Scarica Traduzione di passi dell'Eneide Libro VI di Virgilio e più Traduzioni in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! VIRGILIO ▸ VI LIBRO dell’ENEIDE V.42 L’enorme lato della rupe Euboica è scavato in un antro, dove conducono cento ampi ingressi e cento porte, da dove erompono altrettante voci, i responsi della Sibilla. Si era giunti sulla soglia quando la vergine disse: “È l’ora di chiedere gli oracoli. Il dio, ecco il dio!”. A questa che diceva tali cose davanti alle porte improvvisamente non è lo stesso il volto, non è lo stesso il colore e i capelli non rimasero ordinate; ma il petto è ansimante e i cuori selvaggi si gonfiano di rabbia; e sembra più grande e non manda suono mortale, poiché è stata ispirata dalla maestà ormai più vicina del dio. Disse: “Indugi, Enea troiano, nei voti e nelle preghiere? Sei pigro? E infatti prima non si apriranno le grandi bocche (= porte) della casa scossa”. E, avendo lei detto queste cose, tacque. Un gelido tremore corse attraverso le ossa dure ai Teucri e il re profuse preghiere dal profondo del petto: Vv. 56-76: preghiera di Enea. Si rivolge dapprima ad Apollo. Poi si rivolge a tutti gli dei e le dee: era una preghiera comune ai romani, per non incorrere nelle ire degli dei dimenticati. Dal verso 65 si rivolge direttamente alla Sibilla. “O Febo, che hai avuto pietà sempre dei gravi affanni di Troia, tu che hai diretto le frecce Dardane e la mano di Paride contro il corpo dell’Eacide1, sotto la tua guida ho percorso tanti mari che bagnano grandi terre e <ho raggiunto> i popoli dei Massili collocati lontano e i campi che si estendono sulle Sirti, e infine abbiamo preso le spiagge sfuggenti dell’Italia/dell’Italia sfuggente. 1 Patronimico: Eaco è nonno di Achille. Che la Sorte troiana (= la sfortuna di Troia) possa seguirci solo fino a qui! E anche voi, dei e dee tutti, ormai è lecito che risparmiate il popolo di Pergamo, voi ai quali fu in odio Ilio e la grande gloria della Dardania. E tu, o indovina santissima, che conosci il futuro, concedi che si fermino nel Lazio i Teucri e gli dei erranti e i numi sballottati di Troia (non chiedo dei regni non dovuti ai miei fati). Allora, erigerò un tempio di solido marmo2 a Febo e a Trivia e <istituirò> giorni festivi3 in nome di Apollo4. Ma anche per te rimangono nel nostro regno i tuoi grandi recessi5: io qui collocherò le tue sorti e gli oracoli segreti detti al mio popolo6 e consacrerò degli uomini scelti, divina. Per capire bene le ultime parole di Enea dobbiamo tornare indietro al III libro (relativo ai viaggi nel mediterraneo). Tra le varie figure che incontra, Enea incontra anche Eleno, un troiano indovino che gli fa una profezia. Gli dice qual è la meta che deve raggiungere e gli dice quali sono le difficoltà che dovrà superare (v. 441 liber III). La Sibilla o dà responsi a voce o li trascrive sulle foglie: Eleno predice ad Enea di stare attento che non scriva l’oracolo sulle foglie, in quanto il vento scompiglia le foglie ed è poi impossibile ricostruire il responso. Memore della profezia di Eleno, Enea chiede: “Non affidare gli oracoli soltanto alle foglie affinché sconvolti dalle correnti veloci non volino come cose leggere: ti prego di cantarli tu stessa”. Pose fine al suo parlare con la bocca. 2 Richiamo alle Georgiche, dove Virgilio annunciava la costruzione di un tempio per mettervi al centro Ottaviano. 3 Si riferisce all’istituzione dei Ludi Apollinares, dei giorni festivi dedicati ad Apollo, istituiti nel 212 a.C., nel pieno della seconda guerra punica, in seguito ad un oracolo della Sibilla. 4 Nel 28 a.C. Ottaviano fa erigere un tempio in onore di Apollo nel Palatino. 5 Anche quando sarà fondata Roma, l’oracolo della Sibilla continuerà ad essere un punto di riferimento fondamentale. 