Scarica Trascrizione completa "STORIA DELLA FILOSOFIA" (12 CFU) - Valentini Tommaso e più Sbobinature in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! Origine E Significati Di “Filosofia” “FILOSOFIA”-> termine di origine greca: indica l’amore e la tensione ideale (phileo), per la sapienza (sophia) SAPIENZA: origine della realtà nel suo insieme, compreso l’uomo Filosofia: termine generale che indica la ricerca dei principi fondamentali e costitutivi del reale -> si occupa di molti ambiti (è multidisciplinare) È innanzitutto logica, arte del ragionare. È REGINA DELLE SCIENZE in quanto tutte le altre scienze sono racchiuse nella parola filosofia, e che trova in Pitagora la sua prima esplicita espressione La filosofia è: ONTOLOGIA: ricerca dell’essere e dei suoi principi primi METAFISICA: riflessione delle realtà che vanno oltre delle cose sensibili ETICA: si occupa di dei costumi e in relazione ad essa è filosofia politica (indica chi deve comandare e why) ESTETICA, è riflessione sulle cose della sensibilità, si occupa di ciò che riteniamo bello e sublime KARL JASPERS Mise in rilievo i 3 atteggiamenti psicologici fondamentali da cui è nata tanta parte dell’indagine filosofica: 1. Nel mondo greco classico: la MERAVIGLIA (il thaumazein). Davanti al cielo stellato si vuole cercare la causa della creazione del cosmo 2. Nel mondo moderno: lo SCETTICISMO. Cartesio fece del dubbio il metodo stesso dell’indagine filosofica 3. Nel mondo contemporaneo: l’ANGOSCIA. È il senso stesso della nostra esistenza precaria. Origini Del Pensiero Greco Le civiltà orientali e pre-elleniche svilupparono complesse “visioni del mondo” di carattere religioso, mitologico e sapienziale, elaborando COSMOGONIE (miti, dottrine che forniscono un’interpretazione dell’origine e della formazione dell’universo) e TEOGONIE (miti, dottrine che raccontano la storia e la genealogia degli dei grei) e conferendo un senso totale alle vicende umane. Esempi: Civiltà indiana e induismo, Buddhismo (da un senso globale al tema del dolore che caratterizza la vita dell’uomo, offrendone una via d’uscita: Nirvana) Persia (VII sec a.C.), Zarathustra interpretava il mondo come gigantesco campo di battaglia tra un principio del bene (Dio Ohrmudz) e un principio del male (Dio Ahriman) Cina (VI sec a.C.), Lao-Tze, autore della dottrina del Tao: principio metafisico in virtù del quale “la grande fiumana dell’essere nasce dalla vita”. A lui si oppose Confucio, fautore della tradizione e dell’ordine politico Tra il VII e il V sec a.C. vi fu un generale fiorire spirituale delle civiltà definito da Karl Jasper come “PERIODO ASSIALE” (Achsenzeit) Nel mentre, in GRECIA (a partire dal VII secolo), sorse una nuova forma di pensiero: la FILOSOFIA, cioè la completa autonomia rispetto all’ambito del religioso e del mitologico, caratterizzata dall’INDAGINE RAZIONALE che si serve del logos. La filosofia nasce in Grecia come spiegazione razionale delle cause e dei principi (aitiai e archai) che generano la natura i suoi dinamismi. -> I primi filosofi greci (i cosiddetti fisici della Scuola di Mileto) si interrogarono sulla realtà della natura (physis) nella sua totalità, ricercandone le cause e i principi indipendentemente dalle spiegazioni di carattere mito-poietico. Perché la filosofia nasce in Grecia? -> risposte di carattere storico e politico ー La filosofia nasce all’interno delle poleis come discorso razionale autonomo che cerca la spiegazione dei fenomeni naturali indipendentemente dalle mitologie e dai testi sacri delle religioni > La religione greca è di carattere politeista, il che comporta una certa libertà di interpretazione dei miti. In Grecia non c’è un solo testo sacro come può essere la Bibbia, ma c’è una pluralità di testi sacri che è alla base della libertà di interpretazione ー La filosofia è frutto anche della libertà politica, della PARRESIA. La filosofia nasce con l’origine stessa della DEMOCRAZIA: esse vanno di pari passo, poiché la prima è sinonimo di libertà di espressione. JEAN PIERRE VERNANT rottura mythos/logos Afferma un primato e un’autonomia del Logos rispetto al Mythos. Scuole di pensiero inglesi affermano come tra la spiegazione mitologica e quella razionale vi sia una continuità, al contrario, Vernant, afferma una discontinuità, una rottura: da un certo punto le persone hanno iniziato a interpretare il reale criticando implicitamente anche la mitologia. Inizialmente il termine Mythos (parola, racconto) non si oppone a quello di Logos, il cui senso primario è quello di parola, discorso, prima di intendere intelligenza e ragione. È nella Grecia del VI secolo che il Mythos, contrapposto al Logos, si carica di sfumature peggiorative e designa una concezione senza fondamento, che non poggia su una dimostrazione rigorosa e razionale. ->ANALISI CONDIZIONI NASCITA FILOSOFIA Verant analizza le condizioni sociali, politiche ed economiche che consentirono la nascita della filosofia nelle colonie greche della Ionia (attuale Turchia) e in Magna Grecia. Le colonie erano caratterizzate da una maggiore libertà politica rispetto alla madre patria: il che permetteva una rapida democratizzazione ed emancipazione delle tradizioni religiose. Nel corso del V secolo a.C. la democrazia si affermerà anche ad Atene, diventerà la “scuola della Grecia” La filosofia (in quanto ricerca razionale e libera dalla religione ufficiale) nasce dunque anche grazie all’evoluzione democratica della Polis: ciò segna una rottura con le monarchie assolute delle culture limitrofe (Mesopotamia ed Egitto) Sono due le parole chiave che descrivono la vita politica in Grecia: isonomia e parresia. > nella cultura democratica, gli uomini, da sudditi diventano liberi cittadini e tutti uguali davanti alla legge (ISONOMIA) e liberi di esprimere pubblicamente le proprie idee nelle assemblee (PARRESIA) I 5 Periodi Filosofia Greca 1) PERIODO COSMOLOGICO Comprende tutte le scuole prima dell’avvento della sofistica. È dominato dal problema di trovare il “principio della natura” (archè tes physeos) che garantisce l’ordine del cosmo e alla conoscenza umana. Es: scuola di Mileto. 2) PERIODO ANTROPOLOGICO Comprende i Sofisti e Socrate. È dominato dal problema dell’uomo (essenza della virtù e della vita politica) 3) PERIODO ONTOLOGICO-METAFISICO Comprende Platone ed Aristotele. È dominato dal problema dell’essere e dei principi primi che costituiscono il reale e l’uomo stesso. 4) PERIODO ETICO Comprende le filosofie dell’età ellenistica: lo stoicismo, l’epicureismo, lo scetticismo e il cinismo. È dominato dal problema della condotta dell’uomo. 5) PERIODO METAFISICO-RELIGIOSO Comprende le scuole neoplatoniche, le varie correnti dello gnosticismo e le prime forme di filosofia cristiana. È dominato dal problema di trovare per l’uomo la via del ricongiungimento con il divino. Fonti Storiografiche Filosofia Antica ー De anima e Metafisica di Aristotele. Nel primo libro di entrambe le opere egli riporta le opinioni dei suoi predecessori sui temi della costituzione dell’essere e dell’anima umana. In tal modo si qualifica come il primo storico della filosofia consapevole di esserlo. ー Vita e dottrine dei più celebri filosofi di Diogene Laerzio. Costituisce la più rilevante raccolta bibliografica e dosso grafica sui filosofi greci (da Talete ad Epicuro). ー Diels-Kranz. Raccolta delle testimonianze dei frammenti relativa ai primi filosofi del mondo greco terminata nel 1903 dal filologo tedesco Hermann Diels, poi arricchita e completata dal suo allievo Walter Kranz, fino ad arrivare all’edizione definitiva del 1952: per questo la raccolta viene ancora oggi indicata come Diels Kranz (sigla: DK) SCUOLA DI MILETO Nel corso del VII e VI secolo a.C. si sviluppò nella regione della Jonia, ed in particolare nella città di Mileto, la prima vera scuola filosofica del mondo greco. I concetti base di questa prima esperienza filosofica sono: NATURALISMO e ILOZOISMO I cosiddetti “fisici (perché studiosi della natura->physis) della Scuola Di Mileto” ricercano l’elemento fondamentale, vivente e dai caratteri divini che permea (si estende in) tutta la natura, dando ad essa ordine e armonia. > Interpretano tutto il reale come materia vivente da un unico principio (che sia l’acqua o l’aria) TALETE DI MILETO: il primo dei filosofi nella storia del pensiero occidentale. Dobbiamo ad Aristotele la conoscenza della dottrina fondamentale di Talete: “Talete dice che il principio (arché) è l’acqua (hydor), perciò sostenne che anche la terra sta sopra l’acqua. A suo parere, i semi di tutte le cose hanno una natura umida e l’acqua è il principio della natura delle cose” ANASSIMENE: vedeva nell’aria (pnèuma) il principio di tutta la natura (physis), grazie due processi opposti ed eterni di rarefazione e condensazione. L’aria è l’essenza dell’anima umana, così come sostiene e vivifica il mondo. Secondo Parmenide il divenire è solo apparenza (a differenza dell’opinione comune del popolo e di alcune filosofie errate), la vera realtà è fondata in un essere eterno ed immutabile, unico e necessario. Tali modalità dell’essere hanno i caratteri della NECESSITÀ. I FISICI PLURALISTI Aristotele afferma che la filosofia dei cosiddetti fisici pluralisti costituisce un tentativo di operare una sintesi tra eraclitismo (Eraclito, posizione fondata sul divenire delle cose) ed eleatismo (Parmenide, posizione fondata sull’immutabilità dell’essere). I pluralisti intendono “salvare i fenomeni” coniugando l’immutabilità dei principi primi con il dinamismo del reale. ->EMPEDOCLE Secondo Empedocle tutti i fenomeni fisici dipendono da 4 radici fondamentali: aria, acqua, terra e fuoco. Tutto ciò che vediamo potrebbe essere riportato solidi (terra), liquidi (acqua), gassosi (aria), a luce e calore (fuoco). Il movimento dei 4 elementi è determinato da due principi fondamentali di unione e rottura: Amore e Contesa Anche gli uomini sono costituiti dai 4 elementi: c’è un’omogeneità ontologica tra l’uomo e il mondo. La conoscenza avviene attraverso gli effluivi che le cose esteriori mandano all’uomo. Per Empedocle “il simile conosce il simile”: “con la terra che è in noi percepiamo la terra, l’acqua con l’acqua, l’aria con l’aria divina, il fuoco con il fuoco distruttore, l’amore con l’amore e la contesa con la contesa funesta” (DK) ->ANASSAGORA Nel 437 a.C. ad Atene fu accusato di “empietà” (ateismo, irreligiosità, miscredenza) e dopo un processo fu costretto ad abbandonare la città. Fu il primo vero conflitto tra filosofia e credenze mitico-religiose. A differenza di Empedocle, Anassagora non ammette solo 4 elementi fondamentali, ma un’infinità di semi, che poi Aristotele chiamò omeomerie, cioè sostanze uguali ed omogenee. L’ordine del mondo è il prodotto di un’Intelligenza che dal caos primordiale delle omeomerie ha prodotto leggi della natura. -> DEMOCRITO Atomismo Leucippo (maestro di) e Democrito furono esponenti dell’atomismo ripreso da Epicuro ed esposto in versi da Lucrezio. Secondo Democrito la realtà è costituita da un numero infinito di piccolissimi corpuscoli indivisibili detti atomi ( “indivisibile”: scaturisce dall’unione di “alfa privativo” + “tagliare”) > gli atomi sono ingenerati e indistruttibili, eterni e immutabili: in tal modo il principio parmenideo dell’immutabilità dell’essere è ancora valido > gli atomi, muovendosi nel vuoti, si urtano, si uniscono e si disgregano producendo la vita e la morte di tutti gli esseri: in tal modo è affermato il principio eracliteo del divenire. SVILUPPI ATOMISMO DI DEMOCRITO Per Democrito il movimento degli atomi nel vuoto crea infiniti mondi, tra cui il nostro. > Il movimento degli atomi è regolato da una forza meccanica che esclude ogni idea di finalità e provvidenza. Tale meccanismo è stato spesso interpretato come pura casualità: Dante Alighieri in Inferno descrive Democrito come “colui che il mondo a caso pone” e gli atomisti epicurei come “coloro che l’anima con il corpo morta fanno”. INTERPRETAZIONI ATOMISMO DI DEMOCRITO La cultura cristiana e medievale ha interpretato l’atomismo come la filosofia atea per eccellenza; nel Novecento si è avuta una generale rivalutazione dell’atomismo come filosofia che anticipa gli sviluppi della scienza moderna. SOFISTICA Sviluppo In Democrazia Ateniese I sofisti erano sapienti, cioè maestri della retorica, docenti dell’arte oratoria nell’Atene del V secolo a.C. caratterizzata dallo sviluppo della democrazia. Socrate e Platone (suo discepolo) giudicheranno negativamente la sofistica, affermando che essa è una “falsa sapienza”: ai sofisti non interessa la ricerca della verità ma dell’utile, della persuasione, il loro fine insegnare ai giovani la retorica per poter prevalere nei dibattiti politici-> uso del linguaggio in maniera strumentale è a partire dalla condanna platonica che verrà generalmente valutata negativamente la sofistica Nel Novecento vi fu una rivalutazione del mondo della sofistica: > Werner Jaeger e il grecista italiano Mario Untersteiner rivalutarono il movimento della sofistica, inserendolo nel suo contesto di sviluppo (democrazie ateniese): è stato perciò colto il valore di questo movimento anche sotto il profilo riflessivo, culturale e pedagogico La sofistica è una tipica espressione della Paideia greca, cioè dell’educazione civile e del cittadino. Per poter partecipare attivamente alla democratica il cittadino deve essere esperto nell’arte della parola. I sofisti sono i maestri dell’arte retorica. Margherita Isnardi Parente ha sottolineato il nesso tra il movimento dei sofisti e lo sviluppo della democrazia in Grecia, in particolare, nell’Atene del V secolo a.C. la cosiddetta età di Pericle > Dopo la vittoria delle guerre persiane Atene diviene la potenza egemone nella Grecia, sviluppando arti come la tragedia, la commedia e la scultura. > Con le riforme di Solone e di Clistene la città di Atene assume una forma politica democratica. Tutti cittadini maggiorenni (ad eccezione di donne, stranieri e schiavi) possono partecipare la vita politica della città. Per questo devono necessariamente acquistare la capacità di parlare abilmente in pubblico. La democrazia greca è caratterizzata da due aspetti: isonomia e parresia. > nella cultura democratica, gli uomini, da sudditi diventano liberi cittadini e tutti uguali davanti alla legge (ISONOMIA) e liberi di esprimere pubblicamente le proprie idee nelle assemblee (PARRESIA) ->PROTAGORA Le fonti antiche ci riportano i nomi di 26 sofisti operante nell’Atene del quinto VI secolo a.C.: tuttavia non disponiamo delle loro opere complete in quanto ci sono giunti solo dei frammenti. Le figure di maggior rilievo di cui possediamo più frammenti sono: Protagora e Gorgia. Di rilievo sono anche alcuni brevi testi di Antifonte Protagora, secondo la testimonianza di Diogene Laerzio, fu allievo di Democrito: soggiorno ad Atene, fu maestro di retorica amico dello stesso Pericle. Ciò nonostante fu costretto ad abbandonare Atene per la pubblica accusa di empietà. La dottrina fondamentale di Protagora è quella dell’uomo-misura: “l’uomo è misura di tutte le cose, di quello che sono per ciò che sono e di quelle che non sono perciò che non sono. Le singole cose appaiono a me come sono per me, e quelle che appaiono a te lo fanno come sono per te” Considerata globalmente, la posizione di Protagora, è una tipica espressione dell’umanesimo greco: ciò che si afferma o si nega della realtà presuppone sempre l’uomo come soggetto del discorso, come baricentro del giudizio: ogni giudizio presuppone una coscienza umana che lo pone. > Protagora afferma che il nostro sguardo sulla realtà è sempre prospettico: non esiste uno sguardo da nessun luogo, siamo sempre in prospettiva, e in quanto tale il nostro sguardo è sempre relativo. La posizione di Protagora è anche una forma di: 1. FENOMENISMO Noi non abbiamo mai a che fare con la realtà in sé, ma con il fenomeno, ossia con la realtà quale appare a noi. Nella filosofia moderna il tema dei fenomenismo conoscitivo troverà in Kant uno dei suoi più rilevanti sostenitori. 2. RELATIVISMO CONOSCITIVO E MORALE Non esiste una verità assoluta, sciolta dai vari punti di vista, ma la verità i modelli di comportamento (etica) sono sempre relativi a chi giudica nell’ambito di una certa situazione 3. AGNOSTICISMO O SCETTICISMO RELIGIOSO “Quanto agli dei non posso dire che ci siano anni che non ci siano né che aspetto abbiano, opponendosi a ciò molte cose: l’oscurità del problema e la brevità della vita dell’uomo” > per questo scritto sugli dei, Protagora fu cacciato in esilio dagli ateniesi e i suoi libri bruciati in piazza” SOFISTICA E RELATIVISMO CULTURALE A Protagora attribuita anche un’opera (andata perduta) dal titolo antologie, cioè “Discorsi contraddittori”. > Tale opera ha influenzato uno scritto anonimo greco dal titolo i “Discorsi doppi/contraddittori”, dove si prende in esame il relativismo culturale, ovvero la disparità di valori che caratterizza le diverse civiltà umane. > Ciò che è bene ed eticamente corretto in un luogo è eticamente scorretto in un altro: prospettivismo e relativismo culturare -> GORGIA Al soggettivismo e al relativismo di Protagora sì collega Gorgia, il quale fu autore di uno “scetticismo gnoseologico e metafisico”: egli sostiene che il linguaggio dell’uomo è impotente a definire l’essere così come esso è; con il linguaggio non possiamo indicare l’intima struttura del reale. “L’ENCOMIO DI ELENA” In questo testo Gorgia, servendosi di sottili argomentazioni, cerca di assolvere Elena dall’accusa di aver scatenato la guerra di Troia abbandonando il marito. Per Gorgia non può essere giudicato colpevole chi è vittima della potenza della parola (in questo caso, del discorso seducente di Paride): fu la parola persuadere Elena e a illuderla. ->Sofisti: Problema Politico-Antifonte Dei frammenti che ci sono pervenutiti presumiamo che i sofisti si sono occupati molto del complesso rapporto tra natura e legge e, più in generale, del problema politico con il connesso sviluppo della democrazia. In un frammento di Antifonte troviamo la difesa dell’isonomia (uguaglianza di tutti di fronte alla legge), la legittimazione della democrazia e la visione di un’uguaglianza ontologica tra i greci e i barbari: “di natura tutti siamo assolutamente uguali, sia greci che barbari. Basta osservare le necessità naturali propria di tutti gli uomini” SOCRATE Socrate non ci ha lasciato opere scritte, lasciando la sua filosofia all’oralità e alle testimonianze dei suoi discepoli. Tra le principali fonti per conoscere la vita il pensiero di Socrate vi sono: ー I dialoghi del suo discepolo Platone, in particolare i primi scritti platonici come l’Apologia di Socrate ー Lo storico Senofonte che nei suoi Memorabili riproduci alcuni dialoghi svoltesi tra Socrate e altri personaggi ー La commedia di Aristofane Le nuvole, che fa una caricatura grottesca della figura di Socrate, dipingendolo come un sofista corruttore di giovani. La commedia si chiude con la decisione di Strepsiade di dar fuoco alla scuola del sofista Socrate per evitare che faccia altri danni corrompendo altri giovani. -L’umanesimo socratico Con i sofisti e Socrate la filosofia inizia ad occuparsi prevalentemente dell’uomo dei problemi etici: diviene riflessione di carattere antropologico e morale. Socrate non nega la legittimità dei problemi posti dei sofisti, ma rifiuta le loro conclusioni spesso scettiche. Per Socrate la filosofia è aperta “ricerca” della verità e del bene. Compito della filosofia è l’educazione alla virtù. “Conosci te stesso” è il motto inciso in fronte al tempio di Delfi e del moto della dottrina socratica. Con questa espressione Socrate invita l’uomo a cogliere la verità nella propria interiorità, aldilà delle apparenze sensibili e mutevoli -Metodo Socratico: dialogo, ironia e maieutica L’oracolo di Delfi indica in Socrate il più saggio di tutti greci poiché egli “sa di non sapere”, è cosciente dei suoi limiti conoscitivi e si mette alla ricerca della verità tramite il dialogo. Questo dialogo socratico si svolge in due momenti precisi: 1. L’IRONIA (momento negativo, confutatorio) Allo scopo di produrre nell’anima dell’interlocutore uno stato di dubbio sulle sue presunte certezze. Socrate si finge ignorante e chiede di essere illuminato da chi si dichiara sapiente: attraverso una serie di domande incalzanti spinge l’interlocutore a confessare la propria ignoranza. 2. LA MAIEUTICA (momento costruttivo ed educativo) In questa fase di dialogo, l’anima dell’interlocutore libera dalle false opinioni e si avvia a generare nel proprio intimo la verità. L’arte del maestro, che aiuta il discepolo la conquista della verità, detta maieutica ovvero “arte dell’ostetrica”: come l’ostetrica aiuta le donne a partorire un figlio, così Socrate assiste gli uomini a partorire la verità, senza fornirla direttamente affinché essa sia una conquista personale. L’educazione per Socrate intesa come un’ autoeducazione L’interesse che muove Socrate è sempre di tipo morale (rendere virtuosi il uomini), al quale si aggiunge un interesse teoretico: la ricerca dell’essenza della virtù, di ciò che la rende universale. Aristotele afferma che Socrate ha scoperto il procedimento induttivo, cioè che parte dai singoli casi particolari ai concetti universali: l’induzione è un procedimento logico che consiste nel risalire da molti casi particolari, simili tra loro, ad un unico carattere che tutti gli accomuna, detto appunto l’universale ossia il concetto.. -Eduaimonismo e intellettualimo etico socratico Socrate identifica la virtù con la felicità: quando l’uomo, ha raggiunto la sua virtù (perfezione), è pienamente realizzato se stesso: non può non provare quel senso di pienezza e di soddisfazione in cui consiste la felicità. Secondo Socrate, chi conosce il bene deve necessariamente metterlo in pratica, mentre chi compie il male non lo fa per cattiva volontà ma solo per ignoranza del vero bene. Per Socrate nessuno fa il male volontariamente. Questa posizione è stata definita come intellettualismo etico, intendendo un’indebita sopravvalutazione dell’intelletto rispetto la volontà, alle emozioni e agli altri fattori che determinano l’azione. -Filosofia come stile di vita e testimoninanza -Critica democrazia come demagogia Dopo aver descritto lo Stato ideale, cioè l’ARISTOCRAZIA, fondato sul principio che governare debbano essere i migliori, cioè i sapienti (filosofi), Platone nell’VIII libro della Repubblica passa ad indagare le quattro forme di governo che considera corrotte ed ingiuste. Secondo Platone la democrazia può degenerare in forme di demagogia (governo sconsiderato delle masse) 1. Timocrazia 2. Oligarchia 3. Democrazia 4. Tirannide Nella Repubblica il re-filosofo è legibus solutus: egli quando conosce il bene in sé e la giustizia non ha bisogno di essere sottoposta alla legge. Il tema della legge emerge nel Politico e diviene centrale nell’ultimo grande dialogo di Platone, Le Leggi. -> IL POLITICO Nel Politico l’arte di governo del saggio viene paragonata all’arte del nocchiero e del medico. Platone sostiene che non si devono legare le mani (tramite le leggi) a coloro che, esperti nelle tecniche, sono essi stessi leggi viventi. Tuttavia già nel politico Platone sostiene che al di fuori dello Stato ideale da lui delineato, le costituzioni debbano darsi realisticamente dei principi normativi. -> LE LEGGI Nelle Leggi, pur ribadendo gli ideali regolativi del re filosofo e dello Stato ideale, la proposta di Platone diviene più realistica e storicamente è fattibile: egli propone un governo in cui i sovrani siano le leggi e non l’arbitrio. -Proposta “costituzione mista” Nelle Leggi Platone propone quindi l’instaurazione di una costituzione mista: si tratta di una costituzione democratica sorvegliata tutta via da un Consiglio Notturno che controlla lo svolgersi di tutta la vita politica, la cui autorità si fonda su una sapienza di tipo religioso e teologico. -Interpretazioni di K. Popper ed Eric Voegelin Nel volume intitolato “La società aperta e i suoi nemici” di Karl Popper (pensatore liberale) del 1945, egli interpreta la posizione politica di Platone come antidemocratica ed illiberale > Quella di Platone sarebbe una posizione politica tribale e totalitaria: la Repubblica delinea uno Stato ideale fermo ad ogni mutamento socio politico: pone come ideale utopico uno Stato pietrificato, strutturato su una rigida divisione delle classi e sull’esclusivo dominio dei re-filosofi Al contrario, Eric Voegelin, nella sua opera del 1956 “Ordine Storia”, critica che attualizza Platone in chiave polemica, come un persecutore del totalitarismo, citato Popper. > Voegelin mette in luce tutti gli errori del proiezionismo storico, che impone al passato gli schemi del presente, al fine di trovarci amici (da esaltare) o nemici (da combattere). -Filosofia e mitologia in Platone Nei suoi dialoghi Platone ricorre spesso al mito, cioè ad un racconto fantastico e simbolico che interrompe talvolta ragionamento e lo continua in forma poetica. Tra i miti più celebri the sono sicuramente: ー Il mito di Eros - Simposio ー Il mito della biga alata - Fedro ー Il mito di Theuth - Fedro ー Il mito di Prometeo - Protagora ー Il mito di Gige - Repubblica ー Il mito della caverna - Repubblica ー Il mito di Er - Repubblica Con questi miti Platone cerca di dare una spiegazione non logica ma poetica di questi problemi che oltre passano l’esperienza e la ragione stessa: con il mito egli afferma quelle verità (es. Immortalità dell’anima) di cui egli è convinto intimamente, ma delle quali non so dare una compiuta dimostrazione razionale. --IL MITO DI EROS Nel Simposio Platone ci presenta il celebre mito di Eros: egli è un demone, un essere intermedio tra gli immortali mortali, figlio della ricchezza di sapienza e della povertà di saggezza. Eros simboleggia la tendenza dell’anima verso il mondo delle idee-forme, che soffre data la sua lontananza, in quanto le ricorda la gioia provata durante la sua permanenza in quel mondo. Da qui l’aspirazione verso l’ideale di bellezza che inizia con l’amore delle cose belle di natura, prosegue con la graduale liberazione dai legami sensibili e la progressiva ascensione verso il mondo dell’Iperuranio e si conclude con la pura visione del Bello in sé. Le idee-forme sono in generate in corruttibili, eterne, immutabili e immateriali; esse sono i principi intellegibili e ontologici in base ai quali il Demiurgo a plasmato tutto il mondo sensibile, dando adesso ordine, senso e misura. -“seconda navigazione” come scoperta del mondo delle idee Fra il mondo delle idee e il mondo sensibile esiste una profonda contrapposizione, un DUALISMO, eppure Platone sottolinea che i due mondi devono essere collegati (superare questo dualismo) da un rapporto di connessione che egli delinea in triplice modo: a) Parla di metessi, cioè di partecipazione delle cose alle idee-forme dell’iperuranio b) Parla di mimesi, cioè di imitazione per cui le cose sono copie delle idee-forme c) Parla di parusia, cioè di presenza delle idee nelle cose Nel dialogo Parmenide, Platone afferma che “le idee sono dei modelli della natura e che le cose assomigliano ad esse e nessuno copie o imitazioni; la partecipazione delle cose alle idee non consiste altro che nell’assomigliare ad esse” Mentre i primi filosofi del mondo greco (cosiddetti naturalisti presocratici) si sono fermati alle cause naturali della spiegazione dei fenomeni (aria, fuoco, acqua…), Platone cerca di andare oltre, indagando le cause soprannaturali e metafisiche. > nel Fedone, Platone definisce l’indagine dei naturalisti come una “prima navigazione”, cioè come una navigazione intellettuale effettuata rimanendo vicino alla costa, ovvero vicino alla natura. > Platone intende investigare la “causa vera” dei fenomeni naturali e per questo è necessaria una “seconda navigazione”, cioè un “navigazione intellettuale” che si allontana dalla sfera empirica e naturalistica per accedere alla sfera metafisica, tramite la forza del ragionamento e della dialettica o La “seconda navigazione” è una metafora tratta dal mondo marinaresco: viene usata da Platone per indicare la sua ricerca della vera causa dei fenomeni naturali: il mondo delle idee-forme PLOTINO - Il Neoplatonismo L’ultima grande filosofia pagana (in contrapposizione al cristianesimo nell’età tardo antica) è il neoplatonismo. Iniziato da Plotino (III secolo d.C.), il quale elabora una sintesi originale del platonismo, aristotelismo e storicismo, con elementi desunti dal confronto critico con la religione ebraica e cristiana. Il pensiero di Plotino ha un carattere essenzialmente spirituale e mistico, il cui esito finale è la contemplazione e il distacco dalle cose terrene. Tuttavia egli è stato erroneamente definito come un “Platone senza politica”. Egli aveva in mente il progetto (mai realizzato) di fondare in Campania una città ispirata al modello platonico della Repubblica. -Le “enneadi” Le lezioni di Plotino furono raccolte sistemate dal suo discepolo Porfirio, in sei gruppi (6 Enneadi) contenenti ciascuno nove trattati: ー Questi 54 trattati delineano il processo di ascesa del filosofo dal mondo sensibile al mondo intelligibile, dal mondo corporeo a quello spirituale. Si tratta di un processo molto simile a quello delineato da Platone nel Simposio, nel Fedro e nella Repubblica ー Scopo della filosofia, per Plotino, è quello di “scolpire la propria statua”: il filosofo si deve distaccare dalle cose terrene per arrivare a contemplare il divino che è nella propria anima e che è il principio spirituale di tutta la realtà La filosofia, per Plotino, è un’indagine sul proprio “paesaggio interiore”, a partire dal quale si arriva a contemplare il fondamento del reale, che pure un pensiero impuro mondo delle idee e forme: l’Uno. Quella delineata da Plotino è una “METAFISICA DELLA PARTECIPAZIONE”: le cose sono belle/buone e poi che partecipano delle forme intelligibili, contenuta è tutta nel fondamento metafisico del mondo: l’Uno. -L’estetica Parlando dell’ARTE Plotino non accetta il discorso platonico e si distacca dalla sua critica all’arte come mimesis, cioè come “copia della copia del mondo ideale”. > proprio perché le cose naturali sono imitazioni dell’intelligibile, le riproduzioni artistiche delle cose naturali rimandano all’intelligibile e perciò sono belle. Questa rivalutazione dell’arte sarà ampiamente ripresa e valorizzata nell’umanesimo fiorentino del 400 e dirigerà gli sviluppi del Rinascimento -TRIADE METAFISICA: Uno, Intelletto e Anima - Materia La realtà divina, il supremo principio di tutte le cose, è l’unità assoluta, fondamento di ogni molteplicità. Tuttavia per Plotino l’Uno è inesprimibile: è unità, bene cause del reale. Per parlare di lui possiamo utilizzare solo il linguaggio metaforico simbolico, “un linguaggio della negazione”: ー Per Plotino dell’uno si può dire solo ciò che esso non è: egli inaugura perciò la cosiddetta “teologia negativa” -> PROCESSO DI EMANAZIONE Tutte le cose derivano dall’Uno per emanazione. L’uno non può non uscire da sé stesso per la sovrabbondante energia che possiede, non può non traboccare. L’Uno è paragonata ad una sorgente inesauribile che riserva le sue acque in tutti i fiumi senza esaurirsi mai; è paragonato anche al sole che irraggia intorno luce e calore senza mai consumarsi, o al fuoco che propaga a caldo. EMANAZIONE PLOTININA E CREAZIONISMO BIBLICO: LE DIFFERENZE Il processo emanativo è un atto necessario involontario, in quanto l’Uno non può non emanare. È, invece, la CREAZIONE (dal nulla) è un atto volontario e libero da parte di un Dio che ama. > inoltre, per Plotino, la realtà emanata (il mondo) è della stessa essenza dell’uno; invece le cose create non conservano la stessa sostanza del creatore biblico, si distinguono pur dipendendo da lui. Nelle Enneadi, Plotino, descrive il processo di emanazione dall’Uno: avviene per gradi via via sempre meno perfetti, come i raggi solari perdono di luce di calore man mano che si allontanano dalla sorgente. Questi gradi sono: l’Intelletto, l’Anima e il mondo corporeo, cioè la materia > l’Uno, l’Intelletto e l’Anima costituiscono le tre sostanze del mondo intelligibile; 1. L’INTELLETTO è il primo grado dell’emanazione. In esso l’Uno si sdoppia in soggetto pensante (attività intellettiva) e di oggetto pensato. > Mentre secondo Platone ogni singola idea è modello per tutti gli individui della stessa specie; secondo Plotino le idee sono tante quante sono gli individui 2. L’ANIMA del mondo è il secondo grado dell’emanazione. Essa procede dall’Intelletto ed è intermediaria fra il mondo intelligibile e il mondo sensibile. Da una parte è rivolta all’intelletto, contempla le molteplici idee accogliendole, dall’altra dà forma alla natura sensibile secondo i modelli eterni contemplati. 3. L’ultimo grado dell’emanazione è il MONDO SENSIBILE, costituito dall’anima universale che informa la materia mediante le idee dell’intelletto. > Nella prospettiva neoplatonica, la materia rappresenta il non essere e l’assoluta negatività > il male viene concepito non come realtà esistente, bensì come mancanza, assenza di bene, in quanto è identificato con la materia. La triade intelligibile di Plotino presenta analogie con il concetto cristiano di Trinità. Esiste però una fondamentale differenza: le tre persone della trinità cristiana sono di uguale natura, le tre ipostasi di Plotino sono via via degradanti e meno perfette. > Sotto il profilo culturale il neoplatonismo si qualifica come l’ultima filosofia in difesa del paganesimo. -Processo ascensionale dell’anima umana L’uomo è una realtà del mondo sensibile ed è perciò costituito di un principio spirituale (anima, che contempla le isee dell’intelletto) e di un principio materiale (corpo, che proviene dalla materia). Compito etico filosofico dell’anima è quello di liberarsi dal corpo (considerato la tomba dell’anima) e dai sensi, per tornare all’uno. Questo processo ascensionale si compie attraverso 4 gradi : 1) L’esercizio delle virtù civili (sapienza, fortezza, temperanza e giustizia). Conversione del mondo sensibile in spirituale. Seguendo queste virtù l’uomo si avvicina all’Uno poiché si libera dalle passioni e dagli inganni sensibili, sottomettendosi alla ragione. 