Scarica TESINA FINALE CORSO TFA SOSTEGNO e più Tesine universitarie in PDF di TFA Sostegno solo su Docsity! CORSO DI FORMAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA SPECIALIZZAZIONE PER LE ATTIVITA' DI SOSTEGNO DIDATTICO AGLI ALUNNI CON DISABILITA' NELLA SCUOLA V CICLO Esame finale DEFICIT DELLE FUNZIONI ESECUTIVE IN BAMBINI CON DIAGNOSI DI ADHD: DESCRIZIONE, IMPLICAZIONI E INTERVENTI DI SOSTEGNO DIDATTICO Cognome e nome: Iannarelli Francesca Scuola: Infanzia Primaria Sec. I grado X Sec. II grado Il Direttore del Corso Prof.ssa Barbara De Angelis Il Coordinatore didattico Prof. Giovanni Arduini a.a. 2019/2020 1 Introduzione...................................................................................3 Capitolo 1. Le funzioni esecutive in bambini con ADHD.................5 Capitolo 2. Interventi di sostegno didattico..................................18 Capitolo 3. Osservazioni sulla didattica inclusiva.........................30 Conclusioni..................................................................................41 Sitografia.....................................................................................52 2 Capitolo 1. Le funzioni esecutive in bambini con ADHD 1.1 Caratteristiche del Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività Il Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività (Attention Deficit Hyperactivity Disorder; ADHD) è un disturbo molto frequente dell’infanzia e dell’adolescenza caratterizzato da un pattern altamente pervasivo e persistente di inattenzione, iperattività e impulsività, il quale interferisce con i vari ambiti di funzionamento della vita del bambino e anche della sua famiglia (APA 2013). I bambini con ADHD hanno maggiori probabilità rispetto ai loro coetanei di ottenere un basso rendimento scolastico, di sperimentare l’isolamento sociale, di sviluppare un comportamento antisociale durante gli anni scolastici e continuare ad avere difficoltà significative negli anni postscolastici (Thabet et al., 2010). In particolare, il deficit d’attenzione comporta una difficoltà a rimanere concentrato su un compito per un periodo prolungato di tempo, non riuscendo, di conseguenza, a portarlo a termine. Inoltre, esso comporta facile distraibilità, difficoltà a seguire le istruzioni fornite e ad organizzare il lavoro da svolgere in modo adeguato. L’impulsività e l’iperattività, invece, si manifestano attraverso agitazione e impazienza, difficoltà a rimanere fermo o seduto, spericolatezza (ad esempio si arrampica ovunque), difficoltà a rispettare il proprio turno in una conversazione o durante un’attività, eccessiva parlantina e invadenza (Marzocchi et al., 2011). Sebbene, originariamente, si pensasse che i sintomi dell’ADHD potessero ridursi con il passare del tempo, è stato in realtà dimostrato come questo disturbo sia spesso cronico, per cui tende a permanere anche in età adulta. Tuttavia, è possibile ridurne l’impatto sul funzionamento nei vari contesti di vita attraverso appositi training e l’allestimento di un ambiente strutturato (Sabbadini, 1995). Inoltre, l’ADHD è spesso in comorbidità con altri disturbi psicologici, che possono influenzare in modo significativo la fenomenologia, la gravità, la prognosi e il trattamento (Marzocchi et al., 2011). Tra questi c’è il Disturbo dell’Umore ed in particolare la depressione maggiore, che si manifesta 5 attraverso tristezza, irritabilità, frustrazione, isolamento e perdita d’interesse per le attività ritenute piacevoli per il bambino. Occorre, tuttavia, saper differenziare la depressione vera e propria dagli episodi depressivi disforici transitori, che si verificano nei soggetti con ADHD in risposta ad un evento sfavorevole (Masi, Gignac, 2015). A questi sintomi si associano disturbi del sonno e dell’appetito, affaticamento, ridotta capacità di pensare, oltre a sentimenti d’inutilità e preoccupazione (Spencer et al., 2007). Inoltre, i bambini con ADHD manifestano spesso difficoltà nelle abilità strumentali, tra cui lettura, scrittura e calcolo, ed in alcuni casi sono tali da determinare una diagnosi di Disturbo Specifico dell’apprendimento (DSA), mentre in altri permangono solo delle difficoltà. Infatti, non è del tutto chiara la relazione che intercorre tra questi due disturbi. In alcuni casi, i DSA sono una conseguenza dell’ADHD, poiché la difficoltà nel prestare attenzione per tempi prolungati e la difficoltà di controllo e gestione delle risorse interferiscono con il normale apprendimento delle abilità strumentali e con l’esecuzione dei compiti (Celi, Fontana, 2010). In altri casi, invece, è la presenza dei DSA che predispone il bambino a sviluppare l’ADHD, anche se quest’ultimo non diventa un vero e proprio disturbo, quanto piuttosto un insieme di caratteristiche psico-comportamentali che emergono in seguito alle difficoltà scolastiche e alla scarsa motivazione per lo studio (Celi, Fontana, 2010). Quando l’ADHD e i DSA sono compresenti allora la prognosi è più sfavorevole poiché comporta una maggior compromissione sul piano neuropsicologico e una maggior probabilità di insuccessi scolastici e disturbi comportamentali (Spencer et al., 2007). Altri disturbi che si ritrovano molto spesso in comorbidità sono il disturbo Oppositivo-Provocatorio e il Disturbo della Condotta, i quali condividono alcuni sintomi con l’ADHD, come l’oppositività, la difficoltà ad interagire in modo adeguato, l’irritabilità, l’aggressività, l’inosservanza delle regole (Spencer et al., 2007). Tuttavia, questi sintomi nell’ADHD sono meno intensi e sono secondari alle difficoltà di attenzione e autoregolazione, ed è per questo che occorre 6 effettuare una diagnosi differenziale (Marzocchi et al., 2011)1. La diagnosi differenziale viene effettuata anche con la Disabilità intellettiva, caratterizzato da un deficit del funzionamento intellettivo e adattivo che si manifesta nei vari ambiti di vita del bambino, come quello sociale, scolastico e familiare. Questo costituisce un criterio d’esclusione per l’ADHD, in quanto i bambini con tale disturbo presentano un’intelligenza nella norma (Marzocchi et al., 2011). 