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trionfo del cristiaesimo ehrmann, Sintesi del corso di Storia Antica

riassunto libro "trionfo del cristianesimo" di bart d ehrmann

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 04/05/2021

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Scarica trionfo del cristiaesimo ehrmann e più Sintesi del corso in PDF di Storia Antica solo su Docsity! IL TRIONFO DEL CRISTIANESIMO-EHRMAN INTRODUZIONE LE RAGIONI DI UN TRIONFO Non era scontato sul piano storico che il cristianesimo si imponesse come la religione e l’entità politico-culturale di maggior rilevo nell’Impero Romano. CAP. 1 L’ INIZIO DELLA FINE: LA CONVERSIONE DI COSTANTINO La conversione di Costantino è uno degli eventi che hanno portato a cambiamenti significativi nel corso della storia. Prima era politeista, ad un certo punto adorava un solo dio, il Dio dei cristiani. Con ogni probabilità questa conversione non fu repentina. La data della conversione è datata al 28 ottobre del 312 d.C. Fu comunque Teodosio circa un'ottantina di anni dopo a rendere la religione cristiana religione ufficiale dell’ impero. Ma considerando il ritmo di crescita del Cristianesimo, probabilmente il Cristianesimo, si sarebbe imposto prima o poi. Il fatto che desta scalpore sta nel fatto che l’apparato imperiale che doveva contrastare il Cristianesimo e che in precedenza aveva compiuto notevoli sforzi per estirparlo, da un giorno all’altro iniziò ad operare in suo sostegno. Costantino non rese il Cristianesimo ufficiale, ma lo legalizzò, concedendo ad esso una serie di privilegi e alla lunga il Cristianesimo prevalse. Per conversione si intende il passaggio da un determinato sistema di credenze e di pratiche religiose a credenze e pratiche religiose di un altro tipo. Nell’antichità la conversione non era una prassi comune, nell’ambito del politeismo chi decideva di adorare un dio nuovo, non doveva smettere di adorare gli dei che fino ad allora aveva adorato, le religioni pagane erano inclusive non restrittive. Mentre i cristiani chiedevano ai nuovi fedeli di fare una scelta chiara, dovevano abbandonare gli dei precedenti, e rivolgersi soltanto a dio, stessa pretesa aveva il giudaismo. Il 93 % della popolazione mondiale era pagana, ma la maggior parte delle volte lo era non per scelta individuale, ma per abitudine. I pagani adoravano una moltitudine di dei come la tradizione gli aveva insegnato a fare. e non perché si riconosceva in una religione politeista, non si sarebbero mai riconosciuti in una cosa chiamata politeismo. Gli dei erano presenti in ogni aspetto della vita politica e sociale, erano presenti in ogni decisione. Per la maggior parte erano stati gli dei a rendere grande l’impero. Quindi anche nel caso del Cristianesimo, l'impero ne sosteneva e incoraggiava il culto, per assicurarsi il proprio benessere. Per noi le persecuzioni rientrano nella sfera religiosa, ma a quel tempo, aveva evidenti connessioni socio politico. LA SCALATA AL POTERE DI COSTANTINO. Alla fine del terzo secolo l'impero era troppo vasto per essere retto da un solo imperatore, l’ Impero Romano si estendeva dall’ odierno Iraq alla Britannia, comprendeva tutte le terre che si affacciano, nel mar Mediterraneo e l'Europa centro settentrionale a nord. Nel 284 d.C. termina quel periodo di crisi denominato Anarchia militare (21 sovrani legittimi e 38 usurpatori). Fu con Diocleziano che si ristabilì l’ordine interno ed esterno. Egli elaborò un sofisticato meccanismo che avrebbe dovuto regolare il passaggio dei poteri da un imperatore al suo successore. Sistema basato non sui legami dinastici, ma sul merito.: 2 imperatori anziani (augusti), ciascuno dei quali avrebbe avuto al di sotto un imperatore più giovane (cesare), scelti in base all’esperienza. Diocleziano divenne augusto d’oriente, Galerio fu il suo cesare; Massimiano fu augusto d’occidente, e Costanzo Cloro il suo cesare. Ciascun imperatore era responsabile di un determinato numero di province, anche se l’impero non era diviso, ma governato collegialmente. Alla morte/abdicazione di uno dei 2 augusti, il suo cesare ne avrebbe preso il posto, mentre il più anziano degli augusti avrebbe scelto il nuovo cesare. Il primo maggio 305 Diocleziano e Massimiano abdicarono. Galerio e C. Cloro divennero i due augusti; Massimino Daia venne associato come cesare di Galerio in Oriente, e Valerio Severo associato a C. Cloro in Occidente🡪seconda tetrarchia Questo sistema basato sulle capacità personali si scontrò con il principio dell’ereditarietà dinastica. Cloro aveva stabilito che a succedergli fosse il figlio Costantino. C. Cloro muore nel 306🡪Costantino venne acclamato augusto dai soldati stanziati in Britannia ma fu riconosciuto legittimo da Galerio con il rango inferiore di cesare. Tre mesi più tardi, il 28 ottobre, Massenzio (figlio di Massimiano), si autoproclamò augusto d’occidente, al posto del legittimo augusto Severo e ristabilì nella posizione di augusto suo padre Massimiano. 1 Al fine di deporre Massenzio, Galerio convinse Valerio Severo a tornare in Italia e recuperare il suo esercito e se era necessario assediare Roma, ma molti soldati erano passati dalla parte del nemico, Severo persa la battaglia fu costretto a togliersi la vita (307). L'11 novembre 308 si tenne a Carnuntum, sull'alto Danubio, un incontro cui parteciparono Galerio, che lo organizzò, Massimiano e Diocleziano, richiamato da Galerio. In questa occasione venne riorganizzata una quarta tetrarchia: Massimiano fu obbligato ad abdicare, mentre Costantino fu nuovamente degradato a cesare, pur ottenendo il titolo di filius Augustorum insieme a Massimino Daia, mentre Licinio, un leale commilitone di Galerio, fu nominato augusto d'Occidente. LA GUERRA CIVILE: COSTANTINO CONTRO MASSENZIO. Alla morte di Galerio, avvenuta nel 311, Massimino Daia si impadronì dell'Oriente, lasciando a Licinio l'Illirico.[Ora l’Impero Romano era diviso in quattro parti (Massimino Daia e Licinio in Oriente, Costantino e Massenzio in Occidente). Massimino, Costantino e Licinio si coalizzarono per eliminare Massenzio. 312: Costantino, occupata l'intera Italia settentrionale e non trovando altra resistenza lungo la via Flaminia che portava a Roma, si scontrò con l'esercito di Massenzio poco a nord dell’Urbe, prima presso i Saxa Rubra, poi nella decisiva battaglia di Ponte Milvio, il 28 ottobre del 312. Qui Massenzio fu sconfitto ed ucciso. Con la morte di Massenzio, tutta Fu marciando su Roma che lo stesso Costantino, come avrebbe sostenuto più tardi si convertì al Cristianesimo. LE VISIONI DI COSTANTINO. Costantino nacque nel nord dei Balcani. non sappiamo in quale misura Costantino conoscesse il Cristianesimo, sappiamo che quando lui era imperatore, sua madre Elena sarebbe stata una cristiana molto pia. Anche del padre Costanzo Cloro si dice che sia stato fautore della causa Cristiana (secondo Eusebio). Infatti, durante la tetrarchia di Diocleziano, quando quest’ ultimo ordinò una feroce persecuzione dei Cristiani, l’intervento di Costanzo Cloro fu solo di facciata, fece solo cessare l’attività di alcune chiese senza martirizzare e arrestare nessuno. Ma probabilmente Costanzo Cloro era enoteista, cioè credeva in un dio superiore senza negare il carattere divino degli altri dei. Le principali fonti che parlano della visione di Costantino, al seguito della quale si convertì, sono tre. La prima è un discorso tenuto da un oratore nel 310. L’ occasione fu la vittoria di Costantino su Massimiano. Tale discorso ha un tono adulatorio, tale oratore, celebrando Costantino, disse che esso aveva avuto una visione del dio Apollo, che gli antichi associavano al Dio Sole. Si dice che Costantino dopo aver vinto la battaglia volle andare a visitare un tempio di Apollo e fuori dal tempio Costantino vide il dio offrirgli molte ghirlande di alloro, ciascuna delle quali rappresenta 30 anni di vita, questa per indicargli, che la sua vita sarebbe stata molto lunga, il dio gli annunciò che avrebbe regnato sul mondo intero, l’ oratore descrive inoltre Costantino con le sembianze di Apollo. Se abbia avuto questa visione è possibile che sia diventato enoteista, cominciando ad adorare il dio Sol Invictus, ma ciò non lo costringeva a essere più pagano, ma allo stesso tempo dovette concentrare la sua attenzione sul dio che considerava superiore. Resoconto più esteso di questa visione si trova nella vita di Costantino di Eusebio di Cesarea, che afferma di avere ottenuto tale racconto direttamente da Costantino. Secondo quanto riportato da Eusebio, Costantino avrebbe deciso di eliminare Massenzio per il bene dell'impero, e per fare ciò aveva bisogno del favore del divino. 2 La vita del Paolo cristiano, la sua conversione e la sua missione sono molto bene attestate nelle fonti a nostra disposizione. Queste sono giunte a noi perché presenti nel NT che è una raccolta di testi canonizzati come Sacre Scritture, in un epoca successiva a quella di Paolo. Alcuni di questi testi sono attribuiti a Paolo: in tutto si tratta di 13 lettere, alle quali vanno aggiunte un’altra dozzina che non fanno parte del NT. Le lettere che non sono entrate a far parte del canone sono falsificate, cioè scritte da credenti che hanno finto di essere Paolo per indurre i loro lettori a dare credito alle loro parole. Fin dal XIX secolo, però si è appurato che alcune delle lettere contenute nel nuovo testamento, non sono autentiche. 