Scarica Analisi del poema su Adone di John Marino - Prof. Del Castello e più Slide in PDF di Letteratura solo su Docsity! CANTO PRIMO LA FORTUNA • Invocazione a Venere (1-4). • Dedica a Luigi XIII e a Maria de’ Medici (5-9). • Venere punisce Amore, reo di aver fatto innamorare Giove (10- 18). • Amore decide di vendicarsi: si rivolge ad Apollo che lo consiglia di far innamorare Venere del giovane Adone (19-40). • Adone mentre caccia in Arabia viene spinto a salire su una barca (41-58). • Amore si reca da Vulcano per ottenere un dardo utile a fare innamorare Venere (59-87). • Amore richiede a Nettuno una tempesta, attraverso la quale Adone viene condotto a Cipro (88-132). • A Cipro Adone incontra Clizio. Lode della vita bucolica (133- 161). • Clizio offre del cibo magico ad Adone: profezia sul regno di Cipro (162-170). La macchina narrativa del poema su Adone si avvia in modo lento e confuso: per procurare l’incontro del giovane con Venere e il conseguente innamoramento, Amore, agente principe dell’azione, si rivolge prima ad Apollo per consiglio, poi a Vulcano per ottenere un’arma fatale (quest’ultimo episodio è dissacrazione evidente della tradizione epica), infine a Nettuno per procurare una tempesta che costringa Adone a Cipro. Una sequenza complessa, cui va aggiunto l’intervento della Fortuna che, in via autonoma, attira Adone sulla barchetta che lo condurrà sull’isola. Se ne ricava un’impressione doppia: da un lato quella, certa, dello scarso interesse dell’autore per la limatura dei congegni narrativi (giacché le incongruenze su questo piano convivono con minuti aggiustamenti nel dettato dei versi), dunque di una scala di valori entro la quale coerenza e verosimiglianza della favola avevano scarso rilievo; dall’altro quella, probabile, che il canto d’apertura dell’edizione finalmente raggiunta, a Parigi nel 1623, conservi frammenti di redazioni diverse, e lasci bene in vista suture e incongruenze, come i tralicci di una fabbrica certo “aggregata” ma non a fondo perfezionata. Se tutto ciò vale sul piano strettamente narrativo, per la dorsale dei tempi, delle cause e delle azioni, ancora più complessi sono i contenuti del canto, che qui basterà mettere in sequenza: i quadretti mitologici sulla dimora del Sole, sull’officina di Vulcano, sul regno di Nettuno, materiali digressivi e inessenziali nei quali pure si accentua l’impegno poetico mariniano, con vivide descrizioni che probabilmente hanno alla base memorie anche figurative; l’omaggio conclusivo a Clizio/Giovan Vincenzo Imperiali, collocato non a caso in apertura del poema, prima che la poesia dell’ Adone abbandoni bucolica e idillio verso ambizioni maggiori, trascendendo confini di genere (così secondo la lucida diagnosi di Martini); infine, e soprattutto, il senso della sezione iniziale che, prima e dopo la dedica a Luigi XIII, intesta a Venere e ad Amore l’intero sviluppo dell’immenso poema. Tra l’invocazione lucreziana, il ripetuto elogio della potenza di Amore, ora in stile alto ora increspato di ironia, e il celebre «senso» dichiarato in I 10 («smoderato piacer termina in doglia») il Marino mette in campo i materiali ideali di un disegno che attende ancora una complessiva esegesi. di beltà vinci e di splendore abbagli e, seguendo ancor tenero i vestigi del morto genitor, quasi l’agguagli, per cui suda Vulcano, a cui Parigi convien che palme colga e statue intagli, prego intanto m’ascolti e sostien ch’io intrecci il giglio tuo col lauro mio. 6 Se movo ad agguagliar l’alto concetto la penna, che per sé tanto non sale, facciol per ottener dal gran suggetto col favor che mi regge et aure et ale. Privo di queste, il debile intelletto, ch’al ciel degli onor tuoi volar non vale, teme a l’ardor di sì lucente sfera stemprar l’audace e temeraria cera. 7 Ma quando quell’ardir ch’or gli anni avanza, sciogliendo al vento la paterna insegna per domar la superbia e la possanza del tiranno crudel che ’n Asia regna, vinta col suo valor l’altrui speranza fia che ’n su ’l fiore a maturar si vegna, allor, con spada al fianco e cetra al collo, l’un di noi sarà Marte e l’altro Apollo. 8 Così la dea del sempreverde alloro, Parca immortal de’ nomi e degli stili, a le fatiche mie con fuso d’oro di stame adamantin la vita fili, e dia per fama a questo umil lavoro viver fra le pregiate opre gentili, come farò che fulminar tra l’armi s’odan co’ tuoi metalli anco i miei carmi. 9 La donna che dal mare il nome ha tolto, dove nacque la dea ch’adombro in carte, quella che ben a lei conforme molto produsse un novo Amor d’un novo Marte, quella che tanta forza ha nel bel volto quant’egli ebbe ne l’armi ardire et arte, forse m’udrà, né sdegnerà che scriva tenerezze d’amor penna lasciva. 10 Ombreggia il ver Parnaso, e non rivela gli alti misteri ai semplici profani, ma con scorza mentita asconde e cela, quasi in rozo Silen, celesti arcani. Però dal vel, che tesse or la mia tela in molli versi e favolosi e vani, questo senso verace altri raccoglia: smoderato piacer termina in doglia. 11 Amor pur dianzi, il fanciullin crudele, Giove di nova fiamma acceso avea. Arse di sdegno e, ’l cor d’amaro fiele sparsa, gelò la sua gelosa dea, e ’ncontro a lui con flebili querele richiamossi del torto a Citerea; onde il garzon sovra l’etade astuto da la materna man pianse battuto. 12 «Oimè, possibil fia (dicea Ciprigna) ch’io mai per te di pace ora non abbia? nasconde LA verità , (litri) sotto mentite spoglie comune nel (erano nascosti) E 0 glietti - dolore poco PRIMA fatto innamorare blocco' - Paranoia , lamenti g.pro → Venere, a chi era devota Qual cerasta più livida e maligna nutre del Nilo la deserta sabbia? Qual furia insana, o qual arpia sanguigna là negli antri di Stige ha tanta rabbia? Dimmi, quel tosco ond’ogni core appesti, aspe di paradiso, onde traesti? 13 Vuoi tu più mai contaminar di Giuno le leggittime gioie e i casti amori? Udrò di te mai più richiamo alcuno, ministro di follie, fabro d’errori, sollecito avoltor, verme importuno, morbo de’ sensi, ebrietà de’ cori, di fraude nato e di furor nutrito, omicida del senno, empio appetito? 14 Ira mi vien di romperti que’ lacci e quell’arco che fa piaghe sì grandi, né so chi mi ritien ch’or or non stracci quante reti malvage ordisci e spandi, che per sempre dal ciel non ti discacci, che ’n essilio perpetuo io non ti mandi su i gioghi ircani e tra le caspie selve, arcier villano, a saettar le belve. 15 Che tu fra gli egri e languidi mortali, di cui s’odono ognor gridi e lamenti, semini colaggiù martiri e mali, convien, malgrado mio, ch’io mi contenti; ma soffrirò che ’n ciel vibri i tuoi strali, non perdonando a le beate genti? Che sostengan per te strazi sì rei, Tutta l' ottava serpente riempie FÈ:{ "nomen serpe ne ubriachezza trattiene dallo strapparti montagne impervie fitte infermi dovrò sopportare lasciando in pace debbano sopportare dolorosi 23 Ricoverato al ricco albergo Amore, trovò che, posto a’ corridori il morso, già s’era accinto il principe de l’ore con la verga gemmata al novo corso, e i focosi destrier, sbuffando ardore, l’altere iube si scotean su ’l dorso e, sdegnosi d’indugio, il pavimento ferian co’ calci e co’ nitriti il vento. 24 Sta quivi l’Anno sovra l’ali accorto, che sempre il fin col suo principio annoda e ’n forma d’angue innanellato e torto morde l’estremo a la volubil coda, e, qual Anteo caduto e poi risorto, cerca nova materia ond’egli roda; v’ha la serie de’ Mesi e i Dì lucenti, i lunghi e i brevi, i fervidi e gli algenti. 25 L’aurea corona, onde scintilla il giorno, del Tempo gli ponean le quattro figlie. Due schiere avea d’alate ancelle intorno, dodici brune e dodici vermiglie. Mentre accoppiavan queste al carro adorno gli aurati gioghi e le rosate briglie, gli occhi di foco il Sol rivolse e ’l pianto vide d’Amor, che gli languiva a canto. 26 Era Apollo di Venere nemico e tenea l’odio ancor nel petto vivo, da che lassù de l’adulterio antico publicò lo spettacolo lascivo, quando accusò del talamo impudico scopri cavalli i il TEMPO - giorno impazientemente CRINIERE stanchi di aspettare serpente sgusciante come per andare avanti caldi freddi - (stagioni) -- (notturne) (diurne) fece pubblico non Casto al fabro adusto il predator furtivo e, con vergogna invidiata in cielo, ai suoi dolci legami aperse il velo. 27 Or che gli espone Amor sua grave salma: «E che sciocchi dolor (dice) son questi? Se’ tu colui che litigar la palma in riva di Peneo meco volesti? Tu tu, mente del mondo, alma d’ogni alma, vincitor de’ mortali e de’ celesti, or con strale arrotato e face accesa vendicar non ti sai di tanta offesa? 28 Quanto fora il miglior, sì come afflitto di lagrime infantili il volto or bagni, volgere il duolo in ira e ’l dardo invitto aguzzar nel’ingiuria onde ti lagni? Fa’ che con petto lacero e trafitto per te pianga colei per cui tu piagni; ché, se vorrai, non senza gloria e nome seguiranne l’effetto; ascolta come. 29 Là ne la region ricca e felice d’Arabia bella Adone il giovinetto, quasi competitor de la fenice, senza pari in beltà vive soletto. Adon nato di lei cui la nutrice col proprio genitor giunse in un letto, di lei che, volta in pianta, i suoi dolori ancor distilla in lagrimosi odori. 30 Schernì la scelerata il re malsaggio a Vulcano Marte peso li) → ripresa del sonetto al tasso (amore è calma del mondo amore è mente) - dardo affilato fiaccola sarebbe t utile invincibile affondare di cui fama - riprende- Ariosto ( Arabia( felice in Ore . fvr.) tramutata )"" " - - ⇒ secrezioni arbusto MIRRA poco saggio accesa il cor di sozzo foco indegno, ond’egli poi per così grave oltraggio, quant’ella già d’amore, arse di sdegno, e le convenne in loco ermo e selvaggio girne ad esporre il mal concetto pegno; pegno furtivo, a cui la propria madre fu sorella in un punto, avolo il padre. 31 Fattezze mai sì signorili e belle non vide l’occhio mio lucido e chiaro. Sventurato fanciullo, a cui le stelle prima il rigor che lo splendor mostraro: contro gli armò crude influenzie e felle, ancor da lui non visto, il cielo avaro, poiché, mentre l’un sorse e l’altra giacque, al morir de la madre il figlio nacque. 32 Qual trofeo più famoso? E qual altronde spoglia attendi più ricca o più superba, se per costui, ch’or prende a solcar l’onde, il cor le ferirai di piaga acerba? Dolci le piaghe fian, ma sì profonde ch’arte non vi varrà di pietra o d’erba. Questa fia del tuo mal degna vendetta: spirto di profezia così mi detta. 33 Più oltre io ti dirò. Mira là dove a caratteri egizi in note oscure intagliati vedrai per man di Giove i vaticini de l’età future: havvi quante il destino al mondo piove da’ canali del ciel sorti e venture, accesasi Sporco per cui 0 -- solitario ANDARE A PARTORIRE indegnamente concepito NONNO MAI • cattivi segni Ttche lui ↳ -✓ PREDA - → ahah Ìone di Adone rif. a Pete , sù / %!! colpire Venere al aieufnodo cuore Altro modi ÷ ANTICIPAZIONI fa al re quando il leggiadro Adon gli si presenta. 41 Era Adon ne l’età che la facella sente d’Amor più vigorosa e viva, et avea dispostezza a la novella acerbità degli anni intempestiva, né su le rose de la guancia bella alcun germoglio ancor d’oro fioriva o, se pur vi spuntava ombra di pelo, era qual fiore in prato o stella in cielo. 42 In bionde anella di fin or lucente tutto si torce e si rincrespa il crine; de l’ampia fronte in maestà ridente sotto gli sorge il candido confine; un dolce minio, un dolce foco ardente, sparso tra vivo latte e vive brine, gli tinge il viso in quel rossor che suole prender la rosa in fra l’aurora e ’l sole. 43 Ma chi ritrar de l’un e l’altro ciglio può le due stelle lucide serene? Chi de le dolci labra il bel vermiglio, che di vivi tesor son ricche e piene? O qual candor d’avorio o qual di giglio la gola pareggiar, ch’erge e sostiene, quasi colonna adamantina, accolto un ciel di meraviglie in quel bel volto? 44 Qualor feroce e faretrato arciero di quadrella pungenti armato e carco affronta o segue, in un leggiadro e fiero, ardore disposizione precoce rispetto all' età piuttosto acerba bello come riccioli minerale fiamma lacrime i denti di diamante munito d' faretre frecce o fere attende fuggitive al varco, e in atto dolce cacciator guerriero saettando la morte incurva l’arco, somiglia in tutto Amor, se non che solo mancano a farlo tale il velo e ’l volo. 45 Egli tanto tesoro in lui raccolto di Natura e d’Amor par ch’abbia a vile, e cerca del bel ciglio e del bel volto turbar il sole, inorridir l’aprile, ma, minacci cruccioso o vada incolto, esser però non sa se non gentile e, rustico quantunque e sdegnosetto, convien pur ch’altrui piaccia a suo dispetto. 46 Or mentre per l’arabiche foreste, dov’ei nacque e menò l’età primiera, l’orme seguia per quelle macchie e queste d’alcuna vaga e timidetta fera, errore il trasse, o pur destin celeste, da la terra deserta a la costiera, colà dove fa lido a la marina del lembo ultimo suo la Palestina. 