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VIRGILIO, ENEIDE Ecloga X chiude il liber bucolico e lo chiude di fatto con la sconfitta della funzione consolatoria della poesia pastorale. quell'epoca appunto avevamo un confronto tra la poesia elegiaca e le pene d'amore, la malatia dell’eros che affliggeva Gallo e la funzione consolatoria del canto bucolico in quel caso il confronto abbiamo visto si è risolto in una sconfitta perché dall'amore si guarisce. la fine della dell'esperienza bucolica conduce Virgilio nel circolo di mecenate quindi dopo l'esperienza bucolica, siamo nel 38. sono ormai completati gli studi, trova invece nel punto di riferimento nuove influenze per il contatto con i mecenati generali con l'ambiente giusto Ottaviano segna una svolta nella vita e nell'esperienza umana e letteraria e poetica di Virgilio. forse se non ci fosse stato questo contatto con l'ambiente di mecenate e con quello di Ottaviano Virgilio magari non sarebbe uscito dai limiti in qualche modo anche angusti delle bucoliche, e invece e dal contatto con l'ambiente di mecenati e con l'ambiente di Ottaviano che viene fuori un'esperienza nuova. l'ambiente del circolo di mecenate rappresenta molto il Virgilio punto di osservazione privilegiata dal quale osservare i problemi di Roma e dell'Italia e da questa esperienza nascono innanzitutto le georgiche e di qui poi l’eneide, e difatti il clima politico influisce sul entrambe queste opere: la scelta italica di Ottaviano subisce sulla composizione delle georgiche e poi la vittoria di Ottaviano su Marco Antonio influisce sulla composizione dell’eneide. Non è errato pensare che dietro la composizione delle georgiche ci siano le sollecitazioni di Mecenate stesso che spiegava la composizione di un poema sull'agricoltura, tenete conto che nel 37 si diffonde il trattato sull’agricoltura di Varrone e questo sicuramente costituisce una spinta per Virgilio. ovviamente queste sollecitazioni partono innanzitutto da quella che era la crisi agraria che in qualche modo affliggeva l'Italia in quel periodo e anche la crisi sociale. È ovvio però che le georgiche non vanno pensate e nemmeno concepite come un manuale per i piccoli agricoltori italici, i destinatari dell'opera erano infatti nelle élite colta. Che cosa si aspetta mecenate, cosa si aspettava lo stesso virgilio dalla composizione delle georgiche: verosimilmente come dice la penna una spinta ideale verso che cosa verso un ritorno alla terra, i romani sono un popolo di contadini, nascono come popolo di contadini l profondamente legato alla terra. Il legame con la terra è uno di valori più autentici della romanità, quindi una spinta ideale che possa favorire il ritorno alla terra e che possa restituire la fiducia del lavoro ma anche possa restituire non la centralità a Roma e all'Italia dopo la crisi delle guerre civili dopo la crisi che aveva investito il piccolo diciamo ceto dei piccoli agricoltori e naturalmente dinanzi poi al logoramento di quelli che erano i valori religiosi del tempo. è chiaro che per comprendere quindi quest’opera è importante tener presente il nesso che c'era tra il risanamento di ceto e piccoli agricoltori risanamento dell'Italia e restaurazione morale era quel programma no di Ottaviano. La composizione di quest’opera come sempre avviene in Virgilio, è lunga, si prolunga per quasi un decennio dal 37 al 29 e questo è evidente anche tutte le differenziazioni delle allusioni storiche che si possono rintracciare all'interno del testo, cioè l'opera ha avuto una gestazione lunga e questo è testimoniato dal fatto che i riferimenti storici all'interno del testo tra loro differiscono, in particolare per quel che riguarda il modo in cui viene presentato ottaviano all'interno di questo testo, perché per esempio ci sono dei momenti all'inizio soprattutto nel primo libro in cui Ottaviano non è ancora il trionfatore, non ha ancora vinto, in effetti nel 36 nessuno a Roma avrebbe potuto prevedere chi tra Antonio e Ottaviano avrebbe avuto la meglio, quindi quale direzione