1.2 Definizione e modelli delle funzioni esecutive Dal punto di vista pedagogico e psicologico, l’ADHD è considerato come un deficit delle funzioni esecutive, ossia di tutte quelle capacità che permettono di elaborare, organizzare e sintetizzare le informazioni per raggiungere un obiettivo o portare a termine un compito (ad esempio problem solving, decision making, flessibilità cognitiva, ecc.). Le funzioni esecutive, inoltre, consentono di regolare lo stato d’attivazione e, quindi, di mantenere un certo sforzo nel tempo, aspetto deficitario nell’ADHD (Sonuga-Barke, 2003). Tale ipotesi è sostenuta da diversi studi che hanno mostrato come effettivamente bambini con ADHD hanno deficit d’inibizione, di memoria di lavoro, di pianificazione e flessibilità cognitiva (Trevisi, Vio, Marzocchi, 2006; Willcutt, Doyle, Nigg, Faraone, Pennington, 2009). Altri studi di neuroimaging mostrano come nei bambini con ADHD ci sia un’ipoattivazione nelle regioni prefrontali, sede delle funzioni esecutive (Bush et al., 2007). Dall’altro lato, invece, l’ADHD è legata alla cosiddetta Delay Adversion, ossia la difficoltà da parte del bambino a tollerare la frustrazione legata all’attesa per l’arrivo di un evento o di una ricompensa, che egli cercherà di minimizzare attraverso l’impulsività, oppure attraverso delle strategie che permettono di ridurre a livello cognitivo tale tempo di attesa, ossia quelle che poi provocano i 1 Marzocchi, G., et al., (2011). Il bambino con deficit di attenzione/iperattività: Diagnosi psicologica e formazione dei genitori. Trento: Erickson. 7 fattori emersi da questi studi comprendono la fluenza, ovvero la capacità di svolgere le operazioni in modo fluido, la generatività, ovvero la capacità di generare risposte appropriate in relazione alle condizioni iniziali e l’attenzione selettiva, che permette di inibire delle risposte comportamentali in presenza di elementi di distrazione (Valeri & Stievano, 2007). I modelli sull’organizzazione delle funzioni esecutive sviluppati dai ricercatori dovrebbero permettere anche di spiegare i sintomi disesecutivi, ovvero i problemi nelle prestazioni di bambini e adolescenti con disturbi dello sviluppo. In questi bambini, infatti, tali disturbi interessano anche le funzioni esecutive, che sono compromesse o indebolite da alcuni deficit. Questi deficit, di solito, sono dominio-specifici, ovvero interessano una singola componente delle funzioni esecutive, anche se è possibile che vi siano diversi deficit co-occorrenti (Bottini, Piroddi & Scarpa, 2009). Il modello del SAS si compone di molti più processi rispetto a quello di Miyake e collaboratori (2000), alcuni dei quali coinvolgono anche delle funzioni cognitive. In particolare, oltre alla memoria di lavoro, alla pianificazione e all’inibizione, vi sono anche il monitoraggio, che permette di seguire l’andamento della prestazione e modificarla in corso d’opera, la generazione spontanea di schemi, ovvero di insiemi di azioni funzionali, l’adozione di una modalità efficace di elaborazione, la realizzazione di un’intenzione differita, ovvero di un obiettivo programmato in precedenza e ritardato e, infine, il recupero di informazioni dalla memoria episodica, che permette di risolvere più rapidamente i compiti già conosciuti. 1.3 Funzioni esecutive e comprensione del testo Le funzioni esecutive sono state oggetto d’interesse della psicologia dell’educazione, poiché svolgono un ruolo fondamentale nei processi d’apprendimento e, di conseguenza, nel successo scolastico. In particolare, esse sono alla base di uno dei processi più importanti in ambito scolastico e nella vita di tutti i giorni, ossia la comprensione del testo. A differenza del semplice processo di lettura, che richiede la capacità di 10 decodificare il testo scritto e collegarlo ai relativi fonemi e nel corso del tempo diventa un’attività automatica, la comprensione del testo è un processo attivo, che richiede una costante attenzione e capacità riflessiva da parte di chi legge. Si tratta dunque di un’attività distinta dalla lettura vera e propria, sebbene si sviluppi sulle stesse basi. Ciò è confermato anche dagli studi sui disturbi dell’apprendimento, poiché alcuni di essi, come la dislessia, interessano esclusivamente la capacità di decodifica e non quella di comprensione del testo, mentre alcuni disturbi dello sviluppo, a fronte di una capacità di decodifica nella norma, evidenziano difficoltà di comprensione ed elaborazione del significato (Oakhill, Cain & Brygant, 2003). Il processo di comprensione del testo non è unitario, ma stratificato, e si evolve nel corso del tempo, differendo, inoltre, da persona a persona, in base all’interpretazione soggettiva che ciascuno si crea di un determinato testo. A un primo livello di complessità, vi è il textbase, che comprende le informazioni basilari del testo, facilmente comprensibili anche per i lettori meno abili (Kintsch & Van Dijk, 1978). Successivamente, vengono integrate e assimilate informazioni più specifiche, che cambiano anche a seconda del tipo di testo che si sta leggendo e dello scopo della lettura, che può avvenire a scopo didattico o ricreativo. I lettori esperti sono in grado di conservare le informazioni e impiegarle per costruire delle rappresentazioni mentali flessibili e dettagliate del testo che stanno leggendo, aggiornandole ogni qual volta emergono nuove informazioni significative. Queste immagini mentali permettono di ricostruire il significato del testo, anche se, come detto, esso è sempre il risultato di un’elaborazione personale e non sempre rispecchia a fondo il contenuto del testo originario (De Beni, Cornoldi, Carretti & Meneghetti, 2003)3. Uno dei modelli più accreditati su tale processo è il modello di Costruzione- Integrazione di Kintsch (1988), secondo il quale la comprensione del testo inizia con l’attivazione e il mantenimento nella memoria delle informazioni ricavate dal testo e quelle 3 De Beni, R., Cornoldi, C., Carretti, B., Meneghetti, C. (2003). Nuova guida alla comprensione del testo. Trento: Erickson. 11 presenti in memoria, per poi legarle ai concetti corrispondenti, al fine di creare una rappresentazione mentale di ciò che il testo vuole esprimere, la quale viene denominata modello della situazione. Sono stati condotti diversi studi che hanno cercato di indagare la relazione tra le tre componenti delle funzioni esecutive e la comprensione del testo in bambini ed adolescenti. La letteratura sulla flessibilità cognitiva ha portato a risultati un po’ contrastanti. Alcuni studi e ricerche hanno dimostrato l’effettiva correlazione tra la comprensione del testo e la flessibilità cognitiva. In particolare, quest’ultima sembra essere alla base della capacità di coordinare l’attenzione su molteplici aspetti implicati nella lettura, come il significato delle parole, le regole grammaticali, le diverse strategie di lettura, etc (Guajardo e Cartwright, 2016; Yeniad et al.,2013). Inoltre, questa componente delle funzioni esecutive sembra essere alla base dello sviluppo dei precursori dell’abilità di lettura, come la consapevolezza fonologica e la conoscenza delle lettere (Blair e Razza; 2007). Atri studi, invece, hanno evidenziato come la prestazione ottenuta da ragazzi, appartenenti a varie fasce d’età, a diversi test che valutano la flessibilità cognitiva, come il Wisconsin Card Sorting test, il Color-Shape Cognitive Flexibility o il Planned Connections task, predicevano la prestazione