Scarica Traduzione Eneide libro 1 e più Traduzioni in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! ENEIDE (LIBRO 1) - VIRGILIO . 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 PROTASI ED INVOCAZIONE (1-11) Canto le armi e l'eroe, che per primo dalle coste di Troia profugo per fato toccò l'Italia e le spiagge lavinie, lui molto sbattuto e per terre e per mare dalla forza degli dei, per l'ira memore di Giunone crudele, e tribolato molto anche da guerra, finchè fondasse la città e portasse gli dei per il Lazio; donde (venne) la razza latina i padri albani e le mura dell'alta Roma. Musa ricordami le cause, per quale divinità lesa o che lamentando, la regina degli dei abbia spinto l'eroe famoso per pietà a dipanare tanti eventi, ad affrontar tanti dolori. Forse così grandi (sono) le ire per i cuori celesti? GIUNONE ADIRATA (12-80) Vi fu un'antica città, Cartagine, la occuparono i coloni di Tiro, lontano contro l'Italia e le bocche Tiberine, ricca di beni e fortissima per le passioni di guerra, che Giunone, si dice, abbia amato più di tutte le terre, trascurando anche Samo: qui le sue armi, qui tenne il suo carro; la dea già allora, lo aspira e lo cura, sia questo regno per (tali) popoli, se mai i fati permettano. Ma aveva sentito che una stirpe di sangue troiano si formava, che un giorno abbatterebbe le fortezze tirie; di qui sarebbe giunto un popolo ampiamente capo e superbo in guerra per la rovina di Libia; così filavan le Parche. Temendo ciò, e memore dell’antica guerra, la Saturnia, perché per prima l'aveva mossa a Troia per la cara Argo - né ancora eran cadute dal cuore le cause dell'ira e gli acuti dolori: resta nascosto nell'alta mente il giudizio di Paride, l'oltraggio della bellezza sprezzata la stirpe odiata e i favori di Ganimede rapito - bruciata per questo, scagliati per tutto il mare, spingeva lontano dal Lazio i Troiani, avanzi dei Danai e del crudele Achille, e per molti anni pressati dai fati erravano per tutti i mari. Così tanto costava fondare la gente romana. Appena alla vista della terra sicula in alto mare lieti alzavan le vele e ne rompevan le spume col bronzo, quando Giunone, che serbando nel petto l'eterna ferita, disse tra sé: "Io desistere forse dall'iniziativa, vinta, non potrò cacciare dall'Italia il re dei Troiani? Sono proprio bloccata dai fati: ma Pallade potè bruciare la flotta degli Argivi e sommergerli nel mare per la colpa e le furie del solo Aiace Oileo? Lei dalle nubi scagliando il rovinoso fuoco di Giove, frantumò i legni e sconvolse le acque coi venti, con la bufera lo agguantò, trapassato il petto, esalante fiamme e lo inchiodò sullo scoglio aguzzo; ma io, che procedo regina degli dei, e di Giove sia sorella che sposa, con una sola razza tanti anni faccio guerre. Ma nessuno adora la maestà di Giunone mai più o supplice porrà offerte su altari?" La dea cose meditando tali cose tra sè con animo acceso giunse in Eolia, patria di tempeste, luoghi pieni di austri furenti. Qui Eolo in vasta caverna blocca i venti violenti e le roboanti tempeste con autorità e li frena con catene e prigione. Quelli riluttanti con grande brontolio del monte fremono attorno le sbarre; Eolo siede sull'alta fortezza 60 65 70 75 80 85 90 95 100 105 110 115 tenendo gli scettri, placa i cuori e controlla le ire. Se non lo facesse, davvero rapidi prenderebbero mari e terre ed il cielo profondo e con sè spazzerebbero per l'aria; ma il padre onnipotente li nascose in nere caverne temendo ciò, e sovrappose una mole ed alti monti e diede un re, che con norma sicura sapesse sia bloccare che al comando allentare le briglie. A lui Giunone allora parlò