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Tesina sulla povertà educativa, Tesine universitarie di Pedagogia

Tesina sulla povertà educativa, seminario di Save the Children

Tipologia: Tesine universitarie

2020/2021
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Caricato il 20/07/2022

ida.alfieri
ida.alfieri 🇮🇹

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7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Tesina sulla povertà educativa e più Tesine universitarie in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Corso di laurea magistrale in Scienze Pedagogiche TITOLO I ragazzi resilienti. Una speranza contro la povertà educativa. Relatore Prof. Mario Caigiuri Candidato Ida Francesca Alfieri Matricola: 224081 Anno Accademico 2021 / 2022 Sorgiovanni, rappresentati di Save the Children, una delle più grandi Organizzazioni internazionali indipendenti, hanno tenuto un seminario per spiegare agli studenti come, attraverso una serie di progetti svolti nel nostro paese e in particolar modo nella nostra regione, cercano di contrastare tale problema, offrendo a bambini e ragazzi, tramite Punti Luce, luoghi dove poter apprendere e partecipare a diverse attività educative gratuite. Ecco perché il presente lavoro tenta di dare un barlume di speranza, non solo alle nuove generazioni, ma agli stessi futuri educatori e pedagogisti, mostrando come, attraverso un’attività di volontariato che ponga l’accento sull’importanza della formazione, attraverso il lavoro costante che soprattutto Save the Children mostra, si possa combattere il problema principale del nostro tempo, la povertà educativa, spronando i ragazzi resilienti, tema centrale di tale elaborato. Capitolo 1. Il volontariato e la sua funzione sociale e educativa Il volontariato è una risorsa sociale in quanto sorgente vera e propria delle diverse forme che l’intervento del singolo nel sociale può assumere, poiché risponde alla forte esigenza umana del dare aiuto a chi ne ha bisogno. Il volontariato italiano, in particolare, si prodiga affinché si innalzi la qualità della vita nel nostro Paese. Tutti, che siano uomini, donne o anziani, ricercano nella relazione con gli altri il senso della propria vita, tentano così di costruire, attraverso l’aiuto che si dà all’altro, la propria identità, sia lavorativa che sociale. Il mondo del volontariato è sicuramente complesso, ed è questa sua caratteristica che lo rende in assoluto il fenomeno sociale più interessante dei nostri anni. Recente è la “Carta dei Valori del Volontariato”, permeata dal principio di solidarietà, definito anche nell’art. 3 della nostra Costituzione repubblicana, che è stata presentata il 4 dicembre 2001, e che rappresenta “lo strumento attraverso cui ogni volontariato e ogni organizzazione abbiano chiari gli elementi del proprio “essere” e adottino criteri di un “agire” che siano coerente testimonianza di dimensione ideale, per svolgere quella che Luciano Tavazza definiva la duplice missione “[...] di promotore della cultura e della prassi della solidarietà e di agente del mutamento sociale2” e che si specifica: nella dimensione attiva, attraverso la gratuita presenza nel quotidiano e nella dimensione politica, quale soggetto sociale che partecipa alla rimozione degli ostacoli che generano svantaggio, esclusione, degrado e perdita di coesione sociale. Ma l’evoluzione storica del volontariato è sempre stata legata alla risposta che le classi agiate e le società dominanti hanno dato nelle diverse epoche a fenomeni quali: povertà, esclusione, marginalità, bisogno, assistenza, emarginazione. Del resto, l’umanità ha affrontato più volte le grandi emergenze sociali, per tale ragione la storia ha avuto diverse figure di “volontari”, soprattutto italiani, guidati dalla cosiddetta “cultura dell’assistenza”, per cui l’assistenzialismo altro non è che elemento di controllo sociale, mentre l’emarginazione ne è il presupposto, ed è tale cultura che spiega la reale presenza del volontariato nella realtà italiana. Sicuramente la forma più antica di emarginazione risale al mondo classico con la discriminazione tra libero e schiavo, in cui quest’ultimo non aveva alcun diritto civile e dipendeva esclusivamente dal suo padrone, il quale lo possedeva e traeva ricchezza dal suo