47 Giunto a la sacra e gloriosa riva che con boschi di palme illustra Idume, dietro una cerva lieve e fuggitiva stancando il piè, sì com’avea costume, trovò, di guardia e di governo priva, ritratta in secco appo le salse spume, da’ pescatori abbandonata e carca d’ogni arredo marin, picciola barca. /disprezzi con ← il fiorire ritroso anche se non vuole trascorse verso \ - Fao - riempie - poco lontana dalle onde - 48 Et ecco varia d’abito e di volto strania donna venir vede per l’onde, ch’ha su la fronte il biondo crine accolto tutto in un globo e quel ch’è calvo asconde; vermiglio e bianco il vestimento sciolto con lieve tremolio l’aura confonde; lubrico è il lembo e quasi un aer vano, che sempre a chi lo stringe esce di mano. 49 Ne l’ampio grembo ha de la copia il corno e ne la destra una volubil palla; fugge ratto sovente e fa ritorno per le liquide vie scherzando a galla; alato ha il piede e più leggiera intorno che foglia al vento si raggira e balla e, mentre move al ballo il piè veloce, in sì fatto cantar scioglie la voce: 50 «Chi cerca in terra divenir beato, goder tesori e possedere imperi, stenda la destra in questo crine aurato, ma non indugi a cogliere i piaceri, ché, se si muta poi stagione e stato, perduto ben di racquistar non speri: così cangia tenor l’orbe rotante, ne l’incostanza sua sempre costante». 51 Così cantava; indi, arrestando il canto, con lieto sguardo al bel garzone arrise, et a lo scoglio avicinata intanto spalmò quel legno e ’n sul timon s’assise. «Adon, seguimi (disse) e vedrai quanto cangiante (la Fortuna) crocchia LA NUCA sfuggente venticello cornucopia ÷ voglia il globo . / rimise lahancainnrare quando sprezzando l’impeto marino gisti a sfidar la morte in fragil pino. 59 Per far una leggiadra sua vendetta Amor fu solo autor di sì gran moto; Amor fu ch’a pugnar con tanta fretta trasse turbini e nembi, Africo e Noto. Ma de la stanca e misera barchetta fu sempr’egli il poppiero, egli il piloto; fece vela del vel, vento con l’ali, e fur l’arco timon, remi gli strali. 60 Da la madre fuggendo iva il figliuolo quasi bandito e contumace intorno, perché, com’io dicea, vinto dal duolo, di fanciullesca stizza arse e di scorno. Né perché poscia il richiamasse, il volo fermar volse giamai né far ritorno, e ’n tal dispetto, in tant’orgoglio salse che di vezzo o pregar nulla gli calse. 61 Per gli spazi sen gìa de l’aria molle scioccheggiando con l’aure Amor volante, e dettava talor rabbioso e folle tragiche rime a più d’un mesto amante; talor lungo un ruscello o sovra un colle piegava l’ali e raccogliea le piante e, dovunque ne giva, il superbetto rubava un core o trapassava un petto. 62 «Non è questo lo stral possente e fiero ch’al rettor de le stelle il fianco offese? nuvole esula >ali importò fermare i passi Per cui più volte dal celeste impero l’aureo scettro deposto in terra scese? Quel ch’al quinto del ciel nume guerriero spezzò, passò l’adamantino arnese? Quel che punse in Tessaglia il biondo dio, superbo sprezzator del valor mio? 63 Questa la face è pur cui sola adora, nonché la terra e ’l ciel, Stige e Cocito, che strugger fe’, che fe’ languir talora il signor de le fiamme incenerito, quella da cui non si difese ancora di Teti il freddo et umido marito, che tra’ gelidi umori infiamma i fonti, tra l’ombre i boschi e tra le nevi i monti. 64 Et or costei, da cui con biasmo eterno mill’onte gravi io mi soffersi e tacqui, perché dee le mie forze aver a scherno, seben dal ventre suo concetto io nacqui? Dunque andrà da que’ lacci il cor materno libero, a cui, nonch’altri, anch’io soggiacqui? Arse per Marte, è ver, ma questo è poco, lieve piaga fu quella e debil foco. 65 Altro ardor più penace, altra ferita vo’ che più forte al cor senta pur anco. Si vedrà ch’ella istessa ha partorita la vipera crudel, che l’apre il fianco. Degg’io sempre onorar chi più m’irrita? Forse per tema il mio valor vien manco? No no, segua che può.» Così dicea fiaccola pro) VULCANO PELEO offese concepito - - che procura pene paura si perde 7 l’implacabil figliuol di Citerea. 66 Mentre che quinci e quindi, or basso or alto vola e rivola il predator fellone, come prima lontan dal verde smalto vede in picciol legnetto il vago Adone subitamente al disegnato assalto l’armi apparecchia e l’animo dispone e, tutto inteso a tribular la madre, vassene in Lenno a la magion del padre. 67 Ne la fuliginosa atra fucina dove il zoppo Vulcan, suo genitore, de’ numi eterni i vari arnesi affina tinto di fumo e molle di sudore, entra per fabricar tempra divina d’un aureo strale imperioso Amore, stral ch’efficace e penetrante e forte possa un petto immortal ferire a morte. 68 Libero l’uscio al cieco arciero aperse la gran ferriera del divino artista, parte di già polite opre diverse, parte imperfette ancor, confusa e mista. Colà fan l’armi lampeggianti e terse del celeste guerrier superba vista, qui la folgor fiammeggia alata e rossa del gran fulminator d’Olimpo e d’Ossa. 69 V’è di Pallade ancor lo scudo e l’asta, il rastello di Cerere e ’l bidente, l’acuto spiedo di Diana casta, rimando a →Rinaldo nella TERRA G.L dar problemi - officina - Inerte - faide - Monti DOVE GIOVE HAsconfitto picco, ammae' diapente ramarri al folle che l’accende e che l’alluma, prometto accumular tra questi ardori in un soffio i sospir di mille cori.» 77 Non pon Vulcano in quell’affar dimora, ma sceglie la miglior fra cento zolle, e pria che ’n su l’incudine sonora ei la castighi, al focolar la bolle; e non la batte e non la tratta ancora finché ben non rosseggia e non vien molle; divenuta poi tenera e vermiglia, con la morsa tenace ei la ripiglia. 78 Amor presente et assistente a l’opra come l’abbia a temprar, come l’aguzzi gli mostra, acciò che poi quando l’adopra non si rompa o si pieghi o si rintuzzi, e di sua propria man vi sparge sopra de l’umor d’un’ampolla alquanti spruzzi, piena di stille di dogliosi pianti di sfortunati e desperati amanti. 79 Mentr’è caldo il metallo, i tre fratelli ch’un sol occhio hanno in fronte e son giganti, con vicende di tuoni i gran martelli movono a grandinar botte pesanti, e ’l dotto mastro al martellar di quelli, che fan tremar le volte arse e fumanti, per dar effetto a quel ch’ha nel disegno, pon gli stromenti in opera e l’ingegno. 80 Tosto che ’l ferro è raffreddato, in prima illumina solo non mette in attesa quell' affare CI attesa pezzi forte (vulcano) dopo dicio' LA USA spunti gocce I Ciclopi ritmo alterno far cadere ripetutane . Appena sbozza il suo lavorìo rozo et informe, poi, sotto più sottil minuta lima, con industria maggior gli dà le forme; l’arrota intorno e lo forbisce in cima, applicando al pensier studio conforme; col foco alfin l’indora e col mordente, e fa l’acciaio e l’or terso e lucente. 81 Poi che l’egregio artefice a lo strale per tutto il liscio e ’l lustro ha dato a pieno, n’arma il fanciullo un’asticciuola frale, ma che trafige ogni più duro seno; gl’impenna il calce di due picciol ale e ’l tinge di dolcissimo veleno e, tutto pien d’una superbia stolta, pon la caverna e i lavoranti in volta. 82 Va de la dea che generaro i flutti il baldanzoso e temerario figlio spiando intorno, e i ferramenti tutti de la scola fabril mette in scompiglio; or de’ ciclopi mostruosi e brutti la difforme pupilla e ’l vasto ciglio, or il corto tallon del piè paterno prende con risi e con disprezzi a scherno. 83 Veggendo alternamente arsicci e neri pestar ferro con ferro i tre gran mostri: «Troppo son (dice) deboli e leggieri a librar le percosse i polsi vostri; omai con colpi assai più forti e fieri questa mano a ferir v’insegni e mostri; più attenzione affina composto a base d'olio per i metalli ha levigato e reso lucente il fanciullo arma la freccia di un' asticevola la parte inferiore confusione ( no )← Strumenti lattanti bruciati dare colpi impari ognun da la mia man, che spezza qualunque di diamante aspra durezza». 84 Volto a colui, ch’ha fabricato il telo soggiunge poscia: «In questa tua fornace le fiamme son più gelide che gelo, altro ardor più cocente ha la mia face». Tolto indi in mano il fulmine del cielo, e sciolto il freno a l’insolenza audace, in cotal guisa, mentre il vibra e move, prende le forze a beffeggiar di Giove: 85 «Deh quanto, o tonator, che da le stelle fai sdegnoso scoppiar le nubi orrende, più de la tua, ch’a spaventar Babelle dal ciel con fiero strepito discende, atta sola a domar genti rubelle, senza romor la mia saetta offende; tu de’ monti, io de’ cori abbiam le palme, l’una fulmina i corpi e l’altra l’alme». 86 Depon l’arme tonante, e ricercando di qua di là l’affumigato albergo, trova di Marte il minaccioso brando, il fin brocchier, l’avantaggiato usbergo. «Or la prova vedrem (dice scherzando) s’a difender son buoni il fianco e ’l tergo.» Lo strale in questa uscir da l’arco lassa, falsa lo scudo e la lorica passa. 87 Di sì fatte follie sorridea seco lo dio distorto, che ’l mirava intanto. aggiunge dopo fiaccola questo modo C)→ o torre di Babele ocittà di Babilonia ADIBITA ( invece) resistenza straordinaria armatura posteriore \ f-ora prematura trapassa marachella zoppo guardava chi fila l’oro e chi l’affina e cribra; qual de’ germi purpurei i rami tronca, qual degli ostri sanguigni i pesi libra e sotto il piè d’Amor v’ha molte ninfe che van di musco ad infiorar le linfe. 95 Belle son tutte sì, ma differenti, altra ceruleo et altra ha verde il crine, altra l’accoglie, altra lo scioglie ai venti, altra intrecciando il va d’alghe marine; e di manti diafani e lucenti velan le membra pure e cristalline; simili al viso et agili e leggiadre mostran che figlie son d’un stesso padre. 96 Pasce Proteo pastor mandra di foche, orche, pistri, balene et altri mostri, de le cui voci mormoranti e roche setaccia CORALI } molte ninfe spargono il muschio alpassaggio di amore raccoglie il crine (un cetaceo) fremon per tutto i cavernosi chiostri; e le guarda e le conta e non son poche, e scagliose han le terga e curvi i rostri; glauchi ha gli occhi lo dio, cilestro il volto, e di teneri giunchi il crine involto. 97 Giunto a la vasta e spaziosa corte stupisce Amor da tutti quanti i lati, poiché per cento vie, per cento porte cento vi scorge entrar fiumi onorati, che quindi poi con piante oblique e torte tornan per invisibili meati fuor del gran sen, che gli concepe e serra, con chiare vene ad innaffiar la terra. 98 Vede l’Eufrate divisor del mondo, che i bei cristalli suoi rompendo piange. Vede l’original fonte profondo del Nil che ’l mar con sette bocche frange, e vede in letto rilucente e biondo del più fino metal corcarsi il Gange, il Gange onde trae l’or, di cui si suole vestir quand’esce in su ’l mattino il sole. 99 Vede pallido il Tago in su la riva non men ricchi sputar vomiti d’oro, e trar groppi di gel ne l’onda viva il Reno e l’Istro e ’l Rodano sonoro; di salce il Mincio, l’Adige d’oliva, l’Arno al par del Peneo cinto d’alloro, di pampini il Meandro e d’edre l’Ebro, e d’auree palme incoronato il Tebro. dorso musi (bacchi) 100 Vede di verdi pioppe ombrar le corna l’Eridano superbo e trionfale, ch’ove il rettor del pelago soggiorna vien da l’Alpi a votar l’urna reale, e mercé de’ suoi duci il ciglio adorna di splendor glorïoso et immortale, onde quel ch’è nel ciel di lume agguaglia, e con fronte di luna il sole abbaglia. 101 Poi di grido minor ne vede molti che con rami divisi in varie parti per l’Italia felice errano sciolti, del gran padre Appennin concetti e parti, e quai di canna e quai di mirto avolti le tempie, e quai di rosa ornati e sparti, somministran con l’acque in lunga schiera sempiterno alimento a primavera. 102 Tra questi, umil figliuol del bel Tirreno, il mio Sebeto ancor l’acque confonde, picciolo sì, ma di delizie pieno, quanto ricco d’onor povero d’onde. «Giriti intorno il ciel sempre sereno, né sfiori aspra stagion le belle sponde, né mai la luce del tuo vivo argento turbi con sozzo piè fetido armento. 103 Giacque in te la Sirena, e per te poi sorger virtute e fiorir gloria io veggio, trono di Giove e di pregiati eroi felice albergo e fortunato seggio; dolce mio porto, agli abitanti tuoi, ‘dolce luogo di quiete, ai tuoi abitanti, nei cui petti risiedo, sono per sempre debitore’; la difficile costruzione può essere intesa assegnando valore avverbiale ad eterno Po meno famosi ramificazioni generati derivati quali divisi eterno antico fiume- che nasceva dal monte Sommer ti valga un ' - v-gY.io sede manca il seme a la vita et infecondo a rischio va di spopolarsi il mondo. 111 Oltre queste cagion, per cui devrei impetrar qualch’effetto a le mie voci, dee l’util proprio almeno a’ preghi miei far più le voglie tue pronte e veloci: da questi felicissimi imenei corteggiata da mille e mille proci, Beroe uscirà, che più d’ogni altra bella fia de le Grazie l’ultima sorella. 