6 delle 13 si presentano come scritte da Paolo in realtà sono state prodotte da altri autori, ma tuttavia sono importanti per ricostruire la sua vita. Le sue lettere trattano di questioni riguardanti le comunità, l’esperienza personale di chi già si è convertito e alcuni interrogativi a che cosa credere e come comportarsi. Abbiamo anche un’altra fonte, un racconto della diffusione della chiesa nei suoi primi 30 anni, a partire dai giorni seguenti la resurrezione di Gesù, sono gli atti degli apostoli anch’essa facente parte del NT, scritti da un autore che ha fatto intendere di aver accompagnato Paolo nei suoi viaggi missionari , tale libro contiene ben tre racconti sulla conversione di Paolo e la sua attività missionaria, anche se si ritiene che questo testo abbia poco di storico. Si ritiene che sia stato composto tra i 20 e 60 anni dopo la morte di Paolo, da un autore che non ha conoscenza diretta dei fatti. Per tanto per ricostruire la vita autentica di Paolo si fa riferimento alle sue autentiche lettere autentiche. PAOLO, L’EBREO. Paolo, nella lettera inviata ai Galati, mostra di conoscere a fondo la fede giudaica, sottolineando che era stato in passato un giudeo zelante. Lo zelo che lo aveva portato a perseguitare quegli ebrei che riconoscevano in Gesù il Messia. Al tempo di Paolo gli ebrei costituivano il 7% della popolazione dell'impero tutti gli altri erano pagani, ma l’ebraismo, come lo è tutt’ora era molto variegato. Le sue lettere sono scritte in greco, possiamo presupporre che Paolo sia nato fuori dalla Palestina, in un contesto urbano, dove ebbe un adeguata istruzione. Secondo gli atti degli apostoli nacque a Tarso, in Cilicia. Gli ebrei avevano delle caratteristiche tra di loro comuni. Erano monoteisti e adoravano solo il Dio di Israele. Ma non per questo negavano l’esistenza di altre divinità, ma sostenevano che non si dovevano adorare, ma per alcuni ebrei le altre divinità, erano solo frutto dell'immaginazione dei pagani. Gli ebrei ritenevano che questo unico Dio abbia scelto il loro popolo e avesse stretto con loro un patto che fu stipulato dai patriarchi a attraverso loro tramandato da generazione in generazione: Dio aveva accettato di presentarsi come dio degli ebrei, per riceverne in cambio esclusiva adorazione e obbedienza. Agli ebrei comunque non interessava convertire i pagani. In virtù di questo patto si concepivano come il popolo eletto. Le specifiche clausole del patto sono enunciate nella legge di Mosè, contenute nelle loro sacre scritture: si racconta che Dio rivelò la sua legge al profeta Mosè dopo aver liberato il suo popolo dalla schiavitù. Accanto ai 10 comandamenti la legge di Mosè comprende una serie di disposizioni relative alla convivenza civile e al culto. Inoltre, prescrive che i neonati maschi siano circoncisi, e che sia osservato il culto del sabato e le norme alimentari kosher. Paolo dice di essere oltre che giudeo, dice di essere stato Fariseo. I Farisei erano particolarmente puntigliosi nell’ osservare i singoli precetti della Legge. I farisei avevano fatto propria una visione del mondo apocalittica. In base a questa prospettiva, dio non esercitava un controllo diretto sul mondo, ma per ragioni ignote, aveva dovuto cederne una parte alle forze a lui ostili. Dio però sarebbe intervenuto presto per annientarle e instaurare un regno nel quale i suoi figli avrebbero vissuto un'esistenza perfetta. Nel frattempo, il genere umano era come schiavo in 5 questo pozzo di oscurità dominate dalle forze del male e poteva sperare nel giorno in cui dio avrebbe ricompensato i suoi eletti. La buona notizia era che quel giorno sarebbe arrivato molto presto. Paolo e Gesù erano due ebrei diversi, ma avevano molti punti in comuni: il monoteismo, l’appartenenza al popolo dell’ alleanza, l’obbligo dell’osservanza della Legge, entrambi poi erano apocalittici, cioè entrambi erano convinti che Dio molto presto avrebbe messo la parola fine a questo mondo per inaugurare il suo regno. Ma Paolo quando apprese ciò che i seguaci di Gesù andavano predicando dopo la morte dello stesso, iniziò a perseguitarli violentemente. PAOLO, IL PERSECUTORE DELLA CHIESA Si ritiene che Gesù sia morto intorno all'anno 30 e possiamo affermare che Paolo si è convertito 3 o 4 anni dopo la morte di Gesù, diciamo nel 33. Paolo, secondo gli atti degli apostoli, si convertì nella strada per Damasco. Gli ebrei si riunivano ogni sabato nelle sinagoghe nella terra di Israele, in Siria, in Cilicia e in tutte le zone limitrofe. E qui che i seguaci dovettero annunciare che Gesù era risorto, ed era il Messia. Questo messaggio scatenarono persecuzioni all'interno stesso del Giudaismo, nelle quali le autorità civili, non erano coinvolte, in quanto non era un'attività illecita, ma era dovuta a questioni squisitamente religiose. Per i suoi seguaci (gli elementi più basilari che distinguevano i seguaci di Gesù dagli altri ebrei sussistevano già al tempo in cui Paolo si convertì. Si tratta della fede nel valore in qualche misura salvifico della morte di Gesù e nel fatto che dio abbia risuscitato Gesù dalla morte) Gesù era il Messia, ma per i Giudei un uomo che era stato crocifisso non poteva essere il Messia. I cristiani sono convinti che il profeta Isaia, molti secoli prima di Gesù parli di lui, quando dice: Gli ebrei invece pensano che questo passo il riferimento non è fatto al Messia: all'inizio del passo ci sta scritto servo sofferente del Signore e gli ebrei non pensavano che questo Messia avrebbe sofferto, per i peccati di altri e poi sarebbe risorto. Aspettative messianiche testimoniate dai rotoli del mar Morto. Il termine Messia significa unto e in origine era attribuito al re di Israele, che in occasione della sua intronizzazione, veniva unto, per far capire che era scelto da Dio. Il Messia che gli ebrei si attendevano era un personaggio glorioso e potente, che avrebbe sconfitto i nemici di Israele, e avrebbe regnato sul popolo di Dio nell’ambito di un regno indipendente. Per questo molti ebrei, non accettavano la figura di Gesù come il Messia, perché era un criminale sconosciuto condannato a morte, un predicatore apocalittico, che aveva percorso le zone rurali della Galilea. Gesù non aveva salvato il popolo di Dio dalla dominazione straniera; lo aveva salvato per dargli la vita eterna. Questo proclamavano i primi cristiani. Per un Fariseo zelante come Paolo tutto questo era una bestemmia, nei confronti delle scritture e dio stesso. Secondo gli Atti degli apostoli Paolo faceva irruzione nelle case in cui si radunavano e li trascinava in prigione. Ma questo sembra anche poco plausibile, perché pare difficile che i Romani abbiano messo a disposizione delle carceri per una setta dalle idee alquanto bizzarre. Successivamente poco dopo la sua conversione Paolo dirà di aver ricevuto 40 colpi meno uno, questa era la pena inflitta nell’ambito della sinagoga quando uno dei suoi membri erano accusati di blasfemia. Quindi possiamo dedurre che anche lui inflisse la stessa pena ai cristiani perseguitati, infatti lui dirà perseguitavo ferocemente la chiesa. LA CONVERSIONE DI PAOLO. Gli Atti degli apostoli presentano la celebre scena in cui Paolo, mentre si trovava sulla strada di Damasco, cadde a terra accecato da una luce abbagliante e senti la voce di Gesù dirgli “Saulo, Saulo perché mi perseguiti ?” tale racconto viene proposto altre 2 volte. Ma questi tre passi presentano delle incongruenze: in un passo i compagni di Paolo non sentono la voce di Gesù, ma vedono la luce, in un altro sentono la voce, ma non vedono la luce. In un passo cadono tutti atterra perché abbagliati dalla potenza della luce. Una descrizione di questo evento pare esserci in una sua lettera rivolta ai Galati. “ ma quando dio mi scelse, si compiacque di rivelare in me il figlio suo, perché lo annunciassi in mezzo alle genti, senza andare a Gerusalemme, andai in Arabia e poi ritornai a Damasco. “ Questo passo sottintende che la rivelazione non avvenne lungo la via per Damasco, ma nella città stessa. Paolo inoltre dice di non essersi consultato con nessuno, negli atti invece è la prima cosa 6 che fa, andò a parlare con un discepolo di nome Anania, secondo le istruzioni di Gesù. Probabilmente Paolo ebbe sia un apparizione che una rivelazione. LE CONSEGUENZE DELLA VISIONE Poiché nelle sacre scritture (deuteronomio) è scritto: “ maledetto chi muore appeso al legno”, Paolo ne trae che Gesù non poteva essere maledetto per colpa sua, ma per colpa degli altri. Gesù doveva essere stato una vittima sacrificale doveva aver sofferto per i peccati altrui. Per Paolo la morte di Gesù era servita a placare la collera di Dio nei confronti del genere umano e a espiare i peccati di quest’ ultimo. Gesù si era offerto per loro come vittima sacrificale e Dio lo aveva onorato resuscitando dalla morte. La salvezza scaturita dalla morte e resurrezione di Gesù faceva parte del piano di dio per la salvezza del popolo eletto. Ciò significa che anche seguendo la legge Mosaica non era possibile ottenere la salvezza, non vi era altro modo. Chi voleva entrare a far parte del popolo di Dio e beneficiare della salvezza, non deve necessariamente diventare ebreo, ma credere nel sacrificio di espiazione in cui Cristo è vittima. Questo messaggio è rivolto a ebrei e gentili. Quei gentili che volevano entrare a far parte del popolo dell’ alleanza, dovevano solo avere fede nella morte e resurrezione di Cristo, il Messia. Prima di allora i seguaci di Gesù erano ebrei e peri non ebrei, per potere beneficiare della salvezza dovevano convertirsi al giudaismo. Mentre per Paolo bisognava solo credere in Gesù senza bisogno di convertirsi al Giudaismo. Quando Paolo se ne rese conto fu come se fu accecato una seconda volta. Molti passi dei libri profetici preannunciano che alla fine dei tempi le nazioni straniere saranno accolte nel popolo di dio e i gentili riceveranno la buona novella, il messaggio annunciato al popolo di Israele. “Alla fine dei giorni […]verranno molti popoli e diranno: “venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri.”” (Is 2,2-3) Paolo in Gal 1 scrive: “[Dio] mi chiamò con la sua grazia” e “perché lo annunciassi in mezzo alle genti”. A detta di molti non dobbiamo parlare di una vera e propria conversione, ma di una chiamata di Paolo, in quanto non è corretto pensare che Paolo abbia abbandonato il giudaismo per abbracciare una nuova fede. Paolo non pensò sè stesso come convertito in quanto il Cristianesimo, il Cristo era la piena realizzazione del giudaismo. Metanoia=voltarsi= Radicale mutamento nel modo di pensare LA STRATEGIA MISSIONARIA DI PAOLO. La tradizione secondo cui Paolo avrebbe fatto 3 viaggi missionari si basa sugli atti degli apostoli. Nella lettera ai Romani, l'ultima in ordine cronologico e l’unica indirizzata alla chiesa, che come dice non era stato lui a fondare, Paolo riassume l’attività fatta fino a quel momento, i viaggi che erano andati dalla Giudea fino alla penisola balcanica. Da Gerusalemme fino all’Illiria, dove ha portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo. Nelle lettere Paolo non parla di un attività missionaria a Gerusalemme, ma è invece esplicito nel dire di essersi rivolto ai gentili, lasciando che fossero Pietro e gli altri apostoli a occuparsi dell’ annuncio agli ebrei. La missione di Paolo si svilupperà solo in contesti urbani. A differenza di Gesù che andava in centri remoti e rurali della Galilea, Paolo opera in città densamente popolate. Paolo si spostò molto secondo gli atti degli apostolo percorse 16000 chilometri: questo è molto plausibile vista la rete efficiente dell’ Impero Romano. Paolo arrivava in una città, da solo o accompagnato da altri credenti, convertiva delle persone fondava una comunità, in cui si insegnava a i suoi componenti i fondamenti della fede. Quando riteneva che la chiesa potesse reggersi da solo si spostava in una città. Così Paolo fonda una chiesa dopo l’altra concepisce se stesso come colui che pianta una chiesa. Alle vecchie comunità mandava delle lettere in caso di problemi. Ma il suo compito era di annunciare la buona novella dove non era ancora arrivata. IL MODUS OPERANDI DI PAOLO. Nelle lettere e negli atti degli apostoli, non si parla di discorsi tenuti in pubblico, negli atti degli apostoli, Paolo quelle volte che parla in pubblico lo fa in modo occasionale e fortuito, ad esempio quando si verifica un miracolo. Appare più plausibile che Paolo annunciasse la buona novella nelle assemblee sinagogali, che certamente frequentava ogni sabato nelle città in cui si trovava. Dopo aver convertito un certo numero di persone, poteva usare la sinagoga come base operativa per poter rivolgere l’Annuncio ai pagani. Come ben sappiamo Paolo fu punito ben cinque volte nell'ambito 7 con un nome collettivo dal significato analogo a quello del termine pagano. Infine dovremmo essere cauti nel differenziare in modo netto le varie pratiche culturali presenti nel mondo romano: è vero che erano tra loro diverse in molti aspetti, ma non si trattava comunque di religioni diverse come oggi lo sono, ad esempio, il cristianesimo, l’islam, il buddismo o l’induismo. Da un lato, non avevano un insieme di credenze e pratiche analogo a quello che oggi di solito si associa ad una religione; dall’altro, anche se non avevano forme standardizzate, i culti antichi avevano molti elementi comuni tra di loro, elementi basati su convinzioni condivise e pratiche definite. RELIGIONE E MITO I miti pagani appaiono comparabili ai racconti che si trovano nella bibbia. E’ vero che i miti erano molto importanti perché aiutavano gli individui a pensare alle divinità, ma a contare davvero non erano tanto le credenze quanto la prassi, e il ruolo che i racconti mitologici rivestivano in quest’ultima era piuttosto limitato. I racconti presenti nelle grandi opere letterarie che hanno come protagoniste le divinità erano considerati per quello che erano: racconti. I miti non narravano fatti realmente accaduti; i miti, a differenza della bibbia ebraica e dei vangeli, non costituiscono il fondamento teologico di una religione. LA RELIGIONE NEL MONDO ROMANO Tutte le religioni diffuse nell’impero erano politeiste. Molti riconoscevano un gruppo di grandi divinità, a noi note grazie ai racconti mitologici: Giove, Giunone, Marte, Venere, Minerva, Plutone e gli altri. Il mondo divino ne comprendeva però molte altre. Ogni famiglia e ogni città aveva i suoi dèi, ai quali si attribuivano le funzioni più disparate. Zeus era conosciuto in città lontane tra loro ed era adorato in modi diversi e chiamato con appellativi diversi. Secondo Vitruvio, il celebre architetto, ogni città romana doveva avere templi dedicati alla triade capitolina (Giove, giunone, minerva) e a Mercurio, Iside e Serapide, Apollo, Libero, Ercole, Marte, Venere, Vulcano e Cerere. Nella sola Nicomedia (Turchia) i ritrovamenti numismatici attestano che si adoravano 40 diverse divinità. Nel mondo romano il politeismo era di solito inclusivo: era sempre possibile includervi nuove divinità. Gli antichi romani spesso accoglievano nel loro pantheon le divinità dei popoli che avevano sottomesso. Questo consentiva ai popoli vinti di continuare la propria vita senza grandi traumi dal punto di vista culturale. Data la natura aperta del politeismo, di fatto non esisteva ciò che noi definiamo conversione. Chiunque decidesse di iniziare ad adorare un nuovo dio, poteva farlo serenamente: non ci si aspettava che abbandonasse le pratiche religiose che aveva seguito fino a quel momento; né che con un atto di fede si votasse esclusivamente a quel dio. Al di fuori del mondo giudaico, l’esclusivismo (ossia la convinzione che si dovesse adorare quel dio soltanto) era sconosciuto. Nel mondo romano i pagani enoteisti erano sempre di più. Non ci si aspettava certo che quanti riconoscevano l’esistenza di un dio superiore e decidevano di adorare unicamente quello, negassero l’esistenza degli altri dei o la possibilità per gli altri individui di adorarli. Capitava che il dio più importante fosse adorato come l’unico. Talvolta veniva chiamato in greco Theos Hypsistos ) il più grande dio). Esistono attestazioni del fatto che questo dio, chiamato anche Zeus Hypsistos, era adorato da alcuni fedeli che riconoscevano ancora che fosse legittimo adorare le altre divinità. Niente dottrina e morale, ma atti di culto. Nel mondo occidentale la religione riguarda sostanzialmente ciò in cui la gente crede e come si comporta. L’individuo fa ciò che Dio vuole riconoscendo il valore di determinate idee considerate veritiere e vivendo secondo la sua volontà. La religione riguarda la dottrina e la morale. Le religioni diffuse nell’impero non erano così; consistevano piuttosto in atti di culto. Si definiscono atti di culto le pratiche rituali compiute in ossequio agli dei o per adorarli. Questo non significa che i pagani non avessero credenze. Queste idee però non venivano mai raccolte né organizzate come insiemi di formulazioni e definizioni che la comunità religiosa o i singoli individui dovevano riconoscere, come poi sarebbe accaduto nel cristianesimo. Nelle religioni pagane c’erano in sostanza 3 tipi di pratiche: l’offerta dei sacrifici, a preghiera, la divinazione. Nei sacrifici si offrivano animali, cibi più economici o altri doni. Nella preghiera si invocava un dio, ad esempio per ringraziarlo per fargli una richiesta. La divinazione consisteva nello accertarsi della volontà di un dio attraverso l’osservazione di fenomeni naturali, come il volo degli uccelli o l’esame delle interiora degli animali sacrificati, magari per vedere se il sacrificio era stato gradito. Tutte queste pratiche si fondavano su alcune idee e credenze fondamentali: ad esempio si credeva che gli dei apprezzassero i sacrifici e che i sacrifici potessero influire sulla loro volontà, che fossero in grado di esaudire le preghiere e che facessero conoscere il loro volere agli esseri umani attraverso il volo degli uccelli o le viscere di un toro. Non esistevano dottrine e , di conseguenza, non esisteva ciò che noi chiamiamo ortodossia ed eresia. C’era, al loro posto, un complesso di pratiche rituali, ciascuna delle quali aveva alle spalle una veneranda tradizione. Inoltre, nei culti pagani l’etica era marginale, ed era slegata dalla religione. Se aveva un posto nella loro vita, si trovava nell’ambito della filosofia. Non l’aldilà, ma la vita terrena. Per lo più, nelle religioni antiche non ci si preoccupava per l’aldilà. Secondo i poemi omerici, le anime dei morti vivono un’esistenza oscura e vaga. Virgilio dice che un’esistenza felice è riservata soltanto a quanti andranno nei campi elisi. I filosofi avevano opinioni diverse riguardo al destino delle anime dopo la morte, I 10 pitagorici credevano nella trasmigrazione delle anime; i seguaci di Platone parlavano di una ricompensa per i buoni e una punizione per i cattivi. La linea degli epicurei era estrema: il corpo e l’anima si dissolvono. Sono state trovate numerose tombe di pagani che avevano canali di alimentazione attraverso i quali potevano passare cibi: significa che per loro nella tomba continuava la vita. Il culto serviva alla vita terrena. Era un mondo in cui la vita stessa era un pericolo costante. Molti aspetti della vita erano al di fuori dal controllo dei mortali per via delle forze naturali o dell’esistenza in genere. Gli dei, però, erano in grado di controllare tutte queste cose. Ecco perché li si adorava: erano molto potenti e avevano la facoltà di concedere agli esseri umani ciò che questi da soli non riuscivano ad ottenere. Le religioni antiche erano soprattutto incentrate sulla necessità di allontanare degli individui l’ira degli dei. Questa, però, scaturiva quasi sempre dalla negligenza degli umani. Ecco la logica in base alla quale i cristiani erano perseguitati. Tertulliano: Tuttavia le religioni antiche non rappresentavano soltanto una sorta di rimedio preventivo, ma erano praticate anche per ottenere determinati scopi. Catone il censore (de agri cultura) consiglia di rivolgersi a un dio dopo aver offerto un sacrificio appropriato in un campo: Praticamente, ogni divinità del pantheon romano, al di là della sua funzione, del suo ruolo o del suo interesse specifico, poteva essere invocata per una guarigione. Non globale, ma locale. Non esistevano organizzazioni religiose internazionali di nessun tipo. Anche quei culti che si svolgevano in modo simile in tutto l’impero lo facevano per ragioni legate al caso, non tanto in virtù di un progetto. Ad esempio, sembra che il culto di Mitra avesse caratteristiche simili, sia che fosse praticato a Roma o in Gallia o in Siria. Le ragioni sono però da ricercare nelle modalità stesse della sua diffusione all’interno delle legioni; i soldati che vi avevano aderito l’avevano propagato in aree diverse dall’impero. Il culto di mitra, inoltre, nell’ambito del panorama religioso, non aveva alle spalle una lunga tradizione, ma era quello che si dice un nuovo arrivato. Con l’incremento dei viaggi da un luogo all’altro dell’impero, poteva accadere che un culto praticato in una regione ne influenzasse un altro professato in una regione diversa, ad esempio sostituendovi il nome di un dio con un altro nome, o una prassi rituale con