così, supplichevole: "Eolo, a te infatti il padre degli dei e re degli uomini concesse sia di calmare che alzare i flutti col vento, una razza a me avversa naviga il mare tirreno portando in Italia Ilio ed i vinti penati: lancia una forza coi venti e copri le poppe sommerse o falli sbandati e disperdine i corpi nel mare. Io ho quattordici Ninfe di corpo formoso di cui quella più bella d'aspetto, Deiopea, con sacre nozze unirò a te, dirò tua, sicchè viva tutta la vita con te, per tanto tuo merito, e ti faccia esser padre di bellissimi figli”. Eolo questo rispose: "Tuo il disturbo, o regina, cercare quello che vuoi: per me è legge eseguire i comandi. Tu questo regno mi dai, gli scettri e Giove mi rendi, tu mi fai sedere alle feste degli dei e mi rendi padrone di tempeste e bufere”. LA TEMPESTA (81- 123) Aveva detto, ribaltata la lancia, colpì alla costa il cavo monte; ed i venti come fatta una schiera dov' è dato lo sbocco, corrono e flaggellan le terre col soffio. Piombarono sul mare, e tutto, dagli abissi profondi, l’Euro e il Noto vanno ed Africo densi di bufere, e riversan i vasti flutti sui lidi: ne segue un grido di uomini ed uno stridio delle sartìe; subito le nubi strappano il cielo ed il giorno dagli occhi dei Teucri; nera sul mare sovrasta la notte. Tuona il cielo e s’accende di densi fuochi l’aria, tutto minaccia sugli uomini una morte imminente. Di colpo le membra di Enea si sciolgono dal brivido; geme e tendendo entrambe le mani alle stelle così esprime a voce: "Oh tre quattro volte beato, chi toccò affrontare la morte davanti ai volti dei padri e sotto le alte mura di Troia. O Tidide, il più forte della razza dei Danai. Perché non potei cadere nelle piane iliache e spendere questa vita per mano tua, dove giace il fiero Ettore per l'arma dell'Eacide e il grande Sarpedonte, dove sotto l'onde il Simoenta travolge tanti scudi strappati ed elmi e forti corpi d'eroi." A lui che grida così un turbine nemico stridendo per Aquilone ferisce la vela e solleva i flutti alle stelle. Si spaccano i remi, poi si rovescia la prua ed offre il fianco alle onde: lo insegue un monte spezzato con la (sua) massa d'acqua. Questi pendono in cima al flutto, a questi un'onda aprendosi scopre tra i flutti la terra, il risucchio infuria sulle sabbie. Noto tormenta tre navi strappate nelle rocce latenti (rocce che gli Itali chiamano Are in mezzo alle onde, enorme dorsale in cima al mare); tre le spinge Euro dall'alto anche negli stretti di Sirte, miserevole (spettacolo) a vedersi, e le sbatte nelle secche e le cinge d'un muro di sabbia. Una, che portava i Lici ed il fidato Oronte, sotto i suoi occhi l'enorme marea la ferisce dall'alto sulla poppa: il pilota è sbalzato e rotolato a capofitto, ma tre volte l’onda la tortura lì ancora, 235 240 245 250 255 260 265 270 275 280 285 290 295 di qui sarebbero i capi, dal sangue rinnovato di Teucro, che possedessero il mare, e tutte le terre con autorità, avendolo tu promesso: e ora quale pensiero, o padre, ti muta? Con questo davvero consolavo la fine di Troia e le tristi rovine ripagando i fati contrari con fati (nuovi); Ora la stessa sorte perseguita eroi spinti da tante disgrazie. Che termine dai delle fatiche, o gran re? Antenore, sfuggito dagli Achivi, poté penetrare i golfi illirici e superare sicuro gli interni regni dei Liburni e la fonte del Timavo, da cui per nove bocche con vasto frastuono del monte giunge il mare scosceso e rompe campi con massa ruggente. Qui almeno egli stabilì la città di Padova, sede di Teucri, e diede un nome al popolo, fissò le armi troiane, e ora, assicurato da placida pace, riposa: noi, tua progenie, cui