2) Contemplazione dell’arte dell’amore. L’opera d’arte racchiude una bellezza ideale che trascende l’oggetto materiale in cui si concretizza e rimanda all’Anima universale che ha riversato nelle cose del mondo la luce delle idee e dell’intelletto. Anche l’amore, suscitato dalla bellezza fisica di un corpo trasfigurato idealmente, fa risalire dal mondo naturale e quello spirituale. 3) La contemplazione filosofica ha come apice l’intuizione immediata del mondo delle idee (dell’intelligibile). Con essa l’anima individuale raggiungere la beatitudine che poi si proietta nell’eternità. 4) L’esito della contemplazione filosofica autentica è l’estasi, il più alto grado di intuizione mistica. Essa indica letteralmente “l’uscita fuori di sé dalla mente” per l’immersione nell’uno divino, infinito e ineffabile. o L’estasi è l’unione con l’uno, in cui l’anima individuale si dissolve: si annulla ogni distinzione di soggetto conoscente e di oggetto conosciuto. Si tratta di un’immersione nell’assoluto, l’uomo diviene partecipe della stessa vita divina. PROCLO Obbiettivo: raccogliere gli insegnamenti metafisici contenuti in Platone e Plotino, dando ad essi una forma sistematica PROCESSO TRIADICO: MONÉ, PRODOS, EPISTROPHÉ Il problema speculativo fondamentale del neo platonismo è quello posto da Platone nel dialogo Parmenide: si tratta del problema dell’uno e dei molti (come può un principio unico e assoluto essere il produttore del mondo inteso come molteplicità di enti?) Es: la spiga è in potenza (possibilità) di diventare chicco di grano; il seme è in potenza di divenire albero. -DIVENIRE COME PASSAGGIO DALLA POTENZA ALL’ATTO L’ontologia di Aristotele costituisce una sintesi tra il divenire di Eraclito e la concezione parmenidea dell’essere: come affermava Eraclito, tutti gli enti sono in divenire, poiché sono caratterizzati dal passaggio dalla potenza all’atto; in Aristotele però si trova il principio dell’immutabilità dell’essere: l’individuo che diviene, pur mutando nei suoi caratteri particolari, rimane sempre lo stesso individuo ed appartiene alla medesima specie in ogni momento della sua esistenza: nell’uomo, mentre la materia corporea subisce mutamenti, la sua forma (cioè la sua anima) permane identica. -Scienza dell’essere e delle sue cause prime Aristotele sottolinea che la filosofia studia l’essere nella sua universalità: nel libro IV della Metafisica egli afferma che la filosofia è “è scienza dell’essere e delle sue cause prime” La conoscenza è conoscenza di cause; il divenire è regolato da quattro cause: 1) La CAUSA MATERIALE: la materia, ciò che riceve forma (marmo informe per la statua) 2) La CAUSA EFFICIENTE: principio che dà inizio al divenire (l’artista che con lo scalpello da inizio alla statua) 3) La CAUSA FORMALE: la forma, conclusione del divenire (l’idea che l’artista concretizza nel blocco di marmo) 4) La CAUSA FINALE: il principio che dirige il divenire (lo scopo a cui tende l’artista) -L’essere come sostanza e le 10 categorie Per Aristotele “l’essere si dice in molti modi”: oltre il modo di dirsi dell’essere secondo la potenza e l’atto, c’è anche il modo di dirsi secondo la sostanza e le altre categorie. Il termine categorie deriva dal greco “affermare, dire di, qualificare le cose che esistono”: si tratta dei predicavi, i modi di affermare le caratteristiche fondamentali dell’essere Per Aristotele le categorie sono 10: o La sostanza è la categoria somma: si riferisce all’individuo inteso come sìnolo (unità di materia e forma). o Le altre nove categorie sono: il quanto, il quale, la relazione, il dove, il quando, il giacere, lo stare, l’agire, il patire. Esempio: Pietro (sostanza, sino di materia e forma), e alto 2 m (quanto), di pelle bianca (quale), è più giovane di Luigi (relazione), si trova in casa (dove), in questo momento (quando), è seduto(Giacere), ebbe sito (stare), parla (agire), e ascoltato (partire). -LE 10 CATEGORIE DI ARISTOTELE E LE 12 CATEGORIE DI KANT Per Aristotele le categorie sono i generi sommi dell’essere: si attribuiscono a qualsiasi oggetto, esistono realmente nella realtà e il pensiero le ricava per astrazione. La storiografia definisce questa prospettiva come realismo gnoseologico. Aristotele ne enumera 10 in omaggio alla decade pitagorica, un numero considerato perfetto. Nella Critica Della Ragion Pura (1718), Kant ci parla invece di 12 categorie: per Kant le categorie non sono nella realtà oggettiva dell’essere ma esistono solo nell’intelletto. Le categorie kantiane sono gli a priori dell’intelletto umano: si tratta di 12 concetti puri dell’intelletto. Sono forme logiche pure, non ricavate dall’esperienza empirica ma funzioni logiche note, costitutive di ogni uomo. -> METAFISICA “filosofia prima”, “teologia razionale” Il libro I della Metafisica si apre con la celebre affermazione “Tutti gli uomini tendono per natura alla conoscenza”. La filosofia nasce dalla meraviglia innanzi all’essere e la conoscenza si definisce come conoscenza delle cause dell’essere stesso. Nel libro XII della Metafisica, Aristotele si spinge con la riflessione a determinare quale sia la “causa prima” di tutto l’essere: egli definisce questo tipo di ricerca come “filosofia prima” e “teologia razionale”. Sempre nel libro XII della Metafisica viene argomentata l’esistenza necessaria di un “primo motore immobile” che la causa prima di tutto il movimento della realtà. Per Aristotele, tutto ciò che è in movimento deve necessariamente essere mosso da qualcos’altro da sé. ー Il movimento dell’universo è eterno e, di conseguenza, eterno dovrà essere anche la causa prima (principio) del movimento stesso. Tale principio viene qualificato come “il Dio” e il divino. Il Dio di Aristotele è: a) Atto puro e perfezione assoluta, poiché non ha in sè alcuna potenza né alcuna finalità da raggiungere b) Primo motore immobile in quanto causa del divenire di tutto l’universo c) “Pensiero di pensiero” poiché non può che contemplare se stesso, realtà intelligibile. Differentemente dal Dio della fede ebraico cristiana, il dio di Aristotele non è creatore provvidenziale né ama le creature. Nella sua perfezione e beatitudine, rimane essenzialmente estraneo e indifferenti alle vicende umane L’amore è sempre “la tendenza possedere qualcosa di cui si è privi”; il Dio aristotelico non è privo di niente e perciò non può amare gli enti del mondo sensibile: egli, essendo principio del movimento, “muove gli enti eternamente asse come oggetto d’amore”. In realtà, il motore immobile è solo il primo delle 55 sostanze motrici che muovono i cieli teorizzate da Aristotele. Per la dottrina del “motore immobile” e per la teoria dell’intelletto attivo, Aristotele (insieme a Parmenide e a Platone) viene considerato uno dei fondatori della metafisica occidentale e della teologia razionale. -> IL DE ANIMA: gnoseologia e antropologia Nei 3 libri che costituiscono il De Anima, Aristotele ci parla dell’itinerario conoscitivo dell’uomo (GNOSEOLOGIA) e delle facoltà mentali che rendono possibile l’atto conoscitivo. Per Aristotele l’anima è l’atto che presiede a tutte le attività vitali, è il principio organizzativo del corpo vivente. Le attività che determinano la vita sono di tre livelli e per questo Aristotele parla di tre tipi di anima: 1. L’ANIMA VEGETATIVA: controlla le funzioni più elementari (nutrizione e riproduzione) ed è presente in tutti gli esseri viventi vegetali ed animali 2. L’ANIMA SENSITIVA: garantisce le funzioni della sensibilità e del movimento, è presente solo negli animali, quindi tipica anche dell’uomo 3. L’ANIMA RAZIONALE O INTELLETTIVA: dirige gli atti di pensiero e di volontà (funzioni intellettuali) ed è posseduta esclusivamente dall’uomo Aristotele rifiuta l’innatismo platonico (teoria della conoscenza come reminiscenza del mondo iperuranico delle idee). > Aristotele concepisce l’anima umana come una tabula rasa, cioè come una pagina bianca dove nulla vi è scritto. La conoscenza si realizza come un graduale passaggio che inizia con la SENSIBILITÀ, prosegue con l’IMMAGINAZIONE e culmina con l’INTELLETTO. Per Aristotele non ci sono conoscenze innate, ma l’esperienza dei sensi è la base di ogni nostra possibile conoscenza. o Per Aristotele i cinque sensi costituiscono la base della conoscenza: tramite essi l’uomo coglie la forma sensibile degli oggetti, separata dalla materia (colore, suono, estensione ecc.) o L’immaginazione coordina le varie sensazioni formando l’immagine dell’oggetto. La memoria conserva l’immagine dell’oggetto anche quando questo non è più presente i sensi > l’immaginazione sta perciò tra il senso e l’intelletto: è connessa all’esperienza sensitiva dell’oggetto ma anche all’intelletto poiché gli fornisce dati sensibili dai quali astrarre le forme o La funzione dell’intelletto è quella di conoscere l’essenza delle cose: tale essenza è la forma della cosa La conoscenza è quindi conoscenza delle forme Esempio: di un albero, la sensazione conoscere tanto le qualità particolari (altezza e grandezza del tronco, colore delle foglie…); Tali diverse qualità sono unificata dall’immaginazione che porge l’immagine stessa all’intelletto. È solo l’intelletto che coglie la scienza, la forma della cosa, asportandola dai caratteri sensibili: solo l’intelletto giunge alla piena comprensione del concetto di albero Aristotele distingue nell’uomo un INTELLETTO PASSIVO o potenziale da un INTELLETTO AGENTE o attivo. Quello passivo è il ricettacolo delle immagini sensibili; mentre è l’intelletto attivo che conosce appieno la forma intelligibile dell’oggetto a partire dall’immagine sensibile. Tale operazione viene detta astrazione: l’intelletto attivo astrae la forma intelligibile- l’essenza universale - dell’oggetto. -Interpretazioni intelletto attivo Alcuni commentatori come Alessandro di Afrodisia hai identificato l’”intelletto attivo” con Dio stesso, reputandolo quindi divino; altri come l’arabo Averroè hanno interpretato l’intelletto attivo come un’eterna ragione, derivata da Dio e costituente un’unica anima per tutti gli uomini. Averroè è arrivato, in tal modo, a negare l’immortalità individuale. L’averroismo latino ebbe come fautore Sigeri Brabante. Temistio sostiene che, sia l’intelletto passivo che quello attivo siano facoltà distinte della stessa anima individuale: quindi l’anima individuale è spirituale e immortale. Nei suoi commenti al De anima, Tommaso d’Aquino riprende e risponde alle provocazioni degli averroisti interpretando l’anima umana come “forma sostanziale del corpo”: egli scorge nell’intelletto attivo l’aspetto che rende l’uomo il mago dei e capace di vita eterna. -Scienze teoretiche, pratiche e poietiche Nel libro VI della Metafisica e nel libro I dell’Etica Nicomanchea, Aristotele fa una netta distinzione tra le scienze teoretiche, le scienze pratiche e le scienze poietiche: ー Le SCIENZE TEORETICHE riguardano l’attività contemplativa, la conoscenza. Ad esempio l’ontologia e la metafisica, ovvero la conoscenza delle caratteristiche fondamentali nell’essere e delle sue cause prime. Le scienze teoretiche hanno per oggetto il necessario. ー Le SCIENZE PRATICHE* riguardano invece l’etica e la politica, cioè l’ambito dell’azione e, il comportamento dell’uomo nella realtà sociale. Le scienze pratiche hanno per oggetto il possibile (ciò che può essere diverso da così com’è, poiché sono fondate sulla proairesis, Sulla libera deliberazione dell’uomo. ー Le SCIENZE POIETICHE hanno anch’esse per oggetto il possibile. Le scienze poetiche o produttive hanno come scopo la produzione di opere. Esse sono le arti e le tecniche (architettura, musica, retorica…) -Le scienze pratiche: l’etica e la politica *La filosofia pratica non mira solo alla conoscenza, come la filosofia teoretica, ma anche a realizzare il bene dell’uomo. E poiché il bene del singolo uomo si realizza solo nella comunità politica, il nome intero della filosofia pratica la POLITICA. Lo studio della condotta o del fine dell’uomo come singolo è l’etica Lo studio della condotta e del fine dell’uomo come parte di una società è la politica. > in Aristotele e nella tradizione aristotelica, etica e politica sono strettamente collegate: l’etica è una parte stessa della politica, cioè dello studio dell’agire del singolo nella Polis. In Aristotele, l’etica nasce dal graduale distacco dall’ascetismo platonico (dal considerare la corporeità come indicativa). Nel Fedone, Platone, parla esplicitamente di una “follia del corpo”, il purificarsi della quale sarebbe il primo compito della vita etica. Quella di Aristotele è un’etica della razionalità e della saggezza pratica, che conserva ancora oggi elementi di attualità. -UN’ETICA EUDEMONISTICA E TEOLOGICA In Aristotele abbiamo una concezione dell’etica EUDEMONISTICA: l’agire ha cioè come fine la felicità. Tutte le azioni umane tendono a dei “fini” che sono dei “beni”. Il complesso delle azioni umane tende quindi ad un fine ultimo: il “bene supremo”, cioè la felicità. Essa tuttavia non consiste nel piacere, nelle ricchezze (che sono sempre mezzi e mai fini in sé) o nel godimento che, dice Aristotele, “rende simile alle bestie”. Aristotele propende per una posizione più equilibrata, intermedia tra l’ascetismo di Platone e l’edonismo dei cirenaici. L’etica di Aristotele non è deontologica, cioè basata sui doveri (come sarà invece l’etica di Kant), ma è un’etica TELEOLOGICA, cioè basata sui fini, finalistica -L’etica delle virtù - Etiche e Dianoetiche Aristotele distingue tra virtù etiche (che riguardano il comportamento) e virtù dianoetiche (che riguardano la ragione). La virtù viene definita come il “giusto mezzo” tra gli estremi > la virtù etica consiste nel voler sempre la giusta via di mezzo tra due estremi atteggiamenti: la ragione, intervenendo, indica questa giusta misura. La “via di mezzo”, per Aristotele, non è una misura assoluta: la sua determinazione spetta alla ragione. La ragione, nel determinare caso per caso il “giusto mezzo”, non segue procedimenti di tipo matematico, ma piuttosto come modello la medicina, cioè una scienza che si basa sull’esperienza, sulla casistica e sulla “saggezza pratica” -> Mentre la sapienza si interessa dei principi fisici e metafisici, cioè della conoscenza di quelle realtà eterne ed immutabili, la saggezza pratica riguarda invece l’agire nella sua concretezza. Il bene supremo realizzabile dall’uomo (la felicità) consiste nel perfezionarsi in quanto uomo, ossia nell’esercizio della ragione delle virtù. La felicità per Aristotele consiste nella realizzazione piena e completa della propria forma (della propria perfezione), della propria virtù. La virtù è un habitus, un “modo d’essere” che l’uomo si costruisce razionalmente. LE VIRTÙ ETICHE: Vengono definite da Aristotele come: Disposizioni o abiti virtuosi del carattere - permettono la vittoria della ragione sugli impulsi - perseguono la giusta misura tra due eccessi - si manifestano come “abitudini” e si sviluppano con l’esercizio - fissano il fine dell’atto morale - la principale virtù etica è la giustizia LE VIRTÙ DIANOETICHE SONO ESSENZIALMENTE 2: 1. La SAGGEZZA PRATICA (phrònesis) Disposizione della ragione mediante la quale possiamo razionalmente calcolare quale sia il giusto mezzo, sia in rapporto a noi sia in rapporto alla specifica situazione in cui ci troviamo ad operare. Ci permette di scegliere i mezzi più idonei per conseguire il fine buono. Si tratta di una saggezza pratica che predispone la volontà a compiere una scelta in vista del bene: la scelta del bene viene definita da Aristotele “scelta deliberata” (prohàiresis). -> CINISMO I fondatori del cinismo furono: Antistente e Diogene di Sinope: il cinismo fu la più “anticulturali” delle filosofie che la Grecia abbia mai conosciuto. Il cinico (in greco “cane”) rifiuta la società e le sue istituzioni: predica una vita ascetica e di povertà interamente dedita alla ricerca dell’autenticità interiore. > l’atteggiamento cinico è caratterizzato dall’estrema libertà di parola e da una completa libertà d’azione che sfiora quasi la sfrontatezza Il cinico contesta la Polis: si proclama apolide e “cittadino del mondo” (kosmopolites). L’autarchia, cioè il bastare a se medesimi, e l’apatia, l’indifferenza davanti a tutto, erano i punti di arrivo della vita cinica. Si può dire che sia possibile rinvenire nel cinismo l’origine della categoria dell’impolitico, dell’indifferenza nei confronti delle cose che riguardano la Polis, la vita associata. ->L’EPICUREISMO-EPICURO Come il cinismo, anche lo scetticismo e l’epicureismo proclamano una sostanziale indifferenza per l’attività politica. A favore di questo messaggio Epicuro scegli di fondare la sua scuola ad Atene in un giardino lontano dal tumulto della vita cittadina. Gli epicurei venivano definiti “i filosofi del giardino”. Alla scuola di Epicuro potevano partecipare anche le donne. -EPICURO: I 3 AMBITI DELLA FILOSOFIA: CANONICA, FISICA, ETICA Per Epicuro gli ambiti del discorso filosofico sono tre: la canonica, la fisica e l’etica La CANONICA indica la logica o teoria della conoscenza: cerca di stabilire il criterio di verità e quindi il canone, ovvero la regola per orientare l’uomo verso la felicità. > Il criterio di verità è costituito dalle sensazioni, dei concetti o anticipazioni e dalle emozioni. Le sensazioni ripetute e conservate nella memoria vanno a formare i concetti, definiti da Epicuro come anticipazioni delle sensazioni future Es: se si dice “sta arrivando un uomo”, nella nostra mente si forma subito, sulla base dell’esperienza passata, uno schema che ci anticipa quella futura LA FISICA Epicuro si richiama la tomismo di Democrito e propone una visione materialistica del mondo: il mondo è formato da infiniti atomi che si muovono nel vuoto. Quello di Epicuro è un materialismo meccanicistico: nel movimento degli atomi si esclude qualsiasi forma di finalismo o di provvidenza, difesa invece dagli stoici o Nel vuoto infinito gli atomi si muovono eternamente urtandosi combinandosi tra loro : il loro movimento non obbedisce ad alcun disegno provvidenziale. I mondi sono infiniti, tutti soggetti a nascita e morte o Gli atomi hanno un peso, si muovono dunque dall’alto verso il basso. Per spiegare l’urto degli atomi, in seguito al quale si aggregano le cose, Epicuro ammette una deviazione spontanea nella linea retta. L’epicureo Lucrezio, nel De Rerum Natura, darà a questo fenomeno il nome di CLINAMEN. Questa deviazione spontanea e causale degli atomi spezza le leggi del fato, introducendo nella natura il principio della libertà, e che rappresenta il presupposto del libero arbitrio dell’uomo. Per Epicuro e Lucrezio, anche l’anima, come il corpo, è formata da atomi. Quando gli atomi del corpo si disgregano, anche quelli che formano l’anima si dissolvono: quando muore il corpo, muore anche l’anima: differentemente dai platonici, per gli epicurei l’anima umana è mortale. L’ETICA Nella Lettera a Meneceo viene affermato che “il piacere è il principio e il fine della vita felice”.** Il criterio che regola la vita pratica è la ricerca del piacere e l’allontanamento dal dolore. Lo scopo della vita etica è quindi l’eliminazione del dolore fisico (aponia) e l’eliminazione del turbamento spirituale. (atarassia) Contro il primato aristotelico della vita teoretica, Epicuro afferma: “non è solo la gioia un piacere della mente, poiché essa si rallegra anche della speranza dei piaceri sensibili, nel cui godimento l’uomo può liberarsi dal dolore”. ** Nella lettera parla del celebre quadrifarmaco: si tratta di quattro massime che rappresentano un rimedio, un farmaco, contro i dolori e le angosce della vita. 1. Non bisogna avere timore delle divinità: gli dei, beati incorruttibili, non si curano del mondo e quindi gli uomini non devono temerli 2. Non bisogna temere la morte, una semplice disgregazione di atomi. “Il più orribile dei mali, la morte, e niente per noi. Finché noi esistiamo, la morte non c’è; quando la morte arriva, allora noi non siamo più”. 3. Il bene è facile procurarsi, si consegue assecondando con saggezza quei bisogni che possono essere soddisfatti, rifiutando invece i bisogni che recano turbamenti. 4. Il dolore, se è violento, passa presto; se leggero può essere tollerato facilmente poiché l’organismo vi si abitua -LA FELICITÀ E L’AMICIZIA L’edonismo, il vero piacere, per Epicuro consiste nell’aponia (assenza di dolore nel corpo) e nell’atarassia (mancanza di turbamento nell’anima): la stessa attività politica è da rifiutare poiché fonte di dolore e turbamenti. La vera felicità per Epicuro è da ricercare in un ascetico ritirarsi in sé stessi, nel quietismo, al lontano da qualsiasi cittadino. Epicuro però reputa l’amicizia come un bene relazionale primario, un muto scambio di bene. -LO STATO COME CONTRATTO E LA CONVENZIONALITÀ DELLE LEGGI Per Epicuro lo Stato viene visto come un contratto fondato sulla reciproca utilità: siamo quindi agli antipodi della concezione aristotelica, che vedeva lo Stato come un organismo naturale. È solo la necessità della sopravvivenza che spinge gli uomini a stipulare accordi. Per Epicuro, inoltre, anche la giustizia e le leggi sono del tutto convenzionali: la loro origine è solo l’utilità comune. Siamo innanzi alla forma più radicale di anti platonismo. In Epicuro troviamo inoltre la negazione della cultura greca tradizionale che considerava la giustizia come voluta e garantita dagli stessi dei. ->LO STOICISMO Mentre cinismo, epicureismo e scetticismo costituirono espressioni filosofiche quasi marginali della cultura ellenistica, ben più diffuso fu lo stoicismo. Fondatore dello storicismo fu Zenone di Cizio, il quale intorno al 300 a.C. (contrapponendosi ad Epicuro) fondò ad Atene una scuola presso la stoà poikile un “portico dipinto”. -GLI SVILUPPI DELLO STOICISMO Nella storia della stoà è necessario distinguere 3 periodi: 1. Il periodo dell’ANTICA STOÀ che va dalla fine del IV a tutto il III sec. a.C. dopo Zenone e gli altri scolarchi sono Cleànte di Asso e Crisippo di Soli 2. Il periodo della cosiddetta “MEDIA STOÀ” che si svolge tra il II e il I secolo a.C. e i cui rappresentanti furono Panezio di Rodi e Posidonio di Apamea. Uditore di quest’ultimo alla sua scuola di Rodi fu lo stesso Cicerone 3. Il NEO STOICISMO o STOÀ ROMANA, i cui rappresentanti sono soprattutto Seneca, Epitteto e Marco Aurelio --LE NOSTRE FONTI Gli Stoicorum Veterum Fragmenta La nostra conoscenza dell’antico e del medio stoicismo e di carattere quasi del tutto indiretto e frammentario. Hans von Arnim tra il 1903 e il 1905 diede alla stampa gli Stoicorum Veterum Fragmenta: questi volumi raccolgono tutte le testimonianze sugli stoici lasciateci da Cicerone, Diogene Laerzio, Ezio, Stobéo e Plutarco. -logos universale e accettazione dell’ordine razionale Gli storici rifiutano il dualismo platonico e trasformano i concetti aristotelici di materia e forma nel principio attivo il principio passivo delle cose. Per gli stoici il principio immanente a tutta la realtà è la ragione, il logos divino: tutto l’universo è profondamente e rigorosamente razionale Parlano perciò di un ordine naturale e necessario delle cose: la natura e la vita stessa dell’uomo sono guidati dalla necessità, dal destino. La vera libertà del saggio stoico consiste quindi nell’uniformare i propri voleri a quelli stabiliti dal destino: una razionale accettazione del fato che stabilisce l’ordine senza possibilità di essere alterato. Per gli stoici, l’uomo, nel corso degli eventi del mondo, è paragonabile a un cane legato a un carro: se il cane è saggio, corre docilmente col carro; se invece abbaiando si pianta sulle zampe posteriori, viene inesorabilmente trascinato. -Il giusnaturalismo stoico Lex aeterna; lex naturalis; lex humana Per gli stoici la ragione è anche il fondamento assoluto della legge naturale e di qualsiasi legge positiva. La legge eterna corrisponde alla ragione universale: stabilisce l’ordine inviolabile delle cause e la struttura teleologica dell’universo. Diversamente dagli epicurei, per gli storci “il giusto è tale per natura e non per convenzione, così come lo è la legge diretta ragione”: la giustizia è infatti espressione del logos universale naturale, principio razionale imminente in tutto il reale. La legge giusta non viene quindi considerata dagli stoici come frutto di convenzione o di artificio: essa trova il suo fondamento nell’ordine razionale della natura, nella legge eterna che proviene dal logos eterno. -Il dovere etico Leggi comandano perciò dei doveri, che nel saggio diventano azioni morali perfette, mentre nell’uomo comune restano livelli di azioni convenienti. o Il concetto di dovere troverà nella cultura romana una profonda ricezione: Cicerone renderà il termine kathekon con officium, conferendo ad adesso un valore di centrale importanza. > Il dovere degli stoici costituisce un’anticipazione del concetto di dovere elaborato da Immanuel Kant nella Critica Della Ragion Pratica -Il cosmopolitismo Da essere che vive nel chiuso della sua individualità, come voleva Epicuro, l’uomo per gli stoici torna ad essere un “animale comunitario” (koinonikon zoon). > Non si tratta di una semplice ripresa di Aristotele che definiva l’uomo “animale politico” (politikon zoon) Per gli stoici l’uomo è fatto per consociarsi con tutti gli uomini: questo è possibile poichè tutti i tipi di comunità, dalla famiglia sino a quella che comprende il genere umano, sono fondate sulla naturale razionalità dell’uomo. o La definizione di uomo come “koinonikon zoon” è la base antropologica dell’ideale cosmopolitico affermato dagli stoici: l’uomo non è chiamato solo a vivere negli angusti confini della Polis mai chiamato adesso e cosmopolita, “cittadino del mondo”. > La Repubblica espone un ideale cosmopolita: l’umanità, non più diviso in nazioni, città, borghi; ma tutti gli uomini considerati come connazionali concittadini; una sola società, come un solo mondo: tutte le genti formano un solo gregge, che pascola nel medesimo prato. ATTUALITÀ DEL COSMOPOLITISMO STOICO Il cosmopolitismo fu un’ideale ampiamente ripreso dall’Illuminismo e dallo stesso Kant: quest’ultimo nella Metafisica Dei Costumi e nella Pace Perpetua arriva a teorizzare la futura attuabilità di un diritto cosmopolitico > sono concetti che nell’attuale globalizzazione trovano una loro attualità -Superamento concetto schiavitù Sempre basandosi sul loro concetto di natura (physis) e di ragione (logos), gli storici seppero mettere in crisi sia l’ideale della nobiltà di sangue che l’istituto della schiavitù. La nobiltà è detta cinicamente “scoria e raschiatura dell’uguaglianza”. o L’uomo viene proclamato come strutturalmente libero. Crisippo afferma che “nessun uomo è schiavo per natura”, contrapponendosi alla visione tipicamente greca (ed aristotelica) della schiavitù come istituzione naturale. > Per gli stoici la libertà è una dimensione interiore: coincide con l’autosufficienza, con il non essere turbati da avvenimenti circostanze esteriori. Nella sua “cittadella interiore”, anche lo schiavo può condurre una vita libera. Tuttavia gli storici non furono dei rivoluzionari in ambito politico: essi di fatto non si opposero mai alla pratica della schiavitù. La schiavitù, come fatto giuridico, gli rimase indifferente. -Valutazioni critiche dello stoicismo Per lo storico del pensiero politico Mario d’Addio, “le idee professate dallo stoicismo (l’interiore libertà dell’uomo, il sentimento del dovere, il fondamento razionale del diritto di natura, il sentimento di fratellanza e di uguaglianza che accomuna tutti gli uomini, il cosmopolitismo inteso come società universale del genere umano) ebbero un ampio riscontro nelle opere dei padri della Chiesa, alle quali si richiamarono importanti correnti del pensiero politico medievale; riprese nel 400 e nel 500, a seguito del rinnovamento degli studi umanistici promosso dall’umanesimo, ispirarono importanti orientamenti del giusnaturalismo politico moderno”. Ernst Bloch, filosofo marxista di origine ebraica, nota invece delle singolari convergenze tra gli ideali stoici e alcune concezioni espresse dei profeti dell’Antico Testamento: “lo stoicismo ha insegnato un diritto naturale uguale per tutti sulla base dell’unità della stirpe umana. È singolare e ricca di conseguenze l’affinità con i profeti dell’antico Israele, i primi a procreare a proclamare un messaggio analogo…” LO SCETTICISMO ANTICO-Epoché e Aphasia Mentre in Grecia si sviluppavano le grandi elaborazioni sistematiche (platonismo, aristotelismo, stoicismo), nell’età alessandrina si sviluppò una tendenza di carattere scettico. ー L’atteggiamento scettico prosegue la forma mentis tipica della filosofia greca del V secolo a.C.: la varietà e differenza delle “visioni del mondo” porta al relativismo, alla rinuncia dell’idea di una verità unica in ambito conoscitivo ed etico. Iniziatore dello scetticismo nell’età ellenistica fu Pirrone di Elide: lo scetticismo è stato definito anche come pirronismo. ->Le parti dell’uomo: corpo, anima e spirito *In relazione alla sua interpretazione allegorica della Genesi, Filone delinea una concezione tripartita dell’uomo: l’uomo sarebbe un’unione di corpo, anima-intelletto e spirito. In questa nuova prospettiva, l’intelletto umano è corruttibile, in quanto “intelletto terrestre”: solo Dio soffiando il suo “spirito” renderebbe l’uomo divino e capace di vita eterna. L’uomo viene concepito da Filone come una creatura “intermedia” tra la natura fisica del mondo e quella spirituale di Dio. Questa terza dimensione dell’uomo (spirituale) è ricca di conseguenze sul piano etico: il fine della vita umana è quello di coltivare lo spirito per ricongiungersi infine con Dio. ->La vita come “itinerario verso dio” La figura di Abramo diventa per Filone la chiave di lettura della condizione umana: la migrazione di Abramo verso la terra promessa diventa il simbolo del viaggio di ogni anima verso la salvezza. Le varie tappe che Abramo ha attraversato nella sua vita diventano tappe che l’anima deve raggiungere nel suo itinerario di purificazione verso Dio. Il grado supremo dell’unione a Dio è l’estasi. In Filone troviamo quindi quella visione della vita umana come “itinerario verso Dio” che successivamente sarà ripreso dei Padri della Chiesa, da Agostino e poi dal pensiero medievale ebraico, cristiano islamico. 3 fasi del PENSIERO CRISTIANO dei primi secoli Il pensiero cristiano dei primi quattro secoli si distingue in tre fasi fondamentali: 1. La fase dei PADRI DELLA CHIESA, del I secolo (detti “apostolici” poiché direttamente legati agli apostoli e al loro spirito). Non affrontano ancora problemi filosofici e si limitano alla tematica morale e ascetica, utilizzando però il lessico tipico della cultura greca. Uno tra i primi padri apostolici fu, ad esempio, Clemente Romano che nella sua Lettera ai Corinzi definire il cristianesimo “Paideia di Dio”, cioè educazione del genere umano da parte di Dio. 2. La fase degli APOLOGISTI* Nel corso del II e III secolo condussero una sistematica apologia (una difesa) del cristianesimo dagli attacchi dei pagani. I filosofi pagani sono gli avversari da combattere, ma per costruire la stessa difesa si utilizzano le armi logiche dei filosofi stessi: Giustino martire è il più significativo apologista in lingua greca, per Tertulliano con il suo Apologeticum è la voce più rilevante dell’apologetica in lingua latina. 