lavoro manuale. Ma nella storia, che possiamo definire assistenziale, centrale è il primo Cristianesimo per cui “l’idea 2 ROSSI R. A., Formazione e nuova cittadinanza. Le prospettive della democrazia, Rubettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2005, p. 78. dell’amore, della caritas e i primi destinatari del Vangelo sono i poveri3.” Il povero, identificandosi secondo tale concetto in Cristo, assume un’immagine che va quindi valorizzata e rispettata, per tale ragione l’impegno da parte della Chiesa è quello appunto di ospitare ed accogliere i fratelli, fin quando, alle soglie della società contemporanea, con l’avvento della crisi agraria l’assistenza diventa iniziativa dello Stato e si cerca di far passare l’amministrazione di ospedali ed ospizi in mano laica per rendere i poveri, coloro i quali hanno deciso di emigrare verso le città, senza lavoro e risorse, socialmente “inoffensivi”. È solo dalla seconda metà del Settecento che le teorie illuministiche investono tutta la società e alla carità si sostituisce il concetto di solidarietà laica e con la Rivoluzione francese, in particolare, “l’uomo si rende conto di non essere più da solo ed inizia a manifestare un sentimento di “simpatia e amicizia” nei confronti degli altri uomini, muovendo da uno spirito di solidarietà umana e di carità tendente a promuovere la felicità e il benessere di tutti.4” Ma è solo con la Seconda guerra mondiale, quando si stabilisce che l’universalismo delle prestazioni secondo cui l’erogazione dei servizi e delle assicurazioni deve avvenire secondo misure uniformi, cioè uguali per tutti i cittadini, che lo Stato inizia davvero a interessarsi di queste associazioni e in Italia avviene la cosiddetta “carità legale”. Dal 1948 inoltre, tra i diritti inviolabili della persona non compaiono più solo quelli individuali ma anche quelli sociali della comunità. Per tale ragione “deve essere l’Ente locale a gestire i servizi in modo globale, attraverso prestazioni uniformi, rivolte a tutti i cittadini, favorendo l’ottica della partecipazione di questi e della prevenzione del bisogno.5” Solo verso la fine degli anni Settanta il volontariato diventa un soggetto politico, ciò grazie a due eventi di grande portata: Il Concilio Vaticano II e il movimento del Sessantotto. Grazie a questi fenomeni, sia il volontariato ecclesiastico che quello laico seguono la filosofia d’intervento preventivo, utile ad eliminare le cause di molte situazioni di disagio sociale, quali povertà ed esclusioni, poiché riescono finalmente a toccare il vero fondamento dell’impegno del volontariato: la centralità dell’uomo, che porta alla ricerca di una diversa qualità di vita e quindi all‘assunzione di responsabilità in prima persona. Solo allora il volontariato si esprime nell’ottica della solidarietà, ma fino a poco tempo fa l’impegno dei volontari è stato sempre quello di “tamponare” le situazioni già 3 ROSSI R. A., Formazione e nuova cittadinanza. Le prospettive della democrazia, Rubettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2005, p. 81. 4 ROSSI R. A., Formazione e nuova cittadinanza. Le prospettive della democrazia, Rubettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2005, p. 83. 5 ROSSI R. A., Formazione e nuova cittadinanza. Le prospettive della democrazia, Rubettino Editore, Soveria Mannelli (CZ) 2005, p. 87. di salvare i bambini ad ogni costo. La sua causa diventò allora il primo movimento globale per i bambini, poiché fu capace di anticipare il concetto rivoluzionario che anche i bambini sono titolari di diritti. 1.3. Save the Children in Italia Nonostante la sede in Italia sia nata solo negli anni ’90, il legame di Save the Children con il nostro Paese ha radici profonde, infatti l’Organizzazione intervenne già negli anni ’40, in un momento di forte bisogno10. Il dopoguerra in Italia lascia dietro di sé devastazione e povertà: mancano cibo, indumenti, protezione e assistenza ai bambini più bisognosi. Save the Children International invia ad Ortona, comune italiano della provincia di Chieti in Abruzzo, Giovanna Guzzeloni Thomson, la prima coordinatrice in Italia, dove viene realizzato il primo centro di soccorso per bambini in un edificio bombardato. Con l’aiuto di altre organizzazioni umanitarie avvia in poco tempo