l'impero romano avrebbe preso, e infatti nel primo libro delle georgiche Ottaviano appare con una speranza cioè un personaggio a cui si guarda come un possibile Salvatore, un possibile pacificatore, come possibile restauratore della pace; invece in altri punti dell'opera appare già come il trionfatore quindi come colui che ha restaurato e riportato la pace dopo la stagione delle guerre civili, quindi è evidente che c'è una stratificazione da questo punto di vista. Il problema ora riguarda il finale dell'opera a proposito della figura di cornelio Gallo, perché è un’antica notizia riferisce che Virgilio all'interno delle georgiche aveva inserito delle Lodi per cornelio Gallo, dopodiché però evidentemente dopo la morte di cornelio Gallo elimina per ragioni di opportunità politica queste Lodi per cornelio Gallo e le sostituisce con la favola di aristeo che appunto perde tutte le sue api perché ha causato la morte di euridice, e che poi però le recupera perché mette in pratica in maniera obbediente quelli che sono quei tre precetti che gli vengono impartiti, quindi insomma un eroe che in qualche modo impara dai suoi errori e apprende da un'esperienza negativa. Questa favola di aristeo è piuttosto lunga, si prolunga per trecento versi, e se è così, e se è vero che i libri delle George sono quattro e sono tra loro equilibrati anche dal punto di vista del numero dei versi, dobbiamo immaginare che anche le Lodi di cornelio gallo prolungassero per lo stesso numero di versi, per almeno 200 versi. E questo sembra un pochino strano perché diventa anche difficile immaginare la più compattamente si potessero agganciare queste modi di cornelio Gallo. In realtà ci sono dei versi all'interno del libro quattro nei quali si fa riferimento al all'egitto e quello potrebbe essere l'aggancio perché appunto Cornelio Gallo era stato in Egitto per fini politici, ma più di tanto ovviamente non possiamo congetturare. tenete anche presente che la favola di aristeo non ha niente di posticcio e non sembra essere stata scritta così rapidamente, non sembra una pezza, anzi è profondamente interrata con il resto del poema, che è un poema che si organizza in quattro libri ciascun libro ha una sua tematica ovviamente parliamo di un poema didascalico per cui con questo testo Virgilio si inserisce all'interno di quella che è visione del poema del poema didascalico che a Roma ha avuto il suo massimo rappresentante in Lucrezio, e Virgilio ha presente lucrezio indubbiamente soprattutto per quel che riguarda l'importanza e l'interesse che lucrezio aveva dato al contenuto. Però Virgilio fa anche tesoro di tutta la tradizione del poema didascalico ellenistico quindi di autori come arato come licandro, e come questi autori virgilio mostra anche un po’ per il gusto neoterico che in qualche modo lo caratterizza, una certa attenzione per gli aspetti minuti, per le realtà piccole e minute alle quali viene data cittadinanza poetica e che vengono poi riportate in poesia con grande cura, con grande ricercatezza, con grande attenzione. Quindi troviamo anche questo nel poema virgiliano ciascun libro presenta un proprio argomento lavoro di campi, la policoltura, l'allevamento del bestiame della cultura, ed è stato detto che l'organizzazione di questo poema è particolarmente accurata e ci sono dei richiami interni e delle corrispondenze c'è un'architettura particolarmente studiata particolarmente raffinata anche della disposizione tematica degli argomenti. Ciascun libro presenta un proemio e delle digressioni e queste digressioni sono disposte in modo tale da richiamarsi vicendevolmente la prima e la terza digressione sviluppano temi come dire angoscianti. È un poema attraversato da contrasti e in particolare ci colpisce il modo in cui la favola di aristeo e il mito di orfeo ed euridice si inserisce all'interno di questo poema: aristeo è l’eroe che impara che apprende e invece orfeo è in qualche modo il rappresentante di una poesia che incanta. TRADUZIONE Tutti tacquero e tenevano i volti attenti e quindi il padre Enea (epiteto) dall’alto letto conviviale cominciò: regina mi inviti a rinnovare un dolore indicibile, come i greci distrussero la potenza di troia e il regno lamentabile, e quelle sciagure che io stesso vidi e di cui fui protagonista. Quale soldato dei mirmidoni dei dolopi e del duro Ulisse raccontando tali cose potrebbe trattenersi dalle lacrime. E ormai la notte umida dal cielo scende e le stelle cadenti conciliano il sonno. Ma se in te un così grande desiderio di conoscere le nostre disgrazie e udibile brevemente l’estrema sofferenza di troia, sebben e l’animo inorridisca a ricordare e rifugga dal pianto, comincerò: sfiniti dalla guerra e (chiamo) respinti dai fati, i comandanti dei danai, essendo trascorsi ormai tanti anni, costruiscono con l’arte divina di Pallade un cavallo e congegnano i fianchi con abete segato, A chi i fati procuravano la morte e chi apollo richiedeva. Allora Itaco trascina in mezzo con grande tumulto il vate calcante Chiede con insistenza quale sia il volere degli dei E molti ormai predicevano a me il crudele misfatto dell’ingannatore E in silenzio vedevano il futuro Due volte cinque giorni quello tace e chiuso in se stesso rifiuta Di nominare con la sua voce qualcuno e di esporlo alla morte A malapena finalmente spinto (actus) dai grandi clamori di ulisse Secondo l’accordo precedente (composito) irruppe il silenzio(termini linguaggio quotidiano) e designa me come vittima per l’altare Tuttii acconsentirono e quelle cose che ciascuno temeva per sé Permisero (tulere) che fossero rivolte nella rovina di un solo misero E ormai il giorno orribile era arrivato e si preparava per me il sacrificio e Le salse salate? e le bende intorno alle tempie Lo confesso, scappai, e ruppi i ceppi E mi nascosi in uno stagno di notte oscuro fra le erbe Finchè nessuno mi vede, se per caso le avessero date Né a me era alcuna speranza di ormai vedere l’antica patria Né i dolci figli ne il padre desiderato : e a questi quelli forse chiederanno il figlio? a causa della nostra puga ed espieranno con la morte di quei miseri, questa colpa e perciò per gli dei superni e per i numi consapevoli della verità e per la fede se c’è una qualche fede che resta intemerata ti prefo (oro te ) abbi pietà di cosi grandi fatiche, abbi pietà di un’anima che sopporta sciagure immeritate.’ E sarà per queste lacrime vi concediamo la vita e più oltre stendiamo la nostra pietà E per primo lo stesso priamo comanda che all’uomo siano tolti i ceppi e gli stretti legacci e così parla con parole amiche: ‘chiunque tu sia , ormai d’ora in avanti dimentica i greci perduti (amissos) Sarai nostro, e a me che ti chieo queste cose esponi il vero A che scopo costruirono in questa molte un immenso cavallo ?chi l’autore? A che cosa mirano? Quale voto o quale macchina da guerra? Aveva detto. E quello istruito dagli inaganni e dall’arte e dall’astuzia Alzò le mani sciolte dai vincoli alle stelle ‘voi fuochi eterni chiamo a testimoni e il vostro nume non violabile Dice: e voi are, e spade nefande Dalle quali sono scappato e le bende degli dei che portai come vittima : mi è lecito sciogliere i sacri vincoli dei greci e mi è lecito odiare gli uomini e rivelare ogni cosa nascondino nei loro segreti non sono tenuto da alcuna legge della patria tu solo mantieni le promesse e salva, o troia, la fede se riferirò cose vere, se renderò un gran servigio. Tutta la speranza dei danai, e la fiducia della guerra intraprese si fondò Sempre sull’aiuto di pallade: da quando l’empio figlio di tideo, anche ulisse inventore di inganni avendo intrapreso di strappare il fatale pallade dal sacro tempio uccisi i custodi dell’alta rocca rapirono la sacra effige e con le mani cruente osarono toccare le bende della dea vergine da quel momento la speranza dei danai si ritrasse (metafora della nave ferma in mezzo alla corrente, poi la nave si mette a scorrere, ritorna indietro ) le forze erano infrante e l’anima della dea avversa e né tritonia diede quei segni con prodigi dubbi non appena collocato nell’accampamento, le fiamme arsero