112 Costei, sì come mi mostraro in cielo l’adamantine tavole immortali, dove nel cerchio del signor di Delo Giove scolpì gli oracoli fatali, concede al re del liquefatto gelo l’alto tenor di quegli eterni annali, perché venga a scaldar col dolce lume del freddo letto tuo l’umide piume. 113 Ma quando ancor da quel ch’ivi scolpio chi move il tutto, il fato altro volgesse, seben di Tebe il giovinetto dio fia tuo rival ne le bellezze istesse, a dispetto del ciel tel promett’io, scritte in diamante sien le mie promesse. Io, che Giove o destin punto non curo, per l’acque sacre e per me stesso il giuro.» 114 Così parlava, e ’l re de l’onde intanto a lui si volse con tranquilla faccia: il amando ragioni ottenere richieste ✓ età - • Notte pretendenti l' isola d' Apollo (Bacco) fato mi importa «O domatore indomito di quanto il ciel circonda e l’oceano abbraccia, a chi può dar altrui letizia e pianto ragion è ben ch’a pieno or si compiaccia: spendi comunque vuoi quanto poss’io, pende dal cenno tuo l’arbitrio mio. 115 E qual onda fia mai ch’a tuo talento qui non si renda o torbida o tranquilla, s’ardon nel molle e mobile elemento per Cimotoe Triton, Glauco per Scilla? Come fia tardo ad ubbidirti il vento se ’l re de’ venti ancor per te sfavilla, e ricettan l’ardor ne’ freddi cori Borea d’Orizia e Zefiro di Clori? 116 Tu virtù somma de’ superni giri, dispensier de le gioie e de’ piaceri, imperador de’ nobili desiri, illustrator de’ torbidi pensieri, dolce requie de’ pianti e de’ sospiri, dolce union de’ cori e de’ voleri, da cui Natura trae gli ordini suoi, dio de le meraviglie e che non puoi? 117 Sì come tanti qui fiumi che vedi del mio reame tributari sono, così, signor che l’anime possiedi, tributario son io del tuo gran trono. Onde a quant’oggi brami e quanto chiedi da questo scettro a te devoto in dono, o gioia, o vita universal del mondo, accontenti tutto il mio potere governo → gli amori marini sarai lento arde d'amore ( ACCOLGONO ① -0 metano . cieli Ovidio capace di rischiarare riparo volontà fare ? - Sottoposti (affluenti) per cui altro che l’esseguir più non rispondo». 118 Così dice Nettuno, e così detto crolla l’asta trisulca e ’l mar scoscende. D’alpi spumose oltre il ceruleo letto cumulo vasto inver le stelle ascende; urtansi i venti in minaccioso aspetto, de le concave nubi anime orrende, e par che rotto o distemprato in gelo voglia nel mar precipitare il cielo. 119 Borea d’aspra tenzon tromba guerriera sfida il turbo a battaglia e la procella; curva l’arco dipinto Iride arciera, e scocca lampi in vece di quadrella; vibra la spada sanguinosa e fiera il superbo Orion, torbida stella, e ’l ciel minaccia et a le nubi piene d’acqua insieme e di foco apre le vene. 120 Fuor del confin prescritto in alto poggia tumido il mar di gran superbia e cresce; ruinosa nel mar scende la pioggia, il mar col cielo, il ciel col mar si mesce; in novo stile, in disusata foggia, l’augello il nuoto impara, il volo il pesce; oppongonsi elementi ad elementi, nubi a nubi, acque ad acque e venti a venti. 121 Poté, tant’alto quasi il flutto sorse, la sua sete ammorzar la cagna estiva, e di nova tempesta a rischio corse, oltre l’azzurra distesa un fronte ampio di montagne (alpi spumose) di schiuma si alza fino alle stelle Oltre ad eseguire non dico altro TRIDENTE risale - si scontrano che animano con violenza le nubi 1 frantumato = -0 - combatto _ ciclone tempesta frecce gonfio sfrenata - _ maniera inusuale -p costellazione del cane maggiore (di essere - sommersa) . circondato dal mar, bosco e deserto, ma quella solitudine che vede gioconda è sì ch’altro piacer non chiede. 129 Quivi si spiega in un sereno eterno l’aria in ogni stagion tepida e pura, cui nel più fosco e più cruccioso verno pioggia non turba mai, né turbo oscura, ma, prendendo di par l’ingiurie a scherno del gelo estremo e de l’estrema arsura, lieto vi ride né mai varia stile un sempreverde e giovinetto aprile. 130 I discordi animali in pace accoppia Amor, né l’un da l’altro offeso geme; va con l’aquila il cigno in una coppia, va col falcon la tortorella insieme, né de la volpe insidiosa e doppia il semplicetto pollo inganno teme; fede a l’amica agnella il lupo osserva, e secura col veltro erra la cerva. 131 Da’ molli campi, i cui ben nati fiori nutre di puro umor vena vivace, dolce confusion di mille odori sparge e ’nvola volando aura predace: aura, che non pur là con lievi errori suol tra’ rami scherzar spirto fugace, ma per gran tratto d’acque anco da lunge peregrinando i naviganti aggiunge. 132 Va oltre Adone, e Filomena e Progne evitando allo stesso modo gli estremi del caldo e del freddo una stagione primaverile immutabile, sempre intatta’ una brezza rapace ruba e sparge una dolce mescolanza di mille profumi; una brezza che non solo, sfuggente, erra in quel luogo tra i rami con movimenti leggeri, ma raggiunge da lontano anche i naviganti per un lungo tratto di mare’. ~ Vento . U- ingannevole 1 fonte di acquapura garrir ode per tutto ovunque vanne, e di stridule pive e rauche brogne sonar foreste e risonar cappanne di villane sordine e di sampogne, di boscherecci zuffoli e di canne e, con alterno suon, da tutti i lati doppiar muggiti e replicar balati. 133 Solitario garzon posarsi stanco vede a l’ombra d’un lauro in roza pietra; ha l’arco a’ piedi e gli attraversa il fianco d’un bel cuoio linceo strania faretra; veste pur di cerviero a negro e bianco macchiata spoglia e tiene in man la cetra; dolce con questa al mugolar de’ tori accorda il suon de’ suoi selvaggi amori. 134 Di dorato coturno ha il piè vestito, eburneo corno a verde fascia appende; ride il labro vivace e colorito, sereno lampo il placid’occhio accende; ha fiorita la guancia, il crin fiorito e fiorita è l’età che bello il rende; tutto in somma di fiori è sparso e pieno, fior la man, fior la chioma e fiori il seno. 135 Formidabil mastin dal destro lato in un groppo giacer presso gli scorse, che con rabbioso et orrido latrato quando il vide apparir contro gli corse. Ma posto il plettro in su l’erboso prato il cortese villan subito sorse, il suono della cetra è dunque accordato da Clizio al muggire amoroso dei tori. CINGUETTARE VANNO flauti Conchiglie → richiamo + animali strumentali i Zufoli aumenti risp . CLIZIO di linee LINEE - indossa calzari d' avorio - ide - si alzò re deiia campagna e l’indomito can, perché ristesse, fugò col grido e col baston corresse. 136 Ubbidisce il superbo, a piè gli piega l’irsuta testa e l’irta coda abbassa; quegli a la gola intorno allor gli lega con tenace cordon serica lassa; poscia il real donzello invita e prega ch’oltre vada securo, et egli passa. Passa colà dove raccoglie umile famiglia pastoral rustico ovile. 137 Stassene alcun su le fiorite rive d’una sorgente cristallina e fresca; altri per l’elci folte a l’ombre estive i vaghi augelli insidioso invesca; altri ne’ verdi faggi intaglia e scrive d’Amor tutto soletto il foco e l’esca; altri rintraccia di sua ninfa l’orme, altri salta, altri siede et altri dorme. 138 Quei con versi d’amor l’aure addolcisce al sussurrar de’ lubrici cristalli; questi al tauro, al monton, che gli ubbidisce, insegna al suon de la siringa i balli; qual fiscelle d’ibisco e qual ordisce serti di fiori o purpurini o gialli; chi torce a l’agne le feconde poppe, chi di latte empie i giunchi e chi le coppe. 139 Col bel fanciullo, ove grand’ombra stende pergolato di mirti, il pastor siede. cesti intessuti di vinchi’ Si fermasse l'animale . corda ) 1 guinzaglio dip seta regale cattura IL NOME -della donna INSEGUE annata acque che scorrono ghirlande MUNGE Tldanonstzi di . . . - che il fremito vulgar rauco confonde. Un’erba, un pomo e di fortuna un volto quanto più di quiete in sé nasconde di quel ch’avaro principe dispensa sudato pane in malcondita mensa. 147 Questa felice e semplicetta gente, che qui meco si spazia e si trastulla, gode quel ben che tenero e nascente ebbe a goder sì poco il mondo in culla: lecita libertà, vita innocente, appo ’l cui basso stato il regio è nulla: ché sprezzare i tesor né curar l’oro questo è secolo d’or, questo è tesoro. 148 Non cibo o pasto prezioso e lauto il mio povero desco orna e compone; or damma errante, or cavriuolo incauto l’empie, or frutto maturo in sua stagione; detto talora a suon d’avena o flauto ai discepoli boschi umil canzone; serva no, ma compagna amo la greggia; questa mandra malculta è la mia reggia. 149 Lunge da’ fasti ambiziosi e vani m’è scettro il mio baston, porpora il vello, ambrosia il latte, a cui le proprie mani scusano coppa, e nettare il ruscello; son ministri i bifolci, amici i cani, sergente il toro e cortigian l’agnello, musici gli augelletti e l’aure e l’onde, piume l’erbette e padiglion le fronde. una vita senza colpe, una libertà mantenuta entro i limiti di ciò che è lecito, una condizione umile che è preferibile alla condizione dei re, perché appunto nello sprezzare i tesori e l’oro consiste la vera gioia dell’età aurea’. compongo una rustica composizione poetica ai boschi, accordandola al suono di un flauto o di un’avena’ e la mia reggia è rappresentata da questa rozza mandria’. spregeidfiare diffonde DA INO femme Mensa natura - - ÷ - - - - - 150 Cede a quest’ombre ogni più chiara luce, ai lor silenzi i più canori accenti; ostro qui non fiammeggia, or non riluce, di cui sangue e pallor son gli ornamenti; se non bastano i fior che ’l suol produce, di più bell’ostro e più bell’or lucenti, con sereno splendor spiegar vi suole pompe d’ostro l’aurora e d’oro il sole. 151 Altro mormorator non è che s’oda qui mormorar che ’l mormorio del rivo; adulator non mi lusinga o loda fuorché lo specchio suo limpido e vivo; livida invidia, ch’altrui strugga e roda, loco non v’ha, poich’ogni cor n’è schivo, se non sol quanto in questi rami e ’n quelli gareggiano tra lor gli emuli augelli. 152 Hanno colà tra mille insidie in corte Tradimento e Calunnia albergo e sede, dal cui morso crudel trafitta a morte è l’Innocenza e lacera la Fede; qui non regna Perfidia e, se per sorte, picciol’ape talor ti punge e fiede, fiede senza veleno e le ferite con usure di mel son risarcite. 153 Non sugge qui crudo tiranno il sangue, ma discreto bifolco il latte coglie; non mano avara al poverello essangue la pelle scarna o le sostanze toglie; solo a l’agnel, che non però ne langue, qui non risplendono l’ostro e l’oro, di cui sono ornamenti il sangue e il pallore i vv. 7-8: ‘qui l’ostro ci è dispensato dall’aurora che brilla con una luminosità serena, l’oro ci è regalato dalla luce del sole’. e se per caso una piccola ape ti punge e ferisce, ti ferisce senza veleno e la stessa ferita viene ripagata persino in eccesso (usure) con il miele che le api regalano’ ricchezze maligne non ha luogo ritroso nel mondo civile asciugalconsuma esausto - c'è " havvi chi tonde le lanose spoglie; punge stimulo acuto il fianco a’ buoi, non desire immodesto il petto a noi. 154 Non si tratta fra noi del fiero Marte sanguinoso e mortal ferro pungente, ma di Cerere sì, la cui bell’arte sostien la vita, il vomere e ’l bidente; né mai di guerra in questa o in quella parte furore insano o strepito si sente, salvo di quella che talor fra loro fan con cozzi amorosi il capro e ’l toro. 155 Con lancia o brando mai non si contrasta in queste beatissime contrade; sol di Bacco talor si vibra l’asta, onde vino e non sangue in terra cade; sol quel presidio ai nostri campi basta di tenerelle e verdeggianti spade che, nate là su le vicine sponde, stansi tremando a guerreggiar con l’onde. 156 Borea con soffi orribili ben pote crollar la selva e batter la foresta: pacifici pensier non turba o scote di cure vigilanti aspra tempesta. E se Giove talor fiacca e percote de l’alte querce la superba testa, in noi non avien mai che scocchi o mandi fulmini di furor l’ira de’ grandi. 157 Così tra verdi e solitari boschi Tosa senza freno rastrello gli attrezzi - di Cerere SCONTRI TUTELA scuotere preoccupi insonni l' attacco ÷ ond’ebro in seno il giovinetto accolse fiamme sottili, indi s’accese in esse. Non però le conobbe e non si dolse, ché, finch’uopo non fu, giacquer soppresse, qual serpe ascosa in agghiacciata falda, che non prende vigor se non si scalda. 165 Sente un novo desir ch’al cor gli scende e serpendo gli va per entro il petto; ama né sa d’amar, né ben intende quel suo dolce d’amor non noto affetto; ben crede e vuole amar, ma non comprende qual esser deggia poi l’amato oggetto, e pria si sente incenerito il core che s’accorga il suo male essere amore. 166 Amor, ch’alzò la vela e mosse i remi quando pria tragittollo al bel paese, va sotto l’ali fomentando i semi de la fiamma ch’ancor non è palese. Fa su la mensa intanto addur gli estremi de la vivanda il contadin cortese; Adon solve il digiuno e i vasi liba, e quei segue il parlar mentr’ei si ciba. 167 «Signor, tu vedi il sol ch’aventa i rai di mezo l’arco, onde saetta il giorno; però qui riposar meco potrai tanto che ’l novo dì faccia ritorno. Ben da sincero cor, prometto, avrai in albergo villan lieto soggiorno; avrai con parca mensa e rozo letto latenti O lo stava conducendo deliba { l' Zty ha al centro Rozzo frugale ) accoglienze cortesi e puro affetto. 