programmi nutrizionali per i bambini, portando soccorso e aiuto agli orfanotrofi. Anche nel decennio successivo continua nel nostro Paese l’opera di ricostruzione e di soccorso ai bambini più bisognosi grazie a Save the Children Svezia che finanzia un centro di riabilitazione per bambini mutilati a seguito degli eventi bellici. Sempre in quel decennio, nuovi asili vengono avviati nelle zone lucane e calabresi così come la formazione delle educatrici e delle assistenti sociali. Nonostante il boom economico degli anni ’60 l’Italia versa in una condizione di povertà. Nel 1962 un terremoto colpisce l’Italia del Sud e Save the Children eroga fondi per i rifornimenti di prima necessità creando ben 6 centri per fornire cibo e riparo con l’intenzione, a emergenza finita, di trasformarli in centri permanenti di assistenza all’infanzia. Ma come fanno notare alcuni documenti ufficiali di Save the Children UK del 1961: “La situazione della popolazione dell’Italia del sud è purtroppo cambiata poco durante la presenza di Save the Children. Malgrado l’impulso dato all’ edilizia e alla realizzazione di strade, scuole ed ospedali, ci sono migliaia di persone che vivono al limite della sussistenza con un reddito mensile di 5 sterline, mentre inondazioni e siccità causano ulteriori e gravi problemi. La maggior parte dei bambini è ancora malnutrita ma il Fondo di Save the Children riesce ad assicurare almeno pasti e vestiario per circa 3000 bambini allevati in istituzioni italiane.11” 10 Disponibile presso: SAVE THE CHILDREN in www.savethechildren.it/sh/save-the-children-nel-mondo- 100-anni-di-storia/#group-1998-italia-ZE1wUOjTZi (ultima consultazione: 20/06/2022) 11 Dai documenti ufficiali di Save the Children UK, 1961, in www.savethechildren.it/sh/save-the-children-in- italia-1998/ (ultima consultazione: 20/06/2022) È nel 1999 comincia la vera avventura dell'ufficio di Save the Children Italia. Alle soglie quindi del nuovo millennio viene lanciato il programma Child Link, per il sostegno ai bambini e alle loro comunità di appartenenza. Nel 2006 l’Italia partecipa al lancio della prima campagna internazionale di Save the Children: “Riscriviamo il Futuro12”. Oltre alle diverse attività che impegnano i membri negli interventi in altri Paesi del mondo, vengono avviati i primi progetti sul territorio nazionale. La poca dimestichezza con le nuove tecnologie e la loro rapida diffusione suggerisce la realizzazione di programmi ad hoc per contrastare gli abusi online e diffondere la conoscenza dei rischi insiti in un loro utilizzo poco responsabile. A tal proposito, una delle prime iniziative di Save the Children in Italia è stata di promuovere la nascita di una rete di associazioni che si occupasse di verificare l’attuazione della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nel Paese. Mentre, a metà del decennio, di fronte all’incremento dei flussi migratori verso l’Italia, vengono avviati i primi progetti rivolti a minori migranti accompagnati e non accompagnati, richiedenti asilo, vittime di tratta e sfruttamento. L’impegno si concretizza in vari progetti, tra cui il progetto Praesidium, avviato nel 2008, operativo nella frontiera sud, in supporto dei minori giunti via mare e nel monitoraggio degli standard di accoglienza nelle comunità per minori stranieri. Per Save the Children la protezione e l’inclusione dei giovani migranti rimane centrale nell’ambito dei suoi interventi in Italia a supporto e in difesa dei diritti dei bambini. Vengono avviate e di conseguenza potenziate le attività realizzate in contesti scolastici, con progetti di portata nazionale e internazionale, per sensibilizzare ed orientare studenti e docenti alla formazione nell’ottica dei diritti. Il secondo decennio soprattutto vede Save the Children Italia impegnata nel supporto alle popolazioni colpite da catastrofi naturali, ma questi anni pongono l’intera Organizzazione davanti grandi sfide anche nel Paese: la crisi economica internazionale provoca l’aumento della povertà e delle disuguaglianze, che colpisce soprattutto i più vulnerabili. Infatti, bambini e adolescenti ne risentono. La disoccupazione si impenna, le famiglie si impoveriscono, le risorse pubbliche, e quindi gli investimenti, diminuiscono. Al contempo, aumentano gli arrivi di profughi e migranti e le istituzioni si trovano ad affrontare situazioni inedite. Per tali ragioni vengono realizzati interventi sempre più ambiziosi, mirati e diffusi sull’intero territorio nazionale13. 