Scarica Traduzione del libro IV dell'Eneide e più Traduzioni in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! Eneide, libro IV DIDONE E LA CARA SORELLA ANNA (1 - 53) Ma la regina ormai ferita da grave affanno alimenta nelle vene la ferita ed è rosa da cieco fuoco. Ricorre nel cuore il forte eroismo dell'eroe ed il forte onore della stirpe; s'attaccan fisse alla mente le fattezze e le parole né l'affanno dà alle membra placida quiete. L'aurora seguente colla lampada febea illuminava le terre e dal cielo aveva cacciato l'umida ombra, quando impazzita così parla alla sorella amatissima: "Anna, sorella, che incubi mi atterriscono ansiosa. Che ospite strano, questo, ( che) è giunto alla nostra casa, presentandosi come d'aspetto, di così forte petto e di armi. Lo credo davvero, non è vana certezza che è stirpe di dei. La paura rivela i cuori vili. Ah, da quali fati egli è sbattuto. Che guerre compiute raccontava. Se non mi stesse fisso ed immobile in cuore di non volermi unire a nessuno col vincolo coniugale, dopo che il primo amore mi lasciò tradita con la morte; se non avessi disgusto per il rito di nozze, forse avrei potuto cedere a quest'unica colpa. Anna, lo confesserò, dopo i destini del povero marito Sicheo ed i penati dispersi dalla strage del fratello solo costui piegò i sentimenti e scosse il cuore che vacilla. Conosco i segni della antica fiamma. Ma per me vorrei o che prima la terra si spalanchi infima o il padre onnipotente mi cacci col fulmine alle ombre, le pallide ombre nell’Erebo e la notte profonda, prima che violi, Pudore, o dissolva le tue leggi. Lui i miei amori, lui che per primo a sé mi unì, prese; lui li tenga con sé e li serbi nel sepolcro" Espressasi così, riempì il seno di lacrime dirotte. Anna riprende:"Oh più cara della luce, per tua sorella, forse sola soffrendo sarai divorata per tutta la giovinezza né conoscerai i dolci figli ed i regali di Venere? Credi che questo ami la cenere ed i mani sepolti? Sia: un tempo nessun marito piegò l'addolorata, non in Libia, non prima a Tiro: Iarba respinto e gli altri principi, che l'Africa, terra ricca di trionfi, alimenta: forse contrasterai ad un amore gradito? Né viene in mente nei campi di chi dimori? Di qui città getule, stirpe insuperabile in guerra, ti cingono e indomiti Numidi e la Sirte inospitale; di là una regione deserta per sete ed i furibondi Barcei. Perché nominare le guerre nascenti da Tiro e le minacce del fratello? Certamente con gli dei favorevoli e Giunone concorde credo che le navi di Ilio col venti ha tenuto questa rotta. Quale città, sorella, tu vedrai sorgere, questa, e che regni con tale unione! Alleandosi le armi dei Teucri, la gloria Punica a quali imprese si innalzerà! Tu intanto chiedi aiuto agli dei, celebrati i sacrifici, accorda l'ospitalità ed inventa motivi per fermarsi, mentre sul mare infuria l'inverno ed il piovoso Orione, e le navi sconquassate, mentre il clima è intrattabile." L'AMORE DI DIDONE (54 -89) Con tali parole infiammò l'animo di intenso amore e diede speranza al cuore dubbioso e dissolse il pudore. Prima visitano i templi ed implorano pace attorno agli altari; sacrifican pecore scelte di rito per Cerere legislatrice e per Febo e per il padre Lieo, per Giunone fra tutti, cui stanno a cuore i vincoli coniugali. Lei, la bellissima Didone, tenendola con la destra, versa la coppa tra le corna d'una candida vacca, o presso le statue degli dei si aggira tra carichi altari, ed inizia il giorno con doni, e nei petti squarciati degli animali, ansiosa consulta le viscere palpitanti. Ahi, mente ignara degli indovini! A che giovano i voti ad una folle, a che i templi? La fiamma divora le molli midolla intanto e tacita vive sotto il petto la ferita. Si brucia l'infelice Didone e vaga pazza per tutta la città, quale cerbiatta colpita da freccia, che da lontano un pastore, ignaro, cacciando con armi, incauta trafisse tra i boschi cretesi e lasciò il ferro alato: ella in fuga percorre le selve e le gole dittee; la punta letale aderisce nel fianco. Ora conduce Enea con