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Traduzione del VI libro dell'Eneide, Appunti di Letteratura latina

Traduzione accurata del VI libro dell'Eneide

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 14/03/2023

cipicc
cipicc 🇮🇹

5

(1)

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Scarica Traduzione del VI libro dell'Eneide e più Appunti in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! LIBRO VI SULLE SPIAGGE DI CUMA Così dice piangendo ed allenta le briglie alla flotta E finalmente giunge alle coste euboiche di Cuma. Volgono le prore al mare: allora con dente tenace L'ancora assicurava le navi e le curve poppe Coronano i lidi. Una schiera ardente di giovani splende Sulla riva esperia: parte cerca i semi di fiamma Nascosti nelle vene della pietra, parte raggiunge le selve, Dense tane di bestie ed indicano i ruscelli trovati. IL TEMPIO DI APOLLO Ma il pio Enea si dirige alle rocche, sulle quali comanda l'alto Apollo e le caverne della spaventosa Sibilla, antro gigantesco: ad essa il profeta di Delo infonde la grande anima e la mente e rivela il futuro Ormai raggiungono le selve di Trivia ed i tetti dorati. Dedalo, come è fama, fuggendo i regni minoici, osando affidarsi al cielo con rapide penne, navigò per l'insolita strada verso le gelide <Orse e leggero si fermò finalmente sulle rocche calcidiche. Dapprima restituito a queste terre consacrò a te, Febo, l'alato remeggio e fondò templi giganteschi. Sui battenti (c'è) la morte di Androgeo: poi i Cecropidi, obbligati a pagare le pene, Terribile!, sette corpi di figli all'anno; c'è l'urna, estratte le sorti. Dirimpetto risponde la terra di Cnosso, alta sul mare, qui c'è il crudele amore del toro e Pasifae sottoposta all'inganno, la razza mista e la prole biforme: il Minotauro, insegnamenti della maledetta Venere; qui c'è l'ntrico di casa e l'inestricabile vagare; ma compassionando il grande amore della regina Dedalo stesso risolse gli inganni ed i bubbi dell'edificio. Guidando i ciechi passi col filo. Tu pure avresti Grande parte, Icaro, in sì grande opera, lo permettesse il dolore!: due volte aveva cercato di rappresentare le vicende nell'oro, due volte caddero le mani paterne. Certamete subito rimirerebbero con gli occhi, se Acate , mandato avanti non si presentasse ed insieme la sacerdotessa di Febo e di Trivia, Deifibe, figlia di Glauco, che dice al re talicose: "Questo momento non richede queste scene: ora sarebbe meglio sacrificare sette giovenchi da gregge integro, ed altrettante pecore scelte secondo il rito. Così parlò ad Enea, né i compagni esitano a seguire i sacri ordini: la sacerdotessa chiama i Teucri nell'alto tempio. PROFEZIE DELLA SIBILLA C'è una parte scavata della rupe euboica in caverna, a cui menano cento vasti ingressi, cento porte da cui corrono altrettante voci, responsi della Sibilla. Si era giunti alla soglia, quando la vergine:" E' il momento Di chiedere i fati, disse, Il dio, ecco, il dio". A lei che parla così davanti ai battenti impprovvisamente, non il volto, non Uico il colore, né pettinate restaron le chiome, ma il petto ansante ed il cuore selvaggio si gonfia di rabbia e sembrava più grande e non parlare umanamente, poichè si espresse essendo troppo vicina la potenza del dio."Esiti nei voti e nelle preghiere, disse, troiano Enea? Esiti? No si apriranno prima le grandi bocche della casa invasata" Dopo aver parlato così, tacque. Un gelido brivido attraversò i Teucri lungo le dure ossa ed il re dice preghiere dal fondo del cuore: "Febo, che sempre hai compianto i duri travagli di Troia, tu che guidasti le armi dardanie e le mani di Paride contro il corpo dell' Eacide, attraversai tanti mari che entrano in grandi terre, sotto la tua guida, le genti de Massili nascoste all'nterno ed i campi posti davanti alle Sirti, ormai raggiungiamo finalmente le spiagge fuggenti dell'Italia: oh fin qui ci avesse seguiti la sorte troiana; ormai è giusto che voi personiate