a compiti di lettura (Cartwright, 2002, 2007; Kongs et al.,2000; Georgiou e Das, 2016; Reitan e Wolfson, 1992). Tuttavia, altre ricerche non hanno supportato i risultati ottenuti, probabilmente anche a causa del forte legame che intercorre tra la flessibilità cognitiva e le altre due componenti delle funzioni esecutive, le quali possono mascherarne il contributo (Korkman, Kirk e Kemp, 2007). Gli studi che indagano la correlazione tra la comprensione del testo e l’aggiornamento della memoria di lavoro (updating) sono scarsi, soprattutto in Italia. Alcune ricerche hanno, tuttavia, dimostrato che la prestazione ottenuta dai bambini a compiti che valutano in modo specifico tale componente esecutiva, non è predittiva dell’abilità di comprensione della lettura (Potocki et al., 2017; Artuso e Palladino; 2016). Questo potrebbe essere dovuto al fatto che i compiti specifici di updating necessitano di richieste di aggiornamento della memoria di 12 sviluppo, si sono osservati alcuni deficit specifici associati alle funzioni esecutive. Il più significativo è rappresentato dallo scarso controllo degli impulsi, caratteristico dei bambini con ADHD. Questi bambini, infatti, non sono in grado di controllare e monitorare il proprio comportamento, anzi, tendono ad agire in modo impulsivo, senza inibire le azioni anche quando necessario e senza affidarsi alla riflessione. Si osserva inoltre una difficoltà nel servirsi dei feedback per pianificare le azioni, invece di improvvisarle (Valagussa & Marzocchi, 2015; Schreiber, Possin, Girard & Rey-Casserly, 2015). Anche il ragionamento astratto appare deficitario, rendendo difficile generalizzare alcune strategie e utilizzarle per compiti diversi ma con elementi in comune. Ancora, si osservano una memoria di lavoro poco capace e una scarsa flessibilità mentale, che favoriscono una ripetizione dell’errore e rendono difficile monitorare il compito per un tempo sufficiente a svolgerlo tutto bene. Infine, si riscontrano difficoltà emotivo- comportamentali che si riflettono anche in ambito scolastico. Questi risultati si sono osservati nel corso degli anni ricorrendo a specifici test, ognuno dei quali si concentra su una funzione esecutiva diversa. In particolare, per la rilevazione di un eventuale deficit di pianificazione, è possibile ricorrere alla Torre di Hanoi (TOH; Welsh & Huizinga, 2005). Si tratta di un rompicapo originariamente elaborato nel 1883 da Lucas e successivamente implementato dai ricercatori all’interno del protocollo di valutazione neuropsicologica delle funzioni esecutive, sia nei bambini con un sospetto disturbo dello sviluppo sia nei bambini con sviluppo normale. Questo rompicapo prevede il posizionamento di alcuni dischi o tasselli, di dimensioni decrescenti, l’uno sopra l’altro, seguendo lo schema di base e alcune regole supplementari fornite dall’esaminatore, con l’obiettivo di completare il compito con il minor numero di passaggi possibile. Ad esempio, al bambino si chiede di muovere solo un disco alla volta, o di non posizionare l’uno vicino all’altro due dischi di colore simile. Come rilevato da Miyake e collaboratori (2000), questo compito dimostra sensibilità alle disfunzioni del lobo prefrontale e mette alla prova processi quali la pianificazione, la memoria di lavoro, l’updating e l’inibizione. 15 Tra tutti questi processi, però, è soprattutto la pianificazione a essere centrale, poiché occorre pianificare da subito i passaggi giusti affinché il posizionamento dei tasselli non prenda troppo tempo. La pianificazione, inoltre, è coinvolta nella visualizzazione dell’obiettivo finale, svolgendo dunque un ruolo nella prefigurazione dei passaggi intermedi. Comunque, la Torre di Hanoi può essere impiegata anche come strumento per testare la rapidità e l’efficacia dell’apprendimento da parte del bambino, valutando la velocità con cui esso è in grado di implementare alcuni suggerimenti per risolvere il rompicapo in meno tempo. Come rilevato da diversi studi, i bambini con ADHD tendono a mostrare performance scarse nel test della Torre di Hanoi e nelle sue diverse varianti disponibili e si ipotizza che ciò avvenga perché essi non sono in grado di pianificare le mosse da eseguire prima di cominciare a spostare i diversi tasselli, con il risultato di impiegare un numero superiore di passaggi rispetto alla media per completare il compito. L’entità del deficit di pianificazione influisce, nello svolgimento di questo compito, anche sulle prestazioni delle altre funzioni esecutive (Papadopulos, Panayiotou, Spanoudis & Natsopoulos, 2005). Risultati simili sono stati riscontrati da Riccio e collaboratori (2004) anche negli adulti. Per la valutazione dei livelli di inibizione e controllo cognitivo, è invece possibile sottoporre al bambino il Test di Stroop. Questo test, ideato originariamente da Jaensch (1929) e successivamente descritto da Stroop (1935), da cui deriva il nome dell’effetto osservato, prevede la somministrazione di una serie di scritte, ciascuna delle quali presenta il nome di un colore (blu, rosso, verde, giallo, ecc.). Ogni scritta, tuttavia, è colorata in modo che il colore scritto non corrisponda a quello della scritta, ad esempio la scritta “giallo” è di colore blu e ciò crea un’incongruenza quando il cervello è chiamato ad analizzarla. Lo sperimentatore chiede dunque di nominare i colori di ciascuna scritta, anche se essi non coincidono con le parole leggibili. L’effetto Stroop fa dunque riferimento al significativo abbassamento della prestazione in risposta a stimoli tra loro incongruenti, perché occorre che la persona riesca a distinguere le informazioni irrilevanti o ingannevoli da quelle rilevanti. Questo test viene impiegato per diverse popolazioni cliniche ed è stato utilizzato 16 anche per testare le capacità di controllo e inibizione dei bambini con ADHD, portando tuttavia a risultati tra loro discordanti. Alcuni studi evidenziano, ad esempio, delle difficoltà nel controllo delle interferenze di fronte a stimoli irrilevanti negli individui con ADHD, siano essi bambini, adolescenti o adulti (Boonstra, Oosterlaan, Sergeant & Butelaar, 2005). Per la valutazione dell’inibizione motoria, invece, è possibile impiegare il test Go/No-Go e una sua variante, lo Stop Signal Task. Il Test Go/No-Go (Kindlon, Mezzacappa & Earls, 1995)5 richiede che il partecipante risponda alla presenza di uno stimolo-bersaglio, come una lettera, in mezzo a un flusso di stimoli simili, come altre lettere. Nella versione più comune di questo compito, il partecipante esegue una risposta motoria a una categoria di stimoli (detti “Go”) e deve dimostrare di riuscire a non rispondere a stimoli affini ma sbagliati (detti “No-Go”). Questo compito permette, dunque, di verificare i livelli di controllo e inibizione motoria