiche si sono notevolmente ridotte e tale stato di cose, secondo loro, potrebbe protrarsi a lungo. Più di una famiglia su 10 ha infatti subìto una riduzione definitiva del proprio salario, altri, soprattutto nel nord-Est del Paese, invece solo temporanea (inclusi cassa integrazione o congedo parentale) e, il 7,4% dei genitori ha perso definitivamente il lavoro. Conseguentemente quasi la metà delle famiglie italiane ha dovuto ridurre le spese per acquistare generi alimentari e il consumo di carne e pesce (41,3% a livello nazionale, 48.2% al Sud, 47.4% nelle Isole). Un dato ancora più allarmante se si considera che prima del lockdown il 41,3% delle famiglie più fragili beneficiava del servizio di refezione scolastica per i propri figli e circa il 40,3% era esente o quasi da pagamenti. Una famiglia su tre (32,7%) ha dovuto rimandare il pagamento delle bollette (37.1% al Sud, e 43.8% nelle Isole) e una su quattro (26,3%) anche quello dell’affitto o del mutuo. Il 21,5% delle famiglie (28.2% al Sud) non ha potuto comprare medicinali necessari o ha dovuto rinunciare alle cure mediche necessarie per mancanza di soldi. Una famiglia su cinque ha dovuto ricorrere a prestiti economici da parte di familiari o amici e il 15,5% ha dovuto fare conto su aiuti alimentari. Per le famiglie più fragili gli aiuti da parte dello Stato sono quasi raddoppiati: era il 18,6% dei genitori a beneficiarne prima delle restrizioni dovute al Covid e il 32,3% durante il lockdown59. 58 https://s3.savethechildren.it/public/files/uploads/pubblicazioni/limpatto-del-coronavirus-sulla- poverta-educativa_0.pdf 59 Ibidem 72 Al disagio economico si aggiunge anche l’impatto sulla povertà educativa. Tra mille difficoltà i bambini e i ragazzi riescono mediamente a proseguire gli studi. In generale una famiglia su cinque vorrebbe una maggiore comunicazione con gli insegnanti, il 39,9% sostiene che i propri figli non riescano a seguire il ritmo scolastico e dall’inizio del lockdown è aumentata del 50% la quota di chi ritiene che i propri figli abbiano bisogno di maggiore sostegno nello studio. Tra le famiglie in maggiore difficoltà, più del 70% sono quelle che vorrebbero un aiuto più consistente da parte degli insegnanti e un accesso più semplice alla didattica a distanza perché ritengono che le attività scolastiche siano diventate più pesanti per i loro figli, difficili ed eccessive. Tra queste, più di una famiglia su dieci può contare solo sul comune utilizzo dello smartphone come device per accedere alla didattica a distanza e, il 24,4% teme che questa situazione comporterà qualche insufficienza per i propri figli o che addirittura i propri figli possano perdere l’anno, nonostante le disposizioni ministeriali; di queste, inoltre, l’8,6% ritiene che questa situazione possa comportare l’abbandono della scuola da parte dei propri figli. In effetti quasi la metà delle famiglie con maggiori fragilità vorrebbe che le scuole fossero aperte tutto il giorno con attività extrascolastiche e supporto alle famiglie in difficoltà. Del resto il 60,3% dei genitori sostiene che i propri figli avranno bisogno di supporto quando torneranno a scuola come conseguenza della perdita di apprendimento avuta negli ultimi mesi. Inoltre, molti sono i genitori preoccupati rispetto alla possibilità di andare a lavorare o cercare un nuovo lavoro con le scuole chiuse, in particolare quelli con maggiori difficoltà. Anche dal punto di vista dei figli, la situazione della didattica durante il lockdown non appare priva di problemi, soprattutto per le primarie: circa il 9,6% dei bambini tra gli 8 e gli 11 anni su non ha mai sperimentato le lezioni on-line o lo ha fatto meno di una volta a settimana, mentre la percentuale cala drasticamente per le scuole secondarie di primo e secondo grado, rispettivamente 75 Il sondaggio è stato realizzato tra il 4 ed il 12 novembre 2021 e ha analizzato, oltre alla popolazione italiana nel suo complesso anche alcuni target particolarmente significativi. Dall’indagine è emerso che il 78% degli italiani ha rilevato che una delle principali conseguenze