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Tracce svolte - Prova scritta - TFA sostegno, Schemi e mappe concettuali di TFA Sostegno

Tracce svolte degli argomenti fondamentali per poter svolgere la prova scritta. Da esperienza fatta è possibile studiare da questi appunti per superare la prova senza difficoltà.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

In vendita dal 08/10/2021

Teacher69
Teacher69 🇮🇹

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Scarica Tracce svolte - Prova scritta - TFA sostegno e più Schemi e mappe concettuali in PDF di TFA Sostegno solo su Docsity! PROVA SCRITTA Sommario 1) METODOLOGIE DIDATTICHE...............-sr0vrrrrrrerrer serie eresse eee eee ene arene ene ere eee ere eee ere eee ene arene nie nesiceneneo 4 2) GIOCO DI FINZIONE...............s-sserserrerrerrnsre rene ese e see see see see see eee ese ese ee ee ee ese eresse ese nie eee sica nine niennenee 5 3) LEARNING BY DOING - DEWEY. 4) IMPARARE AD IMPARARE. 5) PROGETTAZIONE DI UNITA DI APPRENDIMENTO..................scrvrvrrrerresresee senese scese se esce see seeneeneeneee 7 6) LABORATORIO..................srrsrrsrrsrrsse eresie see ese eseseeee ose sie nie nie eee sesso see eee eee eze nie neenieeeeenee ene sie nie nieneneee 7 7) COOPERATIVE LEARNING........................ssrssrerrerresee see re ese e rene neeeeenienienienionionienieniee nine sie arene nienieneo 8 8) APPRENDIMENTO COOPERATIVO.....................-ssrrsrrrcrscese ese resse ese sese ese ese ese ese ese eee eee eee eee eee nenenee 8 9) DIDATTICA COOPERATIVA E DIDATTICA METACOGNITIVA.................s.rscrsrrsrrereere eresse esce re szenieneo 9 10) PROCESSO INSEGNAMENTO - APPRENDIMENTO. 11) CONOSCENZE, ABILITA’ E COMPETENZE NELLA SCUOLA PRIMARIA. 10 12) CRESCITA DEL PENSIERO SECONDO VYGOTSKIJ................ssvrcsererere cer ece eee sese e rese aree eenienionine 10 13) BRAINSTORMING...............cscvrrrreririre rire ci ceri eeeereeie eee iereeieeeeie eee eie eee reeie eee eee ei eenie einen 11 14) BRAINSTORMING 2............cscrrrrrererererizeceez ere eeeine eee eee eine eiee eine einen einio eine eine ee einezieninezenete 11 15) STRUMENTI DISPENSATIVI.................vsrrerrrereeie rese ne eieneeeie re eeereeeieeeeieieee ie eee ie eee se eieieeninee 12 16) STRUMENTI COMPENSATIVI...............\scssrereereeresiseseeeee eresse eee ee eee ieerie ee eeee ee eee ee esere ni cenienionene 12 17) STRUMENTI COMPENSATIVI DISCALCULIA.. 18) STRATEGIE CREATIVE NELL'AMBITO LOGICO MATEMATICO..............\cvcsererereririezez ice sez eee ene 14 19) VALUTAZIONE STUDENTI CON DISABILITA” ................-sv.rrreririririsiceresizeris ice rie ice e seine eenio einen 14 20) PROBLEM SOLVING.................cscsrrrrerererice rese ce venere rese re reeeceeeeeieiee eee eee ie eri eee eee eeeeie ninni 15 21) PROBLEM SOLVING 2.............cvcrcrrrrrerereeeresez eee eee resize res ee eee ee eee eee ree ee eize zio iee sini nese ee ein zinionenete 15 22) PROBLEM SOLVING 3..........cccrrrcrerrrerereseres eee resize rie ee eee eee ree ee esee ez enie ee eize zio nie eeei ne eioiee sione nionenene 16 23) DIDATTICA PER COMPETENZE..............\sccrrrreeriereesie ie eseeieesie ie ee see rie eee see ee eee ee eee ee eee ie enieienionene 16 24) DIDATTICA PER COMPETENZE 2. 25) DIDATTICA LABORATORIALE E INCLUSIONE................\crcrrcrreereeriz ie eree ee ee eee ee eee re eee eezio ei nzenee 17 VOL AA 18 27) VANTAGGI DELLE TIC...............-s\rcrrrereseresisezes eee cere civas ese sen eee eee aeree eee see e cene ceri ni eee ne einen ee einineznne 18 28) TIC E COOPERAZIONE.............ccsrrrrerrrrceriereesesizesieieeseeieezieizezeeieezieeeeee riesi einiein e eeein eee eineinienee 19 VOI TETRA 19 30) TIC E INCLUSIONE... 31) STILI COGNITIVI E MEDIAZIONE DIDATTICA...........\0vvcrcrrceree serie seeree seri ez ice rece niere ce niene ce nioneneoe 20 32) MOTIVAZIONE INTRINSECA ED ESTRINSECA..............0srrerriricire rire re eieree ere eeei irene 21 33) MOTIVAZIONE BANDURA.................csrrrrcrrreeriereereeieesizieesiereereeize rie ie eee ee eee ie eee seenezie ni einienionee 21 PROVA SCRITTA 34) MASTERY LEARNING E TASSONOMIA DI BLOOM.................\-vcrrrreerisizi risse eee sce riesieeeieninieeee 22 35) APPRENDIMENTO PER INTUIZIONE GESTALT.. 36) APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO AUSUBEL. 23 37) LOCUS OF CONTROL.................-.-svrcsrrrrererer ere eee ere eee eee eeeenieieenieieeieinezieiee ieri ee eieerieeeerie einen 23 38) INTELLIGENZE MULTIPLE GARDNER............-s\vvcrrrrcereeieereeieereeieereeieeee ie eee ie eree ie nie neie eee nineznnee 24 39) STILI COGNITIVI DI APPRENDIMENTO................cs\ccrcrrereeres iis eeeieren eresie ere eeeieee eee acne eee nineznnee 24 40) AUTOEFFICACIA BANDURA............\s\vcrrreririerieeierie ice ee eeee eee ee ece ee nieeee eee ee eine cenere einen eee ninna 25 41) DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA E PERSONALIZZATA............\.v\rerrrerirerereri sive e cirie nice ni ez einen 25 42) DIDATTICA INCLUSIVA.. 43) BES E STRUMENTI PROGETTUALI....................\scrcrrrerisezeris eee ee eieren eresie eine eeeine eine eine eeeinineineee 26 44) RUOLO DELL'INSEGNANTE DI SOSTEGNO....................vsrrrcrrrereeeereeeeiee ere eeeeeeieieeeeie iene 27 45) DIFFERENZA TRA INCLUSIONE E INTEGRAZIONE..............ccv\rrrrrrsreeree serie sere ce riore ce niee ci niozenee 28 46) RICONOSCERE E VALORIZZARE LA DIVERSITA'... 47) VALUTAZIONE SOMMATIVA E VALUTAZIONE FORMATIVA..............svrrcrrrereenie ere ire ere rinne nea 29 48) EFFETTI DEI FATTORI SOCIALI SULL’APPRENDIMENTO...............0\scrcrrrerisice rece eioeceriee ce nioneneee 29 49) PEI.. 50) PEI E SOTTO OBIETTIVI.............-cvvcsrrrrererreereeieeree ere ee rione ere ee eee ee eee nere ne eieeeeeicerieeieeeieninininee 30 51) MODELING - APPRENDIMENTO PER IMITAZIONE BANDURA................\s\crrrrcrreerie ieri nio neenee 31 52) FASI DEL CALCOLO MENTALE..............\svscserericeeeseceeeeeeineeieeeeeieine eee eine siii eine eine ein eni nie 31 53) RUBRICHE VALUTATIVE.............-srvrerererere zeri ce sere ci see eeeine eine ee eee eee eee niziie eee ie ezine eee ninni ee eineznnee 31 54) RUOLO DELL’AMBIENTE.............\scvrrerererere cere re serene eeeeeeei eee ie eeeiee rie ieeeeieereeiee rie iee rie ieezizizenine 32 55) TIPI DI APPRENDIMENTI DESCRITTI DA GAGNE”, 56) APPRENDIMENTO SITUATO E COMUNITA’ DI PRATICHE. 34 57) TASK ANALISIS (ANALISI DEL COMPITO))............\vxcsrrereririri rire ere rire rei eiei ere eiei irene 34 58) AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA.................\cssrrrrerisizes ie ese ie eee ee eresse eresie eee ee eee ne eiee ee eeez ee ezezezee 35 59) CLIMA DI CLASSE.............vccrrrrreresereriz eee ee eee ez eresie eine ne eiee ne eiee ne eioe ee eieee eine eenioe einen eee nin ez ne ninezinee 35 60) INTELLIGENZA EMOTIVA.............cc\rrerrrereris eresie einen eee ee eee ee eee ee eee ne eiee ee eee ee ere ne eire ninni eee nzenee 36 61) INTELLIGENZA EMOTIVA 2..........csrrrcrrrererereerieseereeieereeieeseeieeseeizerie ie ezee ie eee ie eee ie eezie ei eine nionee 36 62) INDICATORI INTELLIGENZA EMOTIVA... 63) INTELLIGENZA EMOTIVA E APPLICAZIONE NEL CONTESTO CLASSE...............0\rrserrrrereceeinzeneee 37 64) RUOLO DOCENTE INTELLIGENZA EMOTIVA.............\csrrrereririce cere ci serene cinici eee ieri einen eine ninezenee 38 65) INTELLIGENZA E INTELLIGENZA EMOTIVA...........\.vvcrrrrcereeieeree resize ceeeereie scene eieee eee ei ee eineninee 39 66) EMPATIA............cccvvrcrrrerere cenere cere re eee e ce eeeeeeiee ieri neri eeei eine eee eeeeieiee i eeee i eeeeieieeeie nice ie einen 39 67) EMPATIA CARL ROGERS................\svcrrrreereeieesesieereeieesee ie ezeeizenie iene ee eee ee eee ee eee ne eee ie eezeeezezezee 40 PROVA SCRITTA Tutoring Il tutoring è una modalità operativa basata sulla collaborazione tra alunni, uno nel ruolo di tutor e uno in quello di tutee. Questa modalità di aiuto è capace di produrre benefici effetti su entrambi gli alunni impegnati nell'attività ed è in grado di influire positivamente non solo sugli aspetti didattici ma anche su quelli legati alla motivazione verso gli impegni scolastici, al consolidamento degli apprendimenti, al miglioramento del rapporto interpersonale e dei livelli di autostima. Didattica laboratoriale La didattica laboratoriale si basa sulla capacità di coinvolgimento degli alunni e permette loro di sperimentare modalità di apprendimento significativo basate su abilità, conoscenze e competenze scolastiche ed extrascolastiche. Le pratiche laboratoriali promuovono la ricerca, la problematizzazione, la motivazione, la metacognizione, la partecipazione attiva di ciascun alunno e l’aiuto reciproco, utilizzando strategie di insegnamento basate sul fare e favorendo la socializzazione e l’interdisciplinarietà. Didattica metacognitiva La didattica metacognitiva è orientata a favorire negli alunni lo sviluppo di abilità mentali di autoregolazione che vanno oltre i processi cognitivi primari (ricordare, leggere, calcolare, ecc.). Il docente fornisce agli alunni una serie di informazioni sui processi cognitivo-emotivi legati all'apprendimento (come funziona la memoria, la percezione, l’attenzione, il planning, il problem solving, la letto-scrittura, la varietà delle intelligenze, ecc.) per favorire lo sviluppo dell’'autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo, dei punti di forza o delle eventuali difficoltà individuali specifiche, l'utilizzo generalizzato di strategie di auto-regolazione cognitiva e di mediazioni cognitivo-motivazionali ed emotive. Classe capovolta o flipped-classroom È una modalità di apprendimento-insegnamento che consiste in un sostanziale ribaltamento della classica lezione in aula: prima l'alunno apprende in maniera autonoma attraverso la visione di video o la lettura di materiali in ambiente extrascolastico e successivamente il docente aiuta gli alunni a rielaborare i contenuti studiati, ad approfondirli e sistematizzarli attraverso modalità di lavoro cooperativo e personalizzato in classe. Sfruttando le potenzialità dei nuovi dispositivi digitali e multimediali si scompone dunque la lezione in diversi momenti, dentro e fuori dalla classe. 2) GIOCO DI FINZIONE Negli spazi della scuola dell'infanzia il gioco di finzione è l’attività ludica spontanea più facilmente osservabile per la forte caratterizzazione in questa fascia d'età del gioco simbolico. Il gioco del «far finta» attiva diverse aree del cervello: area emotiva, cognitiva, del linguaggio e delle azioni senso motorie. Emerge da alcune ricerche una correlazione significativa tra gioco simbolico e sviluppo del problem solving (i bambini simulano i problemi concreti e la ricerca di strategie risolutive). Il gioco simbolico stimola lo sviluppo del linguaggio, che da monologo interiore diventa accompagnamento ad azioni che il bambino compie con funzione autoregolatoria («Ora prendo l'uovo e la pentola per fare la frittata»). Le competenze diventano ancora più complesse quando i bambini iniziano a mettere in scena delle situazioni, assegnano ruoli a persone o oggetti per poi passare al dialogo tra soggetti presenti o immaginari. Ripercorrere più volte gli stessi temi incoraggia lo sviluppo di un lessico variato nel mettere in scena ciò che si costruisce nella mente, perché il linguaggio è la forma esterna ed esplicitata del pensiero. Ascoltare l’organizzazione linguistica del bambino permette all'insegnante di capire come è organizzato il suo pensiero. A volte ad essere messi in scena nei giochi di finzione sono episodi e contesti del proprio vissuto che hanno necessità di essere rivissuti e elaborati nel mondo protetto della finzione, dove il bambino ha modo di trovare nuovi significati delle esperienze, sviluppare autoconsapevolezza e sperimentare diversi punti di vista, imparano a riconoscere le proprie e le altrui emozioni e ad avviare la prosocialità attraverso il pensiero empatico (cosa pensa o prova l’altro in questa situazione?). Quando i bambini invece attivano scenari diversi dal quotidiano, immaginandosi diversi o proiettandosi nel mondo adulto, superano il «qui ed ora» esprimendosi liberamente senza paura di essere giudicati ed esercitano immaginazione e creatività. Nel gioco di finzione i bambini e le bambine possono rielaborare esperienze negative, facendo emergere e comunicando emozioni e pensieri che alcune esperienze particolarmente forti possono aver bloccato. Lutti, brusche separazioni, fuga da Paesi in guerra, ricoveri ospedalieri prolungati sono esperienze presenti tra i bambini che frequentano la scuola dell'infanzia e devono essere accolti i Bisogni Educativi Speciali che ne derivano: il gioco di finzione spontaneo permette all’insegnante di comprendere maggiormente le difficoltà, PROVA SCRITTA di supportare contrastando la fragilizzazione emotiva, l'ansia connessa a malattie o a sradicamento relazionale, la frammentazione dell'identità, l'isolamento e la regressione cognitiva e di restituire momenti di benessere fondamentali per lo sviluppo globale dei bambini. 3) LEARNING BY DOING - DEWEY Per J. Dewey, il pensiero si attiva una volta colto uno stimolo esterno o avvertita una difficoltà che ci impedisce di compiere qualche azione, e diventa la via più adatta per riuscire a perseguire il nostro intento. Dato il ruolo centrale dell'esperienza, la forma imprescindibile dell’apprendere passa attraverso il fare esperienza che attiva contemporaneamente corpo e mente. | bambini della scuola dell'infanzia si trovano nella fase dello sviluppo preoperatorio, molto è ancora legato alla concretezza del fare, e quando li si osserva si percepisce come il loro operare su un obiettivo li coinvolga globalmente nella sfera corporea, cognitiva, affettiva e relazionale rendendoli gli attori principali nella costruzione dei loro apprendimenti. Attraverso il fare esperienziale i bambini mantengono la motivazione a perseguire l’obiettivo; non è un caso se gli ambiti che definiscono i contenuti di apprendimento della scuola dell'infanzia vengono chiamati nelle Indicazioni per il curricolo «campi di esperienza». La scuola dell'infanzia è stata infatti definita (Legge n. 53/2003) come ambiente educativo di esperienze concrete e di apprendimenti riflessivi che integra, in un progresso di sviluppo unitario, le differenti forme del fare, del sentire, del pensare, dell'agire relazionale, del comunicare. Attraverso l'esperienza il bambino costruisce e s'impadronisce, nel confronto con l’altro, di strumenti mentali che gli consentono d'imparare in tutto l’arco della vita. La metodologia laboratoriale rientra pienamente in quest'ottica di costruzione delle competenze attraverso il fare, in modo attivo e significativo. Il laboratorio è uno spazio attrezzato (interno o esterno) con diversi materiali e strumenti nel quale si lavora per raggiungere uno scopo e dove l’attività è frutto di un progetto pensato e condiviso, infatti il laboratorio è il luogo d'incontro delle idee e prassi dei bambini. Il laboratorio è il mezzo, non il fine, quindi, partendo da uno spazio e materiali organizzati, i bambini compiono azioni che progressivamente dirigono a uno scopo; inizialmente il bambino si adegua alle potenzialità consentite dai materiali e strumenti utilizzati, poi, nel loro utilizzo, imprime l'impronta del proprio stile, delle proprie teorie o della condivisione in comune delle idee che funzionano. Nel laboratorio il bambino sperimenta l'autonomia nello svolgimento delle attività e l'assunzione di responsabilità di risultato. Lo sviluppo di una competenza avviene attraverso l'interazione (funzionale) del bambino con il gruppo; in molti casi, soprattutto se guardiamo al laboratorio come esperienza per tutti, anche ai bambini con BES, la molla per la soluzione è l’altro, il compagno vicino o il gruppo. Il laboratorio non è un fare per fare disordinato, ma un processo ordinato e organizzato. È qui proprio che sta il compito dell'insegnante, nel progettare e organizzare il laboratorio tenendo conto delle potenzialità e interessi dei bambini ponendo come stimolo un problema di rilievo, degli obiettivi che si vogliono raggiungere, supportare nel momento attivo il confronto delle idee per comprendere l'opportunità della messa in comune di competenze diverse, negoziare insieme le regole, ripartire consegne e responsabilità individualizzate, collaborare per un obiettivo e prodotti comuni. 4) IMPARARE AD IMPARARE Le Indicazioni nazionali propongono una serie di suggestioni culturali e pedagogiche orientate a dar senso alla varietà delle esperienze degli studenti e mirate allo sviluppo di competenze di cittadinanza attiva e sostenibilità. A tal fine propone esperienze di apprendimento significativo che, come sostiene Novak, stanno alla base dell'integrazione costruttiva di pensieri, sentimenti e azioni e inducono all’empowerment finalizzato all'impegno e alla responsabilità di ciascuno. Tutto ciò attraverso la valorizzazione dell’unicità e dell'identità culturale di ogni studente, in modo tale da formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività sempre più ampie e composite. Imparare a imparare è una delle competenze chiave delineate dal Consiglio dell’Unione Europea e rappresenta il presupposto fondamentale per esercitare il diritto alla cittadinanza. Comprende la consapevolezza dei propri bisogni e delle proprie modalità di apprendimento, l’identificazione delle opportunità disponibili e la capacità di far fronte agli ostacoli per apprendere in modo quanto più efficace possibile. Coinvolge inoltre simultaneamente una serie di aspetti metacognitivi e metodologici (consapevolezza dei processi mentali attivati, dei propri bisogni, punti di forza e di debolezza, conoscenza e scelta delle strategie di studio e degli strumenti più efficaci in base al proprio stile di apprendimento, gestione del tempo e delle risorse disponibili). Troviamo dunque numerosi punti di contatto con la didattica metacognitiva, finalizzata a PROVA SCRITTA favorire negli alunni lo sviluppo di abilità mentali di autoregolazione e di consapevolezza sui processi cognitivo-emotivi legati all'apprendimento (memoria, percezione, attenzione, planning, problem solving, varietà delle intelligenze, ecc.) e con la didattica per competenze. Attraverso differenti modalità di insegnamento- apprendimento collaborativo e cooperativo, così come proposto dai fratelli Johnson, la scuola cerca inoltre di favorire negli alunni lo sviluppo del pensiero creativo per imparare a esprimere ed elaborare differenti contenuti emotivi, cogliere emozioni e punti di vista altrui, esplorare novità e nuove possibilità, comunicare in modo funzionale e sviluppare abilità di problem- solving emotivo, affinché si realizzi un apprendimento significativo così come suggerito da Ausubel. 5) PROGETTAZIONE DI UNITA DI APPRENDIMENTO Alla luce delle Indicazioni nazionali del 2012 e del 2018, la scuola italiana cerca di proporre ai propri studenti un approccio per competenze che supera la logica dell'insegnamento fondato principalmente sui contenuti disciplinari, e si propone di realizzare dei percorsi formativi in cui tutti gli alunni, con i loro diversi stili di apprendimento o Bisogni Educativi Speciali e attraverso approcci cooperativi e laboratoriali, possano sviluppare al massimo grado le proprie potenzialità sulla base delle otto competenze chiave per l'apprendimento permanente, definite dalla Commissione Europea nel 2006 per favorire la realizzazione personale, la cittadinanza attiva, la coesione sociale e l'occupabilità in una società sempre più complessa. L'Unità di Apprendimento (UdA) è centrata sulle competenze degli alunni e sulla loro azione autonoma, è infatti costituita primariamente da un'attività di gruppo condotta autonomamente dagli studenti con la mediazione didattica del docente. Essa può durare pochi giorni, alcune settimane, diversi mesi o addirittura un intero anno scolastico, può coinvolgere numerosi docenti del Consiglio di classe e prevedere attività interdisciplinari, in questi casi può richiedere uno sforzo di progettazione e di condivisione notevole. Partendo dalle competenze degli allievi e mediante la realizzazione di un prodotto, l'Unità di Apprendimento favorisce l'acquisizione di nuove conoscenze, abilità e competenze che verranno valutate dal docente attraverso l’analisi dei processi, dei prodotti e la riflessione-ricostruzione da parte degli alunni. Il docente, attraverso l'osservazione e la compilazione di griglie o diario di bordo, cercherà di valutare le modalità con cui lo studente affronta il compito, la sua capacità di pianificare le attività, collaborare con gli altri per risolvere i problemi, gestire il tempo e affrontare i conflitti. Progettare un'’Unità di Apprendimento nella scuola primaria significa dunque effettuare una buona analisi preliminare del contesto classe e dei pre-requisiti, esplicitare operativamente i destinatari e gli obiettivi di apprendimento, le competenze chiave/culturali, le abilità e le conoscenze riferibili alla singola competenza, le risorse umane, gli strumenti e i materiali previsti, la sequenza delle attività proposte, i tempi di realizzazione e i prodotti attesi, le metodologie didattiche utilizzate e le modalità di verifica/valutazione e autovalutazione dei risultati raggiunti. 6) LABORATORIO Il laboratorio scolastico, quale spazio specifico di ricerca e sperimentazione metodologico-didattica sui processi d’insegnamento-apprendimento, risale alla seconda metà dell'Ottocento e si sviluppa soprattutto nel Novecento. Le prime forme di laboratorio e il concetto stesso di didattica laboratoriale derivano addirittura dai primi studi di Comenius, passando poi per Pestalozzi, Dewey, Decroly, Montessori, per giungere al Ventesimo secolo con Radice e Castelnuovo. Attraverso le attività laboratoriali, l'allievo può compiere numerose osservazioni e molteplici esperimenti, procedendo per prove ed errori, verificando continuamente le ipotesi da cui è partito e formulando eventualmente nuove ipotesi da verificare successivamente. L'azione del docente mira a promuovere gli interessi spontanei degli alunni che verranno coltivati e permetteranno al singolo o al gruppo di operare efficacemente sul piano educativo, in collaborazione con le altre agenzie educative del territorio. La didattica laboratoriale permette dunque a tutti gli alunni di sperimentare modalità di apprendimento significativo intrecciando abilità, conoscenze e competenze scolastiche ed extrascolastiche. Le pratiche laboratoriali, di cui ampiamente si parla nei documenti nazionali, costituiscono parte integrante delle attività educative e didattiche scolastiche e promuovono strategie di insegnamento basate sul fare e non solo sull’ascoltare/pensare/dialogare: il metodo della ricerca incoraggia la progettualità e l’interdisciplinarietà, la ricerca di spiegazioni scientifiche ai diversi problemi che si presentano durante il lavoro e la formulazione di ipotesi e soluzioni sulla base di dati oggettivi. Permettono inoltre agli alunni di sperimentare e imparare attraverso le mani, il corpo e non PROVA SCRITTA utilizzo di supporti visivi, strumenti compensativi, ecc.), anche in base alla natura e alla tipologia dell'argomento trattato o del compito da affrontare. L'azione dell'alunno si basa dunque su un qualche tipo di stimolo (input) che può consistere, ad esempio, nella lettura di un testo o in una richiesta che prevede indicazioni verbali, ecc., ed è seguita da un risultato a cui, a sua volta, segue un feedback che diviene un nuovo input, in una sorta di continuo moto circolare in cui si inserisce la mediazione didattica dell'insegnante. Il centro del processo di apprendimento è proprio l’azione del soggetto che apprende che, quando esposto a un input, attiva primariamente strategie attentive e percettive affinché possa aver luogo la fase di comprensione. La fase di comprensione dell'input è cruciale per lo svolgimento adeguato di una consegna e attiva una serie di operazioni mentali e abilità come il comportamento esplorativo pianificato, il riconoscimento di termini e concetti, il bisogno di accuratezza nella raccolta dei dati o la capacità di considerare due o più fonti di informazione contemporaneamente. La fase successiva è quella di elaborazione, che, a sua volta, attiverà altre operazioni mentali, come la selezione e la scelta degli elementi più pertinenti per lavorare su un compito, il problem solving, il ragionamento logico, le abilità deduttive e inferenziali, le operazioni di confronto/comparazione/ scelta, la generalizzazione di principi e azioni o la pianificazione delle azioni necessarie alla produzione dell’output. La fase di generazione dell’output, infine, prevede anch'essa una serie di operazioni, tra le quali: pianificazione accurata, attivazione singola o simultanea delle diverse componenti dell’azione (cognitiva, motoria, verbale, ecc.) e precisione/accuratezza nello svolgimento dell’azione, controllo del ritmo e dell'investimento energetico. Chiaramente questa tripartizione è estremamente riduttiva e generica, ma è didatticamente molto utile per riflettere sulle diverse tipologie e forme di input che è possibile offrire agli allievi, sui diversi aiuti che possono essere previsti in base alle specifiche necessità o Bisogni Educativi Speciali del singolo alunno. 