e viene impiegato anche nei bambini con ADHD. Nelle ricerche compiute, si è rilevato che questi bambini tendono a rispondere troppo velocemente e troppo spesso, anche quando è richiesto di aspettare e osservare gli stimoli con attenzione. Questi errori, legati all’impulsività, tendono ad aumentare con il progredire della prestazione e tendono a essere più frequenti nei maschi rispetto alle femmine con ADHD (Bezdjian, Baker, Lozano & Raine, 2009). Anche lo Stop Signal Task (SST; Logan, Cowan & Davis, 1984) consente di misurare la risposta inibitoria, ovvero la capacità di controllo degli impulsi. In questo caso, si chiede al bambino di rispondere a uno stimolo a forma di freccia, selezionando una tra due opzioni in base alla direzione in cui punta la freccia (es. in alto o in basso, a destra o a sinistra). Se al momento in cui viene presentato lo stimolo, si attiva anche un segnale audio, il bambino deve evitare di rispondere allo stimolo. Inizialmente, 5 Kindlon, D. J., Mezzacappa, E., Earls, F. (1995). Psychometric properties of impulsivity measures: Temporal stability, validity and factor structure. Child Psychology & Psychiatry & Allied Disciplines, 36(4), 645–661. 17 continuamente criticato, diventa assuefatto a questi commenti, che possono momentaneamente sospendere il suo comportamento caotico e impulsivo, ma non bastano per modificarlo e sostituirlo con altri comportamenti più efficaci e pianificati (Marzocchi, 2011). Le gratificazioni o premi non vanno lasciati al caso, ma è invece opportuno pensare a tutto ciò che piace e gratifica il singolo bambino e stilarne un elenco dettagliato, in modo che tutte le figure che gli ruotano attorno possano attingervi per tenere la stessa linea strategica. Spesso il bambino viene costantemente giudicato, ma non altrettanto conosciuto e riconosciuto nei suoi interessi e passioni, a cui invece potrebbe essere utile agganciarsi per alimentare la sua motivazione e modulare il suo comportamento. Maggiore è l’intensità dell’impegno richiesto al bambino, maggiore è il bisogno per lui di riceverne una gratificazione. Occorre quindi tenerne conto, graduare le “ricompense” e regolarle in base allo sforzo, in modo da tenere alta la motivazione e condurre il bambino al completamento del compito in cui è impegnato, superando le eventuali tendenze alla rinuncia e spronandolo alla risoluzione dei problemi. Un aspetto importante del rinforzo è che avvenga con puntualità. L’insegnate dovrà essere veloce, se vuole che il rinforzo agisca proprio in associazione al comportamento desiderato. I rinforzi possono essere organizzati secondo modello della token economy o “economia simbolica” o “sistema di rinforzo a gettoni”, che suggerisce come poter usare la gratificazione per incrementare i comportamenti desiderabili (Monteduro, 2013)6. Ad ogni comportamento desiderato, si presenta al bambino una figurina raffigurante proprio il comportamento stesso o un gettone (token) o altri oggetti simbolici. Ad ogni comportamento indesiderato, invece, viene sottratto o negato un gettone. Ciò avviene per un certo numero di volte, fino a quando il comportamento sarà appreso ed egli avrà accumulato il numero necessario di figurine o gettoni 6 Monteduro, F. (2013). Percorsi prosociali per iperattività, deficit di attenzione e disturbi della condotta. Milano: Franco Angeli. 20 per poter così scambiare i gettoni con una vera ricompensa, cioè con un premio a lui particolarmente gradito. Questo sistema di scambio gettoni-ricompensa si costituisce come un patto tra il bambino e l’adulto di riferimento, che ha regole chiare e un “contratto” che entrambi dovranno rispettare diligentemente. L’accordo prevede anzitutto l’individuazione del primo “comportamento meta”, scelto fra quelli più utili, ma anche più realisticamente facili da realizzare. La chiarezza è sempre fondamentale, perciò è sconsigliabile procedere con più comportamenti “meta” in contemporanea, oltre che si deve esplicitare in modo chiaro e sequenziale ogni azione che il bambino deve compiere. Ad ogni appropriata realizzazione del comportamento desiderato, si consegna un token, preferibilmente in associazione anche ad un rinforzo sociale, come ad esempio un sorriso o un complimento, sempre in modo molto puntuale. I tokens devono essere oggetti inizialmente neutri e facilmente conteggiabili, in modo che si possa stabilire quanti gettoni occorrono per ottenere un premio e quanti per un altro. Si può anche stilare un elenco di premi, seguendo un ordine specifico, eventualmente avvalendosi di immagini, che aumentano ancor più la chiarezza espositiva. Pochi tokens per ottenere un piccolo premio, ad esempio la possibilità di guardare 10 minuti la televisione, tanti gettoni per ottenere un premio, invece, più raro e molto ambito. Se in un primo momento i “token” sono oggetti neutri, che non suscitano di per sé interesse nel bambino, essi divengono nel tempo oggetti “condizionati”, che acquisiscono, in seguito alle ripetute associazioni con stimoli motivanti, le proprietà tipiche di oggetti con elevato potere di scambio. Un importante vantaggio del sistema a gettoni riguarda il fatto che questi possono essere consegnati al bambino in modo contingente, cioè nell’immediato momento in cui egli compie il comportamento desiderato, riuscendo quindi ad agire come efficace rinforzo. Quando i comportamenti “meta” sono diventati abituali il sistema di conversione gettoni-ricompensa della token economy non è più necessario, può bastare allora un semplice rinforzo sociale e si può passare ad un nuovo comportamento “meta”. 21 Anche il metodo del TAGteach, ideato da McKeon e collaboratori (2005)7, si basa sui principi del comportamentismo e in particolare sul condizionamento operante ideato da Skinner (1976) e si applica per la gestione dei comportamenti problematici di bambini con disturbi del neurosviluppo. Questo metodo parte dal presupposto che in un percorso di apprendimento, sottolineare soltanto gli errori non è sempre utile e non sempre aiuta a progredire quanto evidenziare, e dunque rinforzare, anche e soprattutto le azioni corrette. Valorizzare gli aspetti positivi, rinforzare la fiducia in sé stessi e rinforzare la complicità bambino-adulto sono principi di pedagogia “positiva” validi se si vuole favorire l’evoluzione e il benessere del bambino. Il TAGteach, detto anche “Insegnamento Audio Assistito”, è un metodo di comunicazione e di insegnamento che combina l’uso del rinforzo positivo tramite una “guida acustica”. Tale guida acustica assicura un feedback immediato, più efficace di un rinforzo sociale come ad esempio dire “bravo”, e contribuisce ad aumentare la motivazione del bambino verso l’apprendimento. La riuscita in un compito non conduce a giudizi generici sulla sua persona e sulle sue qualità soggettive, ma il “tag” si limita a dare un feedback positivo sulla singola azione compiuta, su un dato oggettivo. Il TAGteach prevede una segmentazione precisa dell’azione o del comportamento desiderato e un rinforzo, tramite segnale acustico, altrettanto preciso e puntuale. Lo strumento di cui si avvale il TAGteach è il “tagger”, un oggetto composto da una lamina metallica che, se pressata, produce un suono breve e acuto detto “TAG”, acronimo di Teaching with Acoustical Guidance. Tale suono viene emesso ad ogni riuscita dell’allievo, indicandogli i suoi progressi. Rispetto al rinforzo sociale, che evoca emozioni, il tag è neutro e sembrerebbe attivare l’amigdala, ma senza generare reazioni emotive in settori del cervello che non serve coinvolgere per lo svolgimento del compito. Il “tag” significa “sì, esatto”. 