un’altra. Questo però non avveniva in maniera uniforme e regolare. Non libri, ma usanze. Nell’ambito di alcuni culti esistevano dei testi sacri. I libri sibillini contenevano presunti oracoli di una profetessa, ed erano consultati in modo da poter stabilire in che modo i governanti di Roma dovessero agire in tempi di crisi. I numerosissimi culti locali praticavano invece rituali che erano stati tramandati per secoli. La loro osservanza era codificata, nel senso che a un certo punto aveva dato forma a un corpus di tradizioni, ma più spesso veniva chiamata in causa per giustificare o condannare determinate pratiche religiose. In particolare, a Roma, si ricorreva al mos maiorum, il costume degli antichi, il complesso delle usanze tradizionali che regolavano gli atteggiamenti e i comportamenti degli individui. I limiti della tolleranza. Quasi tutti i culti erano considerati accettabili, quindi le autorità dell’impero avevano ben poco da fare per controllarli. Le poche eccezioni sono però degne della nostra attenzione, soprattutto se pensiamo a come si comportarono le autorità dell’impero con i cristiani prima dell’età di Costantino: esse mostrano che l’impero era molto tollerante, ma non lo era all’infinito. Se una pratica religiosa veniva reputata socialmente pericolosa le autorità 11 intervenivano. Il caso più famoso si verificò a Roma nel 186 a.C., quando il senato perse provvedimenti per reprimere il culto di bacco. La soppressione dei baccanali viene raccontata, due secoli più tardi, da Tito Livio, in un passo nel quale secondo alcuni studiosi le tendenze libertine del gruppo in questione risulterebbero ingigantite. Tito Livio spiega che il culto di Bacco era giunto a Roma dall’Etruria e si era diffuso “come un’epidemia”. Si trattava, secondo lui, di una faccenda licenziosa, che contemplava pratiche a sfondo sessuale e omicidi rituali. Livio sottolinea che gli adepti si incontravano di notte. Gli incontri iniziavano con banchetti e “cominciavano a commettersi depravazioni di ogni genere, poiché ognuno vi trovava pronto soddisfacimento per quello a cui erano più portate dagli istinti le sue vogli”. Il gioco non finiva qui. Questi raduni notturni degeneravano secondo Livio in “violenze indiscriminate”; “per le grida e il fragore dei timpani e dei cembali non si poteva udire la voce di quelli che gridavano aiuto fra gli stupri e le uccisioni”. Messo alle stretto sotto la minaccia di un castigo il testimone rivelò che i nuovi adepti avevano tutti meno di una ventina d’anni. Il senato stimò inoltre che il fenomeno si stava allargando in maniera allarmante. Emanò dunque una legge per porre una fine a queste celebrazioni e perseguire quanti vi erano coinvolti. Alla fine quanti “si erano macchiati di dissolutezza o assassinio […] furono condannati a morte”. Il senato ordinò inoltre la distruzione di tutti i luoghi di culto bacchici, non soltanto a Roma, ma in tutta l'Italia, a eccezione di quelli in cui c’era un'alta o una statua che erano stati consacrati. Livio spiega che chiunque considerasse un rituale bacchico “consentito dalla tradizione” e imprescindibile, per continuare a praticarlo doveva presentare una richiesta ufficiale, ma esso non doveva comunque prevedere “raccolte di denaro, un celebrante che presiedesse il rito dei sacerdoti”. Questo provvedimento di fatto pose fine al culto bacchico, almeno per quanto riguarda le celebrazioni improntate agli eccessi e che prevedevano violenze. Degenerazioni connesse ad attività illecite non erano consentite e potevano essere punite severamente. Magia, ateismo, superstizione. Le autorità romane di solito non contrastavano soltanto i culti aberranti sul piano morale e pericolosi su quello sociale, ma anche quelle che consideravano pseudo-religiose, cioè le manipolazioni fallaci delle forze divine attuate per interesse personale che venivano rubricate come “pratiche magiche”. Nell’antichità la magia era concepita come una realtà, attraverso la quale si poteva interagire in modo illecito con le forze demoniache. Occorre ricordare che nel mondo pagano i demoni non erano necessariamente considerati creature ostili che si impossessavano dei corpi degli esseri umani facendo sì che commettessero atti violenti, come in seguito avrebbero creduto i cristiani: si trattava soltanto di divinità minori. Un tempo si pensava che la differenza tra magia e religione fosse questa: nella prima si inducevano le potenze divine e agire, mentre nella seconda ci si limitava a chiederglielo umilmente; si riteneva anche che la magia manipolasse le potenze dell’occulto, mentre la religione controllava quelle della luce--cfr. Frazer, ramo d’oro. Nella seconda metà del XX secolo però gli studiosi hanno ammesso la difficoltà di tracciare una chiara linea di demarcazione tra pratiche che qualcuno può considerare magiche e che per qualcun altro sono in realtà religiose. Nella magia ci si serve infatti di alcune tecniche usate anche nella religione, e spesso ci si pongono gli stessi obiettivi. Gli studiosi pertanto hanno ridefinito i contorni della magia nell’antichità, cominciando a concepirla come il lato oscuro della religione. In quest’ottica la magia comprerebbe tutte quelle pratiche che l’opinione corrente collocava ai margini della religione, cioè le pratiche non autorizzate, a differenza di quella che invece erano approvate dalla società. Vi erano due fenomeni disapprovati tanto dalle autorità quanto a livello popolare: l’ateismo e la superstizione. Questi si possono considerare come gli estremi di un unico spettro. Il termine ateismo si adattava generalmente a chiunque respingesse o trascurasse le modalità tradizionali attraverso le quali si onoravano gli dei. Si considerava superstizioso chi aveva un timore eccessivo degli dei e del loro operato, e pertanto faceva di tutto per placare la loro ira. In una feroce critica della superstizione, Plutarco ne parla come di “una credenza generatrice di paura, che immiserisce e distrugge l’uomo, il quale crede sì nell’esistenza degli dei, ma di dei ostili”. Plutarco rileva che la paura degli dei non da all’individuo alcuna via di fuga: pervade anche il sonno e la morte. In un certo senso la morte viene temuta di più, a causa di ciò che si pensa ci sarà dopo. Per Plutarco ciò è peggio dell’ateismo, ed è tanto più detestabile da parte degli dei, In termini convincenti compara le due cose: La religione nell’antichità e oggi. Nell’antichità la sfera religiosa non era distinta da quella sociale e politica. L’impero non solo promuoveva la diffusione dei culti, ma li considerava suoi. A Roma i membri dei più importanti collegi 12 Circa due secoli prima, l’apologeta Atenagora nella Supplica per i cristiani sostiene che i cristiani non sono gli unici a credere che esista un solo dio perché “tutti, venendo a trattare dei principi dell’universo, si accordano generalmente nell’ammettere, anche se non lo vogliono, che la divinità è unica”. Tertulliano pone questa domanda retorica: “non dovreste ammettere secondo la norma comune che vi sia un Dio più alto e più potente, quasi un principe dell’universo, un essere perfetto nella sua infinita maestà?”. (Apologetico) UNA RELIGIONE MISSIONARIA. Nel paganesimo ci sono pochissime tracce di una qualsivoglia missione organizzata e volontaria. Neanche il giudaismo era animato da una spinta missionaria. In quanto ebrei apocalittici, Paolo ed i suoi convertiti erano convinti che presto dio avrebbe compiuto il suo giudizio sul mondo. Il cristianesimo si presentava comunque anche come una religione d’amore: se dio comanda di amare gli altri, e di agire in modo da recare loro un vantaggio, se gli altri saranno destinati a perire nel giudizio divino, non c’è altra via che convincerli ad abbracciare il cristianesimo. E’ questo l’unico modo in cui un cristiano può mostrare amore per il prossimo. A partire da paolo, i cristiani diventarono missionari. Al di fuori dell’opera di paolo, non abbiamo notizie di altre attività missionarie su larga scala. Gregorio il Taumaturgo circoscrisse la sua attività al Ponto; Martino di Tours nella sua città; Porfirio a Gaza. Si conoscono poi i nomi di altri 3 personaggi: Panteno ad Alessandria, Ulfila tra i Goti, Frumenzio in Etiopia, ma e fonti non specificano le loro attività. I cristiani quindi convertivano usando la loro rete di conoscenze. Il cristianesimo si diffonde perché è l’unica religione di questo tipo: le altre non sono né missionarie ne esclusive. L’ ESCLUSIVISMO CRISTIANO. Si è parlato delle religioni pagane come un mercato dove ognuno poteva scegliere tra opzioni diverse. Si sceglieva a quale culto partecipare e se osservarlo in modo rigoroso o no. Il cristianesimo era diverso e la scelta a suo favore era esclusiva, poiché era una scelta che escludeva tutte le altre. Arthur Darby Nock (Conversion: The Old and the New in Religion from Alexander the Great to Augustine of Hippo, 1933) sostiene che la principale differenza tra cristianesimo e le religioni pagane fosse quella tra conversione e adesione. Nel paganesimo, ciascuno aveva sempre la possibilità di adottare nuove pratiche religiose, appunto solo aderire ad esse. Nock invece chiama conversione, quell’ adesione totalizzante che implicava l’abbandonarne una vecchia. Il concetto di conversione era presente anche nell’ambito filosofico, dove alcune tradizioni filosofiche erano viste come esclusive🡪 uno Stoico non poteva essere un anche un Epicureo. ASINO D’ORO, TERMINE DI PARAGONE DELL’ ESCLUSIVISMO CRISTIANO. Rari casi in cui i seguaci di una divinità esprimevano una devozione virtualmente esclusiva. Apuleio è un autore nordafricano del II secolo d.C. Questo racconto può aiutare a capire la differenza tra il concetto pagano di adesione e quello cristiano di conversione. Il racconto parla di un uomo trasformato in asino. Durante un viaggio verso una nuova città, il protagonista Lucio, viene ospitato da un uomo, la cui moglie è una strega e cade vittima di un sortilegio. Dopo aver sedotto una serva di nome Fotide, Lucio la convince a farlo assistere agli incantesimi della padrona di casa. Attraverso un fessura della porta, Lucio vede la donna cospargersi di un preparato e trasformarsi in gufo. Lucio convince Fotide a sottrarre