prometti la fortezza del cielo, perdute (cosa indicibile) le navi, per l'ira di una sola siamo traditi e siamo separati lontano dalle itale spiagge. Questo il premio della virtù? così ci rimetti ai comandi?" A lei sorridendo, il creatore di uomini e dei, col volto, con cui rasserena cielo e tempeste, sfiorò le labbra della figlia, quindi le disse: "Risparmia la paura, Citerea, ti rimangono intatti i fati dei tuoi; vedrai la città e le promesse mura di Lavinio, e sublime porterai alle stelle del cielo il magnanimo Enea: e la decisione non mi cambia. Orbene qui ti parlerò, poiché questo affanno ti tormenta, e più lontano meditando i misteri dei fati (li) manifesterò: farà una grande guerra in Italia e distruggerà popoli fieri stabilirà leggi e mura per gli eroi, finché la terza estate lo vedrà regnante sul Lazio e passeranno tre inverni, sconfitti i Rutuli. Ma il fanciullo Ascanio, cui è aggiunto il nome Iulo (era Ilo, fin che Ilio restò al potere) compirà trenta grandi giri (del sole, anni) di potere, passando i mesi, e trasferirà il regno dalla sede di Lavinio, e munirà Alba Longa di grande potenza. Qui ormai si regnerà per trecento anni sotto il popolo ettoreo, finchè una regina sacerdotessa, Ilia, gravida di Marte darà con parto prole gemellare. Quindi lieto per la fulva protezione della lupa nutrice Romolo raccoglierà un popolo e fonderà le mura mavorzie e dal suo nome esprimerà i Romani. Per questi non pongo nè limiti d'azione ne tempi: ho concesso un potere senza fine. Anzi la dura Giunone, che adesso sconquassa con paura e terre e cielo, riporterà in meglio le decisioni, con me favorirà i Romani, signori delle situazioni e popolo togato. Così si decise. Verrà un'epoca, passando i lustri, che la casa di Assaraco soggiogherà Ftia e la famosa Micene e dominerà sulla vinta Argo. Nascerà troiano da bella stirpe Cesare, che delimiterà l'impero con l'Oceano, e la fama con gli astri, Giulio, nome derivato dal grande Iulo. Costui in cielo, carico delle spoglie d'Oriente, accoglierai sicura: sarà invocato con voti. Allora finite le guerre i secoli crudeli si mitigheranno: la bianca Fede e Vesta, Quirino col fratello Remo faranno le leggi; si chiuderanno col ferro e stretti strumenti le porte di Guerra; dentro, l'empio Furore sedendo sulle crudeli armi e imprigionato da cento nodi bronzei dietro la schiena fremerà con la bocca insanguinata." 300 305 310 315 320 325 330 335 340 345 350 Così dice e manda dall'alto il figlio di Maia, perchè le terre e le nuove fortezze di Cartagine si aprano per l'ospitalità ai Teucri, che Didone ignara del fato non (li) cacciasse dai territori. Vola per l'ampia aria col remeggio delle ali e pronto si fermò sulle spiagge di Libia. Ed ormai esegue gli ordini, ed i Puni lasciano gli animi fieri, volendolo il dio; anzitutto la regina ha un animo calmo ed un proposito benevolo verso i Teucri. VENERE ED ENEA (305-339) Ma il pio Enea meditando moltissimo durante la notte, appena fu data la luce vitale decise di uscire ed esplorare i nuovi luoghi, quali spiagge abbia raggiunto col vento, chiedere chi, se uomini o belve, poiché vede (luoghi) incolti, li abiti e riferire ai compagni cose esatte. Occulta nella rientranza dei boschi sotto una rupe scavata la flotta chiusa attorno da alberi e fresche ombre. Egli accompagnato dal solo Acate avanza stringendo in mano due aste di largo ferro. E a lui si offerse incontro la madre in mezzo al bosco tenendo un volto ed un portamento di ragazza ed armi di ragazza spartana, o quale la tracia Arpalice (che) affatica i cavalli e sorpassa in fuga il veloce Ebro. Agli omeri agevole l’arco aveva sospeso, secondo