6 La tradizione narra che la Sibilla abbia offerto i 9 libri Sibillini a Tarquinio il Superbo per una cifra molto alta. La Sibilla dunque ne brucia tre e gli offre i 6 rimanenti allo stesso prezzo. La Sibilla dunque ne brucia altri tre e gli offre anche gli altri tre. Dunque alla fine Tarquinio accetta l’offerta e li custodisce a Roma nel tempio di Giove. Viene istituito un collegio di sacerdoti che avevano il compito di interpretare gli oracoli. Si tratta del collegio dei Quindecemviri sacri faciundis. Essi svolgevano anche un ruolo politico, perché con i loro oracoli indirizzavano la politica di Roma. A un certo punto i libri vengono distrutti in un incendio e quindi si mandano in giro ambasciatori a ricercare altri oracoli. Ottaviano successivamente li fa trasferire nel tempio di Apollo, dove rimarranno custoditi e letti fino alla fine del IV secolo e a un certo punto spariscono. Vv. 426-476: troviamo cinque categorie di anime che popolano questa porzione di inferi, l’Anti- inferno. Primi due gruppi: neonati morti prematuri e condannati a morte ingiustamente. Subito si sentono delle voci e un grande vagito e le anime dei neonati piangenti sulla prima soglia, che, esclusi dalla dolce vita e strappati dal seno, rapì il nero giorno e sommerse nella morte acerba16; accanto a questi coloro che furono condannati a morte per un’accusa falsa. Ma queste sedi non sono state date senza sorte o senza un giudice: l’inquisitore Minosse scuote l’urna, quello convoca il consiglio di coloro che sono silenti e apprende le vite e le colpe. Terzo gruppo: suicidi. Subito dopo occupano i luoghi vicini, coloro che, innocenti, di propria mano si procurarono la morte e odiando la luce (=vita) scagliarono via le anime. Quanto vorrebbero ora sopportare sia la povertà sia i gravosi affanni nell’aria superiore (=nel mondo dei vivi)! Il fato si oppone, e la palude odiosa dell’onda triste17 li racchiude e lo Stige, che gira intorno per nove volte, li contiene. Descrizione dei Campi del Pianto, dove si trovano coloro che sono morti per amore (per lo più donne): Non lontano da qui si mostrano estesi da ogni parte i Campi del Pianto: così chiamano quelli per nome. Qui dei sentieri appartati nascondono e una selva di mirto nasconde tutt’intorno coloro che un duro amore consunse con una distruzione crudele; i tormenti non li abbandonano neppure nella stessa morte. 16 Cfr: Carducci. Si ricorda di questo emistichio in un componimento in onore del figlio morto prematuramente. 17 L’acqua ristagna, quindi l’onda è lenta. Inizia un elenco di figure femminili che sono morte a causa dell’amore. L’ultima che Enea riesce a scorgere è Didone. In questi luoghi Enea vede Fedra18 e Procri e la triste Erifile19 che mostra le ferite del figlio crudele, ed Euadne20 e Pasifae; compagna a queste avanza Laodamia e Ceneo21, un tempo maschio, ora femmina, e di nuovo ritrasformata per volere del fato nella forma originaria. In mezzo a queste girovagava nella grande selva la fenicia Didone, fresca per la ferita (=che era morta da poco); l’eroe troiano, non appena le fu vicino e la riconobbe in mezzo alle altre ombre, poco visibile22, come colui che vede sorgere o crede di aver visto <sorgere> la luna attraverso le nubi all’inizio del mese23, fece scendere le lacrime e parlò con dolce amore (= con tenere parole d’amore): 18 Innamoratasi di Ippolito, figlio di suo marito, viene respinta e lei per vendicarsi lo accusa davanti al marito di averla violentata. Poi si pente e si uccide. Tragedia Ippolito di Euripide e Fedra di Seneca. 