determinate della pandemia è la dipendenza di bambini e ragazzi da Internet nonché da smartphone e tablet: molti testimoniano episodi di ansia frequente, insonnia e la crescita dei casi di depressione. Secondo 8 genitori su 10 in futuro non dovrà mancare mai più la continuità scolastica, le attività ludiche e quelle sportive e, soprattutto la possibilità di relazionarsi con i coetanei e con il resto della comunità: viene denunciata la perdita di socialità spontanea tra bambini e ragazzi, l’esclusione dei più fragili tra cui poveri, figli di stranieri e disabili, la tendenza all’isolamento e al completo abbandono della vita sociale. Per gli italiani la scuola ha retto a fatica tutti i problemi causati dalla pandemia, infatti 1 su 2 ritiene che non sia stata garantita a tutti gli studenti equità nell’accesso alla didattica a distanza, se non con livelli di qualità differenti e forti divari; solo l’8 % sostiene il contrario; le relazioni tra compagni di classi e tra alunni e docenti sono nettamente cambiate in peggio. È, invece, fortemente maturata la convinzione, in quasi 8 italiani su 10, che la possibilità di sviluppo e di crescita dei minori non è solo affare della scuola bensì di tutta la comunità: particolarmente sensibili sulle potenzialità di una comunità educante si rivelano l’81% dei genitori di figli minori; il dato sale al 90% per gli insegnanti e si rafforza nel corso degli anni anche nell’opinione pubblica raggiungendo il 12% in più rispetto al 202062. Di rilevante importanza sono i dati sulla crescita della consapevolezza di cosa sia e di quanto si stia diffondendo la povertà educativa minorile: per il 90% degli italiani tale fenomeno è ritenuto molto grave e assolutamente da osteggiare: il 62 Ibidem 76 57% di loro ritiene che le azioni di contrasto messe in atto dall’impresa sociale Con i Bambini per il Fondo siano ad oggi di fondamentale importanza rispetto agli anni precedenti per risanare le fragilità e le disuguaglianze acuite dal Coronavirus. Il presidente dell’impresa sociale Con i Bambini ha così commentato: «Gli italiani hanno capito che la povertà educativa è una grande questione nazionale. Cresce e si rafforza anche la consapevolezza che il fenomeno si affronta insieme, in un’ottica di comunità educante, rafforzando le alleanze educative. Dopo l’emergenza in senso stretto, in cui le preoccupazioni principali erano giustamente rivolte alla disponibilità di dispositivi e internet, l’opinione pubblica fa i conti con le esigenze primarie di ogni uomo e bambino: la socialità e i legami con i pari, l’esigenza di imparare bene e, al contempo, di stare bene insieme, tra coetanei. La pandemia ha ostacolato tutto questo, servono continuità nell’apprendimento per bambini e ragazzi, più spazi per la socializzazione. Le diseguaglianze sono cresciute, occorre raggiungere tutti e ciascuno. Le priorità indicate dagli italiani per il PNRR e la spesa pubblica sono eloquenti. Il percorso avviato da Con i Bambini anche verso le particolari fragilità è largamente condiviso dall’opinione pubblica, come dimostrano le reazioni positive all’iniziativa che stiamo avviando a favore di bambini e ragazzi orfani di femminicidio, che risponde a un dovere civile di tutti»63. 3.2 Dal principio di solidarietà allo stato assistenziale, allo Stato sociale «La persona umana è il soggetto centrale dello sviluppo e deve essere partecipante attivo e beneficiario del diritto allo sviluppo. Tutti gli esseri umani, individualmente e collettivamente hanno la responsabilità dello sviluppo tenendo 63 Ibidem 77 conto del bisogno che siano pienamente rispettati i loro diritti e libertà fondamentali e i loro doveri verso la comunità, che solo può assicurare la piena e completa realizzazione dell’essere umano»64. Il welfare State o Stato sociale nasce dall’esigenza di dare una risposta concreta alle richieste di tutti quei lavoratori che, privati di ogni fonte di reddito a causa di malattia o di incidente sul lavoro, erano destinati a sprofondare nell’indigenza; è da questa nuova realtà che si diffondono le organizzazioni di mutuo