il costume di cacciatrice, e al vento lasciava sciogliere i capelli, nuda i ginocchi, raccolte in un nodo le vesti fluenti. E per prima disse:"Olè, giovani, mostrate se mai vedeste qui una delle mie sorelle aggirarsi qui, cinta di faretra e della pelle di una lince chiazzata, o incalzante con grida la corsa d'un cinghiale bavoso". Così Venere, e il figlio di Venere in risposta cominciò: "Nessuna delle tue sorelle fu da me vista nè sentita, oh, come dirti, vergine? Infatti non hai volto mortale, nè suona umana la voce, oh, dea davvero sei sorella di Febo? oppure una della famiglia delle Ninfe? Sii favorevole, qualunque (tu sia) e allevia il nostro affanno e rivela finalmente sotto che cielo, in quali spiagge del mondo siamo gettati: ignari sia delle persone che dei luoghi erriamo, spinti qui dal vento e dalla furia delle onde. Molte vittime cadranno per te davanti agli altari per nostra mano" Allora Venere: "Veramente non mi degno di tale onore; per le vergini di Tiro è costume portar la faretra e legare col purpureo coturno le gambe. Vedi regni punici, Tirii e la città di Agenore; ma territori libici, razza indomabile in guerra. LA STORIA DI DIDONE (340 - 417) Tiene il potere la tiria Didone, partita dalla città Per fuggire dal fratello. E' una lunga storia di offese, lunghi gli intrighi; ma seguirò i sommi capi delle vicende. A costei era marito Sicheo, il più ricco d'oro dei Punici, e amato dal grande amore della misera, a lui il padre l'aveva data intatta e l'aveva unita in prime nozze. Aveva il regno di Tiro il fratello Pigmalione, per malvagità più feroce di tutti gli altri. Tra essi nacque un folle odio. Egli col ferro empio, cieco per amore dell'oro, abatte con l'arma Sicheo di nascosto che non temeva davanti agli altari; senza aver cura della sorella; ed a lungo nascose il delitto, la misera amante illuse con molte finzioni, con vana speranza, crudele. Ma lo stesso fantasma del marito insepolto venne nei sogni, pallida terribilmente levando la faccia, 355 360 365 370 375 380 385 390 395 400 405 410 415 svelò i crudeli altari ed il petto trafitto dall'arma, scoprì tutto il cieco delitto della casa. Allora raccomanda di affrettare la fuga e andarsene dalla patria e come aiuto per la via rivelò vecchi tesori sotto terra, una ignota quantità di oro e argento. Così sconcertata Didone preparava fuga e compagni. Si radunano quelli che avevano o crudele odio o paura del tiranno; le navi, che per caso eran pronte, le prendono e le carican d'oro. I beni dell'avaro Pigmalione son portati per mare; capo dell'impresa una donna Raggiunsero i luoghi, dove ora vedrai le enormi mura e la nascente fortezza della nuova Cartagine, e contrattarono il suolo, Birsa dal nome del fatto, quanto potessero circondare con una pelle di toro. Ma voi chi mai (siete)? da quali spiagge veniste? Dove mai volgete il cammino?" A questo suo chiedere Enea, sospirando e traendo dal profondo (del) petto la voce: "O dea, se narrassi partendo dall’origine prima, e se ci fosse tempo di sentire le storie delle nostre pene, Vespero, chiuso l'Olimpo, concluderebbe prima il giorno. Noi dall'antica Troia, se per caso giunse alle vostre orecchie il nome di Troia, tratti per diversi mari, una tempesta, per suo disegno, gettò alle spiagge libiche. Sono il pio Enea, che porto con me sulle navi i Penati strappati al nemico: per fama noto oltre il cielo. Cerco la patria Italia e la mia stirpe dal sommo Giove. Con venti navi affrontai il mare frigio, mostrandomi la via la madre dea, seguendo i fati assegnati; appena sette strappate alle onde e ad Euro restano. Io ignoto, bisognoso, percorro i deserti di