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Traduzione del IV libro dell'Eneide, Traduzioni di Letteratura latina

Traduzione verso per verso del IV libro dell'Eneide richiesto nel programma di lingua e letteratura latina.

Tipologia: Traduzioni

2019/2020

Caricato il 20/08/2021

dealwitheli
dealwitheli 🇮🇹

4.6

(13)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Traduzione del IV libro dell'Eneide e più Traduzioni in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! Eneide IV, traduzione vv. 1-53: Didone si confida con la sorella Anna, che approva e sostiene la sua passione SRON n DOLO SOLI 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. . Ricca di trionfi, nutre: resisterai anche ad un amore gradito? 39. 40. Al. 42. 43. . E delle minacce del fratello? 45. . Che certamente le navi troiane abbiano tenuto questo percorso a causa del vento. Ma la regina già da tempo colpita dall’affanno Nutre la ferita nelle vene ed è consumata da un fuoco nascosto. Torna alla mente la molta virtù dell’uomo E l’onore della stirpe, rimangono attaccati, conficcati, nel petto il viso E le parole, né l’affanno dà un tranquillo riposo alle membra. L’aurora seguente illuminava la terra con la lanterna di Febo E aveva rimosso dal cielo l’umida ombra, Quando, fuori di senno, così indirizza la parola alla concorde sorella: «Anna sorella, queste visioni spaventano me, iandomi incerta! . Quale ospite straordinario è entrato nella nostra dimora, 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. . Riconosco i segni dell’antica fiamma (=passione amorosa). 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. Quale mostratosi nell’aspetto, quanto dal forte petto e dalle (forti) armi! To credo davvero, né è inutile la mia fiducia, che la sua stirpe sia delle divinità. Il timore rivela gli animi non nobili. Ohimè, da quali destini È stato mosso! Quali guerre terminate cantava! Se non sedesse a me nell’animo fisso e irremovibile (la decisione) di non volermi unire in vincolo matrimoniale, Dopo che il primo amore mi deluse e mi ingannò con la morte; Se non provassi disgusto per il matrimonio e le fiaccole nuziali, Forse avrei potuto soccombere a quest’unica colpa. Anna, confesserò questo, dopo la morte del povero marito Sicheo E dopo che la casa fu screziata dal sangue degli uccisi da fratello, Solo lui ha toccato i sensi e spinse l’animo a vacillare (9). Ma prima desidero piuttosto che la terra più profonda si aprisse a me, O che il padre onnipotente mi spingesse con un fulmine alle ombre (=al mondo dei morti), Le ombre del pallido Erebo, e alla notte profonda, Prima che io ti violi, o Pudore, o che violi le tue leggi. Colui che per primo unì me con sé stesso Ha rubato il mio amore; egli (lo) tenga con sé e conservi nella tomba.» Così espressa, riempì il lembo della veste di lacrime sgorgate all'improvviso. Anna risponde: «O sorella più cara della luce (=vita), Dunque (ti) consumerai da sola piangendo per tutta la giovinezza, Non conoscerai i dolci figli, né le gioie di Venere? Pensi che di ciò si occupino le ceneri o i Mani sepolti? Sia, un tempo nessun pretendente piegò te malata, Né di Libia, né prima di Tiro; Iarba fu disdegnato (da te) E gli altri condottieri, che la terra d’Africa, Non (ti) viene in mente nella regione di chi sei stabilita? Da questa parte la città dei Getuli, stirpe invincibile in guerra, E i violenti Numidi ci circondano e l’inospitale Sirti, Dall’altra una regione deserta per la siccità E i folli Barcei. Che cosa dico delle guerre sorte da Tiro Essendo auspici gli dei e favorendo Giunone, credo 47. Sorella, distinguerai quanto grande questa città, che regno (distinguerai) sorgere 48. Con un tale matrimonio! Accompagnando le armi dei Troiani, 49. Per quanto grandi imprese si solleverà la gloria punica! 