sé in mezzo alle mura ed ostenta i beni sidonii e la città pronta, inizia a dire e si blocca in mezzo alla frase; ora tramontando il giorno chiede uguali conviti, e di nuovo invoca di ascoltare, pazza, i dolori di Ilio e di nuovo pende dalla bocca del narratore. Poi quando, divisi, anche la luna oscurata a sua volta copre la luce e le stelle tramontando invitano ai sogni, sola geme nella vuota reggia e sui tappeti abbandonati si sdraia. Pur lontana, lui lontano lo ode e lo vede, o trattiene Ascanio in grembo, presa dall'immagine del padre, se mai potesse ingannare l'indicibile amore. Le torri iniziate non s'alzano, la gioventù non s'allena alle armi o non preparano i porti le difese sicure per la guerra: pendono le opere interrotte e minacce ingenti di muri ed una macchina eguagliata al cielo. PATTO TRA GIUNONE E VENERE (90 -128) Ma appena s'accorse la cara consorte di Giove che ella era posseduta da tale peste e l'onore non bloccava la follia, la Saturnia affronta Venere con tali parole: "Davvero enorme gloria e ricchi bottini riportate sia tu che il tuo fanciullo, grande e memorabile potenza, se una donna, da sola fu vinta dall'inganno di due dei! Né proprio mi inganno che tu temendo le nostre mura Abbia stimato sospette le case della grande Cartagine. Ma quale sarà la regola o dove adesso, con sì grave rivalità? Perché piuttosto non concludiamo eterna pace e nozze pattuite? Hai ciò che con tutto il cuore cercasti: Brucia Didone amante ed ha tirato la follia fin al midollo. Guidiamo dunque questo comune popolo con uguali protezioni; possa servire a marito frigio e affidare alla tua destra i Tirii in dote." Capì che le aveva parlato con mente ipocrita, per volgere il regno d'Italia alle spiagge libiche, così di rimando Venere rispose: " Chi pazza rifiuterebbe tali cose o preferirebbe contendere in guerra con te? Purché la sorte favorisca l'evento che tu ricordi. Ma son mossa incerta per i fati, se Giove voglia che ci sia una sola città per i Tirii e gli esuli da Troia, o approvi che i popoli si mischino o uniscano alleanze. Tu da consorte, per te è possibile pregando tentarne il cuore. Va' avanti, seguirò".Allora così riprese la regale Giunone: "Per me sarà questo impegno. Ora in che modo si possa concludere quello che incombe, ascolta, ti insegnerò. Enea e insieme l'infelicissima Didone si preparano ad andare a caccia nel bosco, quando il Sole di domani alzerà i primi inizi e ricoprirà di raggi il mondo. Su di essi io dall'alto rovescerò una oscurante nube, con mista grandine, mentre i battitori s'affannano e cingon le gole con la rete e muoverò tutto il cielo col tuono. Scapperanno i compagni e saran coperti di opaca notte: Didone ed il capo troiano giungeranno alla stessa spelonca. Presenzierò, e se la tua volontà mi è garantita, li unirò si stabile unione e la dichiarerò sua. Qui ci sarà Imeneo." Senza opporsi alla richiedente annuì e Citerea rise per gli inganni inventati. LA CACCIA INSIDIOSA (129 - 159) Intanto Aurora alzandosi lasciò Oceano. La gioventù scelta, spuntato il raggio, esce dalle porte. Reti rade, lacci, spiedi da caccia ddi ferro largo, cavalieri massili e l'irruenza fiutante dei cani irrompono. I caoi dei Fenici aspettano sulle soglie la regina che si attarda in camera, bello di porpora e d'oro sta lo scalpitante e morde fiero i morsi spumeggianti. Finalmente avanza, accalcandosi una grande schiera, avvolta in clamide sidonia con orlo ricamato; ha una faretra d'oro, i capelli si annodan nell'oro, una fibbia d'oro allaccia la veste purpurea. Pure i compagni frigi ed il raggiante Iulo avanzano. Lo stesso Enea il più bello di tutti gli altri si offre come compagno ed unisce le schiere. Quale Apollo quando lascia l'invernale Licia e le onde di Xanto e rivede la materna Delo ed inizia le danze, ed uniti Cretesi e Driopi ed i dipinti Agatirsi s'agitano attorno agli altari; egli avanza sui gioghi del Cinto e blocca la chioma fluente con tenero ramo aggiustandola e l'annoda nell'oro, le frecce risuonano sulle spalle: non più lento di lui andava Enea, sì