7 McKeon, T., Orr J., Wheeler, B. (2005). Teaching with Acoustical Guidance in Gymnastics. In Vargas, E.A. (ed.), TAGteaching: Current Practices in a Reinforcement-Based Teaching System. Symposium conducted at the 23rd Annual Western Regional Conference. California Association for Behavior Analysis, Dana Point, CA. 22 principi del modeling, stimolando la predisposizione del bambino all’emulazione. La personalizzazione dell’attività di calcolo e di problem-solving può interessare sia i compiti legati al calcolo matematico e alla soluzione dei problemi, sia il metodo impiegato dal bambino sia, infine, gli strumenti a disposizione. Si può intervenire su queste tre aree fornendo al bambino strategie e strumenti compensativi, come la calcolatrice o la possibilità di trascrivere tutte le fasi del calcolo, e dispensandolo dai calcoli o dai problemi più complessi. Le strategie possono essere multisensoriali e sistemiche, includendo la discriminazione, che consiste nel colorare in modo diverso i diversi segni matematici o ciascun numero, e l’evidenziazione, che sempre attraverso l’uso del colore permette di dare risalto a un concetto o a una procedura specifica. L’agevolazione delle attività di calcolo e soluzione dei problemi si articola in tre fasi: selezione delle informazioni, organizzazione dei dati e rappresentazione grafica. Nella prima fase si insegna il bambino a selezionare le informazioni importanti e utili, ad esempio cercando gli elementi del problema che gli servono per risolverlo. Nella seconda fase, i dati raccolti vengono organizzati all’interno di una tabella e si invita il bambino a riflettere sulla relazione tra i dati raccolti. Infine, le relazioni tra i diversi elementi vengono rappresentate graficamente in modo sequenziale, perché siano chiare le operazioni da compiere. 2.3 Adattare lo stile di insegnamento allo stile di apprendimento La didattica personalizzata degli studenti con ADHD può essere organizzata a partire dallo stile cognitivo e di apprendimento, che tende a cambiare da persona a persona. Lo stile di apprendimento, in particolare, influenza la modalità di elaborazione delle informazioni, di conseguenza occorre capire in che modo lo studente tende ad apprendere nuove informazioni e stimolarlo a partire dal canale che utilizza di più. Ad esempio, se si nota che il bambino sfrutta soprattutto le informazioni uditive, è possibile adottare strategie 25 didattiche pensate per valorizzare questa forma di apprendimento (Stella & Grandi, 2011)8. Una prima strategia generale, che può essere adottata a prescindere dal tipo di intelligenza del bambino, è quella di frazionare i compiti. Ciascun compito viene suddiviso in parti brevi e più facilmente gestibili, in modo che l’attenzione del bambino non vada sotto la soglia necessaria a comprendere e seguire (Fedeli & Vio, 2016). Il frazionamento può essere eseguito anche a livello grafico, ad esempio mostrando diversi moduli, sotto forma di blocchi o di immagini, per far capire allo studente quanto lavoro resta ancora da fare. L’utilizzo di schemi, tabelle e immagini permette di esemplificare in modo chiaro le procedure da seguire e di concretizzare i concetti astratti. Inoltre, a seconda della materia, alcuni argomenti possono essere associati più facilmente all’esperienza personale. Ancora, si può lavorare separatamente su diversi aspetti del compito. Si possono svolgere prima gli aspetti meccanici e poi quelli strategici, per focalizzare l’attenzione su un aspetto per volta. Ad esempio, per quanto riguarda la matematica, si possono prima svolgere dei compiti sulle tabelline, per poi affrontare, separatamente, i compiti di soluzione dei problemi. In questo modo, vengono anche limitate le informazioni da trascrivere. Un’altra strategia consiste nell’offrire possibilità di scelta, ovvero nel presentare diverse opzioni in relazione ai compiti e ai programmi. Si può sottoporre al bambino una lista di 5 compiti, tra cui sceglierne almeno 3. In questo modo, il bambino sente di avere un ruolo attivo nella selezione dell’attività da svolgere e sviluppa una maggiore motivazione. In questo senso, la possibilità di scelta va dosata, per mantenere l’abitudine sullo svolgimento dei compiti di gruppo e dei moduli didattici in comune con i compagni di classe. Un’altra strategia molto utile è quella del tutoring. Il tutoring consiste nell’affiancare al bambino un’altra persona, che può essere un adulto, come un 8 Stella, G., Grandi, L. (2011). Come leggere la dislessia e i DSA. Firenze: Giunti Scuola. Stroop, J. R. (1935). Studies of interference in serial verbal reactions. Journal of Experimental Psychology, 18(6), 643–662. 26 insegnante di sostegno, oppure un coetaneo. Nel caso di tutoring tra compagni di classe, vi sono tre principali tipologie: tutoring esperto, tutoring tra pari e tutoring di classe. Il tutor esperto è un compagno autoregolato e competente, in grado di offrire un modello da imitare allo studente con ADHD. Vi è poi il tutoring tra pari, che ha luogo tra studenti che presentano le stesse caratteristiche e si alternano nel ruolo di supervisore l’uno rispetto all’altro. Infine, vi è il tutor di classe, che monitora l’attività di studio di tutti i compagni, ma che richiede buone competenze e una buona preparazione di base nello studente incaricato. Un’altra strategia consiste nell’avvalersi di strumenti ausiliari e compensativi, come la calcolatrice. La gestione del metodo di studio è parimenti importante. Accanto al percorso di studi che si svolge a scuola, infatti, vi è quello che ha luogo a casa. Anche in questo caso, è possibile insegnare alcune procedure con cui gestire i processi di apprendimento nelle fasi di studio autonomo. Il metodo di studio si articola intorno a tre aspetti. Il primo è legato alle diverse materie e compiti: il bambino deve essere in grado di gestirle, autoregolando il proprio comportamento in modo flessibile a seconda del tipo di compito da svolgere. Il secondo aspetto è legato ai comportamenti di autonomia, che possono essere estesi dall’attività di studio alla gestione dei tempi e del materiale scolastico, come lo zaino, i quaderni e i libri, o il fatto di segnare i compiti sul diario. Il terzo aspetto è legato alla gestione delle emozioni e dei rapporti di amicizia, che svolgono un ruolo nello stimolare il bambino allo studio. Durante la lezione, il bambino si focalizza sui contenuti mostrati dall’insegnante, prende appunti scritti o sotto forma di grafici e li sfrutta per memorizzare e per rievocare tali informazioni. A loro volta, queste conoscenze gli permettono di produrre nuove informazioni in sede di verifica. Infine, il processo ricomincia, attraverso l’ascolto e la memorizzazione di nuove informazioni. Una strategia molto utile consiste nell’utilizzo delle mappe concettuali, che hanno l’obiettivo di facilitare sia la produzione che la comprensione di informazioni. 