168 Tosto che sussurrar tra ’l mirto e ’l faggio io sentirò l’auretta mattutina, teco risorgerò per far passaggio a la casa d’Amor ch’è qui vicina. Tu poi quindi prendendo altro viaggio potrai forse saldar l’alta ruina, conosciuto che sii l’unico e vero successor de la reggia e de l’impero.» 169 Benché non tema il folgorar del sole, tra fatiche e disagi Adon nutrito, di quell’oste gentil non però vole sprezzar l’offerta o ricusar l’invito. Risposto al grato dir grate parole, quivi di dimorar prende partito e ringrazia il destin che, lasso e rotto, a sì cara magion l’abbia condotto. 170 Sceso intanto nel mar Febo a corcarsi lasciò le piagge scolorite e meste, e pascendo i destrier fumanti et arsi nel presepe del ciel biada celeste, di sudore e di foco umidi e sparsi nel vicino Ocean lavar le teste; e l’un e l’altro sol stanco si giacque, Adon tra’ fiori, Apollo in grembo a l’acque. Allegoria. Le allegorie poste dal Marino in apertura ai canti, attribuite a Lorenzo Scoto, rappresentano una sorta di vernice morale che attinge ai luoghi comuni della trattatistica e della mitologia classica, e tuttavia non offrono una guida effettiva per intendere gli indirizzi del poema, e più Appena passate ( ritornare altono di Cipro) i co i nutrendo foraggio cosparsi di fiamme . ancora i suoi intenti che rimangono tuttora nell’ombra. Questo il reciso giudizio di Stigliani: «Le quali allegorie (accioché si sappia ancora quest’altra verità), non sono state fatte dallo Scoto, ma da lui stesso, sì perché lo stile le accusa per tali, come perché io le ho vedute in Parma scritte di sua propria mano, e mandate da lui a Fortuniano Sanvitali» (Stigliani, Occhiale, p. 227). Per Lorenzo Scoto (autore anche di una Fenice, andata a stampa a Torino nel 1614) e per i suoi rapporti con il Marino vd. Lettere, ad indicem; Marino, Rime, ed. Slawinski, III, p. 380. Un ultimo aspetto di cornice riguarda la composizione tipografica delle allegorie che in questo canto e in alcuni dei successivi riprenderebbero i technopaegnia di Teocrito presenti già nell’Hypnerotomachia Poliphili (al riguardo Colombo, Cultura e tradizione, pp. 33-34) Giovan Vincenzo Imperiali: figura di rilievo della nobiltà genovese, entrato in contatto con il Marino per il tramite di Bernardo Castello sin dal 1603-1604; per i rapporti tra il Marino e l’Imperiali vd. Lettere, pp. 32-48, e l’epitalamio Urania, composto in occasione delle nozze dell’Imperiali con Catarina Grimaldi, già nel 1604. La scelta del modello dell’Imperiali risulta sorprendente, tanto più perché non fondata su ragioni di omaggio encomiastico: all’altezza del 1623 i contatti, da quanto pervenuto, dovevano essersi diluiti e sfilacciati, e tuttavia il Marino decise di mantenere, in massima vista all’interno del poema, l’omaggio al letterato e nobile genovese, in possesso tra l’altro di una sontuosa collezione artistica. Sulla figura dell’Imperiali vd. E. Russo-F. Pignatti, Imperiali Giovan Vincenzo, in DBI, vol. LXII 2004, pp. 297-300. Argomento. Gli argomenti dei canti si devono, come dichiarato sin dal frontespizio, a Fortuniano Sanvitale, interlocutore del Marino sull’importante piazza di Parma e suo amico di lunga data (vd. almeno Lettere, pp. 320, 343-344, per testimonianze vicine alla stampa del poema; inoltre una breve scheda biografica in Balsamo Crivelli, Introduzione, p. IX; e in Marino, Rime, ed. Slawinski, III, pp. 378-379). Per l’eventualità, assai probabile, che il Marino abbia dettato, se non direttamente stilato, le quartine degli argomenti vd. la nota di Stigliani citata appena sopra. INVOCAZIONE A VENERE 1. L’invocazione a Venere, anticipata rispetto alla proposizione della materia (che arriverà all’ottava 3) e la ripresa dell’esordio dal De rerum 270 64: «de la sua vista dolcemente acerba»), riprese segnalate da Pozzi, Commento, p. 177. 7. querele: ‘lamenti’. 8. de’ cigni tuoi: per il cigno come animale sacro a Venere e immagine del poeta vd. infra, VII 30, e soprattutto IX 165-169; m’impetra vale ‘guadagnami’, in riferimento alla dolcezza del canto dei cigni. 4. 2. testura ... anni: ‘una trama capace di resistere al tempo’, secondo il topos della poesia eternatrice, qui applicato agli amori di Venere e Adone e al loro esito tragico (vv. 3-4). 4. 6. vanni: ‘ali’. 7-8. e con la ... ingegno: ‘e con la sua fiamma, se io ne risulto degno, conceda luce al mio intelletto pari alla passione che mi arde il cuore’. DEDICA A LUIGI XIII E A MARIA DE’ MEDICI I 5. 1. o gran Luigi: si tratta di Luigi XIII di Borbone (1601-1643), re di Francia, figlio di Enrico IV (il morto genitor del v. 4, assassinato nel 1610 per mano del Ravaillac) e di Maria de’ Medici. Dopo una prima scelta di indirizzo del poema a Concino Concini, favorito di Maria e protagonista del partito degli italiani a corte (vd. Pozzi, Appendice, pp. 732-733; Russo, Marino, pp. 256-257), il Marino scelse di rivolgere a Luigi la dedica dell’Adone, individuando appunto nella stampa parigina una sorta di saldo per l’ospitalità ricevuta a partire dal 1615. A Maria de’ Medici sarebbe andata simmetricamente l’apertura della seconda parte del poema (vd. canto XI). 2. di beltà vinci: «Il tema della beltà del regnante sarà svolto al canto XVI 7» (Pozzi, Commento, p. 177), ma era tema usuale negli elogi di Luigi: al riguardo, oltre al commento appunto al canto XVI, vd. F. Bardon, Le portrait mythologique à la cour de France sous Henri IV et Louis XIII, Paris, Picard, 1974. 5. per cui suda Vulcano: si allude all’essere la fucina di Vulcano luogo in cui venivano forgiate le armi degli eroi. 8. intrecci ... mio: il lauro/alloro del Marino, simbolo della gloria poetica, dovrà dunque intrecciarsi con i gigli, tradizionali simboli dei reali di Francia. 6. 1-2. Se movo ... sale: ‘se mi spingo ad uguagliare la tua grandezza con la penna, incapace da sé di tanta gloria’ (e vd. Petrarca, Rvf, 362 1: Volo con l’ali de’ pensieri al cielo). In modo topico Marino dichiara la propria poesia come debole specchio della gloria del sovrano, e ne invoca l’aiuto (aure ed ale v. 4) per innalzarsi in modo conveniente, allo stesso tempo schivando il rischio di una eccessiva altezza (nei vv. 7-8 implicito il rinvio al precedente di Icaro). 8. stemprar: ‘sciogliere’; vd. Pozzi, Commento, p. 178, e i richiami lì attivati. 7. 1-8. Ma quando ... Apollo: ‘ma quando il coraggio che ora anticipa gli anni, dispiegando l’insegna del padre, maturerà e supererà con il proprio valore anche le speranze più fervide, per vincere l’ingiusto potere che regna in Asia, allora tu sarai Marte armato di spada, io Apollo munito di cetra’. Il rimando alle future imprese di Luigi XIII, magari contro gli infedeli, e la promessa del canto epico che il Marino vi avrebbe consacrato, è ancora elemento tradizionale (ad es. Stazio, Theb., I 25-40; inoltre Tempio, 172), e vale a chiarire la materia non epica, ma appunto amorosa e “divina” del poema mariniano; sembrano versi pertinenti alla virata del 1617, con la sostituzione del dedicatario, e non al 1623 quando il valor di Luigi XIII aveva già offerto diverse prove (ricordate nei canti X e XX). Rimane la dissonanza tra la materia assunta dal Marino (vd. anche ottava 9) e l’adozione in questa zona iniziale di movenze da «magnifico dicitore» di marca epica che occorreranno di rado nel resto del poema. 6. fia ... vegna: ‘accada che venga infine a maturare’, con riferimento all’ardir del v. 1. 8. Questa ottava risulta aggiunta rispetto alla redazione testimoniata in Adone 1616: inserisce sul tracciato originario la speranza che Minerva (dea del sempreverde alloro) conceda all’opera vita immortale (vv. 3-4), ed è inserto puramente esornativo. 2. Parca: Minerva viene paragonata a una delle Parche, impegnata a filare e troncare la durata della gloria e delle opere degli uomini. 9. 1. La donna ... tolto: sulla presunta etimologia mare/Maria prende avvio l’elogio di Maria de’ Medici, che riprendeva le lodi pronunciate nel Tempio da un Marino appena giunto a Parigi: il novo Amor qui alluso è Luigi XIII, mentre il novo Marte è Enrico IV, al cui omicidio Marino avrebbe dedicato sia un sonetto (La valorosa man, quella che tanto; vd. Russo, Marino, pp. 155-156), sia alcuni degli attacchi più violenti della Sferza. Probabilmente proprio per questo specchiarsi nella famiglia reale francese il Marino rende qui Amore figlio di Marte e non figlio di Vulcano (come invece farà poco appresso, all’ottava 67 di questo stesso canto; al riguardo vd. Pozzi, Commento, p. 178). 7-8. né sdegnerà ... lasciva: si avvia qui, nel distico finale dell’ottava sulla regina, il passaggio entro il quale Marino pare raccogliere la materia, lo statuto e gli indirizzi del poema: le tenerezze d’amor come argomento e la penna lasciva come opzione stilistica presentano l’Adone come pertinente da subito ad un registro non epico, abbandonando quella materia bellica appena allusa nel riferimento alle imprese di Enrico IV. VENERE PUNISCE AMORE, REO DI AVER FATTO INNAMORARE GIOVE 10. 1-4. Ombreggia ... arcani: puntuale, ed evidente, il richiamo ai versi con cui il Tasso della Liberata (I 3: «Sai che là corre il mondo ove più versi / di sue dolcezze il lusinghier Parnaso, / e che ’l vero, condito in molli versi, / i più schivi allettando ha persuaso») invitava a leggere in filigrana significati ulteriori rispetto a quelli forniti dalla lettera del poema; più importa la metafora del sileno che ricorreva già in Dicerie sacre, p. 212 («Che perciò furono ritrovate le statue de’ sileni, le cui concave viscere erano gravide de’ simulacri degli’Iddii, acciocché i divini arcani si tenessero alla gente vulgare appannati ed occulti»); il passaggio è stato investito di dichiarazione rivelatrice per un poema a marca filosofica in M.- F. Tristan, La scène de l’écriture. Essai sur la poésie philosophique du Cavalier Marin, Paris, Honoré Champion, 2002; in chiave diversa, di recente Lazzarini, Ritratti. 3. scorza: ‘aspetto esterno’. 5-8. Però dal vel ... doglia: mentre sul vel tessuto dalla tela del Marino avrebbe ironizzato Stigliani (Occhiale, p. 139; con risposta difensiva in Aleandro, Difesa, I, p. 127), importa la definizione ulteriore che Marino fornisce dello stile assunto nel poema, i molli versi e favolosi e vani indicano la morbidezza lirica del dettato, la pertinenza mitologica della materia, e soprattutto la vanità lo statuto di finzione della favola, in contrapposizione alla serietà del senso riposto. In questo passaggio i celesti arcani annunciati al v. 4 si riducono per l’Adone al senso verace del v. 7, ad un insegnamento cioè di stretto ordine morale, quello dichiarato in fine di ottava, del resto non riferibile in via diretta e senza dubbi alla complessa vicenda amorosa che lega Adone e Venere. Al riguardo cfr. Pozzi, Commento, p. 179, con rinvio a Orazio, uomini ma condanna gli strazi destinati agli dei: è, in anticipo, un lamento per le sofferenze che alla stessa Venere toccheranno per Adone (vd. anche Dante, Inf., I 115 sgg.). 8. serpentello: per Amore come serpente il rinvio di Pozzi, Commento, p. 180, alla favola su Amore e Psiche (Met., V 17), anche in relazione al canto IV. Da un punto di vista ritmico il serpentello orgoglioso, pausa ed acme della sequenza, replica l’arcier villano dell’ottava precedente, l’omicida del senno e l’aspe di paradiso delle ottave 12 e 13, in una sequenza che si snoda nell’argomentazione e si raccorda nei versi finali. 16. 1. de le ... duce: qui con riferimento a Giove. 3-4. e spesso ... canta: «Giove si tramutò in toro per rapire Europa (Ovidio, Met., II 847 e VI 103) in cigno per amare Leda (Ovidio, Met., VI 109) e in aquila per Ganimede (Ovidio, Met., VI 108)»: Pozzi, Commento, p. 180; una simile raccolta delle metamorfosi amorose di Giove in Poliziano, Stanze, I 107. 5. orbo di luce: la cecità tradizionale di Amore, qui allusa, non è elemento che entri in conto nella narrazione successiva, giostrata dal Marino liberamente e senza una stretta consequenzialità di passaggi. 17. 1. Con flagello di rose: di Pozzi (Commento, p. 180) il rinvio ad Ausonio, Cupido cruciatus, 89-93, come antecedente per questo particolare cruento di un fascio di fiori pungenti che feriscono a sangue le porpore di Amore (e vd. le fonti citate in nota all’ottava 11). 6. fiero vagir: è ossimoro interno alla coloritura comico-parodica che connota l’intera scena, giusto accanto alla nobile memoria virgiliana di «Intonuere poli» (Virgilio, Aen., I 90), anch’essa naturalmente dimidiata. 8. Tifeo gigante: implicita citazione ancora dal primo libro dell’Eneide (I 665), con il medesimo paragone tra le armi di Amore e quelle di Tifeo, figlio del Tartaro e della madre Terra, abbattuto dal fulmine di Giove. 