50. Tu soltanto chiedi la benevolenza degli dei, celebrati i sacrifici, 51. Dedicati all’ospitalità e inventa scuse per indugiare, 52. Finché l’inverno e Orione piovoso infuria sul mare, 53. Finché le navi sono fracassate, e il clima è sfavorevole». vv. 54-89: follia di Didone innamorata 54. Con queste parole infiammò l’animo di amore intenso 55. E diede speranza alla mente dubbiosa e dissolve il pudore. 56. In primo luogo, si recano ai templi e chiedono il favore (degli dei) 57. Per gli altari; sacrificano (pecore) scelte secondo l’usanza con due denti 58. A Cerere legislatrice e a Febo e al padre Lieo, 59. A Giunone prima di tutti, a cui i vincoli coniugali sono a cura. 60. La bellissima Didone, tenendo lei stessa la coppa nella mano destra, 61. n mezzo alle corna di una vacca bianca 62. O avanza ai grassi altari degli dei; 63. Rinnova il giorno con le offerte e 64. Consulta, stando a bocca aperta, le viscere palpitanti nei petti aperti degli animali. 65. Oh, menti ignare degli indovini! A che giovano le preghiere folli agli dei, 66. A che i santuari? Intanto la fiamma divora il tenero midollo delle ossa 67.E la ferita vive nascosta dentro il cuore. 68. L’infelice Didone brucia e tutta vaga 69. Furente nella città, come una cerva, essendo stata scagliata una freccia, 70. Che molto incauta tra i boschi cretesi 71. Un pastore inseguendo(la) conficcò con le frecce e lasciò il ferro alato 72. Inconsapevole: quella nella fuga percorreva i boschi e le balze del monte Dicte, 73. La canna letale stava attaccata al fianco. 74. Ora conduce con sé Enea per le mura centrali 75.E mostra le ricchezze cartaginesi e la città già pronta: 76. Comincia a parlare ma il mezzo nella voce si ferma; 77. Ora, passato il giorno, desidera gli stessi banchetti 78. E esige, pazza, di udire di nuovo le pene dei troiani 79. E pende dalla bocca del narrante. 80. Poi, quando tutti si sono separati, e la luna, oscurandosi a sua volta, 81. Nasconde la luce e le stelle cadenti invitano il sonno, 82. Lei sola si rattrista nel palazzo deserto e giace sui letti abbandonati. 83. Lontana ode e vede lui assente, 84. Oppure tiene in grembo Ascanio, catturata dalla sembianza del genitore, 85. Per poter ingannare l’indicibile amore. 86. Nonsi sollevano più torri, la gioventù non esercita più le armi 87. (La gioventù) non prepara porti o fortificazioni per la guerra: 88. Restano incompiuti i lavori e le minacce delle mura 89. E le grandi impalcature dei muri pareggiate al cielo. vv. 90-128: Accordi tra Venere e Giunone per la celebrazione di un rito “nuziale” e il rinsaldamento dell’unione 90. Quando sentì profondamente che quella era toccata da tale flagello 91. La cara moglie di Giove e che neanche l’onore si poneva davanti al furore, 92. La Saturnia si rivolge a Venere con tali parole: 187. 188. 189. 190. 191. 192. 193. 194. 195. O sulle alte torri e spaventa le grandi città, Tanto del falso e del malvagio implacabile messaggera che del vero. Questa allora riempiva i popoli di infinite chiacchiere, Gioendo, e annunciava parimenti i fatti e i non accaduti: Che era venuto Enea, nato dal sangue troiano, AI quale la bella Didone giudicava di unirsi come a uno sposo; Ora passano l’inverno, che è lungo, tra sé in lussuria Dimentichi dei (loro) regni e catturati da una vergognosa passione. Queste cose la brutta dea diffonde dappertutto per le bocche degli uomini. vv. 196-218: Iarba, il pretendente respinto da Didone, si appella a Giove contro l’ingiustizia di cui si crede vittima 196. 