Libia, cacciato da Europa ed Asia". Ma non sopportando più il dolente Venere così in mezzo al dolore interruppe: "Chiunque tu sia, non credo che in odio ai celesti respiri l’aria vitale, tu che raggiungesti la città tiria; affrettati dunque e di qui recati alle porte della regina. Infatti t'annuncio i compagni reduci e la flotta restituita e condotta al sicuro, cambiati gli Aquiloni, se i genitori falsi non rivelarono invano la profezia del falso. Osserva dodici cigni in fila festanti, che dalla regione celeste l'uccello di Giove inseguiva nel cielo aperto; ora sembrano in lunga schiera o prendere terra o già presa dominarla. Come essi reduci giocano con l'ali sibilanti ed hanno accerchiato il cielo in gruppo e levato i canti, cosi le tue navi, i tuoi giovani, o già sono in porto, o a vele spiegate stanno entrando nel porto. Affrettati dunque e, dove la via ti guida, dirigi il passo". Disse e girandosi splendette col roseo collo, le chiome spirarono dal capo profumo divino d'ambrosia; la veste fluì fino alla punta dei piedi, e dal portamento si rivelò vera dea. Quando egli riconobbe la madre inseguì (lei) fuggente con la frase: "Perchè tante volte, crudele anche tu, inganni il figlio con false visioni? Perchè non si concede unire la destra alla destra ed ascoltare e rispondere vere parole?" Così la rimprovera e volge il passo alle mura. Ma Venere chiuse i partenti di aria oscura, e la dea (li) circonfuse di spesso manto di nebbia, sicchè nessuno potesse vederli e nessuno toccarli, o fare ostacolo, o chiedere i motivi del giungere. Ella se ne andò in alto a Pafo e lieta rivide la reggia sua, dove per lei c'è un tempio, e cento altari 535 540 545 550 555 560 565 570 575 580 585 590 l'han chiamata Italia il popolo dal nome del capo. Questa fu la rotta. Quando Orione burrascoso sorgendo da flutto improvviso (ci) portò in secche cieche e completamente ci disperse coi violenti austri e tra l'onde e tra rocce inaccessibili col mare vincente; qui pochi nuotammo alle vostre spiagge. Che razza di uomini questa? o quale patria così barbara permette simile usanza? siamo respinti dall'ospitalità della sabbia; fan guerre e vietano di fermarsi sulla terra più vicina. Se disprezzate il genere umano e le armi mortali, sperate almeno gli dei memori del bene e del male. Ci era re Enea, di cui non ci fu altro più giusto per virtù, nè superiore in guerra ed in armi. Ma se i fati conservan quell'eroe, se si nutre di aria celeste nè ancora giace nell'ombre crudeli, non (c'è) paura, nè ti dispiaccia di aver gareggiato per prima in un favore. Anche le regioni sicule hanno città ed armi ed il famoso Aceste da sangue troiano. Sia permesso attraccare la flotta sconvolta dai venti e coi boschi preparare travi e tagliare remi, se è dato tendere all'Italia coi compagni, ripreso il re, per dirigerci lieti in Italia e nel Lazio; se la salvezza è troncata perduta, ed il mare di Libia tiene te, ottimo padre dei Teucri, nè resta la speranza di Iulo, ma almeno cerchiamo gli stretti e le sedi pronte di Sicilia donde qui sbalzati, ed il re Aceste." Così Ilioneo; tutti insieme i Dardanidi fremevano in volto. LA RISPOSTA DI DIDONE (561- 578) Allora Didone, abbassato il volto, brevemente afferma: "Togliete la paura dal cuore, Teucri, escludete l’angoscia. realtà dura e novità del potere mi obbligano a far tali cose e attorno guardar con guardia i confini. Chi ignora la stirpe degli Eneadi, la città di Troia, eroismi ed eroi o gli incendi di così grande guerra? Noi Puni non abbiamo cuori così ottusi, nè il sole aggioga i cavalli così lontano dalla città tiria. Sia che voi vogliate la grande Esperia e le