questo preparato e a portaglielo. Fotide prende l’ampolla che però non è quella giusta. Dopo essersi cosparso con questa sostanza Lucio diventa un asino, ma mantiene le sue capacità mentali,. Fotide sa che l’antidoto è mangiare delle rose. Però a casa arrivano dei ladri che rubano l’ asino. Nella restante parte della storia si narrano le disavventure di Lucio, 15 che passa da padrone in padrone. Verso la fine del racconto Lucio fa una profonda esperienza spirituale che gli permette di ritornare uomo e che gli cambia l'intera esistenza. Diventa devoto della dea Egizia Iside. Nel libro XI Lucio scappa lontano e si risveglia in una spiaggia e vede sorgere la luna sopra il mare e sa che la luna indica la sovrana maestà della dea, così immerge 7 volte la testa in acqua e invoca la dea, dicendo che chiunque sia è lecito adorarla. Assiste a un epifania divina e gli appare la dea, che si proclama la divinità suprema e dice che il suo vero nome è Iside regina. Iside promette di salvare Lucio dalla sua esistenza animale, inoltre gli concederà di poterla adorare anche dopo la morte. Però lui in cambio Lucio dovrà consacrare a lei tutto il tempo che gli resta da vivere. Iside mantiene la promessa e da le istruzioni a Lucio, in modo che il giorno seguente durante una festa in onore della dea trovi un sacerdote che porta un mazzo di rose. Lucio le mangerà e potrà assumere le fattezze umane. La parte conclusiva del libro racconta la totale devozione di Lucio a Iside. Dopo un lungo periodo non facile di preparazione, Lucio viene iniziato ai suoi misteri, il rituale non viene raccontato. Tuttavia, apprende che non ha raggiunto il più alto livello di devozione, che consiste nell'ingresso nei rituali del marito di Iside, Osiride padre di tutti gli dei, Lucio è turbato perché deve fare un'altra iniziazione che ha un certo costo, tuttavia va avanti. Qualche tempo più avanti apprende che è necessaria una terza iniziazione. Pochi giorni dopo vide Osiride in persona che gli rivolse la parola in sogno, il libro finisce così. Nock ha notato che tra la devozione del protagonista per il culto di Iside e ciò che in effetti sperimentarono i pagani che abbracciarono il cristianesimo, vi sono molti elementi accostabili. Lucio riconosce Iside come la più grande divinità, Iside in cambio trasforma la vita di Lucio. Diventa pienamente umano e gli viene promessa una vita nell’ aldilà. In cambio Iside esige una dedizione totale. Qualcosa di simile accade ai convertiti che entrarono a far parte della comunità dei cristiani, riconoscendo il loro Dio come sovrano dell’ universo. C’è una differenza Iside viene detta come la superiore a tutte le altre, anzi a un certo punto compare che la superiore e Osiride, quindi Lucio essendo fedele a Iside non smette di essere pagano, che crede nell'esistenza di altre di altre divinità. I VANTAGGI DELL’ ESCLUSIVISMO. Il cristianesimo cresceva e distruggeva le altre religioni, man mano che la chiesa cresceva, il paganesimo si rimpiccioliva. UNA RELIGIONE “OMNICOMPRENSIVA” Un'altra caratteristica che rendeva il cristianesimo diverso dalle altre religioni pagane è che abbracciava numerosi aspetti della vita che di solito invece erano separati. Nel cristianesimo le pratiche cultuali erano certamente importanti , ma erano solo alcuni aspetti di un insieme più grande. Abbracciare il cristianesimo significava anche abbracciare un certo codice etico. Il cristianesimo era un discorso totalizzante, investiva l'intera vita di una persona. I cristiani concepivano il cristianesimo come un sistema coerente e iniziarono a pensare che ogni cosa che non rientrasse nella sua coerenza fosse in competizione con lei. Molto presto iniziarono a dividere la popolazione in 3 tipi di persone: cristiani, pagani, ebrei. Ciò che non era cristiano ed ebraico era pagano, anche se questo includeva una pluralità di forme diverse di culto. I pagani potevano essere considerati amorali, che credevano in cose sciocche, e eseguivano rituali demoniaci, alla luce di questi aspetti il paganesimo era vittima di attacchi che, che con il tempo si sarebbero rivelati efficaci. IN SINTESI Il cristianesimo nei primi quattro secoli è stato un fenomeno vario e comprendeva individui che facevano riferimento a una varietà di credenze e pratiche diverse. Conosciamo la forma di cristianesimo che alla fine prevalse dalle fonti scritte: documenti che contengono le rappresentazioni ideali dei successivi leader cristiani. Tali opinioni erano insegnate dai leader e, anche se erano rappresentazioni ideali, erano condivise da altri cristiani. Le caratteristiche distintive di questo cristianesimo idealizzato (missionario, esclusivo, totalizzante) nei primi 4 secoli erano condivise da un certo numero di gruppi cristiani, non soltanto da quello che sarebbe risultato vincente. I seguaci di marcione ad esempio, i gruppi giudeo cristiani come quello degli ebioniti, erano tutti esclusivisti. Alcune forme di gnosticismo cristiano come quello valentiniano sembra che abbiano fatto molti proseliti non direttamente tra i pagani. Ma tra i cristiani. I cristiani concordavano con i pagani sul fatto che dio poteva offrire numerosi benefici a coloro che riconoscevano la sua divinità. CAP. 5 LA FUNZIONE DEI MIRACOLI NELLE CONVERSIONI. Il primo documento di una certa estensione che parla del movimento cristiano dall’esterno risale alla fine degli anni 70 del II secolo, testo che ci è giunto attraverso la citazione di Origene. Il discorso sulla verità🡪Celso, un filosofo pagano, 16 critica il cristianesimo definendolo una religione folle e pericolosa, che pone problemi inquietanti perché allontana la gente dalle religioni tradizionali. Celso ha letto i vangeli e sostiene con ovvia esagerazione che il cristianesimo è una religione per stupidi, incapaci di riconoscere i dati veritieri, e che i cristiani si rivolgono soprattutto agli ignoranti e agli ingenui. Nelle parole di Celso c’è un certo snobismo, ma anche un fondo di verità, è quasi impossibile che nell’ epoca di Paolo e nella metà del secondo secolo si siano convertiti un numero consistente intellettuali di alto livello. In una lettera di Paolo indirizzata a Corinto, Paolo ricorda ai destinatari “non ci sono molti sapienti tra di voi, dal punto di vista umano, né molti nobili. Quello che è debole per il mondo, dio lo ha scelto per confondere i forti”. Secondo Origene è proprio il fatto che il cristianesimo abbia un tale successo nonostante sia privo di una spinta intellettuale e il fatto che lo abbia tra le persone meno istruite a dimostrare che dio sta dalla sua parte. Anche Lattanzio (istituzioni divine) nel IV secolo dice che i cristiani sono in maggioranza poco istruiti e stupidi. Nel 303 Diocleziano scatenò una persecuzione: possediamo un resoconto degli oggetti confiscati in quell’occasione dalla chiesa di Cirta (nord africa)= 16 tuniche da uomo e 38 veli, 82 tuniche da donna e 47 paia di sandali da donna🡪presenza femminile Conversioni di singoli intellettuali alla fede cristiana si iniziano a registrare già intorno alla metà del II secolo (Giustino a Roma, Tertulliano nel nord africa, Origene ad Alessandria), ma sono eccezioni. I BENEFICI ALL’ APPARTENENZA ALLA COMUNITÀ CRISTIANA. A differenza dei culti pagani il cristianesimo, sulla scia delle comunità delle comunità sinagogali, dalle quali avevano avuto origine, quelle cristiane si riunivano regolarmente ogni settimana. Convertirsi al cristianesimo non era solo un fatto individuale di spirito, ma significava entrare a far parte della chiesa. La chiesa non era solo un luogo fisico, ma anche una comunità coesa. Testimonianza dell’ imperatore Giuliano (passato alla storia come l’ Apostata per aver abbandonato la religione cristiana per adottare e promuovere i culti tradizionali). Giuliano fu l’ unico imperatore pagano dopo Costantino, regnò per 19 mesi tra il 361 ed il 363. In una lettera Giuliano depreca il successo dei della chiesa e lo attribuisce al ai benefici che i suoi membri erano pronti ad accordare ad altri e auspica che le religioni pagane possano fare altrettanto. Giuliano definisce i cristiani atei perché non credono negli dei. E’ possibile che giuliano abbia creduto che ad attirare nuovi fedeli fosse la generosità delle comunità cristiane, ma è sorprendente che i vantaggi connessi con l’appartenenza alla chiesa non siano mai indicati dai cristiani quali motivi che inducevano i pagani a convertirsi. Adolf von Harnack afferma che “non siamo a conoscenza di alcun caso nel quale i cristiani intendevano acquistare, o in effetti acquistarono, nuovi fedeli grazie alle opere di carità che essi dispensavano”. Tra i benefici che possono spingere un membro a rimanere nella comunità e quelli che possono attirarvi un individuo dall’esterno c’è però differenza. Ci sono davvero poche testimonianze che riconoscono nei benefici derivanti dall’appartenenza alla chiesa la principale causa delle conversioni. UN EFFICIENTE ASSISTENZA AI MALATI. Di recente è stato sostenuto che l’ efficiente assistenza sanitaria che la chiesa era in grado di offrire sia stata decisiva per la sua crescita. Il sociologo Rodney Stark (the rise of christianity) sottolinea che nel periodo in cui il cristianesimo si diffondeva e cresceva, l’ Impero Romano era dilaniato da numerose epidemie. L'epidemia sotto l'imperatore Marco Aurelio uccise tra un quarto e un terzo dell'intera popolazione, e morì lo stesso imperatore. Stark osserva che le fonti cristiane celebrano la premura nei confronti dei malati durante le epidemie, una sostanziale differenza con i pagani, che di norma abbandonavano i malati al loro destino. Stark postula acriticamente e in maniere non realistica che le fonti cristiane, quando celebrano i cristiani e criticano i pagani per le rispettive pratiche di assistenza ai malati, forniscano informazioni attendibili. Per lui, un autore cristiano che loda i suoi fratelli nella fede per l’altruismo e depreca i pagani, sta affermando una realtà storica. Se dessimo credito alle fonti laddove affermano che i cristiani si occupavano dei malati più dei pagani, dovremmo concludere che i cristiani erano colpiti dall'epidemia in misura maggiore. Dionigi di 17 Per Agostino d’Ippona (città di Dio) il