197. 198. 199. 200. 201. 202. 203. 204. 205. 206. 207. 208. 209. 210. 211. 212. 213. 214. 215. 216. 217. 218. Immediatamente nella corsa devia verso il re Iarba E incendia l’animo con le chiacchiere e ammucchia le ire. Costui, generato da Ammone e dalla ninfa garamantide dopo che fu rapita Eresse nei suoi vasti regni cento templi di Giove, Cento altari e consacrò un fuoco inestinguibile, Sentinella eterna degli dei, e del sangue del bestiame Il suolo (era) grasso e le soglie (erano) prospere di ghirlande variopinte. Si dice che costui pazzo d’animo e infiammato dalla spiacevole notizia Davanti agli altari e in mezzo alla potenza divina Abbia pregato molto Giove con le mani alzate, supplichevole: «Giove onnipotente, per cui la gente mauritana Versa il dono leneo, banchettato su cuscini variopinti Vedi queste cose? Forse che di te, genitore, quando scagli i fulmini, Inutilmente ci spaventiamo, e cieche folgori nelle nubi atterriscono Gli animi e producono vani boati? La donna che, vagabonda nei nostri territori, Ha fondato con il denaro una debole città, a cui abbiamo dato una terra da arare E la signoria del luogo, la nostra unione Ha respinto e ha accettato Enea padrone nel regno. E adesso questo Paride, con la compagnia di mezzi uomini, Stretto dalla mitra orientale nel mento e nella chioma stillante, Mette in potere la cosa rubata; senza dubbio noi portiamo Offerte ai tuoi templi e alimentiamo una fama inconsistente». vv. 219-278: Giove invia Mercurio per ricordare a Enea il suo fato 219. 220. 21. 222. 223. 224. 225. 226. 227. 228. 229. guerra, 230. BI. Pregante con tali parole e toccante l’altare, L’onnipotente senti e volse gli occhi alle mura (=alla città) Della reggia e agli amanti dimentichi di una fama migliore Allora così indirizzò la parola a Mercurio e affida tali: «Orsù vai, o figlio, chiama gli zeffiri e scendi con le ali E al capo Dardanide (=Enea), che ora indugia nella Cartagine di Tiro E non si occupa delle città assegnate dai fatti, Indirizza (a lui) la parola e riferisci i miei ordini per il cielo. Non così garantì lui a noi dei, la sua madre bellissima E non per questo motivo protegge due volte dalle armi dei Greci; Ma (promise) che avrebbe guidato l’Italia feconda di popoli dominatori e fremente di Avrebbe prodotto la stirpe dal nobile sangue di Teucro E avrebbe sottomesso il mondo intero sotto le leggi. 232. 233. 234. 235. 236. 237. 238. 239. 240. 241. 242. 243. 244. 245. 246. 247. 248. 249. 250. 251. 252. 253. 254. 255. 256. 257. 258. 259. 260. 261. 262. 263. 264. 265. 266. 267. 268. 269. 270. 271. 272. 273. 274. 275. 276. 271. 278. Se non lo accende la gloria di così grandi cose Né intraprende se stesso l’impegno per la propria gloria, Vuole togliere ad Ascanio, padre, le rocche romane? Che cosa prepara? O con quale speranza dimora tra gente nemica E non si occupa della prole di Ausonia e dei campi di Lavinio? Naviga! Questo è l’essenziale, questo sia il nostro messaggio». Aveva parlato. Quello si apprestava a obbedire all’ordine del grande padre: Prima allaccia ai piedi i calzari alati d’oro, Che con le ali trasportano in alto o sopra le acque O sopra la terra, insieme al rapido soffio del vento. Poi prende la verga; con quella richiama dall’Orco le anime pallide, Altre mette nel triste Tartaro, Concede e toglie il sonno e riapre gli occhi dei morti. Fiducioso in quella spinge i venti e attraversa le nubi tempestose. E già volando, distingue la vetta e i fianchi scoscesi Del forte Atlante, che con il capo sorregge il cielo, Atlante, la cui testa costantemente circondata da