gran bellezza risalta sul nobile volto. Come si giunse sugli alti monti e le impervie tane, ecco selvatiche capre lanciate dalla cima della rupe corsero giù dai gioghi; da un'altra parte i cervi "Sperasti pure poter dissimulare, perfido, sì gran sacrilegio e zitto allontanarti dalla mia terra? Né ti trattiene il nostro amore né la destra data un giorno né una Didone desinata a morire di morte crudele? Anzi anche con stella invernale allestisci la flotta e ti affretti ad andare al largo in mezzo agli Aquiloni, crudele? Che? Se non cercassi campi stranieri e case ignote e restasse l'antica Troia, Troia sarebbe cercata con flotte per il mare ondoso? Forse fuggi me? Io per queste lacrime e la tua destra te, poiché io stessa non lasciai null'altro a me misera, per i nostri vincoli, per le nozze incominciate, se per te meritai bene qualcosa, o per te ci fu qualche mia tenerezza, abbi pietà d'una casa che crolla e cancella, ti prego, se ancora c'è un posto per le preghiere, questa idea. A causa di te i popoli libici ed i tiranni dei Nomadi mi odiano, contrari i Tirii; proprio a causa di te fu estinto il pudore e la fama per prima, per la quale io sola salivo alle stelle. A chi mi abbandoni moribonda, ospite, solo questo nome da un marito mi resta? Che aspetto? Forse fin che il fratello Pigmalione distrugga le mie mura o il getulo Iarba mi porti prigioniera? Almeno se prima della fuga mi fosse nato da te un figlio, se un piccolo Enea mi giocasse nella reggia, che ti richiamasse col volto, non mi sembrerei del tutto delusa e abbandonata" LA RISPOSTA DI ENEA (331- 361) Aveva detto. Egli teneva gli occhi immobili agli ordini di Giove e sforzandosi premeva il dolore dentro il cuore. Finalmente proferisce poche cose: "Io mai negherò che tu hai meriti, i maggiori che parlando sei in grado di enumerare, o regina, né mi rincrescerà ricordarmi di Elissa, fin che io stesso sia memore di me, fin che lo spirito regga queste membra. Per il fatto dirò poco. Né io sperai nasconder con frode questa fuga, non credere, né mai ho alzato fiaccole di marito o venni a tali patti. Io se i fati permettessero di condurre la vita secondo miei desideri e e calmare gli affanni di mia scelta, anzitutto onorerei la città troiana ed i dolci resti dei miei, si manterrebbero le alte regge di Priamo, e con mano ostinata avrei rifatto Pergamo per i vinti. Ma ora Apollo grineo e gli oracoli dei Licia mi han comandato di raggiungere Italia; questo il mio amore, questa è la mia patria. Se le rocche di Cartagine e la vista d'una città libica trattiene te, Fenicia, quale invidia c'è che finalmente i Teucri si fermino su terra ausonia? E' fato che anche noi cerchiamo regni stranieri. Me terrorizza la sconvolta immagine del padre Anchise e mi ammonisce in sogno, quando, piovendo le ombre, la notte ricopre le terre, quando gli astri ignei sorgono; Me, pure, i piccolo Ascanio ed il torto del caro volto che defraudo del regno d'Esperia e dei campi fatali. Ora anche l'interprete degli dei mandato dallo stesso Giove, lo giuro sul capo d'entrambi, inviò ordini attraverso i cieli veloci: io stesso vidi il dio in chiara visione che penetrava le mura e ne assorbii la voce con queste orecchie. Smetti di incendiare me e te coi tuoi pianti; l'Italia la inseguo non spontaneamente." DISPERAZIONE DI DIDONE (362 -392) Girata ormai lo guarda dir tali cose girando qua e là con gli occhi e tutto lo squadra con sguardi muti e così accesa prorompe: "Né una dea ti fu genitrice né Dardano capostipite, perfido, ma ti generò da duri macigni l'orrendo Caucaso e tigri ircane offriron le mammelle. Ma che dissimulo o a quali cose maggiori mi riservo? Forse che gemette al nostro pianto? Forse chinò gli sguardi? Forse, vinto, versò lacrime o commiserò l'amante? Cosa opporrò a cosa? Ormai neppure la massima Giunone né il padre saturnio guarda questo con occhi giusti. In nessun luogo lealtà sicura. L'ho accolto buttato sul lido, bisognoso ed io pazza lo misi a parte del regno. Riportai la flotta perduta ed i compagni da morte. Ahi, incendiata dalle