il popolo di Pergamo, o dei e dee tutet, cui spiacque Ilio e la grande gloria della Dardania. E tu veneratissima profetessa, conscia del fututo, concedi ( non chiedo regni non dovuti per i miei fati) ai Teucri di fermarsi nel Lazio ed anche agli dei erranti ed alle sconvolte potenze di Troia. Allora costruirò per Febo e Trivia un tempio di forte Marmo e giorni festivi in nome di Febo. Grandi sacrari attendono pure te nei nostri regni: qui infatti io porrò le tue sorti e gli arcani segreti predetti al mio popolo ed eleggerò, o divina, uomini scelti. Solo non affidare alle foglie i tuoi versi, perché sconvolti non volino come giochi per i rapidi venti. Chiedo che tu stessa profetizzi." Mise fine al parlare a voce. Ma la profetessa non ancora soggetta di Febo, gigantesca Nell'antro si agita, se potesse scuotere dal petto Il grandio: tanto più egli affatica la bocca rabbiosa Domando il cuore furioso e la plasma incalzando. Ora le cento grandi porte della casa si apriron Spontaneamente: per l'ampia aria trasmettono I responsi della profetessa: "O finalmente scampato ai grandi pericoli del mare (ma più pesanti restan quelli di terra) i Dardanidi verranno nel regno di Lvinio (caccia tale affanno dal cuore) ma vorranno non esservi giunti. Vedo guerre, orribili guere, ed il Tevere pumeggiante di molto sangue. Non ti mancheranno Simoenta, Xanto e accampamenti dorici. C'è un altro Achille partorito per il Lazio, anch'egli nato da dea. Né mai Giunone mancherà i compagni e si cinge di uguali armi. Egli medita questo col suo triste cuore osservando l'immensa selva e così proprio prega: "Oh se adesso quel ramo dorato si mostrasse dalla pianta in così grande bosco, poiché con verità la sacerdotessa dissse tutto, ahi troppo, du di te, Miseno". Aveva appena parlato, quando per caso due colombe vennero dal cielo volando sotto gli stessi occhi dell'eroe, e si posarono sul verde suolo. Allora il grandissimo eroe riconobbe gli uccelli materni e lieto prega: " Siate guide, oh, se c'è una via, dirigete la rotta nell'aria dentro i boschi, dove il ramo prezioso rinfresca la ricca terra. Tu, o dea madre, non venir meno in situazioni dubbiose." Detto così, fermò il passo, osservando quali segnali portino, dove vogliano andare. Esse beccando tanto avanzano volando quanto potevano guardare a vista gli occhi di chi seguiva. Poi quando giunsero alle gole dell'Averno che gravemente puzza, si alzan veloci e scivolando nella limpida aria si posano sulle sedi desiderate, una duplice pianta donde l'aureola cangiante dell'oro brillò tra i rami. Come il vsco è solito rinverdire di nuove fronde nelle selve nel freddo invernale, (che una pianta non sua semina), e circondare i tronchi rotondi di giallo germoglio, tale era l'aspetto dell'oro frondeggiante nella fresca elce, così la lamina mormorava al vento leggero. Subito Enea l'afferra ed avido lo spezza, mentre dondola, e lo porta sotto i tetti della profetessa Sibilla. RITI FUNEBRI PER MISENO Ma non meno intanto i Teucri piangevano Miseno sul lido e rendevan gli estremi onori al corpo insensibile. Al principio eressere una pira enorme piena di resine e rovere tagliato, a cui intessono i fianchi di nere fronde e davantimettono funerei cipressi e sopra l'ornano con armi risplendenti. Parte preparan col fuoco liquidi caldi e caldaie grondanti, lavano ed ungono il corpo del defunto. C'è il compianto. Poi depongono sul letto le membra compiante e gettano sopra vesti purpuree, coperte famigliari. Parte si sono avvicinati all'enorme feretro e, voltati, secondo la tradizione dei padri hanno portato la fiaccola, messa sotto, quale triste dovere: Bruciano i doni di incenso raccolti, vivande, tazze con olio versato. Dopo che le ceneri caddero e la fiamma si quietò, bagnarono di vino i resti e la fiamma che assorbe, e Corineo protesse le ossa raccolte in un'urna di bronzo. Egli stesso girò attorno ai compagni con acqua pura spruzzando con lieve rugiada e con ramo di olivo