nuvole E folta di pini, è colpita dal vento e dai temporali; La neve diffusa ricopre le spalle; inoltre, i fiumi dal mento Scendono del vecchio e l’ispida barba è gelata dal ghiaccio. Qui dapprima Mercurio si fermò, librandosi con le ali pari; Da qui in poi, a testa in giù con tutto il corpo sulle onde Si gettò, simile a un uccello che intorno alle spiagge, Intorno agli scogli pescosi vola basso sul pelo dell’acqua: Non altrimenti, tra il cielo e la terra, volava Alle spiagge sabbiose della Libia e attraversava i venti, Proveniente dall’avo materno, il figlio cillenio. Non appena tocca con i piedi alati le capanne, Vide Enea generando fortezze e rifacendo case; E a lui era la spada brillante di fulvo diaspro E il mantello di porpora tiria ardeva Calato dalle spalle, doni che aveva fatto la ricca Didone E aveva diviso i tessuti con oro sottile. Subito assale: «Tu ora dell’alta Cartagine Poni le fondamenta e costruisci una bella città della moglie, Ohimè! Dimentico del tuo regno e dei tuoi interessi? Il sovrano degli dei stesso discende me a te dal luminoso Olimpo, (lui) che muove con un cenno il cielo e la terra; Egli stesso ordina me di portare questi ordini veloce per il cielo: Che cosa macchini? O con quale speranza consumi il tempo libero nelle terre libiche? Se non ti sprona la gloria di così tante imprese [né sopra te stesso intraprendi l’impresa per il tuo prestigio], Di Ascanio crescente e delle speranze riposte in Iulio erede, A cui è dovuto il regno d’Italia e la terra romana». Mercurio, dette tali parole, lasciò l’aspetto umano in mezzo al discorso E svanì nell’aria leggera, lontano dagli occhi. vv. 279-295: Enea, sconvolto, inizia i preparativi per la partenza 279. 280. Ma davvero Enea ammutolì, delirante per la vista E i capelli si raddrizzarono per l’orrore e la voce gli restò attaccata alle fauci. 281. 282. 283. 284. 285. 286. 287. 288. 289. 290. 291. 292. 293. 294. 295. Arde di partire con la fuga e di lasciare le amabili terre, Meravigliato da un così autorevole avvertimento e dal comando divino. Ahimè, che cosa deve fare? Con che discorso oserà ora convincere la regina furiosa? Con quali parole comincerà? E suddivide il pensiero impetuoso ora da questa parte, ora da quella ina da varie parti, e lo volge a ogni proposito. one è considerata da lui esitante di decidere: Chiama Mnesteo e Sergesto e il forte Seresto, (ordina che) preparino silenziosi la flotta, radunino i compagni sulla spiaggia, Dispongano gli equipaggiamenti e nascondano il motivo di queste innovazioni; Nel frattempo egli, dato che la buona Didone Non sa e non si aspetta che un amore così grande si distrugga, Tenterà le vie e quale (sia) il momento più facile e giusto, Affinché il modo di parlare sia favorevole alle circostanze. Subito tutti obbediscono al comando ed eseguono gli ordini. vv. 296-392: drammatico dialogo tra Didone ed Enea 296. 297. 298. 299. 300. 301. 302. 303. 304. 305. 306. 307. 308. 309. 310. 311. 312. 313. 314. 315. 316. 317. 318. 319. 320. 321. 322. 323. 324. 325. 326. 327. 328. 329. Ma la regina (chi potrebbe ingannare un’amante?) Percepi l’inganno e colse le prime manovre future, Lei temente tutto. La Fama crudele consegnò alla furente le stesse cose, Che la flotta era armata e la rotta era decisa. Infuria mancante nell’animo e accesa per tutta la città Delira, come una Baccante eccitata dall’impetuoso rito sacro, Quando stimolano i riti sacri in onore a Bacco, udito il grido bacchico, E il notturno Citerone chiama con i clamori. Infine, si rivolge per prima ad Enea con queste parole: «Speravi anche, truffatore, di poter nascondere una nefandezza così