Scarica Traduzione letterale e completa del XII libro dell'Eneide e più Appunti in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! ENEIDE XII Il colloquio vv. (1-80) TURNUS UT VIDET LATINOS INFRACTOS DEFECISSE ADVERSO MARTE, NUNC REPOSCI SUA PROMISSA, SE DIGNARI OCULIS, ULTRO IMPLACABILIS ARDET ATTOLLITQUE ANIMOS = Turno come vede che i latini stremati erano sfiniti dalla sfavorevole guerra, che ora si richiedeva la sua promessa, che egli era preso di mira, ancora più implacabile arde d’ira ed esalta gli animi. QUALIS IN ARVIS POENORUM ILLE LEO SAUCIUS PECTUS GRAVI VULNERE VENANTUM, TUM DEMUM MOVET ARMA GAUDETQUE EXCUTIENS TOROS COMANTIS CERVICE IMPAVIDUS FRANGIT FIXUMQUE TELUM LATRONIS ET FREMIT ORE CRUENTO: HAUD SECUS VIOLENTIA GLISCIT ACCENSO TURNO. = Come nei campi dei Cartagineis, quel leone ferito al peto da una grave ferita dei cacciatori, allora soltanto prepara le armi/si prepara a combattere e gode scuotendo i muscoli chiomati sul collo ed impavido spezza l’infisso dardo del cacciatore e freme con bocca sanguinante: non diversamente l’ira aumenta all’infiammato turno. TUM SIC ADFATUR REGEM ATQUE ITA TURBIDUS INFIT: “NULLA MORA IN TURNO; NIHIL EST QUOD IGNAVI AENEADE RETRACTENT DICTA, NEC RECUSENT QUAE PEPIGERE: CONGREDIOR. FER SACRA, PATER, ET CONCIPE FOEDUS = Allora così si rivolge al re e impetuoso comincia: “nessun indugio (c’è) in Turno; niente c’è perchè i vili Eneadi rinneghino le cose dette, nè rifiutino le cose che pattuirono: io combatto. Porta gli oggetti di sacri, o padre, e sancisci il patto. AUT HAC DEXTRA MITTAM SUB TARTARA DARDANIUM DESERTOREM ASIAE (LATINI SEDEANT SPECTENTQUE), ET SOLUS REFELLAM FERRO COMMUNE CRIMEN, AUT HABEAT VICTOS LAVINIA CEDAT CONIUX” = O con questa destra manderò (f. s. e c. pr.) al Tartaro il Dardanide (troiano) profugo d’Asia (i Latini stiano seduti e siano spettatori), e da solo confuterò con la spada il comune disonore, che ci abbia vinti/sconfitti, Lavinia si conceda come moglie”. OLLI RESPONDIT CORDE SEDATO LATINUS: “O IUVENIS PRAESTANS ANIMI, QUANTUM IPSE EXUPERAS FEROCI VIRTUTE, TANTO INPENSIUS AEQUUM EST CONSULERE ATQUE EXPENDERE METUENTEM OMNIS CASUS = A lui (forma arcaica illi) risponde con animo pacato Latino: “O giovane prestante per il coraggio, quanto tu stesso sei superiore per fiero valore, tanto maggiormente è giusto che io provveda e consideri con paura ogni caso. TIBI SUNT REGNA PATRIS DAUNI, SUNT MULTA OPPIDA CAPTA MANU, NEC NON LATINO EST AURUMQUE ANIMUSQUE; LATIO ET LAURENTIBUS ARVIS SUNT ALIAE INNUPTAE, NEC INDECORES GENUS = Tu hai i regni (dat. di poss.) del (tuo) padre Dauno, hai molte città prese combattendo, così come Latino ha sia oro che generosità; nel Lazio e nelle regioni di Laurento ci sono altre nubili, non indegne per nascita. 1 SINE ME APERIRE HEAC HAUD MOLLIA FATU, SUBLATIS DOLIS SIMUL HAURI ANIMO HOC: NULLI VETERUM PROCORUM FAS ERAT ME SOCIARE NATAM, IDQUE OMNES DIVIQUE HOMINESQUE CANEBANT = Permetti che io sveli queste cose non facili a dirsi (supino passivo), avendo allontanato le riluttanze (abl. ass.), allo stesso modo accogli nell’animo questo: a nessuno dei precedenti pretendenti era destino che io dessi in sposa la figlia, sia gli dei che gli uomini lo presagivano. VICTUS AMORE TUI, VICTUS SANGUINE COGNATO ET LACRIMIS MAESTAE CONIUGIS, RUPI OMNIA VINCLA; ERIPUI GENERO PROMISSAM ATQUE SUMPSI INPIA ARMA = Vinto dall’affetto per te, vinto dal sangue affine e dalle lacrime di mia triste moglie, ruppi tutti i legami: strappai al genero la (sposa) promessa e impugnai empie armi. EX ILLO, TURNE, VIDES QUI CASUS, QUAE BELLA SEQUANTUR ME, QUANTOS LABORES PATIARE PRIMUS. VICTI BIS MAGNA PUGNA, VIX URBE TUEMUR SPES ITALAS; FLUENTA TIBERINA ADHUC RECALENT NOSTRO SANGUINE CAMPIQUE INGENTES ALBENT OSSIBUS = Da quello, o Turno, vedi quali casi, quali guerre perseguitino me, quanti patimenti tu soffra per primo. Vinti due volte in una grande battaglia, a stento nella città difendiamo le speranze italiche; le correnti del Tevere ancora sono calde del nostro sangue e i grandi campi biancheggiano di ossa. QUO TOTIENS REFEROR? QUAE INSANIA MUTAT MENTEM? SI EXSTINCTO TURNO SUM PARATUS ASCIRE SOCIOS, CUR INCOLUMI POTIUS NON TOLLO CERTAMINA? = Dove tante volte mi riporto/ritiro? Se, morto Turno, sono pronto a riceverli come alleati, perchè (con te, Turno) vivo/mentre tu sei vivo piuttosto non elimino le contese? QUID CONSANGUINEI RUTILI, QUID CETERA ITALIA DICET, SI PRODIDERIM AD MORTEM (FORS REFUTET DICTA) TE PETENTEM NATAM ET CONUBIA NOSTRA? = Che cosa i consanguinei Rutili, che cosa la restante Italia dirà (f. s.), se avrò consegnato (f. a. e c. perf.) alla morte - il destino/la sorte (III d. f., solo nom. e abl., fors - forte) confuti (queste) parole - te che chiedi (mia) figlia e la nostra parentela? RESPICE RES VARIAS BELLO, MISERERE PARENTIS LONGAEVI, QUEM NUNC MAESTUM PATRIA ARDEA DIVIDIT LONGE”. HAUDQUAQUAM VIOLENTIA TURNI FLECTITUR DICTIS; MAGIS EXSUPERAT AEGRESCITQUE MEDENDO = Considera le cose mutevoli in guerra, abbi pietà del padre vecchio che ora triste la patria Ardea tiene lontano”. Per niente il furore di Turno è piegato dalle cose dette; maggiormente cresce e si inasprisce nel placarlo. UT PRIMUM POTUIT FARI, SIC INSTITIT ORE: “QUAM CURAM GERIS PRO ME, OPTIME, HANC PRECOR, DEPONAS PRO ME SINAS PACISCI LETUMQUE PRO LAUDE. ET NOS, PATER, SPARGIMUS DEXTRA TELA FERRUMQUE HAUD DEBILE, ET SANGUIS SEQUITUR DE NOSTRO VOLNERE = Appena potè parlare, così incalzò con la bocca/disse: “Questa preoccupazione che hai per me, o ottimo, questa ti prego abbandonala (cong. pres.) per me e permetti (“”) che dia in cambio/che pattuisca la morte con l’onore. E noi, o padre, spargiamo con la destra dardi e ferro non debole, e anche sangue zampilla dalla nostra ferita (inferta da noi o a noi, ambig.). 2 toro lancia muggiti terrificanti all’inizio del combattimento e comincia a raccogliere l’ha nelle corna, appoggiato al tronco di un albero, e sferza di colpi l’aria o si esercita al combattimento sulla sparsa sabbia. NEC MINUS INTEREA SAEVUS IN ARMIS MATERNIS, AENEAS ACUIT MARTEM ET SE SUSCITAT IRA, GAUDENS BELLUM COMPONI FOEDERE OBLATO. TUM SOLATUR SOCIOS METUM MAESTIQUE IULI, DOCENS FATA, IUBET VIROS REFERRE REGIQUE LATINO CERTA RESPONSA DICERE LEGES PACIS = Nè di meno intanto, fiero nelle armi materne, Enea prepara il combattimento e gonfia se stesso d’ira, rallegrandosi che la guerra si chiuda con il patto offerto. Poi consola i compagni e il timore del mesto Iulo, ricordando i fati, e ordina ai guerrieri di riferire al re Latino i sicuri responsi e di dire le condizioni di pace. Il giorno dopo (vv. 113-133) DIES POSTERA VIX ORTA SPARGEBAT LUMINE SUMMOS MONTIS, CUM PRIMUM EQUI SOLIS SE TOLLUNT ALTO GURGITE EFFLANT LUCEMQUE ELATIS NARIBUS = Il giorno seguente appena sorto spargeva di luce la sommità dei monti, non appena i cavalli del sole si alzano dal profondo abisso e spirano luce dalle aperte narici: DIMENSI CAMPUM AD CERTAMENTE SUB MOENIBUS MAGNAE URBIS VIRI RUTULIQUE TEUCRIQUE PARABANT FOCOS IN MEDIOQUE ARAS GRAMINEAS DIS COMMUNIBUS. ALII FEREBANT FONTEMQUE IGNEMQUE, VELATI LIMO ET VICTI TEMPORA VERBENA = misurando il campo per il duello sotto le mura della grande città, i soldati rutuli e troiani preparavano sia bracieri nel mezzo sia altari coperti d’erba per i comuni dei. Altri portavano sia acqua sia fuoco, rivestiti del grembiale