11) CONOSCENZE, ABILITA’ E COMPETENZE NELLA SCUOLA PRIMARIA La didattica per competenze si propone di realizzare dei percorsi formativi inclusivi in cui tutti gli alunni possano trovare la possibilità di esprimere le proprie potenzialità. Le Raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea del 22 maggio 2018 definiscono otto competenze chiave europee: competenza alfabetica funzionale, competenza multilinguistica, competenza matematica e competenze in scienze, tecnologia e ingegneria, competenza digitale, competenza personale-sociale e capacità di imparare a imparare, competenza in materia di cittadinanza, competenza imprenditoriale e competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturale. Le conoscenze possono essere teoriche o pratiche, rappresentano il risultato dell’assimilazione di varie informazioni attraverso il processo di apprendimento e consistono in principi, teorie e pratiche relative ad una disciplina, un campo di studio o di lavoro. Le abilità invece indicano la capacità di utilizzare e applicare le conoscenze per risolvere problemi o svolgere dei compiti specifici. Vengono descritte come cognitive le abilità che presuppongono l’uso del pensiero logico, deduttivo, intuitivo e creativo e/o come pratiche le abilità che implicano capacità manuali, utilizzo di materiali e strumenti. Le competenze costituiscono la comprovata capacità di utilizzare le conoscenze e le abilità personali, sociali e metodologiche acquisite in situazioni di studio/lavoro e vengono descritte in termini di autonomia e responsabilità. Ad esempio, per un meccanico è la differenza tra sostituire/riparare un radiatore (conoscenza), analizzare la situazione del motore per capire che il radiatore è danneggiato e sostituirlo o ripararlo (abilità) e relazionarsi con il cliente, rassicurarlo, spiegargli cosa è successo e poi sostituire o riparare il radiatore e fornire suggerimenti per un utilizzo futuro (competenza). Di seguito, invece, un esempio tratto dalla programmazione individualizzata di un bambino con disturbo dello spettro autistico. Conoscenze: riconoscere i compagni di classe, i docenti e le altre figure di riferimento. Abilità: verbalizzare il nome dei compagni, dei docenti e delle altre figure di riferimento. Competenze: riconoscere i compagni e saper utilizzare i loro nomi per salutarli o chiamarli. 12) CRESCITA DEL PENSIERO SECONDO VYGOTSKIJ Vygotskij teorizza come l'apprendimento abbia una natura prevalentemente sociale: il bambino apprende grazie all'interazione con il mondo circostante e grazie al rapporto con gli altri. Questo studioso conia l'espressione «zona di sviluppo prossimale» per indicare le acquisizioni che il bambino può raggiungere PROVA SCRITTA grazie all'interazione con qualcuno di più competente. Ogni nuova acquisizione, inoltre, segna l’inizio e costituisce la base di uno sviluppo successivo. Strategie didattiche che si vogliono ispirare a questo teorico devono avere, quindi, una natura sociale: la possibilità di far interagire i bambini con adulti o pari più competenti permette loro di affrontare situazioni scolastiche leggermente superiori rispetto al loro livello di competenza. In questo modo la zona di sviluppo del bambino si amplia ed egli diventa quindi capace di eseguire in autonomia un compito che prima non riusciva a svolgere, e così procede nel suo percorso di apprendimento. La crescita del pensiero viene quindi sostenuta dall'interazione con altri più competenti. Applicazioni di questi principi si possono trovare nelle esperienze di apprendistato cognitivo e di apprendimento per scoperta guidata. Secondo l’apprendistato cognitivo, le funzioni cognitive più complesse si sviluppano attraverso la collaborazione con individui più esperti, che fungono da modelli per lo studente, proprio come avviene durante l’apprendistato di un lavoro. Lo studente acquisisce nuove competenze e abilità grazie al rapporto di apprendistato, dove si allena e viene guidato in un nuovo compito dall'esperto, riceve da lui feedback e viene gradualmente sempre meno supportato, fino a che arriva a saper lavorare in autonomia. Nell'apprendimento per scoperta guidata, l'apprendimento viene equiparato a una «scoperta guidata», in cui l'insegnante è responsabile e facilitatore. Il docente modella, incoraggia, forma e trasforma, guida alla scoperta di nuove competenze e conoscenze. Gli studenti imparano a imparare e diventano costruttori attivi di conoscenza. In queste strategie didattiche, quindi, il ruolo dell'insegnante o di pari più competenti è molto rilevante e permette lo sviluppo di funzioni cognitive anche complesse. 13) BRAINSTORMING Il termine inglese brainstorming significa letteralmente «tempesta di cervelli». Questo vuol dire molto sinteticamente che i bambini sono invitati a produrre in modo creativo tutte le idee che vengono loro in mente su un tema dato. A coniarlo fu, alla fine degli anni Trenta, il pubblicitario Osborne, che stabilì le regole principali di questa tecnica di lavoro: non porre alcuna critica alle idee altrui; accettare serenamente tutti i capovolgimenti di idea; dare inizialmente più importanza all'aspetto quantitativo delle informazioni che non alla qualità delle stesse, la quale verrà, invece, valutata in un secondo momento. L'applicazione di questa tecnica nel contesto scolastico è molto utile. Infatti permette di allenare il pensiero divergente, l'ascolto attivo e consente a tutti di partecipare secondo le proprie capacità. Qualora si volesse utilizzare questa tecnica in classe sarebbe molto importante predisporre l’ambiente in modo che il dialogo tra gli studenti sia facilitato. È anche necessario individuare uno studente o l’insegnante stesso che possa raccogliere le idee che poi verranno valutate in un secondo momento. Si può applicare questa tecnica a contesti molti diversi. Si può immaginare di applicare questa tecnica a situazioni scolastiche in cui sia saliente una componente creativa. Se, ad esempio, si vuole lavorare sulla soluzione di un problema, si può utilizzare la tecnica del brainstorming per stimolare gli studenti a produrre tutte le possibili soluzioni che vengono loro in mente per arrivare al completamento del problema. In questo modo si può anche passare agli alunni il messaggio che anche in una materia come la matematica, in cui sembra che le procedure siano molto rigide, è fondamentale la creatività per affrontare certe tipologie di esercizi. Un'altra attività scolastica in cui si può utilizzare il brainstorming è il momento della generazione di idee durante il processo di stesura di un testo. A volte, infatti, gli studenti faticano a scrivere un testo ricco di contenuti e questa tecnica potrebbe aiutare ad allenare un pensiero creativo che riesca a recuperare più informazioni possibili sul tema di cui si deve scrivere, prima che queste vengano selezionate ed organizzate per arrivare a un testo coeso e coerente. Questi rappresentano solamente due esempi dell’applicazione della tecnica del brainstorming in contesto scolastico, che vogliono evidenziare come sia possibile utilizzarla in materie diverse e con fini differenti. 14) BRAINSTORMING 2 Il brainstorming è un tipo di intervista di gruppo a basso grado di strutturazione, che trae ispirazione dalla pratica di conduzione aziendale di una riunione creativa proposta dal pubblicitario Alex Osborn negli anni Cinquanta. Il termine viene tradotto in italiano sia come «assalto mentale» (dal verbo to storm = assaltare + brain = cervello) che, più comunemente, come «tempesta di cervelli» (dal sostantivo storm = tempesta + brain = cervello). Il brainstorming prevede l'emergere delle idee del gruppo rispetto a un dato argomento PROVA SCRITTA attraverso il gioco creativo dell’associazione di idee, al fine di definire diverse possibili alternative per risolvere un problema. Oltre che in campo aziendale, tale metodo può trovare applicazione in diversi ambiti educativi/formativi e può essere utilizzato sia con minori che con adulti. Nel contesto scolastico, in particolare, il brainstorming si caratterizza come attività collaborativa e inclusiva finalizzata ad attivare le conoscenze pregresse degli allievi o a generare nuove idee, stimolando la partecipazione, il coinvolgimento e la co-costruzione del processo di conoscenza attraverso il contributo di tutti. Operativamente il metodo si compone di due fasi: nella prima fase viene stimolato il pensiero divergente e si privilegia la quantità; tutti i membri del gruppo esprimono liberamente le idee riferite al tema indicato, accogliendo qualsiasi proposta senza avanzare critiche. Anche idee apparentemente bizzarre o improduttive, infatti, possono stimolarne di utili ed efficaci e questo aspetto contribuisce a ridurre l’inibizione e la paura del giudizio dei partecipanti. L'ordine degli interventi non è sequenziale o determinato a priori e ognuno può prendere la parola quando lo ritiene opportuno. Può essere utile designare un segretario (es. l'insegnante stesso o un alunno) che si occupi della raccolta delle proposte, riportandole man mano su supporti quali cartelloni, post-it, lavagne a fogli mobili o LIM. nella seconda fase si attiva il pensiero convergente e si presta attenzione alla qualità: le idee accumulate vengono analizzate criticamente, valutate e selezionate per individuare quelle più interessanti, adeguate e/o efficaci per rispondere al problema presentato. Durante tutto il processo il conduttore (docente) riveste una funzione fondamentale: egli, infatti, deve conoscere bene il problema da sottoporre, spiegare ai partecipanti le regole inerenti questa tecnica, stimolarne l'interesse e porsi con un atteggiamento incoraggiante di attesa fiduciosa. 15) STRUMENTI DISPENSATIVI Innanzitutto, è bene precisare che, soprattutto nella scuola primaria, sarebbe importante cercare sempre di sostenere lo sviluppo delle abilità deficitarie, vista la grande plasticità del cervello dei bambini, e fornire degli strumenti che compensino le abilità fragili, permettendo all’alunno di raggiungere gli obiettivi didattici della classe di appartenenza. Dopo aver appurato l'eventuale fallimento dell'intervento di supporto all’abilità deficitaria e dei sistemi compensativi, si può optare per la possibilità di dispensare l'alunno. Questa dovrebbe rappresentare una scelta da seguire in casi estremi: dispensare un alunno significa, infatti, scegliere di tutelarlo da eventuali ulteriori insuccessi, ma nella consapevolezza che ciò, diversamente dall'impiego degli strumenti compensativi, non lo porterà all'autonomia. Detto questo, le misure dispensative rappresentano una presa d'atto della situazione e hanno lo scopo di evitare, con un'adeguata azione di tutela, che il disturbo possa comportare un generale insuccesso scolastico con ricadute personali anche gravi. Una misura dispensativa che può essere trasversale ai diversi Disturbi Specifici dell’Apprendimento è la dispensa dall’uso dello stesso tempo dato alla classe per l'esecuzione di un'attività. Nel caso in cui non fosse possibile prevedere del tempo in più, si può optare per una riduzione del lavoro rispetto a quello dei compagni. Soprattutto in caso di verifica questo risulta molto importante. Infatti, caratteristica comune dei DSA è la mancata automatizzazione di un'abilità (decodifica nel caso della dislessia, recupero delle regole ortografiche nel caso della disortografia, capacità di eseguire dei calcoli nel caso della discalculia e fluidità del gesto grafico nella disgrafia): concedere del tempo in più, quindi, risulta molto importante in quanto è presente una generale lentezza proprio dovuta alla mancata automatizzazione. Questo, oltre che permettere una migliore esecuzione dell'attività da parte degli alunni, garantisce loro anche una maggiore serenità. Programmare le interrogazioni è un’altra misura di tipo dispensativo e può, anch'essa, essere utile per tutti i DSA. Vista la generale lentezza che caratterizza questi studenti nello studio e nelle attività scolastiche interessate dal loro disturbo, poter organizzare lo studio e la preparazione del pomeriggio risulta fondamentale, in modo da distribuire il carico di lavoro durante la settimana. 16) STRUMENTI COMPENSATIVI La normativa riguardante i Disturbi Specifici dell’Apprendimento e i Bisogni Educativi Speciali definisce come sia importante prevedere, per questa categoria di studenti, tra le altre cose, l'utilizzo di strumenti PROVA SCRITTA adeguate misure compensative o dispensative per lo svolgimento delle prove e, ove non fossero sufficienti, predisporre specifici adattamenti della prova, ovvero disporre, in caso di particolare eccezionalità, l'esonero dalla prova (Nota Miur n. 1865/2017). 20) PROBLEM SOLVING Fin dal 1994 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha posto la capacità di risolvere problemi e prendere decisioni fra le dieci competenze più importanti, addirittura vitali (life skills), nell'adattamento critico alla realtà. Certo, ci sono i problemi scolastici e i problemi reali, questi ultimi più ancorati ai bisogni e agli interessi vitali degli alunni. È difficile però per la scuola affrontare direttamente ed esplicitamente le questioni private degli alunni, che pure si intuiscono, ma può contribuire a formare e consolidare un atteggiamento positivo di fronte ai problemi in genere, di qualsiasi tipo: difficile convivenza nella classe, in particolare degli alunni con BES, compiti particolarmente impegnativi, esclusione da un gruppo, problemi logici, ecc. In tutti i casi, si presentano sempre delle costanti che, padroneggiate, concorrono a costituire una forma mentis da solutori di problemi. Le strategie didattiche da seguire sono sostanzialmente due: con la prima, più maieutica, l'insegnante è in una posizione più defilata, inteviene solo con domande, ma lascia che siano gli alunni a trovare una strada da percorrere; con la seconda la guida sarà più diretta ed esplicita, il percorso più monitorato e consapevole. In entrambi i casi è fondamentale la consapevolezza metacognitiva su come si procede o si è proceduti. Solo che si interviene in tempi e modi diversi. Le tappe del problem solving sono in ogni caso le stesse: identificazione del problema, accettazione della sfida, ricerca di strategie di soluzione, messa in atto della strategia prescelta, verifica e valutazione dei risultati. Se questi risultano inaccettabili o scadenti, occorre procedere a ritroso e ripartire da dove si è sbagliato. Contrariamente a quanto si crede, nell'affrontare i problemi la parte più difficile non è la soluzione, ma la loro individuazione e accettazione, come la psicanalisi ci insegna. Accettare l'esistenza di un problema e farsene carico, tollerando le frustrazioni di probabili seppure transitori insuccessi, non è per niente facile. Nella fase di ricerca di una strategia, uno strumento molto utile è il brainstorming, che serve ad avere una proiezione immediata, senza filtri o censure, di come il problema viene avvertito e che ci segnalerà le convinzioni, le distorsioni, i pregiudizi, le teorie ingenue che gli alunni, ma proprio tutti, possono avere su un certo problema che, rimanendo nascosti, difficilmente sarebbero scalzati, rischiando in una fase successiva di prendere il sopravvento. 21) PROBLEM SOLVING 2 La capacità di risolvere un problema matematico è un'attività che richiede l'attivazione di diverse componenti cognitive e metacognitive. Uno dei modelli che mette in evidenza quali sono le abilità che permettono lo svolgimento di un compito di questo tipo è quello di Lucangeli, Tressoldi e Cendron. Questi ricercatori teorizzano che siano necessarie queste abilità cognitive per risolvere un problema matematico: la comprensione del testo del problema sia da un punto di vista linguistico sia da un punto di vista matematico; la rappresentazione dei dati, delle loro relazioni e della/e domanda/e; la categorizzazione di un problema matematico rispetto a problemi con una struttura simile; la pianificazione delle azioni da eseguire per arrivare alla soluzione; le capacità di calcolo che permettono di risolvere le operazioni pianificate. Sarebbe poi auspicabile fossero attivate almeno due abilità metacognitive: la capacità di monitorare quanto si sta facendo e la capacità di autovalutare la sensatezza del risultato a cui si è giunti. Queste abilità non si susseguono in modo gerarchico, ma vengono utilizzate in un flusso continuo, in cui un'abilità sostiene l’altra. Quest'ambito dell’apprendimento permette anche di allenare il pensiero più divergente, in quanto le strade per risolvere un problema matematico sono solitamente varie. In questo modo il bambino può mettere in campo un pensiero più produttivo, e meno riproduttivo, e dare quindi maggiore spazio alla sua creatività. Perché questo avvenga, il problema matematico dovrebbe venire presentato non come un mero esercizio, ma come un'attività in cui si concede spazio ai diversi modi di ragionare, e in cui si fa riflettere sull'utilità di provare strade diverse per giungere poi a uno stesso risultato. Il dialogo con l'intera classe permette quindi di venire in contatto con modi di ragionare differenti, in cui si può più facilmente ampliare il bagaglio delle proprie strategie. PROVA SCRITTA 22) PROBLEM SOLVING 3 Il problem solving può essere definito come un approccio educativo-didattico volto allo sviluppo di strategie e abilità di soluzione di problemi su tre piani diversi: psicologico, comportamentale e operativo. Nel problem solving la persona si trova di fronte a una situazione che, in molti aspetti e per varie caratteristiche, gli risulta nuova e non gestibile secondo le consuete modalità apprese e conosciute. Ciò che viene richiesto in queste situazioni, quindi, è di mettere in atto un vero e proprio «sforzo creativo» volto a individuare nuove strategie per affrontare al meglio la sfida. Le soluzioni possibili generalmente sono diverse in funzione di colui che risolve il problema. Da un punto di vista operativo, una modalità «tipo» di soluzione di un problema si snoda in varie fasi che seguono una precisa sequenzialità «passo dopo passo»; vediamole di seguito. Problem finding: ci si accorge che c'è un problema da risolvere che richiede un'immediata soluzione. Problem setting: si definiscono il problema e l’obiettivo da raggiungere, ci si chiede: «Dove sta l'ostacolo al mio modo di agire consueto e abituale?». - Brainstorming: si definisce un'ampia gamma di possibili ipotesi di soluzione, anche quelle mai tentate in precedenza, cercando di attivare al massimo la creatività e il pensiero divergente. Decision making: dopo un'attenta valutazione dei punti di forza e di debolezza, della realizzabilità e delle possibilità di successo di ciascuna idea, si sceglie l'ipotesi di soluzione che si ritiene più efficace. Decision taking: si applica concretamente e in maniera precisa l'ipotesi di soluzione prescelta, verificando poi con attenzione e in maniera obiettiva gli esiti. In caso positivo si continuerà ad applicare questa strategia di soluzione, altrimenti si ricomincerà da capo tutto il processo. Acquisire la capacità di individuare, posizionare e affrontare problemi di varia natura e tipologia permette all’alunno di sviluppare abilità metacognitive di controllo esecutivo del compito, quali l'automonitoraggio e l'autoregolazione. Una variante del problem solving «aperto» è il metodo della scoperta guidata, che pone gli allievi di fronte a una situazione problema che prevede un'unica soluzione. Nella ricerca della soluzione, l'intervento della guida può essere svolto sia dal docente che da compagni esperti, e può essere variamente modulato: si possono selezionare, ad esempio, solo determinati spazi problematici alleggerendo il carico su altri aspetti che vengono invece esplicitati. 23) DIDATTICA PER COMPETENZE Nella Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 e nella più recente Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 si afferma che i sistemi di istruzione dei paesi comunitari hanno il dovere di offrire a tutti i giovani gli strumenti per sviluppare le competenze chiave, indispensabili per la realizzazione e lo sviluppo personale, la cittadinanza attiva, l'inclusione sociale e l'occupazione. Nel panorama italiano, le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione (MIUR, 2012) assumono le competenze chiave a quadro di riferimento per la costruzione del curricolo verticale (3-14 anni), mediante la progressione dei traguardi di competenza da raggiungere al termine della scuola dell'infanzia, primaria e secondaria di primo grado. Lo sviluppo di competenze, intese, come afferma LeBoterf, come forme di «sapere agito», richiede non solo di riformulare gli obiettivi di apprendimento, ma anche una profonda trasformazione delle pratiche didattico-valutative degli insegnanti e della visione stessa del processo di insegnamento-apprendimento. Dal punto di vista operativo, l'integrazione delle discipline per spiegare la complessità della realtà, la costruzione di conoscenze e abilità attraverso l’analisi di problemi e la gestione di situazioni complesse, la cooperazione e l'apprendimento sociale, la sperimentazione, l'indagine, la contestualizzazione nell'esperienza e la laboratorialità rappresentano dei fattori imprescindibili per sviluppare competenze e apprendimenti significativi. A livello didattico, particolarmente efficaci risultano le Unità di Apprendimento (UdA), percorsi strutturati che hanno come obiettivo la realizzazione di un prodotto (materiale o immateriale) in un contesto esperienziale. La valutazione della competenza avviene attraverso una descrizione che rende conto di cosa sa l'allievo, di cosa sa fare, con che grado di autonomia e responsabilità utilizza conoscenze e abilità, in quali contesti e condizioni. Le descrizioni sono collocate su livelli crescenti di padronanza che PROVA SCRITTA documentano conoscenze e abilità via via più complesse nonché gradi sempre maggiori di autonomia, responsabilità e capacità di trasferire quanto appreso in contesti diversi. Per arrivare alla valutazione si possono utilizzare diversi strumenti tra cui griglie di osservazione, diari di bordo, rubriche, portfolio, registrazioni video, documentazioni fotografiche, checklist, interviste, valutazioni interpares o ricostruzioni narrative degli allievi. 24) DIDATTICA PER COMPETENZE 2 Il costrutto di competenza impone alla scuola di ripensare il proprio modo di procedere, suggerendo di utilizzare gli apprendimenti acquisiti nell'ambito delle singole discipline all'interno di un più globale processo di crescita individuale degli alunni. A tal fine, si rende indispensabile una riformulazione sostanziale dei tre momenti fondanti del processo di insegnamento. 1. Progettazione. Le competenze chiave europee (Raccomandazione del Parlamento Europeo del 18 dicembre 2006) rappresentano il fulcro attorno al quale costruire un curricolo scolastico per competenze, compendio di una progettazione e pianificazione organica, intenzionale e condivisa del percorso formativo degli allievi. Il lavoro collegiale che la formulazione del curricolo per competenze richiede dovrebbe condurre al superamento della logica disciplinare, alla «messa in relazione dei diversi saperi e all’individuazione di quei nuclei problematici comuni che possono diventare oggetto di macro Unità di Apprendimento. 2. Didattica. La competenza si apprezza in situazione, come capacità di reagire alle sollecitazioni offerte dall'esperienza attraverso la mobilitazione di tutte le proprie risorse cognitive, pratiche, sociali, metodologiche e personali, come afferma LeBoterf. Per stimolare lo sviluppo delle competenze, gli alunni vengono chiamati, dunque, ad agire, a collaborare con gli altri e ad assumersi delle responsabilità nell'affrontare una situazione nuova. Ciò chiaramente richiede la trasformazione del contesto di apprendimento (che si avvicina sempre più al mondo «reale») e la predisposizione di situa- zioni sfidanti che presuppongano «il fare» come veicolo di conoscenza (es. realizzazione di un prodotto materiale o immateriale, risoluzione di un problema, costruzione di un progetto). Compiti significativi e Unità di Apprendimento rappresentano degli strumenti didattici particolarmente adatti a questo scopo. 3. Valutazione. La valutazione di una competenza richiede di considerare la capacità dell'allievo di portare a termine un compito (e quindi la «qualità» del prodotto finale), ma anche il processo compiuto per arrivare al risultato. A tal fine, è necessaria un'osservazione sistematica da parte dell'insegnante, che può essere condotta con diversi strumenti quali, ad esempio, griglie e protocolli strutturati o semistrutturati. È importante, inoltre, chiedere allo studente di narrare il suo vissuto rispetto all'esperienza di apprendimento per far sì che egli colga, in termini metacognitivi, il senso e il significato del suo lavoro, riconosca le difficoltà che ha incontrato, le soluzioni che ha adottato per superarle e le emozioni che ha provato nello svolgere l’attività. 25) DIDATTICA LABORATORIALE E INCLUSIONE Le variabili implicate nell’apprendimento sono molto numerose, di natura sia cognitiva sia emotiva, e in interazione complessa. L'insegnante da solo non può controllare contemporaneamente tutte queste variabili, che si attivano con tempi e modalità diverse da alunno ad alunno. È quindi indispensabile favorire e fare perno sulla capacità, da parte dell'allievo, di autoregolarsi. Competenza, lo sappiamo, auspicabile ma a sua volta complessa, che richiede un processo di acquisizione graduale, controllata e mediata, con una presenza dell'insegnante inversamente proporzionale all’età dell'alunno. L'attività laboratoriale risponde proprio a queste esigenze, in quanto valorizza l’autoregolazione dell'alunno, la cooperazione e quindi l'inclusione. Il laboratorio può servire come prevenzione delle difficoltà o come recupero, a patto che rispetti alcuni criteri: disporre di unità di apprendimento ben strutturate, intervenire il prima possibile, rispettare i ritmi di apprendimento, avere precisi indicatori di prestazione, se possibile dare feedback immediati, meglio attività giocose che noiose, premiare anziché punire, limitare il più possibile i costi emotivi, isolare il meno possibile dal normale contesto di apprendimento, ma, anzi favorire la collaborazione fra gli alunni. Quando si parla di laboratorio, si pensa per lo più ai laboratori scientifici o artistici. Ma la sua forza pedagogica si può dispiegare in ogni disciplina. Per questo vogliamo richiamare qui l’attenzione su un tipo di laboratorio che riguarda contemporaneamente l'italiano e l’interdisciplinarietà: il PROVA SCRITTA concetto più diffuso nella scuola, secondo il quale l'utilizzazione delle TIC serve soprattutto a perseguire “l’orginalità per esempio con l’uso dei Word processor come meri strumenti di scrittura). Infatti le TIC facilitano l'acquisizione e la sistematizzazione delle informazioni, aiutando gli allievi ad acquisire quelle basi di conoscenza fondamentali, a partire dalle quali si concepiscono e si formulano idee con un forte potenziale innovativo. Per innescare completamente il processo creativo/ innovativo diventa necessario insegnare agli allievi a guardare in maniera problematica i dati disponibili per indirizzare i processi cognitivi alla ricerca di strategie atte a risolvere le situazioni-problema. A titolo esemplificativo si possono citare le applicazioni che permettono l'elaborazione di mappe mentali o concettuali per la sistematizzazione e l'elaborazione delle informazioni disponibili, attraverso le quali è possibile organizzare le conoscenze in funzione di nuovi sviluppi e di nuove realizzazioni. Ciò implica la possibilità di assumere un atteggiamento flessibile dove risulta importante esplorare nuovi pensieri e scegliere nuove strategie accettando il rischio e l'incognita. Così facendo l'approccio creativo permette di analizzare il problema da diversi punti di vista, di riformularlo favorendo una visione globale della situazione, lasciando la possibilità di cogliere al tempo stesso le parti che lo costituiscono. 