3. La fase dei PADRI DELLA CHIESA Nel 313, Costantino concede libertà di culto ai cristiani: cessa la fase delle persecuzioni e della connessa apologetica. I Padri della Chiesa sono quegli uomini di pensiero che hanno contribuito a costruire l’edificio dottrinale del cristianesimo, combattendo le differenti eresia che di volta in volta si sono presentate. Utilizzando il linguaggio della filosofia greca essi trattano di questioni teologiche come la trinità, l’incarnazione, i rapporti tra libertà umana e grazia divina, i rapporti tra la fede e la ragione. * Letteratura Apologetica: La Lettera A Diogneto/Giustino Martire Tra i testi più significativi della letteratura apologetica, spicca la celebre Lettera a Diogneto: si tratta di una lettera, rimasta anonima, che presenta il cristianesimo a un greco pagano. ー Essa è uno dei più significativi documenti della vita delle prime comunità cristiane, segnate già dall’ombra delle persecuzioni. “Essi abitano una loro rispettiva patria, ma come stranieri; prendono parte tutti gli obblighi come cittadini, ma tutto sopportano come forestieri; ogni terra straniera e patria per loro, ogni patria e terra straniera. (…) Trascorrono l’esistenza sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro modo di vivere superano le leggi. Amano tutti ma da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti, eppure vengono condannati; sono messi a morte, e tutta via da essa traggono vita. (…) Sono privi di tutto ma di tutto sovrabbonda non. (…). I cristiani vivono come stranieri in mezzo alle realtà corruttibili, protesi verso l’incorruttibilità dei cieli” -GIUSTINO MARTIRE E I “SEMI DEL LOGOS” PRESSO I FILOSOFI GRECI Tra gli apologisti greci del II secolo spicca la figura di Giustino Martire, autore di due Apologie e un Dialogo con Trifone ebreo. Egli non disprezza la filosofia, ma la considera quasi propedeutica alla fede. Dagli studi su Platone fu condotto alla conversione al cristianesimo, grazie soprattutto alle testimonianza dei martiri. Per Giustino il cristianesimo contiene la pienezza della verità, tuttavia anche nella filosofia greca ci sono stati dei “semi di verità”, delle anticipazioni delle verità cristiane. | CLEMENTE ALESSANDRINO E ORIGENE -Il platonismo e nel cristianesimo Ad Alessandria d’Egitto, verso il 180, Panteno, convertitosi al cristianesimo, fondò una scuola catechetica, cioè destinata all’educazione dei catecumeni (gli adulti che dovevano ricevere il battesimo). Successori di Pantano furono Clemente Alessandrino e poi Origene: cercarono una conciliazione tra le verità bibliche e gli apporti più significativi della filosofia greca (in primis il platonismo e lo stoicismo) “Clemente è il fondatore della teologia speculativa (…). Clemente è l’iniziatore di una scuola che si proponeva di difendere e approfondire la fede con l’aiuto della filosofia”. Origene (185 - 253) prosegue la forma mentis inaugurata da Clemente: egli ne I Principi, utilizza gli strumenti concettuali del platonismo e dello stoicismo per costruire un sistema compiuto della dottrina cristiana. Quest’opera ci è giunta solo nella traduzione latina di Ruffino e nelle citazioni della Philocalia. Si divide in quattro libri, dedicati: Per la sua enorme influenza è stato definito il “Platone cristiano”. In esso trova una prima compiuta elaborazione tra filosofia e fede, tra logos greco e rel gione cristiana. Con Agostino s afferma definitivamente la “filosofia cristiana” ed il filos fare-nella-fede, il “cogitare cum assentione” nei confronti dei dati della rivelazione. Credere non è altro che pensare con consenso > La fe e e la ragione s no quindi complementari: il “credo perché è assurdo” affermato da Tertulliano è un atteggiame to del tutto estraneo ad Agostino Nel Maestro d’Ippona si ha in breve la posizione della scolastica medievale riassunta da Anselmo d’Aosta (1033- 1109) con le espressioni «credo ut intelligam (credo per poter comprendere)» e «intelligo ut credam (comprendo per credere)». -Le confessioni di Agostino La conversione al cristianesimo è l’asse attorno cui ruota l’intero pensiero di Agostino: nei 13 libri delle Confessioni egli ci parla del suo percorso intellettuale che lo portò ad abbandonare prima la religione manichea, poi il materialismo e lo scetticismo, per aderire infine alla fede cristiana. In Agostino troviamo un modello di pensiero dal carattere introspettivo ed esistenziale. Si tratta di una filosofia fondata sull’interiorità. > La verità per Agostino non è un qualcosa di esteriore ma è un quid che ciascuno di noi può rinvenire in sé stesso, nella sua anima. Quella di cui parla Agostino non è una verità dal carattere logico e matematico, ma è una verità di tipo personale ed esistenziale. -Percorso religioso (cristianesimo-menicheismo-scetticismo-neoplatinosmo) IL GIOVANILE ABBANDONO DEL CRISTIANESIMO E L’ADESIONE AL MANICHESIMO Nell’infanzia ricevette un’educazione cristiana dalla madre, ma presto abbandonò la fede biblica ritenuta fabula fantasiosa. Durante gli studi di retorica compiuti a Cartagine ebbe un periodo di traviamento: convisse con una donna dalla quale, a 19 anni, ebbe un figlio. Agostino si avvicinò alla filosofia leggendo, nei suoi anni a Cartagine, l’Ortensio di Cicerone, > Nella sua inquieta ricerca di verità, egli aderì al manicheismo, una religione che riprende quella di Zoroastro e teorizza l’esistenza di due divinità opposte, una buona (Ormuzd) e una malvagia (Arimane): la storia sarebbe quindi caratterizzata dalla presenza di questi due principi opposti, aventi un proprio statuto ontologico. DAL MANICHESIMO ALLO SCETTICISMO Tuttavia, il radicale dualismo dei manichei non convinceva del tutto Agostino, che approdò ad una posizione scettica. IL SUPERAMENTO DELLO SCETTICISMO: AGOSTINO, CAMPANELLA E CARTESIO Come ci testimonia nelle Confessioni e nel Contra Academicos, Agostino superò anche lo scetticismo, inteso come teoria del dubbio universale. Anche se dubitiamo e ci inganniamo su tutto, egli afferma, dobbiamo per forza esistere: «Se io m’inganno, esisto (Si enim fallor, sum). Chi non esiste non può ingannarsi». Dal dubbio scaturisce una certezza inoppugnabile: la propria esistenza. Questo tipo di argomentazione agostiniana anti-scettica, nel Seicento, sarà ripresa da Tommaso Campanella e poi da Cartesio: per Cartesio la presenza stessa del dubbio è attestazione che l’io esiste come realtà dubitante e “cosa pensante” (res cogitans). DAL NEOPLATONISMO AL CRISTIANESIMO Per il superamento del materialismo gli fu d’aiuto la «Lettura Dei Libri Platonici» (Plotino e Porfirio tradotti in latino) Nel NEOPLATONISMO Agostino trovò una filosofia che, grazie al suo concetto spiritualistico di Dio e alla sua concezione del male come non essere, gli permetteva di aderire con la ragione all’idea di Dio rivelata dalla Sacra Scrittura. Per la conversione al cristianesimo gli furono d’aiuto la fede professata dalla madre Monica e l’ascolto delle omelie di Ambrogio, vescovo di Milano. Ambrogio indicò ad Agostino i molteplici sensi dei testi biblici (oltre quello letterale, anche quello simbolico o allegorico, quello morale e quello anagogico). -Una metafisica dell’interiorità La scoperta della verità coincide con la scoperta che al fondo della propria anima c’è la presenza ineffabile di Dio. La filosofia agostiniana nasce da una radicale messa in discussione di sé stessi, da una scossa maieutica, prodotta dall’esperienza del dubbio e del dolore. In questo Agostino anticipa i caratteri tipici dell’esistenzialismo religioso di Pascal, Kierkegaard, Dostoevskij e Luigi Pareyson. ->IL DE MAGISTO: la verità come illuminazione Analogamente a Platone, nel De Magistro (scritto nel 388-390) Agostino ritiene che nell’uomo esistano delle verità o dei criteri di giudizio (esempio: la giustizia, il bene, il bello, ecc.) che non possono derivare dall’esperienza e dalla mutevole percezione dei sensi. > Tuttavia, mentre Platone, con la sua teoria della reminiscenza, faceva derivare tali verità o criteri di verità dal mondo delle idee, Agostino, con la sua teoria dell’illuminazione, li fa provenire da Dio. o Il ragionamento agostiniano sull’illuminazione divina ha una matrice platonica e una specifica valenza anti- scettica: Dio è la Verità e la Luce che illumina la nostra mente. Ciò comporta che la verità per l’uomo non è un possesso, ma un dono del suo Creatore. o L’illuminazione è un processo naturale, dovuto al fatto che la nostra mente è stata creata da Dio e pertanto gli dipende. Inoltre, l’illuminazione non ci comunica dei contenuti, ma solo i criteri universali e necessari della verità. La teoria dell’illuminazione è fondamentale nella posizione agostiniana per cui «Deus habitat in interiore homine». -Anima come imago trinitatis Gli oggetti principali della ricerca filosofico-teologica di Agostino sono DIO e l’ANIMA Nel De Trinitate egli ci parla dell’anima umana come immagine stessa della Trinità (imago Trinitatis): l’anima - così come le tre persone divine - è caratterizzata da tre elementi fondanti: l’essere ( esse ), conoscere e intelligenza ( nosse ), volere ( velle ). Nella visione biblica, l’uomo viene creato «ad immagine di Dio»: Agostino sottolinea quindi che l’uomo, così come Dio, deve avere una struttura trinitaria: l’uomo è una realtà caratterizzata dall’essere, dal conoscere e dall’amare, così come Dio è Essere (il Padre), è Intelligenza (il Figlio) ed è Amore (lo Spirito Santo). L’uomo è perciò composto di tre facoltà: 1. La MEMORIA, che è la presenza dell’anima a se stessa 2. L’INTELLIGENZA, che permette di conoscere 3. La VOLONTÀ che si esplicita positivamente nell’amore Tra l’uomo e Dio sussiste un'analogia: l’anima umana, grazie alla memoria, esiste ed ha l’essere come il Padre; in secondo luogo, l’anima, dal suo essere genera l’intelligenza di sé, esattamente come il Padre genera il Figlio; in terzo luogo, il rapporto tra essere e intelligenza si esplica come vita e volontà, come lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio. o Un'ulteriore spiegazione dell’analogia tra l’anima umana e la Trinità è questa: l’anima è pensiero (mens) da cui scaturisce la conoscenza (notitia) e dal rapporto tra questi due termini si origina l’amore (amor). -Trinità come relazione delle 3 persone Dipinto del Pinturicchio che raffigura un aneddoto: Agostino che passeggia sulla spiaggia pensando al concetto di Trinità (su cui stava preparando il suo trattato). Egli all’improvviso incontra un bambino che scava nella sabbia un buco per farci entrare tutta l’acqua del mare. Il bimbo si rivela un angelo e gli dice: «Sarebbe più facile per me versare con un cucchiaio tutta l’acqua del mare in questa buca, che per te racchiudere in solo libro il mistero della Trinità». Elaborando il concetto di Trinità (Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo) i Padri della Chiesa – e tra questi Agostino – introdussero nella cultura occidentale il concetto di persona: essi parlarono di tre Persone che convivono nell’Unità dell’assoluto. La distinzione delle tre Persone è operata da Agostino sulla base del concetto di relazione. Questo significa che per Agostino ciascuna delle tre Persone è distinta dalle altre, ma non nell’essere. Per parlare della relazione delle tre Persone nella vita intra divina i Padri di cultura greca (Gregorio di Nazanzio e Massimo il Confessore) utilizzarono l’immagine suggestiva della «danza», termine tradotto in latino con «circumincessio», indicante il reciproco rapporto d’amore che lega le tre Persone. Per Agostino l’amore fraterno tra gli uomini «non solo deriva da Dio, ma è Dio stesso» -Tempo come distensio animi L'interpretazione della Genesi occupa gli ultimi tre libri delle Confessioni. Nel libro XI, parlando dei significati della creazione, si imbatte in un problema filosofico fondamentale, quello del TEMPO. A suo parere la domanda «cosa faceva Dio prima della creazione?» non ha senso: prima della creazione, infatti, non esisteva il tempo. L’opera creativa non è avvenuta nel tempo e Dio stesso è eterno, cioè è al di fuori del tempo così come noi uomini lo percepiamo. La domanda filosofica fondamentale di Agostino è la seguente: «Cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede lo so, se volessi spiegarlo a chi me lo chiede non lo so» (Le confessioni, XI, 14). Alla visione greca (e aristotelica) del tempo come «misura oggettiva» del movimento degli astri, Agostino contrappone una concezione della temporalità come ambito dell’interiorità soggettiva. La novità agostiniana, rispetto al pensiero greco, consiste nel riferire la genesi del tempo nell’anima individuale. Agostino sottolinea che così come nell’interiorità di ogni singolo uomo, anche nella chiesa e nello Stato le due città (il bene e il male) convivono. Da questo emerge anche il realismo politico agostiniano: egli non identifica la civitas caelestis neanche con la chiesa. È dunque nella prospettiva escatologica - cioè della salvezza - che va intesa la dottrina agostiniana delle due città. > Agostino interpreta la storia dell’uomo come l’attuarsi nel tempo del disegno provvidenziale concepito dalla mente divina. Tuttavia si tratta di un Deus absconditus che lascia gli uomini sempre liberi di agire secondo i propri fini. Nella storia è quindi presente una sorta di “ETEROGENESI DEI FINI”: Dio opera i suoi fini provvidenziali servendosi anche degli individui che magari agiscono solamente in vista del proprio utile. È questa una tematica che sarà cara anche a Giambattista Vico e Alessandro Manzoni. La storia quindi per Agostino non è altro che lo svolgersi nel tempo del conflitto tra le due città (il bene e il male) e del progressivo costituirsi della città di Dio, che vive “pellegrina” nel mondo prima di ritrovarsi compiuta e perfetta in cielo. -KARL LÖWITH interprete della teologia agostiniana In Significato e fine della storia (1949), il filosofo tedesco Karl Löwith (1897-1973) ha individuato nel De civitate Dei di Agostino il modello dell’interpretazione cristiana della storia: per Agostino «la storia del mondo non ha alcun interesse e significato intrinseco», essa si svolge tutta tra la creazione, l’incarnazione e la redenzione finale, ovvero la parousìa. La storia umana acquista quindi un vero senso solo alla luce del mistero cristiano. Karl Löwith sottolinea che Agostino taglia definitivamente i ponti con la visione ciclica della storia tipica del mondo pagano: la storia non conosce alcun “eterno ritorno” ma ha una direzione lineare e teleologica: Creazione – Peccato originale – Incarnazione di Cristo, Redenzione e Giudizio Universale. In questa prospettiva, la storia tende verso il fine (l’éschaton) stabilito dal Creatore. Per Löwith questa «teologia della storia» di Agostino ha rappresentato un’importante svolta culturale: «tutti i tentativi moderni di rappresentare la storia come un progresso significativo [es. Marx e Auguste Comte], anche se indefinito, verso un compimento immanente, risalgono a questo schema teologico agostiniano». -Il fine della politica: pace come «tranquillità̀ dell’ordine» ー Agostino non svaluta la dimensione storica della politica ed i suoi fini: la politica, finché non si realizza la civitas Dei, ha la funzione ineliminabile di mantenere l’ordine, strutturandosi intorno al valore supremo del mondo: la PACE, (nel XIX libro del De civitate Dei egli sottolinea) che la corrisponde alla tranquillità dell’ordine (tranquillitas ordini): si tratta dell’ordinata concordia dei cittadini in merito al comando e all’obbedienza. ー La visione agostiniana dell’agire politico è quindi consapevole del fatto che è impossibile realizzare la salvezza e la perfezione nella storia. Tuttavia Agostino afferma che l’agire politico deve sempre avere come ideale regolativo la giustizia divina: senza giustizia lo Stato non sarebbe altro che una “banda di ladri”, un «magnum latrocinium». -L’agostinismo politico medievale In Agostino il corretto esercizio del potere politico viene sempre concepito come “servizio” e ministerium. Il potere politico non va quindi mai assolutizzato: al di sopra di esso vi è sempre la potestas absoluta dell’ordine teologico. L’agostinismo politico che caratterizzerà il medioevo porterà a teorizzare una vera e propria supremazia dell’ordine spirituale (la Chiesa) sull’ordine temporale (lo Stato): una sottomissione del potere civile a quello spirituale, e quindi dello Stato alla Chiesa, perché la sovranità deriva e viene conferita unicamente da Dio. LE FILOSOFIE DEL MEDIOEVO Nell’età Medievale (per convenzione: 476 d.C., caduta definitiva dell’Impero romano d’Occidente – 1492, scoperta dell’America) si affermano una molteplicità di centri di indagine filosofica. > Il tema fondamentale delle filosofie medievali è quello del RAPPORTO TRA FEDE E RAGIONE, ovvero la ricerca di una possibile conciliazione tra religione rivelata (ebraica, cristiana, islamica) e la ragione filosofica tipicamente greca Per quel che riguarda l’aspetto geografico bisognerà considerare 4 ambiti socio-culturali ben distinti: 1. LA FILOSOFIA GRECO - BIZANTINA Fiorita nell’Impero romano d’Oriente che durò fino al 1453 (presa di Costantinopoli da parte dei Turchi). Nonostante la chiusura delle ultime scuole filosofiche pagane e neoplatoniche, gli studi filosofici non scomparvero mai del tutto nell’impero bizantino. > La filosofia a Bisanzio ha un carattere essenzialmente neoplatonico: i maggiori esponenti del “platonismo bizantino” sono Michele Psellòs (XI sec.) e Gemisto Pletòne (XV sec.). Quest’ultimo venne anche a Firenze, dove ebbe contatti con Marsilio Ficino, contribuendo alla diffusione del platonismo nell’Italia del Quattrocento. 2. LA FILOFIA ARABO - ISLAMICA ** 3. LA FILOSOFIA EBRAICA Nei territori conquistati dagli arabi tra il VII e il XII secolo, le comunità ebraiche espressero un loro pensiero filosofico- teologico, cercando una conciliazione tra fede biblica e verità di ragione. Molti filosofi ebrei medievali (come Avicebron e Mosè Maimonide) hanno scritto le loro opere in arabo e poi le hanno tradotte in ebraico. 4. LA SCOLASTICA DEL MEDIOEVO LATINO Dalla scuola benedettina di Anselmo d’Aosta (XI sec.) alle scuole dei domenicani (Alberto Magno e Tommaso d’Aquino: secolo XIII) e dei francescani (Bonaventura da Bagnoregio, Duns Scoto, Guglielmo d’Ockam: secoli XIII e XIV). L’ISLAM Nel 571 d.C. a La Mecca nasce il profeta Maometto, il fondatore di una religione che riunì in un solo popolo le differenti tribù di beduini del mondo arabo. Maometto scrisse il contenuto della rivelazione che Dio (Allah) gli dettò nel Corano: le 114 sure (cioè capitoli) del Corano furono ordinate e pubblicate in forma definitiva dal terzo successione di Maometto, il califfo Othman. Già dalla prima sura del Corano – la cosiddetta “Sura aprente” – Maometto sostiene che Allah (nome arabo del Dio della Bibbia) viene a completare la rivelazione parziale che Egli aveva fatto nei secoli precedenti ai patriarchi e ai profeti dell’Antico testamento ebraico (Abramo e Mosé) e al “profeta” Gesù di Nazareth. > Allah rivela a Maometto che esiste un solo Dio – monoteismo assoluto – che esige completa sottomissione alla sua volontà: islàm in arabo indica appunto “sottomissione”; “musulmano” è termine che deriva dalla radice araba «slm» di islàm ed indica perciò “il sottomesso alla volontà divina”. -Islam: i 5 pilastri e la sharìa La predicazione di Maometto si compendia nei cosiddetti 5 pilastri della fede islamica: 1) La professione di fede per la quale “non c’è Dio all’infuori di Allah” e Maometto ne è il suo profeta. > Allah ha creato il mondo dal nulla: è l’onnipotente, il misericordioso ed è trascendenza assoluta rispetto alla natura creata; Egli è infinito, nessuna cosa del mondo può essere simile a Lui e non può essere rappresentato dall’uomo. La trascendenza assoluta di Dio/Allah è il motivo essenziale dell’aniconismo (mancanza di immagini) che caratterizza l’arte arabo-islamica. 2) L’obbligo di pregare 5 volte al giorno; 3) L’obbligo di dare in elemosina un decimo dei propri guadagni; 4) L’obbligo di digiunare per tutto il mese di Ramadàn; 5) L’obbligo di recarsi almeno una volta nella vita in pellegrinaggio alla Mecca. L’Islàm è una religione sobria nei contenuti assoluti ed è attenta a imporsi sulla vita dei fedeli. I comandamenti etici, religiosi e politici si compendiano tutti nella Legge di Dio: la Sharìa, che indica in arabo “la via da percorrere”. La Sharìa è Legge sacra dell’islamismo, basata principalmente sul Corano e sulla sunna o consuetudine: raccoglie le norme che riguardano il culto e i più differenti aspetti della vita etico-giuridica. Nella cultura islamica religione e politica devono essere sempre unite. -Le traduzioni dal greco e la filosofia in lingua araba Maometto unificò il popolo arabo sotto il profilo religioso e politico, il che spiega le enormi conquiste territoriali dei califfi, i successori del profet,a alla guida della comunità. Nel secolo VIII, Baghdad, divenne la capitale dell’impero: i califfi cercarono di superare i bizantini sia sotto il profilo militare che culturale e di accreditarsi come i veri eredi della civiltà greca. Iniziò quindi una vasta opera di traduzione della filosofia greca in lingua araba. -Il kalàm, la teologia razionale La conoscenza dei filosofi greci determinò il nascere, nel mondo islamico, di una filosofia di ispirazione ellenizzante, tesa a coniugare la rivelazione coranica con la ragione. Ciò avvenne all’interno del movimento dei cosiddetti “Mutazilìti”, una corrente di Sunniti che si dedicò allo studio del Corano, cioè della “Parola divina” (in arabo kàlima). All’interno di questa corrente si formarono i primi mutakallimùn, i teologi tesi a spiegare in termini razionali i contenuti della fede islamica. Sotto il califfato abbaside di Baghdad prese forma, tra i musulmani, la letteratura del kalàm. o Con il termine kalàm (in arabo, alla lettera “parola, discorso, linguaggio”) si intende la produzione teologica islamica medievale, opera dei mutakallimùn, intenti ad una difesa kalām Allāh (cioè della “Parola di Dio”), il pari – in ambito cristiano – del Logos di cui parla il Vangelo di Giovanni. > Il kalàm è quindi un’apologia dei contenuti della fede musulmana, condotta con un metodo razionale, logico- dimostrativo, sullo stile della filosofia greca. -La fàlsafa: i primi passi della filosofia arabo-islamica In generale, le filosofie greche più riprese nel mondo islamico medievale furono il neoplatonismo e l’aristotelismo: dal neoplatonismo di Plotino e Proclo gli arabi ripresero il mondo di concepire la Causa Prima (Dio), interpretata come unica, trascendente, ineffabile ed irrappresentabile; dal neoplatonismo ripresero anche la visione gerarchica che concepisce la realtà come una processione dall’Uno (Dio) alla materia, passando per le gerarchie angeliche e per l’uomo; da Aristotele ripresero il modo di concepire la tripartizione dell’anima umana (vegetativa, sensitiva, razionale) e la concezione di Dio come “motore immobile” dell’universo. Dalla fede islamica derivano delle concezioni che impegnano anche la filosofia La fede ebraica, quella cristiana e quella islamica devono accordarsi con la ragione filosofica su questi elementi essenziali: 1. L’idea della creazione del mondo dal nulla; 2. L’identificazione di Dio con l’essere puro e con la fonte stessa di tutto l’esistente; 3. La visione che Dio, causa prima, è un Dio provvidente, normativo (stabilisce norme di condotta) e remuneratore (dispensa premi e castighi, in base ai meriti individuali, nella vita eterna dopo la morte fisica dei fedeli); 4. L’immortalità dell’anima individuale La filosofia araba si sviluppò dapprima in Medio Oriente (dall’VIII al XII secolo) con figure come quelle di Al-Kindi, Al- Farabi, Avicenna e Al- Gazali; nei secoli XII e XIII si sviluppò soprattutto in Occidente, nella Spagna andalusa, e la figura di maggior rilievo è senz’altro AVERROÈ. -AL-KINDI: il De Intellectu ,rapporti tra intelletto passivo attivo Il primo filosofo arabo di cui ci sono pervenute le opere è Al-Kindi, vissuto a Baghdad nel IX secolo e amico dei grandi traduttori delle opere greche. La sua opera più famosaè il De intellectu (Sull’intelletto umano). Nel De intellectu Al-Kindi riprende la tripartizione dell’anima umana teorizzata da Aristotele nel De anima (anima vegetativa, sensitiva e razionale) e distingue nell’uomo la presenza di un intelletto passivo o possibile da un intelletto attivo o agente. Al- Kindi, come tutti i successivi filosofi arabi, riprende la psicologia aristotelica e la interpreta con una forma mentis neoplatonica: l’uomo, in piena autonomia, possiede solo l’intelletto passivo; la conoscenza delle forme delle cose avviene solo grazie ad un’illuminazione divina, cioè grazie all’INTELLETTO AGENTE che è in Dio. > Nell’atto conoscitivo l’uomo diviene partecipe della stessa vita divina. -AL-FARABI: intelletto umano e vita politica guidata dall’imàm La posizione di Al-Kindi viene ripresa da Al-Farabi, secondo cui l’uomo possiede solo l’intelletto passivo: la conoscenza umana è resa possibile solo grazie all’intelletto attivo che è in Dio. La conoscenza diviene quindi una vera e propria “visione in Dio”. Colui che possiede stabilmente questa visione di Dio è l’imàm, cioè l’uomo profetico: l’imàm attinge direttamente da Dio la legge divina e la pone alla base della società politica, diventando così un capo religioso e politico insieme (dottrina tipica degli sciiti). Ne La città virtuosa, Al-Farabi, riprende in chiave islamica l’utopismo della Repubblica di Platone: alla figura del filosofo-re (colui che ha contemplato la verità nel mondo delle idee), Al-Farabi sostituisce la figura dell’imàm -AVICENNA Con Ibn Sina, il cui nome latinizzato è Avicenna (980-1037), la fàlsafa nel Medio Oriente islamico raggiunge la sua maturità. Avicenna scrisse un’opera monumentale, il Libro della guarigione comprendente 18 volumi e articolato in parti corrispondenti a quelle del corpus aristotelico: Logica, Fisica, Metafisica, De anima. Scrisse anche il Canone della medicina. ー Avicenna introduce in filosofia una prova dell’esistenza di Dio che sarà ripresa anche da Tommaso d’Aquino nella sua Summa teologica. Per Avicenna tutti gli enti che incontriamo nell’esperienza sono degli enti possibili, cioè che non hanno in sé la causa della propria esistenza. Poiché tuttavia essi esistono, devono per necessità aver ricevuto l’esistenza da un altro ente: quest’ultimo deve avere in sé la causa della propria esistenza ed è la fonte stessa dell’essere: Dio è l’essere necessario nel quale essenza ed esistenza coincidono. ー Avicenna elabora un complesso sistema nel quale Dio è la causa prima dell’essere che produce le cose per emanazione: tale emanazione che procede dall’Uno avviene gradualmente in 10 Intelligenze: la decima Intelligenza divina è l’intelletto agente, il “datore delle forme”. L’uomo conosce le cose del mondo (le forme degli enti) poiché diviene partecipe dell’intelletto agente divino. ー In Avicenna troviamo una commistione di elementi neoplatonici (l’emanatismo dall’Uno) con elementi aristotelici (la teoria dell’intelletto agente): egli cerca di conciliare l’aristotelismo platonizzante con la fede religiosa islamica. In maniera simile a quanto aveva suggerito Averroè per la cultura islamica, anche Maimonide afferma che fede e ragione conducono di necessità agli stessi risultati, purché si interpreti il Testo sacro non alla lettera, ma nei suoi significati allegorici e spirituali. > Solo così il testo biblico può essere interpretato nel suo significato metafisico. > Le parti illustrate da Maimonide sono l’«opera della creazione», cioè i capitoli iniziali della Genesi, che corrispondono in filosofia alla fisica; e l’«opera del carro», cioè le visioni di Isaia, Ezechiele e Zaccaria, che corrispondono invece alla metafisica. ->Prova esistenza Dio e l’eternità del mondo Sotto il profilo filosofico la Guida dei perplessi contiene una dimostrazione dell’esistenza di Dio, che riprende l’argomento elaborato da Avicenna, poi fatto proprio anche da Tommaso d’Aquino (che cita Maimonide). Si tratta della prova fondata sui concetti di contingenza e di necessità. Il mondo, sostiene Maimonide, è in sé contingente (può esistere o non esistere) e dipende dunque da altro da sé: tuttavia questa radicale contingenza esige la presenza di una causa che non sia contingente, ma necessaria. Per non andare avanti all’infinito nella catena delle dipendenze occorre postulare la necessità di una causa prima e necessaria, «id quod dicimus Deum». ー Ugualmente presente a Tommaso d’Aquino sarà anche la posizione di Maimonide a proposito dell’eternità del mondo: per Maimonide, sia la tesi dell’eternità che quella della creazione, sono filosoficamente indimostrabili. Inoltre, dal punto di vista allegorico, la Bibbia ebraica risulta compatibile con la dottrina dell’eternità a posteriori. La figura di Mosé Maiomonide è uno dei punti fondamentali di riferimento di quella cultura ebraica che nel mondo medievale e moderno ha cercato sempre di più di razionalizzare i contenuti della fede giudaica. Nel Seicento il filosofo Spinoza si richiamerà alla posizione di Maimonide, portandola agli estremi: un razionalismo che giunge quasi a inglobare Dio nel sistema filosofico, eliminando i caratteri del Dio biblico (un Dio creatore, trascendente la natura, un Dio che è persona e che ama le creature). Quello di Spinoza è un sistema immanentistico in cui Dio e la Natura (Deus sive Natura) arrivano a coincidere. -Contestazione al razionalismo Il pensiero del medico-filosofo-teologo Maimonide è un prodotto della cultura giudeo-araba. Egli ha praticato, nei suoi atti e nella sua opera, ciò che oggi definiamo come dialogo tra le culture e come plurilinguismo: Maimonide pensava in greco, scriveva in arabo e pregava in ebraico. «Prese in prestito da Aristotele lo strumento del sillogismo e dagli arabi il metodo dell’interpretazione allegorica delle Sacre Scritture. [...] Egli operò quindi una riformulazione filosofica della religione giudaica. [...] La sua volontà è stata quella di chiarire la fede per mezzo della ragione e fornire un’esegesi spirituale delle Scritture. In effetti, la Guida dei perplessi è dedicata a una critica ragionata delle tradizioni religiose» -Kabbaláh: nascita e sviluppi Il razionalismo di Maimonide venne accusato di empietà e di mettere in discussione i fondamenti della fede antica. ー È anche in opposizione al razionalismo di Maimonide che tra il XII e il XIII secolo, in Spagna, Provenza e Renania, sorse la kabbaláh. > In ebraico kabbaláh indica letteralmente «tradizione»: si tratta di un insieme di dottrine esoteriche dell'ebraismo medievale tese ad interpretare simbolicamente le Scritture e l'intero universo. I temi centrali della speculazione cabbalistica furono ripresi e sistematizzati in un celebre testo rabbinico del secolo XIII: Il libro dello splendore. | NASCITA DELLA SCOLASTICA MEDIEVALE -4 Fasi Di Sviluppo Scolastica Nel Medioevo 529 d.C. -> data simbolica per la fine della filosofia pagana tardo-antica e l’inizio della filosofia cristiana medievale. Nel 529 l’Editto di Giustiniano fa chiudere la Scuola di Atene; nello stesso anno San Benedetto da Norcia fonda l’abbazia di Montecassino, dando origine al programma di vita monastico fondato sullo studio delle Sacre Scritture e sul lavoro: ora et labora. Con Benedetto la figura del monaco si sostituisce a quella del «filosofo (pagano) di professione». Per scolastica si intende la filosofia insegnata nelle scholae: nelle “scuole” monastiche dei benedettini, nelle scuole palatine nelle scuole sorte presso le cattedrali e quindi nelle università, sorte in Europa a partire dal sec. XII. Il problema filosofico fondamentale della scolastica è quello di trovare una possibile armonia tra i contenuti della fede cristiana e la ragione umana. Partendo dalle differenti soluzioni date al problema del rapporto tra fede e ragione, la periodizzazione tradizionale distingue 4 fasi della scolastica (periodizzazione orientativa): preparazione, sviluppo, splendore e decadenza (decadenza dell’equilibrio tra fede e ragione). 1) Una “PRE-SCOLASTICA”(PREPARAZIONE), tipica della rinascenza carolingia (IX secolo) e caratterizzata da una ripresa della tradizione neoplatonica: la figura più emblematica è quella di Scoto Eriugena, chiamato dall’imperatore Carlo il Calvo a dirigere la Scuola Palatina. 2) Una “ALTA SCOLASTICA” (“altus” in latino indica “antico”) - SVILUPPO - che va dal X secolo alla fine del XII secolo: il problema centrale è quello del rapporto tra fede e ragione, e la questione più dibattuta è quella dell’utilizzo o meno della logica nella teologia (dialettici e anti- dialettici). > Gli autori fondamentali di riferimento sono Anselmo d’Aosta e Pietro Abelardo. 3) Dal 1200 ai primi anni del 1300 si hanno i grandi SISTEMI e le grandi SINTESI DELLA SCOLASTICA MEDIEVALE (SPLENDORE): le figure chiave sono quelle di Tommaso d’Aquino (per l’ordine domenicano) e Bonaventura da Bagnoregio (per l’ordine francescano). In questa fase si ha un pieno equilibrio del rapporto tra fede e ragione. 4) Nel periodo della “DECADENZA” si prospetta la possibilità di un disaccordo tra la fede e la ragione: si formula un paradigma di ragione che inevitabilmente conduce a risultati diversi ed anche contrapposti rispetto alla fede. > Nel secolo XIV si ha un “dissolvimento” della scolastica per la riconosciuta impossibilità di un accordo tra la fede cristiana e la ragione filosofica, considerati ambiti distinti ed eterogenei. > La figura emblematica di questa fase è quella del francescano inglese Guglielmo d’Ockham (tradizionalmente considerato come l’esponente del nominalismo e l’iniziatore dell’empirismo inglese) e il domenicano tedesco Meister Eckhart (fautore di un “misticismo speculativo”). -limiti metodologici della scolastica medievale I limiti metodologici della scolastica medievale sono essenzialmente di 3 tipi: 1. L’eccessivo riferimento alle auctoritates (la Bibbia e i Padri della Chiesa) spesso limita la libera discussione su una determinata tematica di ordine filosofico e teologico; 2. Gli umanisti del Quattrocento accusarono la scolastica e soprattutto la Tarda scolastica del Trecento di perdersi in discussioni sterili ed astratte, rigorose dal punto di vista logico-deduttivo, ma prive di riferimento alla natura reale dell’uomo e del mondo fisico; 3. Il Seicento è il secolo della nascita del metodo scientifico moderno, fondato sull’esperimento e la verifica delle ipotesi: i filosofi della scienza del Seicento accusarono la scolastica medievale e la cosiddetta “seconda scolastica” (quella del Seicento) di argomentare solo con la logica, escludendo quasi del tutto il momento della verifica sperimentale, ovvero le «sensate esperienze e necessarie dimostrazioni» di cui parlava Galilei. -BOEZIO Una figura chiave che ha dato origine alle problematiche filosofiche discusse nell’età medievale è quella di Severino Boezio: si tratta di uno degli autori più citati e commentati dagli scolastici. Accusato di cospirazione e tradimento (a favore dell’imperatore bizantino) fu imprigionato a Pavia, dove fu condannato a morte nel 525. Durante il periodo di prigionia a Pavia, Boezio scrisse una delle opere più lette dell’età medievale: Il De Consolatione Philosophiae (la Consolazione della filosofia). Nel De consolatione Boezio sostiene che la filosofia non è solamente un oggetto di studio, ma è uno “stile di vita” in grado di assicurare serenità e “felicità metafisica” anche quando le circostanze esteriori sono assolutamente drammatiche. Si propose di recuperare e rendere accessibili in latino i testi filosofici greci, conciliandoli con la fede cristiana. > Egli traduce quindi le opere logiche di Aristotele e i loro commenti: in particolare, traduce in latino le Categorie e il De interpretatione di Aristotele e l’Isagoge di Porfirio, costituendo il corpus della cosiddetta logica vetus o logica antiqua, utilizzata nel Medioevo latino fino al secolo XII, ovvero fino all’introduzione dei nuovi testi logico-filosofici di Aristotele, conservati dagli arabi e ritradotti in latino (la cosiddetta logica nova). Boezio lascia in eredità alla scolastica medievale il cosiddetto “problema degli universali”: si tratta di un problema logico-linguistico ed ontologico: il problema dell’esistenza reale o meno dei concetti universali (cioè generali) della mente umana (il concetto generale di uomo, di animale, ecc.). La filosofia di Boezio è sostanzialmente un tentativo di conciliare Platone con Aristotele: il pensiero aristotelico, ridotto alla logica, è subordinato alla metafisica neoplatonica. Dio ha creato tutte le cose dal nulla secondo un ordine di beni. L’ordine che regna l’universo è immagine della razionalità propria delle idee divine, esemplari eterne delle cose create. --B CREATORE DEL LESSICO FILOSOFICO DELLA SCOLASTICA MEDIEVALE Il merito principale di Boezio è di aver tradotto in lingua latina i più importanti concetti filosofici greci: egli è il creatore del lessico filosofico della scolastica medievale che si esprime in latino. Nei suoi testi Boezio traduce il termine greco ousìa con il latino essentia e osserva che questa indica la forma, la quale è propriamente la causa dell’essere delle cose: Dio, in questa prospettiva di neoplatonismo cristiano, è il “contenitore delle forme” ed è il fondamento dell’essere di tutte le cose del mondo. --LA DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI PERSONA Boezio traduce anche i termini greci hypòstasis e pròsopon con il termine latino “persona”. Egli dà quindi un'importante definizione della persona umana che conserva ancora oggi elementi di attualità (si pensi ai dibattiti di bioetica). La persona umana viene definita da Boezio come «sostanza individuale di natura razionale». In senso aristotelico, la persona è una substantia (cioè un sìnolo, un'unione di materia e forma, ovvero di corpo ed anima) la cui caratteristica è il possesso della razionalità. --SVILUPPI DEL CONCETTO BOEZIANO DI PERSONA Tommaso d’Aquino, commentando Boezio, riprende questa prospettiva e definisce la persona come «ciò che c’è di più perfetto in tutta la natura poiché essa [la persona] è di natura razionale». Le definizione di persona date da Boenzio e da Tommaso D’Aquino hanno avuto una grande ricezione anche nella cultura moderna: seppur con differenti accentuazioni, si avvertono gli echi di tali definizioni in Immanuel Kant (che parla di persona in senso morale e giuridico), in Antonio Rosmini (la persona come “metafisica della soggettività” e come fondamento del diritto) e naturalmente nel personalismo del Novecento (il francese Emmanuel Mounier* e l’italiano Luigi Stefanini). *Con Emmanuel Mounier (1905-1950), il personalismo diviene anche una filosofia di impegno politico: il personalismo è una filosofia di ispirazione cristiana che propone una “terza via” rispetto al collettivismo marxista e all’individualismo liberale. Mounier teorizza una rivoluzione personalistica e comunitaria. -GIOVANNI SCOTO ERIUGENA Egli vive nel IX secolo ed è stato il primo autore di rilievo della scolastica: in SCOTO ERIUGENA troviamo una totale identificazione tra i contenuti della fede cristiana (la Trinità, l’Incarnazione) e la filosofia. La sua opera più importante e originale è il De Divisione Naturae (Sulla divisione della natura), scritto in forma di dialogo tra maestro e discepolo, emblematica espressione del neoplatonismo cristiano medievale. ->IL PLATONISMO CRISTIANO (LE 4 FASI DELLA NATURA) Partendo da Proclo e dallo Pseudo-Dionigi, Scoto Eriugena concepisce la struttura dell’universo in 4 divisioni fondamentali: seguendo il neoplatonismo egli sostiene che tutto si origina dall’Uno (Dio-Padre) e che tutta la creazione - ed in primis l’uomo quale imago Dei – è chiamata a riunirsi al Creatore. La natura dell’universo si dispiega in 4 fasi: 1) La NATURA CHE NON CREA E CREA. Si tratta di Dio-Padre, creatore dell’essere che è bontà, trascendente ed ineffabile. 