27 Un’altra tipologia di strumenti che offre supporto nell’organizzazione dello studio sono i software di riconoscimento vocale, che permettono di trasformare le note vocali in note scritte. Questo processo è di grande utilità quando un bambino si trova a dover elaborare un testo scritto, come una ricerca o un tema, dato che la scrittura richiede pianificazione, potendo così compensare le difficoltà nella tramite un software apposito (Schiavo, Mana, Mich & Arici, 2016). Un esempio di software di riconoscimento vocale è Dragon11. Questo strumento è dotato di grande accuratezza e velocità di digitazione e dispone di un’interfaccia intuitiva che permette di collegarsi direttamente al software di scrittura. In questo modo, è sufficiente pronunciare le parole per vederle comparire nello schermo, dettando il proprio lavoro ed eventualmente correggendolo e tornandoci su in modo rapido e senza doversi ripetere. Il dizionario digitale del software può essere integrato con nuove parole e con formule-chiave particolarmente utilizzate dall’alunno. Inoltre, Dragon può essere impiegato su qualsiasi dispositivo digitale, compresi computer portatili, tablet e cellulari, consentendo al bambino di iniziare a organizzare il proprio lavoro anche quando è fuori casa. I software di riconoscimento vocale come Dragon possono essere di aiuto soprattutto per bambini che prediligono uno stile di apprendimento di tipo verbale- uditivo. Capitolo 3. Osservazioni sulla didattica inclusiva 11 Informazioni reperibili al link ufficiale: https:// www.nuance.com/it-it/dragon.html , consultato il 16/10/2019 30 3.1 Aspetti da considerare nella relazione con il bambino con ADHD La trattazione teorica e scientifica poi viene calata nelle realtà scolastiche, che sono diversificate e spesso oppongono ostacoli alla loro concreta attuazione. Ad esempio, nell’intervenire sul bambino con ADHD per aiutarlo a integrarsi nella classe, occorre considerare alcuni aspetti centrali nell’intero processo di valutazione, pianificazione e applicazione dell’intervento, che non coinvolgono solo il bambino, ma anche la famiglia e il gruppo docenti. Nel caso dell’ADHD, così come di altri disturbi che possono interessare le modalità di apprendimento e di socializzazione del bambino, è anzitutto di grande importanza procedere nei tempi giusti alla valutazione, per evitare che il disturbo, non diagnosticato, influenzi negativamente il percorso scolastico del bambino. Tuttavia, già in questo frangente, emergono spesso conflitti e ritardi, perché le famiglie non sempre accettano che il proprio figlio venga “segnalato” dagli insegnanti e possono interpretare questo atto come un’antipatia personale verso il bambino, incompreso e trascurato, o giudicarlo come una dichiarazione di “resa” dell’insegnante, non abbastanza competente da gestire una classe e mantenere l’attenzione del bambino. Gli adulti avrebbero gli strumenti per negoziare e cooperare, benché spesso non li usino, ma il bambino non sempre riesce a capire cosa stia succedendo intorno a lui, né a decodificare i termini tecnici utilizzati dagli adulti. In particolare, i rischi di una diagnosi tardiva o comunque non tempestiva o non adeguata di un caso, possono essere legati non solo al rendimento scolastico, ma anche allo stato emotivo e al comportamento del bambino, che non ricevendo un adeguato sostegno, potrebbe risentire sul piano dell’autostima della situazione che si è venuta a creare a scuola. D’altra parte, è necessario evitare di “designare” il bambino, con il rischio che gli vengano applicate etichette difficili da togliere che potrebbero rendere più difficoltoso il percorso scolastico successivo. La competenza dell’insegnante di sostegno è dunque innanzitutto di tipo comunicativo, per “tradurre”, sia ai genitori che al bambino, cosa succede e cosa succederà, così lui non si senta un “oggetto” che gli adulti misurano e che cercano di “aggiustare” perché “non funziona” come vorrebbero. 31 Per quanto riguarda gli interventi, in via preliminare, occorre considerare la finalità del sostegno didattico e dell’insegnante. La figura del docente di sostegno, infatti, opera con l’obiettivo di promuovere l’inclusione scolastica del bambino, ovvero di favorire la sua integrazione nel gruppo-classe, valorizzando le sue competenze e peculiarità e allo stesso tempo trasformando quello che, da molti insegnanti curriculari, viene percepito come contrattempo, in un’opportunità di allargare le competenze socio-emotive della classe. Un altro aspetto da considerare è la qualità dell’intervento. Affinché esso sia efficace, occorre stabilire una relazione positiva con il bambino, basata sul riconoscimento delle sue potenzialità e sull’analisi dei suoi bisogni. Infatti, si può essere portati a pensare che la cosa migliore per il bambino sia predisporre l’intervento a partire dai deficit e i problemi emersi dal processo diagnostico. Viceversa, l’insegnante di sostegno opera sì a partire dal riconoscimento obiettivo dei bisogni del bambino, ma integrandolo anche con l’analisi dei bisogni e delle risorse che esso, soggettivamente, presenta, riconoscendogli la capacità di contribuire attivamente alla fase di selezione dei compiti e del lavoro. Dunque, anche il training richiede di essere personalizzato per venire incontro alle capacità del bambino, senza relegarlo in una posizione passiva, ma anzi attivandolo e responsabilizzandolo. Uno dei principi alla base della didattica inclusiva, di cui si fa portavoce l’insegnante di sostegno, è infatti la differenziazione delle attività e l’individualizzazione del processo didattico, non a scopo assistenziale, ma per dare la possibilità al bambino di integrarsi nel gruppo-classe. In precedenza, si era portati a pensare che assegnare compiti più semplici al bambino con Bisogni Educativi