soccorso ossia delle organizzazioni senza scopo di lucro che si associano e conferiscono aiuti economici con l’obiettivo di ottenere prestazioni di assistenza e sussidi in caso di bisogno. Se l’espressione “welfare State” o “Stato sociale” è un riconoscimento dell’importante ruolo pubblico che lo Stato è chiamato ad assolvere per garantire il benessere dei cittadini, è anche vero che la ricerca di condizioni di vita migliori precede e va oltre l’intervento dello Stato. Secondo i sociologi Yuri Kazepov e Domenico Carbone, partendo dai due elementi che costituisco lo Stato sociale, nonché Stato e benessere, esso può essere così definito: «è un insieme di interventi pubblici connessi al processo di democratizzazione che forniscono protezione e risorse sotto forma di assistenza, assicurazione e sicurezza sociale a chi altrimenti non potrebbe averne»65. Il welfare State nasce storicamente in Europa con l’emergere delle contraddizioni dell’economia capitalista, la distruzione della civiltà contadina e della solidarietà familiare e di villaggio, la nascita del proletariato, l’urbanizzazione, l’emigrazione; ma, a seguito della grande crisi del 1929 e del secondo conflitto mondiale, subisce una svolta radicale sia nelle dottrine che dal punto di vista legislativo. Il welfare conosciuto fino ad allora non basta più, è necessario un intervento maggiore da parte dello Stato che deve fornire «servizi sociali e assicurazioni pubbliche per tutti i cittadini, secondo misure uniformi, cioè diritti 64 Art. 2, Dichiarazione delle Nazioni Unite sul diritto allo sviluppo, 1986 65 E. Bertellini, Education and Welfare. Idee per un welfare educativo, op. cit, p. 47 80 condizioni. Una situazione così complessa e allarmante che, giorno dopo giorno, rende sempre più difficile la convivenza civile: i conflitti tra gruppi con identità differenti o semplicemente tra chi ha tutto e chi non ha niente, sono sempre più frequenti e, questo genera frammentazione sociale e rottura dei legami e delle reti di auto-aiuto. Sempre più frequenti sono le situazioni di violenza intrafamiliare, di sfruttamento precoce in ambito lavorativo, di abbandono scolastico, di bullismo e violenza tra pari e, purtroppo, le vittime di tali circostanze di marginalità e abuso sono sempre le persone più deboli e soprattutto, i minori. Come è noto, in Italia e, in particolare nelle regioni del Sud, è davvero scarsa l’offerta di servizi rivolti all’assistenza e alla cura dei minori e, questo impedisce l’attuazione di interventi efficaci atti a promuovere progettualità a favore dei più fragili e vulnerabili. «Poiché pressoché tutte le decisioni politiche influiscono sulla vita di bambini e adolescenti, assicurare che il principio degli interessi superiori del bambino sia portato all’attenzione dei responsabili di tali decisioni costituisce un compito fondamentale delle istituzioni»69. Davanti ad un problema di tale portata, è di fondamentale importanza generare un welfare costituito da politiche sociali stabili ed in grado di promuovere interventi mirati che possano permettere alle famiglie di uscire dal limbo di questa emergenza quotidiana che spesso impedisce loro di assolvere al ruolo di accudimento e cura dei bisogni dei propri figli. Come già detto nei capitoli precedenti, sono la condizione economica e quella socio-culturale della famiglia a determinare lo stato di benessere o, viceversa di povertà della stessa ed è proprio per questa ragione che le istituzioni devono necessariamente investire su azioni di contrasto alla povertà educativa. Una delle misure più importanti riguardante le Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza è la legge n. 285 del 28 69 https://www.unicef-irc.org/publications/pdf/championing2_ita.pdf 81 agosto 1997 che prevedeva l’istituzione di un fondo nazionale speciale da destinare a interventi realizzati dalle amministrazioni locali a favore dell'infanzia e dell'adolescenza. L’obiettivo era quello di progettare una rete inter-istituzionale e una serie di servizi a favore di famiglie e minori attraverso la promozione di