furie son portata: ora Apollo augure, ora i responsi di Licia, ora anche l'interprete degli dei mandato dallo stesso Giove porta per i cieli i comandi. Senz'altro questa è la pena per i celesti, tale affanno affatica i tranquilli. Né ti trattengo né ribatto le parole: Va, insegui coi venti l'Italia, cerca regni attraverso le onde. Spero davvero che in mezzo a scogli, se le pie preghiere posson qualcosa, berrai i supplizi e spesso chiamerai per nome "Didone!". Assente t'inseguirò con neri fuochi e, quando la morte separerà le membra dall'anima, io, ombra sarò in tutti i luoghi. Pagherai, malvagio, il fio. Sentirò anche sotto i profondi Mani verrà tale notizia". Con queste parole ruppe a metà il discorso ed i cieli fugge, malata, e si tira e si toglie dagli occhi, lasciandolo molto tentennante di paura e preparandosi a dire molto: la sorreggono le ancelle e riportano le membra crollate sul letto di marmo e le ripongono sui cuscini. PREPARATIVI PER LA PARTENZA (393 - 407) Ma il pio Enea, benché brami lenire la dolente consolandola e allontanare con parole gli affanni, molto gemendo travolto nell'animo dal grande amore esegue tuttavia i comandi degli dei e rivisita la flotta. Allora davvero i Teucri lavorano e portan le alte navi su tutto il lido. Galleggia la carena unta, e portano remi frondosi dai boschi e tavole non lavorate per la smania di fuga. Li vedresti migrare e correre da tutta la città: e come quando le formiche saccheggiano un gran mucchio di farro memori dell'inverno e lo ripongono in casa, va per i campi la nera schiera e trascinano la preda tra l'erbe per angusto sentiero; parte spingono enormi grani portandoli sulle spalle, parte spingono le schiere e sgridano le pigre, tutta la strada ferve di lavoro. ULTIMO TENTATIVO DI DIDONE (408- 454) Quale sensazione allora per te, Didone, che osservavi tali cose che gemiti mandavi, spiando dall'alto della rocca attorno animarsi i lidi e vedendo davanti agli occhi tutto il mare sconvolgersi di così alte grida. Malvagio Amore, a cosa non spingi i cuori mortali? Ancora è costretta a gettarsi in lacrime, ancora a tentare supplice, pregando, di soggiogare all'amore i sentimenti, per non lasciare invano qualcosa destinata a morire. "Anna, vedi che ci si affretta attorno a tutto il lido: si son radunati da ogni parte; ormai la vela invoca i venti, e allegri i marinai misero sulle poppe le corone. Se io potei immaginare questo sì gran dolore, sorella, potrò pure sopportarlo. Per me misera tuttavia, Anna, esegui solo questo: quel perfido infatti te sola onorava, a te pure affidava arcani sentimenti; tu sola conoscevi le tenere vie ed i momenti dell'uomo. Va, sorella, e supplice parla al superbo nemico: non io giurai con i Danai di sterminare il popolo troiani in Aulide o mandai a Pergamo la flotta, né violai il cenere o i Mani del padre Anchise: perché rifiuta di accogliere nelle dure orecchie i miei detti? Dove scappa? Dia questo ultimo dono alla misera amante: aspetti una fuga facile e venti che aiutano. Non chiedo più l'antica unione, che tradì, né che si privi del bel Lazio e abbandoni il regno. Chiedo un tempo vuoto, quiete e spazio al furore, fin che la mia sorte mi insegni a soffrire, vinta. Questa ultima grazia prego, abbi pietà della sorella, e se mela concederà la restituirò accresciuta dalla morte." Con tali parole pregava, e la miserrima sorella porta e riporta tali pianti. Ma lui non è smosso da alcun pianto o arrendevole ascolta alcuna espressione; i fati lo vietano ed un dio chiude le calme orecchie dell'eroe. E come quando le Bore alpine gareggiano tra loro a sradicare una forte quercia di annosa forza con soffi ora di qui ora di là; va lo stridore e le alte fronde cospargono la terra, essendo scosso il tronco; lei aderisce ai macigni e quanto colla cima tende ai cieli, altrettanto con la radice al Tartaro: non diversamente l'eroe è colpito da una parte e dall'altra da frasi continue, e nel gran petto recepisce gli affanni; la mente resta immota, le lacrime scorrono inutili. PRESAGI FUNESTI PER DIDONE (450- 