30) TIC E INCLUSIONE Secondo i principi della didattica inclusiva, la scuola ha il compito di mettere in campo tutti gli strumenti disponibili per facilitare la partecipazione degli studenti alla vita scolastica e c'è un consenso ormai quasi unanime sull'utilità delle nuove tecnologie per favorire questo processo. L'utilizzo di questi strumenti rientra fra le strategie didattiche inclusive e può avere un ruolo ancora più determinante nel caso di studenti con Bisogni Educativi Speciali (BES) e Disturbi Specifici dell'’Apprendimento (DSA). La D.M. 27 dicembre 2012 e la successiva C.M. n. 8/2013, la legge 170/20120 sottolineano la necessità di sviluppare una serie di strategie didattiche inclusive che vanno ad integrare l'uso delle tecnologie per sviluppare uno studio consapevole e, più in generale, per favorire l'autonomia dello studente. Compito del docente è valorizzare le risorse e le potenzialità dell'alunno con disabilità individuando i suoi bisogni educativi, trovando percorsi didattici e di apprendimento più funzionali per lui, al fine di sfruttare i suoi punti di forza e motivarlo ad apprendere. La tecnologia può contribuire al raggiungimento di questi obiettivi. Innanzitutto, essa mette a disposizione strumenti di sostegno (ausili, software come sintesi vocale, programmi per la creazione di mappe) che consentono di superare barriere e limitazioni che una particolare condizione di disabilità può porre all'accesso dei contenuti di apprendimento, garantendo a tutti gli studenti la possibilità di partecipare alle attività. Ma non solo: essa offre la possibilità di utilizzare strumenti versatili, adattabili, malleabili, che consentono di modificare il contenuto didattico per rispondere alle specifiche esigenze dello studente. Inoltre, la tecnologia può facilitare il lavoro cooperativo e collaborativo nella classe, permettendo ad ogni studente di dare il proprio contributo nella creazione di materiali originali, in base alle proprie abilità e risorse. 31) STILI COGNITIVI E MEDIAZIONE DIDATTICA Le difficoltà che gli studenti trovano nell’apprendimento delle discipline si incontrano spesso anche nella distanza tra lo stile di apprendimento degli studenti e quello di insegnamento proposto nelle singole discipline dai docenti. Lo stile di apprendimento riguarda la tendenza dello studente a preferire un certo modo di apprendere e interessa la sua modalità di percepire e reagire a compiti con comportamenti e strategie ricorrenti. Ciascun allievo si differenzia per quanto riguarda la modalità preferenziale di percezione, ragionamento e memoria, collocandosi in una delle seguenti polarità opposte: sistematico- intuitivo, globale-analitico, impulsivo-riflessivo, verbale-visuale, autonomo-dipendente dal campo. Migliorare la consapevolezza negli allievi rispetto alle caratteristiche e differenze dei propri stili cognitivi diventa di fondamentale importanza per rendere efficace l'intero processo di insegnamento- apprendimento. Innanzitutto è necessario che il docente conosca il proprio stile di insegnamento e che promuova l’identificazione degli stili di apprendimento anche negli allievi, per poi rendere flessibili le proprie modalità di condurre la lezione adeguandole agli stili degli alunni. Per raggiungere tale obiettivo il docente deve saper variare gli stimoli, le opportunità e i linguaggi di apprendimento che presenta agli studenti ma anche offrire un ampio repertorio di attività e situazioni di apprendimento in relazione agli obiettivi e alle specificità di quel segmento formativo. Inoltre deve saper utilizzare una pluralità di mediatori PROVA SCRITTA didattici tra quelli attivi, iconici, analogici e simbolici. | mediatori attivi fanno ricorso all'esperienza diretta, al learning by doing; i mediatori iconici utilizzano le rappresentazioni del linguaggio grafico; i mediatori analogici si rifanno all’apprendimento non verbale e per simulazione; i mediatori simbolici utilizzano i codici linguistici convenzionali. La maggior parte dei docenti utilizza più frequentemente i mediatori simbolici, a scapito degli altri mediatori, intercettando in tal modo solo gli studenti con una specifica modalità di apprendimento, come avviene nella lezione trasmissiva in cui è utilizzato prevalentemente il linguaggio verbale. Variare l'utilizzo di differenti mediatori in classe consentirebbe invece agli studenti di apprendere più efficacemente e faciliterebbe anche l'apprendimento degli studenti con disabilità e altri Bisogni Educativi Speciali. 32) MOTIVAZIONE INTRINSECA ED ESTRINSECA La motivazione può essere definita come un insieme di fattori che spingono il comportamento di una persona verso una meta. La motivazione, quindi, attiva (componente energetica) e orienta (componente direzionale) comportamenti specifici. La motivazione intrinseca fa riferimento al riconoscimento personale, da parte dello studente, dell'importanza che riveste per lui quel tipo di apprendimento, con conseguente investimento spontaneo di energie e comportamenti diretti alla meta. Molto spesso gli studenti devono però essere accompagnati nel comprendere realmente e immaginare l'utilità di quello che viene proposto. Molte situazioni di difficoltà nell'apprendimento (compresa la comparsa di pensieri autosvalutanti), di dispersione e abbandono scolastico sono in parte proprio legati a deficit di motivazione intrinseca. Per questo è importante utilizzare materiali e contenuti vicini agli interessi presenti negli studenti o che comunque permettano loro di sperimentare facilmente dei successi, allo scopo di rendere l'impegno nell’apprendimento il più gratificante possibile. Notevole importanza riveste anche il dialogo interno motivazionale dell'alunno: le autogratificazioni che spontaneamente si dà, riconoscendo i progressi compiuti. L'ansia eccessiva per l'insuccesso oppure la tendenza a rispondere in modo emotivo, reagendo con scoppi di collera quando qualcosa non va come dovrebbe, sono altri fattori psicologici che influenzano in modo preciso la motivazione e l'orientamento al compito. In questi casi, uno dei primi obiettivi dell'insegnante diventa lo sviluppo di forme di autocontrollo dell’'eccessiva reattività emozionale. La motivazione estrinseca si differenzia da quella intrinseca per il fatto che viene sostenuta dall'esterno, attraverso l'uso sistematico di rinforzatori positivi. Normalmente, l'insegnante cerca di motivare l'alunno rinforzando le sue risposte che si orientano nella direzione voluta (prestare attenzione, portare il materiale, tentare di risolvere i problemi, usare le strategie proposte, persistere attivamente nello sforzo/impegno su un compito o attività, ecc.) attraverso vari tipi di stimoli positivi gratificanti (rinforzi positivi) come la lode, l'approvazione pubblica, varie forme di riconoscimento anche concrete, come piccoli premi o sistemi complessi di gratificazioni simboliche (task analysis). 33) MOTIVAZIONE BANDURA La motivazione è una spinta che ci porta a cercare di raggiungere un determinato obiettivo scolastico ed extra-scolastico. È un costrutto molto complesso: sono infatti tanti gli elementi che concorrono a sostenere o a ostacolare la nostra motivazione rispetto a uno scopo. Per citarne alcuni, possiamo considerare l'importanza che ha per noi l'obiettivo, il livello di difficoltà di quello che dovremmo fare, le nostre convinzioni circa la nostra possibilità di riuscita e tanti altri elementi. Un aspetto sicuramente da considerare è la percezione di l’autoefficacia. Il senso di autoefficacia, che è stato ampiamente studiato da Albert Bandura, è una variabile di importanza cruciale nell’influenzare, in senso positivo o negativo, la capacità di autoregolare il proprio apprendimento e la propria motivazione. Gli studenti con alto senso di efficacia personale intraprendono volentieri compiti difficili e sviluppano uno spiccato interesse nei riguardi delle attività scolastiche. Grazie al coinvolgimento e all'investimento personale in ciò che fanno, una volta raggiunti gli obiettivi prefissati, sperimentano una maggiore soddisfazione che rafforza ulteriormente il loro senso di efficacia. A parità di abilità, gli studenti con elevata autoefficacia adottano strategie più adeguate nella risoluzione dei problemi, affrontano le difficoltà con minore esitazione, raggiungono migliori risultati scolastici rispetto ai loro compagni con un grado di efficacia più basso. Il senso personale di autoefficacia è costituito dall'interazione di un'infinità di fattori, ma risente molto dell'atteggiamento dell’insegnante. Un insegnante che trasmette «fiducia» crede profondamente nelle risorse dell'alunno e le valorizza, dando loro PROVA SCRITTA credito. Il senso di autoefficacia dipende anche dai vari tentativi di persuasione operati da modelli adulti con vari gradi di credibilità, forza psicologica e capacità di attrazione rispetto alle tendenze di identificazione operanti in quel momento nel bambino, e dalla percezione di altri alunni con alti o bassi livelli di autoefficacia. È essenziale anche una programmazione didattica «basata sul successo», che sia concretamente in grado di garantire all'alunno esperienze vere di efficacia, su cui gli sia possibile rimodellare le proprie percezioni personali. 34) MASTERY LEARNING E TASSONOMIA DI BLOOM Il nome di Bloom è particolarmente noto in ambito educativo e psicopedagogico soprattutto per i suoi studi legati alla tassonomia degli obiettivi educativi e alla metodologia di insegnamento mastery learning (apprendimento della padronanza). Le sue riflessioni partono dalla convinzione che il sistema tradizionale di insegnamento è errorfull, cioè del tutto errato e inefficace, in quanto basato su una didattica indifferenziata che non promuove i talenti. L'insegnamento efficace e adeguato, invece, deve essere in grado di promuovere questi talenti attraverso l'acquisizione della mastery (padronanza), che avviene grazie alla perseveranza (strettamente legata alla motivazione), all’attitudine, alla capacità di apprendere da parte dell'alunno, ma anche alla qualità dell'istruzione (programmazione e metodi di insegnamento adeguati, individualizzazione degli interventi didattici, ecc.) e alle opportunità di apprendimento offerte dal contesto scolastico. Anche le differenze nell'’apprendimento sono infatti considerate un qualcosa che è possibile prevedere, spiegare e modificare, se ricondotte alle condizioni «ambientali», cioè al sistema di istruzione scolastica e alle sue variabili. Nella strutturazione di percorsi di apprendimento e nella formulazione delle singole unità didattiche, gli obiettivi devono essere definiti in modo chiaro, esplicito e condiviso, facendo riferimento a precisi indicatori che esprimono ciò che ci si attende che l'alunno sappia fare al termine del percorso di apprendimento. In questo ci può aiutare la tassonomia degli obiettivi educativi messa a punto da Bloom. Le categorie dell’area cognitiva sono: 1. conoscenza, ovvero la capacità di rievocare materiale memorizzato (fatti, metodi, processi, modelli, strutture, ecc.); 2. comprensione, ovvero la capacità di afferrare il senso di un'informazione e di saperla trasformare, interpretare, riorganizzare, ecc.; 3. applicazione, ovvero la capacità di far uso di materiale conosciuto per risolvere problemi nuovi e di utilizzare quindi rappresentazioni astratte (idee, regole di procedimento, metodi, principi, teorie, ecc.) applicandole a casi concreti; 4. analisi, ovvero la capacità di separare degli elementi di un complesso evidenziandone i rapporti, rendendo così esplicita la gerarchia delle idee e delle relazioni esistenti; 5. sintesi, ovvero la capacità di riunire i vari elementi al fine di formare una nuova struttura organizzata e coerente (ad esempio elaborazione di un piano d'azione, deduzione autonoma di regole, ecc.); 6. valutazione, ovvero la capacità di formulare autonomamente giudizi critici di valore e di merito in base all'evidenza interna e a criteri prestabiliti. 35) APPRENDIMENTO PER INTUIZIONE GESTALT Kohler, uno dei componenti della scuola della Gestalt, si occupò in particolare dello studio dell’apprendimento per insight (intuizione improvvisa), ossia caratterizzato dalla soluzione a un problema che si presenta improvvisamente al soggetto, creando in lui la sensazione di presa di coscienza di un qualcosa che prima rappresentava un vero e proprio mistero, un problema irrisolvibile dal quale non si vedeva via di uscita. In un linguaggio gestaltico potremmo quindi definire questa situazione come una «ristrutturazione percettiva», una modificazione repentina e unitaria del «campo» che porta a riconsiderare in modo qualitativamente diverso gli elementi in gioco e ci fa vedere le cose da una prospettiva fino ad allora sconosciuta o non considerata. Questo tipo di apprendimento non è una prerogativa del genere umano; sono infatti famosi gli esperimenti con gli scimpanzé, che erano in grado, proprio grazie all’insight, di percepire improvvisamente la possibilità di utilizzare un bastone presente nella gabbia dove si trovavano per avvicinare delle banane che erano all’esterno e quindi fuori dalla loro portata. L'apprendimento nella prospettiva della Gestalt si è quindi basato sulle varie possibilità di soluzione di problemi, o meglio di PROVA SCRITTA - Autonomo/creativo-dipendente dal campo: nel primo caso l'alunno lavora con modalità divergenti di pensiero, originando da sé e liberamente nuove possibilità o soluzioni, mentre l'alunno maggiormente dipendente dal campo subisce molto di più le pressioni e i condizionamenti del contesto, anche interpersonale, in cui si trova a operare. Uno dei precursori nella definizione degli stili cognitivi fu Bruner, il quale definì la dimensione focalizzazione-scanning.Secondo questo studioso, i «focalizzatori» posti di fronte a un problema tipicamente ritardano la presa di decisione fino a quando non hanno raccolto una quantità di prove ritenuta sufficiente ed esauriente per affrontare il problema in questione; all'opposto chi propende per uno «stile scanner» si limita a dare un'occhiata rapida al tutto, formulando subito un'ipotesi e questo costringe a ricominciare da capo tutto il processo se l'ipotesi elaborata si rivela inadeguata. 40) AUTOEFFICACIA BANDURA L'autoefficacia è un concetto introdotto da Albert Bandura, in base al quale la persona, a seconda delle esperienze avute nel corso della vita, può avere una differente valutazione della propria possibilità di determinare gli eventi. Coincidenze positive o premi imprevisti possono, ad esempio far aumentare la motivazione a percepire e migliorare l'immagine di sé. AI contrario, sperimentare frustrazioni sistematiche può generare nella persona un senso di impotenza nei confronti di se stessa e dell'ambiente che la circonda. L'autovalutazione di efficacia o di impotenza può diventare un meccanismo regolatore della motivazione a intervenire sulla realtà esterna. Alcuni individui diventeranno più tenaci e persistenti nel moltiplicare gli sforzi, altri più arrendevoli poiché convinti di non poter contrastare il destino. Anche se l'ambiente è rilevante per lo sviluppo dell'autoefficacia in età evolutiva, Bandura sostiene che la persona ha un ruolo attivo nelle contingenze e può a sua volta influenzare la qualità delle esperienze con il proprio comportamento che è mosso da pensieri, credenze e valori appresi. Questa visione è legata alla teoria sociale cognitiva di Bandura, e segna un punto di svolta nella teoria dell’apprendimento sociale: diventano fondamentali la promozione e il potenziamento di abilità personali nella persona affinché diventi capace di agire positivamente nelle relazioni. La percezione di autoefficacia ha un ruolo fondamentale nell’apprendimento scolastico, in quanto sostiene e favorisce l'impegno cognitivo e la motivazione utili a sviluppare ogni tipo di competenza. Alunni con un basso senso di autoefficacia potrebbero impegnarsi di meno, scegliere obiettivi limitati ed essere più esposti a stress riguardo le prestazioni. L'abbandono scolastico e il bullismo sono due fenomeni di rischio collegati a una scarsa autoefficacia percepita. Diversi studi dimostrano che il fallimento scolastico può avere conseguenze molto negative in età adulta mentre esperienze di successo scolastico possono contrastare percorsi di sviluppo a rischio di disadattamento. In un'ottica di prevenzione dei rischi e promozione del benessere in termini di autoefficacia percepita, è necessario che la scuola si orienti a strutturare attività di apprendimento che permettano a tutti gli studenti di fare esperienze di successo e di fallimento, di correggere e recuperare gli errori, di non rimanere indietro rispettando i propri tempi, di avere un ruolo attivo e diventare discenti autodiretti. 41) DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA E PERSONALIZZATA Una proposta didattica inclusiva presuppone una molteplicità di opportunità di apprendimento, finalizzate a rispondere ai bisogni individuali di tutti gli alunni e, contemporaneamente, a favorire una buona coesione nella comunità classe. L'obiettivo è quindi duplice: individuale e collettivo. | due presupposti fondamentali alla differenziazione didattica sono: un'attenzione a tutte le differenze individuali, attraverso un approccio evolutivo focalizzato sul potenziale e non sui limiti e una concezione della didattica dinamica, plurale e centrata sullo studente. Tutti gli alunni, compresi quelli con BES, risultati eccellenti o alto potenziale, necessitano di uno sguardo attento all’individualità, essendo essa composta da una miriade di differenze che rappresentano informazioni fondamentali per l'insegnante, da osservare, individuare e descrivere, al fine di comprendere, progettare e agire in maniera coerente ed efficace. Una didattica individualizzata prevede una differenziazione dei percorsi didattici e educativi che rappresenta una strategia per il raggiungimento di traguardi formativi comuni per tutti gli alunni. Consiste nelle attività di recupero individuale che lo studente può svolgere per potenziare determinate abilità o acquisire particolari competenze. Un'offerta didattica individualizzata tenta dunque di adattarsi ai bisogni specifici di una singola persona, modificando le diverse strategie di insegnamento-apprendimento per riuscire a portare quell’alunno il più vicino possibile agli obiettivi comuni al gruppo di appartenenza, alla sua classe o al corso di studi. In questo modo si cerca di far raggiungere all’alunno un traguardo comune anche con mezzi e PROVA SCRITTA percorsi molto diversi o particolarmente individualizzati. Una didattica personalizzata invece prevede la diversificazione delle mete formative volte a favorire la promozione delle potenzialità individuali e calibra l'offerta didattica sulle specificità dei bisogni educativi del singolo alunno, al fine di favorire lo sviluppo dei talenti e dei punti di forza di ciascuno. Rappresenta una strategia complementare alla prima e ad essa subordinata: la può proficuamente integrare e completare, ma non la può soppiantare, altrimenti si corre il serio pericolo che le diversità tra gli alunni si trasformino in diseguaglianze. Personalizzare significa anche modificare gli obiettivi dell'offerta formativa, che possono divergere anche nettamente rispetto a quelli del gruppo di appartenenza. L'obiettivo finale della personalizzazione è quello di costruire un proprio percorso rispetto a propri fini, anche del tutto diversi da quelli degli altri. La Legge 170/2010 dispone, ad esempio, che la scuola garantisca agli alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento «l'utilizzo di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari del soggetto, adottando una metodologia e una strategia educativa adeguata». Ciò al fine di garantire allo studente una serie di metodologie didattiche, di strumenti compensativi e misure dispensative, se necessarie, per il raggiungimento del successo formativo. Anche la Circolare n. 8 del 6 marzo 2013, «Strumenti di intervento per gli alunni con Bisogni Educativi Speciali», ribadisce che «gli studenti in difficoltà hanno diritto alla personalizzazione degli apprendimenti», così come previsto anche dalla Legge 53/2013. È bene ricordare che la Direttiva ministeriale del 27/12/2012 estende a tutti gli alunni in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento e ricorda che «ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali». Come è possibile evincere dalla citata Circolare ministeriale «La Direttiva ridefinisce e completa il tradizionale approccio all'integrazione scolastica, basato sulla certificazione della disabilità, estendendo il campo di intervento e di responsabilità di tutta la comunità educante a tutti i BES». 42) DIDATTICA INCLUSIVA La didattica inclusiva è una didattica di qualità capace di offrire risposte efficaci ai bisogni educativi di tutti gli alunni, compresi quelli con disabilità e bisogni educativi speciali. Il suo obiettivo principale è dunque quello di creare delle condizioni di apprendimento che consentano a ciascun alunno di scoprire ed esprimere al massimo il proprio potenziale individuale attraverso l'interazione con il gruppo. Una didattica realmente inclusiva valorizza le diversità individuali ed elimina le barriere all'apprendimento e alla piena partecipazione alla vita sociale anche attraverso i principi fondamentali dell’ Universal Design for Learning (UDL) e dunque, operativamente, rappresentando l'informazione in diversi formati che consentono la massima adattabilità all'utente, garantendo agli studenti percorsi multipli e diverse possibilità di espressione, fornendo modalità diversificate e molteplici mezzi di coinvolgimento per favorire la motivazione ad apprendere e il collegamento delle nuove informazioni con le conoscenze pregresse. La didattica inclusiva rispetta e valorizza tutte le differenze individuali, attiva primariamente la «risorsa compagni», utilizza strategie di lavoro cooperativo e di tutoring, adattando i contenuti in base ai diversi livelli di abilità degli alunni, potenziando le strategie logico-visive attraverso schemi, video, mappe, organizzatori anticipati, sviluppando strategie di autoregolazione, meta-cognizione e mediazione cognitivo- emotiva, utilizzando le nuove tecnologie ai fini dell’inclusione scolastica e sociale ed offrendo agli alunni continui feedback formativi e motivanti. Secondo l’European Agency for Development in Special Needs Education, il docente inclusivo deve saper gestire una classe e avere delle competenze gestionali che facilitino un'efficace azione multiutente, contribuire alla costituzione di partenariati scolastici con altre scuole, deve essere in grado di favorire negli alunni la cooperazione e il lavoro in rete e deve lavorare lui stesso in team con gli altri docenti, i professionisti del settore psicoeducativo, i genitori e tutte le figure che, a vario titolo, si prendono cura degli alunni anche attraverso la codocenza e il lavoro in gruppi aperti. Sarà poi in grado di creare un clima positivo nella classe, grazie al quale nessuno si senta escluso o discriminato, di consentire agli studenti lo sviluppo di competenze cognitivo-emotive, metacognitive, relazionali e sociali che permettano la costruzione di percorsi partecipati, individualizzati e personalizzati sulla base delle specifiche esigenze di ciascun alunno. 