18. Per questa ottava, assente nella redazione di Adone 1616, costruita sul motivo di Amore fuggitivo, soprattutto a partire dall’idillio I di Mosco vd. Pozzi, Commento, p. 181; si può aggiungere un madrigaletto di Rime II (ed. Slawinski, p. 288): «Udito ho Citerea / che del tuo grembo fore / fuggitivo il tuo figlio a te si cela, / e promesso hai baciar chi tel rivela; / non languir bella dea: / se vai cercando Amore, / non cercar, dammi il bacio, io l’ho nel core». 4. calcata ... africana: vd. Ariosto, Orlando furioso, XXX 56 («Calcata serpe mai tanto non ebbe / né ferito leon, sdegno e furore»); calcata vale ‘calpestata’. 5. cavernier: ‘che abita le caverne’; per la scelta mariniana vd. Colombo, Cultura e tradizione, p. 129. AMORE DECIDE DI VENDICARSI:SI RIVOLGE AD APOLLO CHE LO CONSIGLIA DI FAR INNAMORARE VENERE DEL GIOVANE ADONE 19. Per questa e le ottave successive vd. Ovidio, Met., II 1-32 (sulla reggia del Sole), e soprattutto Nonno, Dionys., XII 9-20. 2-4. fuggì ... impera: la fuga di Amore nella sfera del Sole è occasione per una serie di ottave incentrate su personificazioni e ambienti, in una pausa all’insegna dell’eleganza, del panneggio descrittivo; per Lucifero vd. D’Alessandro, pp. 236-237, con il ricordo di Ovidio, Met., I 114-115 e Stazio, Theb., II 137- 139. 3. spoglia: ‘veste’. 4. gran monarca de’ tempi: in quanto il Sole ha il governo del tempo. 20. 3. tenebroso foco: «ossimoro non facile a spiegarsi» secondo Pozzi (Commento, p. 182), posto che il cavallo dell’Alba doveva essere candido; alluderà al colore bruno di una brace quasi spenta, proprio del cavallo scuro del Crepuscolo. 4. spumante ... rugiada: su questo verso e i due successivi vd. Claudiano, Pan. Ol. Prob., 1-5; Virgilio, Aen., IV 584-585 e XII 113- 115. 6. forier del bel mattin: «Che il Crepuscolo sia foriero del Mattino è metafora ardita» (Stigliani, Occhiale, p. 140); e tuttavia, segnalato in Aprosio, Occhiale stritolato, p. 178, vd. Ovidio, Her., XVIII 112: «Praevius Aurorae Lucifer ortus erat». 7. con sferza di rose e di viole: vd. supra ottava 17; inoltre Valerio Flacco, Argon., III 538-540 («Vidisti roseis haec per loca Bacchus habenis / cum domitas acies et eoi fercula regni / duceret ac rursus thiasos et sacra moventem»); Silio Italico, Pun., I 578, «roseasque movebat habenas» (ancora indicati da Pozzi). 21. 3. era di Citerea ministra e scorta: «Il Crepuscolo non è scorta della stella suddetta, anzi questa è scorta di quella, perché si leva prima. Falsità di sentenza» (Stigliani, Occhiale, p. 140), mentre una difesa del passo si legge in Aleandro, Difesa, I, pp. 131-132, ma il riferimento della bella luce del v. 1 sembra andare a Lucifero, nominato all’ottava 20, e che ritorna all’ottava seguente. 6. biga rotante: ‘carro veloce’. 8. quando ... piangendo: per la contrapposizione tra fierezza e pianto vd. ottava 17. 22. Tutta l’ottava è scandita sul pianto che da Amore si trasmette a Lucifero, dalla doppia occorrenza del primo verso fino al lagrimoso ciglio della conclusione. 2. ambasciadrice stella: Lucifero, qui presentata come stella ambasciatrice del sole. Per il suo viso rugiadoso vd. Petrarca, Rvf, 222 13; Tasso, Liberata, IV 70. Sull’urna con la quale l’Alba raccoglie la rugiada vd. i rinvii attivati in Pozzi, Commento, p. 182. 23. 2-4. posto ... corso: per la descrizione dei cavalli del Sole Marino muove dal precedente ovidiano di Met., II 84 sgg. (anche sulla scorta della versione volgare: Anguillara, II 43 sgg., e 58, nell’episodio di Fetonte: vd. Pozzi, Commento, p. 183); la seconda parte, splendida per resa icastica e dedicata ai cavalli impazienti del corso (sdegnosi d’indugio), è esemplare della costruzione per tasselli, dell’accostamento di quadretti tipico di tutte le strutture narrative mariniane, in massima evidenza proprio nell’Adone (per focosi destrier vd. Boiardo, Amorum libri, 15 61-66 (e in particolare 65-66: «e poi che ’l freno ha preso / de’ soi corsier focosi») e Ariosto, Cinque canti, I 52 («e giunger mira in tempo ch’ai focosi / destrieri il fren la bionda Aurora metta»). 3. il principe de l’ore: il sole (al riguardo vd. il rimando ad Ovidio, Met., II 116 sgg. che si legge in Villani, Uccellatura, pp. 214-215, quello a Petrarca, Rvf, 9, proposto in D’Alessandro, p. 239, e ancora Aprosio, Veratro, I, pp. 34-35; polemiche al solito le note di Stigliani, Occhiale, pp. 140-141). 6. iube: ‘criniere’. 24. 1. Sta ... accorto: per la descrizione dell’anno, la forma di serpente attorcigliato, aperta da una chiara citazione petrarchesca (Rvf, 106 1: Nova angeletta sovra l’ali accorta), utile il rinvio di Pozzi (Commento, p. 183) a Valeriano, Hier., 14. Vd. anche il canto XIX, nell’episodio di Ero e Leandro. accorto: ‘abile’. 5. Anteo: secondo il mito il gigante che traeva forza dal contatto con la madre Terra; venne ucciso da Ercole (Ovidio, Met., IX 183-184). 8. algenti: ‘gelidi’. 25. 2. le quattro figlie: sono le quattro stagioni, presentate come figlie del Tempo nell’atto di incoronare il Sole, mentre le ancelle dei vv. 3-4, palmizi, fino al paese di Saba, dove avviene la sua trasformazione nella specie vegetale dalla quale nascerà il bambino chiamato Adone» (trad. it., Torino, Einaudi, 1975, p. 9). 31. 2. l’occhio ... chiaro: a parlare è il Sole, che fa riferimento al suo astro. 3-4. Sventurato ... mostraro: il rigore del destino (stelle) verso un fanciullo ricorda, pur senza precisi agganci lessicali, l’alta protesta della canzone tassiana al Metauro (Tasso, Rime, 571). 5. felle: ‘crudeli’. 6. avaro: ‘ostile’. 7-8. poiché ... nacque: il riferimento alla sorte amara di Adone riguarda qui l’immediata perdita della madre. 32. 2. spoglia: ‘preda’. 3. ch’or ... onde: allusione alla navigazione di Adone, che qui risulta già avviata, rendendo di fatto inutile l’apparizione successiva della Fortuna (vd. Martini, Oltre l’idillio, cit., pp. 20-21). 5-6. Dolci ... d’erba: richiamo al celebre precedente petrarchesco di Rvf, 75 3 («E non già vertù d’erbe o d’arte maga»). L’invito di Apollo spinge dunque Amore a colpire Venere alcuore facendola innamorare del giovane. 33. 1. Più oltre ti dirò: la profezia di Apollo, distesa nelle ottave successive, rinvia a decreti fissati dal Fato e scritti in cifra per mano di Giove. 5-6. havvi ... venture: ‘vi sono quante sorti e fortune il destino proietta nel cielo attraverso le stelle (canali del ciel)’. 34. 3. prole tal nascerà: di una discendenza tra Venere e Adone non vi è traccia nella tradizione vulgata, che prevede la morte del giovane senza eredi. Il rinvio a Nonno, Dionys., XLIII 360-376 (in Pozzi, Commento, p. 184), pare troppo esile in rapporto allo sviluppo di questi versi, anche guardando alla conclusione dell’ottava, con la figlia di Adone e Venere promessa in nozze a Nettuno (vv. 7-8); vd. anche infra, ottava 111. Con ogni probabilità il Marino attingeva ad altre fonti oppure con libertà, nell’ambito di una profezia fallace quale quella di Apollo, operava sulla tradizione. 5. contesto: ‘tessuto’. 6. sparte: ‘distribuite’. 35. Per i gran contrasti del v. 2 vd. supra, ott. 25. Apollo promette dunque non solo il superamento di tutti gli scontri precedenti, ma anche un dono ad Amore, la lira d’oro che era stata di Armonia; su Armonia come sorella di Amore, figlia di Marte e Venere (dunque sua suora, sorella) vd. anche la rappresentazione in Esiodo, Theog., 933-937; Igino, Fab., 148. 36. 1. Questa fia tua: sembra ricompensa indebita e sproporzionata all’impresa cui Amore si accinge; Apollo, in questo sviluppo che incastra tessere mitologiche secondo una legge ornamentale, passa dal ruolo di consigliere a quello di mandante della vendetta ai danni di Venere; cosicché il fanciullo che era entrato fiero e in lacrime esce irritato e pieno di orgoglio grazie alle efficacissime parole (ottava 37) appena ascoltate. 1-4. Così ... l’arco: ‘così quando rimani privo di preoccupazioni, deposte le armi, potrai come me trattare il plettro, musico non meno che arciere’. 5. ristora: ‘risarcisce’. 7. numeri sonori: ‘con il ritmo dei suoni’; per il sintagma vd. già Rime lugubri, 55; Dicerie sacre, p. 293, e si veda ancora l’avvio del canto VII. 37. 2. folli: qui nel senso di ‘mantici’ (GDLI), a consentire il bisticcio con l’aggettivo subito successivo. 5-6.ruinando ... scoglio: ‘e precipitando dal cielo verso le terre di Cipro, sacre alla madre Venere’. 7. col ... ardenti: ‘con il movimento delle ali’, qui presentate in fiamme, in anticipo sull’immagine della cometa dell’ottava seguente. 38. La similitudine della cometa, che Marino impiega per rappresentare la discesa di Amore, ha precedenti danteschi e tassiani (vd. Liberata, IV 28, ricordati in Stigliani, Occhiale, p. 141), prima ancora che virgiliani (Aen., X 272-273) e ovidiani (Met., II 320-321); inoltre Claudiano, De raptu Pros., I 229-236 (vd. Aprosio, Occhiale stritolato, p. 180; Pozzi, Commento, pp. 184-185). Sulla credenza che il loro passaggio preludesse a calamità, morti di re e cadute dei regni (v. 8) vd. la bibliografia raccolta in Russo, Su alcune letture, pp. 251-275. 5-6. mira ... stampi: ‘il nocchiero guarda con quale scia di fuoco segni la distesa delle nuvole da una riva all’altra’; l’immagine del nocchiero preoccupato dall’apparizione della cometa è aggiunta mariniana con un’evidente tessera petrarchesca al v. 6: Rvf, 35 4. 39. 2. region più bassa: ‘la regione terrestre’. 3. con la face impugnata e l’arco teso: iconografia di Amore consueta, con fiaccola e arco. La scia luminosa che Amore lascia in cielo (vv. 6-7) è descritta con un chiasmo a legare i vv. 5-8, bipartiti al loro interno. 40. 1-2. sì com’ira ... piombo: ‘così come aspramente l’ira lo sferza, così egli si avventa sul mare’. La descrizione dei movimenti di Amore riprende qui il precedente di Poliziano, Stanze, I 120-121 («Or poi che ad ale tese ivi pervenne, / forte le scosse, e giù calossi a piombo, tutto serrato nelle sacre penne, come a suo nido fa lieto colombo: l’aer ferzato assai stagion ritenne / della pennuta striscia il forte rombo», 121 1-6). Voluta la contrapposizione tra lo stridore e il rombare delle ali di Amore, a rendere la dinamica feroce che muove il dio adirato. Conseguente ed efficacissima l’immagine successiva ove Adone è assimilato al colombo impotente e prima ancora ignaro (semplice) a fronte del grifagno falcon dispostosi all’attacco (l’immagine giunge da Virgilio, Aen., XI 721 sgg., anche nella versione del Caro; ma vd. anche Ariosto, Orlando furioso, XXV 12: «Come stormo d’augei ch’in ripa a un stagno / vola sicuro e a sua pastura attende, / s’improviso dal ciel falcon grifagno / gli dà nel mezzo et ne batte o prende, / si sparge in fuga, ognun lascia il compagno ... »); inoltre Dolce, Favola d’Adone, 73. 7. ei: Amore. ADONE MENTRE CACCIA IN ARABIA VIENE SPINTO A SALIRE SU UNA BARCA 41. 1-4. Era ... intempestiva: per facella vd. Petrarca, Rvf, 206 14. La descrizione della bellezza di Adone esibisce in principio una tessera proveniente dal Rinaldo tassiano (Liberata, I 58 e 60: «Tre anni son che è in guerra, e intempestiva / molle piuma del mento a pena usciva»), rovesciando la precocità militare dell’eroe nell’inclinazione di Adone verso la passione amorosa. 3-4. dispostezza ... intempestiva: ‘una disposizione precoce rispetto all’età del tutto acerba’. 6. germoglio: per la giovinezza ancora imberbe vd. Pozzi, Commento, pp. 185-186, soprattutto per l’importante rinvio a XVI 186 sgg., con Adone protagonista del concorso di bellezza. 42. Come ormai noto, rilevato da più parti (e vd. soprattutto Pozzi, Commento, pp. 186-187), la bellezza di Adone si costruisce su canoni femminili, a partire dai capelli, e poi nell’alternarsi di candore e rossore nel aquarum»). Alle tradizionali prerogative della Fortuna, la cornucopia, una sfera volubile (con variante dunque rispetto al consueto movimento della Fortuna stessa su una sfera), Marino aggiunge l’andirivieni imprevedibile nel movimento sulle acque, la danza (v. 7) e il canto (v. 8). 50. Su questa ottava, che contiene l’invito a cogliere per tempo occasioni e piaceri, le note di Stigliani, Occhiale, p. 141: «Questi versi con questa esortazione della Fortuna sono tutti presi dalla Morgana del Boiardo»; ed in effetti vd. Boiardo, Inamoramento, II 8 42-43, poi 57; inoltre Sacchi, Letterato laico, pp. 84-85. 3. crine aurato: è il biondo crine dell’ottava 48; vd. anche Rime boscherecce, 32 11. 7. orbe rotante: ‘la sfera in movimento’; di una Fortuna lubrica e rotante Marino aveva scritto in un madrigale della Galeria, Ritratti Uomini, Prencipi, Capitani et Eroi, 29. 51. 4. spalmò: nel senso di ‘mettere in mare’, ma è voce oggetto di dibattito tra Stigliani (Occhiale, p. 141) e i difensori del Marino; Pozzi, Commento, p. 188, ricorda anche Petrarca, Rvf, 264 81 e 312 2. 