e incoronati alle tempie con la verbena. PROCEDIT LEGIO AUSONIDUM, AGMINA PILATAQUE SE FUNDUNT PLENIS PORTIS. HINC OMNIS EXERCITUS TROIUS TURRHENUSQUE RUIT ARMIS VARIIS, INSTRUCTI FERRO HAUD SECUS (avv.) QUAM SI ASPERA PUGNA MARTIS VOCET = Avanza la legione degli Ausonia, e le schiere armate dei giavellotti si rovesciano dalle affollate porte. Dall’altra parte tutto l’esercito troiano ed etrusco irrompe con armi diverse, forniti di armi non diversamente che se l’aspro combattimento di Marte (Mars, tis) li chiamasse (c. pres.). IPSI DUCTORES SUPERBI AURO OSTROQUE VOLITANT IN MEDIIS MILIBUS, MNESTHEUS GENUS ASSARACI ET FORTIS ASILAS ET MESSAPUS DOMITOR EQUUM, PROLES NEPTUNIA; UTQUE DATO SIGNO QUISQUE RECESSIT IN SUA SPATIA, DEFIGUNT TELLURE HASTAS RECLINANT SCUTA = E gli stessi condottieri ornati di oro e di porpora si aggirano nel mezzo delle miglia, e Mnesteo figlio di Assaraco e il forte Asìla e Messapo domatore di cavalli (equorum), prole di Nettuno; e appena dato il segnale ciascuno si ritirò al proprio posto, conficcano in terra le aste e vi appoggiano gli scudi. TUM MATRES EFFUSAE STUDIO ET VOLGUS INERMUM INVALIDIQUE SENES OBSEDERE TURRIS ET TECTA DOMORUM, ALII ADSTANT SUBLIMIBUS PORTIS = Allora le madri uscite fuori per desiderio e il volgò disarmato e i deboli vecchi riempirono (obsederunt) le torri e i tetti delle case, altri si pongono sulle alte porte. 5 L’intervento di Giunone (vv. 134-160) AT IUNO E SUMMO TUMULO, QUI NUNC HABETUR ALBANUS (TUM MONTI ERA NEQUE NOMEN NEC HONOS AUT GLORIA); PROSPICIENS ASPECTABAT CAMPUM AMBAS ACIES LAURENTUM TROUMQUE URBEMQUE LATINI = Ma Giunone dalla sommità dell’altura, che ora è chiamata Albano (allora il monte non aveva (dat. di poss.) nè nome nè fama o gloria), affacciandosi osservava il campo ed entrambi gli schieramenti dei Laurenti e dei Troiani (tros, is) e la città di Latino. EXTEMPLO SIC DIVA EST ADFATA SOROREM TURNI, DEAM QUAE PRAESIDET STAGNIS FLUMINIBUSQUE SONORIS (ILLI ALTUS REX AETHERIS IUPPITER SACRAVIT HUNC HONOREM PRO VIRGINITATE EREPTA) = Subito così la dea parlò alla sorella di Turno, divinità che è preposta agli stagni e ai fiumi echeggianti (a lei l’alto re del cielo Giove consacrò questo onore per la verginità strappate): “NIMPHA, DECUS FLUVIORUM, GRATISSIMA ANIMO NOSTRO, SCIS UT PRAETULERIM TE UNAM CUNCTIS, QUAECUMQUE LATINAE ASCENDERE CUBILE INGRATUM MAGNANIMI IOVIS, LIBENS LOCARIM IN PARTE CAELIQUE: DISCE TUUM DOLOREM, IUTURNA, NE INCUSES ME = “O ninfa, onore dei fiumi, gratissima al nostro animo, tu sai come io abbia preferito te (c. perf.) sola a tutte quante le Latine che ascesero (ascenderunt) al letto ingrato del magnanimo Giove, e lieta ti abbia collocato (locaverim, c. perf.) in una parte del cielo: apprendi la tua disgrazia, o Giuturna, per non accusare me. QUA FORTUNA VISA EST PATI PARCAEQUE SINEBANT RES CEDERE LATIO, TEXI TURNUM ET TUA MOENIA: NUNC VIDEO IUVENEM CONCURRERE FATIS INPARIBUS DIES PARCARUMQUE VIS INIMICA PRIPINQUANT = Finchè la fortuna sembrò permettere, e le Parche consentivano che le cose avanzassero/andassero bene per il Lazio, protessi Turno e le tue mura: ora vedo che il giovane combatte con fati non pari e il giorno delle Parche e la forza nemica si avvicinano. NON POSSUM ASPICERE OCULIS HANC PUGNAM, NON FOEDERA. TU SI QUID PRAESENTIUS AUDES PRO FERMANO, PERGE; DECET. FORSAN MELIORA SEQUENTUR MISEROS” = Non posso guardare con gli occhi questa lotta, non i patti. Tu se qualcosa più propizia osi per tuo fratello, affrettati: conviene. Forse cose migliori toccheranno (f. s.) ai miseri”. VIX EA, CUM LUTURNA PROFUDIT OCULIS LACRIMAS TERQUE QUATERQUE MANU PERCUSSIT HONESTUM PECTUS. “NON HOC TEMPUS LACRIMIS” AIT SATURNIA IUNO = Appena (dette) queste cose, quando Giuturna versò dagli occhi lacrime e tre e quattro volte con la mano percosse il bel petto. “Non (è) questo il tempo per le lacrime”, disse la saturnia Giunone: “ADCELERA SI QUIS MODUS, ERIPE MORTI FRATREM, AUT TU CIE BELLA EXCUTE FOEDUS CONCEPTUM. EGO AUCTOR AUDENDI”. SIC EXHORTATA, RELIQUIT INCERTAM ET TURBATAM TRISTI VOLNERE MENTIS = “Accelera e se (c’è) qualche modo, strappa alla morte il fratello, o tu chiama alla guerra e rompi il patto stabilito. Io promotrice dell’osare”. Così esortata, la lasciò dubbiosa e turbata dalla triste ferita dell’animo. 6 Il giuramento (vv. 161-215) INTEREA REGES, LATINUS INGENTI MOLE VEHITUR CURRU QUADRIIUGO (CUI BIS SEX RADII AURATI CINGUNT CIRCUM TEMPORA FULGENTIA, SPECIMEN SOLIS AVI), TURNUS IT IN ALBIS, BIGIS CRISPANS MANU BINA HASTILIA LATO FERRO = Intanto i re: Latino dall’enorme statura è portato da un cocchio a quattro cavallo (a lui dodici raggi dorati cingono attorno le tempie splendenti, segno dell’avo Sole), Turno va su una bianca biga (carro a due cavalli) brandendo nelle mani due giavellotti dal largo ferro. HINC PATER AENEAS, ORIGO ROMANAE STIRPIS, FLAGRANS CLIPEO SIDEREO ARMIS CAELESTIBUS, ET IUXTA ASCANIUS, ALTERA SPES MAGNAE ROMAE, PROCEDUNT CASTRIS IN VESTE PURA SACERDOS ATTULIT FETUM SUIS SAETIGERI INTONSAMQUE BIDENTEM ADMOVITQUE PECUS ARIS FLAGRANTIBUS = Dall’altra parte il padre Enea, origine della stirpe romana, rilucente per lo scudo brillante e le armi divine, e accanto Ascanio, altra speranza della grande Roma, escono dall’accampamento e in bianca veste il sacerdote portò il figlio di un suino setoloso e l’intonsa bidente (pecora) e spinse le bestie verso le are/altari fiammeggianti. ILLI CONVERSI LUMINA AD SURGENTEM SOLEM DANT MANIBUS FRUGES SALSAS NOTANT FERRO SUMMA TEMPORA PECUDUM LIBANT PATERISQUE ALTARIA. TUM PIUS AENEAS STRICTO ENSE SIC PRECATUR = Quelli, rivolti gli u occhi al sole sorgente, spargono con le mani i frutti (frux, gis) salati e marchiano col ferro la sommità delle tempie degli animali e bagnano con le tazze gli altari. Poi il pio Enea impugnata la spada così supplica: “SOL NUNC ESTO TESTIS HAEC TERRA MIHI VOCANTI, PROPTER QUAM POTUI PERFERRE TANTOS LABORES ET PATER OMNIPOTENS ET TU, CONIUNX SATURNIA (IAM, IAM MELIOR, DIVA PRECOR), TUQUE INCLUTE MAVORS QUI TORQUES CUNCTA BELLA SUB TUO NUMINE, PATER = “Il sole ora sia (imp. fut.) testimone e questa terra a me che prego, a causa della quale riuscii a sopportare grandi travagli e il padre onnipotente e tu, consorte Saturnia (Giunone, figlia di Saturno) (ormai, ormai migliore, o diva, ti prego), e tu, glorioso/celebre (I cl.) Marte, che qui governi tutte le guerre sotto il tuo potere, o padre; VOCO FONTISQUE FLUVIOSQUE QUAEQUE RELIGIO AETHERIS ALTI ET QUAE SUNT NUMINA CAERULEO PONTO: SI FORS VICTORIA CESSERIT AUSONIO TURNO, CONVENIT VICTOS DISCEDERE AD URBEM EVANDRI, IULUS CEDET AGRIS, NEC POST AENEADAE REFERENT REBELLES ARMA ULLA LACESSENT FERROVE HAEC REGNA = invoco le fonti e i fiumi e quale (è) la divinità dell’alto cielo e quali sono i numi nel ceruleo mare: se per caso la vittoria sarà toccata (f. a. e c. perf.) all’Ausonio Turno, conviene che i vinti partano per la città di Evandro, Iulo lascerà (f. s.) le regioni, nè poi gli Eneadi riporteranno (f. s.) da ribelli alcuna arma o assaliranno (“”) col ferro questi regni. SIN VICTORIA ADNUERIT NOBIS MARTEM NOSTRUM (UT POTIUS REOR ET POTIUS DI FIRMENT NUMINE), EGO NON IUBEBO ITALOS PARERE TEUCRIS NEC PETO REGNA MIHI: AMBAE GENTES INVICTAE LEGIBUS PARIBUS SE MITTANT IN FOEDERA ETERNA = Se poi la vittoria avrà concesso (f. a. e c. perf.) a noi Marte favorevole/dalla nostra parte (come 7 HIS IUTURNA ADIUNGIT ALIUD MAIUS ET DAT SIGNUM ALTO CAELO, PRAESENTIUS QUO NON ULLUM TURBAVIT MENTES ITALAS FEFELLIT MONSTROQUE = A questi Giuturna aggiunge un’altra cosa più grande e dà un segno dall’altro cielo, più efficacemente del quale non alcuno turbò gli animi italici e li ingannò con un prodigio. NAMQUE FULVUS ALES IOVIS VOLANS IN AETHRA RUBRA AGITABAT AVIS LOTOREAS TURBAMQUE SONANTEM ALIGERI AGMINIS, CUM INPROBUS LAPSUS AD UNDAS RAPIT PEDIBUS UNCIS SUBITO CYCNUM EXCELLENTEM = E infatti il giallo uccello (ales, alitis) di Giove volando nel cielo rosseggiante inseguiva gli uccelli (es) acquatici e la turba schiamazzante dell’alata schiera, quando il crudele abbassatosi sino alle onde rapisce con i piedi uncinato all’improvviso un cigno stupendo. ITALI ARREXERE ANIMOS CUNCTAEQUE VOLUCRES CLAMORE CONVERTUNT FUGAM (MIRABILE VISU), PENNIS OBSCURANT AETHERAQUE FACTA NUBE PREMUNT HOSTEMQUE PER AURAS, DONEC ALES VICTUS VI IPSO PONDERE DEFECIT EX UNGUIBUS PROIECIT PRAEDAMQUE FLUVIO, FUGIT PENITUSQUE (avv.) IN NUBILA = Gli italici tesero gli animi (arrexerunt) e tutti quanti i volatili con fragore interrompono la fuga (cosa meravigliosa da vedere), e con nel penne oscurano il cielo e formata una nube inseguono il nemico attraverso le aure, finchè l’uccello vinto dalla violenza e dallo stesso peso si abbandonò e dagli artigli lasciò cadere la preda nel fiume e si rifugiò profondamente nelle nuvole (II d, a- orum). TUM VERO RUTULI SALUTANT AUGURIUM CLAMORE EXPEDIUNTQUE MANUS; PRIMUSQUE AUGUR TOLUMNIUS “HOC ERAT, HOC” INQUIT “QUOD SAEPE PETIVI VOTIS. ACCIPIO ADGNOSCOQUE DEOS; CORRIPITE FERRUM ME, ME DUCE, O MISERI, QUOS INPROBUS ADVENA TERRITAT BELLO UT AVES INVALIDAS POPULAT VI VESTRA LITORA = Allora in verità i Rutuli salutano l’augurio con clamore e si apprestano alle armi (loc.); per primo l’augure Tolumnio “Questo era, questo”, disse, “ciò che spesso ho chiesto nei voti. Accetto e riconosco gli dei; impugnate le armi con con me, con me come guida, o miseri, che un crudele straniero atterrisce con la guerra come uccelli (es) deboli e devasta con la violenza i vostri lidi. ILLE PETET FUGAM DABIT VELA PENITUSQUE PROFUNDO. VOS UNANIMI DENSETE CATERVAS ET DEFENDITE PUGNA REGEM RAPTUM VOBIS”. DIXIT ET PROCURRENS CONTORSIT TELUM IN HOSTIS ADVERSOS: STRIDULA CORNUS DAT SONITUM CERTA SECAT AURAS = Quello cercherà (f. s.) la fuga e dirigerà le vele (II d. n.) profondamente nel profondo (mare). Voi solidali riunite le schiere e difendere in combattimento il re portato via a voi”. Disse e correndo lanciò un dardo contro i nemici che stavano davanti: lo stridente giavellotto dà un suono e sicuro taglia le aure. SIMUL HOC, SIMUL INGENS CLAMOR ET OMNES CUNEI TURBATI CORDA CLEFACTAQUE TUMULTUL. HASTA VOLANS, UT ROTE NOVEM PULCHERRIMA CORPORA FRATRUM CONSTITERANT CONTRA, QUOS TOT UNA FIDA CONIUNX TURRHENA CREARAT ARCADIO GYLIPPO, UNUM HORUM AD MEDIUM, IUVENEM EGREGIUM FORMA ET ARMIS 10 FULGENTIBUS, TRANSADIGIT COSTAS QUA SUBTILIS BALTEUS TERITUR ALVO ET MORDET FIBULA IUNCTURAS LATERUM EFFUNDIT FULVAQUE ARENA = Contemporaneamente questo, contemporaneamente un grande clamore e tutti gli ordini/le file turbate e i cuori eccitati dal tumulto. L’asta volando, poichè per caso nove bellissimi corpi di fratelli si erano fermati (ind. piucch.) di fronte, che tutti la sola fedele consorte Tirrena aveva generato (creaverat) all’arcade Gilippo, uno di questi a metà (del corpo, alla vita), giovane che spiccava per bellezza e armi lucenti, traferisse nelle costole dove il raffinato balteo (cintura) è sfregato dal ventre (I f.) e morde con la fibbia le giunture dei fianchi e lo stese sulla rossa sabbia. AT FRATRES, PHALANX ANIMOSA ACCENSAQUE LUCTU, PARS STRINGUNT GLADIOS MANIBUS PARS, CORRIPIUNT FERRUM MISSILE CAECIQUE RUUNT. CONTRA QUOS PROCURRUNT AGMINA LAURENTUM, HINC DENSI RURSUS INUNDANT TROES AGYLLINIQUE ARCADES ARMIS PICTIS = Ma i fratelli, falange coraggiosa e infiammata dalla perdita, alcuni stringono spade nelle mani, alcuni impugnano armi da lancio e alla cieca irrompono. Contro di questi vanno incontro le schiere dei Laurenti, di là compatti di nuovo irrompono Troiani e Agillini e Arcadi dalle armi dipinte: SIC UNUS AMOR DECERNERE FERRO HABET OMNES. DIRIPUERE ARAS. TURBA TEMPESTAS TELORUM IT TOTÒ CAELO AC IMBER FERREUS INGRUIT, FERUNT CRATERASQUE FOCOSQUE. IPSE LATINUS FUGIT REFERENS DIVOS PULSATOS FOEDERE INFECTO = così il solo desiderio di combattere con le armi prende tutti. Spogliarono (diripuerunt) gli altari, una confusa tempesta di dardi si muove in tutto il cielo e una pioggia di ferro precipita, e portano via tazze e fuochi. Lo stesso Latino fugge riportando gli dei violati (o scacciati) per il patto non compiuto. ALII INFRENANT CURRUS AUT SUBICIUNT CORPORA SALTU IN EQUOS ADSUNT ET ADSUNT ENSIBUS STRICTIS. MESSAPUS, AVIDUS CONFUNDERE FOEDUS, PROTERRET EQUO ADVERSO AULESTEN REGEM TYRRHENUM GERENTEM INSIGNE REGISQUE; ILLE RECEDENS RUIT ET MISER INVOLVITUR IN CAPUT INQUE UMEROS ARIS OPPOSITIS A TERGO = Alcuni preparano i carri o lanciano i corpi con un salto sui cavalli e sono pronti con le spade impugnate. Messapo, desideroso di rompere il patto, torna indietro con il cavallo posto davanti ad Auleste, re etrusco/tirreno che portava ornamento di re: egli indietreggiando cade e infelice viene rovesciato/rotola col capo e con le spalle sugli altari sugli altari collocati alle spalle. AT MESSAPUS FERVIDUS ADVOLAT HASTA ARTUS DESUPERO EQUO FERIT TELOQUE TRABALI GRAVITER ORANTEM MULTA ATQUE FATUR ITA: “HOC HABET, HAEC MELIOR VICTIMA DATA MAGNIS DIVIS”. ITALI CONCURRUNT SPOLIANTQUE MEMBRA CALENTIA = Ma Messapo furioso si precipita/vola con l’asta e alto sopra il cavallo ferisce con l’asta a forma di trave gravemente quello che pregava molto e dice così: “Questo gli tocca, questa (è) una migliore vittima offerta ai grandi dei”. Gli Italici accorrono e spogliano le membra calde. 11 OBVIUS CORYNAEYS CORRIPIT AB ARA TORREM AMBUSTUM ET EVYSO VENIENTI FERENTI PLAGAMQUE, OCCUPAT OS FLAMMIS: OLLI INGENS BARBA RELUXIT AMBUSTA DEDIT NIDOREMQUE. IPSE SUPER SECUTUS CORRIPIT LAEVA CAESARIEM HOSTIS TURBATI NITENS GENU INPRESSOQUE ADPLICAT IPSUM TERRAE; SIC FERIT LATUS RIGIDO ENSE = Di fronte Corinto affetta dall’altare un tizzone acceso e ad Ebuso che arrivava e che si accingeva a colpire, assale il volto con le fiamme: a quello (illi) la grande barba dette una vampata e bruciata diede odore di bruciato. Egli stesso inoltre inseguendolo afferra con la sinistra la chioma del nemico sbalordito e sforzandosi con ginocchio premuto tiene fermo lui stesso in terra; così ferisce il fianco (latus, eris, III n.) con la dura spada. POLIDARIUS SEQUENS NUDO ENSE SUPERIMMINET ALSUM PASTOREM RUENTEM PER TELA PRIMAEQUE ACIE; ILLE REDUCTA SECURI DISSICIT MEDIAM FRONTEM MENTUMQUE ET RIGAT LATE ARMA CRUORE SPARSO. DURA QUIES ET FERREUS SOMNUS URGET OLLI OCULOS, LUMINA CLAUDUNTUR IN AETERNAM NOCTEM = Polidario inseguendo con la nuda spada sta sopra Also pastore che corre tra i dardi in prima fila; quello abbassata la scure spacca a metà la fronte e il mento bagna abbondantemente le armi di sangue sparso. Una dura quiete e un ferreo sonno affatican a quello gli occhi, le luci (gli occhi) si chiudono nella notte eterna. Il ferimento di Enea (vv. 311-382) AT PIUS AEMEAS DEXTRAM TENDEBAT INERMEM NUDATO CAPITE ATQUE CLAMORE VOCABAT SUOS: “QUO RUITIS? QUAEVE ISTA REPENS DISCORDIA SURGIT? O COHIBETE IRAS” FOEDUS IAM ICTUM ET OMNES LEGES COMPOSITAE; MIHI SOLI IUS CONCURRERE; SINITE ME ATQUE AUFERTE METUS. EGO FAXO FIRMA FOEDERA MANU; HAEC SACRA IAM DEBENT MIHI TURNUM” = Ma il pio Enea tendeva la destra disarmata a capo scoperto e con cruda chiamava i suoi: “dove correte? Cosa (è) questa improvvisa discordia che sorge? O reprimete i furori! Il patto ormai (è) concluso e tutte le condizioni concordate; a me solo (è) il diritto (io solo ho il diritto) di scontrarmi; lasciate fare a me e allontanate il timore; io renderò (fecero, f. a.)