12 In paesi devastati dai combattimenti, in cui la distruzione predomina, Save the Children costruisce scuole, forma insegnanti, distribuisce cibo e acqua e realizza interventi per proteggere bambini e ragazzi dalle conseguenze del conflitto. 13 Disponibile presso: SAVE THE CHILDREN in www.savethechildren.it/sh/save-the-children-in-italia- 1998/ (ultima consultazione: 20/06/2022) tanti giovani che non leggono, che non vanno a teatro, che non praticano alcuno sport. Sicuramente l’avvento del COVID-19 ha inciso fortemente su tutte le attività del tempo libero che si svolgevano fuori casa prima del lockdown e che adesso, a distanza di due anni, faticano a riprendersi. Altro dato da dover considerare è il tempo pieno a scuola: generalmente il tempo pieno è garantito solo nel 34% nella scuola primaria e nel 13% nelle scuole secondarie di primo grado, ma è fondamentale e si unisce al discorso anche della mensa scolastica che è un elemento di contrasto anche alla povertà materiale; infatti, molti giovani riescono a fare il pasto proteico giornaliero soltanto a mensa ed è inoltre una misura di socializzazione in quanto permette di frequentare la scuola anche nel pomeriggio tramite attività extracurricolari. Ma anche il titolo di studio dei genitori è un'influenza molto forte su quelle che sono le diseguaglianze educative perché maggiore è l'alfabetizzazione dei genitori e più difficile sarà che i figli conseguono dei titoli di studio. Save the Children si appoggia IDELA18 come strumento di indagine su tutta la parte che riguarda lo studio sui minori di età compresa tra i tre e i sei anni. IDELA consente di indagare i progressi che avvengono nei minori da un punto di vista di competenze e quindi sviluppo cognitivo in quattro dimensioni di competenze e di sviluppo che sono: fisico motorio, matematico, linguistico e socio emozionale, che vengono analizzate sulla base delle competenze. IDELA è uno strumento che utilizza delle metodologie che non creano problemi linguistici quindi la valutazione viene fatta attraverso giochi o identificazioni di lettere. Tutto quello che ha a che fare con la mancata metabolizzazione di competenze ci porta verso la povertà educativa che si costruisce sin dai primi anni di vita e si nota quando i bambini entrano in un processo di scolarizzazione, nonostante la povertà educativa abbia radici precedenti. Per Save the Children la povertà educativa si manifesta in tutta una serie di competenze cognitive di cui minori sono privati e quindi un minore in condizioni di povertà educativa sarà un minore che avrà una carenza di motivazione, di autostima e sarà meno capace di comunicare e di cooperare. Alla situazione socioeconomica della famiglia si associano anche fattori demografici quali: luogo di nascita, sesso e origine migrante. 2.1. Contrastare la povertà educativa La Calabria è la regione con il più alto tasso di povertà educativa secondo l'ultimo rapporto di Save the Children chiamato “Nuotare controcorrente”, il quale mette in risalto anche differenze regionali con quelli che sono gli indici di povertà educativa. Per il contrasto alla 18 IDELA (International Development and Early Learning Assessment) è uno strumento globale rigoroso e facile da usare che misura l'apprendimento e lo sviluppo precoce dei bambini. povertà educativa viene lanciata proprio da Save the Children nel 2012 la prima campagna “Ricordiamoci dell’infanzia” e nel maggio 2014, in particolare, “Illuminiamo il Futuro19”. L'obiettivo è che tutti i minori devono poter apprendere appunto; quindi, tutti i minori devono poter avere accesso ad un'offerta educativa di qualità e la povertà educativa deve essere eliminata per favorire la crescita educativa. Questi obiettivi prevedono l'attivazione per Save the Children di presenze di tipo comunitario, ossia la presenza di Punti Luce che appunto illuminano il futuro. È quindi a partire dal 2014 che vengono aperti su tutto il territorio nazionale ben 26 centri socioeducativi che sorgono nei quartieri e nelle periferie maggiormente svantaggiate delle città, per offrire opportunità