diverse iniziative quali: - azioni di sostegno economico per ridurre situazioni di emarginazione e istituzionalizzazione; - realizzazione di servizi di preparazione e sostegno alla relazione genitori- figli, di contrasto della povertà e della violenza; - attività di sostegno al minore e ai componenti della famiglia al fine di realizzare un’efficace azione di prevenzione delle situazioni di crisi e di rischio psicosociale; - potenziamento dei servizi di rete per interventi domiciliari, diurni, educativi territoriali, di sostegno alla frequenza scolastica; - servizi di mediazione e di consulenza per famiglie e minori, al fine del superamento delle difficoltà relazionali; - interventi che facilitino l’uso del tempo e degli spazi urbani e naturali, ampliando la fruizione di beni e servizi ambientali, culturali, sociali e sportivi; - misure orientate alla promozione della conoscenza dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e a promuovere la partecipazione di bambini e adolescenti alla vita e delle comunità locale70. Purtroppo, nel territorio italiano, rispetto ad altri paesi d’Europa, si tende ancora oggi ad investire troppo poco sull’istruzione e sulla tutela delle famigli dall’indigenza: basti pensare, ad esempio, che il Fondo Nazionale di Contrasto alla Povertà è stato istituito solo nel 2016, e a da esso si sono generate il Sostegno di Inclusione Attiva (SIA) rivolto alle famiglie con minori e disabili e, 70 L. Di Profio, Povertà Educativa: Che fare? Analisi Multidisciplinare di una questione complessa, op.cit, p.316 82 in seguito, il Reddito di Inclusione (REI) che è stato poi considerato inadeguato al fabbisogno della popolazione di riferimento e sostituito quindi dal Reddito di Cittadinanza (RdC). Nel II Rapporto Nazionale sulla Povertà Educativa Minorile, presentato a Roma il 10 aprile 2019 e organizzato dall’impresa sociale Con i Bambini, sono stati presentati dati drammatici che evidenziano la presenza di un trend particolarmente negativo per il nostro Paese: il futuro di bambini ed adolescenti, con un tasso povertà superiore al 12%, è sempre più incerto e con un rischio molto elevato di marginalità ed esclusione sociale. Anche attraverso i dati evidenziati dal 10° Rapporto CRC del 2019, il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nell’ambito della povertà educativa e materiale, è possibile rilevare come siano presenti delle sostanziali differenze a livello regionale relative ai servizi per l’infanzia andando ad accentuare il divario tra il Nord e il Sud del territorio italiano. Nel triennio del 2016-2018 è stato istituito un Fondo sperimentale per il contrasto della povertà educativa minorile. Questo fondo presentava come obiettivo principale la promozione di interventi volti a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono ai minori l’accesso ai processi educativi. Il Fondo, istituito per il triennio 2016-2018, è alimentato dalle Fondazioni di origine bancaria alle quali è riconosciuto un contributo, sotto forma di un credito d’imposta, pari al 75% dei versamenti effettuati sul fondo, fino a un massimo di 100 milioni di euro l’anno. Al Fondo hanno inizialmente partecipato 72 delle 88 Fob aderenti all’Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio (Acri), garantendo un importo complessivo, per il primo anno di operatività del Fondo, pari a oltre 120 milioni di euro. Per il 2017, l’Acri ha completato la raccolta degli impegni, confermando una disponibilità di risorse pari a oltre 120 milioni di euro, deliberata da 73 Fondazioni. L’Acri ha identificato quale soggetto attuatore 85 «Non sorprende che nell’Agenda Europea 2020 il contrasto di queste disuguaglianze sia una priorità su cui tutti gli Stati Membri sono invitati a prestare attenzione massima, vista la centralità che l’educazione riveste per la sopravvivenza stessa dell’intero progetto dell’Unione Europea. Molti interventi sono stati avviati, ma molto rimane ancora da fare, come testimoniato dalla stessa Commissione Europea, che nell’annuale rapporto sull’Educazione e sulla Formazione ha messo in mostra