/farò sicuri i patti con la mano; questi sacrifici ormai devono a me/mi devono Turno. INTER HAS VOCES, INTER MEDIA TALIA VERBA ECCE SAGITTA STRIDENS ALIS ADLAPSA EST VIRO, INCERTUM QUA MANU PULSA, QUO TURBINE ADACTA, QUIS ATTULERIT TANTAM LAUDEM RUTULIS, CASUSNE DEUSNE; GLORIA INSIGNIS FACTI PRESSA EST, NEC QUISQUAM SESE IACTAVIT VOLENERE AENEAE = In mezzo a questi clamori, in mezzo a tali parole ecco i una freccia stridendo con le ali raggiunse l’eroe, (è) incerto da quale mano lanciata, da quale turbine spinta, chi abbia portato (f. a. e c. perf.) tanta gloria ai Rutuli, se un caso o un dio; la gloria dell’eccezionale fatto fu nascosta/repressa, nè alcuno si vantò della ferita di Enea. TURNUS UT VIDIT AENEAN CEDENTEM EX AGMINE DUCES TURBATOSQUE, ARDET FERVIDUS SUBITA SPE; POSCIT SIMUL EQUOS ATQUE ARMA, SALTUQUE IN CURRUM EMICAT SUPERBUS ET MANIBUS MOLITUR HABENAS. VOLITANS DAT MULTA FORTIA 12 dell’elmo e l’orlo di sopra della corazza (thorax, cis, grecismo) e abbandonò il tronco nella sabbia/alla sabbia (loc. o dat.). La miracolosa guarigione (vv. 383-429) ATQUE DUM TURNUS VICTOR DAT EA FUNERA CAMPIS, INTEREA MNESTHEUS ET FIDUS ACHATES ASCANIUSQUE COMES STATUERE CASTRIS CRUENTUM AENEAN, NITENTEM ALTERNOS GRESSUS LONGA CUSPIDE. SAEVIT ET LUCTATUR ERIPERE TELUM INFRACTA HARUNDINE POSCIT VIAM, QUAE PROXIMA, AUXILIOQUE: SECENT LATO ENSE VOLUNS RESCINDANT PENITUS LATEBRAM TELIQUE REMITTANT SESEQUE IN BELLA = E mentre Turno vincitore semina quelle morti nel campo/nella piana (abl. prosecutivo), intanto Mnesteo e il fedele Acate e Ascanio come compagno collocarono (statuerunt) nel campo l’insanguinato Enea, appoggiato ogni due passi sulla lunga asta. Si sdegna e si sforza di strappare la freccia dalla rotta asticciola e chiede la, quella più vicino, al rimedio: taglino con larga spada la ferita e lacerino profondamente il luogo nascosto del dardo e rimandino lui in guerra. IAMQUE ADERAT IAPIS IASIDES DILECTUS ANTE ALIOS PHOEBO, CUI QUONDAM CAPTUS ACRI AMORE IPSE APOLLO DABAT LAETUS SUAS ARTES, SUA MUNERA, AUGURIUM CITHARAMQUE CELERISQUE SAGITTAS. ILLE, UT PROFERRET FATA PARENTIS DEPOSITI, MALUIT SCIRE POTESTATES HERBARUM USUMQUE MEDENDI, ET INGLORIUS AGITARE ARTIS MUTAS = E già gli era accanto (piucch.) Iàpige Iaside (patronimico), diletto davanti agli altri a Febo, al quale una volta preso da forte passione lo stesso Apollo offriva lieto le sue arti, i suoi doni, la divinazione, la cetra e le veloci saette. Quello, per rimandare la morte del genitore esposto, preferì apprendere le proprietà delle erbe e la pratica del medicare, e da ignobile esercitare le arti (es) silenziose. AENEAS FREMENS ACERBA STABAT NIXUS IN INGENTEM HASTAM CONCURSU MAGNO IUVENUM IULI MAERENTIS, LACRIMIS IMMOBILIS. ILLE SENIOR SUCCINCTUS AMICTU RETORTO PAEONIUM IN MOREM MULTA MANU MEDICA POTENTIBUS HERBIS PHOEBIQUE NEQUIQUAM TREPIDAT, NEQUIQUAM SOLLICITAT DEXTRA SPICULA PRENSATQUE FERRUM TENACI FORCIPE = Enea fremendo duramente/acerbamente stava ritto appoggiato sulla grande asta con la grande agitazione dei giovani e di Iulo afflitto, indifferente alle lacrime. Quello già vecchio succinto nella veste rovesciata secondo l’uso peonio molto con la mano medica e con le possenti erbe di Febo invano si affanna, invano scuote con la destra le punte e afferra il ferro con la tenace pinza. FORTUNA NULLA VIAM REGIT, NIHIL AUCTOR APOLLO SUBVENIT, NIHIL AUCTOR APOLLO SUBVENIT, ET HORROR MAGIS AC MAGIS CREBRESCIT SAEVUS CAMPIS MALUM PROPIUSQUE EST. IAM VIDENT CAELUM STARE PULVERE: SUBEUNT EQUITES ET SPICULA DENSA CADUNT MEDIIS CASTRIS = Nessuna fortuna indica la strada, per nulla il maestro Apollo interviene, e l’orrore sempre più si diffonde terribile nei campi e la sventura è più vicina. Già vedono il cielo essere immobile per la polvere (pulvis, eris; m. f.): avanzano i cavalieri e frecce dense cadono in mezzo all’accampamento. 15 TRISTIS IT AD AETHERA CLAMOR IUVENUM BELLANTUM ET CADENTUM SUB DURO MARTE. HIC (avv.) VENUS CONCUSSA INDIGNO DOLORE NATI, GENETRIX CARPIT AB IDA CRETAEA DICTAMNUM, CAULEM FOLIIS PUBERIBUS ET COMANTEM FLORE PURPUREO; GRAMINA ILLA NON INCOGNITA CAPRIS FERIS, CUM VOLUCRES SAGITTAE HAESERE TERGO = Triste sale al cielo il grido dei giovani combattenti e di quelli che cadono sotto il crudele Marte. Allora Venere colpita dall’immeritato dolore del figlio, da madre raccoglie dall’Ida Cretese il dittamo, stelo con foglie folte e chiomato/fronteggiante di fiore purpureo, erbe quelle non sconosciute alle capre selvaggi, quando le veloci saette si attaccarono (haeserunt) al dorso. HOC DETULIT VENUS, CIRCUMDATA FACIEM OBSCURO NIMBO, INFICIT HOC AMNEM FUSUM SPLENDENTIBUS LABRIS OCCULTE MEDICANS SPARGITQUE SUCOS SALUBRIS AMBROSIAE ET ODORIFERAM PANACEAM. LONGAEVUS IAPYX IGNORANS FOVIT EA LYMPHA VOLUNS SUBITOQUE QUIPPE OMNIS DOLOR FUGIT DE CORPORE, OMNIS SANGUIS STETIT IMO VULNERE = Questo portò giù Venere, avvolta nel volto da un’oscura nube, mescola con questo acqua di fiume versato a lucenti vasi medicandola (l’acqua) occultamente (dandole virtù) e spruzza succhi salutari di ambrosia e odorifera panacea. Il vecchio Iapige inconsciamente bagnò con quell’acqua la ferita e di colpo senz’altro ogni dolore sparì dal corpo, tutto il sangue rimase nella profonda ferita. IAMQUE SAGITTA SECUTA MANUM NULLO COGENTE EXCIDIT, ET VIRES NOVAE REDIERE IN PRISTINA. “CITI PROPERATE ARMA VORO! QUID STATIS?” CONCLAMAT IAPYX PRIMUSQUE ACCENDITI ANIMOS IN HOSTEM. “HAEC NON PROVENIUNT HUMANIS OPIBUS NON ARTE MAGISTRA, NEQUE MEA DEXTERA TE SERVAT, AENEA: DEUS MAIOR AGIT ATQUE REMITTIT AD MAIORA OPERA” = E già la saetta seguendo la mano senza che alcuno spingesse cadde, e le forze nuove ritornarono (redierunt) allo stato precedente (plur.). “Rapidi portate in gretta le armi all’eroe! Perchè indugiate?”, grida Iapige e per primo accende gli animi contro il nemico. “Queste cose non provengono da umane possibilità non dall’arte maestra, nè la mia destra ti salva, o Enea: un dio più potente agisce e rimanda a maggiori azioni”. Il commiato dal figlio (vv. 430-440) ILLE AVIDUS PUGNAE INCLUSERAT AURO SURAS HINC ATQUE HINC OTIQUE MORAS HASTAMQUE CORUSCAT. POSTQUAM CLIPEUS EST HABILIS LATERI LORICAQUE TERGO, COMPLECTITUR ASCANIUM CIRCUM FUSIS ARMIS DELIBANS SUMMAEQUE OSCULA PER GALEAM FATUR = Quello avido di combattere aveva cinto (ind. piucch.) nell’oro le gambe da una parte e dall’altra e odia gli indugi e agita l’asta. Dopo che lo scudo è adattato al fianco e la corazza al tergo, abbraccia Ascanio cinte le armi e cogliendo la sommità della piccole labbra/della boccuccia (II n.) attraverso l’elmo dice: “DISCE, PUER, EX ME VIRTUTEM VERUMQUE LABOREM, FORTUNAM EX ALIIS. NUNC BELLO MEA DEXTERA DEFENSUM DABIT TE DUCET INTER MAGNA PRAEMIA. TU FACITO, MOX AETAS MATURA ADOLEVERIT, SIS MEMOR ET TE, REPETENTEM