Speciali, permettesse di “liberarsi” del problema garantendogli allo stesso tempo un’istruzione adeguata. Questo approccio era però passivizzante, perché tendeva a cristallizzare la condizione del bambino, ritenendolo, in modo implicito, incapace di maturare a sufficienza da poter tenere il ritmo dei compagni di classe e suscitando dubbi sulle sue capacità e potenzialità. Attualmente, al contrario, si può ritenere l’inclusione l’obiettivo primario dell’insegnante di sostegno e, con essa, la responsabilizzazione del bambino e 32 un presupposto di insegnamento e apprendimento “idraulico” (Amovilli, 1994) che consiste nel semplice travaso di contenuti in un recipiente vuoto. Inoltre, alcuni di questi strumenti potrebbero essere percepiti dai bambini come un gioco, con la conseguenza di distrarli dagli obiettivi formativi e di eccitarli, sovraccaricando il sistema attentivo e riducendo, di conseguenza, la disponibilità nei confronti delle nozioni da apprendere, anche dal punto di vista della comprensione e dell’elaborazione dei contenuti. Inoltre, occorre considerare come le nuove generazioni di studenti “nativi digitali” siano già predisposti a utilizzare nuove tecnologie, dunque alcuni di questi strumenti potrebbero apparire loro non innovativi, come appaiono invece a molti insegnanti, ma del tutto routinari. Di conseguenza, il presupposto alla base dell’uso di questi strumenti non dovrebbe essere quello di “eccitare” gli studenti con un medium innovativo, bensì di facilitare l’apprendimento, senza delegarlo a strumenti inerti, svalutando le modalità tradizionali di fare lezione. Infatti, se il bambino non si sente messo al centro dell’agire didattico, ma anzi viene ulteriormente decentralizzato, ponendo al centro invece uno strumento tecnologico che non è in grado di stabilire una relazione affettiva e cognitiva diretta con ciascuno studente, il rischio è che da strumento di coinvolgimento, gli ausili tecnologici stimolino la distrazione e il distacco, sia nello studente che nell’insegnante. In generale, dunque, lo scopo di questi software e ausili tecnologici non dovrebbe essere quello di ridurre l’attività del bambino, ma di focalizzarla e canalizzarla in attività a lui più consone. Può essere utile ribadire questa differenza, sempre in relazione ai presupposti della didattica inclusiva e pluralistica promossa dall’insegnante di sostegno. Infatti, se gli insegnanti trasmettono al bambino la sensazione che l’uso di questi strumenti lo dispensi dalle attività di studio “vere e proprie”, considerando lo studio tramite software un’attività secondaria e succedanea, il rischio è che il bambino si convinca di non stare realmente partecipando all’attività scolastica e si senta, ancora una volta, escluso. Questo può avere ripercussioni anche serie, oltre che sul suo stato emotivo, anche sul suo percorso di apprendimento, convincendolo che non valga la pena impegnarsi nello studio. 35 Compito dell’insegnante di sostegno, in questo senso, dovrebbe essere proprio quello di favorire un utilizzo consapevole e critico di questi ausili tecnologici, così come di tutte le altre misure dispensative e compensative, affinché i bisogni educativi del bambino con ADHD non vengano percepiti dalla classe e da lui stesso come dei limiti o degli alibi, bensì come un’opportunità di apprendere in modo differente ma ugualmente efficace e funzionale. Questo obiettivo può essere raggiunto anche stimolando l’attenzione del bambino nei confronti di questi strumenti, valorizzandone gli aspetti interessanti e coinvolgendolo nei diversi momenti di impostazione e di uso di tali ausili, modellando l’impiego di ciascun software o strumento tecnologico sulle caratteristiche, le potenzialità e le motivazioni della persona. In questo modo, il bambino sente di essere al centro del programma didattico e lo sente adeguato a sé, né troppo difficile né troppo semplice, senza sviluppare la sensazione di essere “sostituito”, nella sua attività di apprendimento, dagli strumenti tecnologici, percependoli piuttosto, come facilitatori del processo di apprendimento. 3.3 Vantaggi e criticità della didattica inclusiva Dunque, favorire l’inclusività rappresenta uno dei principali obiettivi che si pone l’insegnante di sostegno nel momento in cui interviene per aiutare il bambino con ADHD. Questo obiettivo, riconosciuto sia dal punto di vista legislativo che sul piano delle competenze, sia teorico-pratiche che umane, richieste al docente specializzato, lo pone in un’ottica differente rispetto al passato, anche nei confronti degli insegnanti curricolari e degli alunni con sviluppo tipico che frequentano la stessa classe del bambino con BES. Egli, infatti, si fa carico non solo del disagio del bambino, ma anche di quello dell’intera classe, proponendo delle soluzioni che possano ridurre le conflittualità e accrescere il senso di auto-efficacia degli insegnanti e degli alunni. L’insegnante di sostegno, in questo senso, dovrebbe agire come “creatore di relazioni”, aiutando cioè i docenti curriculari a confrontarsi con il bambino 36 con ADHD da un diverso punto di vista e, allo stesso tempo, educando gradualmente il bambino con ADHD a integrarsi nel gruppo-classe, coinvolgendolo a più livelli (Muscarà, 2018)13. In questo modo, entrambi i fronti si vengono incontro e si produce uno sforzo comune all’integrazione, favorito anche da un allargamento generale delle prospettive. Se l’insegnante di sostegno si focalizza invece solo sulle competenze del bambino con ADHD, trascurando le interazioni con il resto della classe, il rischio è che il bambino, nel proseguire il suo percorso di studi, continui a percepirsi come “diverso” in senso negativo, distaccato dai pari, faticando a integrarsi. Affinché sia possibile perseguire l’inclusione dell’alunno con BES, il docente specializzato dovrebbe coniugare competenze professionali di tipo tecnico, legate sia alla conoscenza dei profili neuropsicologici, emotivi e comportamentali dei diversi bambini con BES, sia alla padronanza delle strategie di insegnamento funzionali, con competenze umane, ovvero la capacità di stabilire una relazione positiva con il bambino e, per estensione, con il resto della classe, per non apparire come un elemento estraneo o un intruso agli occhi degli altri bambini. Egli deve dunque sviluppare delle “buone prassi” che derivano anche dalla conoscenza concreta dell’ambiente scolastico in cui opera. Anche le competenze tecniche non dovrebbero essere rigide, basate sul presupposto di applicare in modo statico protocolli generali ai casi singoli, quanto piuttosto flessibilmente modulate in base alle caratteristiche del contesto, valutando caso per caso, dopo un’attenta analisi delle criticità, dei limiti ma anche delle potenzialità e delle motivazioni