come, al 2018, molte disuguaglianze persistano nell’accesso alla istruzione – con differenze significative che ancora si riscontrano tra gli uomini e le donne –, la presenza dei servizi offerti sul territorio – carenti in molte Regioni Europee -, l’opportunità per la formazione permanente e per l’aggiornamento professionale, le povertà economiche combinate con l’aumento dei costi di accesso alla istruzione e alla formazione di qualità, ecc. (Commissione Europea, 2018)»74. Sono emerse interessanti analisi sulle strategie educative e su come questo importante aspetto della vita di ogni individuo e di tutte le politiche di sviluppo sociale sia enormemente mutato negli ultimi anni, con effetti per certi versi contraddittori: infatti, se da un lato si registrano tassi di istruzione tra i più alti della storia dell’umanità, dall’altro sembrano acuirsi le distanze tra quella parte della popolazione che può permettersi un’istruzione di qualità, la fruizione dei servizi educativi, la possibilità di poter esprimere tutto il proprio potenziale e di far emergere i propri interessi, con quella parte a cui tutto questo è precluso. Da qui l’urgenza ad appianare le disuguaglianze in ambito educativo come priorità assoluta per il benessere e la pace sociale: ed è proprio in tale contesto che si inserisce il welfare generativo in quanto modello di stato sociale teso a creare le condizioni necessarie a rendere i sistemi capaci di rigenerare e produrre risorse, valorizzando l’empowerment e i singoli individui che divengono attori protagonisti nei processi produttivi e di sviluppo sociale affinché si possa 74https://www.educare.it/j/attachments/article/3940/2020_pp.3752_Digennaro_Povert%C3%A0 %20educative%20e%20welfare%20generativo.pdf, pp.37-38 86 favorire il superamento dell’assistenzialismo che rende l’individuo dipendente dal sistema di aiuto. «L’intervento sociale è orientato a favorire un’assunzione di responsabilità da parte degli individui, i quali - che oltre a essere depositari di diritti e doveri- assumono la responsabilità di contribuire al benessere sociale collettivo e a tradurre l’investimento sociale che il sistema di welfare fa in contri-buti che generano ricchezza individuale e collettiva. L’individuo vede valorizzate le proprie capacità di generare ricchezza (non solo economica) e si vede messo nelle condizioni di contribuire, egli stesso, al progresso sociale (Fondazione Zancan, 2012; 2015). È un investimento che contrasta le disuguaglianze, chiedendo ai beneficiari di farsi, al contempo, generatori di ricchezza»75. Questa proposta, che presenta una prospettiva generativa, prevede che gli interventi sociali siano personalizzati e non standardizzati e, che le pratiche di lavoro e di intervento vengano concordate con chi ne trarrà beneficio. Tenendo conto della povertà educativa, l’idea è quella di tradurre le prospettive teoriche su cui poggia il modello generativo in azioni concrete, rendendo quindi gli individui capaci di agire secondo un principio di autodeterminazione. «I principali modelli sull’autodeterminazione degli individui sono basati sull’assunto che le persone hanno innate tendenze alla crescita e allo sviluppo psicosociale, a fronteggiare le sfide dell’ambiente (sociale, culturale, ecc.) e a integrare le esperienze nell’io personale (Deci & Ryan, 1985, 2000; Ryan & Deci, 2000). Declinata con una prospettiva educativa, l’autodeterminazione ricomprende concetti quali la libertà di scelta, l’indipendenza, la personal agency e la self- direction insieme alla responsabilità individuale: si tratta, quindi, di uno stato di cose, di una situazione ideale in cui le conoscenze, le capacità e le attitudini personali trovano un contesto fertile in cui attecchire e in cui ogni individuo può 75 Ivi, p. 42 87 attuare e concretizzare scelte autodeterminate. L’individuo si trova ad agire in autonomia, regolando i propri comportamenti e, cosa più importante in questo specifico frangente, assumendo un ruolo di responsabilità e di diretto impegno nel contrasto e nel superamento di tutte quelle forme di disagio