ANIMO EXEMPLA 16 TUORUM, EXCITET ET PATER AENEAS ET AVUNCULUS HECTOR” = “Capisci o figlio da me il valore e la vera fatica, la fortuna dagli altri. Ora in guerra la mia destra ti darà difesaw di guiderà ai grandi premi. Tu cerca (imp. fut.), non appena l’età matura sarà cresciuta (f. a. e c. perf.), di essere (c. pres.) memore e te, che rivolgi nell’animo gli esempi dei tuoi, esorti (c. pres.) sia il padre Enea sia lo zio materno Ettore”. Il ritorno di Enea (vv. 441-467) UBI DEDIT HAEC DICTA, INGENS SESE EXTULIT PORTIS QUATIENS MANU INMANE TELUM; SIMULA AGMINE DENSO ANTHEUSQUE MNESTHEUSQUE RUUNT OMNISQUE TURBA FLUIT, RELICTIS CASTRIS. TUM CAMPUS MISCETUR CAECO PULVERE TELLUS EXCITA PULSUQUE POEDUM TREMIT = Appena disse queste parole, imponente si portò fuori dalle porti agitando con la mano l’enorme dardo; contemporaneamente in fitta schiera Anteo e Mnesteo si precipitano e tutta la turba esce fuori, abbandonato l’accampamento. Allora il campo si mescola con oscuro polverio e la terra scossa dal battito dei piedi trema. TURNUS AB ADVERSO AGGERE VIDIT VENIENTIS, VIDERE AUSONII GELIDUSQUE TREMOR CUCURRIT PER IMA OSSA; PRIMA ANTE OMNIS LATINOS, IUTURNA AUDIIT ADGNOVITQUE SONUM ET TREMEFACTA REFUGIT. ILLE VOLAT RAPIT APERTO CAMPOQUE AGMEN ATRUM = Turno dall’opposto tumulo (agger, is, III n.) vide quelli che arrivavano (es), li videro gli Ausoni e un gelido tremore corse nella profondità delle ossa; per prima, davanti a tutti (es) i Latini, Giuturna sentì e riconobbe il fragore, e tremante cercò riparo. Quello vola e trascina nell’aperto campo la schiera nera. QUALIS NIMBUS UBI ABRUPTO SIDERE IT AD TERRAS MARE (HEU, CORDA LONGE PRAESCIA HORRESCUNT AGRICOLIS MISERIS: ILLE DABIT RUINAS ARBORIBUS STRAGEMQUE SATIS, RUET OMNIA LATE), ANTE VOLANT VENTI FERUNT AD LITORA SONITUMQUE: TALIS DUCTOR RHOETEIUS AGIT AGMEN HOSTIS IN ADVERSOS QUISQUE DENSI SE ADGLOMERANT DENSI CUNEIS = Come una nuvola quando scatenatasi la tempesta va verso le coste attraverso il mare (ahimè i cuori abbastanza consapevoli inorridiscono ai contadini miseri: quello apporteà rovine agli alberi e distruzione ai seminati, distruggerà tutte le cose largamente), volano davanti i venti e portano ai lidi il rimbombo: tale il condottiero Reteo guida la schiera contro i nemici posti davanti tutti compatti si raccolgono in cunei serrati. THYMBRAEUS FERIT ENSE GRAVEM OSIRIM, ARCHETIUM MNESTHEUS, ACHATES OBTRUNCAT EPULONEM UFENTEMQUE GYAS; IPSE TOLUMNIUS AUGUR CADIT, QUI PRIMUS TORSERAT TELUM IN ADVERSOS HOSTIS. TOLLITUR IN CAELUM CLAMOR RUTULI VERSIQUE VICISSIM DANT TERGA PULVERULENTA FUGA PER AGROS = Timbreo ferisce con la spada il pesante Osiri, Mnesteo Arcezio, Acate trucida Epulone e Giante Ufente; lo stesso augure Tolumnio cade, lui che per primo aveva vibrato (piucch.) un dardo contro i nemici davanti. Si eleva al cielo il clamore e i Rutuli volti in fuga a loro volta tanno le spalle polverose in fuga per i campi. 17 (dat. poss.) un lavoro attorno ai fiumi della pescosa Lerna e una povera casa nè gli (erano) note le soglie dei potenti, il padre coltivava su terreno affittato. AC VELUT IGNES IMMISSI DIVERSIS PARTIBUS IN SILVAM ARENTEM ET VIRGULTA LAURO SONANTIA, AUT UBI SPUMOSI AMNES DECURSU RAPIDO DE MONTIBUS ALTIS DANT SONITUM ET CURRUNT IN AEQUORA QUISQUE POPULATUS SUUM ITER: NON SEGNIUS AMBO AENEAS TURNUSQUE RUUNT PER PROELIA; NUNC, NUNC FLUCTUAT IRA INTUS (avv.), PECTORA NESCIA VINCI RUMPUNTUR, NUNC TOTIS VIRIBUS ITUR IN VULNERA = E come i fuochi appiccati da diverse parti su di una selva arsiccia e virgulti di lauro (lauri, ipallage) crepitanti, o quanto torrenti spumeggianti con rapida corsa dagli altri monti danno rimbombo e corrono in mare, ognuno devastando (p. pass.) il suo corso: non più adagio entrambi (ambo, onis) Enea e Turno calano in duelli; ora, ora fluttua l’ira dentro, i petti incapaci di essere vinti esplodono, ora con tutte le forze si va alle ferite. HIC EXCUTIT EFFUNDITQUE SOLO PRAECIPITEM MURRANUM, SONANTEM ATAVOS ET ANTIQUA NOMINA AVORUM GENUS OMNE ACTUM PER REGESQUE LATINOS, SCOPULO ATQUE TURBINE INGENTIS SAXI; ROTAE PROVOLVERE HUNC SUBTER LORA ET IUGA, SUPER UNGULA INCITA EQUORUM MEMORUM NEC DOMINI CREBRO PULSU PROCULCAT = Questi abbatte e rovescia al suolo precipitoso/che cade Murrano, che vantava bisavi e antichi nomi di avi, una stirpe tutta discesa attraverso i re latini, con una roccia e la forza di un masso gigantesco; le ruote lo trascinarono (provolverunt) sotto le redini ed i gioghi, inoltre lo zoccolo violento dei cavalli memori neppure del padrone con l’incessante colpo lo calpesta. ILLE OCCURRIT RUENTI HYLLO RUENTI FREMENTI ANIMISQUE IMMANE TELUMQUE TORQUET AD TEMPORA AURATA: OLLI HASTA STETIT CEREBRO FIXO PER GALEAM. NEC TUA DEXTERA TE ERIPUIT TURNO, CRETHEU FORTISSIME GRAIUM, NEC SUI DI TEXERE CUPENCUM AENEA VENIENTE: FERRO DEDIT OBVIA PECTORA, NEC MISERO PROFUIT MORA CLIPEI AEREI = Quello si imbatte in Illo precipitoso che freme tremendamente di rabbia e scaglia un dardo sulle tempie dorate: l’asta gli si bloccò nel cervello trapassato attraverso l’elmo. Nè la tua destra sottrasse te a Turno, Creteo (te) fortissimo tra i Grai (graorum)/greci, nè i suoi dei protessero (texuerunt) Cupenco, arrivando Enea: al ferro offrì incontro i petti, nè al misero giovò il freno dello scudo di bronzo. TE QUOQUE, AEOLE, VIDERUNT OPPETERE CAMPI LAURENTES ET LATEM CONSTERNERE TERGO TERRAM. OCCIDIS, QUEM PHALANGES ARGIVAE NON POTUERE STERNERE NEC ACHILLES EVERSOR REGNORUM PRIAMI; HIC TIBI ERANT METAE MORTIS, ALTA DOMUS SUB IDA, ALTA DOMUS LYMESI, SEPULCRUM SOLO LAURENTE = Tu pure, Eolo, videro cadere pianure di Laurento e attorno coprire con la schiena (II n.) la terra. Cadi tu che (quem) le falangi argive non poterono stendere, nè Achille (es, is, III) distruttore dei regni di Priamo; qui tu avevi (dat. poss.) i traguardi della morte, la grande casa sotto l’Ida, la grande casa a Limeso, il sepolcro su suolo laurente. 20 ADEO NITUNTUR TOTAE CONVERSAE ACIES OMNESQUE LATINI, OMNES DARDANIDAE, MNESTHEUS ACERQUE SERESTUS ET MESSAPUS EQUUM DOMITOR ET FORTIS ASILAS TUSCORUMQUE PHALANX ALAE ARCADES EVANDRIQUE, QUISQUE PRO SE VIRI SUMMA VI OPUM; NEC MORA NEC REQUIES, TENDUNT VASTÒ CERTAMINE = Così resistono/si riprendono le schiere rovolte (in hostem) e tutti i Latini, tutti i Dardamnidi, Mnesteo e il forte Seresto e Messapo, domatore di cavalli e il forte Asila, la falange degli etruschi (o Teucri?) e le ale arcadi di Evandro, a gnugno da sè gli eroi con la massima potenza delle forze (ops, opis); nè indugio nè riposo (es, etis), con vasto duello si scontrano. L’assedio (vv. 554-592) HIC PULCHERRIMA GENETRIX AENEAE MISIT HIC MENTEM UT IRET AD MUROS ADVERTERET AGMEN URBIQUE OCIUS (avv.) ET TURBARET LATINOS SUBITA CLADE. ILLE UT VESTIGANS TURNUM PER DIVERSA AGMINA HUC ATQUE HUC CIRCUMTULIT, ASPICIT URBEM IMMUNEM TANTI BELLI ATQUE IMPUNE QUIETAM = Allora bellissima madre di Enea inviò un’idea (a Enea) affinchè andasse alle mura e volgesse l’esercito alla città improvvisamente e sconvolgesse i Latini con strage improvvisa. Egli quando ricercando Turno tra le sparse file qua e là portò lo sguardo, vede la città immune da così grave guerra e impunemente quieta. CONTINUO (avv.) IMAGO MAIORIS PUGNAE ACCENDIT: VOCAT DUCTORES MNESTHEA SERGESTUMQUE FORTEMQUE SERESTUM, CAPIT TUMULUMQUE QUO CONCURRIT CETERA LEGIO TEUCRUM, NEC DENSI DEPONUNT SCUTA AUT