negli occhi minacciosi e un sudore salato scorre per le membra e tre volte da sola, mirabile a dirsi (supino passivo) balzò dal suolo brandendo lo scudo e l’asta tremante subito calcante annuncia che si deve tentare la navigazione fuggendo e che pergamo non può essere distrutta con le armi argoliche se non si rinnovano gli auspici ad argo e non si riconduca il nume che trasportarono attraverso il mare e sulle curve carene e ora poiché si diressero alla patria micene con il vento preparano (parant) armi e dei favorevoli e rivarcato il mare giungeranno improvvisi. Cosi interpreta i prodigi Calcante e in compenso del palladio, in compensio del nume offeso, costruirono questa effige spinti da calcante, affinchè espieasse la triste colpa e tuttavia calcante comandò di elevare questa mole immensa con tetsa di travi e di alzarla fino al cielo affinchè non possa essere accolta tra le porte o essere condotta dentro le mura né la popolazione essere difesa per l’antico culto religioso. Infatti se la vostra mano violasse i doni di minerva allora una grande sciagura gli dei prima Volgano su quello stesso l’auspicio ) allora una grande sciagura si abbatterà sull’impero di priamo E sui Frigi. Se invece con le vostre mani entrasse nella vostra città spontaneamente l’asia verrà alle mura di pelope e una grande guerra crebbe ai nostri nipoti?’ per tali insidie e per l’arte dello spergiurio di sinone, la cosa fu creduta; e i troiani furono presi con l’inganno e con lacrime finte quelli che né il figlio di tideo ne achille di larissa non dieci anni ( di guerra) domarono, non mille carine. A questo punto un altro fatto molto piu grande e molto piu orrendo Si offre ai miseri troiani e turba i petti imprevidenti Laoconte tratto a sorte come sacerdote per celebrare il sacrificio a nettuno Sacrificava preso gli altari solenni un ingente toro Ecco allora due serpenti da tenedo per le profonde acque tranquille Inorridisco a raccontarlo dalle immense spire Incombono sul mare e si dirigono insieme ai lidi E i petti di questi eretti tra i flutti e le creste sanguigne superano le onde Il resto del corpo da dietro sfiora il mare e arrotolo le vertebre in immense volute (ipallage). Si sente uno scroscio dal mare spumante e ormai tenevano la spiaggia E tinti negli occhi ardenti di sangue e di fuoco Lambivano le bocche sibilanti con le lingue vibranti . Fuggiamo a tale vista esangui: quelli con una marcia sicura Si dirigono verso laoconte e innanzitutto i due serpenti avvinghiano Avendoli avviluppati i piccoli corpi dei due figlioletti E si nutrono (depascitur) a morsi delle misere membra. Dopo afferrano questo stesso che è accorso in aiuto e lo Avvinghiano con grandi spire e dopo averlo cinto due volti in mezzo al corpo E avendogli circondato il collo con i dorsi squamosi lo sopravanzano con il capo e con le alte cervici (atmesi.. circum dati) E quello si sforza di rompere i nodi con le mani e cosparse le bende Di bava e di nero veleno: alza alle stelle tremende urla come i muggiti quando un toro ferito fugge dall’altare e si scuote dal collo la scure incerta. Ma i due serprenti strisicando rifuggiano sulla sommità della rocca E si dirigono alla rocca della crudele tritonide Sotto i piedi della dea e sotto il cielo dello scudo si nascondono Allora in verità un nuovo timore a tutti si insinua attraverso i petti tremanti E dicono che laoconte ingiustamente abbia pagato la colpa poiche (qui) aveva colpito Il sacro legno con la punta e aveva scagliato contro il fianco l’asta scellerata E gridano che bisogna condurre il simulacro al tempio di pallade e che Bisogna pregare il nume Abbattiamo un tratto delle mura e apriamo la cinta muraria della città Tutti tendono all’opera e pongono sotto ai piedi del cavallo Lumi? Scorrevoli e adattano lacci di stoppa al collo La macchina fatale ascende (scandit) le mura gravido di armi I fanciulli intorno e le vergini cantano carmi sacri e gioiscono nel toccare con la mano la fune E quella avanza e minacciosa scorre attraverso la cirrà O patria, o ilio dimora