senso dei grandi miracoli di cui parlano le scritture è chiaro: “essi furono palesi per suscitare la fede; essi molto più evidentemente sono palesi mediante la fede che hanno suscitato”. Alcuni però si chiedono come mai non si verifichino più tali miracoli. Agostino ribatte: “potrei rispondere che sono stati necessari prima che il mondo credesse, affinché il mondo credesse. Chi per credere va ancora in cerca di prodigi, è egli stesso un prodigio perché non crede, mentre il mondo crede”. Agostino racconta uno dopo l’altro i miracoli compiuti nei suoi giorni: ha visto persone guarire dalla cecità, dalla gotta, dalla paralisi, dall’ernia e dalle emorroidi. Se dobbiamo dare credito alle nostre fonti, altri due fenomeni correlati contribuirono alla diffusione del cristianesimo: il primo si riferisce al contenuto del messaggio cristiano, il secondo al rifiuto dei martiri di rinnegare la fede. IL TERRORE DELL ALDILÀ’ I cristiani associavano i miracoli alla convinzione secondo la quale le manifestazioni della potenza di dio nel presente erano un riflesso di ciò che egli avrebbe compiuto nel futuro. La vita spesso era piena di dolore e sofferente. Dopo la morte i cristiani potevano entrare in un mondo di gioia pura. Gli esseri umani, però, potevano anche opporsi al volere di dio e così facendo si assoggettavano per l’eternità alle forze del male, che avrebbero procurato tormenti. Nel III secolo Cipriano scrive a un suo corrispondente (Demetriano): Nel II secolo iniziano a comparire nei testi cristiani descrizioni dell’aldilà. Nell’apocalisse di Pietro Gesù apre a Pietro uno squarcio sul destino di quanti hanno abbandonato la via della giustizia e non hanno ricevuto il battesimo nella fede cristiana. Nel luogo dove abitano i dannati, Pietro vede i bugiardi impenitenti penzolare su fiamme appesi per la lingua, mentre chi ha commesso adulterio è appeso per i genitali. Le donne che hanno abortito sono immerse negli escrementi fino al collo. A chi ha calunniato il cristo vengono bruciati gli occhi. Chi ha adorato gli idoli è perseguito da demoni. Gli schiavi che hanno disobbedito sono costretti a masticare al propria lingua. Come Pietro può vedere l’alternativa è godere della beatitudine eterna nei cieli. Più delle glorie celesti, a convincere i potenziali convertiti, erano i tormenti dell’inferno. Tertulliano (sugli spettacoli): Nel II secolo Celso afferma che il proselitismo dei cristiani aveva successo perché questi “tirano al loro mulino cose di ogni genere, emergono insieme storie terrificanti”. Agostino (la catechesi dei principianti) dice: “in verità accade raramente, anzi mai, che chi viene con l’intenzione di diventare cristiano non sia tormentato da qualche timore”. Una propaganda efficace crea un problema e poi lo risolve, sostenendo una necessità che prima era conosciuta e poi soddisfacendola. La religione profetica deve creare negli uomini quei bisogni profondi che pretende di soddisfare. Policarpo (vescovo di Smirne, II secolo, uno dei primi martiri): “ farò in modo che tu sia consumato dal fuoco- gli dice il proconsole- se disprezzi le belve, a meno che non cambi idea.” E Policarpo replica: “minacci il fuoco che brucia per un’ora e poco dopo si spegna; ignori infatti quello del giudizio futuro e del castigo eterno riservato agli empi”. Molti 20 autori dei primi secoli sono convinti che questa disponibilità a sopportare il dolore nel martirio abbia dato forza maggiore al messaggio dei cristiani. IL MIRACOLO DEL MARTIRIO Giustino è stato chiamato martire perché è stato uno dei primi autori morire per la fede. Nei suoi scritti dice che vedendo i martiri, meritavano di essere creduti, erano gli unici a morire per difendere in ciò che credevano. Giustino afferma che il cristianesimo è cresciuto perché attaccato dalle autorità pagane. Tertulliano spiega questo in modo più chiaro nell’ Apologetico, dicendo che ad ogni colpo di falce i cristiani diventano più numerosi, e che il sangue è seme per i cristiani, essi vogliono dimostrare con la loro ostinazione che la verità e della loro parte. Minucio felice (nell’Ottavio) sostiene che senza l’aiuto di dio i martiri non avrebbero potuto sopportare tale dolore, la sopportazione era un miracolo. Marco Aurelio, nei suoi Pensieri (XI, 3), quando parla della serena accettazione che l’anima deve avere davanti alla morte ed aggiunge: “Non per puro spirito di opposizione, come fanno i Cristiani”. La storiografia recente ha mostrato che la maggior parte dei pagani convertiti non aveva mai visto le esecuzioni. Origene (Contro Celso) afferma che solo un esiguo numero di persone morì per la fede cristiana. È possibile che i racconti sui martiri siano stati ingigantiti nell’atto di convertire i pagani. CAP 6 LA CHIESA CRESCE Quasi tutti gli storici concordano sul fatto che intorno all’anno 400 circa la metà della popolazione dell’Impero Romano era cristiana (gli abitanti erano circa 60M). per raggiungere numeri così alti non erano necessarie conversioni di massa, bastava un tasso di crescita costante. LE ESAGERAZIONI DELLE FONTI Plinio il Giovane, governatore della provincia romana di Bitinia-Ponto nella prima metà del II secolo, è il primo autore pagano in assoluto a menzionare l’esistenza dei cristiani. In una lettera scritta nel 112 e.v. all’imperatore Traiano, Plinio parla della minaccia che i cristiani rappresentano per i culti tradizionali e dice di aver avviato contro di loro un procedimento ufficiale. I cristiani, scrive all’imperatore (Carteggio con Traiano, 10, 96), “son molti […], di ogni età, di ogni ceto, di ambedue i sessi”. Solo pochi anni dopo, Tacito compone gli Annales, una storia dell’impero da Tiberio a Nerone, pubblicata intorno al 120. Tacito menziona i cristiani nel contesto del grande incendio di Roma nel 64 e.v. sotto Nerone. Riferendosi ai cristiani accusati, Tacito indica che erano “una gran moltitudine (Annali, 15, 44). Questa quantificazione quasi certamente esagerata è frutto del disprezzo. Fatta eccezione per una manciata di riferimenti (in Svetonio, Luciano di Samosata, Galeno), i cristiani sono assenti o, comunque, non sono una presenza consistente nel mondo romano. La prima storia del movimento cristiano giunta fino a noi sono gli Atti degli Apostoli. In At 1, 14, si dice che dopo la resurrezione di Gesù, il gruppo dei suoi seguaci era composto dagli 11 discepoli rimasti, da alcune donne e da Maria. Nel versetto successivo, però, apprendiamo che “in quei giorni” c’erano 120 credenti. Il giorno di Pentecoste (50 gg. Dopo la morte di Gesù), Pietro converte 3000 ebrei e subito dopo altri 5000. Nel capitolo successivo si convertono altre folle. 21 L’apologeta e teologo Tertulliano (fine II-inizio III), nel suo Apologetico, sostiene che i pagani siano inorriditi dalle conversioni di massa al cristianesimo: “vanno dicendo che la città ne è piena: cristiani nelle campagne, nelle borgate, in ogni edificio”. L’apologeta Minucio Felice alcuni anni dopo Tertulliano ammette che i cristiani sono ancora pochi (Ottavio); Origene, nella prima metà del III secolo riconosce che all’interno dell’impero molti non hanno mai sentito parlare della fede nel Cristo (Commento al Vangelo secondo Matteo). Lane Fox🡪Intorno al 200 e.v. i cristiani scrivevano ancora polemicamente come se gli dèi fossero ammutoliti, ma ignoravano che nei luoghi cui si riferivano la realtà era diversa (L. F. argomenta questa affermazione osservando che nell’oracolo e nel tempio di apollo a Claros, sulle coste dell’Iconia, erano presenti più di 300 dediche pagane) I DATI IN NOSTRO POSSESSO Lettera del Vescovo di Roma Cornelio (metà III secolo)🡪la chiesa di Roma (abitata da 1 M di persone) contava all’epoca 46 presbiteri, 7 diaconi. 7 suddiaconi, 42 accoliti, 52 esorcisti lettori e guardiani e 1500 tra vedove e bisognosi (Eusebio, Storia Ecclesiastica). Nella stessa lettera Cornelio menziona un sinodo regionale al quale parteciparono 60 vescovi italiani. Adolf von Harnack ipotizza che della chiesa di Roma facessero parte qualcosa come 30k persone. Giovanni Crisostomo, vescovo di Costantinopoli nel IV secolo🡪chiesa di 100k fedeli fornisce sostegno materiale a circa 3k persone bisognose. Harnack🡪 all’inizio del IV secolo, era forse cristiano il 7-10% della popolazione dell’impero; ma nei suoi primi 3 secoli, il cristianesimo attecchì soprattutto in contesti urbani (e l’80-90% viveva nelle campagne), quindi è ragionevole dimezzare le stime ASPETTI DEMOGRAFICI DELLA CONVERSIONE Nei primi 3 secoli le conversioni erano più numerose in Oriente che in Occidente; soltanto alla fine del II secolo nelle province occidentali si è avviato un vero processo di cristianizzazione. Roma faceva eccezione. L Egitto è un caso esemplare della rapida espansione orientale, ed è stato studiato da Roger Bagnall basandosi sull’onomastica. Prima della diffusione del cristianesimo nessuno veniva chiamato Pietro, il soprannome dato da Gesù a Simone figlio di Giona (Gv.). Prima del III secolo in Egitto le tracce del cristianesimo sono scarse, mentre a Roma fin dai tempi di Paolo è attestato la presenza di alcuni gruppi di cristiani. Prima dell’età costantiniana l’Egitto era quasi del tutto pagano, ma a, alla luce delle attestazioni letterarie di matrice cristiana provenienti da Alessandria, non si può dire che lo fosse completamente. Bagnall ha calcolato che tra il 318 e il 330 e.v. la metà della popolazione era cristiana, alla metà del IV secolo lo era il 75 % e alla fine del secolo la maggioranza. Già Harnack aveva indicato diversi tassi di crescita, individuando luoghi nei quali nell’anno 312 era cristiana la metà della popolazione (ad esempio l’Asia Minore, l’Armenia, Cipro), altri dove i cristiani erano meno della metà della popolazione (Antiochia, la Spagna, parti dell’Egitto e dell’Italia); altri dove la presenza cristiana era esigua (la Palestina, la Fenicia, l’Arabia) e altri nei quali il cristianesimo era praticamente assente (Italia settentrionale, Gallia centrale e settentrionale, Germania). In ogni caso, molti centri (ad esempio Atene, Delfi, Gaza) rimasero in prevalenza pagani, perfino all’inizio del V secolo. 