grande E di andare via silenzioso dalla mia terra? Né il nostro amore né la mano destra data a te un tempo Né Didone destinata a morire di morte crudele ti trattiene? Anzi sotto la costellazione invernale costruisci la flotta E ti affretti ad andare in alto mare e in mezzo al vento del nord O crudele? Ma come? Se non ti dirigesti verso terre straniere e sconosciute dimore, E fosse sopravvissuta l’antica Troia, Andresti a Troia per il tempestoso mare con la flotta? Dunque fuggi me? Ma io per queste lacrime e per la tua mano destra (dal momento che di mia volontà già null’altro ho lasciato a me misera), Per la nostra unione, per l’iniziato matrimonio, Se ho ben meritato di te in qualcosa, se per qualcosa di me Fu gradito a te, prova compassione della dimora cadente e Ti prego, se c’è ancora un qualche posto per le preghiere, liberati la mente da ciò. A causa tua le genti della Libia e i principi Numidi odiano I Tiri sono ostili; a causa tua medesima È perduta la dignità e la reputazione di prima, per la quale soltanto arrivavo alle stelle. A chi mi abbandoni moribonda, straniero? Attualmente solo questo nome ormai rimane. Che cosa perdo tempo (nella vita)? Forse che mio fratello Pigmalione Distrugge le mura o che l’africano Iarba (mi) porti con sé prigioniera? Almeno se qualche discendenza fosse stata concepita a me di te Prima della fuga, se un piccolo giocasse con me nel palazzo Enea, che per lo meno ricordasse il tuo volto, 427. 428. 429. 430. 431. 432. 433. 434. 435. 436. 437. 438. 439. 440. 4Al. 442. 443. 444, 445. 446. 447. 448. 449. Né violai le spoglie mortali del padre Anchise: Perché dunque nega di accogliere le mie parole nelle orecchie crudeli? Dove corre? Conceda questo ultimo favore all’infelice amante: Attenda una facile partenza e i venti favorevoli. To non invoco più la vecchia unione, che ha tradito, Né che si privi del bel Lazio e rinunci al regno; Chiedo tempo vuoto, riposo e intervallo dalla pazzia, Finché la mia sorte insegni a soffrire a me vinta. Quest’ultimo favore chiedo (abbi compassione della sorella), Quando mi avrà fatto il favore, glielo ricambierò ad usura uccidendomi». Con queste parole pregava e l’infelice sorella Riferisce e ripete quei pianti. Ma da nessun pianto è mosso costui, Non ascolta arrendevole nessun discorso: I destini si oppongono e un dio chiude le orecchie tranquille dell’uomo. E come quando la quercia robusta per l’antico tronco I venti alpini gareggiano con le raffiche di qua e di là Per sradicare tra loro; si alza uno strepito e le alte foglie Ricoprono la terra, scosso il tronco dell’albero; Ma quella resta attaccata alle rocce e per quanto con la cima al cielo più alto Tende, tanto con le radici tende al Tartaro: Non altrimenti di qua e di là dalle costanti preghiere l’eroe È scosso e sente profondamente nel grande cuore le pene; La razionalità rimane irremovibile; le lacrime scorrono inutili. vv. 450-521: la drammatica decisione della regina, il rito magico 450. 451. 452. 453. 454. 455. 456. 457. 458. 459. 460. 461. 462. 463. 464. 465. 466. 467. 468. 469. 470. 471. 472. 473. 474. 