fertile, purificò gli uomini e disse le ultime parole. Ma il pio Enea protegge il sepolcro con gigantesca mole, per l'eroe mette le sue armi, il remo, la tromba sotto l'alto monte, che ora da lui si chiama Miseno e ne mantiene nei secoli il nome eterno. RITI PER GLI DEI DEGLI INFERI Compiuti questi riti, presto esegue gli ordini della Sibilla. Vi fu una profonda grotta ed enorme per il vasto abisso, rocciosa, protetta da scuro algo ed ombre di selve, sopra la quale nessun volatile poteva impunemente volgere il volo con l'ali: tale alito, esalando da nere bocche, si portava alla volta celeste. (Da ciò i Greci chiamarono il luogo col nome di (Averno!) Qui la sacerdotessa anzitutto pose quattro giovenchi, neri sul dorso, e versò vini sulla fronte e prendendo, in mezzo alle corna, un ciuffo di peli li pone sui sacri fuochi, come prime offerte, chiamando a voce Ecate potente nel cielo enell?Erebo. Altri affondano i coltelli e raccolgono con tazze il sangue tiepido: Lo stesso Enea sgozza con la spada un'agnella dal mantello nero, per la madre delle Eumenidi, alla grande sorella e per te, Proserpina, una vacca sterile. Poi abbozza per il re stigio altari notturni e pone sulle fiamme intere viscere di tori versando olio grasso, mentre le offerte ardono. Ecco dunque, alla soglia del primo sole e sul sorgere, il suolo muggire sotto i pedi, i gioghi delle selve cominciarono a muoversi e sembrò che cagne ululassero nell'ombra, all'arrivo della dea. "Lontano, oh, lontano state, profani, grida la profetessa, allontanatevi da tutta la selva: tu affronta la via e dal fodero sguaina la spada: adesso è necessario il coraggio, Enea, un cuore forte, adesso". Detto solo questo, furente si gettò nell'aperta grotta. Egli con passi non timorosi eguaglia la guida che avanza. VESTIBOLO DELL'ADE "O dei, che avete il potere delle anime, ombre silenti Caos, Flegetonte, luoghi grandemente silenziosi nella notte, mi sia consentito dire le cose udite, sia possibile col vostro aiuto rivelare le cose immerse nella terra profonda e nel buio. Andavano incerti nella notte totale nell'ombra e per le vuote case ed i morti regni. Quale è un sentiero nei boschi attraverso la luna incerta sotto la luce maligna, quando Giove con l'ombra ha nascosto il cielo e la buia notte ha tolto il colore alle cose: Davanti allo stesso vestibolo e nelle prime bocchedell'Orco, il Lutto e gli Affanni hanno le loro tane: vi abitano le pallide Malattie, la triste Vecchiaia, la Paura, la Fame, cattiva consigliera, la brutta Povertà, apettiterribili a verdersi, la Morte e la Pena: poi il Sonno, parente della Morte, le cattive Gioie della mente e la Guerra, portatrice di morte, davanti sulla soglia i ferrei letti delle Eumenidi, la pazza Discordia, che annoda la chioma con bende insanguinate. Nel mezzo un olivo spande i rami e le antiche braccia, enorme, ombroso, che, dicono, i Sogni vani in massa occupano come sede e s'attaccano a tutte le foglie. Inoltre molti mostri di strane bestie, i Centauri hanno le stalle sulle porte, le Scille biformi, Briareo centumane, la belva di Lerna, stridente orrendamente e la Chimera, armata di fiame, le Gorgoni, le Arpie e l'imagine dell'ombra contre corpi (Briareo). Qui Enea timoroso per l'improvviso terrore afferra la spada ed offre la punta sguainata a quelli che avanzano e se la saggia guida non ammonisse che le vite volano leggere senza corpo sotto un aspetto privo di forma, si butterebbe ed invano col ferro trafiggerebbe le ombre. IL FIUME ACHERONTE Di qua è la strada che conduce alle onde del tartareo Acheronte. Qui la corrente torbida ribolle di fango in vasta voragine e vomita tutta la sabbia in Cocito. Un orribile traghettatore custodisce queste acque ed i fiumi, Caronte di terribile squallore, a cui sta nel mento molta canizie incolta, gli occhi di fiamma fissano, dalle spalle pende un lurido mantello con nodo. Egli spinge la barca col palo e la governa con le vele e col battello ferrigno