SPICULA = Subito l’immagine di una maggiore battaglia lo accende: chiama i capi Mnesteo (um), Sergesto e il forte Seresto, occupa l’altura dove accorre la restante legione dei Teucri, nè serrati depongono scudi o frecce. STANS MEDIUS CELSO AGGERE FATUR: “NE ESTO QUA MORA MEIS DICTIS, IUPPITER STAT HAC, NEU QUIS MIHI ITO SEGNIOR OB INCEPTUM SUBITUM. URBEM HODIE, CAUSAM BELLI, IPSA REGNA LATINI, NI FATENTUR ACCIPERE FRENUM ET PARERE VICTI, ERUAM ET PONAM FUMANTIA CULMINA AEQUA SOLO = Stando in mezzo sull’elevata altura parla: “Non ci sia (imp. fut.) alcun ritardo ai miei ordini, Giove sta qui, e nessuno mi vada (itato) più lento a causa dell’azione improvvisa. La città oggi, causa di guerra, gli stessi regni di Latino, se non dichiarano di accettare il freno e obbedire da vinti, l’abbatterò (f. s. e c. pres.) e renderò (f. s. e c. pres.) le cime fumanti pari al suolo. SCILICET EXSPECTEM DUM LIBEAT TURNO PATI NOSTRA PROELIA RURSUSQUE (avv.) VELIT CONCURRERE VICTUS? HOC CAPUT, O CIVES, HAEC SUMMA BELLI NEFANDI. FERTE FACES PROPERE (avv.) REPOSCITE FOEDUSQUE FLAMMIS” = Dovrei aspettare/sarebbe meglio che io aspettassi (c. pres.) finchè piaccia a Turno sopportare i nostri duelli e inoltre voglia affrontarli, da vinto? Questo il punto, o concittadini, questa la somma d’una guerra nefanda. Portate torce velocemente e richiedete il patto con le fiamme”. DIXERAT, ATQUE OMNES PARITER ANIMIS CERTANTIBUS DANT CUNEUM FERUNTUR AD MUROS DENSAQUE MOLE; SCALAE IMPROVISO SUBITUSQUE APPARUIT IGNIS. ALII 21 DISCURRUNT AD PORTAS PRIMOSQUE TRUCIDANT, ALII TORQUENT FERRUM ET OBUMBRANT AETHERA TELIS = Aveva detto (piucch.), e tutti insieme con cuori combattenti formano un cuneo e si portano alle mura in serrata unità; subito le scale e improvviso apparve il fuoco. Alcuni corrono alle porte e trucidano i primi, altri lanciano ferro e oscurano il cielo (er, is) di armi. IPSE AENEAS INTER PRIMOS TENDIT DEXTRAM SUB MOENIA, MAGNAQUE VOCE INCUSAT LATINUM TESTATURQUE DEOS SE COGI ITERUM AD PROELIA, BIS ITALOS IAM HOSTIS, HAEC ALTERA FOEDERA RUMPI = Lui, Enea, tra i primi tende la destra sotto le mura, a gran voce accusa Latino e chiama a testimoni gli dei d’esser costretto di nuovo agli scontri, che due volte giù Itali (sono) ormai nemici, questi secondi patti sono rotti. EXORITUR DISCORDIA INTER TREPIDOS CIVIS: ALII IUBENT RESERARE URBEM ET PANDERE PORTAS DARDANIDIS TRAHUNT IN MOENIA IPSUMQUE REGEM; ALII ARMA FERUNT ET PERGUNT DEFENDERE MUROS, UT CUM PASTOR VESTIGAVIT INCLUSAS APES IN LATEBROSO PUMICE IMPLEVIT FUMOQUE AMARO = Nasce discordia tra i cittadini (es) impauriti: alcuni ordinano di aprire la città e spalancare le porte ai Dardanidi e trascinano sulle mura lo stesso re; altri portano armi e si affrettano a difendere le mura, come quando il pastore ha scovato le api nascoste nel tufo pieno di buchi e ha riempito di fumo amaro; ILLAE INTUS TRAPIDAE RERUM PER CEREA CASTRA DISCURRUNT ACUUNT IRAS MAGNISQUE STRIDORIBUS; ATER ODOR VOLVITUR TECTIS, TUM INTUS SAXA SONANT MURMURE CAECO, FUMUS IT AD AURAS VACUAS = esse dentro impaurite delle cose/dei fatti attraverso l’accampamento di cera corrono e aumentano le ire con grandi ronzii; il nero odore si avvolge nei tetti, allora dentro le pietre risuonano di mormorio cieco, il fumo va all’aria vuota. Il suicidio di Amata (vv. 593-611) ETIAM HAEC FORTUNA ACCIDIT FESSIS LATINIS, QUAE CONCUSSIT FUNDITUS (avv.) TOTAM URBEM LUCTU. UT REGINA PROSPICIT HOSTEM VENIENTEM TECTIS, INCESSI MUROS, IGNIS VOLARE AD TECTA, NUSQUAM (avv.) CONTRA ACIES RUTULAS, NULLA AGMINA TURNI = Anche questa sciagura accadde agli stanchi Latini, che stravolse dalle fondamenta tutta la città per il lutto. Come la regina osservò il nemico che veniva alle case, le mura essere assaltate, i fuochi (es) volare sulle case, da nessuna parte di contro schiere Rutuli, nessuna fila di Turno, INFELIX CREDIT EXSTINCTUM IUVENEM IN CERTAMINE PUGNAE ET SUBITO TURBATA MENTEM DOLORE SE CLAMAT CAUSAM CRIMENQUE CAPUTQUE MALORUM, DEMENS MULTAQUE EFFATA PER MAESTUM FURORE MORITURA DISCINDIT MANO PURPUREOS AMICTUS ET NODUM INFORMIS LETI NECTIT AB ALTA TRABE = la misera crede estinto il giovane in uno scontro di lotta e subito turbata nella mente per il dolore si proclama causa e colpa e inizio dei mali, e pazza, parlando molto a causa del misero furore, destinata a morire si strappa con la mano i vestiti purpurei e come nodo orribile di morte lo lega all’alta trave (trabs, is, f.). 22 CORDE PUDOR INSANIA MIXTOQUE LUCTU ET AMOR AGITATUS FURIIS ET CONSCIA VIRTUS = Attorno a costoro da entrambe le parti stanno falangi serrate e con spade sguainate una messe (seges, segetis, f.) ferrea sta dritta; tu fai girare il cocchio in un prato deserto”. Stupì Turno confuso dalla varia immagine delle cose e stette con tacito sguardo; brucia enorme in un unico cuore vergogna e pazzia con unito lutto e un amore agitato da furie e un cosciente valore. UT PRIMUM UMBRAE DISCUSSAE ET LUX REDDITA MENTI, TORSIT ARDENTIS ORBIS OCULORUM AD MOENIA TURBIDUS EQUE (et) ROTIS RESPEXCIT AD MAGNAM URBEM. ECCE AUTEM INTER TABULATA VOLUTUS FLAMMIS VERTEX UNDABAT AD CAELUM TURRIMQUE TENEBAT, TURRIM QUAM IPSE EDUXERAT COMPACTIS TRABIBUS SUBDIDERATQUE ROTAS INSTRAVERAT ALTOS PONTISQUE = Appena le ombre (furono) cacciate e la luce restituita alla mente, girò le ardenti orbite degli occhi alle mura turbato e con le ruote si volse alla grande città. Ecco dunque tra i piani (della torre, II d.) avvolto dalle fiamme un vortice ondeggiava al cielo e teneva la torre, la torre che lui stesso aveva innalzato (piucc.) con travi compatte, aveva applicato le ruote e costruito alti ponti. “IAM IAM FATA, SOROR, SUPERANT, ABSISTE MORARI; QUO DEUS ET QUO DURA FORTUNA VOCAT SEQUAMUR. STAT CONFERRE MANUM AENEAE, STAT, QUIDQUID ACERBI EST, MORTE PATI, NEQUE ME VIDEBIS AMPLIUS INDECOREM, GERMANA. SINE, ORO, ME FURERE ANTE HUNC FUROREM” = “Ormai, ormai i fati, sorella, vincono, smetti di frenare; dove il duo e dove la dura Fortuna chiama, seguiamo (cong. pres.). È deciso il battersi in lotta con Enea, è deciso, qualunque cosa ci sia di doloroso, patire con la morte, nè mi vedrai più, sorella, vigliacco. Lascia, ti prego, che io prima renda furioso questo furore”. DIXIT, ET E CURRU DEDIT SALTUM ARVIS OCIUS PERQUE HOSTIS, PER TELA RUIT DESERIT MAESTAMQUE SOROREM AC RAPIDO CURSU RUMPIT MEDIA AGMINA. AC VELUTI CUM SAXUM DE VERTICE MONTIS RUIT PRAECEPS AVULSUM VENTO, SEU TURBIDUS IMBER PROLUIT AUT SOLVIT VETUSTAS SUBLAPSA ANNIS = Disse, e dal carro fece un salto sui campi velocemente e tra i nemici, tra le armi corre e lascia la mesta sorella e con rapida corsa spezza in mezzo le schiere. E come quando un masso dal vertice di un monte piomba a precipizio strappato dal vento, o torbida pioggia lo trascina o lo scalza il tempo insinuandosi negli anni; MONS FERTUR IMPROBUS IN ABRUPTUM MAGNO ACTU EXSULTATQUE SOLO, INVOLVENS SECUM SILVAS ARMENTA VIROSQUE: SIC PER AGMINA DISIECTA TURNUS RUIT AD MUROS URBIS, UBI PLURIMA TERRA MADET FUSO SANGUINE AURAE STRIDUNTQUE HASTILIBUS, SIGNIFICATQUE MANU ET SIMUL INCIPIT MAGNO ORE = il monte si getta terribile a precipizio con grande spinta e sussulta sul suolo, travolgendo con sè selve, armenti e uomini: così tra le file spezzate Turno precipita verso le mura della città, dove abbondantissima la terra s’imbeve di sangue sparso e l’aria stride di aste, fa segno con la mano e