degli dei, e mura gloriosi dei dardanidi Quattro volte sulla stessa soglia della porta si fermò e quattro volte le armi nel ventre dell’utero emisero un suono Persistiamo tuttavia immemori e accecati dalla follia e il mostro infelice collochiamo sulla sacra rocca Allora anche cassandra apre le labbra ai fatti futuri Giammai creduta dai troiani per volere del dio E noi miseri ai quali quello sarebbe stato l’ultimo giorno Noi scuotiamo fronde festose per la città.. ? Sbobina lezione di latino 9-12-2022 Virgilio, ENEIDE II dal verso 250, questo verso inaugura ciò che in greco chiameremmo la NUKTOMAKIA, cioè la battaglia notturna, e infatti il verso 250 suggerisce lo stacco tra questa sezione e tutto quello che c’è stato prima, che rappresenta in qualche modo l’antefatto drammatico la battaglia. Il poeta definisce bene il tempo e l’ora della battaglia: cala la notte, i troiani si addormentano e una volta che arriva il segnale dalla ave regia, Sinone apre lo sportello del cavallo ed escono fuori i soldati. ‘Il cielo nel frattempo ruota(compie il suo giro), e la notte si precipita (ruit) dall’oceano Avvolgendo nella vasta onda il cielo e l’inganno dei mirmidoni Sparsi (fusi) i troiani per le mura (per la città) tacevano e il sonno avvince le membra stanche (complectitur). E già la falange argiva, a navi schierate andava Da Tenedo, per i silenzi amici della tacita luna (fa capire il silenzio) QUI SI parla di una luna assente, Poliziano pensa ad una luna che forsa non è ancora sorta, Pascoli pensa ad una luna coperta dalle nuvole, per risolvere la contraddizione della luna Dirigendosi verso i lidi noti: quando la nave ammiraglia Aveva alzato le fiamme (segnale x aprire il cavallo) e difeso dai fati iniqui degli dei E si raccolgono a nostro fianco e il giovane Corebo Figlio di Migdone, in quei giorni per caso era venuto A Troita acceso da un sano amore per Cassandra E volendo diventare genero, portava aiuto a Priamo e ai troiani Infelice, poiché non aveva ascoltato le raccomandazioni della sposa invasata dal furore. Quando vidi questi raccolti pieni di ardimento per combattere, incito oltre a ciò :’Giovani, petti invano fortissimi se un desiderio incerto è in voi di seguire me che oso l’estremo sacrificio vedete quale sia la nostra condizione. Tutti gli dei si sono allontantai, lasciati i templi e gli altari Gli dei per i quali questo imperio si reggeva, portate aiuto Alla città inendiata: moriamo e gettiamoci in mezzo alle armi (usteron proteron):’ Così negli animi dei giovani fu accresciuto il furore. E di qui come lupi Rapaci nella notte oscura, i quali lupi una fame rabbiosa Spinge e i cuccioli lasciati aspettano con le fauci secche Ci addentriamo attraverso le armi, attraverso i nemici In una morte non dubbia e ci incamminiamo in mezzo alla città. La notte nera ci avvolge con la sua ombra cava Chi potrebbe rappresentare parlando la strafe di quella notte ? O potrebbe eguagliare le sofferenze con le lacrime? La città antica, dopo aver dominato per molti anni, rovina Moltissimi corpi vengono stesi senza vita qua e la per le strade Per le case e per le soglie religiose; né i soli Teucri con il sangue cadono vittime Talora ai vinti ritorna nel cuore la virtù e i danai vincitori cadono Dovunque un pianto crudele, dovunque il terrore e moltissime immagini di morte. Saltiamo da 370 a 401, in cui arriva un personaggio greco , Androgeo, che si imabatte in Enea, li scambia per Danai, greci, e parla loro come fossero amici. Qui Enea e i compagni indossano le armi dei caduti, e indossando le armi greche, fanno stragi dei nemici . 