trasporta i corpi. Anche se vecchio, ma il dio ha una cruda e verde vecchiaia. Qui tutta la folla confusa si ammassava alle rive, madri, uomini e corpi di magnanimi eroi liberi dalla vita, ragazzi ed inviolate fanciulle, giovani posti sui roghi davanti ai volti dei genitori: quante foglie nei boschi al primo freddo d'autunno vacillano, cadono o quanti uccelli si affollano a terra dall'alto mare, quando il freddo anno li allontana oltre il mare e li invia su terre assolate. I primi si ergevano pregando di oltrepasare la ruota e tendevano le mani per amore della riva di fronte. Ma il triste nocchiero accoglie ora questi ora quelli, altri invece manda lontano, cacciati dalla sabbia. Enea meravigliato e scosso dal tumulto: "Dimmi, vergine, disse, cosa vuole la corsa al fiume? Cosa chiedono le anime? O per quale decisione queste lasciano le rive, le altre coi remi spazzano i lividi guadi?" Così a lei brevemente parlò la vecchia sacerdotessa: "Figlio di Anchise, certissima prole di dei, tu vedi i profondi stagni di Cocito e la palude stigia, anche gli dei temono o ingannare il suo nome. di miele e frutta drogata:Egli aprendo le tre gole con fame rabbiosa, lanciata, l'afferra e sciolse il dorso terribile e buttato a terra, gigantesco si stende per tutto l'antro. Enea occupa l'ingresso, sepolto il guardiano, veloce oltrepassa la riva dell'onda difficile da varcare. I MORTI PRIMA DEL TEMPO Subito si udirono voci ed un enorme vagito di infanti, anime piangenti, sul limitare della soglia: un nero giorno li strappò, privi della dolce vita e rapiti dalla poppa li sommerse con morte acerba. Vicinia questi i condannati a morte ingiustamente: Ma questi luoghinon furon dati senza sorte, senza giudice. Minosse inquisitore scuote l'urna: egli convoca l'assemblea dei silenziosi, indaga vite e crimini. Poi mesti occupano i luoghi vicini, quelli che innocenti di propria mano si procuraron la morte, odiando la luce, buttaron via le anime.Come vorrebbero ora sopportare nell'aria superiore la povertà e dure fatiche. Il fato si oppone, la triste palude dell'odiata onda li lega e lo Stige che scorre attorno nove volte, li blocca. Non lontano di qui, sparsi in ogni parte, si mostrano Le pianure piangenti così li chiaman di nome. Qui segreti sentieri nascondono quelli che il duro amore consumò con crudele malattia: una selva di mirti attorno li copre; nellastessa morte gli affanni non li lasciano. In questi luoghi vede Fedra, Procri e la mesta Eufile, che mostra le ferite del figlio crudele, Evadne e Pasifae: con questi Laodamia va come compagna e Ceuco, un tempo giovanotto, ora donna, ritornato per fato nell'antico aspetto. DIDONE ( Ma tra queste la fenicia Didone, dalla ferita recente vagava per la grande selva; appena l'eroe troiano le fu vicino e la riconobbe tra le ombre tenebrosa, come quella luna che all'inizio del mese uno pensa di vedere o d'aver visto tra le nubi, versò lacrime e parlò con dolce amore: "Infelice Didone, dunque mi era giunta vera la notizia che eri morta e con la spada avevi raggiunto la fine? Ahi, ti fui causa di morte? Per le stelle giuro; per i celesti e se c'è lealtà sotto il più profondo della terra, conto voglia, o regina, me ne andai dal tuo lido. Ma gli ordini degli dei mi spinsero, coi loro poteri, quelli che ora spingono ad andare tra queste ombre per luoghi orridi di squallore e per la notte profonda, davvero no potei credere ch'io ti recassi sì forte dolore: Ferma il passo e non sottrarti al nostro sguardo. Chi fuggi? Questa è l'ultima volta che ti parlo, per fato!" Con tali parole Enea alleviava l'anima ardente e che guardava torvo e chiamava pianto. Lei, scontrosa, teneva gli occhi fissi al suolo, né è commossa in volto dal discorso iniziato più che fosse dura roccia o scoglio marpesio. Infine si sottrasse ed ostile si rifugiò nel bosco ombroso, dove il primo marito Sicheo risponde alle angosce e ne eguaglia l'amore. Enea nondimeno sconvolto dall'ingiusto