43) BES E STRUMENTI PROGETTUALI La macrocategoria dei Bisogni Educativi Speciali comprende al suo interno tre sottocategorie principali: gli alunni con certificazione di disabilità, gli alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)/disturbi PROVA SCRITTA evolutivi specifici e gli alunni con svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale. Per «disturbi evolutivi specifici» si intendono, oltre i Disturbi Specifici dell'Apprendimento, anche i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, dell'attenzione e dell’iperattività, mentre il funzionamento intellettivo limite può essere considerato un caso di confine fra la disabilità e il disturbo specifico. Rientrano nei BES anche gli alunni ad alto potenziale intellettivo, noti anche in ambito internazionale come gifted children (Nota n. 562 del 3 aprile 2019). Appare fondamentale evidenziare che la Direttiva ministeriale del 27/12/2012 estende a tutti gli alunni in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’'apprendimento e ricorda che «ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali» (CM n. 8 del 6/03/2013). L'ottica è quindi quella della presa in carico globale e inclusiva di tutti gli alunni in difficoltà che hanno diritto quindi a una personalizzazione dell’apprendimento. Lo strumento privilegiato per far fronte in modo efficace e inclusivo a tutti i Bisogni Educativi Speciali che si presentano a scuola è il percorso educativo e formativo individualizzato e personalizzato, redatto in un Piano Educativo Individualizzato (PEI), nel caso degli alunni con disabilità certificata, e di un Piano Didattico Personalizzato (PDP) per tutti gli altri alunni con BES. Tali documenti hanno lo scopo di definire, monitorare e documentare, secondo un'elaborazione collegiale, corresponsabile e partecipata, le strategie di intervento più idonee, gli eventuali strumenti compensativi o misure dispensative e i criteri di valutazione degli apprendimenti. La Direttiva evidenzia infine chiaramente come la presa in carico degli alunni con BES debba essere al centro dell'attenzione e dello sforzo congiunto della scuola e della famiglia. Permane infatti l'obbligo di presentazione delle certificazioni per l'esercizio dei diritti situazioni di disabilità e di DSA, mentre i Consigli di classe — o team dei docenti nelle scuole primarie — hanno il compito di indicare in quali altri casi sia opportuna e necessaria l'adozione di una personalizzazione della didattica ed eventualmente di misure compensative o dispensative, nella prospettiva di una presa in carico globale e inclusiva di tutti gli alunni. Una didattica inclusiva capace di valorizzare le differenze, le potenzialità e i punti di forza del singolo alunno può avvalersi di materiali operativi e proposte metodologiche che presuppongono l'attivazione e la valorizzazione della risorsa compagni, l'adattamento dello stile di comunicazione, delle forme di lezione, dei materiali e degli spazi di apprendimento, l'utilizzo di strategie logico-visive, mappe e aiuti visivi, lo sviluppo della consapevolezza sui processi cognitivi, sugli stili di apprendimento, sui processi meta-cognitivi/ cognitivo-emotivi e sui metodi di studio, l'utilizzo di diversi supporti e di molteplici forme di feedback, valutazione e verifica. Una volta composti i gruppi e assegnati i ruoli a ciascun membro, l'insegnante si occuperà del setting (aula), in modo tale che risulti funzionale per lo svolgimento del lavoro previsto, e dei materiali da fornire ai gruppi cooperativi. Durante il lavoro, il docente interverrà per favorire l'interazione costruttiva diretta e migliorare il lavoro/prodotto del gruppo, monitorerà costantemente il comportamento degli studenti, verificherà e valuterà con sistematicità i processi e gli apprendimenti anche attraverso colloqui, test, questionari, schede o qualsiasi altro strumento utile. 44) RUOLO DELL'INSEGNANTE DI SOSTEGNO L'insegnante specializzato per le attività di sostegno è un mediatore e un facilitatore dell'apprendimento che viene assegnato alla classe in cui è presente un alunno con disabilità certificata. Come tutti gli altri docenti deve possedere competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali, di ricerca, documentazione e valutazione. È però anche un docente che ha effettuato un percorso formativo ad hoc e che ha acquisito competenze pedagogico-didattiche e relazionali specifiche, finalizzate a rilevare e analizzare i bisogni educativi specifici di tutti gli alunni (compresi quelli con disabilità, disturbi evolutivi specifici o altri bisogni educativi speciali), attivare le possibili risorse per l'inclusione, progettare, realizzare, monitorare e valutare percorsi formativi personalizzati o individualizzati, costruire alleanze e collaborazioni con tutti gli altri docenti, le famiglie, i collaboratori scolastici, gli operatori sanitari, educativi, sociali, sportivi o extrascolastici. Tutto ciò attraverso una lettura attenta del funzionamento globale di ciascuno sulla base dell'approccio bio-psico-sociale ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health, OMS, 2002). Il suo ruolo è dunque complesso e articolato poiché assume la contitolarità delle classi e delle sezioni in cui opera, partecipando attivamente alla programmazione didattica-educativa della classe ed occupandosi, allo stesso tempo, di fornire un supporto quanto più efficace e individualizzato possibile ai singoli alunni. Il docente di sostegno, inoltre, contribuisce a adattare le strategie e le metodologie didattiche sia alle caratteristiche o ai bisogni del PROVA SCRITTA considerato il fenomeno apprenditivo come il risultato di una più complessa dinamica di interazione e confronto tra l'attività individuale di elaborazione-costruzione di informazioni e il contesto socio-culturale di riferimento. In questa pro- spettiva, l'apprendimento si verifica in funzione dell'attività, del contesto e della cultura in cui è situato ed è profondamente connesso alla dimensione esperienziale e sociale, come affermano Lave e Wenger. Il principale riferimento teorico a questo proposito è rappresentato dallo psicologo e pedagogista sovietico Vygotskij, secondo il quale lo sviluppo mentale e l'apprendimento dipendono dall’interiorizzazione di forme culturali. Il significato che ciascuno di noi attribuisce ai concetti, ai fatti, alla realtà che lo circonda, dunque, è socialmente costruito attraverso il linguaggio e si nutre della fitta rete di relazioni che l'individuo intesse con l'ambiente. Il ruolo giocato dall'interazione in seno ai processi apprenditivi viene rimarcato ulteriormente dal concetto vygotskijano di zona di sviluppo prossimale (ZSP). La ZSP rappresenta la distanza tra il livello di sviluppo effettivo e il livello di sviluppo potenziale, che può essere raggiunto con l'aiuto di adulti o pari con un livello di competenza maggiore. Grazie all’azione di scaffolding esercitata dalle altre persone, il bambino acquisisce via via competenze che gli permettono di giungere autonomamente alla soluzione di problemi e allo svolgimento di compiti ben precisi. Per sintetizzare questo processo, Vygotskij afferma che «ciò che i bambini sanno fare insieme oggi, domani sapranno farlo da soli». A livello didattico, «ciò porta a considerare la classe come una vera e propria «comunità di apprendimento» all'interno della quale si realizza una costruzione «collaborativa» della conoscenza in base a una continua negoziazione di significati e di idee. Le strategie che puntano sull'interazione tra pari sono, in particolare, il peer tutoring e il cooperative learning. 49) PEI Il Piano Educativo Individualizzato è il documento mediante il quale viene descritto e organizzato l'intervento didattico educativo-didattico multidimensionale sulla base del funzionamento dell'alunno con disabilità certificata, per la realizzazione del suo diritto di istruzione e apprendimento, previsto dalla Legge 104/92. In esso vengono definite le modalità di intervento finalizzate a sostenere e a rendere concreto il diritto all'educazione e all'istruzione, avendo ben presente che, al centro della programmazione educativa e didattica, c'è l'alunno con la sua situazione peculiare e le sue esigenze di sviluppo. Nel DIgs 66/17 si afferma che l'inclusione scolastica è attuata attraverso la definizione e la condivisione del PEI come parte integrante del progetto individuale. Il modello bio-psico-sociale ICF-CY dell'OMS può esserci in questo caso utile proprio per osservare il funzionamento della persona da una prospettiva a 360°, nelle sue diverse componenti di funzioni e strutture corporee, attività e partecipazione, fattori contestuali. Il DIgs 66/2017 e il successivo Decreto correttivo 96/2019 sottolineano infatti questa nuova prospettiva nella definizione del Profilo di funzionamento dello studente, documento propedeutico e necessario alla successiva stesura del PEI. Il PEI è elaborato e approvato dal Gruppo di Lavoro Operativo per l'inclusione, sulla base del Profilo di funzionamento, avendo particolare riguardo all'indicazione dei facilitatori e alla riduzione delle barriere, secondo la prospettiva bio-psico-sociale alla base della classificazione ICF. Nel PEI si individuano inoltre obiettivi educativi e didattici, strumenti, strategie e modalità per realizzare un ambiente di apprendimento nelle dimensioni della relazione, della socializzazione, della comunicazione, dell'interazione, dell’orientamento e delle autonomie. Vengono inoltre esplicitate le modalità di sostegno didattico (compresa la proposta del numero di ore), le modalità di verifica, i criteri di valutazione in relazione alla programmazione individualizzata, gli interventi di inclusione. Va inoltre ricordato che la verifica dell'adeguatezza del PEI va svolta in itinere, per permettere eventuali aggiustamenti necessari negli obiettivi definiti e nelle attività individuate, apportando quindi le eventuali modifiche e integrazioni. Nel PEI si definiscono inoltre gli strumenti per l'effettivo svolgimento dei percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento, assicurando la piena partecipazione dei soggetti coinvolti nel progetto di inclusione, guardando nell'ottica del Progetto di vita dell'alunno. 50) PEI E SOTTO OBIETTIVI Nel caso di alunni con disabilità piuttosto gravi, anche gli obiettivi a breve termine che sono stati definiti nel PEI possono risultare ancora troppo complessi. In molti casi si deve quindi lavorare per ricavarne sequenze facilitanti di obiettivi più accessibili, da presentare immediatamente all’alunno. Alcuni dei metodi più utilizzati per semplificare e ridurre la complessità attraverso la scomposizione in sotto-obiettivi facilitanti sono i seguenti. PROVA SCRITTA Ridurre le difficoltà dell'obiettivo semplificando le richieste di corretta esecuzione. Un obiettivo può essere portato più vicino ai livelli attuali di competenza dell’alunno se riusciamo a ridurne la difficoltà attraverso una modifica dei criteri di corretta esecuzione, quali ad esempio l'accuratezza, la velocità di azione, l'intensità, la durata e la frequenza ottimale di emissione di un determinato comportamento. Questa semplificazione sta alla base della tecnica di insegnamento che va sotto il nome di shaping (modellaggio). Ridurre la difficoltà dell'obiettivo attraverso l’uso degli aiuti necessari e sufficienti. Un obiettivo può essere reso più accessibile anche attraverso l'uso accorto e pianificato di aiuti, di cui andranno forniti solo quelli necessari e sufficienti, né di più né di meno, per non correre il rischio di creare dipendenza e passività dandone troppi. Ridurre la difficoltà dell'obiettivo attraverso l’analisi del compito (task analysis). L'analisi del compito permette di scomporre un obiettivo sia in senso sequenziale-descrittivo, elencando le serie di risposte singole che compongono quel compito, sia in senso strutturale gerarchico, individuando le abilità più semplici e prerequisite che costituiscono la struttura di base di quell’obiettivo e che vanno costruite per prime, appunto in ordine gerarchico. Entrambe queste modalità ci consentono di costruire sequenze di sotto-obiettivi più graduali in termini di difficoltà, e perciò più facilitanti. 51) MODELING - APPRENDIMENTO PER IMITAZIONE BANDURA Il concetto di modeling, o apprendimento per imitazione, ha una lunga e consolidata storia di ricerche e applicazioni, a partire dagli studi di Skinner fino ad arrivare alle concettualizzazioni effettuate da Bandura finalizzati all'elaborazione della sua teoria dell'apprendimento sociale. Albert Bandura ha introdotto il termine «modellamento» (modeling), come paradigma di apprendimento a sé stante con forte impatto sullo sviluppo dei bambini, in quanto costituito da caratteristiche esclusive non riscontrate nei paradigmi classici esistenti. Nello specifico, Bandura ha riscontrato che i bambini tendono ad acquisire una vasta gamma di abilità non dalle proprie esperienze (secondo lo schema «prove ed errori»), bensì attraverso esperienze indirette, sviluppate tramite l'osservazione di altre persone che compiono quelle specifiche azioni. Il presupposto del modellamento è l'apprendimento osservativo in cui è implicata la presenza di un modello e di un osservatore, pertanto Bandura ha utilizzato il termine modellamento (modelling) per identificare un processo di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un individuo che osserva si modifica in funzione del comportamento di un altro individuo che ha la funzione di modello. Su tali basi il comportamento è il risultato di un processo di acquisizione delle informazioni provenienti da altri individui. 52) FASI DEL CALCOLO MENTALE Ricerche recenti hanno avvalorato l'ipotesi di una successione nell'acquisizione delle strategie di calcolo; nel caso dell’addizione, le fasi principali sono le seguenti. a) Contare tutto. Per fare 3 + 5, il bambino conta «uno, due, tre» e poi «uno, due, tre, quattro, cinque» oggetti per stabilire la numerosità degli insiemi da sommare, così da rendere visibili i due insiemi: ad esempio, tre dita su una mano e cinque sull'altra. Il bambino conta poi tutti gli oggetti. b) Contare in avanti a partire dal primo addendo. Alcuni bambini scoprono che non è necessario contare il primo addendo: partono da 3 e contano poi in avanti per altri 5, e arrivano così al risultato. Utilizzando il conteg gio sulle dita, il bambino non conta più il primo insieme, ma parte dalla parola «tre», e usa una mano per contare in avanti il secondo addendo: «quattro, cinque, sei, sette, otto». c) Contare in avanti a partire dall’addendo più grande. Quello di contare il minore dei due addendi è un metodo più efficiente e meno soggetto a errori. Il bambino sceglie in questo caso di partire dal numero più grande: «cinque» e poi va avanti «sei, sette, otto». 53) RUBRICHE VALUTATIVE A partire dagli indicatori, si costruiscono specifiche rubriche valutative, ovvero delle tabelle sinottiche che descrivono le varie dimensioni della competenza traducendole in comportamenti osservabili, declinati secondo una scala di qualità. Per stimolare la metacognizione e motivare gli studenti al successo, le rubriche dovrebbero essere condivise con la classe contestualmente alla presentazione di ogni proposta PROVA SCRITTA didattica, in modo da esplicitare le aspettative del docente e i parametri in base ai quali verrà condotta la valutazione. Le rubriche valutative possono riferirsi: al curricolo (competenze chiave), se interessano competenze chiave e comportamenti osservabili dopo un arco di tempo abbastanza ampio (annuale o pluriennale); alle specifiche competenze individuate dalle UdA, quando risultano più circostanziate (specificano meglio i processi e i contesti dell’apprendere, come strumenti, spazi, tempi, prestazioni, prodotti, ecc.); a compiti singoli (es. lavoro di gruppo, compito significativo, verifica, prodotto), se sono ancora più dettagliate. La struttura della rubrica valutativa dovrebbe esplicitare per ogni livello: - contesto di apprendimento (situazioni note vs nuove); - prestazione attesa; - grado di autonomia ed eventuali facilitazioni necessarie; - livello di responsabilità. È importante costruire rubriche valutative rivolte alla classe in generale avendo cura di formalizzare e strutturare i livelli in modo che chi è particolarmente in difficoltà si possa ritrovare al livello iniziale, che corrisponde al profilo di un alunno che va guidato per raggiungere gli obiettivi minimi. Nei casi di alunni con disabilità — per i quali la valutazione delle competenze è comunque prescrittiva — è possibile utilizzare il modello di certificazione standard allegando delle rubriche di valutazione personalizzate che rapportino il significato degli enunciati di competenza al Profilo di Funzionamento e agli obiettivi stabiliti dal PEI. | livelli della rubrica valutativa, in questo caso, corrisponderanno al potenziale miglioramento di performance dell'alunno stimolato dall’introduzione di facilitatori ambientali (es. strumenti, sussidi, arredi per rendere lo spazio accessibile, risorse umane, strategie didattiche) o personali (es. aumento della fiducia e dell’autostima che l'alunno nutre verso di sé). Per quanto riguarda il PEI differenziato, è possibile accompagnare alle rubriche un altro documento, poiché la normativa vigente non pone limite né alla quantità di allegati né alla tipologia. Il documento a cui si fa riferimento certifica, cioè attesta, le sole competenze effettivamente sviluppate dall'allievo. Questo è particolarmente importante nel caso di alunni con disabilità grave, in cui spesso si fa riferimento alla partecipazione alla cultura del compito, dove l’attenzione va posta a tutti gli elementi di socializzazione e di partecipazione sociale attivabili nel gruppo classe. 54) RUOLO DELL'AMBIENTE Bronfenbrenner, nei suoi studi, ha raccomandato l’importanza di considerare il ruolo dell'ambiente nello sviluppo del bambino. Bronfenbrenner fonda l'approccio ecologico allo sviluppo, rimarcando così la complessità dell'ambiente in cui il bambino è inserito nel difficile compito di crescita. Schematizza l'ambiente in una serie ordinata di strutture, incluse le une nelle altre reciprocamente influenzabili. Il primo livello prende il nome di mesosistema, che rappresenta il contesto in cui il bambino si sviluppa e instaura le prime relazioni significative come la famiglia, la scuola e i coetanei; l'esosistema è il sistema di mezzo, e riguarda le situazioni che influenzano gli attori che si interfacciano con il bambino ma non coinvolge il bambino stesso, come ad esempio il lavoro dei genitori o le famiglie degli insegnanti; l’ultimo livello è definito macrosistema e riguarda le politiche sociali e dei servizi della comunità socioculturale in cui il bambino e i soggetti che interagiscono con lui sono inseriti. Anche l'approccio comportamentista sottolinea l'importante legame del bambino con l’ambiente. L'interazione bambino-ambiente è osservata in termini quantitativi: lo sviluppo è definito dagli effetti delle esperienze e dell'apprendimento. Il soggetto tenderebbe a riprodurre e fare propri comportamenti che, una volta emessi, permettono di ottenere rinforzi positivi, comportamenti che invece non ottengono esiti desiderabili tendono a non essere più agiti per effetto del rinforzo negativo. Tipico esempio del comportamentismo radicale è l'apprendimento classico e operante di Skinner. Bandura propone invece uno stile di apprendimento comportamentista meno radicale definito sociale, secondo il quale il soggetto apprenderebbe perché influenzato dal comportamento osservato. Il comportamento osservato verrebbe riprodotto come esito dei rinforzi intrinsechi interni del soggetto (meno influenzati dall'ambiente). L'approccio organismico, dove troviamo anche i modelli di Piaget e Vygotskij, considera il bambino come un attivo e spontaneo costruttore delle proprie abilità; nello sviluppo avrebbero più peso inclinazioni interne del soggetto piuttosto che esterne, nonostante si sottolinei l'importanza dell’interscambio continuo. Soprattutto Bowlby evidenzia, nella sua teoria sugli stili di attaccamento, ancora oggi la teoria PROVA SCRITTA indispensabile per l'esecuzione del compito (abilità componenti) e per il suo apprendimento iniziale (abilità prerequisite). Sia nel caso della descrizione che in quello della scomposizione di un compito complesso nelle sue abilità componenti e prerequisite, l'insegnante sta definendo una serie di sotto-obiettivi sequenziali, per facilitare con un percorso molto graduale in termini di difficoltà l'apprendimento dell'alunno. 58) AUTOREGOLAZIONE COGNITIVA Autoregolare un proprio processo cognitivo significa attivare le seguenti fasi: fissarsi un chiaro obiettivo di funzionalità ottimale del processo stesso, in termini sia di risultati, sia di modalità di svolgimento; darsi delle istruzioni, suggerimenti o aiuti per svolgere concretamente le operazioni tipiche del processo stesso; osservare l'andamento del processo stesso, raccogliere dati sui risultati prodotti e renderli disponibili per una successiva valutazione; confrontare questi dati prodotti con gli obiettivi e gli standard che precedentemente si erano fissati (fase 1); valutare come positivo lo svolgimento delle varie operazioni richieste se il confronto ha dato esiti positivi e, dunque, perseverare nelle operazioni intraprese, oppure, nel caso contrario, valutare come negativo e insoddisfacente il proprio operato e attivare correzioni appropriate e modifiche alle strategie in corso. L'alunno deve gestire attivamente una continua dialettica fra i processi di auto-osservazione, autodirezione e autovalutazione. Questi processi di autocontrollo non sono sempre evidenti e consapevoli all'alunno. È quindi proprio importante cercare di far «uscire allo scoperto» i processi di autoregolazione, rendendoli consapevoli nel loro svolgimento e nella loro funzione rispetto alle prestazioni e nell’insegnare all’alunno modalità sempre più attive ed efficaci di controllo consapevole dei processi cognitivi. L'alunno dovrebbe quindi applicare le sue conoscenze, sia teoriche generali che personali e introspettive, nell'autoregolarsi efficacemente durante lo svolgimento di un compito concreto di apprendimento, memorizzazione, problem solving o altro. Le conoscenze più utili a questo proposito riguardano il riconoscimento del tipo di compito con le relative richieste in termini di attività cognitive necessarie, lo svolgimento tipico delle attività cognitive con i limiti loro propri e le strategie che si possono utilizzare per regolare al meglio queste attività. 59) CLIMA DI CLASSE Il clima di una classe può essere definito come l'insieme degli atteggiamenti, dei comportamenti e delle relazioni che si instaurano in quel contesto. Esso rappresenta, in pratica, il terreno di base sul quale si muove e vive il sistema-classe, sia per quanto riguarda le componenti emotive, relazionali e sociali, sia perciò che concerne gli aspetti cognitivi, didattici e disciplinari. Se ciascun alunno «non è solo in classe», è pur vero che il fatto di trovarsi a stretto contatto e di condividere lo spazio dell'aula con altri coetanei o con gli insegnanti non rappresenta di per sé una garanzia di un clima efficace e funzionale all’inclusione. È necessario che ciascuno studente si senta a proprio agio in classe, che sia consapevole di trovarsi in un percorso condiviso nel quale è messo nella condizione di esprimere al meglio le proprie abilità e di potenziarle insieme ai propri compagni. Tali risultati sono il frutto di un clima positivo e inclusivo che valorizza, piuttosto che mettere in evidenza e rimarcare i punti critici, che concede fiducia a tutti e che rende ciascuno partecipe dei processi progettuali, decisionali e operativi che caratterizzano la vita stessa della classe. Purtroppo non è sempre così. A volte sopravvivono ancora situazioni in cui il clima di classe è prevalentemente individualistico e competitivo; ciascun alunno è centrato sul proprio lavoro, che deve risultare indipendente e migliore sia per ciò che riguarda i processi che i prodotti, rispetto a quello degli altri. Per attivare in maniera efficace la risorsa-altri, invece, è necessario un clima completamente diverso, in cui si possa scegliere, decidere, comunicare liberamente e collaborare. Un clima nel quale gli studenti non siano isolati in un percorso che li vede lontani dagli altri o, peggio, messi contro di loro, ma che li porti piuttosto a essere parte attiva di un cammino didattico ed emotivo-affettivo comune. Il clima democratico e cooperativo è quello che consente la migliore attivazione della risorsa rappresentata da ciascun attore del contesto scolastico, perché stimola i processi comunicativi, le relazioni e gli aiuti tra compagni di classe. Il lavoro viene progettato e svolto tenendo conto delle proposte degli stessi studenti, che vengono messi PROVA SCRITTA nella condizione di collaborare in vista di obiettivi cognitivi, didattici e sociali comuni. In tal modo, il successo di uno studente è legato, in un contesto di interdipendenza positiva, a quello degli altri e gli stessi criteri di valutazione sono espliciti e molto spesso concordati con gli stessi alunni. 60) INTELLIGENZA EMOTIVA Essere intelligenti emotivamente vuol dire saper riconoscere le nostre emozioni e quelle degli altri, gestire le difficoltà che la vita ci presenta, costruire relazioni soddisfacenti e orientare noi stessi verso obiettivi appaganti. L'intelligenza emotiva non è innata ma si apprende, può quindi essere educata e, come ogni abilità, se insegnata in età scolare ha più probabilità di diventare parte del nostro modo di essere. La letteratura scientifica è ormai concorde nel ritenere fondamentale l'insegnamento delle competenze emotive nella formazione primaria. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha elencato a tal proposito una serie di abilità (life skills) legate all'intelligenza emotiva con l’obiettivo di orientare educatori e insegnanti agli interventi scolastici più adeguati anche in base alle fasi evolutive. Nella fascia d'età relativa alla scuola primaria l'alunno comincia a confrontarsi con gli altri, a sviluppare un'idea di sé e il pensiero diventa più logico. Anche se non è ancora in grado di comprendere esattamente la prospettiva dell'altro, è in questa fase dello sviluppo che il bambino inizia ad apprendere forme più mature di auto- regolazione affettiva. Per questo risulta importante iniziare ad allenare nei bambini l'intelligenza emotiva attraverso attività orientate principalmente a sviluppare tre fasi: 1) riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri (alfabetizzazione emotiva); 2) vivere le proprie emozioni, avere la possibilità di sperimentarle e starci a contatto (esperienze emotive); 3) gestire le proprie emozioni comprendendo il controllo delle reazioni emotive e la gestione delle relazioni interpersonali (regolazione emotiva e empatia). Per riconoscere le proprie emozioni, il bambino ha bisogno di un adulto di riferimento che accolga le sue emozioni e lo aiuti a dare un significato a ciò che sente attraverso un linguaggio emotivo. Il comportamento dell'adulto può diventare un modello che lo supporterà e aiuterà a sentire la dimensione emotiva senza censure e gestire i comportamenti nelle diverse situazioni. Vivere le proprie emozioni significa fare esperienza di potervi stare a contatto, esprimere e affrontarle con un adulto di riferimento che lo supporti e non si sostituisca nelle esperienze di esplorazione. Il supporto favorisce la crescita autonoma e sicura, mentre la sostituzione da parte dell'adulto può indurre sfiducia nelle proprie capacità. Per imparare a gestire le proprie emozioni, il bambino ha bisogno di viverle nella sua pelle e, al contempo, di un adulto che gli possa dare uno spazio di condivisione e regolazione dell'esperienza, come tollerabile e quindi gestibile. 