6. cortese stella: è il secondo riferimento ai destini prescritti ad Adone. Di una sorte ostile al giovane, sin dalla nascita, aveva detto Apollo all’ottava 31; qui la Fortuna prefigura un futuro fausto ma della scarsa sincerità dell’intervento è spia l’invito ad afferrare il crine, in contraddizione con il monito appena enunciato all’ottava 47. Dell’azione di tentazione esercitata dalla Fortuna su Adone non si ha radice o ragione antecedente, e concorre dunque, in parallelo, alla vendetta lentamente e macchinosamente congegnata da Amore. 52. 2. idol falso: implicita la reminescenza da Petrarca, Rvf, 128 76-77 («non far idolo un nome / vano, senza soggetto»); l’autodifesa della Fortuna si dirige contro le vane accuse degli uomini, e contro le loro vane pretese di governare gli eventi in nome della prudenza. 4. insana: ‘folle’. La mescolanza degli epiteti del v. 7, inconvenienti l’uno all’altro per livello, e lo stesso vanto del v. 8, ben oltre il dettato di Dante, Inf., VII (che è qui sottinteso), esasperano il potere della Fortuna dispiegato nel concreto nell’ottava successiva. 53. 2. chiami: ‘invochi’. 3. fende: ‘percorre’ (ma il verbo è in studiata disposizione chiastica con il solca che riguarda le acque). 5. voti appende: ‘tributa onori’. 7-8. toglier ... senno: vd. puntualmente Dante, Inf., VII 77 sgg. L’ottava nel suo insieme funge da monito e da minaccia rivolta ad Adone, e prelude all’invito dell’inizio dell’ottava successiva. 54. 2. di corto: ‘rapidamente’. Appare qui la ruota, tradizionale attributo della Fortuna. 3. per me: ‘grazie a me’; dipende da sarai scorta, al v. 4. nel trono: primo riferimento all’ambizione del trono di Cipro che spetta ad Adone, in quanto figlio di Cinira (vd. supra, ottava 29); l’empio inganno materno è la colpa incestuosa di Mirra (vd. ancora supra, ottava 30). 5. ti sublima: ‘ti innalza’. 5-8. sol che ... consiglio: sull’interna contraddizione di una Fortuna che consiglia accortezza e prudenza vd. le note di Stigliani, Occhiale, pp. 141-142 («Non è verisimile che la Fortuna esorti Adone a superar se stessa»); inoltre Tasso, Liberata, V 4 («e se pur generoso ardire sdegna / quel che troppo gli par cauto consiglio»). Cauto consiglio è soggetto della frase. 55. Questa ottava manca nella redazione più antica del poema, ma serve solo a meglio collegare il discorso di Fortuna con la navigazione descritta in 56, attraverso l’immagine di Adone che inizia a remare, quasi per gioco (v. 4). 2. costeggiar: ‘seguire le coste’. 5. agevol ora: ‘aura, brezza favorevole’. Nei due versi conclusivi l’illusionismo di una terra che pare muoversi agli occhi di Adone; è spia minima dell’inganno che lungo tutto il canto I incombe sull’ignaro giovane. 56. 2. molle argento: con riferimento alle acque è sintagma già di Rime marittime, 3 («Ecco che già de l’acque il molle argento»); e vd. anche i luoghi di Ovidio (Met., III 407: «Fons erat inlimis, nitidis argenteus undis»), Ariosto, Imperiali (Stato rustico, X p. 450: «Ne lo scherzar, con più gentil cocento, / canoro, armonioso il molle argento»), citati in Pozzi, Commento, p. 188. 3. patrio nido: con riguardo alla discendenza da Cinira, e significativa variante rispetto al materno nido di Adone 1616. 4. passo tardo e lento: memoria di Rvf, 35 2. 6. sé stesso ... commette: ‘si affida’. 7- 8. lunge ... sponda: «Parlando dell’acqua che batte il lito. Tre metafore, cioè roco, latrare e morde» (Stigliani, Occhiale, p. 142), vd. anche Pozzi, Commento, p. 188, con segnalazione di Virgilio, Aen., VII 587-589 («ut pelagi rupes magno veniente fragore / quae sese multis circum latrantibus undis / mole tenet»); Claudiano, De raptu Pros., I 150. 57. 2-4. che si ... conche: ‘tanto che si potevano distinguere nelle parti sabbiose le zone interne delle caverne e contarne le singole cavità’; vd. Petrarca, Rvf, 127 85. 5. destri: ‘favorevoli’. 6. tronche: ‘troncate’, riferito ad ali. 7. il ciel ... fede: ‘il cielo venne meno alla promessa di serenità’. Il verso conclusivo, di sapore gnomico, richiama 56 6, a sancire l’errore di Adone (e vd. Dante, Inf., V 62). 58. Per questa ottava, che accusa l’orgoglio e l’audacia degli uomini disposti a sfidare la potenza del mare, vd. Orazio, Carm., I 3 9 sgg., da cui anche l’immagine del fragile legno («fragilem ... ratem») che chiude l’ottava mariniana. 4. crudo e procelloso regno: il mare appunto, crudele e pieno di tempeste. 5-6. più ... l’ingegno: disposizione simmetrica, da ordinare: ‘avesti il cuore più rigido di un duro scoglio, l’ingegno più feroce del mare crudele’. 8. gisti: ‘andasti’. AMORE SI RECA DA VULCANO PER OTTENERE UN DARDO UTILE A FAR INNAMORARE VENERE 59. 1. Per far ... vendetta: altro macroscopico calco petrarchesco (Rvf, 2 1). Amore interviene qui a turbare la navigazione, ma nella seconda parte dell’ottava si chiarisce come Amore stesso, che produce qui la tempesta (vv. 3-4), abbia governato l’intero cammino di Adone, esautorando – come notato da Pozzi, Commento, p. 188 – l’azione della Fortuna o in qualche modo presiedendovi (e sul rilievo di questo aspetto vd. Martini, Oltre l’idillio, pp. 11-12). L’ottava successiva, con retrocessione e richiamo di quanto già narrato, attesta come tutta questa zona del testo presenti giunture narrative mal connesse che, già in essere in Adone 1616, il Marino non rettificò nella revisione del poema. 4. Africo e Noto: ho modificato il testo offerto dall’ed. Pozzi mettendo le maiuscole ai nomi dei due venti. 6. poppiero: ‘marinaio che effettua manovre stando a poppa’ ; vd. Colombo, Cultura e tradizione, p. 131. 7-8. fece ... strali: per rendere il governo di Amore Marino intarsia di concetti il distico finale: le ali di Amore producono il vento, l’arco e le frecce rappresentano il timone e i remi della l’armi a Marte affina»). 5. tempra: ‘composto’. 6. imperioso: ‘prepotente’, ‘disposto al comando’; così Amore è descritto anche in Guarini, Pastor fido, atto I scena 5, 940. Sulla contraddizione rispetto ai genitori di Amore (vd. ottava 7 e Stigliani, Occhiale, p. 142), la difesa di Aprosio, Occhiale stritolato, p. 182: «è noto a chi non è totalmente privo d’erudizione che da Venere furono prodotti non uno ma più Amori, e questi da diversi padri»; vd. l’emblema CX dell’Alciato (pp. 384-388). Si noti la tessitura fonica con cui, soprattutto ai vv. 5-8, Marino increspa il dettato, in ossequio al fragore dell’officina di Vulcano. Come segnalato in Pozzi, Commento, p. 189, vi sono memorie da Virgilio, Aen., VIII 424-438, e da Luciano, Dial. deor., 7 (e vd. già Rossi, rec. a Mango, Le fonti, in «Giornale storico della letteratura italiana», XIX 1892, pp. 143-151). 68. 2. ferriera: ‘officina’; il verso è effetto di una correzione dell’Errata, intervenuta sul precedente La ferraria di quel divino artista. 3. di già polite opre: ‘di opere già rifinite’. 4. confusa e mista: in riferimento a ferriera. L’antro di Vulcano, fumoso e disordinato, conserva le armi di Marte e le folgori di Giove (vv. 5-8), Olimpo e Ossa sono i due monti della Tessaglia, luogo della battaglia tra Giove e i giganti Oto ed Efialte. Si apre così la sequenza degli arnesi che Marino passa in rassegna, facendo sfilare elementi dell’iconografia mitologica consueta: vd. l’ottava successiva e le osservazioni di Pozzi, Commento, pp. 189-190. 69. Per la falce di Saturno, il riferimento va a Crono (l’antecedente greco) che con una falce castra Urano, come narrato da Esiodo. 6. fier serpente: si tratta di Pitone, il serpente ucciso da Apollo. 7. trafiero: ‘pugnale’; Colombo, Cultura e tradizione, p. 125. 70. 4. le tempeste inchioda: sull’ardimento della metafora (Eolo non soltanto tratterrebbe i venti, ma inchioderebbe le tempeste) le critiche di Stigliani, Occhiale, p. 142, ma i versi riprendono Virgilio, Aen., I 52-54. 5. Bellona: divinità romana della guerra. 7-8. e v’ha ... disserra: il tempio di Giano aveva le porte aperte in tempo di guerra (la disposizione dei verbi è dunque simmetrica). 71. 1. focon ... onusto: ‘fuoco carico di tanti strumenti’, con altra caratterizzazione di stile umile, in linea con il villan di 72 4. 4. essercitata e dotta: ‘addestrata e abile’. 5. ruginosa: con variante rispetto al più consueto rugosa; adusto: ‘arso’; tutta la seconda parte dell’ottava, nel cumulo dei particolari, rende icasticamente, fino alle minute scintille, l’immagine di Vulcano (per il quale, a rovescio, vd. la rabbiosa descrizione di Venere in III 49-52). 72. 2. forbice: secondo Stigliani, Occhiale, pp. 142-143, il Marino qui alluderebbe a forcipe, ‘tenaglia’. 3. lanoso: ‘villoso’, con il precedente di Dante, Inf., III 97. 4. riso villan: ‘con un sorriso rustico, greve’, in linea con le ruvide braccia del v. 5 e l’ispido labro del v. 6. 7. incomposta: ‘incolta’, ‘non curata’. 73. 3. tinge: ‘sporca’, ‘macchia [di fuliggine]’. 5-8. e con ... asciuga: Amore deterge il sudore di Vulcano con la stessa veste del padre, per non macchiarsi di carbone il velo. L’accostamento del rozzo padre e del bellissimo figlio è ancora una volta contrapposizione cromatica. 74. 2. sovrafina: ‘straordinaria’. 3. de’ torti ... vendicatrice: Amore fa riferimento a una imprecisata colpa di Venere, nascondendo la vera ragione della richiesta (vd. v. 5; inoltre Pozzi, Commento, pp. 190-191, che rimanda a XIII 169-185, ove Vulcano minaccerà Adone con una freccia consegnatagli da Apollo). 6. spacciati: ‘sbrigati’, altro lemma comico. 7. porta: ‘consente’. 75. 1. quadrel: ‘dardo’. 2. ben condotto: in rif. ad artificio, nel senso di ‘ben realizzato’. 4. forato e rotto: ‘penetrato e ferito’ (vd. Tasso, Liberata, XI 51). 6. esperto e dotto: vd. 71 4, lì in riferimento alla mano, qui al senno di Vulcano. 7-8. fa’ ... espresse: ‘ti prego, manifesta le meraviglie della tua arte in una cosa che tanto ti importa’. 76. 1. ministrarti: ‘aiutarti’. 2. sotto la rocca del camin: «Rocca, cioè conocchia in significato di cappa di camino, è metafora scura»: così Stigliani, Occhiale, p. 143. 4. mantice ... piuma: ‘soffierò sul fuoco muovendo le ali’; Ovidio, Amores, II 9 33. 5-8. e s’egli ... cori: ‘e se pur accadrà che manchi vigore al mantice che accende e dà forza al fuoco, ti prometto di aggiungere gli ardori e i sospiri di mille amanti raccolti in un unico soffio’. Il concetto vale a replicare un altro topos della lirica cinquecentesca, i sospiri degli amanti come “mantici” della passione (vd. Ariosto, Orlando furioso, XXIII 127: «Amor che m’arde il cor fa questo vento / mentre dibatte intorno al fuoco l’ali»), qui applicando la metafora ad un piano realistico. 77. 1. dimora: ‘attesa’. 2. zolle: «pezzo compatto di una qualsiasi sostanza» (GDLI), qui il metallo scelto da Vulcano. 4. castighi: ‘colpisca’. 6. vien: ‘diviene’. 8. tenace: ‘che la blocca’. 78. 4. si rintuzzi: ‘si spunti’. 5-8. e di sua ... amanti: è Amore stesso che istruisce Vulcano sul come forgiare la freccia e poi, una volta formata, le versa sopra le lagrime di amanti disperati, a completare la virtù dell’arma che deve far innamorare Venere; per dogliosi pianti si ricordi il primo idillio della Sampogna: Orfeo, 672. 79. Sulle ottave 79-80 vd. Cabani, Eroi comici, p. 68, con proposta di Bracciolini, Scherno, IX 3-5. 1. i tre fratelli: sono i ciclopi, tradizionalmente aiutanti di Vulcano. 3. con vicende: ‘con ritmo alterno’. 4. grandinar: ‘far cadere ripetutamente’, con ritmo fitto (e vd. Tasso, Liberata, III 49 e XI 33, sempre in chiave bellica). 7. nel disegno: ‘in progetto’. 80. 4. industria maggior: ‘con attenzione più minuta’. 5. forbisce: ‘pulisce’, ma anche nel senso di ‘affina’. 80. 7. mordente: composto a base d’olio, per la doratura a mordente dei metalli. 81. 2. il liscio ... a pieno: ‘ha levigato e reso lucente’, in relazione a 80 8. 3-4. n’arma ... seno: alla punta della freccia Amore applica un’asta esile ma resistente (vv. 3-4), e imbeve la punta del dolcissimo veleno della passione amorosa. 5. il calce: ‘la parte inferiore’. 8. in volta: ‘in confusione’, con Amore che mette sottosopra l’antro e chi vi sta dentro, come si chiarirà all’inizio dell’ottava successiva. Si tratta di un accesso di è dantesco (Inf., XVI 103). 3. nonché gli noccia: ‘non solo non l’offende’. 5-8. Filano ... lucente: i versi rendono il gocciolare dai due monti d’acqua che hanno aperto la via ad Amore, monti talmente elevati che appena Amore riesce a intravedere il cielo; ancora Sannazaro, Arcadia, prosa XII, p. 215: «senza bagnarmi piede seguendola, mi vedeva tutto circondato da le acque, non altrimente che se andando per una stretta valle mi vedesse soprastare duo erti argini o due basse montagnette». I vv. 5-6 derivano da una rielaborazione di un passo sannazariano appena successivo, citato in nota all’ottava 92. 91. 1. i calli ondosi: ‘il cammino tra le onde’, ma anche ‘il cammino percorso di consueto dalle onde’. 3. stimoli: ‘attacchi’. 