destino, piangendo segue da lontano e ha pietà di lei che se ne va. LE OMBRE DEI GUERRIERI Poi riprende la via obbligata. Ormai occupavano gli ultimi campi, che i famosi in guerra affollano. Qui gli si presenta Tideo, qui l'illustre per l'armi Partenopeo e l'ombra del pallido Adrasto, qui i Dardanidi caduti in battaglia e molto compianti fra i viventi: egli vedendoli tutti in lunga fila li pianse: Glauco, Medonte, Tersilico, i tre Antenoridi, Polibete, sacro a Cerere, Ideo, che ancora teneva il cocchio e le armi. Le anime accerchiano a destra e sinistra affollandosi: Ma è sufficiente aver visto una volta; piace fermarsi ancora, seguirne il passo e sapere i motivi del viaggiare. Ma i corpi dei Danai e le falangi agamennonie, come videro l'eroe e le armi sfavillanti tra le ombre, trepidavan per l'enorme paura in parte volgevan le spalle, come quando un tempo corsero alle navi; in parte levavano una flebile voce: il grido iniziato di chi apre bocca si annulla. DEIFOBO Proprio qui vede il priamide Deifobo, lacerato in tutto il corpo, crudelmente dilaniato in volto, ed ambe le mani, le tempia devastate, le orecchie strappate, le narici troncate da orribile ferita. A stento così lo riconobbe tremante e che copriva i crudeli supplizi, poi lo chiama con chiare parole: "Deifobo potente in armi, prole della grande stirpe di Teucro, chi tanto crudele volle vendicarsi? A chi fu possibile così tanto su di te? La fama mi narrò che nell'ultima notte tu stanco per la grande strage di Pelasgi, cadesti sopra il cumulo di confuso massacro. Allora io sul lido reteo ti feci un tumulo vuoto e per tre volte chiamai a gran voce i Mani: Il nome e le armi custodiscono il posto: Non potei vedere te, amico, e porti nella terra patria, partendo". A ciò il priamide:"Ah, nulla fu tralasciato da te, amico, tutto hai assolto per Deifobo e per le ombre di morte. I miei fati ed il mortale delitto della Spartana mi immersero in questi mali: ella mi lasciò questi ricordi. Tu sai comme passammo tra false gioie l'ultima notte, è necessario purtroppo ricordare. Quando il cavallo fatale giunse a salti sopra Pergamo e gravido portò in grembo la fanteria armata, ella, simulando una danza, portava in giro le frigie inneggianti i riti; lei in mezzo teneva una fiaccola enorme e chiamava i Danai dall'alta rocca. Allora l'infelice talamo mi accolse, sfinito d'affanni, una dolce profonda quiete mi oppresse mentre dormivo similissima alla placida morte. Frattanto la nobile sposa toglie dalla casa tutte le armi ed aveva sottratto la spada fidata da sotto la testa: chiama in casa Menelao ed apre le porte, certamente sperando che ciò sarebbe stato gran dono per l'amante e così si potesse estinguere la fama degli antichi mali: Perché indugio?Irrompono in camera: si aggiunge insieme compagno e maestro di delitti l'eolide: O dei, ai Grai tali cose restituite, se chiedo vendetta con voce pia. Ma racconta a tua volta, orsù, quali vicende ti portarono qui vivo?Arrivi spinto dai viaggi del mare o per ordine degli dei? O quale sorte ti affanna da raggiungere le tristi case senza sole, luoghi oscuri?" A questo scambio di parole, l'Aurora con rosee quadrighe ormai aveva passato la metà dell'asse celeste con etereo percorso e forse passerebbero tutto il tempo dato con tali discorsi, ma la compagna ammonì e brevemente la Sibilla intervenne; "La notte va veloce, Enea, noi piangendo passiamo le ore. Questo è il luogo dove la strada si divide in due parti: la destra che guida sotto le mura del grande Dite, di qui per noi è la via per l'Elisio; la destra invece tratta le pene dei mali e conduce nell'empio Tartaro." Deifobo allora: "Non infierire, grande sacerdotessa, Partirò, entrerò nella massa, e sarò restituito alle tenebre. Va', va', nostra gloria: abbi destini migliori.". Disse solo questo e nel discorso volse i passi. IL TARTARO Enea guarda: ed ecco vede a sinistra sotto una rupe ampi bastioni, circondati da triplice muro che il