19 Appartiene alla saga dei Sette contro Tebe. 20 Moglie di Capaneo, sempre in riferimento alla saga dei Sette contro Tebe. Quando il marito muore si getta sulla pira funebre perchè non può vivere senza di lui. 21 Mito che racconta anche Ovidio nella Metamorfosi. È un esempio di cambiamento di sesso. Nasce femmina, Poseidone si innamora di lei e le consente di esprimere un desiderio: lei desidera di diventare maschio. Diventa maschio e ottiene anche l’immortalità. Dopo tutta una serie di vicende, non potendo essere ucciso con metodi tradizionali, viene sommerso da tronchi di legno e sassi e soffocato. La trasformazione finale, dopo la morte, è il ritorno alla forma originaria. 22 Didone cerca di non farsi vedere e non alzerà mai lo sguardo verso Enea. 23 L’apparizione di Didone è come l’apparizione della luna all’inizio del ciclo lunare: non una luna splendente e piena ma una luna che si intravede in mezzo alle nubi, non nitida. “Infelice Didone, dunque mi era giunto un messaggio vero che tu eri morta e che avevi inseguito la morte con la spada?24 Sono stato io, ahimè, per te causa di morte? Giuro sulle stelle, sugli dei e se c’è una fede nelle profondità della terra, oh regina, sono partito contro la mia volontà dai tuoi lidi.25 Ma gli ordini degli dei, che ora mi spingono ad andare attraverso queste ombre, per questi luoghi orridi e per questa notte scura, mi spinsero con i loro comandi; e non potevo credere che con la mia partenza ti avrei arrecato un dolore così grande. Ferma il passo e non sottrarre te stessa alla nostra vista! Chi fuggi? Questa è l’ultima occasione che io possa parlarti per volere del fato”. Con tali parole Enea ammansiva l’animo ardente e che guardava con uno sguardo torvo e la spingeva alle lacrime. Quella, girata dall’altra parte, teneva gli occhi fissi a terra e non si muove nel volto, cominciato il discorso, più di quanto stia (/più che se fosse) immobile una solida selce o uno scoglio di Marpesso. 24 In realtà non c’è traccia di un nuntius che porti ai troiani la notizia della morte di Didone. L’unica notizia che abbiamo è all’inizio del V libro, quando i troiani vedono un fuoco che illumina le mura di Cartagine: non sanno cosa sia, ma sospettano che siano un presagio funesto. Si tratta della pira su cui Didone verrà bruciata. I troiani di fatto non sanno di cosa si tratti. Si ipotizza che Virgilio avesse voluto inserire il messaggero oppure che semplicemente sia una libertà poetica. 25 È uno di quei passi in cui si tocca la differenza tra l’epica virgiliana e l’epica omerica. Nell’epica omerica c’è solamente la prospettiva dei vincitori, in questo caso invece il lettore parteggia più per Didone che per Enea, seppur sia l’eroe del poema. Succederà anche con Turno: il lettore parteciperà emotivamente alla sua morte. Virgilio ci vuole dire che la grande storia di Roma si è costruita anche lasciando sulla sua strada dei vinti: il lettore si colloca anche dalla parte dei vinti. Per questo Conte definisce l’epica virgiliana come un’ “epica sentimentale”. Così parlando contemporaneamente solcava il viso con un ampio pianto. Per tre volte tentò di circondare il collo con le braccia; per tre volte l’anima, abbracciata invano, sfuggì via dalle mani, simile a venti leggeri e in tutto simile ai sogni sfuggenti.30 Successivamente Virgilio descrive una zona particolare dei Campi Elisi, quella presso il fiume Lete. Enea vede intorno un grande affollarsi di gente, come fossero delle api che sciamano e si posano sui fiori nei prati quando è ora della fioritura. Anchise gli spiega cosa succede a queste anime: sono quelle che per volere del fato sono nuovamente destinate a incarnarsi in un corpo. Enea, invece di essere appagato dalla risposta, è ancora più curioso e fa altre domande. Si chiede dunque per quale motivo le anime vogliono andare via dai Campi Elisi. Dal 724 al 751 Anchise illustra ad Enea la cosiddetta palingenesi: dopo una serie di vicissitudini nell’aldilà, l’anima è destinata a reincarnarsi nuovamente. Il discorso di Virgilio mette insieme spunti filosofici di diversa