piane saturnie sia i territori di Erice ed il re Aceste, vi congederò sicuri per l'aiuto e vi aiuterò con risorse. Volete anche fermarvi con me in questi regni? La città che alzo, è vostra; attraccate le navi; troiano o tirio per me sarà trattato senza alcuna differenza. E magari lo stesso re Enea spinto dallo stesso Noto si presentasse. Invierò certamente dei fidati per le spiagge e ordinerò di controllare le estremità della Libia, se vaga sbattuto in qualche selva o città". ENEA SI RIVELA (579- 612) Animati in cuore da queste parole sia il forte Acate sia il padre Enea ormai ardevan di romper la nube. Acate per primo richiama Enea: "Figlio di dea, quale pensiero sorge in cuore? Vedi tutto sicuro, la flotta e i compagni accolti. Manca uno, che noi stessi vedemmo in mezzo all'onda sommerso; il resto corrisponde alle parole della (tua) madre". Aveva appena detto ciò che subito la nube stretta attorno si rompe e si libera nell'etere aperto. Enea s'arrestò rifulse in luce splendente volto e spalle simili ad un dio; infatti la stessa madre aveva infuso sul figlio bella capigliatura e la luce 595 600 605 610 615 620 625 630 635 640 645 650 purpurea di giovinezza e dolce bellezza negli occhi: quale grazia le mani aggiungono all'avorio, o come l'argento ed il marmo pario è incastonato col biondo oro. Allora così subito si rivolge alla regina ed a tutti improvvisamente dice: "Sono qui, colui che cercate, il troiano Enea, strappato dalle onde libiche. Oh tu sola che hai avuto pietà degli indicibili affanni di Troia, che associ noi, resti dei Danai, esausti ormai per tutti i rischi di terra e di mare, bisognosi di tutto, con città, case, non è di nostra forza rendere grazie adeguate, Didone, in nostro potere, e non di quanti, dovunque, sono di seme troiano, che per l’immensa terra è disperso. Gli dei, se le Potenze guardano i buoni, se vale qualcosa mai la giustizia, la buona coscienza dell’animo, degni premi ti diano. Quali tempi così fortunati ti han prodotto? Quali sì grandi genitori t'han generata? Fin che i torrenti correranno nei flutti, fin che le ombre rischiareranno le cavità per i monti, fin che il cielo nutra le stelle, sempre resteranno l'onore e il tuo nome e le lodi, qualunque terra mi chiami". Detto così, cerca l'amico Ilioneo con la destra, e con la sinistra Seresto, poi gli altri, il forte Gia ed il forte Cloanto. ACCOGLIENZA OSPITALE DI DIDONE (612-656) Didone sidonia prima si stupì per l'aspetto, poi per la sorte tanto grande dell'eroe, e così parlò: "Quale sorte, figlio di dea, ti perseguita attraverso tanti grandi pericoli? che forza ti approda a spiagge feroci? Non sei tu quell'Enea che la madre Venere generò al dardanio Anchise presso l'onda del frigio Simoenta? E davvero ricordo che Teucro venne a Sidone cacciato dalle patrie terre, cercando nuovi regni con l'aiuto di Belo; allora il padre Belo occupava la ricca Cipro e, vincitore, la teneva in potere. Già da quel tempo mi era nota la sorte della città Troiana, il tuo nome ed i re pelasgi. Lo stesso nemico innalzava i Teucri con grande lode e si voleva nato dall'antica stirpe dei Teucri. Perciò suvvia, o giovani, entrate nelle nostre case. Una situazione simile volle che io pure sbattuta tra tanti affanni mi fermassi infine in questa terra; non ignara del male imparo a soccorrere i miseri". Così ricorda; insieme guida Enea nelle regali case, insieme indice lodi nei templi deli dei. Intanto invia non di meno venti tori ai compagni sui lidi, cento irsute schiene di porci, cento grassi agnelli con le madri, regali e gioia del giorno. Ma il palazzo interno, splendido, è parato di lusso regale, preparano