insieme comincia a gran voce: 25 “PARCITE IAM, RUTILI, ET VOS INHIBETE TELA, LATINI. QUAECUMQUE EST FORTUNA, MEA EST; VERIUS ME UNUM PRO VOBIS LUERE FOEDUS ET DECERNERE FERRO”. OMNES DISCESSERE MEDII DEDERE SPATIUMQUE = “Smettete (imp.) ormai, Rutuli, e voi bloccate le armi, Latini. Qualunque sia la fortuna, è mia; è più giusto che io da solo per voi paghi il patto e combatta (inf.) con il ferro”. Tutti si tolsero (discesserunt) di mezzo e diedero (dederunt) spazio. Il duello (vv. 697-790) AT PATER AENEAS AUDITO NOMINE TURNI DESERIT ET MUROS ET DESERIT DUMMAS ARCES PRAECIPITATQUE OMNIS MORAS, RUMPIT OMNIA OPERA EXULTANS LAETITIA HORRENDUMQUE INTONAT ARMIS: QUANTUS ATHOS AUT QUANTUS ERYX AUT IPSE PATER APPENNINUS CUM FREMIT ILICIBUS CORUSCIS GAUDETQUE VERTICE NIVALI SE ATTOLLENS AD AURAS = Ma il padre Enea, udito il nome di Turno, lascia anche le mura, e lascia le sommità delle rocche, tronca tutti (es) gli indugi, rompe tutte le iniziative esultando di letizia e orribilmente tuonando con le armi: quanto grande l’Athos o quanto l’Erice o quanto lo stesso padre Appennino quando freme con gli elci scintillanti e gioisce per la cima nevosa alzandosi all’aria. IAM VERO ET RUTULI CERTATIM ET TROES ET OMNES ITALI CONVERTERE OCULOS, QUIQUE TENEBANT ALTA MOENIA QUIQUE ARIETE PULSABANT IMOS MUROS, DEPOSUERE ARMAQUE UMERIS. IPSE LATINUS STUPET INGENTIS VIROS, GENITOS DIVERSIS PARTIBUS ORBIS, INTER SE COIISSE ET CERNERE FERRO = Ma in realtà ormai sia i Tutuli a gare sia i Troiani e tutti gli Italici volsero (converterunt) gli occhi, e quelli che tenevano le alte mura e quelli che con l’ariete battevano alla base delle mura, posarono (deposuerunt) le armi dalle spalle. Lo stesso Latino si stupisce che giganteschi eroi, nati in diverse parti del mondo, si scontrassero tra loro e combattessero con il ferro. ATQUE ILLI, UT CAMPI PATUERUNT VACUO AEQUORE, PROCURSU RAPIDO CONEICTIS EMINUS (avv.) HASTIS, INVADUNT MARTEM CLIPEIS ATQUE AERE SONORO. TELLUS DAT GEMITUM; TUM CONGEMINANT ENSIBUS CREBROS ICTUS, FORS ET VIRTUS MISCETUR IN UNUM = Ma quelli, come le piane si aprirono nella distesa libera, con una rapida rincorsa scagliate da lontano le aste, affrontano Marte con scudi e bronzo sonoro. La terra da un gemito; allora moltiplicano con le spade fitti colpi, sorte (fors, III d. f. irr., solo nom. e abl.) e valore si unisce in una sola cosa. AC VELUTI CUM INGENTI SILA SUMMOVE TABURNO DUO TAURI INCURRUNT CONVERSIS FRONTIBUS IN PROELIA INIMICA, PAVIDI CESSERE MAGISTRI, OMNE PECUS STAT MUTUM METU, IUVENCAE MUSSANTQUE QUIS IMPERITET NEMORI, QUEM SEQUANTUR TOTA ARMENTA = E come quando sulla gigantesca Sila o sulla sommità del Taburno due tori si scontrano con fronti avverse per ostili duelli, impauriti si sono fermati i pastori, tutto il gregge sta muto per la paura, e le giovenche sono incerte chi comandi (cong. pres.) nel bosco, chi seguiranno (cong. pres.) tutti gli armenti; 26 ILLI INTER SESE MISCENT VULNERA MULTA VI OBNIXI INFIGUNT CORNUAQUE ET LAVANT SANGUINE LARGO COLLA ARMOSQUE, GEMITU OMNE NEMUS REMUGIT: NON ALITER TROS AENEAS ET DAUNIUS HEROS CUNCURRUNT CLIPEIS, INGENS FRAGOR COMPLET AETHERA = essi tra loro vibrano ferite con molta forza puntandosi conficcano le corna e lavano con sangue abbondante i colli e le braccia, di gemito tutto il bosco riecheggia: non diversamente il troiano (tros, trois, II) Enea e il Daunio (patron.) eroe si scontrano con gli scudi, enorme frastuono riempie l’etere. IPSE IUPPITER AEQUATO EXAMINE SUSTINET DUAS LANCES ET IMPONIT DIVERSA FATA DUORUM, QUEM LABOR DAMNET ET QUO LETUM VERGAT PONDERE. HIC EMICAT IMPUNE PUTANS ET CORPORE TOTO CONSURGIT ALTE TURNUS IN ENSEM SUBLATUM ET FERIT = Lo stesso Giove equilibrato l’ago (examen, is; n.) sostiene le due bilance (lanx, lancis; f.) e vi pone i diversi fati dei due, chi l’impresa condanni e dove la morte si volga col peso (pondus, eris; n.). Allora (avv.) schizza impunemente credendo e con tutto il corpo sorge in alto Turno con la spada alzata e colpisce; EXCLAMANT TROES TREPIDIQUE LATINI, ARRECTAEQUE AMBORUM ACIES. AT PERFIDUS ENSIS FRANGITUR DESERIT ARDENTEM IN MEDIOQUE ICTU, NI FUGA SUBEAT SUBSIDIO. FUGIT OCIOR EURO, UT ASPEXIT IGNOTUM CAPULUM DEXTRAMQUE INERMEM = gridando i Troiani (tros, trois) e i trepidi Latini, drizzate (sono) le schiere di entrambi. Ma la perdida spada si spezza e lascia l’ardimentoso nel pieno del colpo, se la fuga non subentrasse (cong. pres.) in aiuto. Fugge più velocemente (agg. comp.) di Euro (vento) come vide la strana impugnatura e la destra inerme. FAMA EST PRAECIPITEM, CUM CONSCENDEBAT EQUOS IUNCTOS IN PRIMA PROELIA, RELICTO MUCRONE PATRIO, DUM TREPIDAT, RAPUISSE FERRUM AURIGAE METISCI; IDQUE DIU, DUM TEUCRI DABANT TERGA PALANTIA, SUFFECIT = E’ fama che a precipizio, quando saliva sui cavalli appaiati all’inizio degli scontri, lasciata la spada del padre, mentre trepida, avesse afferrato il ferro dell’auriga Metisco; e quello a lungo, mentre i Teucri volgevano le spalle vaganti, bastò; POSTQUAM VENTUM EST AD VOLCANIA ARMA DEI, MORTALIS MUCRO CEU (avv.) GLACIES FUTTILIS DISSILUIT ICTU, FRAGMINA RESPLENDENT FULVA HARENA. ERGO AMENS TURNUS FUGA PETIT AEQUORA DIVERSA ET NUNC HUC, INDE HUC INPLICAT INCERTOS ORBIS = dopo che si giunse alle vulcanie (fatte per Enea dal dio Vulcano) armi del dio, la punta mortale come ghiaccio (V) fragile (II cl.) si dissolse al colpo, i frammenti risplendono sulla rossa sabbia. Perciò fuori di sè Turno in fuga si dirige nelle piane lontane e ora qua, poi là intreccia incerti cerchi (es); UNDIQUE ENIM TEUCRI INCLUSERE DENSA CORONA ATQUE HINC VASTA PALUS, HINC CINGUNT ARDUA MOENIA. NEC MINUS AENEAS, QUAMQUAM TARDATA GENUA INTERDUM SAGITTA IMPEDIUNT RECUSANT CURSUMQUE, INSEQUITUR FERVIDUS URGET PEDE PEDEM TREPIDIQUE = ovunque infatti i Teucri hanno chiuso (incluserunt) con una serrata corona e di qui una vasta palude, di là cingono le ardue mura. Nè di meno Enea, 27 momento supremo. Hai potuto perseguitare o Troiani per terre e per onde, accendere una guerra orribile, rovinare una casa e combinare le nozze col pianto: proibisco di provare ulteriormente”. SIC IUPPITER ORSUS; SIC DEA SATURNIA CONTRA SUMMISSO VULTU: “QUIDEM QUIA ISTA VOLUNTAS TUA MIHI NOTA, MAGNE IUPPITER, INVITA RELIQUI ET TURNUM ET TERRAS; NEC TU ME VIDERES NUNC SEDE AERIA SOLAM DIGNA PATI INDIGNA, SED CINCTA FLAMMIS STAREM SUB IPSA ACIE TRAHEREMQUE TEUCROS IN PROELIA INIMICA = Così Giove esordì; così la Saturnia in risposta con volto sottomesso: “Poichè certamente questa volontà tua mi (è) nota, o grande Giove, contrariata lasciai sia turno che le terre; nè tu mi vedresti (cong. imp.) adesso in una sede aerea, sola, io degna di patire cose indegne, ma cinta di fiamme starei sotto la stessa schiera e trascinerei i Teucri in scontri ostili. IUTURNAM (FATEOR) SUASI SUCCURRERE MISERO FRATRI ET PRO VITA AUDERE MAIORA PROBAVI, TAMEN NON UT CONTENDERET TELAM, NON UT ARCUM; ADIUTO IMPLACABILE CAPUT FONTIS STYGII, UNA SUPERSTITIO QUAE REDDITA DIVIS SUPERIS = Giuturna, confesso, l’ho persuasa a soccorrere (+ dat.) il misero fratello e in cambio della vita a osare cose maggiori, l’approvai, tuttavia non a stringere armi, non l’arco; giuro per l’implacabile sorgente della fonte stigia, il solo giuramento dato agli dei celesti (I cl.). ET NUNC CEDO EQUIDEM RELINQUO PUGNASQUE EXOSA. ILLUD, QUOD TENETUR NULLA LEGE FATI, PRO LATIO TE OBTESTOR, PRO