e di stress che impediscono una completa autorealizzazione (Wehmeyer, Kelchner, & Richards, 1996)»76. Queste forme di intervento promuovono una serie di azioni che devono avere da un lato, l’obiettivo di contrastare tutte quelle condizioni di disagio che favoriscono il dilagare della povertà educativa e dall’altro, che permettano ad ogni individuo di formarsi adeguatamente per il proprio percorso di crescita e di maturazione. Così, gli individui diventano veri e proprio agenti di cambiamento e contribuiscono non solo al miglioramento della propria condizione di benessere ma, attraverso la produzione di risorse, collaborano anche per il bene collettivo. «La questione non è (non solo) come intervenire per contrastare le povertà educative, ma è piuttosto definire una strategia, in questo caso educativa, che dia valore agli inter-venti fatti e che apporti un cambiamento sociale. Non si tratta non solo di eradicare un problema ma anche di fare un investimento sociale dotando gli individui degli strumenti – sociali, umani, culturali, ecc. – necessari a superare lo stato di disagio educativo, a evitare di cadere in altre forme di difficoltà e ad assumere il controllo dei propri percorsi di vita, restituendo il contributo ricevuto sotto forma di un valore aggiunto alla comunità di appartenenza»77. 76 Ibidem 77 Ivi, p.43 90 Il principale cambiamento consistite nell’ingresso di nuovi attori del secondo welfare quali le organizzazioni non governative internazionali, gli enti di matrice religiosa, ecc.; nel corso del tempo è nata una significativa sinergia tra i diversi attori grazie allo sviluppo di nuove forme di collaborazione e coordinamento, con la scopo ultimo di promuovere il miglioramento delle politiche di contrasto alla povertà. Se durante il Novecento il welfare state nel campo della povertà si limitava all’implementazione delle politiche in un contesto di esternalizzazione favorito dell’amministrazione pubblica o, a finanziare esclusivamente interventi; in tempi più recenti, attraverso il secondo welfare, il ruolo e il coinvolgimento di questi soggetti presenti sul territorio è diventato molto più articolato e significativo, ognuno di loro ha ruoli e funzioni diversi ma tutti fondamentali per il sociale. Le fasi del processo di policy-making coinvolgono ogni singolo attore che si ritrova ad offrire il proprio contributo in una o più di esse: 1) l’identificazione di un problema; 2) la formulazione di soluzioni; 3) l’adozione di una decisione; 4) l’attuazione dell’azione; 5) la valutazione dei risultati (Jones 1970)81. Lo sviluppo della rete è una priorità per la nuova cultura del welfare e favorisce un incontro tra l’efficienza di molte organizzazioni con l’efficacia degli interventi: unire più risorse e più menti risulta essere il primo passo verso l’innovatività e il cambiamento. Di fronte a problemi o sfide gravose ed estese è impensabile l’idea di fronteggiare queste da soli, l’alleanza porta ad unire risorse materiali, relazionali, metodologiche, strumentali ed economiche fondamentali per una buona progettazione82. 81https://www.secondowelfare.it/wp-content/uploads/2017/11/7_agostini_3r2w.pdf 82L. Sanicola, Dinamiche di rete e lavoro sociale. Un metodo relazionale, Liguori Editore, 2009, p. 107. 91 «Per reti ancorate a un progetto di azione sociale si intendono quelle reti che si formano per la realizzazione di un’azione sociale che abbia un obiettivo, il cui raggiungimento richiede un’integrazione di risorse da parte di attori diversi (istituzionali, no profit, mercato)»83. Negli ultimi anni la pianificazione delle politiche di contrasto alla povertà educativa ha portato alla sperimentazione di percorsi innovativi e inclusivi volti a mettere in discussione quei percorsi di standardizzazione dei sistemi di welfare assistenziale. Successivamente, si sono attivate programmazioni che prevedono azioni di collaborazione e partenariato tra il settore pubblico, quello privato, terzo e quarto settore: si generano così organizzazioni meno burocratiche, più elastiche quindi in grado di adattarsi a situazioni