2) La NATURA CHE È CREATA E CREA. Questo secondo livello coincide con il mondo platonico e neoplatonico delle forme. > Le idee-forme vivono nella mente di Dio, sono create e, allo stesso tempo, creatrici. La prima vera creazione riguarda, quindi, il mondo intelligibile: la creazione del mondo sensibile non è nient’altro se non la manifestazione temporale e sensibile di ciò che sussiste eternamente nelle forme. 3) La NATURA CHE È CREATA E NON CREA. Si tratta del mondo sensibile e materiale, in cui emerge l’uomo che per la sua razionalità è partecipe della mente divina. 4) La NATURA CHE NON È CREATA E NON CREA. Si tratta nuovamente di Dio, ma considerato come il fine di tutte le cose, ossia ciò a cui tutto ritorna.Tutte le cose desiderano Dio come fine, ed è impossibile attribuire a Dio una “bassezza” come il potere di infliggere pene eterne: non eisiste quindi la dannazione eterna Tutta la natura viene interpretata da Scoto Eriugena come una teofania, cioè come un’automanifestazione di Dio. Nella natura si manifesta la trascendenza e la bellezza di Dio; il mondo appare come una manifestazione di Dio attraverso le cause primordiali ed eterne (le idee platoniche). Il platonismo cristiano medievale concepisce il mondo «quasi come un libro scritto con la mano di Dio». La bellezza del mondo risulta quindi essere un riflesso della bellezza di Dio: si tratta di una estetica teologica per la quale «la bellezza visibile è immagine della bellezza invisibile». o Questo continuo rimando dalla natura al Creatore determina il complesso simbolismo ed allegorismo medievale. La visione del mondo di Scoto Eriugena fu accusata di panteismo (Dio che è presente e si risolve in tutte le cose, persino in quelle materiali) e come tale fu condannata dalla Chiesa come eretica nel 1215. Per Abelardo, la sola intenzione di peccare costituisce, di per sé, peccato. “Peccato” è consentire ad una cattiva azione con la volontà. “Vizio” è l’inclinazione a compiere il male. Basta l’intenzione a determinare il peccato. Ecco perché l’uomo non può giudicare le azioni altrui, nemmeno la Chiesa, solo Dio, che conosce i movimenti dei nostri atti. È un’etica dell’Interiorità, tesa a smontare il formalismo religioso. ->”Dialogo Tra Un Filosofo Un Ebreo E Un Cristiano” Attuali sono i contenuti dell’opera postuma di Abelardo Dialogo tra un filosofo, un ebreo e un cristiano. Abelardo mette in scena un dialogo al fine di trovare dei punti di convergenza (e di riappacificazione) tra le tre differenti fedi religiose (ebraica, cristiana ed islamica; quella islamica è rappresentata dal filosofo). Per Abelardo più la fede religiosa si fa “filosofica” (più diviene razionale), più si apre alla conciliazione con le altre fedi. Al centro del Dialogo sta quindi l’idea di una “RELIGIONE NATURALE”, di «un’unica religione nella varietà dei riti (una religio in rituum varietate)». Per Abelardo il lógos dei filosofi greci è la prima “rivelazione naturale” donata da Dio all’uomo ed è la fonte comune delle rivelazioni religiose che si sono susseguite nella storia (ebraismo, cristianesimo, Islam). Nel Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano Abelardo presenta l'idea di un cristianesimo "naturale" e quindi tollerante, l'utopia di una convivenza, e perfino di una convergenza, con le altre fedi nate dalla Bibbia (l'ebraismo e l'Islam). IL PROBLEMA DEGLI UNIVERSALI: Da Boezio Ad Abelardo Nei suoi scritti di logica Abelardo tratta il cosiddetto «problema degli universali» e dà una soluzione definita come concettualismo. Boezio traduce dal greco al latino l’Isagoge di Porfirio, cioè l’introduzione porfiriana alle Categorie di Aristotele. Boezio consegna al medioevo latino i problemi logico- filosofici posti da Aristotele nelle Categorie e ripresi da Porfirio nei suoi commenti ad Aristotele: in particolare, Boezio introduce nella scolastica latina medievale il cosiddetto «problema degli universali». o Il «PROBLEMA DEGLI UNIVERSALI» può essere espresso in questa forma: che tipo di realtà hanno i generi e le specie (cioè i concetti universali, “universali” in quanto predicabili di più cose singole), di cui parla Aristotele nelle Categorie? -La scolastica e il «problema degli universali» Il problema riguarda l’esistenza reale o meno dei concetti universali con i quali l’uomo categorizza la realtà: esiste il concetto universale di uomo o solamente i singoli individui? Esiste il concetto universale di animale o solamente i singoli animali? La questione degli universali nasce con Socrate (la scoperta socratica del concetto), viene ripresa da Platone e da Aristotele. Tuttavia, grazie alla mediazione di Porfirio e di Boezio, il problema dell’esistenza o meno dei concetti universali diventa una delle questioni fondamentali poste dagli scolastici medievali. Quella degli universali non è una problematica astratta, ma riguarda importanti problemi di ordine logico- linguistico, ontologico e persino teologico: il pensiero e il linguaggio umano rispecchiano l’essere e le sue strutture reali? All’interno della scolastica medievale le soluzioni date al «problema dell’esistenza o meno dei concetti universali» sono sostanzialmente di 5 tipi: 1. REALISMO ESTREMO (Scoto Eriugena, Anselmo d’Aosta, Guglielmo di Champeaux e, in genere, i rappresentati del “platonismo cristiano”); 2. REALISMO MODERATO (Tommaso d’Aquino); 3. CONCETTUALISMO (Pietro Abelardo); 4. NOMINALISMO. E il nominalismo si distingue, a sua volta in: o nominalismo ESTREMO (Roscellino di Compiègne); o nominalismo MODERATO (Guglielmo d’Ockham). GLI UNIVERSALI: realismo estremo e nominalismo estremo Per i platonici come Scoto Eriugena, Anselmo d’Aosta e Guglielmo di Champeaux (maestro di Abelardo) i concetti universali sono realtà esistenti sia nella mente divina che nella realtà empirica: questa posizione è stata definita come “realismo estremo”. Opponendosi al “realismo estremo”, il monaco Roscellino di Compiègne (1050-1120), anch’egli maestro di Abelardo, propone una forma di “nominalismo estremo”. Conosciamo la sua posizione tramite le critiche di Anselmo e poi Abelardo. Per Roscellino i concetti universali (generi e specie; animale, uomo, ecc.) non esistono nella realtà ma sono dei semplici flatus vocis: sono emissioni vocali alle quali non corrisponde niente nelle cose stesse (in re). Per Roscellino gli universali sono dei semplici nomi (nomina) e non esiste nulla ad di fuori degli individui: «nihl est praeter individuum». -ROSCELLINO: il nominalismo L’idea di Roscellino, per cui l’universale è esclusivamente un nome senza che vi sia una sua corrispondenza con la realtà, viene chiamata NOMINALISMO. Il nominalismo ha come conseguenza gnoseologica un distacco tra linguaggio pensiero e realtà, perché i concetti (che noi indichiamo sempre con termini universali) e le operazioni che enunciano leggi generali del mondo, sono destinate a rimanere confinati in un ambito linguistico senza possibilità di definire stati di cose reali. -ABELARDO: il concettualismo Abelardo cerca di conciliare le posizioni estreme dei suoi due maestri: il realismo estremo di Guglielmo di Champeaux e il nominalismo estremo di Roscellino. Per Abelardo gli universali sono dei concetti, cioè delle immagini mentali di molte cose. I concetti universali non esistono nella realtà ma solo nella mente umana. Questa posizione è stata definita come concettualismo. Per Abelardo la conoscenza umana si origina dalle sensazioni (vista, udito, ecc.); > la mente coglie per astrazione le caratteristiche comuni ad una classe più individui, coglie cioè l’universale (ciò che accomuna un insieme di individui: l’animalità, la razionalità, ecc.). Il concetto universale è dunque un discorso e, più precisamente, è un «discorso predicabile di molte realtà individuali» Per concettualismo si intende la tesi secondo cui, accanto agli individui, che sono le uniche sostanze esistenti, e ai nomi, anch’essi realtà concrete e particolari, vi sono i concetti, ossia i significati universali che attribuiamo collettivamente alle cose. Quando diciamo “uomo”, non diciamo qualcosa di diverso da “Tizio, Caio, Sempronio", ma pensiamo a qualcosa di oggettivamente diverso, in quanto prescindiamo dalle caratteristiche proprie e peculiari di ciascun individuo e pensiamo a ciò che li accomuna. Tuttavia nulla garantisce che, fuori dalla mente, la realtà debba essere fatta proprio in modo da corrispondere a questo nostro modo di pensare: l’universale rappresenta un’oggettività concettuale, appunto, non reale. Il 200, Secolo D’oro Della Scolastica Medievale Il Duecento in Italia è il secolo della civiltà comunale, mentre in Europa è il secolo dell’avviamento dei grandi Stati nazionali, con un potere forte e centralizzato (es. Francia e Inghilterra); si ha una generale ripresa dell’attività economica e l’emergere di un nuovo ceto sociale: la borghesia, le cui rivendicazioni socio- politiche caratterizzeranno tutta l’epoca moderna. Nel MEDIOEVO il XIII secolo è caratterizzato da una rifioritura della cultura umanistica Il centro della vita culturale non è più il monastero, ma la città con le sue istituzioni formative: le università. In particolare, sono tre le grandi novità che nel Duecento hanno determinato il pieno sviluppo della scolastica, cioè della filosofia insegnata nelle scholae (studio della filosofia accanto alla teologia, alla medicina e alle 7 arti liberali): 1. il sorgere delle Università; 2. la fondazione degli ordini mendicanti (francescani e domenicani); 3. l’introduzione in Europa del corpus completo delle opere di Aristotele, tradotte in latino dall’arabo e dal greco. NASCITA DELLE UNIVERSITÀ IN EUROPA L’istituzione delle università ha le sue radici nell’alto Medioevo: nelle scuole monastiche, nelle scuole vescovili o scuole cattedrali e nelle scuole palatine. Nel XIII secolo la CITTÀ inizia ad assumere un ruolo centrale nella società e si avverte l’esigenza di nuove istituzioni per la formazione del clero e della nascente borghesia: le università nascono in tutta Europa come libere associazioni di studenti e maestri: Universitas scholarium et magistrorum. > La data di fondazione delle università viene fatta coincidere con la concessione, da parte di un’autorità civile o religiosa, di privilegi giuridici ai maestri e agli studenti, al fine di garantire la loro autonomia rispetto alla legislazione ordinaria e ai poteri locali. > Le università si specializzano per alcuni ambiti disciplinari: l’università di Bologna (fondata nel 1111) si specializza nello studio del diritto, quella di Salerno per la medicina, quella di Parigi per la teologia, quella di Oxford per lo studio della fisica e della filosofia naturale. -Facoltà universitarie e metodo d’insegnamento Le Facoltà che caratterizzano gli studi medievali sono 4: Teologia, Diritto, Medicina e Facoltà delle Arti: quest’ultima si incentra sullo studio delle 7 arti liberali, cioè le arti del Trivio (quelle letterarie: grammatica, retorica, dialettica) e le arti del Quadrivio (quelle a carattere scientifico: aritmetica, geometria, musica, astronomia). > Le posizioni filosofiche emergono soprattutto dai maestri delle arti liberali e dai maestri di teologia: non bisogna dimenticare però che i docenti medievali avevano una preparazione poliedrica e di carattere enciclopedico. L’esempio emblematico di questa preparazione enciclopedica è la figura di ALBERTO MAGNO (1206-1280): i suoi scritti passano dai commenti ad Aristotele alla teologia, dalla medicina all’agricoltura e all’arte nautica, dalla mineralogia all’astronomia e alla catalogazione di animali e piante. Un tipico prodotto dell’enciclopedismo medievale sono le Summae, caratterizzate dal tentativo di ridurre ad unità il sapere e/o un determinato ambito. Lo stesso Alberto Magno scrisse una Summa de creaturis e una Summa theologica, modello per la successiva Summa theologica dello stesso Tommaso d’Aquino. o Le Summae esprimono l’esigenza di un ordinamento del sapere necessario alla costituzione di una scienza fondata sulla prassi della quaestio ARTICULUS: posizione di una tesi, con argomenti addotti a favore SED CONTRA: riflessione critica, con argomentazioni contrarie alla tesi RESPONDEO DICENDUM: decisione della questione, che assume il più delle volte la forma di una distinzione che consente di ritrovare nella posizione avversaria la parte della verità che la sorregge Nelle università del medioevo le forme didattiche erano essenzialmente due: la lectio e la disputatio: La LECTIO è la lettura che il maestro fa di un testo con il suo proprio commento. I testi commentati erano solitamente quelli biblici, le opere di Aristotele e di Boezio e le Sentenze di Pietro Lombardo (raccolta antologica e sistematica delle opinioni dei Padri della Chiesa sui differenti temi su modello del Sic et Non di Abelardo) Accanto alla lectio vi era la DISPUTATIO, cioè la discussione di tutti gli argomenti pro e contro una determinata tesi che il testo poteva suggerire. Inoltre, la discussione poteva essere una DISPUTATIO ORDINARIA, cioè tenuta regolarmente durante il corso, o una DISPUTATIO DE QUODLIBET (un “dibattito libero”). > Le cosiddette Quodlibetali erano “dispute aperte” alle quali potevano partecipare tutti i cittadini: erano eventi pubblici organizzati solitamente nel periodo di Avvento e di Quaresima. La DISPUTATIO è orale; la forma scritta della disputatio prende il nome di QUAESTIO. La quaestio assume uno schema tipico; ecco ad esempio quello di Tommaso d’Aquino nella sua Summa Theologiae: a. si pone il problema nella forma dell’Articulus: per esempio «Utrum Deus sit» (Se Dio esita o meno); b. si riportano le soluzioni negative e si espongono le opinioni delle auctoritates in proposito; c. l’autore espone la propria opinione a proposito delle soluzioni negative («Sed contra...»); d. l’autore espone con ampiezza la sua soluzione al problema posto: si tratta del Respondeo ed è la parte più importante e propositiva della quaestio; e. nell’ultima parte della quaestio l’autore risponde ad una ad una a tutte le obiezioni menzionate nella prima parte A partire dal Duecento la cultura e le scienze hanno un radicamento istituzionale: con la nascita delle università l’istruzione superiore passa da una dimensione privata ad una pubblica. Gli insegnamenti vengono impartiti secondo programmi pubblici e verificabili (la verifica da parte dei propri studenti, colleghi e di coloro che sostengono tesi contrarie). Nella scolastica medievale si affinano gli strumenti logico-argomentativi e la filosofia assume un carattere dialettico, cioè fondato sulla disputa: una verità è tale solo se viene messa in questione, se viene cioè sottoposta alla prova del dubbio e resiste ad essa (Articulus, Sed contra, Respondeo...). Con il metodo scolastico il basso medioevo ha espresso una straordinaria vivacità intellettuale. 1200: Nascita Ordini Mendicanti (domenicani e francescani) Agli inizi del Duecento lo spagnolo SAN DOMENICO DI GUZMÁN fonda l’Ordine dei frati predicatori dediti allo studio, alla lotta delle eresie e alla diffusione della cultura cristiana nella vita cittadina: dal 1229 i domenicani ottengono una cattedra a Parigi e quindi insegneranno nelle principali università europee del medioevo. L’atteggiamento filosofico dei domenicani (come Alberto Magno e Tommaso d’Aquino) si caratterizza per un forte richiamo al RAZIONALISMO ARISTOTELICO: essi tentarono di cristianizzare Aristotele, cioè di rendere compatibile la filosofia aristotelica con la fede cristiana. Si tratta della PROVA COSMOLOGICA, desunta dalla Metafisica di Aristotele. Essa parte dal principio che «tutto ciò che si muove è mosso da altro». Nelle cause del movimento degli enti non è possibile regredire all’infinito, deve esserci un “Motore Immobile”, un primo motore che non sia mosso da null’altro: questo primo principio viene compreso da tutti come DIO. 2. EX CAUSA La seconda via è la PROVA CAUSALE. Nel mondo esistono un’infinità di effetti prodotti da cause; di necessità deve esserci una “causa prima incausata”: tale causa efficiente prima (producente tutte le “cause seconde” dell’ordine naturale) è DIO. 3. EX CONTINGENTIA La terza via parte dalla constatazione che le realtà sensibili ora esistono e ora non esistono (possono essere o non essere; nascono e muoiono), cioè sono contingenti. Tutto ciò che esiste è contingente (può essere o non essere): deve quindi di necessità esserci un ente necessario che fonda l’essere delle creature. Tale ente necessario è DIO. 4. EX GRADIBUS PERFECTIONIS La quarta via parte dalla constatazione che nella realtà sensibile esistono diversi gradi di perfezione: si trovano nelle cose il meno e il più del bene, del bello, ecc. Vi dovrà, quindi, di necessità esserci una causa prima di tutte le perfezioni: si tratta di un essere assolutamente perfetto, in riferimento al quale si possano distinguere i gradi meno perfetti, che chiamiamo DIO. 5. EX FINE La quinta via è tratta dal finalismo delle cose naturali: tale finalismo deve essere stato posto da una Intelligenza suprema e ordinatrice. Tutte le cose naturali, seppur prive di intelligenza, appaiono sempre dirette ad un fine (es: il seme che ha come finalità il diventare pianta). Questa finalità presente nella natura deve di necessità essere stata posta da un Essere dotato di intelligenza: così come la freccia non può essere diretta al bersaglio se non per opera dell’arciere. o La quinta via è ancora oggetto di discussione da parte degli uomini di scienza: si tratta del grande tema del “disegno intelligente”: per i teorici dell’intelligent design alcune caratteristiche dell'universo e delle cose viventi sono spiegabili meglio attraverso una causa intelligente, che non attraverso un processo casuale e non pilotato come la selezione naturale (di cui parlava Charles Darwin). -Metafisica Dell’Esodo e dottrine della partecipazione ontologica e dell’analogia Importanti filosofi tomisti del Novecento hanno definito il pensiero di Tommaso con queste formule equivalenti: «metafisica dell’Esodo» o «metafisica dell’essere come actus» o «metafisica della partecipazione». Già nel suo opuscolo giovanile, il De ente et essentia, Tommaso definisce Dio come il creatore dell’essere delle creature. > Tutte le creature del mondo, compreso l’uomo, non sono autonome nella loro esistenza: si tratta sempre di creature finite, limitate, mortali, contingenti. > Tutte le creature ricevono gratuitamente l’esistenza in virtù dell’atto creatore divino. Le creature hanno quindi l’essere “per partecipazione” all’essere divino. Siamo all’interno di una “metafisica della partecipazione”, ricca di risonanze platoniche e neoplatoniche. Nel libro biblico dell’Esodo Dio nomina sé stesso come “essere”: Mosé ascolta una voce divina e gli chiede di qualificarsi, Jawé si definisce con un’espressione che San Girolamo traduce con «ego sum qui sum», e resa in italiano come «io sono colui che sono». > Sarebbe quindi Dio stesso a definirsi come “pienezza d’essere”, come la fonte dell’essere finito delle creature. > La metafisica tommasiana della partecipazione è stata quindi definita come una «metafisica dell’Esodo», cioè come un pensiero che trae origine dall’interpretazione del passo biblico (il libro dell’Esodo) dove Dio nomina sé stesso come “pienezza d’essere”. L’essere infinito e perfetto di Dio è qualitativamente diverso rispetto all’essere finito ed imperfetto delle creature. Tommaso evita la piena identificazione tra l’essere di Dio e quello delle creature: evita consapevolmente l’accusa di “panteismo”. C’è quindi, per Tommaso, una radicale “differenza ontologica” tra Dio e gli enti creati. > Tuttavia tra gli attributi delle cose create e gli attributi di Dio esiste, per Tommaso, un rapporto di analogia, cioè una parziale somiglianza. Per Tommaso l’uomo non può conoscere l’essere di Dio in sé stesso, può però conoscere – per analogia – alcune caratteristiche dell’essere divino a partire dalle caratteristiche delle creature. -Dottrina dell’analogia e possibilità del discorso umano su dio Partendo dalle caratteristiche dell’essere degli enti creaturali, l’uomo può risalire ad alcune caratteristiche dell’essere di Dio creatore: per Tommaso e i tomisti del Novecento, la “teologia razionale o teologia naturale” si origina proprio dall’“analogia dell’ente”: analogia tra l’essere delle creature e l’essere di Dio. Il principio di analogia rappresenta la condizione di base del discorso teologico. Partendo dal principio di analogia, il discorso su Dio procede in un triplice modo: si può risalire alla natura divina e ai suoi attributi mediante 3 vie: 1) LA VIA NEGATIVA (via remotionis o via negationis) Consiste nel negare di Dio tutte le imperfezioni delle creature. Dio è l’essere perfectissimum che non conosce i limiti della condizione creaturale. Nel delineare la via negativa Tommaso si richiama esplicitamente alla “teologia negativa” di Pseudo-Dionigi Areopagita. 2) LA VIA DELLA CASUALITÀ (via causalitatis o via affirmationis) Siccome le creature sono effetto di Dio, causa prima dell’essere, tutte le perfezioni che sono nelle cose devono trovarsi anche in Dio. 3) LA VIA DELL’EMINENZA (via eminentiae) Le perfezioni, cioè le caratteristiche positive delle creature, vanno attribuite anche al Creatore, ma in maniera superlativa. L’essere di Dio è infinito e tutte le perfezioni presenti nelle creature (la loro bontà, bellezza, ecc.) vanno attribuite anche al Creatore in mondo superlativo (Dio è sommo bene, somma bellezza, ecc.) -Dottrina dei “trascendentali” dell’ente Nella storia della filosofia il concetto di trascendentale ha conosciuto diversi significati. Tra i più significativi c’è il “significato ontologico” dato dagli autori della scolastica medievale (comprensibile all’interno di una “metafisica dell’essere”) e il significato conoscitivo dato da Kant nel Settecento (comprensibile all’interno di una “metafisica della mente”). In Tommaso d’Aquino troviamo una “DOTTRINA DEI TRASCENDENTALI” espressa nella I delle Quaestiones de veritate. Il termine “trascendentali” non viene utilizzato da Tommaso ma dagli autori della Tarda scolastica e dai tomisti del 900. I trascendentali sono quei caratteri universali, presenti in ogni ente creato, che trascendono (vanno al di là) delle stesse categorie, cioè della distinzione degli enti in generi e specie. > Tutti gli enti, per Tommaso, hanno 5 proprietà trascendentali: ogni ente è una cosa; costituisce una unità, ovvero un sìnolo di materia e forma; ha una sua identità e non può essere confuso con altri enti; ogni ente è verità poichè la mente umana conoscendo l’ente lo conosce nella sua realtà concreta; è bontà poichè ogni ente è stato creato da Dio che è Summum Bonum. -il PULCHRUM: la bellezza come trascendentale e l’ottimismo metafisico tommasiano La Tarda scolastica (cioè la scolastica del 300) ha inserito un sesto trascendentale: la bellezza (il puchrum): “ogni ente ha un grado di bellezza poiché partecipa della bellezza perfetta di Dio”. La concezione tommasiana dei trascendentali riflette l’ottimismo metafisico che Tommaso voleva trasmettere: il suo obiettivo polemico era anche l’eresia càtara (erede del manicheismo tardo-antico) che vedeva la materia come un male e interpretava l’universo come un campo di lotte tra tue forze antagoniste (il bene e il male, intesi in senso ontologico, cioè come due divinità). Tommaso e i domenicani rispondono all’eresia càtara formulando anche la dottrina del trascendentale: con Agostino d’Ippona essi sostengono che il male non ha uno statuto ontologico ma è “privazione di bene” e che ogni ente è partecipe della bontà divina, seppur in differenti gradi: “omne ens est bonum” poiché è stato liberamente voluto e creato da Dio stesso. -Concetto di trascendentale in D’Aquino e Kant Il termine “trascendentale” è stato certamente reso famoso da KANT ed ha un significato diverso da quello tommasiano: nella CRITICA DELLA RAGION PURA (1781), Kant utilizza il termine “trascendentale” all’interno della sua teoria della conoscenza: lo usa cioè per definire le forme pure della sensibilità e i concetti puri dell’intelletto (ovvero le 12 categorie): “trascendentale” in Kant indica quindi la sfera degli apriori della conoscenza. Tuttavia Kant conosceva il SIGNIFICATO SCOLASTICO della “dottrina dei trascendentali” e ad essa dedica il paragrafo 12 della Critica della ragion pura: paragrafo importantissimo per comprendere le differenze tra il significato scolastico e quello propriamente kantiano di «trascendentale»: -Teoria della conoscenza Opponendosi alla teoria dell’illuminazione di Agostino e dei francescani come Bonaventura, Tommaso riprende la teoria della conoscenza elaborata da Aristotele nel De anima. D’Aquino sostiene che la conoscenza si origina sempre dai 5 sensi. Per Tommaso la conoscenza umana si realizza grazie ad un processo di “astrazione”: la conoscenza è conoscenza delle “forme” delle cose. La “forma” delle cose viene conosciuta dall’intelletto tramite un processo di astrazione. Astrarre indica letteralmente “trarre via da”: l’intelletto conosce “tirando fuori dall’oggetto la sua forma”. Nella mente umana l’attività dei 5 sensi porta alla COSTITUZIONE DEL “FANTASMA” DELL’OGGETTO: si tratta della riproduzione dell’oggetto sensibile nell’immaginazione. -Realismo conoscitivo La conoscenza, per Tommaso, delinea una “corrispondenza” tra l’intelletto e la cosa: per mezzo dell’astrazione l’intelletto si impossessa della forma delle cose ed è in grado di conoscere le cose stesse, nella loro intima essenza. o Con Tommaso siamo all’interno di un OTTIMISMO GNOSEOLOGICO e di un REALISMO CONOSCITIVO: tale realismo sarà messo radicalmente in discussione nel corso del pensiero moderno. -Teoria dell’anima e critica all’averroismo Tommaso si oppone all’interpretazione averroistica dell’anima umana. Egli riprende il commento al De anima di Aristotele scritto da Temistio (IV sec. d.C.) ed afferma che non solo l’intelletto passivo appartiene all’anima individuale, ma anche l’intelletto agente. Mentre Averroè e gli averroisti latini (come Sigieri di Brabante) sostenevano che l’intelletto agente era unico, indistinto e separato per tutti gli uomini, Tommaso d’Aquino sostiene che anche l’intelletto agente appartiene individualmente a ciascun uomo. o Ogni singola persona ha quindi un proprio ed individuale intelletto passivo ed un intelletto agente: l’intelletto esercita un'attività immateriale che garantisce all’anima la sopravvivenza anche dopo la morte. Contro Averroè e gli averroisti, Tommaso sostiene l’immortalità dell’anima individuale: l’intelletto agente, la parte divina che è nell’uomo, costituisce il nucleo più profondo della sua anima: tale intelletto non è unico per tutti gli uomini (come sostenevano gli averroisti), ma è proprio di ciascun individuo e lo rende immortale. -Intellettualismo etico tommasiano Tommaso pone un primato dell’intelletto sulla volontà. L’intelletto propone alla volontà l’ordine dei beni da scegliere: la gerarchia dei beni della realtà, al cui vertice c’è Dio summum bonum: la volontà segue necessariamente le indicazioni dell’intelletto. Tale posizione tomista può essere definita come “intellettualismo etico”: tale intellettualismo si contrappone al volontarismo che caratterizza la scuola francescana (il «volontarismo» indica un assoluto primato della volontà sull’intelletto). > Per Tommaso il libero arbitrio presuppone la “sottomissione” della volontà alla ragione: è quest’ultima che giudica sul da farsi. -La sindèresi e l’etica delle virtù L’uomo compie il male quando la volontà non segue ciò che l’intelletto gli ha indicato come un bene e preferisce una realtà inferiore (come la soddisfazione delle proprie passioni) ad una superiore (il Bene che è amare Dio). Per Tommaso la realtà è organizzata secondo un ordine gerarchico di beni, posti nella realtà da Dio stesso, “sommo bene”. Tramite la ragione naturale l’uomo è in grado di conoscere i principi primi ed universali del bene. Riprendendo San Girolamo, Tommaso definisce la sindéresi come “la luce della coscienza”: la sindéresi è facoltà che permette all'uomo di avere conoscenza innata del bene e del male. La sindéresi è quindi l’organo di conoscenza della «legge naturale», cioè dell’etica: è una capacità di distinguere spontaneamente il bene dal male. La sindèresi esprime la tendenza innata dell'anima umana verso il bene e il suo rifiuto del male: la sindèresi è «l’intellezione dei princìpi primi che concernono le cose buone da fare». Ascoltando la voce interiore della coscienza, l’uomo può agire rettamente nella pratica delle virtù: ー la 4 virtù cardinali ( prudenza, temperanza, giustizia, sapienza); ー le 3 virtù teologali (fede, speranza e carità). -Ottimismo antropologico Partendo dalla lettura e dal commento dei testi di Aristotele, Tommaso rifiuta una delle tesi fondamentali dell’agostinismo politico: la concezione dello Stato come “convenzione” necessaria per arginare la decadenza dell’uomo dopo il peccato originale. La natura corrotta dell’uomo - secondo l’agostinismo politico - non può più essere lasciata libera ma dev’essere guidata da un potere coercitivo e correzionale. In Tommaso abbiamo una concezione molto più positiva ed ottimistica della natura umana. BONAVENTURA -LA DOTTRINA AGOSTINIANA DELL’ILLUMINAZIONE Opponendosi ad Aristotele e Tommaso d’Aquino, BONAVENTURA ritiene che non tutta la conoscenza deriva dai sensi: l’anima infatti può conoscere Dio e se stessa senza l’aiuto dei sensi esterni. o Bonaventura riprende da Agostino la teoria dell'illuminazione divina: nell’uomo la presenza di Dio è un “lume direttivo” che coordina tutti i dati sensibili. Deus habitat in interiore homine: nell’uomo, in quanto imago Dei, è presente l’idea dell’essere infinito. Per Bonaventura l’idea di Dio è implicita in ogni operazione della nostra mente: è l’idea dell’essere infinito che accompagna ed orienta ogni umana conoscenza empirica. --L’ESEMPLARISMO E LA DOTTRINA DELLE RATIONES SEMINALES Inoltre, Bonaventura rimprovera ad Aristotele di aver negato la teoria platonica delle idee-forme. o Per Bonaventura, come già per Filone Alessandrino e Agostino, le idee-forme di Platone sono “gli esemplari” presenti nella mente divina e tramite i quali Dio ha creato il mondo: il reale esiste come partecipazione agli esemplari eterni, le idee della mente di Dio: è questa la dottrina dell’esemplarismo. Connessa alla dottrina dell’esemplarismo è quella delle “ragioni seminali” (rationes seminales): per Bonaventura Dio, nell’atto della creazione, ha immesso nella natura i germi, cioè “i semi” di tutto ciò che si sviluppa nel corso del tempo. o La materia ha in sé le rationes seminales, cioè i principi della sua evoluzione: tale dottrina delle “ragioni seminali” spiega il perenne dinamismo della natura (il perenne passaggio delle cose dalla potenza all’atto, esempio: i semi che diventano piante, ecc.) e costituisce un'anticipazione in chiave cristiana dell’evoluzionismo moderno --LA FILOSOFIA COME ITINERARIUM MENTIS IN DEUM L’opera più nota e letta di Bonaventura è l’Itinerarium mentis in Deum, scritta nel 1259: essa delinea l’ascesa della mente umana nella contemplazione dell’essere infinito. o L’ascesa dell’uomo a Dio avviene in 3 tappe e in 6 gradi: le potenze dell’anima impegnate nell’ascesa a Dio sono sei, due per ogni tappa**: 1) i sensi e l’immaginazione (per la tappa della SENSIBILITÀ); 2) la ragione e l’intelletto (per lo SPIRITO); 3) l’intelligenza e la sinderesi (per la MENTE). Come Dio creò l’universo in sei giorni, così è necessario che le tre tappe si sdoppino. In questo modo l’uomo viene condotto alla contemplazione attraverso sei gradi successivi di luce. I gradi delle potenze dell’anima, in virtù delle quali ci eleviamo dalle cose basse a quelle alte, dalle esteriori a quelle interiori, dalle temporali a quelle eterne, sono sei: 1. I SENSI; 2. L’IMMAGINAZIONE; 3. LA RAGIONE; 4. L’INTELLETTO; 5. L’INTUIZIONE INTELLETTUALE; 6. LA SINDÉRESI O ACUME DELLA MENTE ** L’ascesa a Dio si svolge in tre tappe: queste ricordano molto l’itinerario verso la trascendenza descritto da Platone nel Simposio e da Agostino nelle Confessioni. 