402 ss. Qui appare Cassandra che viene trascinata per i capelli e con gli occhi al cielo, i troiani vengono sopraffatti, Enea si salva pur andando incontro alla morte, sopravvive insieme a due compagni. Nulla possiamo sperare quando gli dei sono avversi ! Ecco la vergine figlia di Priamo era trascinata con i capelli sparsi Cassandra, Dal tempio e dai penetrali di minerva Rivolgendo al cielo invano gli occhi ardenti : gli occhi poiché legacci stringevano le tenere mani. Corebo, non sopportò questa visione con la mente fuori di sé e si gettò In mezzo alla lotta pronto a morire (moriturus). Tutti lo seguiamo e ci cacciamo tra le fitte armi . Qui in un primo momento, dall’alto culmine del tempo siamo coperti Dai dardi dei nostri e sorge una strage misresissima (ortirur-sorge>) per aspetto delle Armi , e per l’errore dei cimieri greci. Allora per il dolore e l’ira di vedersi strappare la fanciulla, i Danai, raccolti da ogni parte ci assalgono, impetuossissimo Aiace e i due Atridi, e tutto l’esercito di Ottomino. Avversi, come quando scatenatosi un turbine, i venti combattono e Zefiro e Noto e il lieto Eolo : stridono le selve e spumeggiante con il tridente , incrudelisce e dai più bassi fondali scuote le acque. Anche quelli, tutti quelli i quali disperdemmo (fudimus) con l’inganno nell’oscura notte per l’ombra E in mezzo agli agguati che cacciammo per tutta la città, appaiono: per primi riconoscono gli scudi (clypeos) e le armi ingannatrici e notano le lingue differenti nel suono. Ecco siamo sommersi dal numero: e per primo Corebo Dalla destra di Peneleo presso l’altare della dea guerriere, e cade anche Rifeo, il più giusto che vi fu tra i troiani , e rispettosissimo dell’equità diversamente sembrò agli dei. Muoiono Ipanesi e Dimaschi, uccisi dai compagni: né o Panto, la tua grandissima pietas, ne l’infula di apollo ti protesse dal cadere. Ceneri di Ilio, e tu ultima fiamma dei miei Richiamo a testimoni, nella vostra estrema rovina, né ho Evitato le armi né alcun rischio e se fosse stato destino, avrei meritato Di cadere per mano dei Danai. Ci sfiliamo di li Ipito e pelia con me, già più carico di anni e Pelia anche lento per una Ferita inflitta da Ulisse subito alle sedi di priamo richiamati dal clamore Qui in verità la battaglia ingente, come se altrove non vi fossero Guerre, come se non se non si morisse in tutta la città Cosi vediamo Marte indomito, e i Danai avventarsi alla reggia e la soglia premuta Da una manovra a testudine. Le scale sono appoggiate alle pareti e sotto gli stessi stipiti Si inerticano per i gradini e protetti a difesa Con le sinistre gli scudi, oppongono ai dadi (obiciunt ad tela) E si afferrano con le destre al tetto . I dardanidi di contro, divellono le torri e i tetti dalle case E con questi proiettili poiché vedono la fine, tentano di difendersi nell’ora estrema della morte e le travi dorate e quei decori degli antichi avi fanno precipitare. Altri, brandite le spade presidiano le porte in basso e le proteggono in folta schiera. Gli animi sono incoraggiati a portare soccorso alla casa del re E a portare aiuto agli uomini e dare coraggio ai vinti. C’era una soglia e cieche porte e un agevole passaggio Delle case di Priamo tra loro, e porte lasciate Alle spalle: per dove infelice andromaca, finchè il regno era in piedi Più spesso soleva portare non accompagnata ai suoceri e trascinava il fanciullo Astianatte all’avo. Ascendo la sommità del tetto donde I miseri troiani gettavano dardi inutili. Una torre che sorgeva a precipizio, protesa alle stelle dalla cima dei tetti, dalla quale solevano essere viste tutta troia e le navi dei Danai, e gli accampamenti Achei svellendola intorno con il ferro, nella parte dove alti ripiani davano giunture vacillanti, la svellemmo e le demmo la spinta dal tetto (altis sedibus) :quella precipitando d’improvviso con un suono rovina, e cade sopra le schiere dei Danai per ampio tratto Ma quelli subentrano: né i Sassi, né alcun genere Di armi (telorum) cessa. A questo punto appare Pirro, descritto come splendente nelle armi di bronzo, che viene descritto come splendente. Proprio davanti al vestibolo, sulla prima soglia Pirro Esulta, corrusco nelle armi di bronzeo splendore. Come quando un serpente alla luce quando avendo mangiato erbe velenose Il quale gonfio, sotto la terra il freddo inverno copriva Ora deposte le spoglie nuovo e splendente di gioventù Avvolge in spire con il petto levato le membra scivolose E ritto al sole vibra in bocca con le lingue