22 persecuzioni furono rare e fecero relativamente poche vittime (contro il mito storico delle catacombe come luoghi di riunione). Data la grande quantità di culti presenti nell’impero e la notevole tolleranza in campo religioso, solo i culti percepiti come contrastanti con la morale o ritenuti pericolosi per la collettività erano soggetti all’intervento delle autorità. Nel 250, nel 257-258 e tra il 303 e il 313, le autorità intervennero per interrompere le pratiche religiose dei cristiani e costringerli ad abbandonare la loro fede. LE PRIME PERSECUZIONI Nel NT Paolo dice ai corinzi di aver ricevuto dai giudei “quaranta colpi meno uno” e di essere stato “battuto con le verghe” 3 volte (2Cor), quest’ultima era una punizione corporale tipicamente romana. Gli Atti non narrano la storia del movimento cristiano in modo neutrale, ma dovevano comunque essere credibili per un pubblico del I secolo e.v. Nel capitolo 16, Paolo ed i suoi compagni si trovano a Filippi, dove incontrano una giovane schiava posseduta da un demone che le dà la facoltà di predire il futuro; Paolo la esorcizza ed i padroni della schiava accusano paolo ed i suoi davanti ai magistrati: “questi uomini gettano il disordine nella nostra città; sono Giudei e predicano usanze che a noi Romani non è lecito accogliere né praticare”. La folla insorge ed i magistrati li puniscono: gli apostoli sono battuti con le verghe e messi in prigione. Dio nella notte provoca un terremoto e salva i suoi eletti🡪le idee e le attività dei cristiani sono viste come contrarie a Roma e pericolose, pertanto i magistrati ricorrono a provvedimenti molto duri, che però non si fondano su leggi contro i cristiani, che non esistevano. La Prima lettera di Pietro è una delle lettere cattoliche incluse nel Nuovo Testamento (probabilmente non scritta dall’apostolo), in cui apprendiamo che alcuni cristiani soffrono a causa della loro fede. L’autore dice ai suoi lettori che non devono più vivere “secondo le passioni umane, ma secondo la volontà di Dio” LA PERSECUZIONE DI PLINIO Il primo resoconto dettagliato di un procedimento giudiziario a carico dei cristiani prefigura ciò che di quando in quando sarebbe accaduto negli anni successivi. Questo resoconto comprare nell’epistolario di Plinio il Giovane. Il libro X contiene 61 lettere scambiate tra Plinio e l’imperatore Traiano tra il 110 ed il 113. Lettera 96🡪riferimento di Plinio al procedimento giudiziario contro i cristiani Lettera 97🡪risposta dell’imperatore Plinio scrive all’imperatore perché non è certo che la procedura da lui attuata (in mancanza di leggi specifiche) sia corretta. 25 Plinio prosegue spiegando come ha proceduto: agli individui accusati di essere cristiani aveva chiesto se l’accusa fosse vera, dando in caso l’occasione di ritrattare, sotto la minaccia della morte. Quei cristiani che avevano dimostrato di essere cittadini romani, li aveva mandati a Roma, dove sarebbero stati processati. I cristiani si rifiutavano di adorare gli dei e l’imperatore e non si riconoscevano nelle azioni di culto che erano ritenute adeguate da Roma. In seguito, si pone il problema di cosa fare dei cristiani che scelgono di ritrattare: secondo Plinio non sono colpevoli e vanno rilasciati🡪l’essere cristiano non era un reato come gli altri (bastava ritrattare). Il rifiuto di sacrificare agli dei tradizionali non era solo una questione di preferenza personale, ma investiva importanti aspetti sociali e politici, anche perché si credeva che, qualora non venissero adorati, gli dei potessero provocare calamità e disastri. Plinio dice che i cristiani si riuniscono per il culto alla sera e cantano inni a Cristo, perché lo considerano un dio. Essi si impegnano inoltre sotto giuramento a svolgere attività benefiche; quindi si separano per poi riunirsi di nuovo a condividere del cibo, che secondo Plinio è “comune e innocuo”🡪Plinio di fatto rivela che quanto si diceva sulle pratiche di culto cristiane era infondato Traiano, nella sua risposta, non fa alcun riferimento a leggi dell’impero applicabili a questa situazione: non esisteva una legislazione a proposito. Traiano dice che riguardo ai cristiani “non si può istituire una regola generale, che abbia per così dire, valore di norma fissa”. Plinio aveva agito con correttezza; in particolare, chiunque negasse di essere un cristiano e lo dimostrasse “sacrificando ai nostri dèi”, anche se in passato era stato sospettato di aderire a quella fede, doveva essere rilasciato. Traiano pone due condizioni: i cristiani non devono essere ricercati; non si può dare ascolto a denunce anonime. In seguito, altri governatori si comportarono in maniera analoga, ma la condanna a morte non accadeva di frequente. I CRISTIANI COME “ATEI” Il termine “ateo” era applicato a quanti pensavano che gli dei non si interessassero alle faccende umane o a quanti non riconoscevano un carattere veramente divino agli dei tradizionali. Dopo gli epicurei, l’accusa di ateismo fu rivolta principalmente ai cristiani, i quali non solo dicevano che il loro dio era l’unico, ma anche che si doveva adorare soltanto quello🡪i cristiani non partecipavano ai riti accettati e riconosciuti da tutti. La religione non costituiva un ambito a sé stante, separato dalla sfera sociale e politica. Verso la metà del secolo III, Cipriano (vescovo di Cartagine), conferma che i cristiani sono accusati da più parti di essere la causa di guerre, epidemie, carestie, siccità (cfr. A Demetriano); lo stesso autore fu arrestato nel 258 e.v. e processato due giorni dopo; LA PALESE IMMORALITÀ’ DEI CRISTIANI 26 Sul modo in cui la gente vedeva i cristiani certamente fece sentire il suo peso il ricordo della vicenda dei Baccanali. Livio scrive: “cominciavano a commettersi depravazioni di ogni genere poiché ognuno vi trovava pronto soddisfacimento per quello a cui erano più portate dall’istinto le sue voglie […] per le grida e il fragore dei timpani e dei cembali non si poteva udire la voce di quelli che gridavano aiuto fra gli stupri e le uccisioni”(cfr. Ab Urbe condita). Tertulliano indica che si era arrivati ad accusare i cristiani anche di cannibalismo: Minucio Felice, contemporaneo di Tertulliano, scrisse un dialogo intitolato Ottavio🡪il protagonista dialoga con il pagano Cecilio sui vantaggi della fede cristiana, Minucio fa da moderatore. Minucio lascia intendere che le accuse dipendono dagli scritti di Frontone, precettore di Marco Aurelio E’ importante ricordare che gli incontri dei cristiani erano privati e segreti. Licenziosità sessuale, infanticidio e cannibalismo erano piuttosto comuni nell’antichità; chi voleva ingiuriare i propri nemici spesso diceva le cose più scandalose che si potessero immaginare sul piano morale. I PIÙ’ ANTICHI RACCONTI SUI MARTIRI Sopravvivono soltanto 6 resoconti di martiri precedenti al 250 e.v. (e 2/3 di questi sembrano esser falsi)🡪confermano che il crimine commesso dai cristiani era semplicemente il loro rifiuto di rinunciare al nome “cristiano”, perché questo non consentiva di adorare divinità diverse dalla propria. 27 non cittadina. Nell’estate 303 vide la luce un secondo decreto che ordinava l’arresto di tutto il clero cristiano. Nel mese di novembre un terzo decreto specificava che i membri del clero che erano stati arrestati potevano essere rilasciati soltanto nel caso in cui offrissero un sacrificio agli dei. Nella primavera 304 fu emesso il quarto ed ultimo decreto, esso imponeva a tutti gli abitanti dell’impero di riunirsi in un luogo pubblico e di prender parte ad un sacrificio. Nella parte occidentale dell’impero sembra sia stato diffuso ed applicato soltanto il primo decreto, i cui effetti cessarono nel 306, quando salirono al potere Costantino e Massenzio. A oriente l’applicazione, sotto Galerio e poi sotto Massimino Daia, venne interrotta con il cosiddetto editto di Milano. GLI APOLOGETI “Apologia” significa difesa. In riferimento a un genere letterario, indica una difesa ragionata di una certa idea. Le apologie cristiane del II/III secolo nella quasi totalità dei casi, sono indirizzate a pagani, ma circolavano all’interno delle comunità cristiane. Già nel NT si incontra l’esortazione “adorate il signore, cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragioni della speranza che è in voi (1Pt). Non è che intorno alla metà del II secolo, in ogni caso, che cominciano ad apparire apologie scritte. Giustino martire a Roma, Atenagora ad Atene, Tertulliano a Cartagine, Minucio Felice nel nord africa e Origene ad Alessandria. Una delle più antiche apologie è la Lettera a Diogneto: un testo cristiano in greco antico di autore anonimo, risalente probabilmente alla seconda metà del II secolo. Diogneto è un pagano, al quale la Lettera è diretta. Essa si apre con alcune domande relative ai cristiani, che questi pone all'autore: Qual è il Dio dei cristiani? Qual è la religione che permette loro di disprezzare a tal punto il mondo e la morte? In che cosa si differenzia da quelle dei greci e dei giudei? Perché questa religione, se è la vera, è apparsa nel mondo così tardi? La risposta dell'autore è una critica sommaria e dura del politeismo e del giudaismo: quanto ai cristiani, dichiara, la loro religione non può essere stata insegnata da un uomo. Illustra poi la condizione dei cristiani nel mondo con una serie di paradossi, e la paragona alla condizione dell'anima nel corpo: i cristiani sono rinchiusi nel mondo, ma non appartengono ad esso; ne sono odiati, ma l'amano e sono loro che lo tengono insieme. Cosa c'è dietro a tutto ciò? Questa religione non è frutto d'invenzione umana, ma è la rivelazione dell'amore divino, che inviando suo Figlio ha riscattato gli uomini dall'abisso in cui la loro incapacità di compiere il bene li aveva gettati. Dio non ha preteso che fossero loro a uscirne, ma il suo stesso apparente ritardo nell'intervenire ha permesso loro di sperimentare più a fondo la sua bontà; e il suo amore rende possibile l'amore praticato dai cristiani in questo mondo, con lo sguardo fisso alla loro cittadinanza celeste. Tale imitazione di Dio è proposta allo stesso Diogneto. L'ultima parte della Lettera contiene riflessioni sulla rivelazione dei misteri divini, rivelazione trasmessa dal Logos agli apostoli e da questi alla Chiesa che li amministra e li svela. Viene proposta anche un'interpretazione