1. La conoscenza del mondo esterno, che è vestigium Dei (cioè impronta, orma impressa da Dio con la creazione) ottenuta per mezzo della sensazione e dell’immaginazione. 2. La conoscenza che l’anima ha di sé stessa, cioè dell’imago Dei, immagine di Dio, poiché le tre facoltà dell’anima (memoria, conoscenza, amore) sono immagine della Trinità divina: questa conoscenza si ottiene per mezzo della ragione e dell’intelletto. 3. La notizia Dei, cioè la conoscenza di Dio per mezzo dell’intelligenza e della sinderesi, che tuttavia in questa vita avviene sempre attraverso similitudini, mentre nell’altra vita sarà la visione beatifica perfetta. Nell’Itinerarium Bonaventura distingue TRE OCCHI O FACOLTÀ DELLA MENTE UMANA: l’occhio rivolto alle cose esteriori (sensibilità) quello che è rivolto a sé stesso (spirito) quello rivolto al di sopra di sé (mente). L’Itinerario di Bonaventura e tutta la sua filosofia ha un esito mistico. L’estasi, l’excessus mentis, si raggiunge abbandonando le operazioni intellettuali per affidarsi alla grazia divina. DUNS SCOTO: il Volontarismo e principio di individualità e la persona umana Tra la fine del Duecento e i primi decenni del Trecento a Parigi e a Oxford studiò e si formò un altro grande esponente della “scuola francescana”: Duns Scoto (1266-1308). Duns Scoto riprende il pensiero filosofico-teolofico di Sant’Agostino e continua lo spirito francescano di Bonaventura: pone una netta distinzione tra filosofia e teologia e teorizza il primato della teologia rivelata: la fede è più importante della ragione. La filosofia, per Duns Scoto, è un sapere molto limitato: l’intelletto umano in seguito al peccato originale si è corrotto e non è più in grado di dimostrare le verità fondamentali della fede, quali la creazione, l’Incarnazione, la Trinità, la vita eterna. Per la verità di fede l’uomo deve rivolgersi alle Sacre Scritture, cioè alla teologia fondata sulla verità soprannaturale. La teologia per Duns Scoto ha uno scopo essenzialmente pratico: quello di indirizzare l’uomo alla salvezza eterna. Duns Scoto rompe l’equilibrio (tommasiano) tra ragione e fede a favore della seconda: per le verità della fede cristiana non vi sono demonstrationes razionali ma solo persuasiones. Le verità di fede sono sottratte al dominio della ragione. Tra le dottrine più caratteristiche di Duns Scoto c’è il VOLONTARISMO che è contemporaneamente una dottrina teologica e antropologica. VOLONTARISMO TEOLOGICO: la creazione del mondo è un atto libero della volontà divina. Dio è totalmente trascendente rispetto al mondo e quest’ultimo esiste solo per un libero atto di amore (di volontà divina) che è radicalmente contingente (può essere o non essere). VOLONTARISMO ANTROPOLOGICO: Duns Scoto afferma il primato della volontà sull’intelletto tanto nell’uomo quanto in Dio. L’intelletto presenta all’uomo l’ordine dei beni da scegliere, ma è la volontà che spinge concretamente l’uomo a fare il bene. --PRINCIPIO DI INDIVIDUALITÀ E LA PERSONA UMANA Per Duns Scoto tutti gli esseri sono composti di materia e forma: in questo caso, egli riprende Aristotele e si richiama a Tommaso d’Aquino. Differentemente da questi però teorizza il concetto di “pluralità delle forme”. Vi sono tante forme individuali quanti sono gli enti. Ogni singolo ente (animale, uomo, angelo) ha una sua forma specifica ed unica, voluta e creata direttamente da Dio. Ogni ente nella sua individualità unica ed irripetibile è voluto ed amato direttamente da Dio. Il principio di individuazione di ogni ente è dato da quella che Duns Scoto chiama ecceità. L’ecceità indica la perfezione di ogni ente, voluto e creato da Dio nella sua singolarità irripetibile. Così ogni singola persona umana è una realà singolare nel tempo e irripetibile nella storia. Duns Scoto descrive la persona umana come ultima solitudo: la persona è ab alio (cioè creata da Dio), è cum alio (vive in rapporto con gli altri), ma non può essere in alio: ogni singola persona è una unicità irripetibile e non omologabile. GUGLIELMO D’OCKHAM E IL NOMINALISMO Guglielmo di Ockham (1290 - 1348 d.C.) separa l’ambito della rivelazione religiosa e della fede ottenuta per grazie divina dal libero campo della ricerca razionale e naturale. Autore di un commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, Guglielmo D’Ockham scrisse trattati di fisica e di logica e testi politici e difesa delle prerogative imperiali, contro le pretese di egemonia del Papa. Fautore di un EMPIRISMO RADICALE, egli tolse alla ragione la possibilità di dimostrare e/o chiarire le affermazioni di fede. La ricerca filosofica doveva, invece, rivolgersi alla soluzione dei numerosi problemi presenti nel mondo naturale ed umano. Guglielmo d’Ockham è un francescano che studiò ed insegno all’Università di Oxford, università dove si coltivavano soprattutto le scienze fisiche e sperimentali. o Egli viene definito come il “PRINCIPE DEI NOMINALISTI” (princeps nominalium). > Il nominalismo è la dottrina sostenuta da Roscellino nel XII secolo e che nega l’esistenza dei concetti universali: gli universali sono puri nomi, “flatus vocis”. -Il “rasoio di Ockham”: empirismo e critica della metafisica Guglielmo d’Ockham può essere considerato il PRECURSORE DELL’EMPIRISMO INGLESE, cioè di quella linea di pensiero, tipicamente britannica, che troverà i suoi pieni sviluppi nel Cinquecento con Francis Bacon, nel Seicento con John Locke e nel Settecento con David Hume. *** Per Ockham la conoscenza può derivare solo dall’esperienza e a questa deve sempre attenersi: la realtà empirica è quindi costituita solo da enti individuali , ciascuno dei quali possiede caratteristiche proprie . Per Ockham ciò comporta che i concetti universali non esistono: gli universali sono solo i termini o le parole con le quali si vogliono indicare più oggetti aventi caratteri affini. o Ockham definisce tali termini universali come suppositiones (da supponere che indica “stare per”): tutti i termini (scritti, proferiti con la voce, concepiti con la mente) sono solo i segni delle cose, “stanno al loro posto”, e sono convenzionali, sono cioè il frutto di un accordo tra i parlanti. A partire da queste basi empiristiche e nominalistiche Ockham critica la metafisica (aristotelico-tomista) e separa nettamente la filosofia dalla teologia rivelata. La constatazione che esistono realmente solo cose individuali porta Ockham al rifiuto di ogni astrazione conoscitiva e metafisica. È questo il celebre “RASOIO DI OCKHAM” formulato in questi termini: «non moltiplicare gli enti se non è necessario». Il “rasoio di Ockham” è volto contro la metafisica platonica (che con il mondo delle idee moltiplica gli enti e ne crea di fittizi) e contro la metafisica aristotelica e tomista. L’unica nostra conoscenza, per Ockham, deriva dai sensi. È necessario quindi eliminare tutte quelle nozioni tradizionali della filosofia che non sono verificabili e che non sono inutili alla conoscenza. Vengono criticati i concetti di : o SOSTANZA: non è legittimo andare oltre le qualità sensibili e postulare un supporto metafisico (la sostanza) che lo sostenga; o CAUSALITÀ: non è lecito ipotizzare la realtà di una causa al di là dei fenomeni che osserviamo *** Per Ockham solo l’esperienza offre il vero sapere, e l’esperienza si ha solo delle cose singolari, delle cose colte della loro individualità. Da queste premesse derivano conseguenze che segnano il declino stesso della scolastica: 1. La CRITICA AL PRINCIPIO DI CAUSA: L’uomo, mediante l’esperienza sensibile, conosce le cose particolari, i singoli fatti, e non può quindi affermare mai con certezza che due cose, due fatti, sono legati tra di loro da una connessione necessaria. Non sono più valide, quindi, tutte le dimostrazioni dell’esistenza di Dio fondate sul concetto di causa. 2. La CRITICA AL CONCETTO SCOLASTICO DI SOSTANZA: L’uomo percepisce le qualità che costituiscono i singoli oggetti, ma non può oltrepassare queste qualità ed affermare che sono sempre afferenti ad un sostrato che le sostiene e le riunisce, cioè ad una sostanza (“ciò che sta sotto”). Lo stesso vale per l’anima, sostanza spirituale dell’uomo: dell’anima non ho esperienza sensibile e in sé rimane inconoscibile: ne posso affermare l’esistenza solo grazie alla fede religiosa. -Separazione fede/ragione e potere spirituale/temporale Secondo Guglielmo d’Ockham l’unica fonte di conoscenza è l’esperienza sensibile: di conseguenza tutto ciò che non può essere percepito con i sensi non può essere conosciuto. Così, Dio, l’anima e tutte le verità soprasensibili non sono oggetto della conoscenza umana, ma possono essere accettate solo per fede. o Per Ockham fede e ragione sono separate ed indipendenti: i dogmi della fede non sono dimostrabili attraverso la ragione. Ockham critica anche le 5 vie di Tommaso per dimostrare l’esistenza di Dio. L’atteggiamento di Ockham può essere definito come FIDEISMO: la fede basta a se stessa e non ha bisogno dei fronzoli della ragione. Tale netta separazione tra fede e ragione porta al tramonto delle idealità che avevano animato la scolastica medievale e, in particolare, il pensiero di Tommaso d’Aquino. La storiografia filosofica individua in Ockham e nell’occamismo il TRAMONTO DELLA SCOLASTICA MEDIEVALE. --LA SEPARAZIONE TRA POTERE SPIRITUALE E TEMPORALE La ragione umana, per Guglielmo d’Ockham, non può dire nulla della realtà e dell’essenza di Dio: Dio è assolutamente trascendente e onnipotente, la sua realtà supera i limiti dell’intelletto umano. Egli ha creato il mondo tramite un libero atto d’amore della sua “infinita potenza”, una potenza che non è subordinata a nessuna legge della natura. Come la fede deve essere separata dalla ragione, così anche il potere spirituale deve essere separato da quello temporale: Guglielmo d’Ockham auspica una netta separazione tra il potere della Chiesa e il potere dello Stato Ockham rimprovera al Papato la RICCHEZZA e il DISPOTISMO che lo hanno allontanato dall’insegnamento di Cristo e degli Apostoli. Il Papa dovrebbe, quindi, abbandonare il potere temporale per esercitare un’autorità puramente spirituale e garantire agli uomini la “LIBERTÀ DI COSCIENZA”. ->Il Dialogus Inter Magistum Il "Dialogus“ è la più ricca e complessa opera politica di Guglielmo di Ockham. In esso un maestro e un discepolo, attraverso un confronto serrato, indagano sull'eresia, che si è annidata nel vertice della Chiesa, e cercano i rimedi legittimi per liberare la società dal potere tirannico di un papato corrotto. Dotato di un'esemplare struttura organica e animato dal rigore logico tipico del francescano inglese, il "Dialogo sul o Per Lutero l’uomo, a causa del «peccato originale» non può conoscere Dio - la sua essenza ed i suoi attributi - tramite la sola ragione naturale. Tutto ciò che sappiamo di Dio e del rapporto dell’uomo con Dio - per Lutero - si trova nella Scrittura, che è quindi l’unica autorità infallibile: non conta più la tradizione (traditio) e sono false anche le verità dogmatiche che su di essa si basano. 3. La dottrina del SACERDOZIO UNIVERSALE e la connessa dottrina del libero esame delle scritture o Dopo il battesimo, tutti diventano sacerdoti e non esiste più distinzione tra religiosi e laici. Per Lutero, tra l’uomo e Dio esiste un rapporto diretto ed immediato: egli quindi non ritiene più necessaria la funzione intermediaria della chiesa e dei sacerdoti. Una conseguenza della dottrina del sacerdozio universale è la POSSIBILITÀ DEL LIBERO ESAME DELLA SCRITTURA da parte di ciascun fedele: non c’è più un’interpretazione delle Scritture “univoca”, “ortodossa” ed “ufficiale”, ma ciascuno è libero di interpretare i testi biblici dandogli un senso a partire dalla propria esperienza intima e personale. Tuttavia questo principio non si è mai realizzato a pieno nel luteranesimo, che ben presto divenne una “religione di Stato” con un’interpretazione ufficiale della Scrittura -Giudizio di Nietzsche: riforma luterana come contrapposizione al rinascimento Friedrich Nietzsche (1848-1900) in Umano, troppo umano contrappone radicalmente lo spirito culturale del rinascimento a quello della riforma: quest’ultima viene interpretata come una sorta di ritorno al medioevo ed al suo spirito di ascesi e penitenza. o Per Nietzsche quindi la riforma luterana ha influito negativamente nella cultura tedesca, poiché ha tentato di estirpare le conquiste più positive del rinascimento - in particolare di quello italiano - , quali la libertà di espressione ed il ritorno ad una concezione pagana e positiva dell’esistenza, lontana da qualsiasi sentimento religioso di peccato e d’angoscia. Naturalismo, rinascimentale e scienza moderna Uno tra gli avvenimenti più importanti che si verificò nella cultura europea tra Cinquecento e Seicento e che diede inizio all’età propriamente moderna, fu la cosiddetta “RIVOLUZIONE SCIENTIFICA”. > Quest’ultima inaugura un nuovo tipo di indagine che utilizza diverse metodologie epistemologiche rispetto a quelle praticate nel mondo antico e medievale. Nel Cinquecento il polacco Niccolò Copernico (1473-1543) pubblicò un’opera fondamentale: De revolutionibus orbium coelestium (1543). Con l’elaborazione della TEORIA ELIOCENTRICA Copernico rimise in moto la ricerca astronomica e fu l’iniziatore della rivoluzione scientifica della modernità che ha in Galilei e Newton la sua più compiuta espressione. > La teoria eliocentrica spostò la terra da una posizione centrale ad una condizione di parità con gli altri pianeti ed aprì la strada a considerazioni limitative relativamente al valore dell’uomo e al significato della sua esistenza nell’universo. L’avvento della teoria copernicana ebbe quindi come conseguenza anche il tramonto dell’antropocentrismo (caratteristico dell’umanesimo). Se la scienza antica - quella delineata, per esempio, nella Fisica di Aristotele - è qualitativa e finalistica, la scienza moderna è quantitativa e meccanicistica: la scienza moderna non ha più come oggetto di ricerca la qualità delle cose - cioè la loro forma - ma la loro quantità. > Ciò significa che essa indaga soltanto gli aspetti quantitativi della realtà, cioè quelli misurabili oggettivamente con gli appositi strumenti tecnici. La scienza moderna abbandona inoltre ogni ricerca dal carattere teleologico: essa non indaga più la causa finale dei fenomeni - ovvero ciò a cui tendono - ma soltanto le cause efficienti, cioè quelle che spiegano il movimento meccanico (lo spostamento dei corpi nello spazio). La RIVOLUZIONE SCIENTIFICA MODERNA viene preparata dalla forma mentis tipica del naturalismo rinascimentale. > Si pensi alla nuova visione della natura proposta da Leonardo da Vinci e dal calabrese Bernardino Telesio. Quest’ultimo rivendicò l’esigenza di uno studio metodico dei fenomeni naturali senza interferenze di carattere teologico o metafisico: la sua opera principale reca il titolo significativo De rerum natura iuxta propria principia. La scienza moderna, tuttavia, si differenzia anche da quella rinascimentale. > Per gli scienziati-maghi del Quattrocento e del Cinquecento il mondo è costituito di materia animata simile per struttura ed essenza alla natura umana: di qui derivano ad esempio il pampsichismo (la presenza dell’anima - in greco phyché - in tutte del cose - pan in greco indica il “tutto”) e la concezione dell’uomo come microcosmo del macrocosmo, cioè dell’uomo che ha in sé - nel suo piccolo - tutti gli elementi di cui è composto l’universo. Il modello meccanicistico che si impone nella scienza moderna del Seicento toglie di mezzo ogni residuo animistico ed antropocentrico: il mondo-macchina non è più un mondo animato di forze misteriose ma è regolato da rigidi rapporti di causa-effetto e da movimenti, che per l’uomo è possibile studiare e calcolare con esattezza. > Nell’universo tipicamente galileiano e newtoniano ogni fenomeno della realtà è regolato da leggi fisse ed immutabili, trascrivibili in modelli matematici. Il meccanicismo della scienza moderna elimina, dunque, tutte quelle forme di vitalismo che avevano caratterizzato la scienza e la magia rinascimentali. GIORDANO BRUNO e Naturalismo Rinascimentale Differentemente dagli scienziati moderni, i filosofi della natura attivi nel Cinquecento sono ancora legati alla magia, ovvero a pratiche di astrologia e di alchimia, precorritrici – sotto molti aspetti – dell’astronomia e della chimica. > Nell’Italia del Cinquecento, sotto il profilo strettamente filosofico, i principali esponenti del naturalismo rinascimentale sono tre: il già citato Bernardino Telesio, Giordano Bruno e Tommaso Campanella. La figura di Giordano Bruno (1548 –1600) ha dei tratti originali sia per il pensiero che per le vicende biografiche. Egli è l’esponente di un neoplatonismo che sfocia in una “RELIGIONE DELLA NATURA”: Bruno sostiene che l’universo sia infinito e nega totalmente la dogmatica cristiana connessa alla scolastica medievale. > Proprio per questo suo rifiuto della dogmatica cattolica venne arrestato dall’Inquisizione e venne tenuto per 7 anni in prigione: rifiutò di abiurare e come “eretico impertinente e pertinace” il 17 febbraio del 1600 fu arso al rogo a Campo dei Fiori (Roma). Bruno è divenuto quindi l’espressione del “libero pensiero”, di un pensiero che vuole emanciparsi da ogni pregiudizio e da ogni autorità costituita . -L’infinito e la natura divina Bruno accetta la TEORIA ASTRONOMICA DI COPERNICO: accetta l’ELIOCENTRISMO e si oppone ad una visione del mondo delimitata dal “cielo delle stelle fisse”. > Per Bruno l’universo è infinito e in questo infinito si muovono, in uno spazio infinito, infiniti mondi, tra i quali c’è anche quello terrestre che rappresenta una minima parte del tutto. Bruno rifiuta il Dio biblico, cioè la visione di un Dio trascendente e personale che crea il mondo: il Dio teorizzato da Bruno** è un Dio che corrisponde alla natura infinita ed è immanente in essa, vive in essa in ogni sua parte. Alla “religione cristiana” Bruno sostituisce una “RELIGIONE DELLA NATURA”: una religione senza chiese né dogmi. ** Bruno definisce il suo Dio naturale in un duplice modo: ー Mens super omnia (NATURA NATURANS), cioè Intelligenza ordinatrice delle cose; ー Mens insita omnibus (NATURA NATURATA), cioè “disegno intelligente”, finalità propria alla natura La divinità è una mente superiore ai singoli enti ma intrinsecamente presente in ogni cosa. In ogni aspetto della natura l’uomo può scoprire le vestigia divine poiché tutto l’universo è esplicazione di Dio. Il Dio di Bruno non è quindi il Dio creatore delle religioni monoteistiche (ebraismo, cristianesimo, islamismo). Il Dio di Bruno non è separato dall’universo ma costituisce una unità sostanziale con la natura stessa. Riprendendo il linguaggio dei neoplatonici (Plotino, Proclo) Bruno afferma che la divinità è presente in tutta la natura e la anima dal di dentro: egli riabilita il concetto neoplatonico di anima mundi (anima del mondo). La natura contiene in sé i germi della sua evoluzione, la natura è una eterna generatrice di se stessa e delle sue infinite forme. -Morale dell’eroico furore e crica alla chiesa medievale (Atteone e Diana) Bruno critica l’ascetismo morale della chiesa medievale e dei luterani: il rigorismo etico, a suo parere, sminuisce l’uomo, lo rende passivo ed annulla la sua dignità. Bruno propone un attivismo etico che rende l’uomo partecipe alla vita divina dell’universo. > È questa la morale dell’«eroico furore» che si riallaccia alla dottrina dell’eros platonico. Seguendo lo slancio sempre vivo della propria anima, l’uomo oltrepassa la conoscenza del particolare e giunge all’intuizione del principio divino della natura infinita. -IL MITO DI ATTEONE E DIANA La natura nella sua infinità è al tempo stesso il movente, il tema e lo scopo della filosofia di Bruno. Questo elemento fondamentale della filosofia bruniana viene espresso nella sua interpretazione del mito di Atteone e Diana, contenuta ne Gli eroici furori. Il cacciatore Atteòne è il simbolo dell’anima umana che si mette alla ricerca della verità e del divino. Nel mito greco, il cacciatore Atteòne vide Diana, dea della caccia, e fu trasformato da cacciatore in cervo: fu quindi sbranato dai suoi cani. > Questo mito di Atteone - che contemplando Diana nuda viene trasformato in cervo diventando preda anziché cacciatore - è la metafora dell‘anima umana che andando in cerca della natura divina e giunta finalmente a vederla, diventa essa stessa natura: «l’uomo diviene un dio tramite il contatto intellettuale di quel nume oggetto». -Interpretazioni del pensiero di Giordano Bruno o Nella cultura italiana del secondo Ottocento Bertrando Spaventa sostenne che la grande filosofia europea del Seicento (Cartesio e Spinoza) trova le sue radici nel rinascimento italiano: Tommaso Campanella, con la sua teoria dell’interiorità come sensus ìnditus, anticipa il cogito di Cartesio; Bruno - con la sua visione della natura divina ed infinita – anticipa Spinoza e il suo principio della coincidenza tra Dio e la Natura (Deus sive Natura). Questa tesi di storiografia filosofica è stata proposta da Bertrando Spaventa nel suo celebre volume La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea (1862). o Nel Novecento la studiosa britannica Frances Amelia Yates ha proposto un'interpretazione della filosofia di Bruno in relazione all’ermetismo della magia rinascimentale e all’arte della memoria: «Bruno era un mago ermetico con una sorta di missione magico-religiosa». CARTESIO il “padre della filosofia moderna” Il filosofo tedesco Hegel, nelle sue Lezioni berlinesi di Storia della filosofia (1825/26) individua nel francese Cartesio il “padre della filosofia moderna”. In primo luogo il pensiero cartesiano è moderno poichè si sviluppa sulla base dei risultati della scienza moderna, fondata sul metodo sperimentale: le “sensate esperienze e necessarie dimostrazioni” di Galilei > Cartesio fa sua e rielabora la visione scientifica del mondo proposta dagli scienziati moderni. Egli rifiuta il “vitalismo” rinascimentale e basa le sue riflessioni sui risultati della fisica moderna (visione meccanicistica del mondo fisico) Le problematiche filosofiche suscitate da Cartesio saranno presenti nei principali autori della modernità filosofica: > tra queste problematiche ci sono sicuramente quelle del rapporto tra il pensiero umano e la realtà (il cosiddetto «problema del ponte» tra il soggetto e l’oggetto) e quindi quelle legate ai vari tentativi di superare il dualismo cartesiano di res cogitans (sostanza pensante) e res extensa (sostanza estesa, la materia). Cartesio è “l’interlocutore d’obbligo” con cui i filosofi moderni si sono di necessità confrontati: > il pensiero cartesiano è quindi il punto di partenza del RAZIONALISMO MODERNO (Spinoza, Leibniz), è l’oggetto di critica dell’empirismo inglese (Locke, Berkeley, Hume); > il “SOGGETTIVISMO CARTESIANO”, ovvero la filosofia del cogito, è inoltre un punto di riferimento per il CRITICISMO DI KANT e per l’IDEALISMO TEDESCO POST- KANTIANO (Fichte, Schelling, Hegel). - soggettivismo moderno e principio del Cogito Cartesio inoltre segnò una svolta radicale nell’ambito del pensiero per la critica cui sottomise l’eredità culturale, filosofica e scientifica della tradizione: in particolare della tradizione scolastica medievale (Tommaso d’Aquino) e della scolastica barocca (Francisco Suárez e Pedro da Fonseca). Con i suoi nuovi principi filosofici Cartesio costruì un tipo di sapere non più incentrato sull’essere ma sulla razionalità umana, cioè sul pensiero. > Cartesio inaugura la modernità filosofica poichè pone un primato del pensiero sull’essere: ciò significa che il pensiero - ovvero il cogito - diviene la condizione di possibilità per il costituirsi dell’essere stesso. È stato HEGEL uno tra i primi interpreti a considerare Cartesio come il “padre della modernità filosofica”. > Per Hegel il merito del pensiero cartesiano è stato quello di aver superato il realismo ingenuo della scolastica medievale per l’affermazione del principio dell’unità fondamentale di “pensiero” ed “essere” realizzata nel cogito. Anche seguendo la storiografia hegeliana, il filosofo tedesco Reinhard Lauth (1919- 2007) ha sottolineato che il cogito di Cartesio costituisce il presupposto filosofico dell’io penso di KANT e dell’io puro di Fichte: Cartesio inaugura il “soggettivismo moderno”, cioè la concezione filosofica che pone il soggetto al centro della riflessione filosofica e lo identifica come condizione di possibilità per pensare l’essere oggettivo. -Le 3 prove dell’esistenza di dio cartesiane Tra le molte idee che si trovano nell’ambito della coscienza Cartesio sottolinea che l’idea di Dio è innata: quest’ultima è l’idea di una «sostanza infinita, eterna immutabile, indipendente, onnisciente, e dalla quale io stesso e tutte le cose che sono, siamo stati creati e prodotti». Differentemente dalle prove dell’esistenza di Dio fornite da Tommaso d’Aquino, Cartesio non parte dalla realtà extrasoggettiva ma muove dall’uomo stesso o meglio dalle idee che l’uomo rinviene nella sua coscienza. Nella terza delle Meditazioni l’autore ci fornisce quindi tre prove dell’esistenza di Dio, le prime due sono prove a posteriori - cioè ricavate dall’esperienza interiore dell’uomo - la terza prova è a priori, cioè ricavata dal solo uso della ragione. 1) La PRIMA PROVA - conseguenza immediata del cogito - considera Dio come causa dell’idea di perfezione posseduta dall’uomo ed è a posteriori poiché muove dalla constatazione empirica dell’imperfezione umana. > L’uomo dubita ed è soggetto ad errore: si riconosce quindi come imperfetto. > Tuttavia Questa idea di perfezione non può provenire dall’uomo stesso, limitato e imperfetto, poiché soggetto al dubbio, né dalle cose, materiali, finite e contingenti: l’idea di perfezione deve necessariamente derivare da un essere perfetto, cioé da Dio stesso. 2) La SECONDA PROVA - ugualmente conseguenza del cogito - considera Dio come causa dell’esistenza umana ed è anch’essa a posteriori poiché muove dalla considerazione che l’uomo si riconosce imperfetto e perciò dipendente da un essere autonomo ed assoluto che lo sostiene . > Per Cartesio l’uomo non può essere autore di se stesso perché in tal caso si sarebbe creato perfetto, in quantonpossiede l’idea della perfezione. Né d’altra parte, egli può derivare dalle cose, cioè dalla natura, poichè esse hanno un minor grado di perfezione. > Perciò l’uomo è creazione di un essere perfetto, cioè di Dio, che gli ha dato l’esistenza, pure limitata e finita. 3) La TERZA PROVA tende a dimostrare l’esistenza di Dio a partire dalla stessa idea di divinità: è a priori perché non è ricavata dalla realtà concreta delle cose, ma trova nello stesso concetto di Dio la certezza della sua esistenza. Il concetto di Dio proviene all’uomo da Dio stesso. Inoltre essendo Dio perfetto non può mancare dell’esistenza: deve necessariamente esistere, altrimenti non sarebbe un essere perfetto. > Per Cartesio - così come per Anselmo - l’idea di Dio, cioè di un essere perfettissimo, implica necessariamente la sua esistenza: l’idea di Dio non può esistere soltanto nella mente perché altrimenti non sarebbe l’idea di un essere perfettissimo, essendo privo di una perfezione, cioè dell’esistenza. -Dualismo cartesiano (Res Cogita/Extensa) e i problemi speculativi dell’aetas cartesiana Per Cartesio la SOSTANZA è ciò che esiste di per sé: è autosufficiente, cioè causa di sé. Perciò sostanza in senso proprio ed assoluto è soltanto Dio (sostanza prima). Tuttavia Cartesio ritiene che sia gli esseri razionali e spirituali che le cose materiali possano essere considerati sostanze: essi sono tutti prodotti da Dio e sono perciò “sostanze seconde”. o Le sostanze seconde si dividono in due ordini: RES COGITANS, la sostanza pensante e quindi gli uomini in quanto esseri razionali, spirituali e liberi; RES EXTENSA, ovvero tutte le cose materiali. Res cogitans e res extensa sono i termini fondamentali che costituiscono il dualismo cartesiano: la caratteristica fondamentale della res cogitans è il pensiero, il cui organo propulsivo è il libero volere, mentre la caratteristica fondamentale della res extensa è l’estensione, ovvero l’estendersi della materia nello spazio. Uno dei problemi filosofici suscitati da Cartesio è quello del rapporto tra la res cogitans, caratterizzata dalla libertà e la res extensa, caratterizzata dalla necessità: Cartesio concepisce infatti il mondo materiale come una grande macchina retta dalle leggi fisiche del moto e quindi priva della libertà. La ricerca di un’adeguata soluzione al problema del rapporto tra res cogitans e res extensa sarà presente in tutti i grandi filosofi dell’aetas cartesiana e tornerà anche in Kant. Il problema del rapporto tra res cogitans (pensiero, anima, libertà) e res extensa (materia, corpo, determinismo) lo si ritrova anche nell’uomo. > Nell’uomo le due sostanze - anima e corpo - convivono e si relazionano l’una all’altra: la volontà ed il pensiero originano le azioni e quindi il corpo è strettamente legato all’anima. Cartesio propone una soluzione di scarsa importanza filosofica: egli ritiene che l’anima risieda nella ghiandola pineale (oggi detta epífisi; una parte interna del cervello) attraverso cui avverrebbe il contatto tra l’anima e il corpo e viceversa. É in questa ghiandola che anima e corpo si influenzerebbero reciprocamente. L’occasionalismo dell’aetas cartesiana Proprio per risolvere i problemi del dualismo cartesiano nel Seicento sorgerà quella prospettiva filosofica definita come occasionalismo. I maggiori rappresentanti dell’occasionalismo sono l’olandese Arnold Geulincx (1624- 1669) e il francese Nicolas Malebranche (1638-1715) Per gli occasionalisti Dio - sostanza prima - è l’unica causa della corrispondenza tra i movimenti del corpo e le idee dell’anima: ciò significa che Dio, in occasione di una sensazione corporea (es. la sensazione del calore di una fiamma) produce nello spirito l’idea conseguente (es. il dolore); allo stesso modo, Dio, in occasione di una decisione dell’anima (es. la decisione di muovere un braccio), suscita nella sostanza corporea il movimento corrispondente. Per gli occasionalisti è solo Dio che permette il contatto ed il reciproco accordo tra la res cogitans (l’anima) e la res extensa (il corpo): tutta la realtà è in Dio e l’uomo può conoscere le cose esterne ed operare in esse solo tramite il continuo intervento di Dio. Res extensa e il Materialismo del 700 francese Il confronto con il dualismo cartesiano di res cogitans e res extensa rimane una costante del pensiero francese. Sotto il profilo speculativo la soluzione del problema del dualismo porterà a due antitetiche concezioni filosofiche: il MATERIALISMO e lo SPIRITUALISMO I materialisti ritennero che l’unica realtà fosse quella della RES EXTENSA: essi negarono la libertà dello spirito umano e considerarono l’uomo (e tutti gli esseri materiali) un fatto della natura sottoposto alle leggi eterne dell’universo. o Per i materialisti esiste solo la MATERIA: l’esistenza di Dio e dello spirito (res cogitans) sono completamente da escludere poichè sono realtà non empiricamente conoscibili. Res cogitans e lo Spiritualismo Francese Dell’800/900 Il filosofo francese F.