tartaro fiume Flegetonte attornia Con fiamme incandescenti e trascina massi risonanti. La porta di fronte, enorme, le colonne di duro acciaio, che nessuna forza di uomini, né gli stessi celesti possano rompere col ferro: una torre di ferro s'erge nell'aria, e Tisifone, sedendo, avvolta in cruento mantello, insonne controlla il vestibolo notte e giorno. Qui si sentivano gemiti e frustate crudeli risuonavano, poi stridore di ferro e catene strascinate. Si fermò Enea ed atterrito dallo strepito esitò: score attraverso la selva il ricchissimo fiume dell'Eridano. Qui, a schiera, quelli che soffriron ferite combattendo per la patria, quei sacerdoti puri, mentre la vita scorreva, quei profeti pii, che espressero cose vere per Febo, o quelli che coltivaron la vita attraverso arti inventate e quelli che si resero memori beneficand gli altri; per tutti questi le tempie son cinte di candida benda. Ad essi stretti intorno, così parlò la Sibilla: anzitutto a Museo, una foltissima folla lo preme in mezzo, ammira lui che sovrasta per le alte spalle: "Dite, felici anime, e tu, ottimo poeta, quale ambiente, quale luogo trattiene Anchise? Per lui venimo e passammo i garndi fiumi di Erebo": Ed a lei così l'eroe diede risposta con poche (parole): "Nessuno ha dimora precisa: dimoriamo per boschi ombrosi, abitiamo i giacigli delle rive ed i freschi prati di ruscelli: Ma voi, se così la volontà vuole nel cuore, superate questa altura e vi porrò subito su facile percorso": Disse e portò avanti il passo: dall'alto mostra pianure splendenti: poi lasciano la sommità della vetta. IL PADRE ANCHISE Ma il padre Anchise dentro una valle verde osservava le anime riunite e destinate ad andare verso la luce dei viventi, ammirando con amore e contava proprio tutta la folla dei suoi, i cari nipoti; i destini e le ricchezza degli eroi, i costumi, le gesta. Egli come vide Enea che davanti avanzava sull'erba, pronto tese entrambe le mani: le lacrime si sparsero sulle guance e la voce proruppe dalla bocca: "Giungesti finalmente e la tua pietà atesa dal padre ha vinto il duro cammino? E' dato vedere il tuo volto, figlio, ascoltare voci conosciute e rispondere? Proprio così riflettevo in cuore e pensavo il futuro calcolando i tempi ed il mio impegno non mi ingannò: Io ti accolgo, trascinato per quali terre e per quanti mari! Sballottato, figlio, da quanti rischi! Quanto temetti che i regni di Libia ti nuocessero un poco" Lui in risposta:" O padre, la triste tua immagine mi spinse, apparendomi spesso, a raggiungere queste sedi; le flotte stanno sul mar Tirreno. Lasciami stringere la destra, lascia, padre, e non sottrarti al nostro abraccio" Così ricordando, insieme rigava il volto di molto pianto: Tre volte tentò lì di gettargli le braccia al collo; tre volte l'immagine invano afferrata sfuggì alle mani, uguale ai venti leggeri e assai simile al sogno. DESTINO DELLE ANIME Intanto Enea vede nella valle deserta un bosco isolato ed i rami della selva risonanti ed il fiume Leteo che bagna le tranquille dimore. Attorno ad esso volavano innumerevoli popoli e stirpi: e come nei prati quando le api nella serena estete si posano sui fiori colorati e si riversano attorno ai candidi gigli: tutta la pianura echeggia per il mormorio. Rabbrividisce per la visione improvvisa, l'ignaro Enea ne domanda i motivi: quali siano poi quelle correnti, o quali uomini abbian riempito le rive con sì grande schiera. Allora il padre Anchise: "Le anime, a cui per fato sono dovuti nuovi corpi, presso l'onda del fiume Leteo bevono liquidi sicuri e lunghi oblii. Senz'altro desidero ricordarti e mostrare apertamente e da tempo enumerare questa prole dei miei, perché con me gioisca di più, trovata l'Italia." "O padre, bisogna pensare che alcune anime di qui vadano leggere al cielo e di nuovo tornino ai corpi pesanti? Quale tanto crudele desiderio di luce per le misere?" "Parlerò certamente e non ti terrò sospeso, figlio" riprende Anchise e chiarisce