differenti e problematiche nuove, che perseguono fini di benessere sociale. Queste alleanze hanno l’obiettivo di creare opportunità socio-educative attraverso l’attuazione di strategie che possano permettere di spezzare la catena delle disuguaglianze e della marginalità84. «Questo impegno è fortemente richiesto dall’Agenda 2030 – con i suoi 169 target e oltre 230 indicatori – la quale propone il rispetto e il raggiungimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGS), proponendo tra i primi obiettivi la fine della povertà in tutte le sue forme e ovunque nel mondo. La stessa agenda già nei primi punti, si focalizza su un impegno che spesso è una conseguenza di stati di deprivazione economica, ma non è l’unico indicatore rilevante, poiché il fenomeno ha una più ampia portata, ossia pone l’attenzione nel garantire un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e promuovere opportunità di apprendimento continuo per tutti»85. 83Ibidem 84L.Di Profio, Povertà Educativa: Che Fare? Analisi Multidisciplinare di una questione complessa, op.cit., p.345 85 Ivi, p.346 92 Save the Children, seguendo l’approccio adottato dai Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite ha delineato 3 Obiettivi principali per “Illuminare il Futuro” dei bambini in Italia ed eliminare la povertà educativa entro il 2030. Gli obiettivi misurano la povertà educativa in quanto fenomeno multidimensionale, rispetto al contesto scolastico e al dominio della comunità educante; comprendono indicatori su scala regionale relativi ai risultati educativi, alle condizioni di svantaggio famigliare, all’offerta educativa di quali come fattore di resilienza, nonché al monitoraggio dell’impegno effettivo da parte delle istituzioni nazionali e locali di combattere la povertà educativa. Individuano target temporali di breve (2020) e medio termine (2030), essenziali per monitorare i progressi verso il loro raggiungimento. È necessario dunque un lavoro di pianificazione che permetta la realizzazione di interventi innovativi grazie alla collaborazione e alla co-progettazione tra le diverse forze del territorio. Risulta pertanto necessario investire sulle nuove generazioni rimuovendo i limiti e abbattendo le barriere con l’obiettivo di sensibilizzare la comunità alla tematica della povertà educativa. Sono le agenzie educative e le istituzioni che cooperando, devono mirare ad ottimizzare i percorsi di vita degli individui affinché le azioni rivolte al presente abbiano risvolti positivi anche per il futuro. Gli attori coinvolti devono saper rispondere a bisogni educativi sempre più complessi e promuovere pertanto percorsi inclusivi che abbattano le marginalità e valorizzare le capabilities di ciascun individuo. Per realizzare progetti sostenibili e continui occorre creare reti solidali e sussidiarie, un sistema di partenariato e intrecciare re tra famiglie, scuole, comunità e istituzioni. La dimensione partenariale prevede percorsi di co-progettazione, partecipazione e condivisione di intenti e responsabilità: quest’ultima risulta essere fondamentale per una governance sostenibile e, rappresenta la caratteristica principale del nuovo welfare. 95 L’impresa sociale Con i Bambini propone una linea di intervento alquanto innovativa che prende il nome di “Un passo avanti. Idee innovative per il contrasto alla povertà educativa minorile”, con il fine di favorire l’implementazione di progetti e interventi che possano garantire l’obiettivo di contrasto della povertà minorile che affligge ormai da tempo il territorio italiano. Prima di presentare ufficialmente i vari progetti, l’impresa sociale ha esaminato tutte le idee ricevute dalle diverse partnership attraverso il portale Chàiros fino al 14 dicembre 2018. Sono state dedicate, grazie a Con i Bambini, specifiche risorse da poter utilizzare nell’elaborazione e nella sperimentazione di programmi e interventi potenzialmente innovativi, in linea con la missione di contrasto alla povertà educativa minorile. Tali risorse sono state stanziate con il fine di favorire, all’interno dei territori