-P. Maine de Biran (1766-1824) vide in Cartesio il padre dello spiritualismo francese: la res cogitans di cui parla Cartesio viene interpretata come res spiritualis, come l’affermazione della realtà originaria dello spirito umano (in francese esprit) che ha un primato assoluto sulla materia. o MAINE DE BIRAN e tutti gli spiritualisti francesi dell’Ottocento che ad esso si richiamano, hanno scorto in Cartesio un loro precursore: della loro filosofia riflessiva e della loro filosofia della libertà fondata sull’analisi delle dinamiche dello spirito umano, che è irriducibile alla materia ed ai fatti della natura. Gli spiritualisti ed i filosofi francesi dell’esprit accentuano, dunque, la radice spirituale del cogito, il suo valore di testimonianza di un’intima trascendenza dell’uomo, fonte stessa della sua libertà : «Deus habitat in interiore homine». Per gli spiritualisti la realtà dello spirito non deriva dalla materia: lo spirito - ciò che Cartesio definiva come cogito - è un qualcosa di soprannaturale e questo lo si evince a partire dalla considerazione della sua libertà - dal suo libero volere - un qualcosa che non si trova nelle cose della natura. E. HUSSERL: Le Meditazioni Cartesiane La ripresa più esplicita e storicamente più importante di Cartesio si trova nella fenomenologia del tedesco EDMUND HUSSERL (1859-1938). Husserl nel 1931 pubblicò le celebri Meditazioni cartesiane, in cui propose la FENOMENOLOGIA - cioè lo studio dell’apparire dei fenomeni nell’arco della coscienza - come una FORMA DI CARTESIANESIMO: > Husserl condivise con Cartesio l’accentuazione del valore della coscienza umana quale realtà primaria dalla quale partire per lo studio dei fenomeni, ovvero delle realtà empiriche e culturali. R. LAUTH: cogito cartesiano come anticipazione della «filosofia trascendentale» di Kant e di Fichte Il filosofo tedesco REINHARD LAUTH (1919-2007) ha interpretato il pensiero cartesiano come un “pensiero trascendentale” ante litteram. o Lauth sottolinea che l’unità di “pensiero” ed “essere” costituita dal cogito ha anticipato l’ io penso di Kant e l’ io puro di Fichte. o Secondo Lauth, il vero padre della filosofia trascendentale sarebbe quindi Cartesio: per filosofia trascendentale Lauth intende quel pensiero che considera l’essere oggettivo solo in relazione alla coscienza soggettiva (al cogito) o Lauth osserva che lo stesso atto di pensiero – il cogito – è un atto che scaturisce dalla libertà del soggetto, è un «atto di volontà». A partire da Cartesio, per Lauth, Fichte ha potuto costruire un «sistema della libertà». o Lauth sottolinea inoltre che nella terza delle Meditationes il principio del cogito viene rinvenuto in Dio stesso: la formula cogito, ergo sum (penso, dunque sono) sarebbe da intendere come cogitor, ergo sum (sono pensato da Dio, e dunque sono). Razionalismo E Razionalismo In senso generale il termine RAZIONALISMO indica tutte quelle dottrine che riconoscono nella realtà un principio intelligibile - come ad esempio le idee della ragione umana - la cui evidenza e conoscenza non è di tipo empirico (cioè basata sull’esperienza), ma razionale (ossia che può essere colto per mezzo del solo pensiero). Le due principali correnti filosofiche della modernità furono il RAZIONALISMO e l’EMPIRISMO o Il RAZIONALISMO si sviluppò soprattutto nell’Europa continentale con pensatori come Cartesio, Spinoza, Leibniz e Christian Wolff. > Cartesio può essere considerato come il “padre della filosofia moderna” e in particolare, con la sua teoria del cogito, egli è il “padre del razionalismo moderno”. o L’EMPIRISMO si sviluppò invece in Inghilterra ed i suoi maggiori rappresentanti furono John Locke, Berkeley e Hume. > Fu Hegel nelle sue Lezioni di storia della filosofia (1825/26) il primo a caratterizzare come razionalismo l’indirizzo di pensiero che va da Cartesio a Leibniz e Wolff, contrapponendolo all’empirismo inglese - Nelle Lezioni di storia della filosofia Hegel definì il razionalismo come una «metafisica dell’intelletto», cioè come «la tendenza filosofica che contro il dualismo afferma un’unica unità - cioè il principio del solo pensiero -, al modo stesso in cui gli antichi affermavano l’essere» Il razionalismo afferma un primato del pensiero sull’essere: ciò significa l’essere oggettivo - cioè la natura - viene conosciuta e determinata tramite i principi del pensiero (inteso sia come pensiero umano che come pensiero di Dio). La contrapposizione tra il razionalismo e l’empirismo moderni risale ad Hegel ed è stata poi fissata negli schemi tradizionali della storia della filosofia: va però sottolineato che lo stesso Hegel avverte il carattere approssimativo di tale netta contrapposizione. SPINOZA - opere e vita, accenni pensiero Baruch Spinoza (1632-1677) è il pensatore che nel Seicento trasse le conseguenze più coerenti e più radicali del cartesianesimo. Spinoza creò un sistema filosofico razionalistico incentrato sull’identità assoluta tra Dio e la natura: il principio immanente - cioè presente - in ogni cosa è quindi quello del Deus sive Natura. **(selezione 2)Il Principio Deus Sive Natura) o Il sistema spinoziano è perciò stato interpretato sia come una forma MONISMO (dal greco mónos che significa “uno solo”) - cioè un sistema che scorge nella realtà un unico principio costitutivo - sia come una forma di PANTEISMO o PANENTEISMO (che letteralmente significa “tutto è in Dio”): Dio è l’unica sostanza e tutte le altre cose non sono che modi - cioè modificazioni - ed attributi di quest’unica sostanza: Deus sive Natura. Le due opere principali di Spinoza sono il Tractatus theologico- politicus, pubblicato anonimo nel 1670 e censurato dal governo olandese nel 1674, e l’Ethica more geometrico demonstrata (trad. ital. L’etica dimostrata secondo l’ordine geometrico), edita postuma nel 1677. Nell’Ethica more geometrico demonstrata vengono esposti i capisaldi del sistema filosofico spinoziano. > Come si evince dallo stesso sottotitolo dell’opera, si tratta di un’etica - intesa come ricerca della beatitudine (beatitudo) - dimostrata secondo un ordine geometrico: l’opera ha un andamento espositivo ricalcato su quello degli Elementi di Euclide e segue quindi un procedimento che si scandisce secondo definizioni, assiomi, proposizioni, e scolii (o delucidazioni). o Si tratta del METODO DEDUTTIVO-GEOMETRICO, in parte già utilizzato da Cartesio, assai apprezzato da Hobbes, e portato da Spinoza alle sue estreme conseguenze. -Il Principio Deus Sive Natura ed il PANTEISMO Per Spinoza il fine dell’etica - e perciò di tutta la filosofia - è la visione delle cose sub specie aeternitatis: si tratta di una visione capace di liberare dalle passioni e di donare un superiore stato di pace e di tranquillità. > Tale visione si raggiunge per mezzo dell’intuizione del principio che sta a fondamento di tutta la realtà: Dio o la natura stessa. Una delle finalità dell’indagine spinoziana è quella di superare il dualismo posto da Cartesio tra res cogitans (sostanza pensante) e res extensa (sostanza estesa, la materia): o nel primo Libro dell’Ethica dal titolo - De Deo - Spinoza afferma che Dio solo può essere concepito come sostanza. La sostanza per il filosofo è causa sui (causa di sè), ed è ciò che può essere concepito in sé e per sè. > Questa sostanza è increata e infinita: essa è unica ed è Dio e l’universo insieme: Deus sive Natura. o In queste lettere Jacobi afferma che il sistema spinoziano ha degli esiti atei e deterministici: quest’interpretazione suscitò una serie di reazioni e di critiche che ebbero il merito di riportare Spinoza al centro del dibattito filosofico. La SPINOZA-RENAISSANCE nel romanticismo tedesco L’influenza di Spinoza fu fortissima nell’idealismo di Schelling e di Hegel Schelling riprese l’idea spinoziana dell’unica sostanza come unità di natura e di spirito (Natur und Geist) e pose tale unità al centro stesso del suo Sistema dell’idealismo trascendentale edito nel 1800. Così anche in Hegel sono ampiamente presenti reminiscenze del pensiero spinoziano fondato sull’assoluta identità tra Dio e la natura. LEIBNIZ - vita e opere Leibniz fu fautore della riunificazione della chiesa protestante con quella cattolica: lavorò lungamente – ma invano – a questo progetto utopistico. Egli pensò inoltre all’istituzione di un unico ordinamento giuridico europeo, al fine di risolvere pacificamente i conflitti tra gli Stati. Nel 1700 fondò a Berlino quella che fu poi chiamata l’Accademia prussiana delle scienze, sul modello delle società di Parigi e di Londra. Leibniz fu un intellettuale di vasti e grandiosi progetti e si applicò alla soluzione dei più diversi problemi. I suoi scritti concernono la giurisprudenza, la politica, la storia, la teologia, la logica, le lingue storiche, la matematica e la fisica. Egli tuttavia non ci ha lasciato ampie opere sistematiche e gli scritti filosofici furono da lui composti occasionalmente. -Mediazione tra metafisica classica e scienza moderna La rivoluzione scientifica aveva prodotto nella storia del pensiero europeo una svolta radicale e decisiva. Dopo gli sviluppi della scienza moderna le soluzioni e le stesse problematiche della filosofia scolastica (e della metafisica classica in generale) sembravano diventate obsolete e non più riproponibili. In particolare due concetti della metafisica aristotelico-scolastica sembravano irrimediabilmente compromessi: 1. quello di “FINE” o di “CAUSA FINALE”, insieme alla visione teleologica (finalistica) della realtà su di esso fondata; 2. il concetto di “SOSTANZA”, intesa nel senso di forma sostanziale, insieme alla visione ontologica della realtà. Sono proprio questi i due concetti che Leibniz riprende, rivendicandone non solo la loro validità, ma in un certo senso la loro “perennità”: è di Leibniz l’espressione philosophia perennis per indicare le acquisizioni fondamentali della filosofia antico-medievale. Una delle principali FINALITÀ del pensiero di Leibniz è dunque quella di conciliare la metafisica classica con la scienza moderna: egli si sforza di conciliare il meccanicismo con il finalismo, la nuova scienza della natura con i princìpi della metafisica (come ad esempio l’esistenza di Dio e la libertà dell’uomo). Nel 1669 Leibniz scrisse una Lettera al suo maestro Jakob Thomasius nella quale afferma che la Fisica di Aristotele, una volta liberata dai fraintendimenti compiuti dalla Scolastica, continua ad essere in gran parte accettabile. Leibniz esaminando la dottrina di Spinoza non ne accetta il monismo, cioè la concezione della sostanza come identità di Dio e natura fisica. Il monismo spinoziano del Deus sive natura per il filosofo distrugge ogni individualità: la sostanza unica assorbe in sé ed annulla gli esseri individuali. Differentemente da Spinoza, Leibniz ammette dunque una pluralità di sostanze individuali, chiamate monadi. -Distinzione «verità di ragione» e «verità di fatto»/monadi Importante per comprendere il pensiero di Leibniz è la distinzione tra “verità di ragione” e “verità di fatto”. ー Le VERITÀ DI RAGIONE riguardano la logica e la matematica ed esprimono proposizioni assolute e necessarie che non ammettono alcuna alternativa. > Esse sono fondate sul principio di non - contraddizione: si tratta di enunciati del tipo «due più due fa quattro» e «la somma degli angoli interni di qualsiasi triangolo è 180 gradi». Le verità di ragione sono verità necessarie. ー Le VERITÀ DI FATTO si riferiscono alla realtà naturale e storica e sono fondate sul principio di ragion sufficiente, secondo il quale niente accade senza che vi sia una causa o un motivo determinante. > Le verità di fatto sono verità contingenti: sono possibili, ma non necessarie. Ciò significa che il loro contrario è possibile. > Esse concernono la realtà effettiva della natura e della storia dell’uomo. Secondo il PRINCIPIO DI RAGION SUFFICIENTE - che è alla base delle verità di fatto - «nessun fatto può essere vero o esistente [...] senza che vi sia una ragione sufficiente perché sia così e non altrimenti … » La RAGION SUFFICIENTE non è una causa necessitante ma contingente, cioè è una causa che può esserci o non esserci. Per Leibniz tutto l’universo è composto di sostanze individuali chiamate monadi (dal greco mónos “ciò che è indivisibile ed è unico”) o – riprendendo un termine aristotelico – entelechìe, cioè centri di attività, forze vive. Le monadi sono sostanze autosufficienti ed hanno in se stesse il principio della propria attività. -Monadologia di leibniz -MONADOLOGIA DI LEIBNIZ COME «SISTEMA DELLA LIBERTÀ» Leibniz non accetta il determinismo del sistema spinoziano: in Spinoza il principio di necessità, che regola l’attuarsi di Dio come natura, cancella ogni libertà, tanto nella sostanza divina quanto nell’uomo e nelle cose, perché Dio stesso è rigidamente determinato dalle leggi costitutive della propria natura e la realtà è sottoposta a severo meccanicismo. Leibniz respinge questa impostazione di Spinoza e – recuperando il pensiero aristotelico e cristiano – prospetta una visione finalistica dell’universo: egli ritiene che in Dio e nell’uomo esista una libertà di scelta che li rende autonomi e che nella natura i fatti, pur accadendo secondo la connessione di causa-effetto (meccanicismo), siano contingenti. > Per Leibniz il meccanicismo con cui le cose accadono secondo il rapporto di causa-effetto non esclude la contingenza e contingenza significa possibilità diversa e quindi anche libertà: in tal modo si conciliano determinismo e finalità. Secondo Leibniz l’ordine dell’universo non risulta necessario ma contingente: egli presenta Dio come colui che liberamente ha scelto tra i vari ordini possibili dell’universo il migliore e quello più perfetto. MONADOLOGIA DI LEIBNIZ Con la teoria delle monadi Leibniz prende nettamente le distanze dall’atomismo materialistico: > mentre gli atomi sono materiali, le monadi sono sostanze immateriali, inestese ed indivisibili che «possono iniziare e finire solo tramite Dio > Gli atomi inoltre sono corpuscoli senza vita spirituale, soggetti al movimento meccanico proveniente dall’esterno; le monadi invece sono realtà viventi, piccoli mondi dotati di interiore spiritualità e di una propria attività. L’universo fisico di Leibniz si presenta come un sistema di punti di forza, ovvero di centri di energia* (le monadi) * Le MONADI sono centri immateriali di forza, come una sorta di atomi spirituali e come sostanze individuali: l’individualità è inoltre la caratteristica essenziale di ciascuna monade. Leibniz elabora il PRINCIPIO METAFISICO DELL’IDENTITÀ DEGLI INDISCERNIBILI: > si tratta del principio metafisico secondo il quale in natura non vi sono due cose assolutamente uguali, poiché in tal caso coinciderebbero e sarebbero un’unica ed identica sostanza: «È necessario - afferma Leibniz – che ciascuna monade sia differente da ogni altra». Il principio dell’identità degli indiscernibili ha come corollario l’affermazione dell’individualità assoluta di ciascuna sostanza (cioè di ciascuna monade) e la varietà infinita del creato. L’UNIVERSO per Leibniz è formato da infinite monadi diverse fra di loro per grado di perfezione. Secondo il grado di perfezione egli classifica le monadi in una gerarchia ascendente che dalla natura inorganica sale fino a Dio, passando, senza intervalli, attraverso il mondo vegetale, il mondo animale e lo spirito umano: secondo Leibniz «la natura non fa salti», ma è tutta unita dal vinculum delle monadi che si differenziano l’una dall’altra per gradi. Ogni monade ha una propria attività percettiva: essa si rappresenta e rispecchia dentro di sé tutto l’universo, ma a partire da un particolare punto di vista: «ogni monade è a suo modo uno specchio dell’universo». In sé le monadi sono dei piccoli mondi chiusi ed autosufficienti, sprovvisti di “finestre” sull’esterno: la rappresentazione – formata dall’attività percettiva – è l’unico modo in cui il mondo esteriore può essere presente nelle monadi. Leibniz classifica le monadi a seconda del diverso grado di percezione che esse hanno: egli le classifica quindi in base alla maggiore o minore chiarezza con cui percepiscono l’universo. Le percezioni che esse hanno possono essere: 1. oscure 2. confuse 3. chiare. Per Leibniz l’attività percettiva delle monadi è sempre presente, anche se quest’ultime non ne sono del tutto consapevoli. Le percezioni oscure sono quelle proprie dell’inconscio e sono quelle che la monade non avverte affatto: tale grado di conoscenza oscura è propria delle monadi della natura inorganica e del mondo vegetale ed è presente anche negli animali e nell’uomo. --LA MONADOLOGIA DI LEIBNIZ E LA MENTE UMANA A proposito dell’anima umana le percezioni oscure sono definite “piccole percezioni”: grazie alla teoria delle piccole percezioni Leibniz è considerato il primo esplicito teorico dell’inconscio. Contro Cartesio e Locke, egli afferma che l’anima pensa sempre, anche quando non si accorge di pensare Le percezioni chiare, proprie della coscienza, sono quelle delle quali l’anima umana è consapevole. Tale grado di conoscenza chiara e distinta è chiamata “appercezione”, cioè autocoscienza. -Pecezioni E Appercezione: l’appercezione come autocoscienza umana Con il termine “appercezione” Leibniz intende la consapevolezza delle proprie percezioni. L’appercezione è la caratteristica propria di Dio e dello spirito umano: in quest’ultimo tuttavia sono presenti anche le percezioni oscure e confuse. Nell’appercezione la monade anima diviene cosciente della propria attività rappresentativa e riflessiva: con l’appercezione l’io diviene cosciente di se stesso e dei suoi atti: Il termine leibniziano di «appercezione» nel senso di autocoscienza verrà ripreso da Kant e da Fichte per qualificare l’«io penso» e la soggettività trascendentale. -Innatismo Virtuale e Locke VS Leibniz L’inglese John Locke nel Saggio sull’intelletto umano - edito nel 1690 - afferma che l’intelletto umano è come una tavoletta di cera levigata (tabula rasa) su cui si imprimono le idee man mano che esse sono ricevute dall’esperienza. > Locke difende la sua tesi affermando che se le idee fossero innate e non derivassero dall’esperienza, anche i bambini, gli idioti ed i selvaggi le possederebbero e le userebbero. Leibniz critica Locke e difende una forma di innatismo: Leibniz ritiene che le monadi - quali ad esempio l’anima - “non hanno finestre” e che tutte le loro rappresentazioni sono ricavate dalla propria interiorità. L’innatismo di Leibniz è però diverso da quello cartesiano e viene definito come “virtuale” o “potenziale”. Per Leibniz tutte le idee sono inizialmente contenute nelle monadi in modo incosciente: esse sono presenti non allo stato attuale, ma semplicemente allo stato virtuale o potenziale in forma di piccole percezioni, di inclinazioni o disposizioni, e tali rimangono nelle monadi inferiori (natura inorganica, vegetali, animali); le monadi superiori invece, cioè le anime degli uomini, possono via via acquistare coscienza mediante la riflessione e renderle attuali, raggiungendo l’appercezione. Per spiegare il carattere particolare del suo innatismo ed il modo con cui le idee passano dalla virtualità all’attualità, Leibniz si serve dell’esempio del blocco di marmo. Nei Nuovi saggi sull’intelletto umano - “nuovi” rispetto allo scritto di Locke - egli dice che l’anima è come un blocco di marmo nel quale sono impresse molte venature che delineano la figura di Ercole. > La statua che lo scultore trarrà è già, per così dire, preformata e basteranno pochi colpi di martello perché sia estratta: così l’anima ricava da se stessa le idee (statua), mettendo in luce e rendendo attuali le disposizioni e le inclinazioni che possiede (venature del marmo) mediante la riflessione (colpi di martello). Contro l’empirismo di Locke, nei Nuovi saggi sull’intelletto umano Leibniz afferma che l’intelletto e non l’esperienza è la condizione fondamentale del conoscere. L’innatismo virtuale di Leibniz è quindi chiaramente enunciato nell’espressione «nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu, nisi intellectus ipse (non c’è nulla nell’intelletto che non sia stato prima nel senso, tranne l’intelletto stesso)». Con questa celebre affermazione Leibniz intende dire che l’anima dispone per suo conto di categorie (innate) che i sensi non potrebbero fornirle -Armonia prestabilita tra mondo spirituale fisico L’uomo, come tutti gli organismi, è costituito da un insieme di monadi, da un aggregato di sostanze individuali: da una centrale, superiore per grado, che è l’anima, e da molteplici, di grado inferiore, che formano il corpo. Le monadi non comunicano con l’esterno e non hanno rapporti tra di loro, ma ricavano dalla propria interiorità la rappresentazione di tutto l’universo. Sorge allora il grave problema dell’armonia tra la monade-anima e le monadi-corpo e dell’accordo fra le monadi che costituiscono un organismo e le monadi che formano gli altri organismi. Leibniz risolve questo duplice problema con la dottrina dell’armonia prestabilita. L’armonia prestabilita è l’accordo tra tutte le monadi – e quindi anche in ogni uomo – tra la monade-anima e le monadi-corpo. Questo accordo è stato predisposto da Dio fino dall’eternità in modo che le modificazioni interne di ciascuna monade corrispondono esattamente e perfettamente con le modificazioni di tutte le altre monadi. Per Bacone gli “idoli della mente”, di cui liberarsi, sono di 4 tipi : 1. Gli IDÒLA TRIBUS Gli “idoli della tribù” sono tipici della natura umana. L’uomo tende ad attribuire alla realtà le sue caratteristiche proprie e giudica la natura in maniera erroneamente antropomorfa. 2. Gli IDÒLA SPECUS Così li chiama Bacon riferendosi al mito platonico della caverna, dove i prigionieri scorgono le ombre e non le cose reali. Gli “idoli della spelonca” sono i pregiudizi di ogni singolo individuo. Oltre i pregiudizi comuni alla natura umana (idòla tribus), ogni singolo uomo ha anche dei propri particolari pregiudizi dovuti al suo temperamento e alla sua educazione. Ogni uomo, in base alla sua educazione e al suo ambiente socio-culturale, è portato a giudicare la realtà in modo diverso (e spesso a distorcere la realtà stessa). 3. Gli IDÒLA FORI Sono gli “idoli della piazza”: i pregiudizi nati dalle convenzioni sociali e dai rapporti tra gli uomini, spesso caratterizzati da ipocrisia e inautenticità. 4. Gli IDÒLA THEATRI Gli “idoli del teatro” sono le dottrine filosofiche del passato, spesso trasformate in dogmi indiscutibili. Bacon immagina il mondo sociale come un teatro nel quale tutte le filosofie del passato hanno recitato una parte. JOHN LOCKE: potenzialità e limiti dell’intelletto umano/critica al concetto metafisico di sostanza Nell’Inghilterra del Seicento un continuatore originale della forma mentis scientifica di Bacon fu John Locke (1632-1704). È emblematica l’affermazione di Voltaire per la quale «la filosofia è Newton e Locke è il suo profeta». Locke ha cercato di dare al metodo empirico delle basi epistemologiche, sottolineando possibilità e limiti dell’intelletto umano. La “teoria empiristica della conoscenza” è alla base di un sistema filosofico molto articolato: Locke si occupò infatti anche di pedagogia, di politica, di diritto e di esegesi biblica. Nel Saggio sull’intelletto umano (1690) Locke analizza le effettive potenzialità e i limiti conoscitivi dell’intelletto umano. Si tratta di una “anatomia dell’intelletto” che è preliminare, che deve necessariamente precedere tutti i successivi discorsi filosofici di carattere etico, religioso, pedagogico e politico. Opponendosi ai neoplatonici di Cambridge, ai razionalisti, a Cartesio e a Leibniz, Locke critica ogni forma di innatismo: per Locke l’intelletto umano, al momento della nascita, è vuoto di qualsiasi contenuto di idee. Riprendendo Aristotele, Locke afferma che l’intelletto è una «tabula rasa in qua nihil est scriptum»: l’intelletto è una “carta bianca” i cui contenuti – le idee – provengono solamente dall’esperienza. Per Locke le idee non sono innate (a priori), ma provengono sempre dall’esperienza: se tutti gli uomini possedessero nozioni e princìpi innati, tali nozioni e princìpi sarebbero propri anche dei bambini, dei selvaggi e degli idioti. Le stesse idee morali e religiose variano da popolo a popolo, da individuo ad individuo. --CRITICA AL CONCETTO METAFISICO DI SOSTANZA Locke classifica le idee (ovvero i contenuti che provengono dall’esperienza) in IDEE SEMPLICI, IDEE COMPLESSE e IDEE GENERALI. Le idee semplici sono “l’alfabeto del pensiero”, cioè tutto ciò che proviene dai 5 sensi, gli elementi primi e fondamentali di tutta l’ulteriore conoscenza. Partendo dai presupposti empiristici della sua teoria, Locke critica la metafisica scolastica e il razionalismo. Egli critica, per esempio, il concetto metafisico di sostanza: Locke dichiara inconoscibili tutti i concetti che oltrepassano l’ambito dell’esperienza. L’idea di SOSTANZA - che noi abbiamo a proposito dei corpi esterni (sostanza materiale) e a proposito di noi stessi (sostanza spirituale o anima) – secondo Locke è solo una costante uniformità di sensazioni - colore, sapore, suono - che induce a credere che esista di per sé, anche nei momenti in cui non si esperimenta, una realtà materiale immutabile che riunisca e sostenga le qualità percepite mediante le impressioni sensibili. Il convincimento dell’esistenza della sostanza materiale - e della sostanza spirituale - è dovuto all’immaginazione, la quale, oltrepassando i dati dell’esperienza, collega le impressioni sensibili e le fonda arbitrariamente su di un ipotetico sostrato. Questa critica al concetto di sostanza sarà ripresa da David Hume, da Immanuel Kant e da tanta parte dell’attuale filosofia analitica anglo-americana, di carattere apertamente anti-metafisico. GEORGE BERKELEY: il Principio dell’«esse est percipi» Il vescovo anglicano George Berkeley (1685-1753) riprese l’empirismo di Locke e lo mise come punto di partenza per una difesa dei valori spirituali e religiosi. Con Berkeley l’empirismo diventa una forma di «immaterialismo» e di spiritualismo cristiano. Nel suo Trattato sui princìpi della conoscenza umana (1710) Berkeley difese una forma radicale di nominalismo (che si richiamava ad Ockham) arrivando ad affermare: «l’essere delle cose consiste nell’essere percepite da parte dell’uomo». Berkeley si esprime il latino dicendo che l’«esse est percipi». In questa prospettiva, antimaterialistica, l’essere delle cose consiste nell’essere percepite e, quindi, la realtà degli oggetti si riduce ad idee presenti nella mente. Differentemente da Locke e da Hume, per Berkeley l’origine delle idee non è nella materia extra-soggettiva, bensì in Dio stesso, puro spirito presente nelle vita intima di ciascun uomo. Secondo Berkeley, ogni individuo percepisce le idee prodotte, in ultima analisi, da Dio stesso. Trovando il suo fondamento in Dio, la conoscenza umana supera il soggettivismo e lo scetticismo Per questo suo esito mistico e religioso l’empirismo di Berkeley si avvicina molto alla metafisica del cartesiano Nicolas Malebranche: comune ad entrambi gli autori religiosi è la «visione delle cose in Dio». DAVID HUME, l’esito scettico dell’empirismo Hume è il più radicale degli empiristi. Egli conduce l’empirismo ad una deriva scettica, secondo cui l’esperienza non sarebbe in grado di fondare la piena validità e certezza della conoscenza L’empirismo di Hume è già una forma di illuminismo: non a caso il pensiero di Hume sarà valutato molto positivamente dagli illuministi francesi, i quali proseguiranno le sue indagini anti-metafisiche e di antropologia della religione. -progetto di una scienza della natura umana Il nuovo progetto filosofico di Hume è quello di elaborare una «scienza della natura umana», in campo conoscitivo e morale. Per il filosofo l’esperienza e l’osservazione sono i soli strumenti in possesso dell’uomo: usando questi mezzi egli spera di poter indicare le leggi scientifiche dei fatti psichici e della morale con la stessa chiarezza con la quale Newton ha spiegato la legge di gravitazione universale, cioè i fatti della fisica e dell’astronomia. Il Trattato sulla natura umana reca quindi il significativo sottotitolo: Un tentativo di introdurre il metodo sperimentale di ragionamento negli argomenti morali . I fenomeni che questa nuova scienza della natura umana deve descrivere sono i «fenomeni conoscitivi e morali»: cioè le percezioni, le idee, i sentimenti, le passioni dell’uomo, i quali devono essere ricondotti ad una natura comune e uguale per tutti gli uomini. In tal modo la nuova scienza deve diventare la sintesi di quelle che a partire da allora in Inghilterra furono chiamate le «scienze morali» (moral sciences), cioè l’etica, la politica, l’estetica e la religione naturale. Nel realizzare questo programma di ricerca Hume si ispira direttamente al metodo sperimentale e scientifico di Francis Bacon e di Newton. L’originalità della filosofia di Hume consiste nel tentativo di applicare il metodo sperimentale della fisica allo studio della natura umana e in primo luogo nei campi della conoscenza e della morale. In Hume si ha quindi il tentativo di fondare una teoria della conoscenza e dell’azione sull’osservazione empirica - cioè sull’osservazione concreta della natura umana - piuttosto che su principi metafisici o a priori. La duplice tendenza empiristica ed anti-metafisica nello studio dell’uomo sta a monte del procedimento di Hume. -Impressioni, idee e leggi dell’associazione delle idee Nel primo libro del Trattato sulla natura umana Hume inizia l’indagine psicologica constatando che la conoscenza si origina con le sensazioni, dalle quali derivano le percezioni. Le percezioni si distinguono in impressioni ed idee: Le IMPRESSIONI SENSIBILI sono originarie ed immediate: esse comprendono le sensazioni, le passioni, le emozioni che compaiono al momento stesso in cui vengono provate. > Le impressioni sono il fondamento di ogni conoscenza. Le IDEE sono le copie, cioè la riproduzione, il ricordo delle impressioni. Le idee sono quindi successive rispetto alle impressioni e su quest’ultime si fondano. Ciò significa che non può esserci nessuna idea senza una precedente impressione sensibile. Come in Locke e Berkeley, anche per Hume le idee hanno il significato di rappresentazioni particolari - "formate di ricordi di impressioni" - esistenti nella mente. Un fenomeno facilmente osservabile secondo Hume è il fatto che le idee tendono ad associarsi tra di loro, cioè hanno una tendenza analoga a quella che nella fisica di Newton è l’attrazione reciproca dei corpi, cioè la forza di gravità. Quest’attrazione - o associazione tra le idee - è governata da tre leggi precise: 1. LEGGE DI SOMIGLIANZA, in base alla quale si associano idee di cose tra loro simili; 2. LEGGE DI CONTIGUITÀ SPAZIO-TEMPORALE, in base alla quale si associano idee di cose tra loro vicine nello spazio e nel tempo; 3. LEGGE DELLA CAUSALITÀ, in base alla quale si associano idee di cause ad idee di effetti. L’immagine di due fatti che sono stati sempre sperimentati l’uno dopo l’altro ci induce a pensare che essi siano necessariamente connessi da un rapporto di causa ed effetto (ad esempio: la luce del sole è sempre connessa con l’idea di calore). In base a queste leggi dell’associazione delle idee, Hume è in grado di spiegare tutti i fenomeni della vita psichica, per esempio il formarsi dei nomi universali. Quando molte idee di cose particolari si assomigliano tra di loro, noi per abitudine le colleghiamo per mezzo di uno stesso nome: il nome è universale, cioè è unico ed insieme e indica molte cose, ma ad esso non corrisponde alcuna idea universale. Hume si inscrive quindi nella tradizione del nominalismo inglese, che ha in Ockham il suo fondatore. Per Hume la memoria è la facoltà di conservare le impressioni, trasformandole in idee; l’immaginazione è invece la facoltà di collegare tra di loro le idee. Secondo Hume l’immaginazione non è una facoltà attiva e produttiva: essa si limita a collegare tra loro le idee semplicemente in base all’abitudine, cioè quando constata che una certa associazione tra idee - una delle tre leggi sopra menzionate - si ripete costantemente. -(Critiche*) Le idee complesse più importanti Per Hume il collegamento e la combinazione delle impressioni e delle idee (semplici) danno origine alle idee complesse che costituiscono il contenuto del pensiero umano. Tra le idee complesse più importanti - a cui l’uomo attribuisce erroneamente validità oggettiva ci sono: a) le idee dello spazio e del tempo; b) le idee di causa ed effetto; c) l’idea di sostanza (materiale e spirituale) a) Per Hume le idee dello spazio e del tempo non hanno origine dalle impressioni e non hanno quindi una validità oggettiva. L’uomo crede che lo spazio esista oggettivamente poiché sono le stesse impressioni sensibili - costituite da “punti” inestesi - a indurci ad unire questi molteplici punti per creare un’estensione continua; ugualmente le stesse percezioni sensibili - ad esempio dell’udito - fanno pensare che i singoli istanti, privi di durata, siano successivi l’uno all’altro e costituiscono una continua durata senza interruzione. La conclusione di Hume relativamente allo spazio e al tempo è diversa da quella di Newton: per quest’ultimo spazio e tempo esistono realmente, hanno cioè realtà oggettiva e sono il sensorium Dei; lo spazio ed il tempo sono come i “vasi recipienti” entro i quali sono sistemate le cose e si svolgono gli eventi. -*Critica all’idea di causalità b) Celebre è rimasta la critica di Hume all’idea di causalità, ossia alla connessione che si stabilisce tra le idee di due cose particolari - per esempio l’idea del fuoco e l’idea del fumo - in base alla quale la prima cosa è considerata causa e la seconda effetto. Il principio di causa, per Hume, non è nella realtà e nei fatti stessi, ma scaturisce dalla nostra abitudine a considerare due fatti necessariamente connessi in rapporto di causa-effetto: avendo osservato ripetutamente due fenomeni succedersi con regolarità, l’uomo è abituato a questi accadimenti ed ha stabilito - mediante l’immaginazione - un rapporto necessario tra i fatti stessi, riducendo la successione cronologica (post hoc) a connessione metafisica, causale (propter hoc). È quindi l’abitudine che suscita in noi la credenza nella connessione causale necessaria. Questa credenza è puramente soggettivo e discutibile poiché non sappiamo se potrà essere sempre convalidato dalle impressioni sensibili; essa è inoltre “naturale”, appartiene cioè per natura a tutti gli uomini. Secondo il filosofo l’uomo non è in grado di conoscere scientificamente la natura in tutti i suoi aspetti, poiché non è un suo prodotto: solo Dio può conoscere interamente i fatti della natura, poiché egli stesso li ha creati. Così all’uomo è possibile conoscere scientificamente solo la storia ed i suoi princìpi poiché è l’uomo stesso ad averli prodotti. -Storia come «scienza nuova» Per esprimere queste idee nel De antiquissima Vico utilizza due celebri formule: «VERUM IPSUM FACTUM (il vero è il fatto stesso)» e «VERUM ET FACTUM CONVERTUNTUR (il vero e il fatto si convertono l’uno con l’altro)». Contrariamente a Cartesio che fonda il criterio di verità sul metodo e sull’evidenza razionale (e per Cartesio è il cogito è l’evidenza originaria), per Vico solo la storia può essere oggetto di vera scienza: > l’uomo non può quindi avere la pretesa di conoscere scientificamente né il proprio io, né Dio, né la natura, poichè non è autore né di se stesso né di Dio né del mondo. Nella Scienza nuova (1744) Vico espone i principi di un nuovo ambito di indagine scientifica, la storia umana. Si tratta di un ambito di indagine del tutto nuovo: la scienza nella modernità era infatti solo “scienza della natura”. Vico teorizzando il concetto di una scienza nuova, riconosce come oggetto della conoscenza umana - in quanto opera umana - il mondo della storia, ovvero come egli lo denomina spesso, il mondo delle nazioni o il mondo civile. La scienza della storia è ad un tempo CONCRETA ed UNIVERSALE: è concreta poichè si avvale della filologia (cioè dello studio delle lingue storiche e di ogni altra forma di civiltè); è universale poiché si avvale della filosofia e cerca, quindi, di ricostruire i princìpi eterni attraverso i quali lo spirito umano si è sviluppato nella storia stessa. Nell’indagine storica filologia e filosofia sono intimamente congiunte e si completano a vicenda. > La filologia è conoscenza del certo, mentre la filosofia è scienza del vero: le finalità dell’indagine storica sono quelle di «inverare il certo», cioè di ricondurre i fatti particolari alle leggi universali che li spiegano, e di «accertare il vero», cioè ricostruire i fatti particolari a cui tali leggi si applicano. Per Vico occorre quindi operare una sintesi tra le prospettive di Tacito e di Platone: Tacito ha esaminato la storia solo da filologo poichè ha esposto con cura gli avvenimenti - sulla scorta delle testimonianze - trascurandone tuttavia le ragioni ideali; Platone invece ha delineato i principi filosofici dell’andamento della storia non tenendo in alcun conto la realtà concreta. -Analogia sviluppo individuale/della storia Nel primo dei cinque libri che compongono la Scienza nuova, Vico individua alcune fondamentali degnità, cioè alcuni fondamentali principi universali che regolano lo sviluppo della storia umana: le degnità sono assiomi (dal greco àxios, degno), cioè postulati “degni di fede”. Tra le degnità - cioè tra i principi della storia - Vico pone una fondamentale analogia tra gli stadi in cui si sviluppa la mente umana e gli stadi in cui si sviluppa la storia. La mente umana si sviluppa attraverso tre fasi, dominate ciascuna da una diversa facoltà, cioè rispettivamente dal SENSO (il bambino), dalla FANTASIA (l’adolescente) e la RAGIONE (l’uomo maturo). Nell’età dominata dal senso, che corrisponde all’infanzia, gli uomini «sentono senza avvertire», cioè in modo oscuro e confuso; in quella dominata dalla fantasia, che corrisponde all’adolescenza, gli individui si esprimono, cioè con emotività e creatività dell’immaginazione; infine nell’età dominata dalla ragione, gli uomini «riflettono con mente pura», cioè con chiarezza ed insieme con distacco, senza essere influenzati da nessun sentimento. -Le 3 età della storia umana La storia è fatta dagli uomini e quindi si svolge secondo le stesse leggi che regolano lo sviluppo della mente umana. Alla fase del senso, corrisponde quella che Vico chiama «l’età degli dèi», alla fase della fantasia «l’età degli eroi» e alla fase della ragione «l’età degli uomini». Nel quarto libro della Scienza nuova Vico descrive queste tre fasi: 1. L’ETÀ DEGLI DÈI - (i primitivi) - è l’età del senso, dell’infanzia. Gli uomini, incapaci di riflettere, identificano i fenomeni della natura con altrettante divinità ("metafisica naturale"). 