derivazione (vedi commento): - componente platonica; - componente stoica; - componente orfico-pitagorica. Il discorso serve a introdurre la rassegna degli eroi. Le anime che si affollano sul Lete, che Anchise stava passando in rassegna, sono, infatti, quelle degli eroi che sono destinati a fare grande Roma. Dal v. 752 mostra ad Enea i futuri illustri eroi romani. Anchise aveva detto <così> e porta il figlio e insieme la Sibilla nel mezzo di quelle schiere e a quella folla che fa rumore e si colloca su un’altura da dove potesse mettere insieme tutti quelli che gli stavano di fronte in lunga fila e apprendere i volti di coloro che avanzavano. La rassegna serve a spronare Enea ad affrontare le horrida bella predette dalla Sibilla. Suvvia, ti illustrerò a parole quale gloria in seguito toccherà alla discendenza Dardania, quali discendenti si attendono dalla stirpe Italica, le anime destinate a rendere illustre il nostro nome, e ti insegnerò il tuo destino. 30 Alla fine del II libro Enea aveva tentato di fare la stessa cosa con l’imago di Creusa. I versi che descrivono l’episodio sono identici a questi. È anche abbastanza simile a ciò che tenta Orfeo quando vede Euridice alla fine della Georgiche. Le anime che sono sul Lete non sono del tutto purificate, ma hanno già le caratteristiche della vita futura. Questa è una libertà poetica che Virgilio si prende. Anchise mostra ad Enea cosa sarà la sua discendenza, dunque le anime che stanno per risalire sulla terra hanno già le caratteristiche degli uomini che sono destinate a diventare. Ora Anchise sprona Enea ad avvicinarsi alle anime per conoscerle. Una prima parte del discorso illustra la fase precedente alla fondazione di Roma (la fase dei re di Alba Longa). Dal v. 788 c’è un salto cronologico e là vede le figure della Roma contemporanea a Virgilio: Giulio Cesare e Ottaviano Augusto. Dopo aver descritto la fase della gens Iulia coi suoi due protagonisti principali, dal v. 808 comincia un’altra lunghissima rassegna di tutti gli eroi dalla fase monarchica alla prima repubblica, attraverso le guerre italiche, le guerre puniche e di nuovo ritorna all’età contemporanea. Quel giovane, vedi, che si appoggia su un’asta semplice31 occupa per sorte i luoghi più vicini alla luce, per primo mescolato con sangue italico tornerà per primo ai venti superiori, Silvio, nome Albano, tua ultima32 discendenza, che a te avanti con l’età la moglie Lavinia alleverà nelle selve33, re e padre di re, da cui la nostra stirpe dominerà Alba Longa. Qua si intersecano diverse tradizioni: i primissimi epici, sia Nevio sia Ennio, non si erano posti il problema dell’ampio scarto temporale tra la distruzione di troia (metà XII secolo) e la fondazione di Roma (753 a.C.). Nevio dice che Romolo è figlio di Enea, senza porsi il problema che sia Enea sia Romolo avrebbero dovuto vivere un secolo ciascuno. Nemmeno Ennio si preoccupa della questione: Romolo è figlio di Ilia, a sua volta figlia di Enea, ma nemmeno in questo caso si riesce a giustificare il lungo periodo di tempo che intercorre tra la caduta di Troia e a fondazione di Roma. Solamente dopo la fase dei poeti arcaici inizia a costruirsi una tradizione che cerca di spiegare quest’ampio lasso di tempo: si crea la tradizione della fase di Alba Longa. Virgilio ci riporta che Enea sposa Lavinia, già stata promessa dal padre a Turno, il re dei Latini (cosa che susciterà la guerra). Da Lavinia nasce Silvio e da lui comincerà la discendenza dei dodici re albani. L’ultimo re albano, Numitore, avrà una figlia i cui figli, Romolo e Remo, fonderanno Roma. Il problema è che qua manca Ascanio Iulo, figlio di Enea e Creusa. Egli è una figura fondamentale in quanto è il capostipite della gens Iulia. Ci sono dunque diverse tradizioni sul rapporto tra Ascanio, Lavinia e Silvio. Una