61) INTELLIGENZA EMOTIVA 2 Per capire il concetto di intelligenza emotiva dobbiamo analizzare i due assunti di cui è composta, cioè intelligenza e emozioni. L'intelligenza riguarda funzioni come la memoria, il ragionamento, il giudizio e il pensiero astratto. Il termine «intelligenza» è tradizionalmente utilizzato in psicologia per definire ciò che riguarda le funzioni esecutive. L'emotività è concepita come la sfera affettiva, riguarda le emozioni, i sentimenti, il come ci si sente e possibili valutazioni. Dalla fusione dei termini viene coniato da Goleman il concetto di «intelligenza emotiva», che vede la presa in considerazione a pari livello di due costrutti fino a quel tempo considerati in modo separato e non di pari importanza. Goleman sostiene che grazie a una buona intelligenza emotiva il soggetto sarà in grado valorizzare anche il suo potenziale cognitivo, ottenendo così maggior successo negli ambiti di interesse. | primi a esplorare tale concetto furono in realtà Salovey e Mayer nel 1990. I due studiosi descrissero e analizzarono l'intelligenza emotiva come quella specifica capacità degli esseri umani di monitorare le sensazioni proprie e altrui, discriminando tra varie emozioni, usando poi questa informazione per incanalare pensieri e azioni. È però con i lavori di Goleman che il concetto di intelligenza emotiva trovò grande spazio e diffusione. Goleman partì dal presupposto che le persone di maggiore successo non erano necessariamente coloro i quali avevano anche un quoziente intellettivo superiore. Convinto che non bastassero le conoscenze accademiche per diventare uomini felici, ma fosse necessaria una vita di relazione basata sull'interscambio e l’empatia, dedicò le sue ricerche a esplorare la sfera emotiva. Goleman definisce l’empatia come «la capacità di monitorare i propri sentimenti e quelli altrui al fine di raggiungere e sviluppare obiettivi e desideri». Sostiene che l'intelligenza emotiva «come accade nel caso della matematica o della letteratura, può essere gestita con maggiore o minore abilità e richiede un insieme di competenze esclusive. L’attitudine emozionale è paragonabile a una meta- PROVA SCRITTA abilità attraverso la quale il soggetto è in grado di servirsi appieno delle sue abilità». Grazie agli studi di Goleman, possiamo allora definire l'intelligenza emotiva come una somma di competenze emotive e sociali attraverso le quali la persona si relaziona con se stessa e con gli altri, alle quali ricorre per fronteggiare le pressioni e le richieste ambientali; una competenza che può essere potenziata e rinforzata. Goleman sosteneva l’educabilità dell'intelligenza emotiva, in modo che il soggetto potesse sviluppare consapevolezza dei propri stati emotivi e di quelli altrui e individuare possibili relazioni di connessione. L'età evolutiva rappresenta secondo Goleman la fase più delicata per porre le basi dell'intelligenza emotiva, anche se durante tutto il ciclo di vita il soggetto può dedicarvi attenzione e consapevolezza per diventarne sempre più competente. Identificò 5 componenti fondamentali dell’intelligenza emotiva: 1. consapevolezza di sé, la capacità di produrre risultati riconoscendo le proprie emozioni; 2.dominio di sé, la capacità di utilizzare i propri sentimenti per un fine; 3. motivazione, la capacità di scoprire il vero e profondo motivo che spinge all’azione; 4. empatia, la capacità di sentire gli altri entrando in un flusso si contatto; 5. abilità sociale, la capacità di stare insieme agli altri cercando di capire le dinamiche che avvengono tra le persone. 62) INDICATORI INTELLIGENZA EMOTIVA Il concetto di intelligenza emotiva venne formulato nel 1990 da due psicologi: Peter Salovey e Jonh Mayer. Questi due studiosi definiscono l'intelligenza emotiva come un mix di autocontrollo, empatia e motivazione che consente di sviluppare una grande capacità adattiva e di convogliare opportunamente le proprie emozioni, in modo da valorizzare i lati positivi di ogni situazione. L'intelligenza emotiva viene descritta in una serie di abilità che possono essere raggruppate in 5 indicatori o ambiti principali. 1. Conoscenza delle proprie emozioni. L'autoconsapevolezza, la capacità fondamentale di riconoscere un sentimento nel momento in cui esso si presenta. 2. Controllo delle emozioni. La capacità di controllare e dominare gli stati emotivi in modo da renderli appropriati alla situazione e saperli esprimere in modo costruttivo. 3. Motivazione di se stessi. Capacità emotive che guidano o facilitano il raggiungimento di obiettivi, consentendo di ritardare la gratificazione, aumentare la tolleranza alla frustrazione e reprimere gli impulsi negativi. 4. Riconoscimento delle emozioni altrui. L'empatia, la comprensione e l'interesse nei confronti dei sentimenti, delle esigenze e delle prospettive altrui. 5. Gestione delle relazioni. Capacità di indurre risposte desiderabili negli altri, di negoziare positivamente situazioni di conflitto di gruppo favorendo le possibili sinergie. Il tema dell’intelligenza emotiva è stato successivamente trattato da Daniel Goleman nel libro Intelligenza emotiva: che cos'è e perché può renderci felici. Grazie a questo libro anche in Italia il tema dell'intelligenza emotiva ha iniziato ad essere utilizzato e studiato sia in ambito psicologico, sia in ambito organizzativo/aziendale. Goleman definisce questo costrutto questo come «la capacità di motivare se stessi e di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni; di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione; di modulare i propri stati d'animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare; e, ancora, la capacità di essere empatici e di sperare», riconoscendo i nostri sentimenti e quelli degli altri, gestendo positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali. L'intelligenza emotiva sembra, quindi, un elemento molto importante per l'equilibrio di una persona e il suo successo nella vita. 63) INTELLIGENZA EMOTIVA E APPLICAZIONE NEL CONTESTO CLASSE Goleman definisce l'intelligenza emotiva come la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli altrui, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali. Imparare a essere intelligenti emotivamente vuol dire apprendere l'abilità di gestire le emozioni PROVA SCRITTA L'empatia sembrerebbe essere essenziale per favorire nel soggetto i comportamenti prosociali, i comportamenti di rispetto delle regole e i comportamenti altruistici, in definitiva uno sviluppo adeguato dell’empatia sembrerebbe favorire nei soggetti buone competenze sociali e promuovere la percezione di benessere sperimentata dal soggetto durante l'interazione. È stato messo in evidenza come lo sviluppo dell’empatia non solo riguardi la maturazione cognitiva del soggetto e la sua predisposizione biologica ma possa anche dipendere della stimolazioni dell'ambiente in cui il soggetto è inserito (un contesto dove sono rinforzati positivamente comportamenti prosociali, dove si pone attenzione alla comunicazione emotiva e al riconoscimento dell'altro). 67) EMPATIA CARL ROGERS Carl Rogers scrive questa affermazione nella sua opera del 1980 Un modo di essere, dove considera l'empatia una qualità che il terapeuta deve necessariamente avere per entrare in contatto con il proprio cliente, aiutarlo nell'espressione del proprio essere e dei suoi contenuti più profondi. Egli sostiene infatti che in un clima di ascolto e comprensione si costruiscono le basi solide per un legame autentico, dove è possibile l'affidamento necessario per attuare processi di cambiamento. È importante, secondo Rogers, che il processo empatico sia momentaneo, che il terapeuta abbia sempre presente se stesso e si orienti verso il cliente «come se» fosse nei suoi panni, senza perdere di vista la sua dimensione personale. L'empatia è intesa come il sentire l’altro, i suoi piaceri e le sue sofferenze come se fosse lui stesso a provarle, evitando di inserire i propri giudizi o turbamenti ma senza dimenticarsi del proprio vissuto emozionale, altrimenti il processo diventa quello dell'identificazione. All’interno di una dimensione empatica, l’altro ha la possibilità di sentirsi profondamente compreso, in quanto viene validata l'esperienza emotiva da una persona diversa da lui. Sente che il suo sentire è possibile e ha un senso per il suo interlocutore. In questo contesto dove il giudizio è sospeso, non ci si affanna per convincere l’altro e non entrano in gioco processi difensivi. In un clima di comprensione e ascolto sono favoriti attenzione e apprendimento, stessa cosa se ci spostiamo dal campo terapeutico a quello del gruppo classe. È ormai noto in letteratura il ruolo che ha il clima scolastico sui processi di apprendimento, la percezione di benessere nel gruppo influenza l’attenzione, la soddisfazione e il coinvolgimento degli alunni. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha inoltre delineato fra le principali life skills da sviluppare in ambito scolastico l'empatia e la gestione delle emozioni, considerandole abilità fondamentali per promuovere benessere e prevenire condotte disfunzionali, fra cui l'abbandono scolastico. L'insegnante ha un ruolo determinante in quanto, attraverso i suoi giudizi e valutazioni, può influenzare i comportamenti dei propri alunni e favorire o meno la sintonia nel gruppo dei pari. L'insegnante che possiede abilità empatiche e le esercita con i suoi alunni lavorando con loro sull’allenamento di tale competenza, è facilitato nel suo compito educativo, offre la possibilità di creare un contesto più ricettivo all'apprendimento e crea fattori di protezione contro il disagio psicologico e sociale. 68) EMPATIA ED INTELLIGENZA EMOTIVA I costrutti di intelligenza emotiva e di empatia hanno da sempre sollecitato il panorama scientifico al fine di implementare le ricerche per approfondire sul piano empirico la loro rilevanza e provando a elaborare una definizione univoca. Attualmente sono diversi i contributi ritenuti validi, anche se talvolta contrastanti, ma che hanno in comune l'enfasi posta sullo sviluppo e l'educabilità di intelligenza emotiva e dell’empatia. Si è concordi nel definire che buoni livelli di empatia e sufficiente intelligenza emotiva migliorino le relazioni sociali dell'individuo, favoriscano nel soggetto comportamenti adattativi in situazioni di stress e aumentino il benessere psicologico percepito dal soggetto. L'empatia è stata descritta come il processo di comprensione dell’esperienza soggettiva dell'altro caratterizzato da impegno, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Lo studio dell'empatia ha abbracciato diverse discipline, dalle ricerche di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni agli studi recenti della neurologia sui neuroni specchio di Rizzolatti, che confermano che l’empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, ma è parte del corredo genetico della specie. L'intelligenza emotiva, così come definita da Goleman, è la capacità dell'individuo di comprendere i propri sentimenti, ascoltare e comprendere gli altri ed esprimere emozioni in modo produttivo. Comprende diverse abilità, come la capacità di controllare gli impulsi, regolare l'umore e provare empatia. Analizzando le definizioni emerge come empatia e intelligenza emotiva siano alla base di ogni rapporto umano, e siano quindi fondamentali per garantire una vita relazionale adeguata e soddisfacente. L'aspetto in comune di queste due abilità PROVA SCRITTA fondamentali è che entrambe, così come evidenziato dai vari studiosi che se ne sono occupati, possono essere educate e sviluppate con progetti mirati in vari ambiti di vita. Se l'empatia è spesso il risultato di apprendimento per modellamento, l’intelligenza emotiva, basandosi su 5 pilastri (consapevolezza di sé, dominio di sé, motivazione, empatia, abilità sociale), può essere soggetta ad apprendimento formale più mirato. Interessante è valutare come l’attenzione allo sviluppo dell'empatia abbia effetti positivi sul potenziamento dell’intelligenza emotiva e viceversa: i due costrutti sono infatti intrinsecamente collegati. 69) EMPATIA E APPRENDIMENTO Il processo di adattamento del bambino nell'ambiente scolastico è strettamente collegato alla sua competenza sociale, e la modalità in cui si sviluppa può influenzarne a sua volta l'apprendimento. La scuola rappresenta un contesto privilegiato per lo sviluppo della competenza sociale, i bambini iniziano a sperimentarsi con gli altri e hanno bisogno di essere guidati per modulare il loro comportamento relazionale. È necessario creare le condizioni affinché abbiano la possibilità di fare amicizie e mostrarsi abili nelle relazioni, per permettere loro uno sviluppo sociale adeguato e prevenire problematiche legate a comportamenti depressivi e di chiusura. Se il bambino sperimenta un insuccesso nell’adattamento scolastico, può andare incontro a un profondo disagio che lo potrebbe portare a rifiutare la scuola, a non impegnarsi nei compiti e a instaurare cattive relazioni. AI contrario, un buon adattamento sociale si riversa sul benessere emotivo e cognitivo e, di conseguenza, sulla disponibilità all'apprendimento. Quando si parla di competenza sociale si fa riferimento necessariamente alla competenza empatica: l’empatia infatti si riferisce alla capacità di mettersi nei panni dell'altro, comprendere le sue emozioni e saper modulare le proprie per rispondere in modo adeguato con il proprio comportamento. Il bambino che sa mettersi nei panni del proprio compagno sarà, con molta probabilità, più portato a entrarvi in contatto in modo positivo e ad aiutarlo in caso di difficoltà. Il suo atteggiamento sarà orientato più all'ascolto e alla condivisione invece che al rifiuto e alla competizione. È ormai noto, inoltre, il ruolo che ha il clima scolastico nei processi di apprendimento, la percezione di benessere nel gruppo influenza l’attenzione, la soddisfazione e il coinvolgimento degli alunni. Risulta quindi fondamentale che la formazione del docente di scuola primaria riguardi lo sviluppo di competenze volte a insegnare agli alunni quelle abilità che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiamato life skills nel documento rivolto a progetti di formazione scolastica. Le life skills si riferiscono alle abilità che permettono di assumere comportamenti positivi e trattare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana, sono legate allo sviluppo dell’empatia e in generale dell’intelligenza emotiva. Fra le principali life skills da sviluppare, l'empatia e la gestione delle emozioni sono considerate abilità fondamentali per promuovere benessere e prevenire condotte disfunzionali, fra cui l'abbandono scolastico. 70) EMPATIA CON ALUNNO RIFIUTATO Quando una situazione in classe è critica e colpisce nello specifico un alunno, minacciando in modo significativo il suo benessere emotivo e, quindi, la possibilità di una crescita sana ed equilibrata, ogni insegnante è chiamato a intervenire. Situazioni come il rifiuto e l'isolamento di un alunno, infatti, sono più di semplici baruffe tra compagni. Ci sono vari modi di intervenire, atteggiamenti e comportamenti empatici possono rappresentare il primo passo dell'insegnante nella direzione del benessere dell'alunno e di tutta la classe. Con atteggiamento, intendiamo la predisposizione dell'individuo, il suo sistema di valori e credenze che costituiscono schemi di pensiero. Per comportamenti, intendiamo quelle azioni concrete che il soggetto mette in atto motivato dal sistema di valori. Risulta facile e talvolta semplicistico in questa situazione pendere le difese e agire spinti dal giudizio morale, condannando gli aggressori per salvaguardare le vittime ma questo non ha conseguenze educative stabili, perché i bambini non sono sollecitati al confronto e alla crescita morale. Facendo tesoro della definizione di empatia che recita l’importanza di condividere emozioni e stati interni del soggetto mantenendo il limite che impedisce di confondersi con essi, l'insegnante empatico sarà capace di sospendere il giudizio e iniziare un lavoro di accoglienza e ascolto con il bambino escluso e con il/i bambini escludenti. In questo modo, i docenti avranno più elementi per comprendere la situazione e mettere in atto strategie efficaci in ottica di miglioramento. La prima azione in questi contesti e in queste situazioni è quella di potersi ritagliare momenti significativi di scambio uno a PROVA SCRITTA uno; come afferma Rogers, le interazioni intime favoriscono empatia e consolidano relazioni di fiducia che sono alla base del processo di cambiamento. Un atteggiamento empatico dell’insegnate in questa situazione potrebbe prevedere: ascolto attivo, capacità di affrontare una conversazione con una modalità di ascolto non giudicante, non finalizzata alla ricerca di indizi per agire ma semplicemente ascolto per comprendere; favorire la condivisione e comunicazione di emozioni; capacità di prendere la prospettiva dell'altro e di assumere il ruolo dell'altro, al fine di poter davvero immedesimarsi nella situazione e averne consapevolezza. | conseguenti comportamenti empatici agiti potrebbero: favorire la manifestazione di comportamenti empatici e di reciprocità da parte di tutti i soggetti della classe; creare momenti significativi per il dialogo a due (coinvolgendo il bambino isolato ma anche i bambini più coinvolti negli atteggiamenti di rifiuto); aiutare i soggetti coinvolti a prendere il punto di vista dell'altro, sforzandosi di comprendere come le azioni personali abbiano ricadute sull'altro e provochino pensieri ed emozioni; favorire il confronto onesto tra «le parti». La relazione umana è il punto focale per stabilire una buona atmosfera di apprendimento, dove anche lo sviluppo intellettivo ne trae vantaggio, così come sosteneva Vygotskij. Questa scelta d'intervento richiede sicuramente tempo ma, come Vygotskij ci ricorda, risulta fondamentale educare unendo aspetti cognitivi ed emotivi e non riducendo l'intervento educativo a mero approccio cognitivo. 71) EMPATIA CON ADHD Ogni alunno sollecita però nell'insegnante, che è a sua volta un essere umano, reazioni diverse: ci sono alunni con i quali si entra in connessione più facilmente e altri con cui la connessione è un traguardo davvero complesso da instaurare. Spesso, più la situazione è complessa e più il docente è messo a dura prova: molte ricerche confermano che gli atteggiamenti degli insegnanti sono fortemente influenzati dalla gravità del disturbo che il proprio alunno sperimenta. L'empatia è definita come una serie di comportamenti che consentono all'individuo di accettare gli altri per quello che sono, osservare situazioni provando ad assumere consapevolmente il punto di vista dell'altro. Questo insieme di comportamenti permetterebbe di innescare un circolo costruttivo che, nel lungo termine, consentirebbe riduzione dei conflitti, rispetto delle esigenze proprie e altrui per una più generale percezione di benessere condiviso. Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività è un disturbo cronico e pervasivo che colpisce il 5% della popolazione. Chi ne soffre, oltre alle tipiche difficoltà nella regolazione dell'attenzione e dei comportamenti impulsivi, presenta difficoltà correlate al sintomo come, ad esempio, difficoltà nella pianificazione, difficoltà nella regolazione emotiva e comportamentale. | soggetti tendono a emettere comportamenti che portano a una compromissione del funzionamento. | soggetti con ADHD e manifestazioni di aggressività (definita disregolazione delle emozioni) presentano difficoltà a controllare il comportamento nei contesti strutturati e fortemente regolamentati: la scuola ne è un classico esempio. Sono soggetti che per la pervasività del disturbo risultano antipatici, fastidiosi, irrispettosi. È stato messo in evidenza come l'evoluzione del disturbo dipenda molto dal contesto in cui il soggetto è accolto. Ambienti supportivi, accettanti e collaborativi aiutano il soggetto nella regolazione del suo comportamento e aiutano un'evoluzione positiva. È risaputo come il coinvolgimento della scuola, della classe e dell'insegnante, sia parte del trattamento multimodale del disturbo. Norwich mette però in evidenza come il processo di inclusione di un alunno in classe e la sua successiva accettazione da parte dei compagni dipendano molto dagli atteggiamenti dell'insegnante e da quanto l'insegnante stesso creda nel progetto di inclusione. L'insegnante può cercare di accogliere l'alunno dimostrando empatia a lui e ai suoi compagni di classe, facendo emergere nell’alunno la difficoltà sperimentata con il disturbo e aiutando la classe ad accettare il suo punto di vista, comprendendo che il comportamento di quel compagno non è crudele e intenzionale. Allo stesso tempo, potrà far sentire forte presenza alla classe facendo emergere i vissuti difficili dei compagni e condividendoli in modo onesto con il bambino in difficoltà. Sarà compito dell'insegnante favorire situazioni concrete in cui sia il bambino che i compagni possano accedere a rinforzi positivi ogni volta che sia messo in atto un comportamento empatico prosociale nei confronti degli uni o degli altri. Questo atteggiamento favorirà un clima sereno in cui ogni bambino sa di essere fondamentale per il suo benessere in classe e per il benessere di tutti i compagni. PROVA SCRITTA scopo) o reattiva (caratterizzata da comportamenti impulsivi, vendicativi o offensivi in risposta al comportamento degli altri, percepito a sua volta come offensivo, svalutante, ecc.). L'aggressività fisica prevede l'utilizzo della forza e le minacce, quella verbale l'utilizzo di parole offensive, svalutanti o denigranti, quella relazionale presuppone l’uso di minacce per mettere fine a una relazione, con l'intento di ferire l’altra persona, quella sociale mira invece a danneggiare l'autostima o lo status sociale della vittima. Uno stile educativo autoritario contribuisce indubbiamente alla manifestazione di comportamenti aggressivi nei bambini. Esso impone al bambino regole severe e rigide, non fornisce spiegazioni adeguate ai divieti imposti, utilizza una serie di punizioni per controllare il comportamento e non offre opzioni o alternative per imparare nuove modalità di comportamento più adeguato, autocontrollo e autoregolazione. Influisce inoltre negativamente sull’autostima e produce frustrazione. Anche uno stile permissivo/lassista/ indulgente può favorire lo sviluppo di comportamenti aggressivi poiché fornisce regole poco chiare o definite e, quando le fornisce, risulta spesso incoerente e non le mantiene con fermezza. Uno stile autorevole invece è propositivo, assertivo e aperto al dialogo; favorisce dunque la comprensione e l'interiorizzazione delle regole, l'acquisizione di abilità di autocontrollo, autonomia, conoscenza e comprensione delle proprie emozioni e di quelle altrui, lo sviluppo dell’empatia e la capacità di supporto reciproco. L'insegnante è un mediatore che dovrebbe assumere un atteggiamento accogliente, incoraggiante, facilitante e positivamente stimolante, che consenta di superare lo stile puramente trasmissivo e di favorire concretamente lo sviluppo armonico di ciascun bambino. Anche uno stile educativo basato principalmente su modalità competitive individuali può contribuire a far insorgere o a esasperare comportamenti aggressivi già presenti negli alunni, mentre un approccio collaborativo può contribuire, al contrario, ad arginare tali manifestazioni comportamentali attraverso la costruzione di relazioni positive e significative tra pari. 77) AUTOREGOLAZIONE EMOTIVA PER INCLUSIONE Per riuscire a realizzare dei percorsi di apprendimento realmente inclusivi nella scuola primaria risulta fondamentale lavorare precocemente per lo sviluppo di capacità di intersoggettività (attenzione congiunta, intenzione ed emozione congiunta, alternanza nei turni, ecc.), abilità di gioco e di comunicazione verbale e non verbale, riconoscimento e comprensione delle proprie emozioni e di quelle degli altri, degli stati d'animo, dei sentimenti, degli atteggiamenti, dei pensieri automatici, delle convinzioni irrazionali, delle convenzioni sociali e delle regole di comportamento nei diversi contesti. Educare efficacemente dei bambini che diventeranno adulti responsabili, sensibili, rispettosi e inclusivi, significa anche fornire sin dalla prima infanzia molteplici strumenti per gestire la rabbia, lo stress e la frustrazione, comprendere i propri stati emotivi e quelli altrui, il funzionamento delle relazioni, riconoscere i propri bisogni e quelli dell'altro, capire cosa significhi avere una relazione con un'altra persona, quali sono le regole sociali generali per instaurare e mantenere amicizie significative, capire cosa significhi provare attrazione e come gestire eventuali rifiuti o delusioni, eventuali problemi legati all'identità sessuale, alle diversità biologiche, culturali e sociali. La scuola non può più rimandare la questione, ma deve farsi carico, prima possibile, dell'educazione affettiva dei propri alunni, proponendo attività finalizzate all'acquisizione di competenze emotive, relazionali e sessuali al pari di quelle storiche, matematiche o linguistiche. Come sostiene Andrea Canevaro, appare fondamentale iniziare dalla costruzione di uno sfondo integratore, ovvero una dimensione pedagogica di conoscenza, rispetto, valorizzazione e tutela delle diversità individuali. All’interno di questa cornice e in base all’età, ai bisogni e alle caratteristiche degli alunni della classe, in un'ottica di prevenzione delle discriminazioni di qualsiasi genere, sarà possibile analizzare serenamente molteplici aspetti, alcuni dei quali oggi totalmente trascurati, come, ad esempio, la cura del proprio corpo, la costruzione delle relazioni affettive, i cambiamenti psico-fisici legati alla pubertà e all'adolescenza, l'identità di genere, l'orientamento sessuale, ecc. L'Organizzazione Mondiale della Sanità, a tal fine, ha individuato alcune competenze fondamentali per uno sviluppo sano ed equilibrato: riconoscimento, discriminazione e condivisione delle emozioni degli altri (empatia), gestione efficace delle proprie emozioni (autoregolazione), modulazione dello stress per raggiungere obiettivi concreti (autoefficacia) e senso di controllo personale (autostima). PROVA SCRITTA 78) REGOLARE EMOZIONI PER GESTIRE I CONFLITTI La regolazione delle emozioni è un aspetto dell’intelligenza emotiva e si riferisce all'abilità di riconoscere e gestire il proprio mondo emozionale in relazione agli eventi che si presentano nella vita di una persona. Daniel Goleman definisce l'intelligenza emotiva come la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli altrui, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali. Imparare a essere intelligenti emotivamente vuol dire apprendere l'abilità di gestire le emozioni spiacevoli, tollerare la frustrazione, sviluppare la resistenza allo stress e gestire in modo funzionale i rapporti con gli altri, comprese le situazioni di conflitto. L'Organizzazione Mondiale della Sanità, che si occupa del benessere psicologico e fisico della persona, stabilisce a questo proposito che le migliori strategie educative per promuovere benessere e prevenire disagi psicologici e comportamentali è quella improntata al potenziamento delle abilità personali attraverso attività pratiche che aiutino i bambini a svilupparle. Tra queste abilità, l'empatia e la capacità di gestire/ regolare le proprie emozioni rivestono un ruolo importante per il benessere psicologico della persona e costituiscono un fattore protettivo contro rischi legati a qualsiasi forma di disagio. Una bassa tolleranza alla frustrazione e uno scarso autocontrollo rispetto alle emozioni intense possono spingere a mettere in atto comportamenti impulsivi e creare problemi nelle relazioni. L'alunno che impara a gestire il proprio mondo interno sviluppa l'abilità di riflettere su ciò che succede dentro e fuori da lui (metacognizione) condizione necessaria per poter potenziare abilità più complesse come quella del problem solving in una situazione di conflitto, ad esempio. Gestire un contrasto richiede infatti la capacità di mettersi innanzitutto nei panni dell'altro (empatia), comprendere le sue emozioni e punti di vista per trovare la migliore soluzione di mediazione. Dare la possibilità agli alunni di imparare a regolare le proprie emozioni e, in generale, di potenziare l'intelligenza emotiva permette loro di sviluppare una mentalità flessibile che prende in considerazione diversi aspetti per leggere la realtà che li circonda, condizione importante per promuovere inclusione e benessere nelle relazioni con gli altri e rispettare le diversità. L'alunno che acquisisce la competenza di regolare le proprie emozioni ha introiettato l'abilità di riconoscerle in se stesso e negli altri, riesce quindi a entrare in empatia e modulare il proprio comportamento in modo positivo e funzionale nelle relazioni. 