2. L’ETÀ DEGLI EROI - (Omero) - predominio della fantasia. È l’età delle grandi inimicizie, di un mondo eroico, poetico e religioso insieme ("metafisica fantastica"). 3. L’ETÀ DEGLI UOMINI - (età della polis greca e di Platone) - la "ragione tutta spiegata". Gli uomini pervengono alla coscienza critica; dalla vaga percezione degli ideali di giustizia e verità si passa alla loro esplicita tematizzazione ("metafisica ragionata"). 1) L’ETÀ DEGLI DÈI corrisponde alla PREISTORIA, quando gli uomini erano ancora, dice Vico, dei «bestioni», cioè degli esseri dominati dal senso, dalle passioni e dagli istinti e quindi incapaci di dar vita a qualsiasi istituzione e Stato. Questa viene chiamata età degli dèi, perché in essa gli uomini interpretavano qualsiasi fenomeno naturale come una manifestazione della potenza divina. 2) Proprio il riconoscimento della divinità, cioè la religione, produsse tuttavia il primo progresso della vita degli uomini, da Vico immaginato come il momento in cui i bestioni umani, udito il fragore del tuono, alzarono per la prima volta gli occhi al cielo, raffigurandosi l’esistenza di un dio, e assunsero in tal modo la posizione eretta. Essi entrarono così nell’ETÀ DEGLI EROI, cioè l’età descritta da Omero, in cui nacquero per la prima volta i tre elementi principali comuni a tutte le nazioni della terra: religioni, matrimoni e sepolture. Questa seconda età è quella della “sapienza poetica” e della “produzione dei miti”: si tratta di una cultura dominata dal senso e dalla fantasia. In contrapposizione al razionalismo e all’empirismo, Vico attribuisce grande importanza alla fantasia: è da quest’ultima che vengono prodotti il linguaggio poetico ed i miti. In Vico si ha anche l’elaborazione di un’originale filosofia del linguaggio. Nella tradizione razionalistica il linguaggio era ritenuto solamente un prodotto artificiale e convenzionale (visione strumentistica del linguaggio), inventato per i bisogni della comunicazione; Vico considera invece il linguaggio come una creazione spontanea ed immediata, come un prodotto dello spirito, della fantasia e dell’ingenium. Anche il MITO, rifiutato dalla filosofia del tempo quale fonte d’inganno, viene invece apprezzato da Vico: egli lo ritiene un universale fantastico, cioè un’immagine poetica di valore universale. Nel mito la mente umana rappresenta poeticamente figure sensibili (il fantastico), assunte come tipi o simboli, validi per tutti (cioè universali): ad esempio Achille è l’universale fantastico del coraggio, Ulisse della furbizia. Nel terzo libro della Scienza nuova Vico si occupa della cosiddetta “questione omerica”: a suo avviso Omero è il rappresentante della poesia dell’età eroica della Grecia. Per Vico tuttavia Omero non è realmente esistito: pertanto l’Iliade e l’Odissea non sono opera personale di un solo poeta ma sono l’espressione della poesia primitiva delle popolazioni greche. 3) Nell’ETÀ DELLA RAGIONE gli uomini subordinano la fantasia alla riflessione e osservando il mondo con mente pura e - mediante la filosofia - ne ricercano i principi universali. Se esempi di età degli eroi sono la Grecia di Omero e la Roma più antica; esempi di età dell’età della ragione sono la Grecia dell’età classica, la Roma repubblicana e l’età moderna. In quest’ultima età alla poesia si sostituisce la prosa e si consolidano le istituzioni politiche, sociali e religiose. Questa legge vichiana dei tre stadi storici può essere vista come un’anticipazione della “filosofia della storia” elaborata dal filosofo tedesco Hegel Secondo quest’ultimo la storia umana è caratterizzata dal concetto di Aufhebung (letteralmente un “superare conservando”): si tratta della dialettica storica secondo la quale ogni età supera la precedente per un maggiore sviluppo della razionalità e della consapevolezza etico- politica. - «corsi e ricorsi»: la «storia ideale eterna» Questi tre stadi della storia umana sono l’uno successivo all’altro: tuttavia può accadere che arrivata al terzo stadio – l’età della ragione – una civiltà si corrompa di nuovo e decada, ritornando così allo stato iniziale di barbarie. o In tal modo, ad un «CORSO», cioè allo sviluppo unitario di un popolo attraverso le tre età, può succeder un «RICORSO», cioè un ritorno del medesimo popolo allo stato iniziale, per ricominciare da principio il proprio sviluppo. L’esempio di un ricorso storico è quello del medioevo - per Vico età di rozzezza e di barbarie - rispetto al mondo classico greco e romano. La storia ha quindi per Vico un andamento ciclico: è fatta di «corsi» e di «ricorsi». Secondo il filosofo napoletano questa scienza - la scienza nuova - intende delineare una «storia ideale eterna, sopra la quale corron in tempo le storie di tutte le nazioni ne’ i loro svolgimenti, progressi, stati, decadenze e fini» (G. VICO, Scienza nuova seconda, I libro, IV). -La provvidenza: l’«eterogenesi dei fini» Per Vico la storia è fatta dagli uomini ma in essa vi è tracciato un “disegno ideale” che non è voluto dagli uomini stessi: nella storia agisce quindi la PROVVIDENZA DIVINA. Si tratta di un’influenza esercitata da Dio sulla storia, la quale orienta la storia stessa verso il meglio, anche al di là delle azioni umane. Questo concetto vichiano di PROVVIDENZA nell’Ottocento venne delineato con l’espressione «ETEROGENESI DEI FINI»: per eterogenesi dei fini si intende il fatto che nella storia si vanno attuando dei fini superiori a quelli perseguiti dai singoli individui e dalle singole comunità. Così i fini particolari perseguiti consapevolmente dagli uomini, si rivelano mezzi di fini universali, voluti da Dio stesso. La Scienza nuova di Vico si configura quindi come una «teologia civile ragionata della Provvidenza divina». La teologia della storia di Vico ha profonde affinità, ma anche divergenze rispetto a quella elaborata da Sant’Agostino nel De civitate Dei: entrambi intendono dare un senso alla storia, ma Agostino nel “dare senso” si basa sulla rivelazione cristiana, mentre Vico si basa piuttosto sulla ragione. Con la sua filosofia e teologia della storia Vico ha inteso elaborare i principi universali ed eterni attraverso i quali si sviluppa l’umanità: questi prinpi immanenti sono le leggi costitutive dello spirito umano. L’edizione del 1744 della Scienza nuova si apre con questo frontespizio dal carattere fortemente simbolico: il triangolo in alto è il simbolo di Dio Trinità che illumina con un raggio il petto di una donna (la metafisica, simbolo della mente umana) la quale, a sua volta, illumina un uomo saggio con la barba (Omero), simbolo della sapienza poetica. -La Fortuna Di Vico nel romanticismo tedesco/romanticismo italiano/ermeneutica del secondo 900 Il pensiero vichiano rimase quindi quasi del tutto ignorato dalla cultura europea del Settecento: conosce, infatti, una diffusione limitata all'Italia meridionale. Nel romanticismo tedesco sono soprattutto le prospettive di Herder ed Hegel a mostrare delle analogie con la filosofia di Vico: questi filosofi tedeschi tentano infatti di determinare i princìpi fondamentali della storia dei popoli. Nell’Ottocento italiano la “filosofia della storia” elaborata da Vico trova degli attenti lettori sia in ambito cattolico Tuttavia in Italia una compiuta valorizzazione di Vico si ha soprattutto nei primi decenni del Novecento nell’ambito del cosiddetto neoidealismo, ovvero con le posizioni di Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Croce ebbe soprattutto il merito di aver intuito in Vico una definizione dell’arte come “attività autonoma dello spirito” ed una visione storicistica dello sviluppo dello spirito: tuttavia Croce elimina in Vico ogni riferimento alla trascendenza divina e alla Provvidenza. Nella seconda metà del Novecento il pensiero di Vico è stato ripreso e valorizzato soprattutto per il grande contributo che ha dato in ambito estetico, linguistico ed ermeneutico. Basti pensare a come la filosofia vichiana del linguaggio sia stata studiata da autori tedeschi come Karl-Otto Apel e Hans-Georg Gadamer. Riscoperta del sentimento e opposizione alla ragione astratta (PASCAL E ROUSSEAU) Il Seicento e la prima metà del Settecento è dominata in Francia e in Europa dalle problematiche filosofiche suscitate dal razionalismo cartesiano: i problemi fondamentali affrontati nell’aetas cartesiana sono il dualismo irriducibile di res cogitans e res estensa, il rapporto tra libertà e determinismo nel contesto della nuova visione scientifica del mondo (Galilei, Newton), la filosofia come ricerca di un metodo rigoroso adatto al nuovo paradigma epistemologico delle scienze sperimentali, la ricerca di un’etica adatta al ceto borghese del nascente capitalismo, ecc. Le prospettive di Pascal e di Rousseau, pur nelle loro imprescindibili differenze, sono accomunate dalla comune RISCOPERTA DEL VALORE DEL SENTIMENTO. Pascal si oppone all’unilateralità del razionalismo cartesiano ed afferma che per comprendere l’uomo è necessario partire anche dalla sfera dei sentimenti: «l’esprit de finesse», l’adesione del “cuore” (le coeur) alla fede religiosa. Per Pascal «il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce»; per Pascal «Dio parla al cuore e non alla ragione». Dal canto suo anche ROUSSEAU, nel Settecento, critica il razionalismo e l’astratta ragione degli illuministi suoi contemporanei (Voltaire, Diderot, D’Alembert). Da un punto di vista laico, Rousseau riscopre il valore filosofico fondamentale del sentimento: la ricerca con di un contatto diretto con la natura fa di Rousseau un teorico della “religione naturale” (una “religione del cuore e dell’interiorità, “senza chiese né dogmi”) e un precursore del romanticismo del primo Ottocento. Per i filosofi dell’illuminismo settecentesco la caratteristica peculiare della natura umana è la ragione e il progresso storico è determinato dalla “luce della ragione”. Rousseau critica la “cultura dei Lumi” e sostiene che è il sentimento a renderci consapevoli della natura umana: compito dell’uomo è liberarsi da una civiltà che il filosofo ginevrino giudica corruttrice e menzognera, e dunque ritrovare se stessi nella natura e nel sentimento. Per Rousseau il sentimento è la voce autentica della coscienza, è ciò che ci fa solidali gli uni con gli altri e ci pone in intima comunione con la natura. Les Rêveries du promeneur solitaire è l’opera scritta da Rousseau tra i 1776 e 1778 e che anticipa la riscoperta tipicamente romantica del sentimento. Il Dio cercato da Pascal è il Dio del cristianesimo, un Dio Persona che si incarna nella storia, ama l'uomo e lo redime dal male Mettendo alla prova libertini e scettici aristocratici – amanti del gioco d'azzardo – Pascal nei Pensieri introduce il celebre tema della “scommessa su Dio” (le pari). Credere in Dio è un rischio, ma un rischio che vale la pena correre: "Scommettendo" che Dio esiste si vince tutto (cioè la beatitudine eterna ed infinita) e non si perde nulla; la scommessa a favore di Dio è perciò infinitamente propizia e vantaggiosa per coloro che la compiono. Se al contrario, Dio non esistesse, la perdita sarebbe minima (i beni terreni e i piaceri effimeri). ROUSSEAU: oltre l’illuminismo L’illuminismo del Settecento (i francesi Voltaire, Diderot, D’Alembert) aveva posto nella ragione la vera natura dell’uomo. o Differentemente dagli illuministi, per Rousseau la natura umana non è solo ragione, ma anche sentimento, impulso e spontaneità creativa. Rousseau partecipa all’ambiente culturale illuminista ma allo stesso tempo ne sottolinea i limiti; egli anticipa alcune tematiche (come il valore del sentimento) che saranno care al romanticismo. o Rousseau inoltre rifiuta esplicitamente la concezione illuministica della storia come progresso. I DUE DISCORSI: nel 1750 Rousseau partecipò ad un concorso indetto dall’Accademia delle Scienze di Digione, sul tema «se le scienze e le arti abbiano giovato a purificare i costumi». Scrisse quindi il celebre Discorso sulle scienze sulle arti che vinse il premio e lo rese famoso, scatenando in Francia un ampio dibattito per le sue tesi apparentemente «anti- progressiste». nel 1755 partecipò ad un nuovo concorso dell’Accademia che tuttavia non vinse: in quest’occasione scrisse il celebre Discorso sull’origine ed i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini (Discours sur l’origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes). Nel 1757 Rousseau ruppe i rapporti con gli illuministi parigini per motivi ideologici: egli si distaccò del tutto dalla loro visione progressista della società e della storia. Quindi si ritirò a vivere nel castello di Mont-Louis dove scrisse le sue opere più importanti: il romanzo epistolare La nouvelle Héloïse del 1761, il Contratto sociale e l’Emilio editi entrambi nel 1762. Queste ultime due opere furono condannate sia dal Parlamento di Parigi che da quello di Ginevra: per sfuggire all’arresto egli dovette fuggire in Svizzera e successivamente - per un breve periodo - in Inghilterra presso David Hume. -Lo stato di natura e la critica della civiltà Nel Discorso sulle scienze e sulle arti Rousseau presenta quello che sarà il presupposto fondamentale di tutto il suo pensiero, cioè la tesi che «l’uomo è naturalmente buono e soltanto le istituzioni lo rendono malvagio»: l’origine del male non è nell’interiorità umana ma nella società. Da ciò la sua critica contro le scienze e le arti, che corrompono i costumi e sono strumenti di dominio nelle mani dei tiranni. Alla corruzione dell’uomo nella civiltà, Rousseau oppone l’uomo nello stato di natura, cioè l’uomo primitivo, il «buon selvaggio», considerato del tutto innocente, perché non ancora contaminato dai vizi, frutto della società e del progresso. Rousseau non crede all’esistenza reale, cioè storica, dello «stato di natura», ma ne parla come di una semplice ipotesi, necessaria tuttavia per spiegare la natura dell’uomo e la sua corruzione attuale. Lo stato di natura è un’ipotesi teorica, utile a mostrare lo scarto esistente tra uomo naturale e uomo artificiale (cioè corrotto dalla civiltà). Rousseau inoltre non sostiene che l’uomo primitivo sia veramente buono, cioè virtuoso, ma soltanto che non è né buono né cattivo, cioè è innocente, come può esserlo chi segue soltanto il suo istinto. o Come Thomas Hobbes e gli altri contrattualisti moderni (come John Locke), anche Rousseau parla di una stato di natura antecedente al “contratto sociale” da cui nasce lo Stato e la cultura: egli tuttavia - all’apposto di Hobbes - concepisce la natura dell’uomo come fondamentalmente socievole. Rousseau si oppone quindi alla visione hobbesiana dello «stato di natura» come «guerra di tutti contro tutti (bellum omnium erga omnes), In Rousseau c’è un ottimismo antropologico che corrisponde tuttavia ad un pessimismo storico, cioè ad una visione negativa del progresso scientifico e tecnologico della civiltà europea: è soprattutto questo pessimismo storico che fu aspramente criticato dagli illuministi. Secondo Rousseau il progresso tecnologico non ha liberato realmente l’uomo: le scienze, le lettere e le arti non sono stati mezzi di illuminazione (éclairément), come volevano gli illuministi. Questi temi - positività dello stato di natura e critica della civiltà - vengono ulteriormente approfonditi nel secondo Discorso, quello sull’origine della disuguaglianza. Rousseau sostiene che nello stato di natura gli uomini vivevano felici, poiché erano tutti uguali ed avevano tutte le proprietà in comune. La disuguaglianza fu introdotta dalla proprietà privata, nel momento in cui un uomo, spinto dal desiderio di possesso, per la prima volta circondò con un recinto un pezzo di terra e disse «questo è mio», vietandone l’uso agli altri: da questo momento in poi gli uomini si divisero in servi e padroni, sfruttati e sfruttatori, cioè divennero disuguali. Dalla disuguaglianza degli uomini derivarono i vizi, le guerre e tutta la corruzione propria della civiltà. Nel secondo Discorso Rousseau sottolinea che anche le istituzioni politiche esistenti mirano esclusivamente a conservare la proprietà e la disuguaglianza: esse pertanto devono venir rovesciate al fine di restituire agli uomini la condizione di primitiva uguaglianza e proprietà comune alla quale sono per natura destinati. -Influenza sul giacobinismo rivoluzionario Quello di Rousseau è un messaggio politico di radicale sovversione dell’ordine esistente: alle idee di Rousseau si richiameranno anche i giacobini, cioè gli esponenti del partito più radicale che prese parte alla rivoluzione francese. È inoltre alle idee di Rousseau che risalgono i tre famosi ideali della rivoluzione: liberté, égalité, fraternité. Rousseau combatté con forza le interpretazioni fuorvianti del suo pensiero. I suoi contemporanei ad esempio gli attribuivano l’intenzione di un ritorno allo “stato di natura”. -Contratto sociale - come ripristino uguaglianza/contrattualismo Rousseau è convinto che solo attraverso la politica sia possibile la creazione di una società nuova, basata sui valori dell’uguaglianza e della libertà. La pars construens del suo pensiero è quindi affidata al Contratto sociale e all’Emilio, opere di diverso argomento (opera politica la prima, pedagogica la seconda) ma dai comuni presupposti filosofici. Il progetto politico di Rousseau, inteso a ripristinare tra gli uomini uno stato simile a quello di natura, è costituito dal Contratto sociale. Quest’opera riprende la dottrina sviluppata nel Discorso sull’origine della disuguaglianza: il primo libro esordisce con la celebre affermazione «l’uomo è nato libero e tuttavia è dappertutto in catene». Lo scopo dello scritto è quello di porre le fondamenta di un nuovo assetto politico-istituzionale sulla base di un patto, detto appunto «CONTRATTO SOCIALE», il quale ristabilisca il più possibile condizioni naturali di libertà e di uguaglianza per tutti gli uomini. -R. E IL CONTRATTUALISMO MODERNO Per creare una società - afferma Rousseau - è necessario un patto, poichè per natura nessun uomo ha diritto di esercitare una qualsiasi autorità su di un altro. Solo in consenso dell’altro può autorizzare un uomo ad esercitare la sua autorità su di lui: il patto è appunto l’espressione di questo consenso. La tradizione teorica in cui Rousseau si muove è quella inaugurata dai contrattualisti moderni come Thomas Hobbes nel Leviatano (1651) e John Locke nei Due trattati sul governo (1690): nessuna possibilità di comando se prima non c’è stato un patto tra gli uomini. Tuttavia la concezione che Rousseau ha del contratto è profondamente innovativa. Il contrattualismo di Hobbes e di Locke affidava la fondazione della società politica ad un duplice atto: il patto di associazione1 e il patto di sottomissione2. Il PACTUM UNIONIS1 è la decisone degli uomini di costituirsi in società; il PACTUM SUBIECTIONIS2 è la decisione di assoggettarsi al sovrano, rinunziando in tutto (Hobbes) o in parte (Locke) alla propria libertà e ai diritti originari -IL CONTRATTO SOCIALE Il patto proposto da Rousseau dev’essere solo un patto d’unione e non di sottomissione, cioè un patto in cui ciascun individuo cede tutti i propri diritti a tutti gli altri: nessuno viene quindi a trovarsi in una condizione superiore agli altri. In quest’ipotetico contratto sociale tutti gli individui permangono sempre eguali e liberi: essi vengono però a costituire un io comune nel quale ogni “io particolare” trova assicurati i propri diritti e la propria libertà. -CONSIDERAZIONI SUL CONTRATTO SOCIALE Per Rousseau la forma ideale di governo è la REPUBBLICA, ovvero una democrazia diretta, cioè la forma di governo delle antiche póleis greche. Si noti il carattere rigorosamente scientifico, di tipo quasi matematico, della dottrina politica proposta da Rousseau nel Contratto sociale: egli parte da un’ipotesi, quella dello stato di natura caratterizzato in un certo modo (ottimismo antropologico), e da tale ipotesi deduce le conseguenze che necessariamente derivano per l’organizzazione attuale della società. Anche Hobbes – il fondatore della “politica come scienza” – aveva proceduto in tal modo: se le conseguenze alle quali approda Rousseau sono diverse da quelle di Hobbes, ciò è dovuto alla diversa ipotesi di partenza, cioè alla differente concezione dello stato di natura. -«volontà generale»/e “sovranità popolare” Da questa unione si forma quella che Rousseau chiama la volontà generale, che non è la somma delle volontà di ciascuno, ma è una volontà unica ed indivisibile: è la volontà dell’intera società considerata come se fosse quella di un unico individuo. La volontà generale è tale poichè è rivolta sempre al bene comune. La volontà generale non è perciò la volontà della maggioranza: quest’ultima può essere anche non indirizzata al bene pubblico. La volontà generale è quella che ha sempre come fine la giustizia sociale ed il bene della collettività. Alla volontà generale tutti devono essere sottomessi: ciascuno obbedendovi è come se obbedisse a se stesso e fosse quindi libero. Nel contratto sociale gli uomini formano “un sol corpo ed un solo spirito”. La volontà generale si esprime nelle leggi: tutti sono tenuti ad obbedire alle leggi, poiché solo nell’obbedienza ad esse ciascuno realizza la sua libertà, e quindi la sua felicità. --LA «VOLONTÀ GENERALE» E LA «SOVRANITÀ POPOLARE» Il corpo sociale, nato dal patto di unione, è secondo Rousseau, il «POPOLO». o Solo il popolo è il legittimo titolare della sovranità del potere. > Il popolo esercita questa sovranità in maniera assoluta. Il popolo riunito in assemblea costituisce lo Stato, il quale detiene tutti i poteri, senza distinzione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario (come voleva Montesquieu). La volontà generale del popolo - per Rousseau - è infallibile: coincide con la “retta ragione” ed è sempre buona. Rousseau riprende la dottrina della sovranità tipica del pensiero politico moderno: lo Stato è un sovrano in quanto non riconosce nulla sopra di sé e gode di un potere illimitato su tutti gli altri soggetti politici. Tuttavia - a differenza dei teorici dell’assolutismo come Hobbes - il sovrano non è più il monarca, cioè un singolo individuo, ma il corpo sociale, il popolo, che tuttavia si comporta come se fosse un unico individuo, poichè possiede un’unica volontà indivisibile, la volontà generale alla quale tutti devono sottostare incondizionatamente. Con la DOTTRINA DEL CONTRATTO sociale Rousseau è diventato il teorico della forma più radicale di democrazia: si tratta però di una democrazia che non è più liberale, poiché non riconosce a nessun individuo diritti inalienabili e inviolabili da parte dello Stato. Si tratta quindi di una DEMOCRAZIA TOTALITARIA, perché attribuisce la totalità dei poteri e dei diritti soltanto al popolo, inteso come totalità degli individui, identificando anche lo Stato - ossia l’organo con cui si esercita il potere supremo - con la stessa totalità dei cittadini. Si tratta inoltre di una forma di DEMOCRAZIA DIRETTA da cui è esclusa qualsiasi forma di rappresentanza, perché tutti i cittadini concorrono direttamente alla formazione della volontà generale partecipando all’assemblea del popolo. ->L’EMILIO ed l’educazione negativa Come è noto, l’Emilio è l’opera nella quale Rousseau delinea le sue idee in campo pedagogico: si tratta dell’ideale di un’«educazione negativa», poichè consiste nel lasciare la natura libera di svilupparsi, evitando qualsiasi intervento di tipo costrittivo. Anche nell’Emilio il filosofo muove dal presupposto fondamentale del suo pensiero: l’uomo è per natura buono o almeno innocente. Perciò l’educazione deve cercare di non interferire nella libera e spontanea espressione della natura. Ciò significa che il fanciullo deve essere - in gran parte - lasciato libero dai maestri e dalle scuole: sua unica maestra dev’essere la natura. Il IV capitolo dell’Emilio contiene quella che Rousseau ha chiamato La professione di fede del Vicario Savoiardo: fingendo di riportare lo scritto di un parroco di Savoia, Rousseau delinea il suo pensiero religioso. Si tratta di una forma di religione naturale, ovvero di deismo che rifiuta la rivelazione soprannaturale e l’istituzione della chiesa. -Religione naturale e religione civile A proposito delle idee religiose, Rousseau nel Contratto sociale ammette che ci sia «una professione di fede puramente civile, di cui appartiene al sovrano [al popolo] fissare gli articoli». Gli articoli di questo credo civile sono gli stessi della religione naturale con in più «la santità del contratto sociale e delle leggi». Nel Contratto sociale Rousseau pone addirittura un’obbligatorietà di questo credo civile: si noti un netto contrasto con l’assoluta libertà religiosa presupposta nell’Emilio. KANT - l’illuminismo Il Settecento in Europa è il «secolo dei Lumi», il secolo in cui ogni credenza tradizionale (etico-religiosa) è messa radicalmente in discussione, ovvero è sottoposta al vaglio critico della ragione. Basti pensare che l’illuminista e Lo schema è un prodotto dell’immaginazione ed è ciò che consente l’applicazione delle categorie ai fenomeni empirici. Tuttavia Kant non giunge a determinare compiutamente la dottrina dello schematismo: «questo schematismo del nostro intelletto è un’arte celata nel profondo dell’anima umana, il cui vero maneggio noi difficilmente strapperemo mai alla natura per esporlo scopertamente innanzi agli occhi». -Giudizio Sintetico A Priori Per Kant la conoscenza scientifica si realizza tramite il «giudizio sintetico a priori»: tale giudizio conoscitivo scaturisce da una unione (in tedesco: Verbindung) – da una sintesi operata dall’Io penso – tra i dati delle intuizioni sensibili (estetica trascendentale) e le categorie pure dell’intelletto (analitica trascendentale). L’io penso nel quale avviene l’attività della sintesi: ciò che rende possibile i “giudizi sintetici a priori” Sfera dell’a priori: le 12 categorie dell’intelletto: i concetti a priori (come ad esempio, il concetto di causa). Schema trascendentale che opera la mediazione tra la sfera dell’a priori (i 12 concetti puri dell’intelletto) e la sfera dell’a posteriori (intuizioni sensibili). Sfera dell’a posteriori, cioè sfera della sensibilità, cioè delle percezioni: le intuizioni sensibili di cui Kant parla nell’estetica trascendentale -Schema riassuntivo Critica della Ragion Pura ESTETICA TRASCENDENTALE forme a priori dell’intuizione sensibile Spazio e Tempo ANALITICA TRASCENDENTALE (logica) forme a priori dell’intelletto 12 categorie / “io penso” DIALETTICA TRASCENDENTALE (pseudo-logica) idee della ragione (errori della metafisica) -Dialettica trascendentale impossibilità della metafisica come scienza Il termine DIALETTICA in Kant assume un significato negativo: essa indica l’attività della ragione che, oltrepassando i limiti dell’esperienza, pretende di conoscere la metafisica (l’anima, Dio e l’universo finalisticamente inteso). o In generale è la logica dell’apparenza, ovvero l’“arte sofistica di dare apparenza logica alle proprie illusioni” o La dialettica trascendentale riguarda le conoscenze illusorie che il nostro intelletto crede di ottenere quando oltrepassa i limiti dell’esperienza e tenta di conoscere la cosa in sè La ragione umana per Kant non potrà mai conoscere la metafisica. > Le idee della metafisica sono infatti prive di contenuto empirico. La metafisica va al di là dell’esperienza: l’anima, Dio e l’universo inteso in senso finalistico non sono conoscibili scientificamente. Le idee della metafisica posso essere oggetto di una fede morale e religiosa ma non di una conoscenza scientifica. Kant sottolinea che la conoscenza umana è soltanto fenomenica (si limita alla realtà empirica) e non può giungere mai alla realtà noumenica, cioè al fondamento del reale (la “cosa in sé) e quindi alla metafisica nel senso aristotelico e scolastico del termine. -Filosofia trascendentale come filosofia dei limiti della conoscenza umana Ecco la definizione kantiana di filosofia “trascendentale” data nella Critica della ragion pura: «chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti in quanto questa dev’essere possibile a priori. Un sistema di siffatti concetti si chiama filosofia trascendentale». Trascendentale è quindi quell’ambito dell’intelletto umano che contiene i principi a priori [ovvero le 12 categorie dell’intelletto] i quali consentono di conoscere il mondo dell’esperienza. La filosofia trascendentale di Kant intende determinare: 1) l’ORIGINE o le fonti della conoscenza umana (ovvero la sensibilità e le categorie dell’intelletto); 2) l’ESTENSIONE della conoscenza umana; 3) le CONDIZIONI DI POSSIBILITÀ - e quindi i limiti - della conoscenza stessa. La filosofia trascendentale di Kant è una FILOSOFIA DEL LIMITE: essa intende tracciare i limiti oltre i quali la conoscenza umana non può spingersi . L’intento principale della Critica della ragion pura è dimostrare che l’uomo non può conoscere scientificamente la metafisica, cioè l’ambito del soprasensibile, o – Kant lo chiama – l’ambito del noumenico. L’uomo può limitarsi alla sola conoscenza dei fenomeni, ovvero del mondo empirico e sensibile. Tutto ciò che va al di là dei confini dell’esperienza (l’idea di Dio e l’immortalità dell’anima) può essere oggetto di una fede morale e religiosa, ma non di conoscenza scientifica. Le idee della metafisica (in particolare l’idea di Dio e dell’immortalità dell’anima) sono NOUMENI: sono cioè realtà pensabili (noumeni dal greco noéin “pensare”) ma non conoscibili come lo sono le realtà fisiche e materiali. -Le 4 domande del criticismo kantiano Il progetto filosofico di Kant intende rispondere a 4 fondamentali domande: 1. CHE COSA POSSO CONOSCERE? (Was kann ich wissen?) Si tratta del problema gnoseologico (dal greco gnósis, “conoscenza”), al quale Kant intende rispondere soprattutto nella Critica della ragion pura (1781) 2. CHE COSA DEBBO FARE? (Was soll ich tun?). Si tratta del problema morale, che Kant tratta soprattutto nella Critica della ragion pratica (1788). 