tradizione, di cui Virgilio non fa menzione, vuole che Ascanio non vedesse di buon occhio Lavinia e, una volta morto Enea, la costrinse a ritirarsi nelle selve e ad allevare lontano dalla città il piccolo Silvio (nel testo virgiliano potrebbe esserci un’allusione all’evento ma deve oscurarlo per non mettere in cattiva luce la gens Iulia). Nel libro I, dove c’è un’altra piccola parentesi sul futuro, Virgilio dice che sarà Ascanio a dare inizio alla stirpe dei re albani. Probabilmente ci troviamo davanti a una traccia della mancata revisione finale del poema. Virgilio qua ci nomina alcuni dei dodici re di Alba Longa, che però, se la lista è in ordine cronologico, non corrisponde alla lista che effettivamente propone Tito Livio. La prima sede dei troiani è Lavinio, chiamata in questo nome proprio in onore della moglie Lavinia, dove secondo la tradizione rimasero circa una trentina d’anni. Enea muore poco dopo, come disse Didone nella sua maledizione. Dopo Lavinio, Ascanio fonda Alba Longa (oppure Silvio?) dove i troiani rimasero circa 300 anni. L’ultimo discendente, Romolo, fonderà Roma. 31 Asta senza la punta di ferro, fatta completamente di legno. 32 Postumus può indicare o “ultimo, estremo” (quindi Silvio è l’ultimo figlio di Enea), oppure “nato dopo la morte di Enea”, oppure, nel lessico giuridico romano, postumus è il figlio nato quando il padre era ancora vivo ma il padre aveva già fatto testamento, ovviamente senza considerare il figlio inaspettato. 33 Il figlio si chiama Silvio appunto perchè allevato nelle selve. Vicinissimo a quello è Proca34, lustro della stirpe troiana, e Capi e Numitore35 e colui che ti ricorderà nel nome, Silvio Enea36, allo stesso modo straordinario per pietas e per valore militare, se mai riuscirà a regnare su Alba.37 Che giovani! Guarda attentamente quanta forza dimostrano, e portano le tempie adombrate dalla quercia civica38! Breve rassegna delle città che i re di Alba Longa governeranno: si forma la confederazione albana, di cui Alba Longa sarà una sorta di capitale. Saranno trenta città e qua Virgilio ne elenca alcune. Costoro ti costruiranno Nomento e Gabi e la città di Fidene, costoro collocheranno sui monti le rocche Collatine, e Pomezia, Castro d’Inuo39 e Bola e Cora: queste un giorno saranno i nomi, ora sono terre senza nome. E Romolo Marzio40 si aggiungerà come compagno allo zio41, il quale, di sangue di Assaraco, la madre Ilia42 alleverà. 34 Secondo l’elenco di Virgilio subito dopo Silvio il secondo re dovrebbe essere Proca. Secondo la lista di Tito Livio, però, dovrebbe essere il sesto re. 35 Che invece dovrebbe essere l’ultimo dei re di Alba Longa. 36 Secondo Tito Livio è figlio di Silvio. 37 Silvio Enea, rimasto orfano piccolo, aveva un tutore che regnava a suo nome e riuscirà ad eliminarlo solo superati i 50 anni. 38 La corona di quercia rappresentava un’alta onorificenza per i cittadini che in guerra avevano salvato la vita ad altri cittadini romani. Qua è più generico ed indica quei personaggi che si sono distinti per il loro valore civico. 39 Inuo è una sorta di divinità silvestre. 40 Secondo la leggenda di Romolo e Remo, Amulio spodesta il fratello Numitore. Siccome aveva avuto un oracolo secondo cui sarebbe stato spodestato dai nipoti di Numitore, fa diventare la nipote una vestale. La sacerdotessa però rimane incinta di Marte e da questa unione nascono due gemelli, Romolo e Remo, che verranno poi salvati da un pastore. 41 Per un anno Romolo condividerà il regno di Alba Longa con lo zio Numitore. 42 La madre dei gemelli solitamente viene chiamata Rea Silvia, mentre Virgilio la chiama Ilia, come la chiama anche Ennio. Ilia sarebbe però la figlia diretta di Enea, secondo la tradizione molto breve che collega direttamente la distruzione di Troia con la fondazione di Roma.