dell’alunno e del gruppo-classe, che tipo di interventi proporre e a che livello. In questo modo, l’insegnante specializzato si pone come facilitatore dell’apprendimento a livello sistemico, senza isolare implicitamente il bambino con ADHD dal resto della classe, ma anzi creando legami tra lui e gli altri. Spesso, tuttavia, questi presupposti possono scontrarsi con diverse criticità e problematiche presenti negli istituti scolastici, legate alle percezioni e alle credenze condivise dagli insegnanti curriculari nei confronti degli alunni con 13 Muscarà, M. (2018). Scuola inclusiva e insegnante di sostegno: la specializzazione come componente essenziale della formazione iniziale dei docenti. Lecce-Rovato: Pensa multimedia 37 insegnanti al tema dei Bisogni Educativi Speciali, la classe può reagire in modo più consapevole e meno istintivo alla presenza del compagno con BES, trasformandola in un’opportunità per co- costruire la didattica. La co-costruzione del sapere sulla base dell’integrazione e della valorizzazione delle risorse individuali dovrebbe costituire uno degli obiettivi degli attuali programmi didattici (Jonassen, 1997)14. Ad esempio, il moderno approccio costruttivista all’insegnamento, presuppone che l’apprendimento nasce dall’esperienza ed è un prodotto delle caratteristiche di ciascun discente. Esso non viene dunque “calato dall’alto”, ma piuttosto costruito da chi apprende, rispetto al quale l’insegnante si pone come facilitatore, senza fornire istruzioni rigide, quanto strumenti per apprendere in autonomia. La costruzione condivisa di conoscenza permette di creare un sapere che risponda a obiettivi e problemi pratici, permettendo di risolverli e allo stesso producendo nuove competenze, non vincolate a quelle pre-esistenti. In quest’ottica, ad esempio, è possibile impiegare gli ausili tecnologici, che si apprestano a facilitare la costruzione autonoma e personalizzata di conoscenza, laddove il bambino sia libero di usarli sulla base delle sue competenze e dei suoi bisogni educativi. In questo modo, l’apprendimento rappresenta uno stimolo sia cognitivo che comportamentale per il bambino, perché egli si sente motivato a risolvere problemi pratici, stimolato dall’attività e coinvolto nella sua pianificazione. Questo non vuol dire, comunque, non fornire una struttura al bambino, poiché esso ha bisogno di essere guidato nelle diverse fasi. L’insegnante di sostegno potrebbe dunque porsi come scaffolder, fornendo cioè al bambino con ADHD dei “ponteggi” sopra cui issarsi per sviluppare gradualmente le proprie abilità e competenze. Allo stesso tempo, il coinvolgimento degli altri bambini in queste attività fa sì che il bambino non si senta isolato, perché condivide obiettivi didattici simili a quelli dei pari, ma perseguiti attraverso strategie differenti, oppure 14 Jonassen, D. (1997). Instructional design models for well-structured and III-structured problem- solving learning outcomes. Educational Technology Research and Development, 45, 65-94. 40 obiettivi didattici differenti, ma perseguiti attraverso gli stessi strumenti. Nel corso di questo processo, l’insegnante può focalizzare i punti di contatto, senza nascondere le differenze, ma piuttosto evidenziandone il valore formativo ed esperienziale. Comprendere il problema del bambino con ADHD permette, in conclusione, di condividere con maggiore consapevolezza gli obiettivi didattici e la finalità inclusiva che vi è alla base, cogliendone allo stesso tempo le potenzialità nell’ottica dello sviluppo sociale e affettivo comune. Si può dunque diffondere appieno l’opportunità che rappresenta la presenza del bambino con BES, per aiutare il gruppo classe a “decentrarsi” rispetto ai presupposti individuali di insegnamento e apprendimento. Questo rappresenta un’occasione di crescita comune, perché aiuta a valorizzare la diversità e la pluralità dei punti di vista, un presupposto ormai irrinunciabile della didattica contemporanea, che viene organizzata in contesti sempre più aperti e multiculturali. La sfida, per l’insegnante di sostegno, è dunque rappresentata dalla possibilità di coinvolgere tutta la classe e non solo il bambino con ADHD, in un percorso di reciproco arricchimento professionale, educativo e umano. Conclusioni Questa tesina si è posta l’obiettivo di approfondire i deficit delle funzioni 41 esecutive, che si presentano in misura generalmente grave nei bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, ma che possono manifestarsi in misura meno grave anche in altri bambini con altri disturbi e in bambini sani, che però hanno difficoltà a controllare il comportamento. Dato che la scuola attuale si basa ancora prevalentemente su una didattica direttiva, che richiede al bambino di ascoltare lezioni per molte ore al giorno, compiendo uno sforzo cognitivo e attentivo, a fronte di un prolungato controllo motorio, è importante per un’insegnante, in un’ottica inclusiva e di cooperazione tra funzioni di sostegno e insegnanti disciplinari, conoscere questi deficit, nonché le metodologie per gestirli. Complessivamente, è possibile considerare che talvolta agitarsi può essere l’unico modo, rapido, che i bambini con ADHD trovano per cercare di comunicare le loro esigenze, non sempre comprese, ad esempio di apprendere attraverso attività esperienziali e di movimento, piuttosto che attraverso un canale visivo e uditivo e in una condizione di restrizione motoria. Se il bambino ottiene ciò che vuole, ad esempio viene sgridato dall’insegnante, che così interrompe la lezione in corso, vissuta dal bambino come noiosa e frustrante, allora potrebbe imparare paradossalmente che tale comportamento è efficace per raggiungere i suoi scopi ed essere quindi portato a ripeterlo. Per questo, per aiutare le insegnanti a impostare una didattica efficace anche in presenza di bambini che non riescono a seguire tutto il giorno lezioni direttive, è importante, prima di punire e sgridare, capire i bisogni all’origine del comportamento- problema, provvedendo ad un assessment degli stessi, insieme a specialisti come pedagogisti, educatori o psicologi dello sviluppo. Dunque, sostanzialmente, i diversi interventi passati in rassegna condividono lo stesso presupposto, quello di premiare interessi, potenzialità e comportamenti costruttivi, piuttosto che punire quelli disfunzionali. La punizione li interrompe momentaneamente, ma non li estingue, come invece avviene se si rinforzano comportamenti incompatibili con quelli disfunzionali, anche se ciò comporta tempi più lunghi. Bibliografia American Academy of Pediatrics (2001). Clinical practice guideline: treatment 42 cognitivo-comportamentale con I bambini e le famiglie, Firera & Liuzzo, Roma, 2007). Hill, P., Taylor, E. 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