triplici. Alla morte di Priamo viene dedicata una sezione dettagliata e ampia. Partiamo dal verso 506 Forse vorrai sapere quali sia stato il destino di Priamo Quando vide la rovina della città conquistata e le soglie delle case abbattute (conv. Limina tectorum) E il nemico in mezzo (medium, ipallage) alle stanze, vecchio com’era, getta intorno alle spalle tremanti( humeris trementibus) per gli anni, invano(nequiqam) le armi a lungo desuete, e cinge il ferro inutile, e si lancia, pronto a morire nella fitta schiera dei nemici . In mezzo all’atrio e sotto la tersa volta del cielo C’era un grande altare e accanto un vetusto alloro Che incombeva sull’altare e che abbracciava con la sua ombra i penati. Qui Ecuba, e le figlie invano intorno agli altari Come le colombe messe in fuga precipitose da una nera tempesta, addensate, e abbracciate ai simulacri degli dei, sedevano. Come vide lo stesso Priamo indossate le armi giovanili La moglie appena lo vide disse ‘Quale consiglio tanto funesto, o misero sposo, ti spinge a cingerti con queste armi o dove ti precipiti? La circostanza non richiede aiuto né difensori, nemmeno se il mio Ettore fosse presente. Qui in fine rifugiati: questo altare ci proteggerà tutti O morirai insieme con noi:’ avendo parlato cosi, accolse A se l’avo e lo collocò sulla sacra sede. E ora si verifica un episodio che serve a Virgilio per creare un parallelo tra Achille e il figlio Pirro Allora sfuggito alla morte che Pirro stava per infliggergli Uno dei figli di Priamo, attraverso le armi, attraverso i nemici Per i lunghi portici fugge e percorre i vuoti atri Ferito (in rilievo il termine): ardente Pirro lo insegue con colpi minacciosi E già lo tiene con la mano e lo preme con l’asta. Come in fine giunse dinanzi agli occhi e ai volti dei parenti Cadde (concidit) e versò la vita con molto sangue. E allora Priamo sebbene fosse già tenuto nella stretta della morte Tuttavia non si trattenne, né risparmiò la voce irata: Esclama: ‘Ma a te gli dei (di) se in cielo c’è qualche pietà che si curi di tali cose A te in cambio di questo delitto, contraccambi degni e rendano i premi dovuti : tu che facesti si che io vedessi la morte del figlio e contaminassi con la morte il volto del padre. Ma quel famoso Achille non fu tale nei riguardi del nemico Al quale vai dicendo di esser figlio, ma ebbe riguardo per i diritti e la fede del supplice e restituì il corpo esangue di ettore al sepolcro, e mi rimandò nella mia reggia.’ Avendo detto così il vecchio lanciò una lancia debole Priva di slancio, che subito (quod) rimbalzò dal bronzo ‘ormai nessun indugio, vi seguo e vengo dove mi conducete Conservate la casa e salvate il nipote Questo vostro augurio, troia è sotto la vostra tutela Certamente o figlio, non rifiuto di accompagnarti Ora c’è la fuga Quello aveva parlato e già per le mura si ode più distintamente Il trepitio del fuoco e più vicino gli incendi pungono le loro ? E dunque caro padre, Sali sul mio collo, io stesso ti porterò sulle spalle e né questa fatica mi peserà. E ovunque le sorti cadano, uno solo e comune sarà il pericolo Una sola salvezza sarà a entrambi; il piccolo iuro sia a me compagno E da lontano segua le orme la sposa.(chiede alla moglie di seguirlo da dietro, ininfatti si accorge solo tardi di averla persa ) Voi servi, ascoltate le cose che vi dirò Esce dalla città un colle e un tempio vetusto della deserta Cerere E frattanto? l’antico cipresso conservato per molti anni secondo il culto dei patri Da diverse direzioni verremo in questa unica sede Tu padre, prendi con la tua mano i sacri arredi e i penati della patria Ma è lecito che io uscito fuori da una cosi grande guerra e recente strage Tocchi finchè non mi sarò lavato nell’acqua corrente. 