formative ed educative gratuite a bambini e ragazzi tra i 6 e i 17 anni. Con il nome di Punti Luce20, questi spazi ad alta densità educativa si pongono l’obiettivo di far sbocciare i talenti e le capacità dei bambini e degli adolescenti nei quartieri appunto di maggior disagio. L'alta densità per Save the Children è un modo per agire sull'educazione alla legalità: fare degli interventi che si svolgono con delle attività che vengono erogate a gruppi di beneficiari, ma in casi particolari vengono effettuati anche degli interventi individuali e personalizzati. Laddove si individuano delle situazioni di estrema fragilità socioeconomica si procede con l'erogazione di doti educative, ovvero dei percorsi di intervento individuale che vanno a supportare il minore offrendogli la possibilità di fare delle esperienze, quindi piani formativi personalizzati che prevedono anche un contributo economico per l’acquisto di libri e kit scolastici, l’iscrizione a un corso sportivo o musicale, la partecipazione a un campo estivo e altre attività educative alle quali i minori si mostrano particolarmente inclini. È prevista quindi, al di là dell'intervento di tipo comunitario, la creazione di una vera e propria comunità educante in grado di offrire un intervento di tipo comunitario, quindi di gruppo. Non c'è erogazioni di denaro, ma si va a stabilire un patto educativo tra 19 “Illuminiamo il Futuro” è una campagna nazionale il cui simbolo è una lampada che proietta un fascio di luce che si allarga per indicare appunto che il futuro dei minori deve essere illuminato, così che possano sviluppare le proprie competenze e poter avere un futuro migliore, un'immagine chiaramente metaforica. 20 I Punti Luce sono centri in cui i minori hanno la possibilità di partecipare gratuitamente ad attività di sostegno allo studio e laboratori nel campo dello sport, della musica, dell’arte e della cultura, trascorrere il tempo tra pari e mettere in gioco la loro creatività. I centri sorgono in contesti delle città italiane maggiormente deprivati, caratterizzati dall’assenza di servizi, di opportunità educative e spazi adeguati alla crescita dei bambini. Oltre alle attività educative e ricreative vengono avviate, per bambini in certificate condizioni di disagio, doti educative, piani di supporto per fornire beni e servizi educativi. Sono riconosciuti come un presidio sociale che catalizza e mette in rete le diverse risorse educative dei territori, per contribuire alla costruzione di una “comunità educante”. Punto Luce, minore e famiglia del minore. Ognuno dei tre soggetti assume la responsabilità di impegnarsi in un'azione e quindi c'è una responsabilizzazione del minore che a fronte dell'erogazione di una dote si impegna in un percorso, così si instaura un rapporto che viene poi monitorato in maniera costante da parte del Punto Luce in cui viene immessa anche la famiglia, che in quanto soggetto educante non può assolutamente essere lasciata fuori. L’organizzazione, infatti, si appoggia a dei partner locali, così ogni territorio ha una sua specificità. È a tal proposito necessario che sia presente in maniera quotidiana un attore locale che conosca bene il territorio e sia in grado di sviluppare l'intervento più adatto e maggiormente efficace. Importante è il confronto costante con le istituzioni locali e fare rete con le scuole, ma anche con le altre associazioni presenti sul territorio. Questo perché, all’interno di questi spazi, i bambini e le famiglie possono usufruire di diverse attività: attività di sostegno allo studio attraverso un apprendimento creativo, ovvero insegnare a studiare e insegnare ad amare allo studio; promozione della lettura, in quanto alla base proprio della povertà educativa è emerso il mancato raggiungimento delle competenze in lettura; persino la promozione di sani stili di vita tramite il gioco e le attività motorie, ma compresa anche l'educazione all'uso dei new media tramite appunto l’ accesso alle nuove tecnologie e alla promozione di una possibile patente digitale; la possibilità di avere laboratori artistici e musicali o di stimolare i ragazzi tramite visite ed eventi che aiutano a sviluppare quelle competenze non cognitive (competenze trasversali, capacità di socializzazione e persino capacità di