MAIESTATE TUORUM = E ora davvero mi ritiro e lascio le lotte, dopo averle odiate. Di questo, che non è tenuto da nessuna legge del fato, per il Lazio ti prego, per la maestà dei tuoi: CUM IAM COMPONENT PACEM FELICIBUS CONUBIIS (ESTO), CUM IAM IUNGENT LEGES ET FOEDERA, NE IUBEAS LATINOS INDIGENAS MUTARE VETUS NOMEN NEU FIERI TROAS VOCARI TEUCROSQUE AUT MUTARE VOCEM AUT VERTERE VESTEM = quando ormai faranno (f. s.) la pace con mozzi felici (e sia!) (imp. fut.), quando ormai uniranno (“”) leggi e patti, non ordinare (c. pres.) che i Latini indigeni mutino il vecchio nome nè che diventino Troiani (tros, trois) e siano chiamati Teucri o che mutino la lingua o cambino veste. SIT LATIUM, SINT PER SAECULA REGES ALBANI, SIT ROMANA PROPAGÒ POTENS ITALA VIRTUTE: TROIA OCCIDIT, SINAS OCCIDERITQUE CUM NOMINE”. OLLI SUBRIDENS REPERTOR HOMINUM RERUMQUE: “ES GERMANA IOVIS ALTERA PROLES SATURNIQUE: VOLVIS TANTOS FLUCTUS IRARUM SUB PECTORE? = Ci sia il Lazio, ci siano nei secoli i re Albani, ci sia la discendenza romana potente per l’eroismo italo: Troia è caduta, lascia che sia caduta (f. a. e c. perf.) con il nome”. A lei sorridendo il creatore degli uomini e delle cose: “Sei sorella di Giove e altra prole di Saturno, tu smuovi così gravi flutti delle ire nel cuore. VERUM AGE (inter.) ET SUMMITTE FUROREM INCEPTUM FRUSTRA: DO QUOD VIS ET ME REMITTO VICTUSQUE VOLENSQUE. AUSONII TENEBUNT SERMONEM PATRIUM MORESQUE, NOMEN ERIT UTQUE EST; TEUCRI TANTUM COMMIXTI CORPORE SUBSIDENT = Ma su e butta il furore inutilmente assunto: do quel che vuoi e mi rimetto vinto e 30 volentieri. Gli Ausoni terranno la lingua patria e i costumi, il nome sarà come è; i Teucri soltanto misti fisicamente soggiaceranno (f. s.). ADICIAM MOREM RITUSQUE SACRORUM FACIAMQUE OMNIS LATINOS UNO ORE. GENUS QUOD MIXTUM AUSONIO SANGUINE SURGET HINC (avv.), VIDEBIS IRE SUPRA HOMINES, SUPRA DEOS PIETATE, NEX ULLA GENS CELEBRABIT TUOS HONORES AEQUE”. HIS IUNO ADNUIT ET LAETATA RETORSIT MENTEM; INTEREA EXCEDIT CAELO RELINQUIT NUBEMQUE = Aggiungerò (f. s. e c. pres.) tradizione e riti dei culti e farò (f. s. e c. pres.) tutti Latini con una sola lingua. La stirpe che mista di sangue ausonio sorgerà (f. s.) di qui, la vedrai salire sopra gli uomini, sopra gli dei per pietà, e nessun popolo celebrerà le tue lodi allo stesso modo”. A queste cose Giunone acconsentì e allietata distolse la mente; intanto se ne andò dal cielo e abbandonò la nube. Il dolore immortale (vv. 843-866) HIC ACTIS IPSE GENITOR VOLUTAT ALIUD SECUM PARAT DIMITTERE IUTURNAMQUE AB ARMIS FRATRIS. DICUNTUR DIRAE COGNOMINE GEMINAE PESTES, QUAS NOX INTEMPESTA TULIT UNO EODEMQUE PARTU ET TARTAREAM MEGAERAM, REVINXIT PARIBUSQUE SPIRIS ADDIDIT ALAS VENTOSASQUE = Fatte queste cose lo stesso genitore medita altro tra sè e procura di allontanare Giuturna dalle armi del fratello. Si dicono Dire di nome, le pesti gemelle, che la Notte fonda diede con uno stesso unico parto e/insieme alla Tartarea Megera, le legò di uguali spire di serpenti e aggiunse ali ventose. HAE APPARENTE IN LIMINE A DSOLIUM IOVIS SAEVIQUE REGIS ACUUNTQUE METUM MORTALIBUS AEGRIS, SU QYABDI REX DEUM MOLITUR LETUM HORRIFICUM MORBOSQUE, AUT TERRITAT URBES MERITAS BELLO = Queste appaiono sulla soglia al trono di Giove, re inesorabile, e accrescono la paura ai miseri mortali, se a volte il re degli dei organizza la spaventosa morte e le malattie, o terrorizza le città meritevoli di guerra. IUPPITER DEMISIT UNAM HARUM CELEREM AB SUMMO AETHERE IUSSIT OCCURRERE IUTURNAE INQUE OMEN: ILLA VOLAT FERTUR AD TERRAM CELERIQUE TURBINE = Giove inviò una di queste veloce dalla sommità dell’etere e ordinò si imbattesse in Giuturna in presagio: quella vola e si porta sulla terra con celere vortice. NON SECUS (avv.) SAGITTA IMPULSA AC NERVO PER NUBEM, QUAM PARTHUS TORSIT ARMATAM FELLE SAEVI VENENI, PARTHUS SIVE CYDON, TELUM IMMEDICABILE, STRIDENS TRANSILIT ET CELERIS UMBRAS INCOGNITA: TALIS SATA NOCTE SE TULIT PETIVIT TERRASQUE = Non diversamente una freccia scagliata dalla corda attraverso le nuvole, che il Parto ha lanciato armata del fiele di crudele veleno, il Parto o il Cimone, arma irrimediabile, stridendo oltrepassa le celeri ombre, sconosciuta: così la figlia (generata dalla) notte si recò e si diresse sulle terre. POSTQUAM VIDET ACIES ILIACAS ATQUE AGMINA TURNI, CONLECTA IN SUBITAM FIGURAM PARVAE ALITIS, QUAE QUONDAM IN BUSTIS AUT CULMINIBUS DESERTIS SERUM NOCTE SEDENS PER UMBRAS CANTA IMPORTUNA - VERSA IN HANC FACIEM PESTIS OB ORA SE FERTQUE REFERTQUE IN FACIEM TURNI SONANS EVERBERAT CLIPEUMQUE ALIS = 31 Dopo che vede le schiere iliache e le file di Turno, raccoltasi nell’improvviso aspetto di piccolo alato, che a volte su tombe e su tetti deserti tardo, di notte appollaiato nelle ombre canta lugubre, trasformatosi in tale aspetto la peste si porta e riporta sul volto di Turno davanti al volto stridendo e percuote lo scudo con le ali. NOVUS TORPOR ILLI SOLVIT FORMIDINE MEMBRA, COMAE ARRECTAEQUE HORRORE ET VOX HAESIT FAUCIBUS. AT UT PROCUL AGNOVIT STRIDOREM ET ALAS DIRAE, INFELIX IUTURNA SCINDIT CRINIS (es) SOLUTOS UNGUIBUS SOROR FOEDANS ORA ET PECTORA PUGNIS = Uno strano torpore gli snerva di paura le membra, le chiome drizzate di fremito e la voce s’attaccò alla gola. Ma come da lontano riconobbe lo stridore e le ali della Dira, la misera Giuturna si strappa i capelli sciolti con le unghie, da sorella, rovinando il volto e il petto con pugni: “QUID NUNC, TURNE, TUA GERMANA TE POTEST IUVARE? AUT QUID IAM MIHI SUPERAT DURAE? QUA ARTE TIBI MORER LUCEM? ME POSSUM OPPONERE TALIN MOSTRO? IAM IAM LINQUO ACIES = In cosa adesso, Turno, tua sorella ti può aiutare? O cosa ormai resta a me insensibile? Con quale astuzia bloccarti (cong. pres.) la luce? Forse (n) mi posso opporre a tale mostro? Ormai proprio lascio le schiere. NE TERRETE ME TIMENTEM, OBSCENAE VOLUCRES: NOSCO VERBERA ALARUM LETALEMQUE SONUM, NEC FALLUNT IUSSA SUPERBA MAGNANIMI IOVIS. HAEC PRO VIRGINITATE REPONIT? QUO DEDIT VITAM AETERNAM? CUR ADEMPTA EST CONDICIO MORTIS? = Non atterrite me che temo, uccelli funesti: conosco i battiti delle ali e il suono letale, non mi ingannano i superbi ordini del magnanimo Giove. Queste cose in cambio della verginità regala? A che diede una vita eterna? Perchè è stata torta la condizione della morte? POSSEM FINIRE TANTOS DOLORES NUNC CERTE ET IRE PER UMBRAS COMES MISERO FRATRI. IMMORTALIS EGO? AUT QUICQUAM MEORUM MIHI ERIT DULCE, FRATER, SINE TE? = Avrei potuto (cong. imp.) finire così grandi dolori adesso certamente e andare tra le ombre come compagna al misero fratello. Immortale io? Po qualcosa delle mie (cose) mi sarà dolce, fratello, senza di te? O QUAE TERRA SATIS IMA MIHI DEHISCAT, DEMITTAT DEAM AD IMOS MANISQUE?” TANTUM EFFATA CONTEXIT CAPUT GLAUCO AMICTU MULTA GEMENS ET DEA SE CONDIDIT ALTO FLUVIO = O quale terra abbastanza profonda per me s’aprirebbe (cong. pres.), e caccerebbe una dea tra i Mani profondi?”. Appena sfogatasi coprì il capo con il glauco mantello molto gemendo e la dea si nascose nel fiume profondo. Epilogo in terra: la morte di Turno (vv. 887-952) AENEAS INSTAT CONTRA CORUSCAT TELUMQUE INGENS ARBOREUM, ET SIC SAEVO PECTORE FATUR: “NUNC QUAE MORA DEINDE EST? AUT QUID IAM, TURNE, RETRACTAS? = Enea incombe davanti e vibra un dardo gigantesco di legno, e così con furiosa ira parla: “Adesso che indugio dunque è? O perchè già, Turno, ti ritiri? 32