con ordine ogni cosa. "In principio lo spirito dentro anima il cielo, le terre, le limpide pianure, il globo lucente della luna, le stelle titanie e l'anima diffusa per le membra smuove tutta la mole e s'unisce al grande corpo. Di qui la specie umana ed animale, le vite degli uccelli, ed i mostri che il mare offre sotto l'onda marmorea. Tali semi hanno vigore igneo ed origine celeste, fin quando non li ritardino i corpi nocivie li inebetiscano organi di terra e membra che devon morire. Perciò temono e vogliono, soffron e godono, ma non vedono i cieli, chiuse in tenebre e carcere cieco. Anzi quando la vita se n'è andata con l'ultima luce, tuttavia non tutto il male né tutte le malattie fisiche se nevanno completamente dai miseri: è necessario che molte cose troppo indurite si sviluppino in strani modi. Orbene son travagliate dalle pene e pagano i tormenti dei mali passati: alcune vuote si aprono sospese ai venti; per altre in un vasto gorgo il peccato impregnato vien lavato o bruciato dal fuoco: tutti soffriamo i propri castighi: di lì siam mandati nell'ampio Elisio ed in pochi otteniamo i campi felici, finchè un lungo giorno, compiutosi il corso del tempo, ha tolto la macchia impregnata e lascia puro il senso celeste ed il fuoco dal semplice soffio. Tutte queste le chiama il dio, quando han girato la ruota mille anni, presso il fiume Leteo in gran numero, perché poi immemori rivedano il mondo di sopra e di nuovo comincino a voler ritornare nei corpi. Aveva parlato Anchise ed attira il figlio ed anche la Sibilla in mezzo a gruppi e tra una folla che grida, raggiunge un'altura, da cui potesse vedere tutti davanti in lunga fila e riconoscere i volti dei passanti. EROI ROMANI Suvvia adesso la prole dardania e poi quale gloria ne segua, quali siano i nipoti dal popolo italica, le anime illustri destinate alla nostra gloria, le spieghierò a parole ed a te rivelerò i tuoi destini. Quel giovane, vedi, che si appoggia alla pura lancia, tiene per sorte i luoghi vicinissimi alla luce, per primo sorge per l'aria celeste, misto di sangue italico, Silvio, nome albano, tua prole postuma, che tardi per te vecchio la sposa Lavinia alleva nei boschi re e padre di re, da cui la nostra stirpe dominerà Alba Longa. E' vicino quel Proca, gloria del popolo troiano, Capi, Numitore e chi ti rinnoverà col nome Silvio Enea, ugualmente famoso per pietà ed armi, se mai riceverà Alba da governare. Che giovani! Guarda quali forze mostrano! E portan le tempie adombrate di quercia civica! Questi ti costruiranno Nomento, Gbi, e la città di Fidene, questi ergeranno sui monti le rocche collatine, Pomezia, il castello d'Inuo, Bola e Cora: Allora questi saranno i nomi, ora son terre senza un nome. Ancora Romolo, figlio di Marte, si unirà come compagno al nonno, la madre Ilia della stirpe di Assaraco lo alleverà. Vedi come le creste s'ergon gemello alla sommità, e lo stesso padre dei celesti lo segna già del suo onore? Ecco, figlio, coi suoi auspici quella famosa Roma: eguaglierà l'impero alle terre, gli animi all'Olimpo, unica si circonderà le sette rocche di muraglia, fortunata per stirpe d'eroi: come la madre Berecinzia turrita è portata sul cocchio per le città frigie, gioiosa per la nascita di dei, abbracciando cento nipoti, tutti divini, tutti che occupano le massime altezze. CESARE AUGUSTO Ora volgi qui i tuoi due occhi: guarda questo popolo, i tuoi Romani.Qui c'è Cesare e tutta la gente di Iulo, che verrà sotto l'asse del cielo: Qui c'è l'eroe, questi, che più volte ti senti promesso, Cesare Augusto, stirpe del dio, che di nuovo sul Lazio fonderà le età d'oro , per campi un tempo governati da Saturno, porterà il regno sopra i Garamanti e gli Indi: il territorio sta fuori degli astri, fuori dalle vie dell'anno e del sole, dove Atlante, portatore del cielo, regge sulla spalla l'asse ornato di stelle splendenti. Già ora per il suo arrivo i regni del Caspio temono per i responsi degli dei, la terra Meozia