sognare). Per Save the Children il sogno è alla base degli obiettivi che i minori si danno nella vita, quindi è fondamentale, perché non avendo un obiettivo identificato, non c'è allora neanche la motivazione a spendersi in determinate attività, non c'è pertanto la determinazione a spendersi in determinati studi. Ma negli spazi si offrono persino consulenze legali, psicologiche, pediatriche e di supporto alla genitorialità ai genitori o alle figure adulte di riferimento dei bambini. In Calabria ci sono ben 3 Punti Luce in contesti periferici dove c'è un indice di povertà educativa elevato, di criminalità molto alto, di alfabetizzazione dei genitori bassa e di assenza di servizi. Il primo Punto Luce è nato proprio nel 2014 a Scalea, mentre gli altri si trovano a San Luca e a Platì, contesti dove purtroppo le opportunità educative sono veramente ridotte all'osso. I Punti Luce sono presenti sul territorio 5 giorni a settimana tutti i pomeriggi e nelle fasi in cui sono chiuse le scuole sono presenti anche le mattine. Essendo quindi dei servizi educativi Save the Children si avvale di professionisti e non solo di semplici volontari, affinché l’esperienza per i ragazzi sia il massimo. circonda il minore, ma soprattutto la famiglia sono essenziali per l’acquisizione di abilità non-cognitive, quali la motivazione, la fiducia in sé stessi, la perseveranza, le aspirazioni, che sono fondamentali per apprendere e vivere nel mondo complesso di oggi, fatto di innovazione, rapidi cambiamenti, connessioni. La comunità educante poi influenza fortemente la capacità dei bambini di superare le difficoltà. Luoghi dove è maggiore l’offerta educativa, dove è possibile svolgere attività sportive, ricreative e culturali, dove maggiori sono le opportunità di lavoro per i giovani, dove minore è l’incidenza della criminalità e della povertà, sono comunità dove bambini e famiglie, anche quelli in condizioni di maggior svantaggio economico, trovano gli stimoli ed il sostegno necessari a sviluppare percorsi di resilienza educativa. Secondo il rapporto di Save the Children, i ragazzi di 15 anni che appartengono al quartile socioeconomico e culturale più basso che hanno frequentato un nido o un servizio per l’infanzia hanno il 39% di probabilità in più di essere resilienti, rispetto ai loro coetanei che non lo hanno frequentato. Questi dati mostrano che la povertà educativa è imputabile alla privazione di opportunità di apprendimento nei primi anni d’età. La frequenza del nido o dei servizi della prima infanzia di qualità rappresenta un fattore protettivo essenziale per la resilienza. Save the Children tenta di portare all'attenzione delle istituzioni, sia a livello nazionale che a livello regionale, la situazione della Calabria dove la presenza di asili pubblici è veramente bassissima, intorno al 2,5%, e raggiunge solo il 9,7% con l'unione tra pubblico e privato, inserendo anche servizi come ludoteche. Inoltre, la nostra regione ha degli indici di impiego lavorativo per le donne che sono bassissimi, se a questo si aggiunge anche la carenza di strutture educative per i bambini, anche questo diventa un problema circolare e quindi sono due cose che viaggiano di pari passo: l'impossibilità di lavorare perché manca il lavoro e perché non si hanno delle strutture di accoglienza appropriate per i bambini. Un ulteriore indicatore essenziale soprattutto per comprendere la qualità della scuola è il tasso di dispersione. “I ragazzi meno abbienti, che vivono in contesti dove il tasso di dispersione scolastica è più basso rispetto alla media nazionale hanno più del 50% in più di probabilità di essere resilienti sia in matematica che in lettura24”. L’investimento nella scuola è perciò importante, insieme all’effettivo utilizzo delle risorse investite al fine di favorire la resilienza dei minori più svantaggiati. Uno dei fattori predittivi più rilevanti dello sviluppo educativo, con effetti consistenti da adulti, sono le abilità non cognitive. Difatti, un temperamento aperto alle relazioni sociali, insieme all’autonomia, alla capacità di risolvere 24 SAVE THE CHILDREN, Nuotare contro corrente, Povertà educativa e resilienza in Italia, SAVE THE CHILDREN ITALIA, Roma 2018, pag.18. i problemi, di porsi obiettivi e di saperli realizzare sono