3. CHE COSA POSSO SPERARE? (Was darf ich hoffen?) Si tratta del problema religioso, affrontato da Kant in parte nella Critica del Giudizio (1790) e soprattutto nello scritto La religione entro i limiti della semplice ragione 4. CHI È L’UOMO? (Was ist der Mensch?) Si tratta del problema antropologico, il quale investe tutti gli ambiti della filosofia. A questo proposito Kant osserva: «In fondo si potrebbe ricondurre tutto all’antropologia, perché le prime tre domande fanno riferimento all’ultima. Il filosofo deve saper dunque determinare: le fonti del sapere umano; l’estensione dell’uso possibile e utile di ogni sapere; e infine, i limiti della ragione (die Grenzen der Vernunft). L’ultima cosa è anche la più necessaria ma anche la più difficile». -un’etica formale ed autonoma Le principali opere nelle quali Kant espone il suo pensiero etico sono la Fondazione della metafisica dei costumi del 1785 e la Critica della ragion pratica edita nel 1788 per “metafisica dei costumi” Kant intende lo studio della parte a priori dell’azione morale, cioè della sua forma pura ed universale. Condizione suprema ed unica della moralità è la LEGGE MORALE: quest’ultima è universale, cioè uguale per tutti, e razionale, cioè è riconosciuta dalla ragione e vale per l’uomo in quanto essere ragionevole. Per Kant la forma pura della legge morale è costituita dall’imperativo categorico. L’IMPERATIVO CATEGORICO (Du sollst! “Tu devi”) è un comando assoluto ed incondizionato: è una forma a priori della ragione e non proviene dall’esperienza, non è un invito. Per Kant l’azione umana ha un valore morale (è cioè buona) solo quando segue la forma pura dell’imperativo categorico, che ha un valore di universalità e necessità. -Imperativo categorico e rigorismo etico L’imperativo categorico si oppone all’IMPERATIVO IPOTETICO (esempio: “studia, se vuoi essere promosso”): quest’ultimo è un comando condizionato ed è rivolto perciò ad un fine particolare. Kant rifiuta ogni morale fondata sull’imperativo ipotetico. Egli rifiuta perciò: a. l’EUDAIMONISMO (l’etica aristotelica che ha come scopo la felicità dell’anima); b. l’EDONISMO (l’etica di Epicuro che ha come scopo il “piacere” – in greco edoné – dei sensi); c. l’UTILITARISMO (che ha come scopo il vantaggio individuale o sociale); d. l’ETICA RELIGIOSA ed ETERONOMA (es: le azioni buone fatte esclusivamente “per paura della dannazione eterna”) Kant condanna anche la morale fondata sul sentimento, come ad esempio quella elaborata dall’inglese Schaftesbury: per Kant il sentimento è un qualcosa di soggettivo e non può garantire l’universalità, ovvero la condivisibilità da parte di tutti. -L’autonomia etica Una caratteristica fondamentale dell’etica kantiana è la sua AUTONOMIA: l’etica è indipendente dalla religione e non si fonda sui comandamenti della religione. Per Kant la legge morale non ha altro fondamento che in se stessa. Come afferma lo stesso Kant nell’epistolario, la sua etica intende porsi come una purificazione della stessa etica cristiana. Quest’ultima presenta ancora il dovere etico come un comando divino ed incita a fare il bene alludendo a premi e a castighi eterni. La morale kantiana si dice formale poichè è fondata sulla legge a priori della ragione morale - cioè l’imperativo categorico - e non si preoccupa né del contenuto, né del risultato dell’azione, la quale risulta morale solo in quanto si adegua alla legge del “dovere” (in tedesco Sollen). -Kant e il “culto del dovere” In sostanza l’imperativo categorico comanda di fare semplicemente il proprio dovere e di farlo unicamente per dovere, cioè non per conseguire un premio o per evitare un castigo: «devi, perché devi». Kant professa una sorta di “culto del dovere” che emerge chiaramente in un passo della Critica della ragion pratica: L’etica di Kant è stata spesso accusata di rigorismo e di mero formalismo. -Il problema della “bugia a fin di bene” Effettivamente - se si pensa ad esempio alla posizione di Kant sulla bugia – emerge chiaramente un’etica che guarda solamente alla forma dell’azione (il rispetto del “tu devi”) ma che non considera affatto i risultati dell’azione stessa. Per Kant la bugia – anche quando questa è a fin di bene e serve per salvare una vita umana – non è mai eticamente giustificabile. -Kant vs CONSTANT sulla possibilità etica di mentire Intorno a un tema quanto mai controverso quale quello della menzogna, Kant si è confrontato anche con il politologo francese Benjamin Constant. L'occasione è data da un breve trattato scritto nel 1797 dall’allora trentenne Constant, che, sotto il titolo “Delle reazioni politiche” disquisisce intorno alla possibile legittimità, in precisi contesti, della menzogna. L'intervento di Constant è centrato sulla necessità che i principi universali, per essereconcreti, debbano a loro volta fondarsi su princìpi di saggezza pratica e di equilibrio. Contemporaneamente critica la riflessione di Kant che “persino di fronte a degli assassini che vi chiedessero se il vostro amico, che loro stanno inseguendo, si sia rifugiato in casa vostra, la menzogna sarebbe un crimine”. E il "filosofo tedesco" chiamato in causa, risponde da par suo con uno scritto dal titolo Su un presunto diritto di mentire per amore dell'umanità. Per Kant la bugia – anche quando questa è a fin di bene e serve per salvare una vita umana – non è mai eticamente giustificabile. -Le tre formule dell’Imperativo Categorico/Concetto Etico Di Persona Kant ha cercato di esprimere la legge morale – cioè l’imperativo categorico – in 3 formule dal carattere universale: 1) «Agisci in modo che la massima (cioè il principio soggettivo) della tua volontà possa valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale ». Ciò significa che ogni azione deve esser fatta secondo un principio etico valido universalmente: la legge del dovere assoluto ed incondizionato. 2) « Agisci in modo da trattare l’ umanità , tanto nella persona tua quanto nella persona di ogni altro, sempre come fine e mai unicamente come mezzo » Qui Kant introduce il concetto di persona umana: essa è portatrice di una dignità assoluta e ad essa si deve sempre assoluto “rispetto” (Achtung): la persona dell’altro va quindi considerata come fine in sé: di essa non ci si può mai servire come di un mezzo per raggiungere scopi egoistici e di dominio. La posizione etica di Kant è agli antipodi di quella di Machiavelli. 3) La terza formula dell’imperativo categorico costituisce una chiarificazione della prima: «Agisci in modo che la tua volontà possa essere considerata come istituente una legislazione universale». -Il «regno dei fini» e il mondo morale (sfera della libertà) L’insieme di tutte le persone, considerate in quanto fini, costituisce quello che Kant chiama «il regno dei fini»: esso è governato dall’unica legge di considerare gli altri come fini e mai come mezzi. In esso ciascun membro è suddito e legislatore al tempo stesso. o Ciò che caratterizza la persona è la sua costitutiva LIBERTÀ: l’insieme di tutte le persone formano un mondo intelligibile – cioè un regno della ragione – che è soprasensibile (cioè non si identifica con la natura fisica) ed è fondato sulla libertà. J.G. FICHTE: ripresa della «filosofia trascendentale» di Kant Il pensiero del tedesco Johann Gottlieb Fichte (Rammenau, 1762 – Berlino, 1814) nasce come un ripensamento in senso idealistico della «filosofia trascendentale» elaborata da Kant. L’intento filosofico di Fichte è stato quello di sanare le aporie e i dualismi presenti nel pensiero di Kant: dualismo di sensibilità ed intelletto, dualismo di fenomeno e noumeno, dualismo di determinismo (della natura) e di libertà (della coscienza umana). Il giovane Fichte studia le tre Critiche di Kant ed intende portare ad unità i risultati delle Critiche: egli si propone il compito filosofico di dedurre «da un solo principio» tutto il sapere e di costituire un «sistema scientifico della libertà» in grado di superare il determinismo dei naturalisti e il fatalismo di Spinoza. -Dottrina Della Scienza come sistema della libertà e Idealismo Fichte diede numerose riesposizioni della sua opera fondamentale: la Dottrina della scienza, tesa a dedurre «i fondamenti trascendentali (a priori) della libertà umana». Hegel ha giustamente definito il pensiero di Fichte come un «idealismo etico soggettivo», come un «idealismo pratico». IDEALISMO poichè tutta la realtà oggettiva – il mondo dell’esperienza – viene dedotta a partire dalla soggettività trascendentale di matrice kantiana: Fichte radicalizza e assolutizza l’«io penso» di cui parlava Kant nella Critica della ragion pura. > Per Fichte il fondamento del sapere oggettivo si radica nelle STRUTTURE TRASCENDENTALI (a priori) DELLA COSCIENZA UMANA: Fichte parla di un «IO PURO (das reine Ich)». > L’«IO PURO» è il fondamento universale di ogni soggettività empirica: la struttura coscienziale di ogni singolo individuo – al di là degli aspetti storici, psicologici e caratteriali contingenti – è di carattere trascendentale/a priori/universale. Quello elaborato da Fichte è un sistema di «idealismo etico-pratico»: la caratteristica fondamentale della soggettività trascendentale è la sua libertà costitutiva. o Mentre il mondo della natura è un rigoroso sistema di cause ed effetti (determinismo naturalistico), il mondo dello spirito (il mondo della coscienza umana) è caratterizzato dalla libertà. Tramite la sua azione l’uomo rompe con il sistema di cause deterministico della natura: nell’uomo c’è una libertà originaria che supera il determinismo della natura. Con la sua azione l’uomo produce un qualcosa di nuovo e di inedito nell’ordine nella natura. o Fichte definisce la soggettività trascendentale come una «libera causalità»: si tratta di una “causalità” sconosciuta nell’ordine deterministico della natura. Come afferma Fichte: «Il mio sistema è il primo sistema della libertà»; «il mio sistema è dall’inizio alla fine solo un’analisi del concetto di libertà». --LA DOTTRINA DELLA SCIENZA COME «SISTEMA DELLA LIBERTÀ» Come la RIVOLUZIONE FRANCESE (tanto apprezzata da Fichte) ha portato la libertà e i diritti nella storia politica, così l’intento del giovane Fichte è quello di portare la libertà nella riflessione filosofica e di costituire pertanto una “filosofia eticamente rivoluzionaria”. Egli dedica tutta la sua vita all’edificazione di un sistema filosofico della libertà, un sistema “con Kant, oltre Kant”: si tratta di un sistema teso alla trasformazione etica della storia umana. Il giovane Fichte è giacobino e apprezza la libertà e i diritti portati dalla Rivoluzione francese: nel 1793 pubblica un testo dal titolo Contributi per rettificare i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese. -L’uomo come «essere volente» ed «essere per la nascita» Fichte definisce l’uomo come un «essere volente» caratterizzato dal libero agire nella storia: come vedremo anche in seguito, per Fichte l’origine stessa della conoscenza è in un atto di libera volontà. La filosofa tedesca del Novecento Hannah Arendt (1906-1875) riprenderà questo tema fichtiano della libertà definendo l’uomo un «essere per la nascita». In opposizione a Heidegger che in Essere e tempo (1927) aveva definito l’uomo come “un essere per la morte”, HANNAH ARENDT definisce l’uomo come un «ESSERE PER LA NASCITA», cioè un essere le cui caratteristiche fondamentali sono la libertà e la “ inizialità ” : l’uomo, grazie alla sua libertà costitutiva, è l’essere capace di dar inizio ad un qualcosa di nuovo rispetto all’ordine naturale. Fichte e la Arendt sono due “filosofi della libertà”: la libera azione umana consente all’uomo di superare il determinismo biologico e naturalistico. Siamo «nati per incominciare», per produrre qualcosa di nuovo nel mondo e nella storia. -L’idealismo come superamento del realismo ingenuo Kant - ad avviso di Fichte - ha avuto il merito di superare il realismo “ingenuo e dogmatico” (di matrice aristotelica e scolastica) proponendo una filosofia trascendentale in grado di porre l’essere nella sua necessaria correlazione con la coscienza. In questa nuova prospettiva trascendentale, essere e coscienza sono sempre l’uno dall’altra indisgiungibili: la filosofia trascendentale elaborata da Fichte è quindi una forma di ideal-realismo o real- idealismo, nella quale ogni affermazione sull’essere deve trovare nella coscienza trascendentale la sua condizione di possibilità Il termine tedesco di “coscienza” (Bewusstsein) ci aiuta a capire questa unità fondamentale tra il pensiero soggettivo e l’essere oggettivo: l’essere oggettivo (Sein) e sempre un “essere che vive nel pensiero” (Bewusst): l’essere si forma e si costituisce sempre in stretta relazione alla coscienza umana. -Genesi della conoscenza e Io Puro La Dottrina della scienza viene concepita da Fichte come una continuazione ed un approfondimento della filosofia trascendentale di Kant: «l’essenza» della Dottrina della scienza - scrive l’autore - «risiede proprio nell’investigazione della radice, per Kant non investigabile, dove il mondo sensibile e quello soprasensibile si connettono, quindi nella derivazione, reale e concettuale di entrambi i mondi da un unico principio». Tale principio viene individuato da Fichte nell’IO PURO definito come «VOLONTÀ ORIGINARIA». Fichte riprende da Kant la visione della conoscenza proposta nella Critica della ragion pura: la conoscenza è un atto di sintesi tra le categorie dell’intelletto e le intuizioni sensibili. o L’atto concreto della conoscenza – il giudizio sintetico a priori – è reso possibile dalla schematizzazione: lo schema trascendentale è ciò che consente l’applicazione della categoria pura dell’intelletto alla singola intuizione sensibile, al singolo dato percettivo. > Tuttavia Kant non ha indagato la genesi dell’atto della schematizzazione: afferma che si tratta di «un’arte celata nel profondo dell’anima umana e che non riusciremo mai a comprendere». -Volontà come origine della conoscenza Fichte definisce la MENTE UMANA come un’ATTIVITÀ DINAMICA caratterizzata dalla volontà libera: > egli definisce l’IO PURO come un’“azione-in-atto” (tathandlung), come una volontà originaria. «TATHANDLUNG» è un neologismo tedesco coniato da Fichte proprio per sottolineare la differenza ontologica tra l’essere umano caratterizzato dalla libertà (la conoscenza stessa è una libera azione) e gli altri enti del mondo caratterizzati dal determinismo: si tratta della differenza ontologica tra “qualcuno” (la persona umana) e “qualcosa” (le cose non umane della natura). Differentemente da Kant, per Fichte la volontà non è solamente una facoltà che riguarda l’agire etico (la scelta tra bene e male) ma entra direttamente nell’atto conoscitivo: la volontà è la genesi stessa dell’atto conoscitivo, è ciò che rende possibile l’atto della schematizzazione e quindi è ciò che rende possibile il giudizio sintetico a priori. Nel ciclo di lezioni dal titolo Dottrina della scienza nova methodo (1796-1799) Fichte analizza in profondità il ruolo che ha la volontà nel determinare il processo conoscitivo. Come ha sottolineato Reinhard Lauth (1919-2007), in questa analisi il filosofo tedesco si richiama direttamente ad alcune affermazioni del francese Cartesio. In maniera simile a Fichte anche Cartesio affermava che «il giudizio è opera della volontà» -Fichte e CARTESIO Seguendo Cartesio, Fichte può affermare «je veux, donc je pense», in latino: «volo ergo cogito». > La libera volontà è la facoltà che determina l’atto conoscitivo umano nella sua dinamicità. Secondo Reinhard Lauth, Cartesio anticipa molti aspetti del programma fichtiano: nel pensatore francese si può scorgere una filosofia trascendentale ante litteram e si può trovare un ruolo fondamentale attribuito alla volontà: in Cartesio «la volontà costituisce essenzialmente, cioè in maniera determinante, il giudizio [..] Ciò significa che pensiero e volontà sono all’opera sempre in unione sintetica nell’atto fondamentale del cogito» -Volere Puro -VOLERE PURO COME ORIGINE ATTIVITÀ SINTETICA DELLA COSCIENZA. Il VOLERE viene considerato da Fichte come la facoltà che spinge la coscienza umana alla rappresentazione conoscitiva; è da notare inoltre che nelle lezioni Dottrina della scienza nova methodo egli introduce una distinzione essenziale nel suo pensiero: quella tra il VOLERE PURO ed il VOLERE EMPIRICO. Quest’ultimo è ciò che determina ogni singolo atto conoscitivo, mentre il volere puro (der reine Wille) è la condizione suprema di possibilità di ogni atto volitivo e cognitivo. Il volere puro si qualifica in tal modo come il primum movens dell’attività sintetica della coscienza, come quel sostrato intelligibile dal quale si origina la serie temporale dei singoli atti del volere empirico. Il volere puro è una sorta “causa prima” che è il presupposto ed originario di ogni atto della soggettività: «per spiegare la coscienza dobbiamo ammettere l’esistenza di qualcosa di primo e di originario». La ricerca fichtiana è di carattere protologico: essa tenta di “regredire all’originario”, di poter arrivare a dedurre il principio primo della coscienza, il necessario presupposto di tutta la sua attività sintetica. Nella Dottrina della scienza nova methodo - ed in particolare nel § 13 di quest’opera - Fichte intende innalzare lo sguardo speculativo alla genesi costitutiva della coscienza, alla sua origine (Ursprung), al volere puro la cui presenza si manifesta concretamente nei singoli atti di volontà. Fichte definisce il volere puro come “assoluta autonomia o libertà”: si tratta del fondamento teoretico- pratico del fichtiano “sistema della libertà”. Il volere puro è quindi ciò che determina “IL PRINCIPIO DELLA COSCIENZA” ed è ciò che pone in essa un primato del pratico. In questo «volere originario, precedente ogni volere empirico». -VOLERE PURO COME FONDAMENTO DEL «SISTEMA DELLA LIBERTÀ». Il volere empirico è la facoltà che consente l’atto della schematizzazione conoscitiva, ovvero l’applicazione delle categorie a priori dell’intelletto alle intuizioni sensibili. Fichte sostiene che il kantiano «giudizio sintetico a priori» è reso possibile dal volere puro e dal volere empirico. La libertà del volere penetra e determina le strutture della stessa conoscenza. Il VOLERE PURO: la radice dell’Io, il fondamento trascendentale che permette alla coscienza umana di determinare l’atto conoscitivo. o Il volere puro è il primum movens di tutta l’attività dinamica della soggettività, intesa da Fichte come Tathandlung, azione-in-atto, voluntas-in-actu. Il volere puro è il fondamento del fichtiano «sistema della libertà» Il volere puro è il fondamento trascendentale (a priori) di ogni singolo atto della coscienza (volere empirico) Filosofia Trascendentale Moderna: Cartesio, Kant, Fichte Per molti aspetti, l’assolutizzazione fichtiana della soggettività umana (l’Io puro) – contrapposta alla natura (al mondo degli oggetti considerati come Non-Io) – porta a compimento il pensiero trascendentale moderno. Si può quindi scorgere una profonda continuità teoretica tra il cogito cartesiano, l’«Io penso» di Kant e l’«Io puro» di Fichte: è la linea del soggettivismo trascendentale moderno. Il pensiero trascendentale di Fichte comprende anche una “filosofia della religione”: Dio stesso viene definito dal filosofo come una «pura attività» che vive all’interno della coscienza umana: Fichte nega la visione cristiana di un Dio trascendente, creatore ex nihilo e di un Dio-Persona. Per Fichte l’assoluto divino vive e si risolve nell’arco della coscienza umana. Nel 1799 per questa sua posizione religiosa eterodossa Fichte venne accusato di ateismo e venne quindi costretto a lasciare l’insegnamento all’università di Jena. Fichte difese sempre gelosamente la sua “libertà di pensiero” e sostenne che la libertà/autonomia è stata e deve essere la caratteristica essenziale del popolo tedesco. Fichte è stato quindi “apostolo della libertà” e patriota. Nel 1807/1808, durante l’occupazione della Germania da parte dell’esercito francese capeggiato da Napoleone, Fichte incitò il popolo tedesco a rivendicare la sua autonomia e la sua libertà dallo straniero: queste conferenze tenute al teatro di Berlino ebbero molto successo e furono pubblicate con il titolo Discorsi alla nazione tedesca -Influsso di Fichte sul VOLONTARISMO di Schopenhauer Va inoltre sottolineato che il filosofo tedesco ARTHUR SCHOPENHAUER (1788-1860) riprenderà da Fichte la visione della soggettività umana caratterizzata dalla volontà. Nel 1811 Schopenhauer va a Berlino ad ascoltare le lezioni di Fichte e nel 1819 pubblica il celebre volume Il mondo come volontà e come rappresentazione. Andando “con Fichte, oltre Fichte”, Schopenhauer fa della volontà – la voluntas – il principio dinamico che governa il mondo e la natura umana. Tuttavia, differentemente da Fichte e dai filosofi idealisti, la volontà come principio metafisico – di cui parla il nichilista e pessimista Schopenhauer – è una “forza cieca e irrazionale”, un’energia cosmica che permea tutto e che tende unicamente all’autoconservazione della vita. Si tratta di un impulso vitalistico, di una «volontà per la vita» SCHELLING: una «filosofia in divenire» Il pensiero di Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775-1854) conosce diverse fasi. Lo studioso francese Xavier Tillette ha parlato giustamente di un «pensiero in divenire». Ecco le principali fasi: a. un giovanile avvicinamento alla “filosofia trascendentale” di Kant e di Fichte; b. la scoperta della “filosofia della natura”: una natura intesa in senso organicistico e finalistico; una natura vivente caratterizzata da fenomeni come il magnetismo, l’elettricità e la chimica organica; una natura intesa pertanto come «preistoria dello spirito»; c. dal 1800 la fase della «filosofia dell’identità»: si tratta dell’identità tra natura e spirito: «la natura è spirito che dorme, lo spirito è natura che diviene consapevole di se stessa e dei processi»; nell’ordine della natura/spirito il grado massimo di consapevolezza coscienziale viene raggiunto dalla mente umana; Schelling estende il concetto di rivelazione a tutte le religioni storiche, comprese quelle politeistiche: egli intende l’arco storico delle religioni come una sorta di «rivelazione progressiva di Dio». Egli si occupa quindi sia della mitologia pagana che della religione cristiana, considerando quest’ultima la forma più compiuta di rivelazione. É Schelling stesso a definire quest’ultima fase del suo pensiero come “FILOSOFIA POSITIVA” o “empirismo filosofico”: con tali espressioni egli intende dire che il punto di partenza non è più il semplice a priori speculativo, ma il dato d’esperienza e le realtà storiche concrete. La “filosofia positiva” viene quindi opposta alla “filosofia negativa” - quella ad esempio di Hegel che confida solamente nella ragione e nelle sue strutture dialettiche. La “filosofia negativa” dimentica la realtà empirica, storica e concreta: tutto ciò che esiste è al di fuori del concetto, sicché la ragione, se vuol incontrare la realtà, deve uscire da sé, dalla negatività della propria autosufficienza logica, per affrontare e comprendere la positività dell’esistenza. Quello dell’ultimo Schelling è perciò un pensiero dal carattere esistenziale e religioso: è importante, infine, rilevare che il Dio di cui questa filosofia positiva ormai si occupa, è il Dio-persona, il Dio cristiano che crea il mondo e lo redime tramite l’incarnazione nel Figlio. La filosofia positiva di Schelling concepisce inoltre la totalità del tempo divisa in tre epoche: sulla scia del pensiero neoplatonico si parla dell’Uno in sé - cioè di Dio -, della sua esplicazione e manifestazione nel mondo (l’età presente) e del ritorno necessario di tutte le cose a Dio (età futura). La filosofia dell’ultimo Schelling costituisce un ripensamento filosofico dei dogmi cristiani: la riflessione si incentra infatti sul significato dell’Incarnazione) di Dio HEGEL e HEGELISMO: la loro importanza Con il sistema filosofico di Hegel il pensiero occidentale raggiunge una delle sue vette più significative: gran parte della storia e della cultura successive non si comprende se non si parte da Hegel. Possiamo affermare che lo storicismo, il marxismo, l’esistenzialismo, il personalismo, lo strutturalismo e persino tante parte delle correnti filosofiche post- moderne nascano da un esplicito confronto critico con Hegel e talvolta dall’esigenza di una stessa radicale contrapposizione. In Hegel si ha il tentativo di comprendere unitariamente tutta la storia ed il pensiero umano: egli ricapitola a sé tutte le culture e le filosofie a lui precedenti, considerandole delle “tappe” che precorrono il suo compiuto sistema. Tutto il pensiero moderno posteriore ad Hegel può essere invece visto come una sorta di “gigantomachìa” contro il panlogismo assoluto hegeliano -Panlogismo Hegeliano Hegel è il filosofo che interpreta tutta la realtà in termini razionali. Il sistema idealistico hegeliano è stato definito come un panlogismo: tutto viene compreso come sviluppo del lógos/Ragione. Tutto - la natura, l’uomo e la storia - rientra in un progetto voluto da una Ragione assoluta, da uno Spirito che opera indipendentemente - ed al di sopra - dei singoli individui razionali. «In principio era la Ragione» e la Ragione comprende sé stessa ed il proprio ruolo nel corso della storia dell’umanità, che è la storia dello Spirito. Sono molti gli interpreti che hanno scorto in Hegel la più compiuta secolarizzazione del cristianesimo: il filosofo di prende in prestito dalla teologia luterana moltissimi concetti ma li cambia di significato e li inserisce all’interno del sistema. Lo stesso sistema filosofico di Hegel può esser visto come una sorta di “teologia secolarizzata e laicizzata”. Il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach – teorico dell’ateismo – sostiene che il sistema hegeliano è una sorta di «teologia mascherata»: Hegel sostituisce Dio con la Ragione, sostituisce la Provvidenza cristiana con «l’astuzia della ragione». -Capisaldi del pensiero di hegel I capisaldi speculativi del pensiero hegeliano possono essere così riassunti: 1. La realtà in quanto tale è Ragione e Spirito infinito (unendlicher Geist). 2. Compito della filosofia è studiare la vita stessa dello Spirito, che nella sua intima essenza è la dialettica. 3. L’elemento centrale della dialettica - cioè del manifestarsi dello Spirito nel mondo è l’Aufhebung, termine tedesco che significa: “superare-conservando”. L'affermazione basilare dal quale occorre prendere le mosse per comprendere Hegel è che «il vero non è sostanza ma è soggetto». Ciò significa che per Hegel il vero non è da ricercare nella sostanza – cioè nell’essere oggettivo (si pensi all’ontologia aristotelica o alla sostanza spinoziana) – ma nel “soggetto”, cioè nel puro pensiero e nello Spirito (Geist). Il fatto che la realtà sia da intendere come Spirito è per Hegel si deve alla scoperta kantiana dell’«io penso» e alle varie forme di idealismo trascendentale proposte da Fichte e da Schelling. Dire che la realtà non è sostanza ma soggetto e Spirito significa dire che essa non è “morto essere” ma che è “attività”, “processo” e continuo movimento. Hegel intende quindi portare ad una sintesi i risultati cui erano giunti Fichte e Schelling. (lógos eterno) nella storia. -Critica della Dottrina Della Scienza di Fichte Per Fichte l’IO pone sé stesso e - in quanto pura attività autoponentesi - oppone a sé (inconsciamente) il NON-IO (cioè l’oggetto, la natura), ossia un limite, che poi cerca di superare dinamicamente. Ma in questo processo l’Io fichtiano non giunge mai a compimento, in quanto il limite viene rimosso e allontanato all’infinito, ma mai interamente “superato”. o Questo infinito che si può configurare come una retta che procede senza limiti è - per Hegel – un “cattivo infinito”, un “falso infinito”, in quanto resta un processo irrisolto: non raggiunge mai una sintesi definitiva. > Di conseguenza, ad avviso di Hegel, la Dottrina della scienza di Fichte non riesce a superare la scissione di Io e non-Io, di soggetto ed oggetto, di spirito e natura, di infinito e finito. Pertanto in Fichte permane in una strutturale opposizione o antitesi non superata, che va invece, superata. Secondo Hegel la Dottrina della scienza si fonda su di un unico principio - l’Io puro, il soggetto assoluto ed universale - ma dimentica l’autonomia dell’oggetto (la natura), considerato solo in relazione all’Io: quello di Fichte sarebbe quindi un “idealismo etico soggettivo” bisognoso di un completamento: questo completamento, il giovane Hegel lo individua in Schelling, ovvero nella filosofia schellinghiana della natura. -Critica alla Filosofia Dell’identità di schelling Il tentativo di superare la scissione fichtiana tra soggetto ed oggetto fu fatto da Schelling nella sua “filosofia dell’identità”: Hegel - in un primo tempo - considerò tale filosofia come un punto di vista più alto di quello di Fichte. Tuttavia la concezione schellinghiana dell’identità originaria ed indifferenziata di Spirito e natura iniziò ad apparire ad Hegel eccessivamente artificiosa ed astratta. Nella Fenomenologia dello Spirito (1807) Hegel criticò quindi Schelling: a quest’ultimo egli rimproverò un «dissolvimento di tutto ciò che è differenziato e determinato»: l’Assoluto di cui parla Schelling - in quanto unità indifferenziata di soggetto ed oggetto, Spirito e natura - è una «notte in cui tutte le vacche sono nere». -I 3 momenti della DIALETTICA+D come spirito Secondo Hegel, sia a Fichte che a Schelling, manca una concezione dello Spirito e della realtà come dialettica. Per Hegel al dialettica è il movimento dinamico e circolare dello Spirito: tale movimento comprende 3 momenti essenziali: la tesi, l’antitesi e la sintesi. Tutta la realtà - per Hegel - è costituita dall’Assoluto, che alla fine del processo dialettico comprende sé stesso come Spirito (Geist). I tre momenti di sviluppo dell’Assoluto sono: 1) TESI: l’Idea in sé intesa come logica/Ragione (l’Assoluto in sé; il puro lógos, la struttura logica del reale; Hegel utilizza questa metafora: «i pensieri di Dio prima della creazione»); 2) ANTITESI: la Natura (l’Idea fuori di sé; l’Assoluto che si oggettivizza); 3) SINTESI: lo Spirito (l’Idea che ritorna a sé; l’Assoluto che comprende sé stesso come Spirito e processo dialettico). La filosofia è quindi una “SCIENZA DELL’ASSOLUTO” e del suo manifestarsi nel reale. Le discipline che studiano questi tre aspetti della dialettica sono: 1) la logica; 2) la filosofia della natura; 3) la filosofia dello Spirito -DIALETTICA: EREDITÀ DEL NEOPLATONISMO E DOGMATICA TRINITARIA. In questi tre momenti della dialettica descritta da Hegel sono state viste delle affinità con la dialettica neoplatonica e con la dialettica trinitaria della teologia cristiana. In Plotino e Proclo il principio è l’Uno (moné) che fuoriesce da sé per costituire il reale (próodos) per poi tornare di nuovo a sé (momento dell’epistrophé). Nella dialettica trinitaria del cristianesimo il principio è il Padre (Dio), che si manifesta nel mondo sotto forma del Figlio (Cristo) e che nel corso della storia continua ad autocomprendersi come Spirito Santo. -La dialettica come Aufhebung: “superare- conservando” Per Hegel il movimento dialettico e circolare è la vita stessa dello Spirito. La dialettica ad avviso di Hegel è lo strumento per comprendere il reale e tutto ciò che ci circonda: il processo dialettico è infatti presente in ogni momento della realtà e ne costituisce la sua intima essenza spirituale: «tutto ciò che ci circonda può esser pensato come un esempio di dialettica». Per comprendere la dialettica hegeliana è di centrale importanza il concetto di Aufheben (letteralmente: “superare conservando” o “togliere e conservare in un piano superiore”). Nel terzo momento del processo dialettico - la sintesi - i due momenti precedenti - la tesi e l’antitesi - non vengono completamente eliminati, ma vengono “aufgehoben”, vengono posti in una sintesi superiore. L’Aufhebung - il “superare conservando” - è quindi l’organo stesso della dialettica hegeliana. -Fenomenologia Dello Spirito: significato/finalità La prima opera in cui il pensiero hegeliano viene esposto in modo sistematico ed approfondito è la FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO, pubblicata nel marzo 1807. La Fenomenologia dello Spirito è la descrizione di come l’assoluto che è Spirito (Geist) e ragione (Vernunft) si manifesta nel corso della storia umana - fenomenologia significa letteralmente “discorso (lógos) sul manifestarsi e l’apparire dello spirito L’opera descrive il processo che la coscienza umana deve compiere per arrivare a comprendere se stessa come una manifestazione dello spirito intersoggettivo e della ragione assoluta che agisce nella storia. Questa comprensione avviene tramite una serie sei di tappe o figure (Gestalten) in successione: queste figure sono momenti dell’apparire dello spirito dialetticamente collegati fra loro. La Fenomenologia dello spirito è stata concepita da Hegel allo scopo di innalzare la coscienza comune ed empirica al punto di vista filosofico e quindi al sapere assoluto. Essa descrive l’itinerario - scandito in sei tappe - che la coscienza umana deve percorrere per comprendere il principio costitutivo di tutto il reale, ovvero l’assoluto La Fenomenologia costituisce un unicum nella storia della filosofia: in essa vengono riassunte e ricomprese in un grandioso sistema tutte le precedenti filosofie e culture occidentali -L 6 tappe del manifestarsi dello spirito L’itinerario della Fenomenologia percorre le seguenti sei tappe: 1. Coscienza conoscitiva (Bewusstsein); 2. Autocoscienza (Selbstbewusstsein); 3. Ragione (Vernunft); 4. Spirito (Geist); 5. Religione (Religion); 6. Sapere assoluto (das absolute Wissen). La tesi di Hegel è che ogni COSCIENZA conoscitiva è AUTOCOSCIENZA; a sua volta l’autocoscienza – per superare le sue intime scissioni - si scopre come RAGIONE; quindi la Ragione si realizza come SPIRITO - cioè come Ragione intersoggettiva che si incarna nella storia e nelle istituzioni umane -. Lo Spirito tramite la RELIGIONE - che è rappresentazione figurata dell’Assoluto - raggiunge il suo vertice nel SAPERE ASSOLUTO, che è piena comprensione concettuale dell’Assoluto e del suo manifestarsi dialettico nella storia umana. Hegel presenta ciascuna delle singole figure in modo tale da far vedere che la sua determinatezza è inadeguata, e che quindi, costringe a passare alla tappa successiva. Ogni figura è quindi una Aufhebung della precedente: la supera conservandone tuttavia dei tratti fondamentali. Queste tappe della fenomenologia al loro interno si suddividono in altre molteplici figure dello spirito, come ad esempio quelle della dialettica servo-padrone o della coscienza infelice. 1) La tappa iniziale è costituita dalla coscienza intesa in senso conoscitivo. Questa è la fase iniziale del processo conoscitivo: la coscienza soggettiva conosce il mondo (l’oggetto) come altro da sé ed indipendente da sé. È il momento aurorale in cui il soggetto avverte l’oggetto come altro rispetto a sé. o Tale tipo di conoscenza - tipica del realismo gnoseologico classico - si dispiega in tre fasi successive: a) la certezza sensibile (die sinnliche Gewissheit); b) la percezione sensibile; c) l’intelletto Qui Hegel parla della posizione conoscitiva di Kant espressa nella Critica della ragion pura. Hegel critica Kant di aver elaborato una mera «filosofia della riflessione soggettiva» incapace di innalzare lo sguardo all’intero, alla totalità del reale. -(2) la «dialettica servo-padrone» nella fenomenologia dello spirito 2) Divenendo autocosciente l’io scopre tuttavia di essere continuamente alla presenza di altre autocoscienze: l’io scopre la presenza dell’alterità: «l’altro è anch’esso un’autocoscienza. Un individuo sta di fronte a un altro individuo». Tra la pluralità delle autocoscienze si instaura un rapporto conflittuale: ciascuna nutre un «appetito» rivolto al possesso della natura, il quale è in competizione con quello delle altre autocoscienze. Ogni autocoscienza individuale è quindi contraddistinta da un’originaria libido dominandi (desiderio di dominio) sulla natura e sugli altri. Per affermare la propria superiorità ogni autocoscienza deve ottenere il «riconoscimento» da parte delle altre della propria supremazia. Nasce così l’instaurazione dei rapporti di potere tra gli individui: si tratta delle celebri pagine della Fenomenologia dedicate alla “dialettica servo-padrone”.