79) CAPTARE LE SPIE EMOZIONALI Facciamo attenzione a queste «spie emozionali»: lo studente ( o la studentessa) si lamenta spesso di sintomi fisici (mal di testa, mal di stomaco), l'impegno è molto al di sotto delle potenzialità che gli attribuiamo, evita il contatto visivo, ha una postura rigida o depressa, si tocca spesso i vestiti, si morde le maniche o i polsini, si mangia le unghie, cerca sempre il contatto con l'insegnante anche durante la ricreazione, osserva da fuori i giochi di gruppo, è pauroso, ha una gamma piuttosto piatta di emozioni, si morde le labbra. Non è detto che si presentino tutti questi indizi. Ma se anche solo alcuni di questi perdurano nel tempo, sono quasi delle note caratteristiche, allora segnalano un problema da non trascurare. Anzitutto ci si chiede: sono «spie» di che cosa? C'è sicuramente, in ciascuno di noi, una propensione temperamentale, ma questi indizi non sono addebitabili alla genetica, bensì al particolare milieu educativo: la visione di sé non è un dato originario, ma un costrutto che è stato appreso. Le prime e fondamentali forme di apprendimento nascono quando il bambino, esplorando l’ambiente che lo circonda, si forma dei quadri di riferimento, delle rappresentazioni mentali del mondo. Ciò però avviene tanto più frequentemente e intensamente quanto più il bambino si sente le spalle coperte, cioè garantito da una «base sicura» dove tornare quando è stanco o spaventato. Quando questa protezione rassicurante non c'è o, molto più frequentemente, è precaria, inattendibile, incoerente, la strutturazione stessa della personalità ne risente. Quindi l’insicurezza, grave, la scarsa fiducia nelle proprie capacità che registriamo nella preadolescenza hanno radici remote e ben radicate nella storia del soggetto. Ma ciò non significa che non si possa fare qualcosa: assegnare dei compiti affrontabili, condividere la ricerca di soluzioni di problemi, entrare in empatia, lodare per i buoni, anche se piccoli, risultati raggiunti, avere aspettative realistiche, mostrare comunque fiducia, mostrarsi flessibili nelle richieste, descrivendo azioni invece di etichettare comportamenti, tutto questo contribuisce ad alleviare il senso di sfiducia. L'auto-disistima è un costrutto che, come tale, può essere modificato, ma ha una forte tenuta nel tempo. Sarebbe quindi illusorio attendersi in breve tempo una metamorfosi radicale. È un percorso che può essere anche abbastanza lungo e che va seguito con serenità e tenacia. PROVA SCRITTA 80) EMOZIONE E MOTIVAZIONE PER FAVORIRE APPRENDIMENTO E INCLUSIONE Un alunno che consapevolmente apprende è più soddisfatto di sé ed efficace nella relazione con gli altri. Alla base della maggiore o minore inclusività c'è quindi un nesso causale che unisce apprendimenti, emozioni e motivazioni. Questi ultimi due termini hanno la stessa comune etimologia e un'evidente parentela di significato. In entrambi c'è una mescolanza di cognizione, affettività e propensione all’azione. La motivazione rappresenta l'interazione e il punto di equilibrio fra questi tre aspetti. Non è qualcosa che si aggiunge all'apprendimento, ma un modo di essere in un certo momento, è uno stato identitario che orienta o distoglie dall'azione. Quando è garantita una «base sicura» che, come ha dimostrato John Bowlby, ha radici nella primissima infanzia, tenderanno a prevalere tendenze progressive di autorealizzazione, attraverso la ricerca, l'esplorazione attiva e l'apprendimento. Quando ci si sente indifesi, scoperti, bisognosi di una sicurezza che si vorrebbe avere ma non c'è, a prevalere saranno probabilmente le tendenze regressive, che sconsigliano di affrontare esiti incerti e rischiosi, che potrebbero minacciare l'integrità del sé. Secondo il tipo di bisogno che entra in gioco, varieranno gli obiettivi formativi: quelli orientati verso la prestazione e la conferma, definiti omeostatici, tenderanno a ristabilire un equilibrio la cui perdita è percepita con disagio, quelli invece tesi alla padronanza e alla crescita, detti anti-omeostatici, trarranno forza e alimento dalla sfida del compito, dall'errore e dalla sua rielaborazione, dallo squilibrio fra competenza attuale e competenza possibile. Nel primo caso prevarrà un principio di autotutela, indispensabile per la conservazione e l'equilibrio, ma di ostacolo all'apprendimento, che è, in misura maggiore o minore, percezione momentanea di inadeguatezza, sfida, rischio, esplorazione, prevalenti quando ci si pone obiettivi di crescita. 81) APPRENDIMENTO E EMOZIONE Diversi studi condotti nel campo delle neuroscienze e, in particolare, nel nuovo filone di ricerca a cui è stato dato il nome di warm cognition (letteralmente «cognizione calda») hanno evidenziato quanto sia rilevante la dimensione emozionale nel processo di apprendimento. Come spiega Lucangeli infatti, le evidenze scientifiche ci suggeriscono che non ha senso interpretare le funzioni dell'emisfero sinistro e di quello destro come separate. Nell’intero circuito del nostro cervello le funzioni si attivano in sincronia e diacronia e a ogni attività cognitiva corrisponde un tracciato emozionale. Gli stimoli che arrivano dall'esterno o dall'interno attivano il nostro circuito emozionale provocando cambiamenti a livello fisiologico (es. variazioni della respirazione, della pressione arteriosa, del battito cardiaco o tensione muscolare), comportamentale (es. cambiamenti nella postura, nel tono della voce, reazioni di chiusura, attacco o fuga) e psicologico (es. alterazione del controllo di sé e delle proprie abilità cognitive). Questo implica, ad esempio, che emozioni piacevoli (es. gioia, eccitazione) aiutano a prestare attenzione, ricordare, risolvere i problemi, prendere decisioni, pianificare un compito mentre emozioni spiacevoli (es. paura o ansia) abbassano i livelli di attenzione e memorizzazione, peggiorano le performance e generano situazioni di evitamento e fuga. Le emozioni influenzano l'apprendimento anche in modo qualitativo: quelle positive favoriscono un approccio olistico, l'intuizione, la creatività nella soluzione dei problemi e una disposizione ottimistica verso l'impegno che si deve affrontare. Le emozioni negative, invece come spiega Lucangeli, incoraggiano un apprendimento maggiormente focalizzato sui dettagli e sull’applicazione di algoritmi. Le emozioni direttamente correlate all'apprendimento influenzano e vengono influenzate a loro volta anche da altre dimensioni psicologiche strettamente interconnesse tra loro quali la motivazione, il senso di autostima e di autoefficacia, lo stile di attribuzione e il locus of control. Le emozioni positive provate in contesti di apprendimento motivato, ad esempio, si concretizzano nella soddisfazione o orgoglio per la riuscita, nella maggiore fiducia in sé e nelle proprie abilità, nella percezione di autoefficacia e si estendono ai rapporti con i compagni e gli insegnanti e al maggior interesse per le discipline. AI contrario, le emozioni negative connesse alle esperienze di apprendimento innescano una spirale di demotivazione e insuccessi, riducono l'autostima e il senso di autoefficacia e incrinano i rapporti con gli altri e con il sapere. Risulta quindi fondamentale prestare attenzione al fatto che gli studenti sviluppino emozioni positive nei confronti della scuola e dell'apprendimento. Ciò che permette lo sviluppo di emozioni piacevoli in ambito scolastico è il senso di competenza, che gli alunni possono provare quando si trovano a svolgere dei compiti che sono alla loro portata e per cui, a seguito di uno sforzo, ottengono buoni risultati. È quindi molto utile tenere in considerazione ciò che Susan Harter definisce «il livello ottimale di sfida». Questo vuol dire individuare il PROVA SCRITTA permette di valutare quello che sta succedendo. Lo sviluppo emotivo è quindi subordinato a quello cognitivo. La teoria differenziale, invece, ritiene che ci siano delle emozioni fondamentali e delle emozioni complesse. Le emozioni fondamentali sono presenti anche negli animali più vicini a noi, esistono anche in noi già dalla nascita 0, comunque, emergono molto precocemente. Le emozioni complesse, che possediamo solo noi esseri umani, compaiono successivamente. Questa teoria dà alle emozioni un ruolo molto rilevante. L'approccio funzionale o organizzazionale potrebbe rappresentare una sintesi dei precedenti. Questo approccio sostiene che l’organizzazione generale delle emozioni è presente in forma rudimentale poco dopo la nascita o nelle prime settimane di vita, ma le diverse componenti si sviluppano, si differenziano, diventano più complesse grazie a dei processi simili a quelli che presiedono allo sviluppo cognitivo. 86) PENSIERO CREATIVO | primi studi formali sul pensiero creativo si fanno risalire attorno ai primi anni Venti, ma è evidente che l'interesse risale a moto tempo prima, dove il termine creatività era sostituito da altri concetti affini, che ancora oggi creano dibattito nel tentativo di dare una definizione univoca al costrutto. La creatività emerge dalla combinazione di distinti circuiti neurali, che governano le emozioni da un lato e i processi cognitivi dall'altro. Le prime ricerche sistematiche sulla creatività apparse nello scenario statunitense con non poco scalpore sembrano essere quelle di Guilford. Guilford, in alcuni dei suoi esperimenti, aveva notato una correlazione positiva tra buoni livelli di creatività e alte prestazioni scolastiche, decidendo così di approfondire questo tema inesplorato. Guilford sosteneva che la persona creativa fosse una persona capace di produrre idee nuove che potevano essere testate in termini di frequenza di risposte non comuni, ma accettabili; ha sottolineato l'originalità dei comportamenti non comuni come espressione della creatività. Più tardi Dewey definirà la creatività come l'incontro dialettico tra contrasto e armonia. Fondamentale fu anche il contributo delle idee di Stein alla definizione di creatività, che ancora oggi vengono riprese. Stein sosteneva che il lavoro creativo tendesse ad essere utile per alcuni gruppi, e quindi nella valutazione fosse coinvolto il giudizio sociale; l'idea creativa consisterebbe in una reintegrazione di materiali già esistenti o conoscenze pregresse con nuovi elementi. Quindi la definizione di creatività di Stein contempla l’idea di creatività come abilità che produce qualcosa di nuovo e utile. | primi studi sul pensiero creativo lo hanno definito nella relazione tra pensiero divergente e pensiero convergente. Il pensiero divergente è caratterizzato da una vasta gamma di associazioni o dalla capacità di condurre molte soluzioni di fronte a un problema, andando oltre la situazione di partenza e superando i limiti dei dati oggettivi; il pensiero convergente, al contrario, punta alla soluzione più rapida e sicura di fronte a un problema. Diversamente dagli orientamenti menzionati sopra, l'indagine dei processi creativi ha spesso portato altri indirizzi di ricerca a postulare una specificità del pensiero creativo a confronto con altre forme di attività mentale. A tal proposito, la teoria della Gestalt ha classicamente distinto fra il pensiero riproduttivo, che opera applicando «meccanicamente» procedure e associazioni precedentemente acquisite, e quello produttivo, capace di inventare soluzioni originali e di realizzare nuove strutture mentali grazie alla ricombinazione creativa degli elementi su cui opera. Tale paradigmatica distinzione sembra, in effetti, trovare conferma in alcune ricerche neuroscientifiche, da cui si evince come gli stati cerebrali che accompagnano la produzione di idee notevolmente originali siano diversi da quelli osservati durante la produzione di idee più convenzionali. Da un diverso punto di vista, la creatività è stata ricondotta, più che al pensiero come tale, soprattutto alla personalità e alle differenze individuali, anche se è emerso come non esista un tratto specifico della personalità che definisca la persona creativa, ma piuttosto si evidenziano più aspetti caraterizzanti come l'autonomia, l’anticonformismo, l’'introversione, la curiosità e, infine, l'intelligenza globale del soggetto, benché non vi siano ricerche che lo confermino. La creatività in relazione a nuove ricerche può essere identificata, secondo Williamse Tuffanelli, in 8 fattori.Inambitocognitivo-intellettivo:pensiero fluido, pensiero flessibile, pensiero originale, pensiero elaborativo; in ambito emozionale: disponibilità ad assumersi dei rischi, complessità, curiosità, immaginazione. PROVA SCRITTA 87) CREATIVITA' E PENSIERO DIVERGENTE La pedagogia moderna considera la creatività e il pensiero divergente abilità che ogni alunno può apprendere e non inclinazioni individuali. La creatività può essere esercitata dall’alunno in ogni materia scolastica, che sia artistica o scientifica. L'atto creativo si articola in diversi momenti fondamentali: la preparazione, dove viene identificato il problema e prese in esame diverse possibilità; l'incubazione, dove viene accantonato per un momento il problema e si lascia spazio alla libera espressione di idee personali legate al proprio bagaglio di conoscenze; l'ispirazione, dove può emergere improvvisamente una possibile soluzione; la verifica, dove si valutano la fattibilità e l'efficacia della risposta; l’implementazione, dove la soluzione viene messa in pratica. Per tale ragione, il contesto scolastico diventa un luogo fondamentale di apprendimento quando presenta le caratteristiche utili allo sviluppo di questa competenza. Un ambiente giudicante può condizionare l'alunno a sviluppare risposte di tipo convergente, non stimola la libera espressione e la ricerca di possibili alternative originali condizioni necessarie per guardare un problema sotto molteplici aspetti. Secondo Guilford il pensiero divergente e la capacità di produrre una gamma di possibili soluzioni per un dato problema, in particolare per un problema che non preveda un'unica risposta corretta. Più ampia sarà la gamma di possibilità che siamo in grado di produrre, più alta sarà la probabilità che una di esse dia prova di originalità. Il modello di Guilford identifica tre indicatori per misurare il rappresenta la capacità di adottare strategie diverse e l'elasticità nel passare da un compito a un altro che richieda un approccio differente; l'originalità rappresenta l'attitudine a formulare idee uniche e personali, differenti da quelle prodotte dalla maggioranza. Per coltivare la creatività degli alunni, le proposte didattiche devono perciò essere flessibili al fine di favorire la dimensione immaginativa e incoraggiare risposte non convenzionali. È importante creare condizioni favorevoli in cui l'alunno possa fare molteplici esperienze, sia stimolato a fare domande, confrontarsi con i compagni su diversi aspetti della realtà e incoraggiato a sviluppare le sue attitudini. 88) CREATIVITA' E PENSIERO DIVERGENTE 2 Per favorire lo sviluppo della creatività e del pensiero divergente è necessario che le proposte didattiche lascino lo spazio agli alunni di poter fare scelte e azioni originali in base alle proprie spinte creative e in ogni ambito di studio è importante che l'insegnante incoraggi lo sviluppo di idee non convenzionali attraverso la ricerca di risposte alternative o l'utilizzo di tecniche che favoriscano la libera esposizione, come il brainstorming, le domande a risposta aperta («Cosa faresti se...») o attività «a finale aperto». Si può essere creativi sia nelle materie artistiche che in quelle scientifiche, per cui è importante che l'alunno abbia la possibilità di sviluppare la creatività in ogni disciplina secondo i propri tempi e modalità. La creatività non è una caratteristica innata né esiste un'inclinazione a produrre o meno scelte divergenti e originali. Lo sviluppo di questa abilità è favorita da un contesto non giudicante, aperto allo scambio di idee che stimoli gli alunni a fare domande e confrontarsi su diversi interessi e attitudini. Se gli alunni capiscono o percepiscono che verranno valorizzati e premiati solo nella misura in cui si uniformeranno alle risposte dettate dall’istituzione scolastica, le loro scelte personali saranno condizionate e, molto probabilmente, si orienteranno verso una modalità di tipo convergente. L'abilità di produrre risposte originali, assumersi i rischi di fare scelte non convenzionali, la possibilità di accedere a una dimensione immaginativa sono condizioni che possono verificarsi solo in un ambiente che incoraggia continuamente tali sforzi creativi. È importante sottolineare che per «dare spazio» agli alunni non si intende un contesto non strutturato dove ogni idea e azione è permessa e funzionale. Ogni processo creativo presenta delle fasi che prevedono la verifica delle proprie scelte e la loro fattibilità ed efficacia. 89) STIMOLARE LA CREATIVITA' Il docente ha diverse opportunità per stimolare il pensiero creativo dei propri alunni attraverso un «patto formativo» capace di attivare una partecipazione estesa che garantisca a tutti gli alunni la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero. Il suo obiettivo principale sarà quello di promuovere la condivisione di obiettivi e regole, la flessibilità di pensiero e la capacità di utilizzare strategie differenti, di assumere prospettive e punti di vista differenti, di considerare il ruolo costruttivo dell'errore, della collaborazione in gruppo e del reciproco rispetto. La PROVA SCRITTA creatività infatti si manifesta in molteplici ambiti della vita di un alunno e coinvolge non solo le abilità e i processi cognitivi, ma anche quelli sociali, comunicativi, relazionali ed emotivi. Utilizzare efficacemente il pensiero creativo significa imparare a esprimere ed elaborare differenti contenuti emotivi, cogliere emozioni e punti di vista altrui, esplorare novità e nuove possibilità, comunicare in modo funzionale e sviluppare abilità di problem-solving emotivo. Attraverso attività cooperative e laboratoriali, ad esempio, il docente potrà aiutare i propri alunni a osservare le situazioni e i problemi in modo critico e multi-prospettico, a identificare gli elementi problematici e ideare soluzioni insolite, a imparare a cogliere somiglianze e differenze, a sviluppare strategie ideative flessibili e a valutare le opzioni più adeguate agli obiettivi, ristrutturando la situazione iniziale con l'introduzione di nuovi elementi e/o punti di vista differenti. Un gioco molto interessante per gli alunni della scuola primaria è il bino- mio fantastico, proposto da Gianni Rodari nel suo testo Grammatica della fantasia. Questa attività ludica ha lo scopo di mettere in moto la creatività attraverso parole e immagini. Si tratta di prendere due parole a caso (es. melone e ombrello) che, apparentemente, non hanno alcun elemento in comune, mescolarle in modo da ottenere il titolo di una storia improbabile e provare a scriverla. Attraverso l'esercizio della narrazione i bambini potranno inoltre confrontare le proprie emozioni e trovare una serie di finali possibili. Come sostiene Rodari, «la parola singola agisce solo quando ne incontra una seconda che la provoca, la costringe a uscire dai binari dell'abitudine, a scoprire nuove capacità di significare». Un modello di intervento per lo sviluppo del pensiero creativo è il CASCO, acronimo che sintetizza cinque principali obiettivi di lavoro: Contesto, Ampliamento del repertorio strategico, Sperimentazione, Competenze sociali/personali e Osservazione. Garaigordobil ha dimostrato l'efficacia di un training creativo-ludico per potenziare il pensiero creativo e divergente. Tra le attività possibili, suggerite dall'autrice, vi sono: trasformare gli animali, inventare pubblicità, creare murales di gruppo, rinominare oggetti in base a nuove funzioni. 90) PROMUOVERE IL PENSIERO CREATIVO In ambito educativo Jerome Bruner ci invita a fare attenzione perché a scuola tendiamo a ricompensare solo le risposte «giuste» e a penalizzare quelle «sbagliate». Questo rende i bambini riluttanti ad azzardare soluzioni nuove o originali, dato che le probabilità di sbagliare in questo caso diventano inevitabilmente maggiori. L'insegnante dovrebbe privilegiare un clima in cui vengano sostenuti anche il pensiero divergente e la creatività, piuttosto che uno dove sia valida solamente la risposta corretta. Per fare questo è importante cercare di ridurre la memorizzazione di mere procedure e proporre le varie sfide scolastiche come fossero problemi da risolvere. Di fronte a un problema si chiede poi alla classe di attivarsi per trovarvi soluzione generando tutte le possibilità che vengono loro in mente. È importante non dare un giudizio rispetto alle soluzioni proposte, ma suggerirne poi la verifica da parte degli studenti stessi. Perché questo processo avvenga con successo è fondamentale che l'insegnante si ponga come alleato dei propri studenti nel loro percorso di apprendimento e non come giudice interessato unicamente a verificare procedure apprese a memoria. Ovviamente alcuni aspetti dell'apprendimento richiedono semplice memorizzazione, ma è importante trovare tutti gli ambiti didattici in cui invece è possibile sostenere lo sviluppo di un pensiero riproduttivo e non produttivo, un pensiero più divergente e creativo. Un altro elemento a cui sarebbe importante prestare attenzione è l'atteggiamento nei confronti dell'errore. L'errore è un passaggio naturale dell’apprendimento e non qualcosa da sanzionare e da cancellare il prima possibile. Si può imparare molto dall’errore sia da parte dell'insegnante sia da parte dello studente stesso. La scuola, quindi, dovrebbe divenire un luogo in cui gli studenti possono costruire competenze e trovare risposte al loro naturale interesse nei confronti del mondo. Tutto questo in un luogo positivo, che valorizzi le individualità e che premi i tentativi di padronanza da parte gli studenti. 