caratteristiche individuali che integrano fattori di protezione della resilienza. L’inclinazione a non mollare di fronte alle difficoltà presenti sia nello studio che nella vita, insieme a motivazione, aspirazione, perseveranza, fiducia in sé stessi, legate alla capacità di gestire positivamente le situazioni complesse, sono elementi cruciali nella crescita educativa del minore. La famiglia e la scuola svolgono nell’acquisizione di tali abilità un ruolo fondamentale. È nel sostegno dei familiari che i minori trovano motivazione e perseveranza per superare gli ostacoli che si presentano loro lungo il percorso. Ma la povertà educativa si manifesta anche nella privazione dell’opportunità di crescere ed apprendere attraverso attività educative extracurricolari quali sport, arte, musica e lettura, per esempio. Il rapporto mostra che maggiore è l’offerta di attività extracurricolari, maggiore di conseguenza è la probabilità dei minori di essere resilienti. L’attività extracurricolare aiuta il bambino ad apprendere, conoscere, socializzare, ma soprattutto rafforzarsi emotivamente. La resilienza educativa è fortemente stimolata anche dalla partecipazione dei minori ad attività culturali e ricreative non organizzate a scuola, per questa ragione la comunità è “l’humus dell’opportunità educativa”25. È proprio la comunità che può stimolare la capacità, la voglia di apprendimento dei minori, offrendo loro la possibilità di arricchirsi tramite il gioco, la musica, l’arte. Sono comunità accoglienti quelle in cui i minori, soprattutto quelli più svantaggiati, riescono a ritagliarsi spazi di apprendimento. Tuttavia, il contesto socioeconomico nel quale il minore cresce resta un fattore protettivo centrale per la resilienza. “Una comunità degradata, che soffoca la motivazione e l’impegno e deprime il talento è un ostacolo alla riuscita dei minori più svantaggiati. I bambini che vivono in luoghi dove povertà, alta densità urbana e forte mobilità segnano le vite delle loro famiglie, dove genitori, fratelli e sorelle più grandi non studiano, non lavorano, non hanno mezzi economici sufficienti a garantire loro un ruolo attivo nella società, nuotano in un mare ostile.26” A tal proposito, l’influenza della comunità territoriale sulla resilienza indica proprio la necessità di allargare lo sguardo delle politiche di contrasto alla povertà educativa anche verso il territorio e gli spazi dove il bambino cresce. Un dato rilevante sarebbe da attribuire ai minori con genitori di origine straniera, in quanto avrebbero maggiori probabilità di 25 SAVE THE CHILDREN, Nuotare contro corrente, Povertà educativa e resilienza in Italia, SAVE THE CHILDREN ITALIA, Roma 2018, pag. 20 26 SAVE THE CHILDREN, Nuotare contro corrente, Povertà educativa e resilienza in Italia, SAVE THE CHILDREN ITALIA, Roma 2018, pag.21 appartenere al quartile socioeconomico più svantaggiato e quindi essere in povertà educativa, ma dalle analisi svolte, si evince chiaramente che a parità di condizioni di svantaggio di partenza, un minore nato in Italia da una famiglia straniera di seconda generazione ha le stesse possibilità di essere resiliente, rispetto ad un coetaneo con genitori italiani. Entrambi hanno però quasi il doppio di probabilità di essere resilienti, rispetto ai minori migranti di prima generazione, ovvero nati all’estero da genitori migranti. Il provenire, perciò, da una famiglia migrante, in sé, non rappresenta un ostacolo alla riuscita educativa del minore, poiché i minori stranieri provenienti da famiglie disagiate, ma che nascono e crescono in contesti accoglienti hanno le stesse possibilità di acquisire le competenze cognitive necessarie ad avere un ruolo attivo nella nostra società dei ragazzi con genitori italiani. Ma ancora oggi la comunità educante, a partire dalla scuola, fa ancora fatica a integrare i minori stranieri che arrivano nel nostro Paese. Aspetto importante è che la composizione familiare, oppure la condizione di lavoro della madre, in particolare l’essere casalinga, non hanno una reale influenza sulla resilienza, ciò dimostra quindi quanto alcune credenze discriminatorie presenti ancora nel nostro Paese, che identificano nella donna che rinuncia al lavoro un fattore protettivo primario per la riuscita del minore, sono inconsistenti.