473) Allora davvero l'infelice Didone, atterrita dai fati prega la morte; l'infastidisce guardare la convessità del cielo. Per concluder meglio il proposito e lasciare la luce, vide, ponendo i doni sugli altari fumanti incenso, (orribile a dirsi) annerirsi le sacre acque ed i vini versati cambiarsi in lurido sangue. A nessuno raccontò questa visione, neppure alla stessa sorella. Ancora ci fu nella regga un tempio di marmo del vecchio marito, che venerava con grande onore, addobbato di nivee lane e fronde festiva: di qui sembrò si sentissero voci e parole del marito che chiamava, mentre la notte copriva le terre, ed unico il gufo dai tetti con canto funereo spesso lamentarsi e volgere in pianto lunghi versi; ed inoltre molte predizioni di antichi indovini con terribile monito terrificano. Lo stesso Enea nei sogni crudele tormenta la furiosa, sempre si vede sola, abbandonata, sempre andare per una lunga via, senza seguito, su terra deserta cercare i Tirii, come Penteo, pazzo, vede mostrarsi le schiere delle Eumenidi e doppio sole e doppia Tebe, o come l'agamenninio Oreste spinto sulle scene, quando fugge la madre armata di fiaccole e neri serpenti e le Dire vendicatrici siedono sulla soglia. PREPARAZIONE DELLA MORTE (474 -503) Perciò come accolse le furie, vinta dal dolore, e decise di morire, lei stessa tra sé sceglie tempo e modo, e rivolgendosi con parole alla mesta sorella copre la decisione in volto ed in fronte rasserena speranza. "Trovai, sorella, la via (tallegrati con la sorella), che mi restituisca lui o da lui sciolga me che l'amo. Vicino al confine dell'Oceano ed al sole cadente c'è un luogo, l'ultimo degli Etiopi, dove il massimo Atlante a spalla gira l'asse unito alle ardenti stelle: Di qui mi fu mostrata una sacerdotessa del popolo massilo, custode del tempio delle Esperidi, che dava cibo al drago e conservava sacri rami su di una pianta, spargendo umidi mieli e soporifero papavero. Costei promette con canti di sciogliere le menti, che vuole, anzi di mandare ad altri i duri affanni, fermar l'acque nei fiumi e volgere indietro le stelle, e muove i Mani notturni: vedrai muggire la terra sotto i piedi e gli orni scendere dai monti. Giuro, cara, per gli dei e per te, sorella, e la tua dolce persona, che contro voglia mi accingo ad arti magiche. Tu innalza silenziosa nell'interno della casa un rogo sotto i cieli e le armi dell'uomo, che lasciò fisse sul letto, l'empio, e tutte le spoglie ed il letto coniugale, per cui morii, metti sopra: piace cancellare tutti i ricordi dell'uomo nefando e lo dichiara la sacerdotessa" Ciò detto, tace, intanto il pallore occupa il volto. Tuttavia Anna non crede nasconda coi riti strani la morte, né con la mente concepisce sì grandi pazzie o teme cose più gravi della morte di Sicheo. Perciò esegue gli ordini. RITI SEGRETI E MAGIA (504 -521) Ma la regina, eretto il grande rogo nella parte interna sotto i cieli con rami di pino e leccio tagliato, riveste il luogo di ghirlande e l'incorona di fronda funerea; pone sul letto le spoglie e la spada lasciata l'effigie non ignara del futuro. Gli altari stanno attorno e la sacerdotessa, sciolta i capelli, trecento volte grida gli dei, Erebo e Caos e la triplice Ecate, i tre volti della vergine Diana. Aveva pure sparso le acque simulate della fonte d'Averno, si cercano erbe rigonfie con latte di nero veleno mietute sotto la luna con falci di bronzo ; si cerca anche l'amore strappato dalla fronte d'un cavallo nascente rubato alla madre. Lei stessa con farina e mani pie presso gli altari, toltasi un piede dai calzari in veste discinta, destinata a morire invoca gli dei e le stelle consce del fato; poi se c'è una qualche potenza, giusta e benevola, ha a cuore gli amanti con sorte ingiusta, la prega. L'ULTIMA VEGLIA DI DIDONE (522 - 552) Era notte ed i corpi stanchi prendevan placido riposo sulle terre, le selve ed i mari crudeli eran quieti, quando le stelle volgono a metà del giro, quando ogni campo tace, le mandrie e gli uccelli variopinti, che occupano attorno i limpidi laghi e campagne aspre