91) MATEMATICA E CREATIVITA' L'ambito logico-matematico è un campo in cui si incappa spesso nel richiedere l'applicazione di procedure rigide. Invece anche in questa materia tale cambio di atteggiamento è possibile e può portare allo sviluppo del pensiero creativo e divergente. Per fare un esempio concreto, questo è possibile se il problema matematico viene proposto non tanto come un mero esercizio, ma come una situazione problematica che bisogna risolvere e per cui è possibile provare varie strade per arrivare alla soluzione. È importante vengano PROVA SCRITTA al quale possiamo attingere, sono libere di combinarsi liberamente. Il problema didattico centrale consiste nel creare delle forme di lezione, dei contesti di apprendimento nei quali questi processi intuitivi possano esprimersi ed essere valorizzati. A tal fine, l'approccio didattico certamente più favorevole è quello che viene definito «esperienziale» — in contrapposizione al modello «trasmissivo» — incentrato com'è su ricerche personali e di gruppo, impiegando le strumentazioni più svariate, dal libro alle riviste, da Internet alle interviste. Insomma, una didattica che ruota attorno al perno formativo del problem solving, dove trovano adeguato riconoscimento e valorizzazione anche i creativi e i divergenti, che sono per loro natura più propensi ad accettare la sfida dell'apprendimento, ad accontentarsi di una momentanea approssimazione, ad accettare il rischio di sbagliare, a tollerare maggiormente l'ambiguità, l'incertezza, finché non hanno trovato loro stessi la strada per sciogliere le difficoltà e per risolvere i problemi di comprensione. 96) CLIMA DI CLASSE E CREATIVITA' Il «luogo» in cui lo studente vive gran parte della sua esperienza scolastica è la classe, intesa come dimensione spaziale, fisica, ma anche e soprattutto relazionale e psicologica. È quest'ultimo aspetto, soprattutto, a determinare il particolare «clima» che la caratterizza. Diverse ricerche hanno messo in evidenza il nesso fra grado di apprendimento e produzione di idee dei ragazzi ed il positivo clima di classe. Naturalmente l’insegnante gioca un ruolo decisivo nel determinare un particolare clima. Con buona pace di molti colleghi e genitori, i quali ritengono ancora adesso che l'insegnante bravo è quello severo e autoritario, pare invece assodato da tempo che gli insegnanti che determinano le situazioni più favorevoli per l'apprendimento «... sono caldi, amichevoli, disponibili ad aiutare, comunicativi, ma, al tempo stesso, ordinati, in grado di motivare e di controllare il comportamento in classe». Insomma, un insegnante che favorisce un clima di classe che definiremo «democratico», imperniato sul dialogo, sull’accettazione reciproca, sulla valorizzazione delle differenze, sulla tolleranza, sul consenso, sulla cooperazione. Questa ecologia di classe rende possibile una didattica che è stata definita «dialogica», in quanto si fonda sul continuo scambio di ruoli fra docente e studenti e sulla cooperazione nella costruzione delle idee e dei progetti. Tale didattica prende le mosse da un problema partendo dal quale si sviluppa una conversazione esplorativa con il compito di produrre diverse ipotesi di soluzione, che saranno poi selezionate e implementate, fino alla soluzione del problema. Questa metodologia didattica favorisce un'apertura verso i saperi «caldi», che nascono dall'osservazione diretta, dall'intervento elaborativo, manipolativo, dall’invenzione personale o di gruppo, e verso i saperi cosiddetti «dionisiaci», che nascono nell’extrascuola o negli interstizi della vita scolastica, cioè i saperi antropologici, ambientali, che si impongono dall'esterno in modo imprevisto. Certo, ci sono discipline che si prestano di più e altre di meno a un'impostazione di questo tipo, che comunque richiede una notevole flessibilità non solo nella programmazione didattica del singolo docente, ma anche nell'intera organizzazione dell'istituto, se si vuole favorire la necessaria collaborazione interdisciplinare. 97) PENSIERO DIVERGENTE E FLESSIBILITA' COGNITIVA Per quanto le indicazioni ministeriali abbiano ribadito a più riprese che devono essere riconosciuti e valorizzati i diversi profili cognitivi, i talenti, le differenze, per favorire il massimo di inclusività, sembra ancora difficile, per la maggior parte dei docenti, riconoscere e valorizzare le varie forme di intelligenza. Si cerca al contrario di piegare e di comprimere la grande pluralità di inclinazioni e di personalità entro modelli prefissati e schemi angusti, che schiacciano le potenzialità degli individui, impedendone l’autorealizzazione. Questo vale in modo particolare per i creativi, le cui doti sono spesso trascurate o sacrificate, quando non direttamente osteggiate dagli insegnanti e dagli stessi compagni di classe, a causa proprio della loro indipendenza di pensiero, che li fa entrare ben presto in rotta di collisione con l'apparato istituzionale, fatto di regole, di vincoli, di abitudini, di rituali che i divergenti mal tollerano. Vengono per questo sovente tacciati di essere poco collaborativi, ostruzionisti, ostinati, impudenti oppure «svitati». Si è in genere più propensi verso quegli studenti che «vanno bene in tutte le materie», che presentano abilità specifiche tutte nella norma, ma che, proprio per questo, presentano un profilo piatto, omogeneo. Invece particolari talenti, connessi ad abilità specifiche, determinano un profilo disomogeneo, in quanto si tenderà a coltivare di più l'ambito nel quale si è dotati e a sfuggire i compiti dove si risulta carenti, innescando circoli virtuosi e viziosi che accentueranno sempre più la disomogeneità di partenza. Spesso presentano profili più PROVA SCRITTA accentuatamente eterogenei gli alunni cosiddetti DSA, che presentano cioè disturbi specifici in un'area di apprendimento, talvolta compensata da uno sviluppo al di sopra della media in una diversa area. Per questi alunni il riconoscimento e la valorizzazione dello specifico profilo diventano ovviamente essenziali. Ma riconoscere dignità e diritto di esistenza a profili di personalità e di pensiero diversi e variegati spinge a diversificare gli ambienti di apprendimento, i saperi, gli stimoli, gli approcci, le metodologie, l'impianto stesso dell'offerta formativa che, con l'opportunità di intraprendere percorsi opzionali o facoltativi, consentirebbe una personalizzazione dei curricoli, rendendoli più flessibili e permeabili alle diverse «intelligenze». 98) INCORAGGIARE IL PENSIERO DIVERGENTE All’inizio de Il piccolo principe, Antoine de Saint-Exupéry ci parla di una sconfitta: il suo disegno di bambino, un elefante inghiottito da un boa, veniva invariabilbente scambiato dall’adulto per un banale cappello: «E allora non parlavo di boa, di foreste primitive, di stelle. Mi abbassavo al suo livello. Gli parlavo di bridge, di golf, di politica, di cravatte. E lui era tutto soddisfatto di avere incontrato un uomo tanto sensibile». Secondo Sigmund Freud, Leonardo appariva spesso misterioso e incomprensibile ai suoi coetanei perché continuò a giocare anche da adulto. Ma la curiosità e il gioco, tipici dell'infanzia, quando non vengono conculcati dalla penuria o, all'opposto, dalla bulimia di giocattoli, non servono solo ad alimentare le invenzioni dei geni, ma la creatività collettiva, quella che Vygotskij definiva l’«immaginazione cristallizzata». L'apertura al mondo, le intuizioni del mondo, affondano le loro radici nell'infanzia, nelle sue réveries, nel suo fantasticare in piena, inconscia libertà. È nel bambino, e in ciò che dell'infanzia resta anche nell'adulto, che va rintracciata, come sostiene Gaston Bachelard, la scaturigine stessa della poesia e dell’immaginazione creativa. Una creatività che forza i confini e i vincoli di un sapere trasmesso, inventando, trasformando, cercando soluzioni nuove, non è del tutto assente nella scuola; ma non è quasi mai prevista o voluta, anzi è spesso sgradita e osteggiata quando, nonostante tutto, si presenta. Si possono usare diversi strumenti per favorire lo sviluppo di un pensiero e di una personalità creativa. In ogni disciplina si possono trovare molte occasioni per praticare il problem solving individuale e di gruppo, incentivare le discussioni aperte, praticare il brain storming, riservare ampi spazi alla scrittura creativa, attivare laboratori espressivi artistici e musicali. Tuttavia, si deve segnalare che l'aspetto più importante, anche se meno evidente, è l'atteggiamento dell'insegnante. Lo strumento serve a poco, o può essere addirittura controproducente, se entra in dissonanza con un profilo didattico sostanzialmente contrario alla creatività. Per favorire un'inclinazione spontanea all'esplorazione, alla curiosità, al gioco e all'invenzione, è determinante il clima di classe che l'insegnante riesce a stabilire: strutturato quanto basta per essere rassicurante, ma senza sconfinare in una rigidità opprimente. 99) PENSIERO DIVERGENTE E METODOLOGIE DIDATTICHE Le possibilità di creare un ponte tra pensiero divergente e metodologie didattiche dipendono in gran parte dalla percezione dei docenti sull’efficacia delle modalità didattiche che abitualmente utilizzano e, conseguentemente, dal grado di cambiamento che potrebbero introdurre nella loro pratica didattica quotidiana. Si tratta pertanto di promuovere la partecipazione degli allievi e dei loro punti di vista all’interno del processo di insegnamento-apprendimento, facendo fare un passo indietro al docente che, abitualmente, utilizza la lezione di tipo frontale ex cathedra. La didattica espositiva può suscitare il pensiero divergente solo se diventa interrogativa, compartecipata e se promuove la metacognizione. Per promuovere il pensiero divergente e la pluralità dei punti di vista a scuola i docenti devono tuttavia aprirsi a didattiche innovative rispetto a quelle tradizionali, che attivino maggiormente le risorse personali di ciascun allievo, i propri modi di pensare e di affrontare i problemi. La didattica laboratoriale e la didattica per competenze sono due modalità attive di apprendimento che perseguono tale scopo. In entrambe il soggetto agisce, inventa, ipotizza nuove strategie risolutive, produce qualcosa ex novo. L'attività laboratoriale consente di ripensare, a esperienze lontane ed eterogenee e contemporaneamente costruire, su quel pensiero, nuove esperienze. Nel laboratorio si costruisce il pensare per connessioni, il pensiero previsionale, il problem solving, il decisional making e, non ultima, la creatività. Nella didattica per competenze, da una situazione-problema iniziale gli studenti sono chiamati a giustificare gli scopi e gli scenari possibili, le motivazioni che li hanno portati a adottare determinate scelte. Si tratta quindi di prevedere risorse molteplici, organizzare tempi e spazi per poter provare tecniche e procedure, verificare PROVA SCRITTA ipotesi, sperimentare materiali e strumenti, ma anche soluzioni innovative. In questo clima ciascun alunno utilizzerebbe il proprio stile e modalità preferenziale di apprendimento, e tutti gli studenti riuscirebbero a esprimere le proprie potenzialità e produrre soluzioni personalizzate ai problemi proposti. 100) PENSIERO CONVERGENTE E PENSIERO DIVERGENTE Il pensiero divergente è la capacità di produrre una serie di possibili soluzioni alternative a una data questione. Esso è strettamente correlato al pensiero creativo. Guilford ha studiato approfonditamente questo tipo di pensiero. Lo studioso riteneva che il pensiero divergente potesse essere misurato da quattro parametro quantitativo che valuta la numerosità delle idee prodotte; - flessibilità: rappresenta la capacità di adottare strategie diverse e l'elasticità nel passare da un compito a un altro che richieda un approccio differente; - originalità: attitudine a formulare idee uniche e personali, differenti da quelle prodotte dalla maggioranza. - elaborazione: ovvero l'abilità di dare concretezza alle proprie idee. Guilford ha scritto anche di ciò che lui chiamava «pensiero convergente». Nel pensiero convergente si dice che gli individui convergono, invece che discostarsene, sull’unica risposta accettabile a un problema e producono efficacemente la soluzione. Il pensiero convergente è logico-analitico, indispensabile per applicare procedure precise. Quello divergente è creativo e multidirezionale, ci serve per guardare le cose da nuovi punti di vista e trovare nuove soluzioni. Sono molto importanti entrambi. Infatti, se uno, quello convergente, ci aiuta a concatenare logicamente gli elementi per applicare una strategia appresa di soluzione, l’altro ci permette di trovare nuove soluzioni e nuove idee che altrimenti non avremmo neanche preso in considerazione. In ambito educativo, Jerome Bruner ci invita a fare attenzione perché tendiamo a ricompensare solo le risposte «giuste» e a penalizzare quelle «sbagliate». Questo rende i bambini riluttanti ad azzardare soluzioni nuove o originali nella risoluzione di un problema, dato che le probabilità di sbagliare in questo caso diventano inevitabilmente maggiori. L'insegnante dovrebbe privilegiare un clima in cui venga sostenuto anche il pensiero divergente e la creatività piuttosto che uno dove sia valida solamente la risposta corretta. 101) VALUTAZIONE NELLA SCUOLA PRIMARIA La valutazione degli apprendimenti rappresenta uno dei compiti più complessi della funzione docente. Nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 si afferma che essa compete alla responsabilità degli insegnanti, nel rispetto dei criteri deliberati dagli organi collegiali. Nel paragrafo «L'organizzazione del curricolo», si sottolinea l'importante ruolo della valutazione nella scuola e le sue principali forme, la responsabilità diretta degli insegnanti relativa alla valutazione didattica, che «precede, accompagna e segue i percorsi curricolari». In questa citazione sono contenuti i significati più rilevanti della valutazione di pertinenza degli insegnanti, definiti in tre momenti, con tre funzioni specifiche. La valutazione iniziale (diagnostica), di tipo conoscitivo (che «precede»), coincide con la raccolta di dati e informazioni che risultano determinanti nella progettazione delle esperienze e delle attività di apprendimento. La funzione formativa (che «accompagna») corrisponde all'accertamento che viene svolto durante le esperienze di studio e di lavoro (in itinere). In questo senso, l'esigenza precipua è correlata al bisogno di facilitare l'acquisizione delle conoscenze da parte degli alunni con azioni di supporto, scambio e accompagnamento. La funzione sommativa (che «segue») interviene nella fase finale di un'attività didattica (ex-post), e attesta i cambiamenti avvenuti nell’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze, mediante prove specifiche. Nel testo delle Indicazioni non viene fatto cenno alla valutazione autentica, legata in particolare alla didattica per competenze. Si tratta di una funzione che valorizza il protagonismo dello studente e la sua capacità di riflessione e di autovalutazione, svolta prevalentemente con lo strumento della rubrica o rubric. Nell’ambito della singola realtà scolastica, dopo l'istituzione del Sistema Nazionale di Valutazione (DPR 80/2013) ha assunto un crescente peso anche la valutazione d'istituto, affidata al Rapporto di Autovalutazione (RAV), predisposto dalle scuole ogni tre anni. Oltre al Decreto richiamato, il processo di autovalutazione è stato concretamente avviato nel 2014 con la Direttiva del Miur e successiva Direttiva (18 PROVA SCRITTA studente nello sviluppare una consapevolezza rispetto alle proprie modalità di apprendimento e pensiero, ai propri punti di forza e abilità, agli errori commessi e alle cause sottostanti, alle proprie difficoltà e alle azioni messe in campo per superarle. In questo modo l'alunno è attivamente impegnato nel costruire il proprio sapere e nell'individuare un proprio metodo di studio, impara ad autoregolarsi e organizzarsi in termini di spazi, tempi, materiali e strumenti da utilizzare considerando le proprie caratteristiche personali. Inoltre nelle Indicazioni del 2012, nel paragrafo «Il senso dell'esperienza educativa», viene sottolineata l'esigenza di educare i ragazzi a un profondo senso di responsabilità, che si traduce nel «fare bene il proprio lavoro, nel portarlo a temine e nell'avere cura di sé». Per fare questo l'alunno va messo nelle condizioni di comprendere i compiti che gli vengono assegnati e i traguardi che può raggiungere, di leggere le proprie emozioni, dimostrando di saper raggiungere nuovi equilibri attraverso la risoluzione dei conflitti che inevitabilmente caratterizzano la sua vita, come quella dei coetanei. La consapevolezza del proprio modo di imparare presuppone anche capacità di natura metacognitiva, che investe alcuni processi chiave dell'apprendimento, quali la riflessione e il controllo. La riflessione accentua il valore e l’importanza di saper comprendere dentro di sé il significato profondo di un'attività didattica, di un lavoro di gruppo, di una relazione amicale. Il controllo coincide con la capacità di verificare, accertare, attuare dei riscontri in modo da favorire un'intelligenza critica e creativa. Stati intenzionali e stati emozionali sono infatti alla base di una pedagogia meta cognitiva. 106) CORRESPONSABILITA' SCUOLA FAMIGLIA Negli ultimi decenni sono avvenuti numerosi cambiamenti a favore di un'interazione sempre più ampia tra comunità scolastica e comunità sociale, famiglia in primis. L'aumento di episodi di bullismo ha sollecitato nel 2007 il Ministro della Pubblica Istruzione ad aggiornare il DPR 249/1999, introducendo il Patto educativo di corresponsabilità, un documento che sancisce il principio dell'alleanza educativa tra scuola e famiglia e l'incontro delle esigenze e delle aspettative di entrambi. Questa nuova prospettiva fa leva sul principio di responsabilità delle parti, con lo scopo di perseguire risultati migliori per e con gli alunni (DPR 235/2007). Infatti, nell'art. 3 del Decreto, si sottolinea che, al momento dell'iscrizione, ai genitori e agli studenti viene richiesta la sottoscrizione di un Patto educativo di corresponsabilità, finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e doveri tra istituzione scolastica, studenti e famiglie. Sul piano pedagogico-educativo, la sottoscrizione di un patto tra genitori e insegnanti sancisce il fatto che l'educazione dei giovani non avviene più per linea gerarchica, come nella società patriarcale, ma per linea negoziale, mediante la condivisione «tra le parti» degli aspetti formativi ritenuti irrinunciabili. Questa istanza è esplicitata con estrema chiarezza nelle Indicazioni per il curricolo del 2012, dove si sottolinea da parte degli adulti un'evidente attenuazione della capacità di dare regole e di educare al senso del limite. Pertanto è necessario costruire un'interazione tra le famiglie e la scuola, «ciascuno con il proprio ruolo, esplicitare e condividere i comuni intenti educativi». Uno dei cardini dell'alleanza educativa tra scuola e famiglia è quello di sensibilizzare gli alunni all'esercizio di una cittadinanza responsabile. La società avverte la necessità di avere dei giovani capaci di esercitare una cittadinanza attiva declinabile su un duplice piano: la dimensione culturale-conoscitiva e quella della coerenza e consapevolezza dei propri comportamenti. Sono state lasciate all’autonomia delle singole scuole, attraverso i regolamenti di istituto, la discrezionalità delle procedure di sottoscrizione, l'elaborazione e la revisione del patto medesimo. Sul piano giuridico, si è via via configurato un legame stringente che, attraverso tale patto, scuola e famiglia sono tenute a realizzare. Nella realtà, le forme di tale contratto sono abbastanza diversificate. Nella Legge 107/2015, si richiama il valore della scuola come comunità attiva, in grado di «sviluppare e aumentare l'interazione con le famiglie e con la comunità locale». Si rammenta, infine, che la recente Legge 92/2019, che ha previsto l'introduzione dell'educazione civica nella scuola, all’art. 7 ha provveduto a estendere il Patto educativo di corresponsabilità anche alla scuola primaria. 107) COS'E’ GLIR Con la Legge quadro del 5 febbraio 1992, n. 104, relativa all'assistenza, all'integrazione sociale e ai diritti delle persone handicappate, veniva istituito il Gruppo di Lavoro Interistituzionale Provinciale (GLIP), con il compito di sostenere il Provveditore nelle decisioni che riguardavano l'integrazione scolastica. La chiusura dei Provveditorati (Riforma del Ministero della Pubblica istruzione nel 2000), con la conseguente istituzione degli Uffici Scolastici regionali, è coincisa anche con una graduale trasformazione dei compiti affidati al GLIP, PROVA SCRITTA anticipata da alcuni provvedimenti ministeriali come da Direttiva del 27 dicembre 2012 e la CM 8 del 2013. Nei due provvedimenti richiamati è stata prevista anche l'istituzione del GLIR a livello regionale. Nell'art. 9 del DIgs 66/2017 sono stati riordinati tutti i Gruppi per l'inclusione scolastica sia a livello d'istituto che in ambito territoriale, e presso ogni Direzione Generale è stato istituito il Gruppo di Lavoro Interistituzionale Regionale (GLIR), che svolge compiti di: consulenza e proposta all’USR per la definizione, l'attuazione e la verifica degli Accordi di Programma con particolare riferimento alla continuità delle azioni sul territorio, all'orientamento e ai percorsi integrati scuola- territorio-lavoro; supporto ai Gruppi per l’Inclusione Territoriale (GIT); supporto alle reti di scuole per la progettazione e la realizzazione dei Piani di formazione in servizio del personale della scuola. Inoltre, uno dei compiti più significativi del GLIR è quello di monitorare l'attuazione degli Accordi di programma, che devono essere sottoscritti in ogni ambito provinciale da tutti i soggetti istituzionali (istituzioni scolastiche, enti locali, ASL, ecc.) in collaborazione con le associazioni delle famiglie. L'inclusione è una responsabilità che presuppone l'integrazione di tutti i decisori politici di una comunità e non può essere delegata esclusivamente alla scuola. Il Decreto ministeriale del 24 aprile 2018, n. 338, ha confermato le funzioni sopra richiamate e stabilito che la composizione del GLIR sia la seguente: il dirigente preposto all’USR o da un suo delegato che presiede il Gruppo; - dirigenti tecnici e amministrativi in servizio presso l’USR; dirigenti scolastici di differenti ordini e gradi scolastici; coordinatori o gestori delle scuole paritarie; docenti esperti in materia di inclusione; rappresentanti della Regione; rappresentanti degli enti locali; rappresentanti delle associazioni delle famiglie. Va ricordato, infine, che il Decreto legislativo 66/2017 è stato integrato dal Dlgs 96/2019 che, per quanto concerne il GLIR, non ha introdotto nessuna modifica rispetto al provvedimento precedente. 108) COS'E’ GLO La Legge quadro 104/1992, all'art. 15, definiva la composizione del gruppo responsabile della redazione del PEI, rubricato come «gruppo di studio e di lavoro», composto da insegnanti, operatori dei servizi, genitori, studenti. Nel corso degli anni questo gruppo ha assunto informalmente vari nomi, come GLH e GLHO, indicati in Direttive e circolari ministeriali e recentemente ridefiniti nell'art. 9 del Decreto legislativo 66/2017, a sua volta integrato dal DIgs 96/2019, art. 8. Nel «vecchio» Decreto del Presidente della Repubblica del 24 febbraio 1994 (Atto di indirizzo relativo ai compiti delle ASL in materia di alunni portatori di handicap), si affermava che il PEI doveva essere redatto congiuntamente dagli operatori sanitari individuati dalla USL e/o USSL e dal personale insegnante curricolare e di sostegno della scuola, in collaborazione con i genitori. Con il DIgs 66/2017, artt. 7 e 9, rimangono confermati i tradizionali compiti di questo gruppo e si prevede presso ciascuna istituzione scolastica l'istituzione del Gruppo di Lavoro per l'inclusione (GLI), con il compito di supportare il collegio dei docenti nella predisposizione del Piano per l'inclusione di istituto. Il principio cardine che deve orientare le attività del Gruppi di lavoro delle singole istituzioni scolastiche è quello di autodeterminazione della persona con disabilità. Nella Convenzione dell'ONU del 2006, esso viene definito come l’insieme dei diritti di ogni individuo di decidere del proprio futuro, facendo le scelte ritenute coerenti con il proprio progetto di vita. Il Gruppo di lavoro operativo (GLO) (art. 8 del DIgs 96/2019) svolge il precipuo compito di definire la struttura dei PEI dei singoli alunni con disabilità. Ogni GLO è composto dal team dei docenti della scuola dell'infanzia e primaria e dal Consiglio di classe della secondaria di primo e di secondo grado. Fanno inoltre parte del Gruppo operativo i genitori dell’alunna/o con disabilità, specifiche PROVA SCRITTA figure professionali, interne ed esterne all'istituzione scolastica, che interagiscono con la classe. Nella scuola secondaria di secondo grado è prevista la partecipazione anche della studentessa e dello studente con disabilità, nel rispetto del principio di autodeterminazione. Infine il GLO è supportato dall'unità di valutazione multidisciplinare, che ha il compito di redigere il Profilo di funzionamento, il quale sostituisce la diagnosi funzionale e il profilo dinamico funzionale. Nella redazione del PEI sono, pertanto, coinvolti tutti gli insegnanti della classe, senza nessuna differenza tra quelli assegnati alle attività di sostegno e quelli curricolari. Una delle novità più rilevanti nel funzionamento del GLO riguarda il nuovo ruolo dell'ASL; in particolare, l'Unità di Valutazione Multidisciplinare (UVM) è chiamata a fornire un supporto al Gruppo, anche se formalmente non ne fa parte. 