730- E ormai mi avvicinavo alle porte e mi sembrava di aver percorso Tutto il tragitto quando all’improvviso Un fitto suono di piedi (solitus pedum) sembrò giungere alle mie orecchie e il padre guardando attraverso l’ombra esclama‘O figlio, fuggi, figlio, si avvicinano ! vedo ardenti scudi fiammeggianti e bronzi scintillanti Allora non so quale lume nemico a me che ero in trepidazione Strappò la mente confusa: e infatti mentre seguo di corsa sentieri remoti Ed esco dalla zona delle vie note, a me misero la sposa Creusa o trattata dal fato si fermò O fuggì via , o stanca si sedette Incerto: né dopo fu restituita ai nostri occhi. Né mi avvidi di averla persa, e prestai attenzione Prima che giungessimo al colle dell’antica cerere e al tempio Qui in fine raccolti tutti, una sola mancò e deluse i compagni e il figlio e il marito. Chi degli uomini e degli dei non accusavi fuori di me O che cosa vidi più crudele nella città distrutta? Affido ai compagni ascanio e il padre Anchise, i penati di troia E li nascondo nella cavità della valle. Io stesso ritorno in città e mi cingo delle armi fuggenti . Sono deciso a riaffrontare le situazioni tutte e ad attraversare Tutta troia e di nuovo esporre la vita al pericolo In primo luogo mi dirigo verso i muri e le soglie oscure della porta dalla quale ero uscito e avendole osservate seguo le orme a ritroso per la notte ed esploro con lo sguardo dovunque dolore nell’animo ed insieme gli stessi silenzi atterriscono Infine mi riporto a casa, se per caso, se per caso ci fosse andata. I danai avevano fatto irruzione e occupavano tutta la casa Oramai il fuoco vorace si avvolge alla cima dei tetti Alimentato dal vento le fiamme sopravanzano e la vampa? infuria al cielo procedo e torno a vedere le case e la rocca di priamo e ormai nei porti deserti, asilo di Giunone (poco chiaro questo verso ) scelti come custodi Fenice e il duro Ulisse custodivano la preda: qui da ogni parte il tesoro di troia strappato agli arsi sacrali e le mense degli dei e i crateri di oro massiccio e i drappi rapiti erano stati ammassati e i fanciulli e le madri in una lunga fila stavano all’intorno. Osando persino gridare per l’ombra, riempire le vie di clamore, invoca creusa invano Ripetendo di nuovo e poi di nuovo il suo nome. Ora abbiamo l’ultima parte in cui creusa gli dice di non tornare indietro, Enea è destinato ad altro, anche ad un’altra donna magari.. ma deve continuare ad amare il figlio. L’infelice simulacro e l’ombra della stessa creusa Mi apparvero davanti agli occhi, immagine molto nota. Sbigottii e le chiome si rizzarono e la voce restò ferma nelle fauci. allora cosi parlò e lo confortò con queste parole ‘Che cosa giova abbandonarsi a così tanto insano dolore o dolce sposo? Queste cose non avvengono senza la volontà degli dei Né è lecito che tu porti via di qui Creusa come tua compagna Né lo consente quel reggitore dell’olimpo superbo. (giove) A te lunghi esili e una vasta distesa di mare da solcare E verrai alla terra esperia dove tra i campi ricchi di uomini Fluisce il tevere etrusco (lydio) con placida corrente (leni) Lì cose liete e un regno e una sposa regale ti sono preparati Allontana le lacrime della cara creusa. Io non vedò le sedi superde dei mirmidoni o dei dolpi (forse si riferisce al destino di andromaca) E non andrò a servire le donne greche Io discendente di dardano, e nuora della divina venere Ma la grande madre degli dei trattiene me in queste spiagge Ormai vai e conserva l’amore del figlio comune. Quando disse queste cose abbandonò me che piangevo e che volevo dire molte cose (ripresa dell’immagine di orfeo ed euridice ) E si allontanò dall’aura sottile Tre volte allora tentai di gettarle le braccia intorno al collo Tre volte invano avvinta l’immagine sfuggì alle mie mani Simile a venti leggeri e similissima ad un sogno alato Cosi alla fine trascorsa la notte torno a vedere i compagni E qui trovo con stupore che è affluito un numero di nuovi compagni E mari e uomini, popolo raccolto per l’esilio miserabile. Pronti negli animi e nelle forze, da ogni parte si radunarono In qualsiasi terra io volessi dedurli? per mare E ormai lucifero sorgeva dai gioghi del sommo Ida E portava il giorno e i danai presidiavano le soglie Delle porte né era data alcuna speranza di aiuto Mi rassegnai e levato il padre sulle spalle mi diressi verso i monti.