destinatari delle iniziative, una attiva collaborazione fra enti del Terzo Settore ed enti erogatori e, tra soggetti pubblici e privati. Il concetto fondamentale sul quale si costituisce il fondo è quello di “innovatività” in quanto mira alla realizzazione di progetti ed interventi che possano innescare processi inediti, produrre nuove relazioni e fornire risposte concrete ed originali del fenomeno in esame. Questa nuova linea di intervento si costituisce di due fasi fondamentali: durante la prima, per poter accedere ai contributi, è necessario presentare all’impresa sociale una sintesi dell’idea progettuale attraverso un modello apposito predisposto online. Il proponente doveva essere un Ente del Terzo Settore cui si applica il D. Lgs.117/2017 (Codice Terzo Settore). L’Impresa sociale successivamente ha selezionato le idee che riteneva maggiormente in linea con lo spirito dell’iniziativa. Nel corso della II fase è stata eseguita una presentazione di un progetto più dettagliato e completo da parte di una rete costituita da almeno 3 96 soggetti, di cui un Ente del Terzo Settore, in qualità di capofila, un ente incaricato della valutazione di impatto e un ulteriore partner. Sono state selezionate le idee efficaci, innovative e soprattutto ad alto potenziale di intervento in termini di contrasto alla povertà educativa minorile. È stato necessario dunque che ciascun proponente evidenziasse le capacità dell’intervento di prevedere e dimostrare, già in fase previsionale, come le attività da sviluppare, i processi e le azioni da attivare potessero incidere nel futuro sulle situazioni di povertà educativa minorile che si intendono contrastare. Le linee guida auspicavano la partecipazione attiva di diversi attori nella progettazione, anche al fine di identificare i diversi bisogni dei territori e il contesto di intervento, come la scuola, le istituzioni pubbliche, soggetti del privato sociale o del mondo profit. Nel bando è stato richiesto ai proponenti: • Una descrizione delle competenze possedute e delle esperienze progettuali pregresse. • Una delucidazione del tipo di innovazione proposta relativa al target, al processo, al servizio, all’approccio educativo di riferimento, alla metodologia applicata, all’integrazione pubblico-privato e/o al sistema di governance. • Una prefigurazione dei cambiamenti auspicati, comprensibili, riconoscibili e misurabili. I proponenti, nel presentare l’idea progettuale hanno acconsentito alla decisione dell’Impresa sociale e alle norme generali di finanziamento. 97 Le risorse destinate a questa iniziativa raggiungono fino a un massimo di 70 milioni di euro, di cui 35 milioni di euro per la Graduatoria A e 35 milioni di euro per la Graduatoria B. I progetti della Graduatoria A hanno potuto richiedere un contributo compreso tra i 250 mila e 1 milione di euro, mentre per quelli della Graduatoria B il contributo richiesto è potuto variare da 1 a 3 milioni di euro. Inoltre, durante la seconda fase è stato richiesto al partenariato di contribuire alla copertura dei costi del progetto con una quota minima di cofinanziamento finanziario pari al 10% per la Graduatoria A e 15% per la Graduatoria B del costo complessivo del progetto. La durata delle iniziative è variata in base alla dimensione economica e territoriale degli interventi87. 4.2 Breve descrizione del progetto: i destinatari e le aree di intervento Edu-factoring è un progetto dalla durata di 36 mesi che ha come fine ultimo quello di favorire il contrasto della povertà educativa minorile. Il progetto punta ad un rilancio della Città dei Ragazzi sita in Via Panebianco, a Cosenza, tramite un sistema sperimentale di partnership volto ad offrire attività educative di eccellenza e con metodologie innovative. La Città dei Ragazzi, con Edu-factoring, può diventare il fulcro centrale di attrazione educativa della comunità, sulla scia filosofica delle Factory europee, ponendosi la finalità di coniugare i diversi approcci del fare educante e 87https://www.conibambini.org/wp-content/uploads/2018/10/I-FASE_Documento- pubblicizzazione_DEF.pdf