109) COS'E’ GLI Nella Legge quadro 104/1992, all'art. 15 si prevedeva l'istituzione, presso ogni scuola, di un gruppo con il compito di contribuire alla redazione del PEI, rubricato come «gruppo di studio e di lavoro» (denominato successivamente GLH d'istituto), composto da insegnanti, operatori dei servizi, genitori, studenti. La Circolare ministeriale n. 8 del 2013 ha assegnato al GLH il nome di GLI, Gruppo di Lavoro per l’Inclusività, dichiarando che le sue competenze non riguardavano solo la disabilità, ma che si dovevano estendere anche alle problematiche relative a tutti gli alunni con Bisogni Educativi Speciali (BES). Con il DIgs 66/2017 (articoli 2, 9 e 10, integrato nel Dlgs 96/2019), anche se viene conservata la stessa denominazione (GLI), cambiano profondamente i compiti, la composizione e l'ambito di applicazione del gruppo stesso e il PAI diventa Piano per l'inclusione, con valenza triennale, rientrando nella definizione del PTOF. Durante la predisposizione del Piano per l'inclusione, presieduti dal dirigente scolastico, oltre ai docenti curricolari e di sostegno, agli specialisti dell'ASL, al personale ATA, partecipano anche gli studenti, i genitori e i rappresentanti delle associazioni delle persone con disabilità. Quando si rapporta al Collegio dei Docenti o ai Consigli di Classe, il GLI è composto solo da personale della scuola che è tenuto alla riservatezza professionale. Di fatto, il «nuovo» GLI ha sostanzialmente il compito di definire e attuare il Piano per l’Inclusione, supportando il Collegio dei Docenti nella sua definizione e realizzazione. Rientra nel PAI anche la definizione delle modalità per l'utilizzo complessivo delle misure di sostegno sulla base dei singoli PEI, per cui il GLI ha un ruolo anche nella richiesta e assegnazione delle risorse di sostegno e di assistenza, attraverso il supporto dei docenti contitolari (scuola dell'infanzia e primaria) e dei consigli di classe (scuola secondaria di primo e di secondo grado). Può essere questa una novità molto importante sulla strada della condivisione all’interno di un istituto che, se applicata bene, dovrebbe portare a valorizzare le competenze professionali proprie per sostenere tutti gli insegnanti che per vari motivi possono incontrare difficoltà di particolare rilievo. Per effetto dell'art. 2, comma 1 del Dlgs 66/2017, il GLI, come tutti gli organismi e gli atti previsti dal decreto, si occupa esclusivamente degli alunni con disabilità certificata, capovolgendo completamente l'impostazione della CM 8 del 2013, nella quale a questo Gruppo veniva assegnato il compito di rilevare gli alunni con bisogni educativi speciali, non soltanto degli studenti con disabilità. 110) COS'E’ GIT Il tema delle reti di scuole è strettamente collegato all'attribuzione dell'autonomia. Infatti, nell'art. 7 del DPR 275/1999 si auspica che le istituzioni scolastiche promuovano «accordi di rete» per svolgere attività didattiche o di ricerca in comune, anche mediante «lo scambio temporaneo di docenti». La DM del 27 dicembre 2012 riservava un ruolo di particolare importanza ai Centri Territoriali di Supporto (CTS), di ambito prevalentemente provinciale, ma dava riconoscimento formale anche ai Centri Territoriali per l'Integrazione (CTI) che già funzionavano, seppure con nomi diversi, in alcune Regioni d’Italia. Mentre i CTS sono stati supportati dal MIUR con la destinazione di risorse mirate, i CTI, pur formalmente riconosciuti, hanno continuato a funzionare a seconda delle specifiche realtà regionali. I Gruppi per l’Inclusione Territoriale (GIT)sono stati introdotti dal Decreto legislativo 66/2017 (art. 9) in ciascuno dei 319 ambiti territoriali, istituiti nel nostro Paese a seguito dell'art. 1, comma 66 della Legge 107/2015, con lo scopo di sostenere nel territorio l'inclusione scolastica degli alunni con disabilità. Il Decreto legislativo 96/2019 ha però modificato sensibilmente quanto previsto del precedente Decreto 66. PROVA SCRITTA 114) QUADRO EUROPEO COMPETENZE E CONOSCENZE Il 18 dicembre 2006 viene diffusa la Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio dell'Unione Europea relativa all'individuazione di otto competenze chiave per l'apprendimento permanente, finalizzate a garantire ai giovani dell’Unione le padronanze irrinunciabili in vista del loro ingresso nel mondo del lavoro e il diritto all'apprendimento lungo tutto l'arco della loro vita. Nella Raccomandazione, alla base dell’acquisizione delle competenze, viene posto il possesso di solide conoscenze, senza le quali non è immaginabile maturare abilità e padronanze sia disciplinari che trasversali. Secondo il Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF, 2008), le conoscenze sono il «risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l'apprendimento». Possono essere ricondotte a un insieme di fatti, principi, teorie e pratiche relative a un settore di lavoro o di studio. Le abilità indicano la capacità di applicare conoscenze sia a livello cognitivo che pratico. Le competenze invece sono la «comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio». Nel contesto del Quadro Europeo delle Qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità (prevedere e valutare le conseguenze delle proprie azioni) e autonomia (prendere decisioni e agire in modo indipendente). Il Quadro di Riferimento Europeo viene ripreso nel DM 139/2007, dove vengono declinate otto competenze chiave di cittadinanza che sono alla base del modello di certificazione nazionale delle competenze al termine dell'obbligo formativo. Lo stretto rapporto tra conoscenze e competenze viene richiamato nelle Indicazioni nazionali della scuola dell'infanzia e del | ciclo d'istruzione, ma anche nelle Indicazioni nazionali dei Licei (DPR 89/2010), nelle Linee guida degli Istituti tecnici (DPR 88/2010) e nel Regolamento di revisione dell'istruzione professionale (DM 92/2018). La Raccomandazione del 2006 è stata aggiornata dal Consiglio europeo il 22 maggio 2018, modificando sensibilmente le otto competenze chiave. L'aggiornamento è stato necessario in seguito a vari cambiamenti: l'utilizzo crescente delle tecnologie, l'urgenza di rafforzare le competenze di base che risultano insufficienti (lettura, matematica e scienze), e la necessità di accrescere la capacità di problem solving, di cooperazione, di pensiero critico, computazionale e creativo. La Nota del Miur del 4 aprile 2019, n. 5772 sottolinea, coerentemente al nuovo quadro europeo, che nell'a.s. 2019- 2020 verrà aggiornato l’attuale Profilo dello studente al termine del primo ciclo d'istruzione. 115) IDENTITA’ PROFESSIONALE DEL DOCENTE Il ruolo del docente è atipico rispetto a quello di altre professioni e difficilmente circoscrivibile a un'identità delimitata.All'interno di questa complessità possiamo però individuare alcune dimensioni irrinunciabili del ruolo docente. In tutte le organizzazioni di lavoro le persone devono esprimere una funzione formale (formazione scolastica, universitaria, qualità personali, codice deontologico, ecc.) e un ruolo agito, espressione dinamica del «fare» quotidiano e delle prassi lavorative che ogni docente sa realizzare. Nel testo delle Indicazioni nazionali del 2012, nella parte relativa al curricolo della scuola dell'infanzia c'è un paragrafo dal titolo | docenti. In esso si delinea il profilo dell'insegnante di qualità che vale non solo per quell’ordine scolastico, ma anche per il primo e il secondo ciclo d'istruzione. Dalle affermazioni contenute in questo paragrafo è possibile ricavare le seguenti priorità della funzione docente. Innanzitutto, il possesso di solide competenze culturali e disciplinari. Questa dimensione interessa la conoscenza aggiornata e approfondita dei campi di esperienza (scuola dell'infanzia) e delle discipline oggetto d'insegnamento negli altri ordini scolastici. In particolare, i docenti sono tenuti a valorizzare la valenza formativa dei saperi e le relazioni esistenti tra i diversi sistemi culturali (Indicazioni nazionali del 2012). Una seconda priorità è rappresentata dalle competenze relazionali, relativa alla conoscenza dei problemi tipici dell'età dei bambini e degli adolescenti, alle dinamiche relazionali presenti nei contesti familiari e di vicinato, ma soprattutto alla capacità di dialogo educativo tra docenti e studenti. Questa dimensione è strettamente correlata alla capacità organizzativa inerente la funzione sociale del docente, il suo ruolo come componente essenziale di una comunità professionale organizzata in molteplici livelli, che lui stesso contribuisce a promuovere e a innovare e con i quali si relaziona quotidianamente. Il contesto di insegnamento (terza priorità) infatti ha una forte influenza sulla costruzione del proprio Sé professionale. In tutte le organizzazioni la qualità dell'ambiente ricade positivamente sulla crescita del capitale umano. La comunità scolastica costituisce di fatto il principale fattore di sviluppo della professione e di un'identità che è un «agìto» espresso con autorevolezza, competenza e capacità di dialogo. PROVA SCRITTA 116) COMPETENZE DOCENTI NEL NUOVO MILLENNIO Il MIUR nell'aprile 2018 ha diffuso un Documento dal titolo «Sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio», dove vengono esplicitati obiettivi, compiti e competenze del profilo professionale degli insegnanti, articolati in tre ambiti: standard professionali, dossier del docente e governance della formazione. | Gruppi di lavoro che hanno elaborato il documento hanno individuato cinque macro-aree ritenute irrinunciabili: cultura, didattica, organizzazione, istituzione/comunità e cura della professione. La dimensione culturale coincide con la figura di un insegnante «colto», impegnato ad aggiornare il proprio patrimonio di conoscenze e capace di tradurle nelle prassi didattiche. L'area didattica interessa in particolare la cura relativa all’organizzazione dell'insegnamento e la capacità di sostenere l'apprendimento di tutti gli studenti. L'ambito organizzativo viene ricondotto al Documento di lavoro alla competenza gestionale della classe, attraverso strategie di lavoro collaborativo finalizzato a promuovere la partecipazione degli studenti. La dimensione istituzionale è indicativa del senso di appartenenza a una comunità professionale e della capacità di instaurare rapporti positivi con i colleghi e con la dirigenza scolastica. Infine, la cura della professione riguarda l'importanza che ogni docente attribuisce al proprio sviluppo professionale mediante la partecipazione a percorsi formativi e attività di autoaggiornamento. Il portfolio del docente è lo strumento che documenta la crescita di questo importante ambito della professione. Queste cinque fondamentali dimensioni non costituiscono una novità in assoluto; ci sono, infatti, riferimenti significativi anche in altri progetti e rapporti europei. Ne sono un esempio: il progetto TALIS (Teachers And Learning Survey, 2018), dove si evidenziano irrinunciabili punti della professione (il possesso di conoscenze disciplinari; la qualità della relazione educativa con gli studenti; la capacità di gestione della classe; le competenze metodologico-didattiche; le modalità con le quali gli insegnanti si rapportano con i colleghi e con il capo d'istituto); il Contratto di lavoro nazionale (2016-2018); le Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 nel paragrafo «I docenti», relativo alla scuola dell'infanzia ma estendibile a tutti i gradi e ordini di scuola, nel quale si definiscono i tratti peculiari del profilo dell'insegnante (la preparazione culturale, la motivazione alla professione, l'attenzione agli alunni, la cura di un ambiente di apprendimento accogliente e ben organizzato), arricchito attraverso «il lavoro collaborativo, la formazione continua in servizio, la riflessione sulla pratica didattica». 117) CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE Le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d'istruzione (DM 254/2012) prevedono che ogni istituzione scolastica predisponga il curricolo d'istituto all'interno del Piano Triennale dell'Offerta formativa con riferimento: - al profilo dello studente al termine del primo ciclo di istruzione; - agli obiettivi di apprendimento specifici per ciascuna disciplina; - ai traguardi per lo sviluppo delle competenze. Questi tre vincoli sono esplicitati nel testo ministeriale in cui, per quanto concerne il tema delle competenze, si afferma che solo a seguito di una regolare osservazione, documentazione e valutazione «è possibile la loro certificazione». Il DIgs 62/2017, attuativo della Legge 107/2015, all'art. 9 ha stabilito che la certificazione delle competenze debba essere ancorata: a) al profilo dello studente al termine della scuola secondaria di primo grado; b)alle competenze chiave individuate dall'Unione Europea (Raccomandazione del 2006, oggi sostituita con analoga Raccomandazione del 22 maggio 2018); c) alla definizione, mediante enunciati descrittivi, dei diversi livelli di acquisizione delle competenze stesse. Il Miur, dopo un progetto nazionale sperimentale (Circolare del 13 febbraio 2015, n. 3), ha approvato un modello nazionale di certificazione delle competenze al termine della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado. La versione finale di tale modello è stata adottata dal Miur nel DM n. 742 dell'ottobre 2017. Infine, la Nota del Miur del 9 gennaio 2018, n. 312, ha diffuso le Linee guida in vista della concreta compilazione del modulo da consegnare alle famiglie. La sua struttura è composta da: - le competenze europee del 2006, che dovranno essere aggiornate da quelle descritte nella Raccomandazione 22 maggio 2018; - le competenze del Profilo dello studente; - i livelli da attribuire a ciascuna competenza. PROVA SCRITTA Nelle Linee guida, allegate alla Circolare 312/2018, viene fornito un quadro culturale in cui inserire il tema della valutazione e della certificazione delle competenze, che non rappresenta solo un adempimento amministrativo di ampliamento dell’informazione per i genitori, ma è uno strumento che arricchisce il profilo valutativo degli alunni. La certificazione delle competenze accompagna il documento di valutazione degli apprendimenti e del comportamento degli allievi e svolge una funzione formativa, orientativa e di sostegno alle scelte degli alunni. 118) DIDATTICA PER COMPETENZE Nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del 2012, si sottolinea che una didattica per competenze presuppone una significativa innovazione delle strategie di insegnamento-apprendimento. Infatti, un primo aspetto rilevante dell'approccio per competenze è la centralità dell'alunno che impara, con «l'originalità del suo percorso individuale». Per questa ragione, le attività didattiche orientate a far sì che lo studente maturi solide conoscenze e competenze presuppongono la progettazione di compiti di realtà, gestione della classe in chiave collaborativa, forme di valutazione autentica e la certificazione dei livelli raggiunti. Il docente assume una nuova responsabilità educativa, poiché l'insegnamento persegue la finalità della formazione della persona e dell'autonomia del cittadino (soft skills).Il tema delle competenze in ambito scolastico presuppone una concezione dell’apprendimento diversa da quella tradizionale, dove le conoscenze sono il risultato di un processo costruttivo e partecipato. La competenza, infatti, evidenzia l'attitudine del soggetto a relazionarsi con la realtà, a impegnarsi in compiti complessi, a rielaborare il proprio sapere in funzione della soluzione di problemi e progetti inerenti alla vita delle persone. La didattica per competenze rappresenta un significativo presupposto anche per promuovere una reale inclusione, perché si propone di strutturare percorsi in cui tutti gli alunni possano trovare il loro posto e la possibilità di esprimere le proprie potenzialità. Per questo, è improntata alla massima diversificazione, con l'utilizzo di mediatori diversi (attivi, iconici, analogici, simbolici), in grado di venire incontro alle diversità individuali e ai differenti stili di apprendimento. Inoltre, privilegia strategie di ricerca e di studio a mediazione sociale: lavoro di gruppo, di coppia, di peer tutoring, di aiuto reciproco. La sfida della diversità trova il suo massimo ancoraggio nella gestione cooperativa del gruppo-classe, dove «le situazioni individuali vanno riconosciute e valorizzate». Pertanto, nella prospettiva della competenza, i compiti diventano autentici, così come la valutazione che viene esercitata prevalentemente con strumenti nuovi, quali le rubriche, la valutazione tra pari, il portfolio. L'alunno competente sa coniugare in modo stabile le conoscenze possedute utilizzandole in compiti inediti e in una molteplicità di contesti. 119) PIANO TRIENNALE DELL'OFFERTA FORMATIVA (PTOF) Il PTOF costituisce l'identità stessa della scuola, configurandosi come una vera e propria pianificazione della vita scolastica, definita in un quadro di coerenza in riferimento agli obiettivi generali e educativi dei vari tipi e indirizzi di studi, alle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico nel quale la scuola opera in armonia con la più generale programmazione territoriale dell’offerta formativa. Riporta le scelte per la gestione delle risorse disponibili, i processi che si intende attivare, le finalità che si vuole conseguire, i possibili esiti degli apprendimenti, ma anche gli elementi per consentire un'efficace governance e il collegamento tra scuola e comunità territoriali di competenza. In questo senso, il documento deve essere costruito conservando due piani di coerenza: quello interno, relativo soprattutto alla scuola, che riguarda le finalità educative, le prospettive e le scelte pedagogiche, organizzative, didattiche, finanziarie, di ciascuna scuola; quello esterno, che si caratterizza per la dichiarazione della mission educativa che la scuola intende perseguire e che rende esplicita all'utenza e alla più ampia comunità territoriale. Il PTOF esplicita, in altri termini, gli impegni e le responsabilità che dirigenti, docenti, alunni, genitori, personale ausiliario e amministrativo, decisori politici intendono concretamente assumere; esso definisce l’intero impianto delle attività della scuola, comprese quelle per il potenziamento dell'offerta formativa. Il principio di organizzazione e gestione delle risorse è quello della flessibilità; in questo senso, la realizzazione del PTOF è strettamente collegata a un'altra innovazione che è stata introdotta dalla Legge 107/2015, quella dell'organico funzionale di istituto. Nel Piano vanno inoltre collocate tutte quelle iniziative che riguardano la formazione per studenti e alunni in materia di sicurezza e primo soccorso, di educazione alla parità dei sessi, di prevenzione alla violenza di genere, del bullismo, e di tutte le forme di discriminazione; le attività di continuità e orientamento, anche in base alle opportunità offerte dal mondo del lavoro. Viene richiamato, PROVA SCRITTA rappresentanti degli studenti e dei genitori), 2 rappresentanti del personale non docente e il capo d'istituto. Alle riunioni del Consiglio di istituto possono partecipare, semplicemente a titolo consultivo, gli specialisti che sono impegnati in modo continuativo nella scuola con compiti medico, psico-pedagogici e di orientamento (Dlgs del 16 aprile 1994, n. 297, art. 8, comma 5). Il Consiglio è presieduto da un rappresentante dei genitori, eletto a maggioranza assoluta. Viene inoltre eletta tra i componenti dell'organo collegiale la giunta esecutiva che, sotto la presidenza del capo d'istituto e il coordinamento del direttore SGA che ne è membro di diritto, predispone i lavori del consiglio. Il Consiglio ha potere deliberante su una molteplicità di ambiti, come definito nell'art. 10 del D.Igs. 297/94, tra cui: elabora indirizzi generali e determina le forme di autofinanziamento; adotta il regolamento d'istituto e il Piano Triennale dell'Offerta Formativa; indica i criteri generali circa la formazione delle classi; definisce le modalità di svolgimento dell'orario delle attività didattiche (per il tempo scuola settimanale, da articolare in orario antimeridiano e pomeridiano in 6 o 5 giorni settimanali); delibera il programma annuale delle attività di recupero, extrascolastiche e dei viaggi di istruzione; esprime un parere circa l'indicazione della lingua straniera che dovrebbe essere introdotta nelle classi; la giunta esecutiva predispone il bilancio preventivo e il conto consuntivo. Dopo che il Regolamento DPR 233/1998 ha definitivamente confermato la legittimità istituzionale degli istituti comprensivi, sono state diffuse ulteriori indicazioni dal Ministero per il funzionamento amministrativo e didattico per gli istituti scolastici. 124) COLLEGIO DEI DOCENTI E COMITATO PER LA VALUTAZIONE DEL SERVIZIO DOCENTI Il Collegio dei docenti è composto dal personale docente e presieduto dal dirigente scolastico. Esso delibera sul funzionamento didattico; cura la programmazione dell’azione educativa; adegua i programmi di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e favorisce il coordinamento interdisciplinare; rispetta la libertà di insegnamento, per ciascun docente; formula proposte per la formazione, composizione delle classi e assegnazione dei docenti, per l'orario delle lezioni e per lo svolgimento delle altre attività; valuta periodicamente l'andamento dell’azione didattica per verificarne l'efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo opportune misure per il miglioramento dell'attività scolastica; provvede all'adozione dei libri di testo; adotta o promuove iniziative di sperimentazione; promuove iniziative di aggiornamento; elegge i docenti incaricati di collaborare col dirigente scolastico; elegge i suoi rappresentanti nel Consiglio di circolo o di istituto; elegge i docenti che fanno parte del Comitato per la valutazione del servizio del personale docente; programma e attua le iniziative per il sostegno degli alunni con disabilità; esamina, per ogni possibile recupero, i casi di scarso profitto o di irregolare comportamento degli alunni; esprime parere in ordine alla sospensione dal servizio e alla sospensione cautelare del personale docente. Dopo che il Regolamento DPR 233/1998 ha definitivamente confermato la legittimità istituzionale degli istituti comprensivi, sono state diffuse ulteriori indicazioni dal Ministero per il funzionamento amministrativo e didattico per gli istituti scolastici. Con la Legge 107/2015, il Comitato per la valutazione dei docenti è cambiato nella sua durata, composizione, funzione. La durata della nomina dei componenti è triennale, in relazione al PTOF. Pur conservando la presidenza al dirigente scolastico, il Comitato è costituito da tre docenti, due scelti dal Collegio dei docenti e uno da Consiglio istituto; due rappresentanti dei genitori, rispettivamente espressi per la scuola dell'infanzia e per il primo ciclo di istruzione, mentre nel secondo ciclo vi sono un rappresentante degli studenti e uno dei genitori, tutti designati dal Consiglio di istituto; vi è infine un componente esterno designato dall'Ufficio scolastico regionale, individuato tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici. Anche le funzioni del Comitato sono state ampliate. Un primo compito riguarda il parere sul superamento del periodo di formazione e prova del personale docente e educativo; in questo caso, la sua composizione prevede il dirigente che lo presiede, i tre docenti insieme al docente che ha seguito l'insegnante in prova con funzioni di tutor. Il Comitato può valutare, su richiesta del docente interessato, anche il servizio dell’ultimo triennio, previa relazione del dirigente scolastico, anche riabilitandolo da una sanzione disciplinare. Un secondo compito, con il Comitato in assetto completo, riguarda l'individuazione dei criteri per la valorizzazione e la premialità dei docenti in base alla qualità dell’insegnamento, al contributo al miglioramento dell'istituzione scolastica e al successo formativo, ai risultati conseguiti, alle responsabilità assunte. PROVA SCRITTA TRACCE SVOLTE SIMONE 1) PROFILO DI FUNZIONAMENTO 2) CICLI DI ISTRUZIONE 3) ISTITUTI COMPRENSIVI 4) RAPPORTO DI AUTOVALUTAZIONE (RAV) 5) INVALSI 6) PIANO PER L’INCLUSIONE (PI) 7) EDUCAZIONE CIVICA 8) CLIL 9) SCUOLE PARITARIE 10) AUTONOMIA SCOLASTICA 11) DIRIGENTE SCOLASTICO 12) LIBERTA' DI INSEGNAMENTO 13) PTOF E CONTESTO CULTURALE 14) PTOF CHI REDIGE 15) CONTRATTO FORMATIVO 16) POTENZIAMENTO INSEGNAMENTI 17) PIANO NAZIONALE SCUOLA DIGITALE 18) VALUTAZIONE PERIODICA E FINALE 19) EMPATIA 20) EMOZIONI 21) NEURONI SPECCHIO 22) MEMORIA APPRENDIMENTO 23) MECCANISMI NEURONALI APPRENDIMENTO E MEMORIZZAZIONE 24) PSICOLOGIA NELLA PRATICA EDUCATIVA 25) COGNITIVISMO SULLA PEDAGOGIA 26) INTELLIGENZA EMOTIVA 27) MOTIVAZIONE E CREATIVITA' 28) PENSIERO DIVERGENTE 29) INTERVENTO EDUCATIVO AUTISMO 30) LINGUA DEI SEGNI ITALIANA (LIS) 31) MUTISMO SELETTIVO 32) DISLALIE FONOLOGICHE 33) LETTURA FUNZIONALE 34) LEGGE DSA 35) INTERVENTO DSA 36) METODO FOL 37) MUSICOTERAPIA 38) ICF E PEI 39) ADHD 40) RESPOSABILE DELL'ALUNNO DISABILE 41) TECNOLOGIE E SOSTEGNO 42) INTERVENTO ALUNNO DIFFICOLTA’ LINGUISTICHE 43) METODOLOGIE CON BAMBINO DISABILE 44) USO ECCESSIVO SCHEDE STAMPATE 45) OSSERVAZIONE INFANZIA 46) PREGRAFISMO INFANZIA 47) ESERCIZI DI GRAFICA INFANZIA 48) ATTIVITA' GRAFICA INFANZIA PROVA SCRITTA 49) CONCETTUALIZZAZIONE LINGUA SCRITTA INFANZIA 50) PRESA IN CARICO BAMBINO DISABILE 51) CONTEGGIO 52) EMPATIA DOCENTE DI SOSTEGNO 53) INTEGRAZIONE FISICA INFANZIA 54) PREREQUISITI APPRENDIMENTO 55) DIMENSIONE SOCIALE DOCENTE DI SOSTEGNO 56) CONTINUITA’ EDUCATIVA 57) SEGNO E SUONO 58) DIMENSIONE TEMPO NELLA PROGETTAZIONE 59) SEGNI DIFFICOLTA' COME AGIRE 60) LETTURA 61) SCRITTURA 62) ACQUISIRE SCRITTURA 63) ADATTAMENTO COMPORTAMENTALE 64) VOCABOLARIO VISIVO E ABILITA' DI LETTURA 65) METODOLOGIA INSEGNAMENTO SCRITTURA 66) ETA' SCRITTURA E LETTURA 67) PROMPT ISTITUZIONALI 68) SHAPING 69) SCUOLA DELL'INFANZIA 70) APPRENDIMENTO COOPERATIVO 71) GESTIRE RELAZIONE DISABILE/GRUPPO CLASSE 72) ASCOLTO EMPATICO DOCENTE 73) STILI DI APPRENDIMENTO E DIDATTICA 74) INDIVIDUALIZZATO E PERSONALIZZATO 75) DIAGNOSI FUNZIONALE 76) FINALITA' SCUOLA DELL'INFANZIA 77) MAPPE CONCETTUALI 78) DIDATTICA SPECIALE 79) OSTACOLI INSERIMENTO ALUNNO DISABILE 80) CONCETTO DI ABILITA” 81) CONCEZIONE DELLA DISABILITA' 82) POTENZIARE CAPACITA' ESPRESSIVE ALUNNO DISABILE 83) STRUMENTI COMPENSATIVI E DISPENSATIVI 84) BUONA RELAZIONE CON ALUNNO DISABILE 85) BES 86) ADATTAMENTO ALUNNO DISABIILE 87) ASSESSMENT 88) APPRENDIMENTO SIGNIFICATIVO NOVAK 89) DIDATTICA INCLUSIVA 90) INTERVENTO ALUNNO DOP 91) INTERVENTO ALUNNO NON ITALOFONO 92) PREVENZIONE BULLISMO 93) INTERVENTO FAVORIRE EMPATIA 94) INTERVENTO PRENDERE PAROLA 95) AUTONOMIA LABORATORIO 96) INTERVENTO COMPETENZE SOCIALI E RELAZIONALI COOPERATIVE LEARNING 97) INTELLIGENZA EMOTIVA INTERVENTO 98) INTERVENTO TIC 99) FAVORIRE INCLUSIONE DISABILE 100) ADHD 101) DISLESSIA