banchetti in mezzo alle case: vesti ricamate con arte e splendida porpora, ingente argento su mense, e le forti imprese dei padri cesellate su oro, lunghissima serie di azioni fatta da tanti eroi dall'antico inizio della stirpe. Enea (mai l’amore paterno lascia ozioso il suo cuore) manda alle navi il veloce Acate, che riferisca queste cose ad Ascanio e lo guidi alle mura; ogni cura del caro padre sta in Ascanio. Ordina inoltre di portare doni strappati alle rovine iliache, un manto rigido per oro e ricami ed un velo intessuto di croceo acanto, ornamenti dell'argiva Elena, che ella aveva portato 655 660 665 670 675 680 685 690 695 700 705 da Micene dirigendosi a Pergamo ed alle nozze proibite, dono mirabile della madre Leda; inoltre uno scettro, che Ilione la maggiore delle figlie di Priamo, aveva portato un tempo, ed un monile per collo gemmato, ed una doppia corona di gemme ed oro. Così affrettando il cammino, Acate andava alle navi. VENERE PREPARA INGANNI (657- 696) Intanto Citerea medita in cuore nuovi artifici, nuovi piani, perché Cupido, cambiato l'aspetto ed il volto, venga al posto del dolce Ascanio, e con doni accenda la furente regina ed avvolga il fuoco alle ossa. Certamente teme la casa ambigua ed i Tirii falsi; brucia la crudele Giunone e la pena ritorna di notte. Perciò con queste parole parla ad Amore alato: "Figlio, mie forze, unico, mia grande potenza, figlio, che sprezzi le armi tifee del sommo padre, mi rifugio in te e supplice chiedo le tue volontà. Che tuo fratello Enea sia sbattuto in mare per tutti i lidi per gli odi della feroce Giunone, ti sono cose note, e spesso ti dolesti del nostro dolore. Ora la fenicia Didone lo tiene e lo ferma con blande paroce e temo dove si volgano le ospitalità giononie: non cesserà in un momento così importante. Perciò penso di prendere prima con inganni e legare con fiamma la regina, che non si cambi per qualche divinità, ma sia bloccata con me dal grande amore d'Enea. Come tu possa far ciò senti ora il nostro piano: il regale fanciullo, mio grandissimo amore, si prepara ad andare su chiamata del caro genitore nella città sidonia portando doni salvati dal mare e dalle fiamme di Troia; io lo nasconderò assopito sull’alta Citera o su Idalio in luogo consacrato, che nessuno possa sapere gli inganni o accorrere in mezzo. Tu inganna il suo aspetto, per non più d'una notte con un raggiro e da ragazzo vesti le note fattezze del ragazzo, perché, quando la felicissima Didone ti prenderà in braccio tra le mense regali e il vino lieo, quando ti abbraccerà e ti darà dolci baci, tu ispiri il fuoco occulto e l'inganni col veleno". Amore obbedisce ai detti della cara madre, e sveste le ali gioendo avanza col passo di Iulo. Ma Venere infonde ad Ascanio un placido sonno per le membra, e scaldato in grembo la dea lo alza negli alti boschi di Idalia, dove il molle amaraco esalante lo abbraccia di fiori e dolce ombra. BANCHETTO REGALE ( 1.695- 722) Cupido andava obbedendo alla parola e portava regali doni, lieto ai Tirii, sotto la guida di Acate. Quando giunge, già la regina aurea si è adagiata sui superbi tappeti e collocata in mezzo sul divano, già il padre Enea e la gioventù troiana s'uniscono e si distendono sui drappi di porpora. I servi danno acqua alle mani e preparano Cerere su canestri e portan mantili, rasati i tessuti. Dentro, cinquanta serve, il cui compito preparar provviste in lunga fila e far fumare i focolari con fiamme; cento altre ed altrettanti servi pari d'età, che colmino le mense di vivande ed offrano calici. Ma anche i Tirii numerosi s'aggiunsero nelle liete sale; pregati di accomodarsi sui letti dipinti.