5. augei squamosi: sull’immagine degli ‘uccelli di squame’ che popolano le acque le critiche di Stigliani, Occhiale, p. 144; parziale la risposta di Aleandro, Difesa, I, p. 145; vd. quindi Villani, Uccellatura, p. 227, con rimando a Lucrezio, De rer. nat., I 163 («squamigerum genus et volucres erumpere caelo»). Al riguardo, accanto alle osservazioni di Pozzi, Commento, p. 193, va ricordato il precedente prossimo di Botero, Primavera (IV 88 e 99), che Marino aveva certamente letto nella stagione torinese, e ancora Tempio, 155. Nel passaggio tra le acque Amore semina le sofferenze amorose tra i pesci; per gli eserciti guizzanti del v. 7 si ricordino «del lito i vaghi abitator guizzanti» di Tasso, Mondo creato, V 95. 92. 1. Strana: ‘straordinaria’. La descrizione della reggia, con le pareti dure e il pavimento morbido e spugnoso, è esemplata ancora su Sannazaro, Arcadia, prosa XII, p. 215: «Venimmo finalmente in la grotta onde quella acqua tutta usciva, e da quella poi in un’altra, le cui volte, sì come mi parve di comprendere, eran fatte tutte di scabrose pomici; tra le quali in molti luoghi si vedevano pendere stille di congelato cristallo, e dintorno a le mura per ornamento poste alcune marine cochiglie; e ’l suolo per terra tutto coverto di una minuta e spessa verdura, con bellissimi seggi da ogni parte, e colonne di translucido vetro che sustinevano il non alto tetto». 5. lubrico: ‘scivoloso’, ‘umido’. 8. azurre ... vermiglie: vd. Poliziano, Stanze, I 55 e 77 (Delcorno, pp. 504-505). 93. Per le nereidi, figlie di Nereo e ninfe del mare, vd. una loro descrizione entro la Sampogna, Europa, 314-318: «Le Nereidi ballando / sovra i curvi delfini, con versi fescenini / que’ novelli imenei cantar s’udiro»; vd. anche Mosco, Idyl., II 114-120; Omero, Il., XVIII 38-50. 4. cavo speco: ‘caverna’. 93. 6. caliginoso: ‘velato’, ‘non chiaro’, in endiadi con cieco. 7. irrigatrici: vd. Colombo, Cultura e tradizione, p. 128. 94. Per la descrizione dell’attività delle nereidi (in questa ottava: la danza, la scelta di perle o gemme dalla sabbia) Marino recupera ancora la descrizione di Sannazaro, fino ad alcuni particolari minuti; con riguardo ad esempio al v. 4: «E quivi sovra verdi tappeti trovammo alcune ninfe sorelle di lei, che con bianchi e sottilissimi cribri cernivano oro, separandolo da le minute arene. Altre filando il riducevano in mollissimo stame, e quello con sete di diversi colori intessevano in una tela di meraviglioso artificio...» (Arcadia, prosa XII, p. 215). 4. cribra: ‘setaccia’. 5. germi purpurei: il corallo. 7-8. e sotto ... linfe: ‘e molte ninfe spargono muschio al passaggio di Amore’, “concetto” costruito per via fonica. 95. 3. l’accoglie: ‘raccoglie il crine, i capelli’. 5. manti diafani e lucenti: ‘vesti brillanti e insieme leggerissime, trasparenti’. 8. d’un stesso padre: di Nettuno, con memoria di Ovidio, Met., II 13-14, come segnalato in Pozzi, Commento, p. 193, ove si allude a Doride moglie di Nereo (i versi ovidiani incidono anche sulla prima parte dell’ottava). 96. 1. Proteo: per questo passaggio vd. ancora Virgilio, Georg., IV 387 sgg., cui va aggiunta tuttavia una parallela tradizione figurativa: si ricordi almeno Galeria, Sculture, 3. 2. pistri: ‘cetaceo di proporzioni immense’ (vd. GDLI; il termine è anche impiegato dal Caro nella traduzione dell’Eneide, V 1170); vd. soprattutto Tasso, Mondo creato, V 238, entro un passaggio dedicato appunto a Proteo. 6. rostri: ‘dorsi’. 7. cilestro: «il cilestro della viola» si legge in Dicerie sacre, p. 96. 97. Il racconto sull’origine sotterranea dei fiumi, già di Sannazaro, Arcadia, prosa XII, pp. 216-217 (e Pozzi segnala anche Virgilio, Georg., IV 365), copre anche un passaggio di Tasso Liberata, XIV 38. 5. piante: ‘percorsi’. 6. invisibili meati: ‘canali nascosti, misteriosi’. 7. concepe e serra: ‘concepisce e chiude’. 98. 2. che i ... piange: allusione al corso dell’Eufrate, che cosparge di schiuma le sue acque (i bei cristalli suoi); per le rime vd. Dante, Par., XI 47-51 (Corradini). 3-4. Vede ... frange: dopo l’Eufrate si offre alla vista di Adone la fonte del Nilo, per tradizione nascosta, e il suo delta che con sette bocche incontra il mare. Sul Gange che scorre su un letto d’oro (la cui lucentezza è persino sfruttata dal sole, nel suo sorgere ad oriente, vv. 5-8) vd. almeno Tasso, Mondo creato, VII 701. Questi primi fiumi sono assenti nella sequenza di Sannazaro; per tutto questo scorcio si veda la sezione sui fiumi nella terza delle Dicerie sacre, pp. 393-394. 99. 2. vomiti d’oro: sull’espressione vd. le note di Stigliani, Occhiale, p. 144: «Metafora complicata, simile a quella del Sissa, che dice parlando di Gabrina nel secondo idillio: Di cui le fauci ognor con rauco affanno Scaturrian di catarro umidi fiocchi»; ma soprattutto un brano della Pharsalia di Lucano (VII 755: «Quidquid Tagus expuit auri»); vd. D’Alessandro, p. 251, con rinvio alle rappresentazioni dei fiumi presenti nell’Iconologia di Ripa. 3. groppi di gel: ‘grumi di acqua ghiacciata’; groppo, lemma di ascendenza dantesca, ricorre volentieri nel Marino (vd. ad esempio Gerusalemme distrutta, 77). Nel prosieguo Marino modifica la sequenza e le scelte di Sannazaro, abbinando piante e fiumi con libertà (vd. Pozzi, Commento, p. 195). 100. 2. l’Eridano: il Po, cui il Marino aveva dedicato diverse sestine all’interno del Ritratto per Carlo Emanuele (23 sgg.); l’ottava conserva la piega di un encomio nei confronti dei Savoia (soprattutto ai vv. 5-6). 3. rettor del pelago: Nettuno. 4. reale: in quanto direttamente confluente nel mare (Bezzola, Indagini mariniane, p. 53). 5-8. e mercé ... abbaglia: vd. Pozzi, Commento, p. 195, con rimandi a Stazio (Theb., VI 267) e Claudiano (De raptu Pros., I 129). Le corna sono assegnate al Po in Virgilio, Georg., IV 371: «et gemina auratus taurino cornua vultu». acque. 5. fia tutto a suo pro: ‘sarà a suo vantaggio’. 6. ricca merce: memoria di Petrarca, Rvf, 323, in un passaggio probabilmente tenuto a mente dal Marino per l’intera tessitura dell’ottava («Indi per alto mar vidi una nave, / con le sarte di seta, et d’or la vela, / tutta d’avorio et d’ebeno contesta, / e ’l mar tranquillo, et l’aura era soave, / e ’l ciel qual è se nulla nube il vela, / ella carca di ricca merce honesta», vv. 13-18). 6. malsecuro abete: vd. il fragil pino di 58 8, e commento relativo. 7-8. il cui ... regge: ‘il cui naviglio più il timore che non il timone guida con regola incerta, instabile’, con allusione ad un governo precario della barca, mossa dalla Fortuna; e tuttavia la navigazione era descritta come quieta in 56. 110. 1-4. Sai ... fuso: l’immagine di Venere inattiva, che lascia sterile e intorpidito il mondo (inutil letargo) deriva da Nonno, Dionys., XXIV 270- 277, e si chiude con un distico che richiama da presso, anche sul piano delle rime, il passaggio dell’ottava iniziale sulla forza di Venere. 6. torpe: ‘langue’. ottuso: ‘non più appuntito’. 7. infecondo: in relazione a mondo, a ribadire la virtù generatrice di Venere. 111. 2. qualch’ ... voci: ‘qualche risultato alle mie richieste’. 3. l’util proprio: quale sia questa utilità si intenderà all’ottava successiva, nella quale viene presentata Beroe come frutto destinato dell’unione tra Venere e Adone. Sulle nozze tra Beroe e Nettuno vd. Nonno, Dionys., XLI 155-211, 247-249. 4. le voglie ... veloci: vd. Tasso, Liberata, X 13, anche per il contatto con lo stesso episodio evidente all’ottava successiva. 6. proci: qui nel senso di ‘pretendenti’, su base omerica. 112. 2. adamantine tavole immortali: vd. supra, ottava 33. Amore rinvia a quegli stessi decreti che gli erano stati annunciati da Apollo (nel cerchio del signor di Delo). 5-6. concede ... annali: ‘il sacro decreto dei destini eterni (gli eterni annali) concede [Beroe] a Nettuno, re delle acque (il liquefatto gelo)’. Da segnalare sia la citazione puntuale di Liberata, X 20 («Ma ch’io discopra il futuro e ch’io / de l’occulto destin gli eterni annali»), sia ai vv. 7-8 la contrapposizione tra il freddo e il gelo delle acque del regno di Nettuno e il calore e il lume apportati da Beroe. 8. piume: qui nel senso di ‘giaciglio’. 113. 1-2. Ma quando ... volgesse: per la distanza tra i decreti di Giove e lo sviluppo del fato, già omerica, vd. anche il canto II, nell’episodio sul giudizio di Paride (l’alternativa si ripropone implicitamente al v. 7). 3-4. seben ... istesse: ‘sebbene il dio di Tebe, Bacco, sarà tuo rivale per le bellezze di Beroe’. A dispetto degli stessi decreti celesti Amore promette di concedere la futura fanciulla all’amore di Nettuno. Nella conclusione dell’ottava, oltre alla vanità della premessa, la tracotante superbia di Amore rispetto a ogni forza dell’universo. 8. acque sacre: verosimilmente le acque su cui regna Nettuno. 114. La risposta di Nettuno concede quanto richiesto da Amore, con tranquilla faccia e senza commenti sulla promessa di Beroe. 3. domatore indomito: ‘governatore non sottoposto ad alcun freno’, con prezioso gioco etimologico. 7. spendi ... poss’io: ‘impiega nel modo che vuoi tutto il mio potere’. 8. arbitrio mio: ‘il mio governo’; per quest’ultimo verso vd. VI 159 e VIII 97, con analoghe offerte. 115. 4. per ... Scilla?: ricordo di amori marini, quello di Cimotoe e Tritone (per cui vd. Virgilio, Aen., I 144), già oggetto di un sonetto mariniano in Rime marittime, 42; quello di Glauco e Scilla, per il quale vd. Ovidio, Met., XIII 900-965. 6. sfavilla: ‘si illumina’. 7. ricettan: ‘ricevono’. 8. Borea ... Clori?: per Borea e Orizia vd. ancora le Metamorfosi ovidiane (VI 682-721) e Rime marittime, 25; soprattutto un madrigale della Galeria (Favole, 25); per Zefiro e Clori vd. Rime boscherecce, 26 (e ancora Galeria, Favole, 24). 116. 1. Tu virtù ... giri: ripresa da Dante, Inf., X 4 e Purg., XXX 93. 2. dispensier: stesso lemma nella Sampogna, Proserpina, 303. 4. illustrator ... pensieri: ‘capace di rischiarare i pensieri più foschi’. 5-8. dolce ... puoi?: l’elogio di Amore, dal quale derivano la quiete e il riposo e dal quale Natura trae le sue leggi, è simmetrico alle ottave 13 sgg. 117. 2. tributari: ‘sottoposti’, ma nel senso di ‘affluenti’. 7. o gioia ... mondo: continua la visione antifrastica, rispetto all’invettiva di Venere delle ottave iniziali del canto. Riguardo a questa duplice immagine di Amore vd. A. Battistini, «Paradiso infernal, celeste inferno». Ossimori d’amore nell’‘Adone’ di Giovan Battista Marino, in «Seicento e Settecento», II, 2007, pp. 99-110. 118. 2. l’asta trisulca: è il tridente di Nettuno (vd. ad esempio Virgilio, Aen., I 145). Chiusa la risposta di Nettuno, Marino descrive con efficacia il sorgere della tempesta, dalle onde marittime, come montagne spumanti, ai venti, fino al confondersi degli elementi. 2. scoscende: ‘risale’. 3-4. D’alpi ... ascende: ‘oltre l’azzurra distesa un fronte ampio di montagne (alpi spumose) di schiuma si alza fino alle stelle’. Da segnalare un precedente, lontano, per l’immagine più ardita, se in Boccaccio, Filocolo, IV 8, si legge: «e i mari, che di sé fanno spumose montagne, nelle sue usate pianezze riduci». 5-8. urtansi ... cielo: i venti si scontrano da opposte direzioni e il cielo quasi frantumato sembra voglia precipitare in acqua, e finire per confondersi con il mare. La confusione degli elementi qui annunciata si dispiega, con virtuosismi mariniani, nell’ottava successiva (in particolare al v. 4), anche sulla base delle descrizioni di Ovidio, Met., XI 516-520 e di Virgilio, Aen., I 85 sgg. In Pozzi, Commento, p. 198, il ricordo di Imperiali, Stato rustico, VIII, p. 323. 6. de le ... orrende: ‘che animano con violenza le nuvole’. 119. Ottava assente in Adone 1616. Se Borea è il vento del nord che sfida onde e tempesta (vv. 1-2), l’arco multicolore è prerogativa di Iride (v. 3, al riguardo Ovidio, Met., XIV 838: «Paret, et in terram pictos delapsa per arcus»); in D’Alessandro, p. 254, la segnalazione tra l’altro di Virgilio, Georg., I 380-381, e di Ovidio, Met., II 268-271. Per la straordinaria visionarietà di questa descrizione, vd. i giudizi citati all’ottava successiva. 6. superbo Orion: Orione è il mitico cacciatore ucciso da Artemide. 120. Significativo, su questa ottava, il giudizio di Villani, Uccellatura, pp. 233-234: «Non solo queste due ottave, ma tutta questa tempesta è iperbolica, ditirambica e fanatica. [...] Ma tanto più questa tempesta riesce ridicola, quanto è posta qui fuor di proposito, non si volendo fare altro con tanto fracasso, che condurre Adone a salvamento in porto». Vd. anche Stigliani, Occhiale, p. 146 («l’iperboli son tutte matte, e v’è cagna per canicola», all’ottava 121); Aleandro, Difesa, I, pp. 150-151; Aprosio, Veratro, I, p. 51. Vd. ancora Ovidio, Met. XI, 516-520 e Nonno, Dionys., 128. 2. di suo stato incerto: vd. Petrarca, Rvf, 129 13 («diria: Questo arde, et di suo stato è incerto»). 3. orgoglioso flutto: da segnalare la minuta correzione mariniana, posto che in Adone 1616 il verso leggeva minaccioso flutto. 