475. Allora poi l’infelice Didone, spaventata dal destino, Invoca la morte: ha fastidio di guardare la volta del cielo. Perché spingi l’impresa e abbandoni la luce (=la vita), Vide, mentre poneva le offerte sull’altare fumante d’incenso, (orribile detto), i liquidi sacri si scuriscono Ei vini versati si trasformano in infausto sangue. Questo è rivelato a nessuno, questo non è espresso alla sorella. Inoltre, vi fu nel tetto (=nel palazzo) un tempio di marmo Per il primo coniuge, che venerava con mirabile devozione, Legato di candide bende e di fronda festiva: Da là di sentire voci e parole Le sembrò del marito chiamante, mentre la notte scura abbraccia la terra; E le sembrò che il gufo solitario con il lugubre canto sulla sommità Spesso si lamentasse e esprimesse lunghi lamenti in pianto; E inoltre molte profezie dei precedenti vati Spaventavano con terribili avvertimenti. Lo stesso Enea, crudele, perseguita Nel sonno (lei) selvaggia; e le sembra sempre di essere lasciata sola, Sempre una lunga via senza compagnia Di percorrere e di cercare i Tirii in una regione deserta: Come Panteo pazzo vede schiere di Eumenidi E il sole doppio e Tebe si mostra a lui doppia, O come quando Oreste figlio di Agamennone inseguito sulle scene Fugge la madre armata di fiaccole e di neri serpenti E sulla soglia siedono le Dire vendicatrici. Dunque, quando accolse le furie vinta dal dolore E decise di morire, pondera con se stessa sul tempo e sul modo 476. 477. 478. 479. 480. 481. 482. 483. 484. 485. 486. 487. 488. 489. 490. 491. 492. 493. 494. 495. 496. 497. 498. 499. 500. SO1. 502. 503. 504. 505. 506. 507. 508. 509. 510. SIL. 512. 513. S14. 515. 516. 517. 518. 519. 520. 521. E rivolgendosi alla triste sorella Nasconde nell’aspetto il proposito e rasserena la fronte con speranza: «Sorella, ho trovato il modo (congratulati alla sorella), Che renda lui a me, oppure liberi da lui me che l’amo. Presso il confine dell'Oceano e presso il sole calante C'è l’estremo luogo degli Etiopi, dove il gigantesco Atlante Ruota con le spalle il cielo di stelle ardenti attaccate; Da qui si è mostrata a me una maga di stirpe africana, Custode del tempio delle Esperidi, quella che vivande al drago Dava e custodiva sull’albero i sacri rami, Spargendo miele liquido e papavero soporifero. Questa promette di liberare gli animi con gli incantesimi, Quelli che lei vuole, ma di introdurre in altri crudeli pene, Di fermare l’acqua dei fiumi e di invertire il corso degli astri; E di notte evoca i Mani; vedrai rimbombare Sotto i piedi la terra e gli alberi discendere dai monti. Chiamo a testimoni gli dei e te, cara sorella, e sul tuo Dolce capo, che contro voglia ricorro alle arti magiche. Tu erigi segretamente nella parte interna sotto il cielo una pira E le armi dell’uomo, che lasciò indietro appese nella camera Il traditore, e tutte le spoglie e il letto nuziale, Nel quale sono stata rovinata, colloca sopra: è bene distruggere Tutte le memorie dell’uomo innominabile, così indica la sacerdotessa». Detto ciò, tace; allo stesso tempo il pallore procede sul volto. Tuttavia, Anna non crede che la sorella i funerali con gli insoliti riti Nasconda né che accolga nella mente così grande follia E non teme cose più gravi che la morte di Sicheo. Perciò esegue gli ordini. Ma la regina, la pira eretta da Anna nella parte più interna sotto il cielo Di pino resinoso e di leccio tagliato, Riveste il luogo di ghirlande e corona con rami funebri; Sopra le spoglie e la spada abbandonata E l’effigie sul letto colloca, non ignara del futuro. Gli altari stanno intorno, e la maga con i capelli sciolti Invoca trecento volte gli dei, 1’Erebo, il Caos E la triforme Ecate, i tre aspetti della vergine Diana. (la maga) aveva sparso finta acqua della fonte dell’ Averno, Si cercano, mietute con falci di bronzo alla luna, Erbe sbocciate con succo di funesto veleno; Si cerca anche, strappata dalla fronte di un nascente cavallo, E sottratta alla madre, ciò che l’amore unisce. Lei stessa (Didone) sparge la farina, e con le mani pure presso l’altare Tolto un piede dalla calzatura, slegata la veste, Morente, chiama a testimoni gli dei e le stelle consapevoli del destino; Poi, se qualcuno con patto non uguale gli amanti Ha a riguardo, e prega il nome giusto e riconoscente. vv. 522-583: l’ultima notte di Didone e la partenza di Enea 522. 