8. gioconda ... chiede: sulla serenità trasmessa ad Adone dal nuovo orizzonte vd. Stigliani, Occhiale, p. 146: «Rubato al Tasso tutto il pensiero» (e in effetti si veda Liberata, XIV 59, per l’arrivo di Rinaldo sull’isola di Armida). 129. La presentazione in senso edenico di Cipro riprende motivi e tonalità del Paradiso terrestre dantesco; in Mango, pp. 63-64, l’ipotesi di una memoria delle Selve d’amore di Lorenzo de’ Medici e di Poliziano, Stanze, I 88. 3-4. cui nel ... oscura: ‘che anche durante l’inverno più fosco e rigido non è mai turbata dalla pioggia né mai oscurata da vento’. 5-6. ma ... arsura: ‘evitando allo stesso modo gli estremi del caldo e del freddo’. 8. un sempreverde ... aprile: ‘una stagione primaverile immutabile, sempre intatta’. 130. Sull’unione degli animali procurata da Amore e sul clima edenico che permea la descrizione, si vedano gli antecedenti biblici (Isaia, 11 6-9 e 65 25) ricordati in Pozzi, Commento, p. 200 (cui aggiungere i motivi analoghi presenti nella descrizione di Aminta, atto I scena 1, 213 sgg., e prima ancora Ariosto, Orlando furioso, VI 22).5 . doppia: ‘ambigua’, ‘ingannevole’. 131. Importante, su questa ottava, la segnalazione di Pozzi, Commento, p. 200, sulla ripresa, che è certa di Petrarca, Rvf, 162 1: «Lieti fiori et felici, et ben nate erbe».2 . di puro umor vena vivace: ‘una fonte di acqua pura’ (ha funzione di sogg.). 3-8. dolce ... aggiunge: ‘una brezza rapace ruba e sparge una dolce mescolanza di mille profumi; una brezza che non solo, sfuggente, erra in quel luogo tra i rami con movimenti leggeri, ma raggiunge da lontano anche i naviganti per un lungo tratto di mare’. Si noti lo hysteron-proteron del v. 4, a sottolineare l’intreccio a base etimologica. 132. 1. Filomena e Progne: rispettivamente l’usignolo e la rondine, sulla base del mito narrato in Ovidio, Met., VI 421-674; vd. anche Petrarca, Rvf, 310. 3. stridule pive e rauche brogne: la piva era nella tradizione mitologica il flauto pastorale (GDLI), le brogne erano conchiglie fatta suonare come richiamo per gli animali (GDLI); vd. Colombo, Cultura e tradizione, p. 124; inoltre Pozzi, Commento, p. 200. 5. sordine: «sorta di strumento a corde», secondo Pozzi; «clavicordo di piccole dimensioni», in GDLI. A CIPRO ADONE INCONTRA CLIZIO. LODE DELLA VITA BUCOLICA 133. 1. Solitario garzon: si tratta di Clizio, personaggio investito del ruolo di guida sin dalla redazione del 1616 e che l’allegoria iniziale del canto identifica con Giovan Vincenzo Imperiali (vd. nota relativa). Sul modello dello Stato rustico, il cui impianto, antinarrativo e composito potrebbe aver influenzato il Marino vd. A. Lopez Bernasocchi, Tradizione e innovazione in un poema del Seicento: lo ‘Stato rustico’ di Gian Vincenzo Imperiale, pp. 41-107; al riguardo vd. le note di Colombo, Cultura e tradizione, pp. 67 sgg.; soprattutto Martini, Oltre l’idillio, pp. 17 sgg. Imperiali viene presentato come solitario, adagiato all’ombra di un alloro, in abito di cacciatore (vv. 3-4). 4. cuoio linceo: ‘pelle di lince’; strania, subito dopo, vale ‘di fattura inconsueta, nuova’. 5-6. veste pur ... spoglia: particolare che riprende alla lettera l’idillo Atteone (31), e poi ancora Epitalami, II 78-81, in uno scorcio assai prossimo a questo passo. Il cerviero è la lince (vd. Petrarca, Rvf, 238 2), dalla vista acutissima e dalla pelle screziata. 7-8. dolce ... amori: il suono della cetra è dunque accordato da Clizio al muggire amoroso dei tori. L’inserimento del contesto pastorale avviene a margine della sontuosa eleganza del palazzo di Venere; significativa la tessera sui selvaggi amori (vd. ad esempio la descrizione dei Sospiri d’Ergasto in Lettera Claretti, 45); vd. Pozzi, Commento, p. 201. 134. La descrizione fisica di Clizio-Imperiali prosegue con i calzari (e per il coturno vd. un analogo particolare in Rime boscherecce, 16), e passa poi all’aspetto fisico, all’insegna di una composta serenità (v. 4) e di una grazia matura. 2. eburneo: ‘d’avorio’. 5. fiorita la guancia: vd. Guarini, Pastor fido, atto I scena 1 41, per la descrizione di Silvio. Nel riferimento ai fiori dei versi successivi, con riguardo alla grazia poetica dell’Imperiali, è probabile l’allusione alla generosa magnificenza del genovese, che garantiva sostegno ad artisti e letterati (vd. Martini, Oltre l’idillio, cit., p. 20). 135. 2. in un groppo: ‘raccolto’. 5-8. Ma posto ... corresse: la scena si svolge quasi rallentata e il Marino particolareggia (qui e all’inizio dell’ottava successiva, vv. 1-4) le azioni con cui Clizio richiama il cane da Adone che si avvicina. 136. 2. irsuta testa: ‘il capo ispido’. 136. 4. serica lassa: ‘guinzaglio di seta’. 5. real donzello: Adone, con riferimento alla discendenza da Cinira e Mirra e alle prerogative sul regno di Cipro (vd. ottava 54), ma il sintagma sembra conservare memoria della fanciulla regal di Liberata, VII 17, nell’episodio di Erminia che il Marino assume come base per questo scorcio finale del canto, implementandolo con una descrizione che recupera la tradizionale iconografia pastorale; l’ambientazione è in linea con l’individuazione del precedente dell’Imperiali e del suo Stato rustico quale modello esplicito di riferimento. 137. Questa ottava e la successiva descrivono, con una serie di rapidi quadretti, le diverse attività di una vita pastorale, tra la quiete, la caccia (3- 4), lo sfogo della passione amorosa (5-7). Un Adone che pascola greggi è negli Idilli di Teocrito (I 109 sgg.); vd. Dolce Favola di Adone, 17-22. 4. invesca: ‘invischia’, ‘cattura’. 6. l’esca: qui nel senso del nome della donna amata. 7. rintraccia: ‘insegue’. 138. 2. de’ lubrici cristalli: ‘delle acque che scorrono’; sintagma inedito nella tradizione maggiore (e vd. già Rime marittime, 42 7). 5. fiscelle d’ibisco: ‘cesti intessuti di vinchi’ (vd. Virgilio, Ecl., X 71: «gracili fiscellam texit hibisco»); scena simile in Tasso, Liberata, VII 6 («tesser fiscelle a la sua greggia a canto»). 6. serti: ‘corone’. 7. torce: qui nel senso di ‘munge’. 8. giunchi: intrecciati per formare canestri. 139. Anche in questi passaggi, con Clizio che si siede all’ombra accanto ad Adone, ascoltandone poi i racconti, è assai evidente la ripresa del racconto tassiano: Liberata, VII 15-16, ove Erminia narra le proprie (atto IV scena 9), declinato con il chiasmo dei vv. 7-8, che sancisce la vera gerarchia dei valori contro quella apparente che vige nelle corti. 148. In quest’ottava (in particolare ai vv. 1-4 e al v. 7) Marino si fa nuovamente più prossimo al dettato tassiano di Liberata VII. 3. damma: femminile per ‘daino’ 5-6. detto ... canzone: ‘compongo una rustica composizione poetica ai boschi, accordandola al suono di un flauto o di un’avena’ (e vd. Sannazaro, Arcadia, ecl. X 121, p. 188: «per la verde foresta a suon d’avena»). 8. questa ... reggia: ‘e la mia reggia è rappresentata da questa rozza mandria’. 149. Amplificando e allargando il dettato tassiano, Marino costruisce l’ottava sulla puntuale giustapposizione tra prerogative della corte e di una vita agiata e i rustici ornamenti della vita pastorale (m’è scettro il mio baston, v. 2). Lo schema verrà ripetuto, ora in modo battente, ora con respiro più ampio, anche in tutte le ottave seguenti; vd. Imperiali, Stato rustico, I, p. 20, e Boillet, Clizio et Fileno, pp. 259-287. 2-8. m’è ... fronde: ‘il vello di una pecora mi vale da veste di porpora, il latte da ambrosia, il ruscello da nettare e le mie proprie mani sopperiscono alla mancanza di una coppa; i miei ministri sono i bifolci, i guardiani, gli amici sono i cani, mi fanno compagnia il toro e l’agnello, il cinguettio degli uccellini, il fruscio del vento e delle onde sono i miei musicisti, le erbe del mio giaciglio sostituiscono le piume, le foglie degli alberi mi fanno da tetto’. 150. 3-4. ostro ... ornamenti: ‘qui non risplendono l’ostro e l’oro, di cui sono ornamenti il sangue e il pallore (il sangue versato nelle lotte e il timore nutrito da chi governa)’. L’intera ottava è giocata sull’alternanza cromatica, secondo uno dei procedimenti cari al Marino; si vedano ancora i vv. 7-8: ‘qui l’ostro ci è dispensato dall’aurora che brilla con una luminosità serena, l’oro ci è regalato dalla luce del sole’.8 . pompe: ‘ricchezze’. 151. 1-2. Altro ... rivo: la ripetizione sottolinea, anche grazie alla figura fonica risultante, il rilievo delle voci malevole entro la vita di corte di contro al naturale gorgogliare dell’acqua del ruscello. In un’ottava orientata sui suoni, si apre così la sequenza che ricorda gli adulatori (vv. 3-4) e il dominio dell’invidia (vv. 5-8), tasselli che il Marino caratterizza ancora con marcate allitterazioni. 6. loco non v’ha: ‘non ha luogo’, ‘non si trova’. schivo: ‘ritroso’. 152. 1. colà: ‘nel mondo civile’. Consueta la denuncia di Tradimento e Calunnia quali fenomenti propri della vita di corte. 5-8. qui non ... risarcite: ‘e se per caso una piccola ape ti punge e ferisce, ti ferisce senza veleno e la stessa ferita viene ripagata persino in eccesso (usure) con il miele che le api regalano’. In Pozzi, Commento, p. 203 il ricordo di un luogo ciceroniano (Cato, 51), ma vd. ancora Tasso, Liberata, VII 11-12. 153. 1. sugge: ‘asciuga’, ‘consuma’. 3. poverello essangue: ‘al povero già esausto, privo di forze’. 5-6. solo ... spoglie: ‘c’è solo chi taglia le lane all’agnello, che però non ne soffre’. 8. desire immodesto: ‘un desiderio ambizioso, senza freno’. 154. 3-4. di Cerere ... bidente: gli attrezzi di Cerere (il rastello ricordato all’ottava 69), la cui arte garantisce il nutrimento. 8. cozzi amorosi: ‘scontri ispirati da amore’. Per cozzi vd. Dante, Inf., VII 55; un analogo scontro il Marino aveva rappresentato nella Sampogna, in Sospiri d’Ergasto, LV. 155. Questa ottava era assente nella precedente redazione del poema ed amplifica la descrizione di un mondo privo di scontri e contrasti. 3-8. sol ... onde: ‘vibra soltanto l’asta di Bacco, la quale produce vino e non sangue; e come difesa per i nostri campi è sufficiente la schiera di quelle spade verdi e tenere, le canne, che, nate sulle rive, si scontrano tremanti con le onde’; su Bacco che fa scaturire il vino dalle rocce vd. Orazio, Carm., II 19 10, quindi la raffigurazione di Bacco entro un idillio della Sampogna, Arianna, 108- 121 (e vd. Alciato, Emblemata, XXV, pp. 115-123). 156. Vd. ancora Tasso, Liberata, VII 8-9 (in particolare per i vv. 5-8, nel sottolineare come gli umili pastori non siano mai colpiti dall’ira de’ grandi). 2. crollar: ‘scuotere’. 3-4. pacifici ... tempesta: ‘ma l’attacco di preoccupazioni insonni non viene a turbare e interrompere mai pensieri di pace’. 5-6. E se ... testa: allusione ai fulmini di Giove, che talora si abbattevano sulle querce; vd. Dante, Par., XVII 133-135. 157. 2. ne meno: ‘conduco’. L’immagine è ancora prossima a quella tassiana di Liberata, VII 11 («Così me ’n vivo in solitario chiostro»). 3. tristi orrori e foschi: ‘le ombre più oscure e angosciose’. Il culmine della felicità pastorale è in quell’immagine, ossimorica, di fiere innocenti che si aggirano senza produrre timori o recare danno. 158. 4. che mi giunse a veder: ‘che mi sorprese ad ammirare’. A fronte della Filli qui evocata, la donna che accompagna Clizio nello Stato rustico è Euterpe (mentre Filli è uno dei nomi di donne che punteggiano le Rime mariniane del 1602). 6. arda e sfavilli: ‘bruci e risplenda’; per l’immagine vd. Rime marittime, 13 10, quindi Dafni, 175 («al’ardor di quel foco, onde sfavillo»), ma con precedenti tassiani e prima ancora petrarcheschi. 7-8. e vo’ ... ossa: ‘e voglio che una medesima sepoltura raccolga le ceneri del fuoco amoroso e del mio stesso corpo’, ad indicare come la passione possa estinguersi solo con la morte. L’accensione del versante lirico si segnala per l’immediato emergere di immagini e motivi tradizionali, abbondanti nell’ottava successiva. 159. Per questa ottava, che scorre senza innovazioni rispetto al patrimonio petrarchesco, Stigliani, Occhiale, p. 146, segnala: «Concetto del Petrarca». 3. strazi: ‘sofferenze’. 5. vaga: ‘desiderosa’. 7-8. e ’n ... core: ‘e il cuore ricerca volontariamente di rinchiudersi prigioniero in quegli occhi nei quali ha sede la sua sofferenza’. 160. 3. tuguri: ‘luoghi umili’ (vd. Tasso, Liberata, IX 10). 5-6. sazio ... l’amo: ‘sazio di quei piaceri cattivi che attirano con un’esca dolce a essere catturati da un amo doloroso’. 161. 1. selvaggia: ‘selvatica’. L’immagine, precisamente riferita all’età dell’oro, era di uno scorcio importante del Mondo creato tassiano (VI 1838 sgg.). 3-4. ch’ancor ... armonia: ‘che [della vita rustica] cantai con versi pastorali già nella patria spiaggia di Giano (a Genova)’. Si esplicita qui l’identificazione di Clizio con l’Imperiali: la presenza di questi versi già entro Adone 1616 attesta, come era del resto verosimile, che l’omaggio fu concepito durante la stagione italiana del Marino e non è improbabile sia