523. 524. Era notte e consumavano il placido sonno Gli stanchi corpi per la terra e stavano quieti il bosco e il mare Selvaggio, quando le stelle si volgono a metà del corso, 525. 526. 527. 528. 529. 530. 531. 532. 533. 534. 535. 536. 537. 538. 539. Quando tace ogni campo, gli animali e gli uccelli variopinti, E tutti i liquidi laghi estesamente e le campagne irte di cespugli Continuano; lasciati nel sonno sotto la notte silenziosa, Calmavano le pene e gli animi dimentichi delle fatiche. Ma non leniva le pene dell’infelice fenicia, mai ella Ha mantenuto il sonno o negli occhi e nel cuore la notte Accoglie: raddoppiano le pene e inoltre rinascente La passione infuria ed è agitata in una grande marea d’ira. Perciò dunque insiste e con sé stessa rimugina in questo modo nell’animo: «Ebbene, che cosa faccio? A mia volta i precedenti pretendenti, derisa, Ricercherò e chiederò supplice il matrimonio con i Numidi, Che io già ho disdegnato tante volte i mariti? Oppure le navi di Ilio e gli ultimi ordini dei Teucri Seguirò? Forse perché a loro piace essere stati sollevati Prima dal mio aiuto, e presso di loro memori la gratitudine dura per le buone azioni precedenti? 540. SAI. 542. 543. 544. 545. 546. 547. 548. 549. 550. S51. 552. 553. 554. 555. 556. 557. 558. 559. 560. S61. 562. 563. 564. 565. 566. 567. 568. 569. 570. STI. RIZA 573. 574. Poi, d’altra parte che io voglia, chi permetterà e chi sulle navi superbe Accoglierà me odiata? Ahimè, sventurata, tu ignori Non ancora senti della bugiarda stirpe di Laomedonte? Poi che cosa (farò)? Sola accompagnerò nell’esilio i marinai esultanti, Oppure tutta la folla dei miei Tirii stipata Mi porterò e quelli che strappai a stento dalla città Sidonia, Condurrò di nuovo nella spiaggia e ordinerò di dare le vele ai venti? Piuttosto morire, come ti sei meritata, e allontana il dolore con il ferro. Tu vinta dalle mie lacrime, tu per prima Sorella, opprimi (me) impazzita con questi mali e mi offri al nemico. Non è stato permesso trascorrere la vita mancante del matrimonio, senza colpa In modo innocente, senza toccare tali pene. La fedeltà promessa alle ceneri di Sicheo non è stata preservata». Tanto forti i lamenti che ella emetteva dal suo cuore. Enea sull’alta poppa, già deciso del partire, Prendeva sonno, già dovutamente preparate le cose. A lui l’immagine del dio ritornante con lo stesso aspetto Si presentò in sogno e nuovamente in questo modo sembrò avvertire In tutto simile a Mercurio, e la voce e il colorito E i biondi capelli e le membra spendenti di giovinezza: «Figlio della dea, puoi prolungare il sonno in questa situazione Non ti accorgi dei pericoli che d’ora in poi stanno attorno a te, Irragionevole, né senti che i venti soffiano favorevoli? Lei (Didone) medita nel cuore inganni e nefandezze terribili, Decisa del morire, e provoca varie agitazioni di ira, Non fuggi da qui rapido, affrettante, finché il potere è a te? Presto vedrai il mare agitato dalle navi, Vedrai risplendere le fiaccole crudeli, già ardere di fuochi la spiaggia, Se l’ Aurora raggiungerà te indugiante in queste terre. Suvvia, coraggio, rompi gli indugi; sempre volubile e incostante La donna». Così detto, si confuse nella notte oscura. Allora davvero Enea, atterrito dall’avvenimento improvviso dell’immagine, Muove il corpo dal sonno e sprona i compagni: «Velocemente svegliatevi, uomini, e sedetevi al bando dei rematori; Slegate la vela, rapidi. Un dio, mandato dall’alto cielo,