allegorica dei due alberi del paradiso terrestre, con lo scopo di definire il corretto rapporto tra conoscenza e pratica di vita. Nel complesso, gli scritti di questi apologeti costituiscono un campionario degli argomenti che erano usati per difendere la fede cristiana dagli attacchi pagani e giudei. Tra le altre cose, mettono in evidenza la particolare posizione in cui si trovavano i cristiani sotto processo: costoro non erano processati per aver commesso un reato, ma perché il fatto stesso di essere cristiani li rendeva colpevoli. Gli apologeti osservano che ciò è contraddittorio per due motivi. Uno è che definirsi in un certo modo non è un reato. I reati sono atti commessi ai danni di qualcuno. Identificare sé stesso come cristiano non è altro che definirsi in un certo modo. Inoltre, i procedimenti contro i cristiani non hanno senso poiché a questi ultimi non si chiede di confessare di aver commesso un crimine, ma di negare quello che sono. Il procedimento giudiziario non mira a scoprire un atto criminoso, ma a far loro smettere di commetterlo. Tertulliano ironicamente dice: 30 “con gli altri, quando negano, usate la tortura perché confessino: ai cristiani invece infliggete la tortura perché neghino” (cfr. Apologetico). L’ATEISMO DEI CRISTIANI Si criticano i pagani perché credono che gli idoli siano in realtà dei. Tertulliano dice: “in quanto poi ai simulacri, non vedo altro se non la grezza materia di cui sono modellati anche i vasi e gli oggetti di uso comune” (cfr. Apologetico), Il pagano Celso rivela che talvolta i cristiani si avvicinavano alla statua di una divinità e gridavano: “ guardate: la insulto e la colpisco, ma non ha alcun potere contro di me che sono cristiano”. Per Celso la statua era solo una rappresentazione materiale della divinità, ma per i cristiani questo argomento fu a lungo persuasivo. Secondo una tradizione cristiana, gli dei pagani erano angeli ribelli, demoni malvagi che erano entrati negli idoli e pretendevano di essere adorati. LA DEPRAVAZIONE DEI CRISTIANI Gli apologeti, sostenendo che i pagani accusavano i cristiani di comportarsi come le loro divinità: erano questi, e non i cristiani, a commettere incesti, stupri e adulteri. Atenagora, in merito ai rapporti sessuali, scrisse: “come l’agricoltore, gettata a terra la semente, attende la mietitura senza più seminare, così anche per noi la regola della concupiscenza è la procreazione dei figli” (cfr. Supplica per i Cristiani). LE PROVE DELLA VERITÀ’ Gli apologeti non si difendevano soltanto dalle accuse che i pagani rivolgevano contro di loro, ma adducevano anche in positivo le prove della bontà della propria fede, considerata migliore non solamente perché quella degli altri era ridicola, ma anche per i meriti che aveva. Per molti cristiani, la superiorità della propria fede era ovvia. Giustino sostenne che la vita di Gesù e la storia del movimento cristiano erano state preannunciate con estrema precisione da secoli da parte dei profeti del giudaismo. Oltre alle 2 apologie, Giustino scrisse un’opera intitolata Dialogo con Trifone. Il Dialogo vuole dimostrare la superiorità del cristianesimo rispetto al giudaismo. Giustino sostiene di riportare un dibattito da lui avuto con un maestro ebreo di nome Trifone sul significato di una serie di passi delle Scritture. In ciascun caso, Giustino afferma che le scritture contengono predizioni e prefigurazioni di Gesù e del cristianesimo, mentre Trifone critica questa lettura. Non sorprende che nel testo gli argomenti più efficaci siano quelli di Giustino, visto che è lui a riferirli. CAP 8 IL PRIMO IMPERATORE CRISTIANO DALLA “GRANDE PERSECUZIONE” ALLA PIENA TOLLERANZA RELIGIOSA Costantino era nato nel 272/273 (e morì nel 337). Fu al servizio di Galerio, che le fonti cristiane descrivono come particolarmente attivo nell’esacerbare gli effetti dei decreti dioclezianei e che forse fu uno dei loro ispiratori principali. Il padre di Costantino fu il primo Cesare d'Occidente; Costantino raggiunse suo padre in Gallia nel 305 e, quando questi morì nel 306, fu acclamato Augusto. Severo, l’Augusto designato, fu catturato e sostituito nel collegio imperiale con Licinio (che Galerio aveva cooptato nel 308 come Augusto per l’Occidente). La “grande persecuzione” andò avanti, principalmente in oriente, fino alla morte di Galerio (311). Poco prima, questi aveva emanato un editto di tolleranza con il quale la faceva ufficialmente cessare (il testo è conservato nella Storia Ecclesiastica di Eusebio): in questo atto, Galerio afferma di essere stato un fautore della persecuzione “per l’utilità e il profitto dello stato”, “affinché anche i cristiani, che avevano abbandonato la religione dei loro antenati, ritornassero a giusto consiglio”. I cristiani, infatti, “non hanno seguito più le tradizioni degli antichi, le quali tradizioni erano state forse istituite dai loro stessi antenati”. La persecuzione mirava a indurre i cristiani a ritornare “alle istituzioni dei loro antenati”. Opporsi alla nuova religione, tuttavia, non servì a nulla. L’imperatore decise così di fermare la persecuzione: 31 “considerando la nostro benevolenza e la costante pratica di accordare il perdono a tutti, abbiamo ritenuto di dover accordare anche in questo caso, il perdono, in modo tale che non ci siano cristiani e si costruiscano edifici in cui si riuniscano, così che nulla essi facciano contro le istituzioni (cfr. Storia Ecclesiastica, 8). Massimino Daia, il successore di Galerio, fece riprendere le persecuzioni, che continuarono per altri due anni, fino a quando fu sconfitto da Licinio. Massimiano, Severio, Galerio, Massenzio e Massimino Daia erano ormai morti; rimanevano Costantino in occidente e Licinio in oriente. All’inizio del 313 Licinio e Costantino si incontrarono a Milano, furono presi accordi di politica religiosa anche in vista dell’imminente liquidazione di Massimino e l’intesa tra i due imperatori fu sancita dal matrimonio di Licinio e la sorellastra di Costantino, Costanza. Nello stesso anno Licinio sconfigge Massimino Daia e si impadronisce della parte orientale dell’impero. L’editto di Milano, che in realtà non fu un editto, ma una lettera indirizzata ai governatori delle province orientali, e fu scritto in Bitinia, dopo l’incontro tra i 2 imperatori; inoltre, non fu emanato da Costantino, ma da Licinio, anche se recava la firma di entrambi. Questa lettera stabilisce ufficialmente una politica di tolleranza nei confronti di tutte che regioni quali fossero e ne specifica il fine, ovvero assicurare che “la divinità possa concederci in tutto la sua consueta sollecitudine e la benevolenza” (Eusebio, colui che cita questa lettera, sostiene, forse a torto che quando incontrò Costantino a Milano Licinio era già cristiano e che si sia schierato dall’altra parte in seguito). Bisognava tollerare la diversità, affinché “fosse assicurato il rispetto e la venerazione della divinità”. Passo della S.E. di Eusebio di Cesarea, che parla di una “legge perfettissima”; in realtà misure applicative e integrative dell’editto di Galerio, contenute nella lettera con cui Costantino annunciava la sua vittoria di Ponte Milvio a Massimino Daia (inviata anche a nome di Licinio): richiesta a M. di desistere dalle persecuzioni; questo accordo non si tradusse in nessun atto formale. Direttiva di Nicomedia: sempre nel 313, dopo aver sconfitto M. Daia, in applicazione degli accordi di Milano, Licinio concesse a tutti i cristiani della parte orientale dell'impero il diritto di costruire luoghi di culto; inoltre dispose che fossero loro restituite le proprietà confiscate. Tali disposizioni furono esposte pubblicamente a Nicomedia in un rescritto (parere ad un quesito, esposto), erroneamente definito “editto”. Lattanzio (morte dei persecutori) fornisce una versione del rescritto (motivazioni e disposizioni concrete): riconoscimento al principio del pluralismo religioso con una generica adesione alle propensioni monoteistiche dell’epoca (riferimento alla divinità suprema, come l’instinctu divinitatis dell’arco a Roma), per adeguarsi all’atteggiamento di Licinio (contingenza politica). Si tratta del primo atto ufficiale di un governo del mondo occidentale a riconoscere il principio della libertà di religione. Quando arrivò a Milano per incontrare Licinio, Costantino era un neofita e non possiamo dare per scontato che conoscesse a fondo ogni aspetto della nuova fede, ma quasi subito fu letteralmente costretto a immergersi nella vita ecclesiastica. GLI INTERVENTI DI COSTANTINO NEGLI AFFARI ECCLESIASTICI La controversia donatista: disputa che rischiava di rompere l’unità della chiesa in un’area importante come il nord africa; movimento religioso cristiano sorto in Africa nel 311 dalle idee del vescovo di Numidia, Donato di Case Nere (n. 270 ca.), soprannominato "il Grande". La sua dottrina prese le mosse da una critica intransigente nei confronti di quei vescovi, che non avevano resistito alle persecuzioni di Diocleziano e avevano consegnato ai magistrati romani i libri sacri. Secondo i donatisti i sacramenti amministrati da tali vescovi (detti traditores, in quanto avevano compiuto una traditio, ovvero la consegna dei testi sacri ai pagani) non sarebbero stati validi. Questa posizione presupponeva, dunque, che i sacramenti non avessero efficacia di per sé, ma che la loro validità dipendesse dalla dignità di chi li amministrava. 32 All'indomani della sua vittoria su Licinio, Costantino, ansioso di ridare all'Impero unità anche morale, trovava in Oriente i cristiani divisi e in lotta. Si può comprendere come cercasse di ottenere l'unione. Falliti i tentativi di piegare Alessandro o di ridurre Ario al silenzio, egli accettò dunque il consiglio di convocare i vescovi, di tutto l'Impero. Sarebbe stato come il simbolo dell'unità della Chiesa, e nel tempo stesso, accanto all'imperatore, che si proclamava vescovo per le cose esteriori, lo strumento del governo spirituale, come il Concistorium principis quello del governo temporale. Con queste intenzioni, senza dubbio, Costantino convocò il concilio di Nicea (primo concilio ecumenico), al quale parteciparono 318 vescovi, provenienti in maggioranza dalle province orientali; e con queste egli si adoperò affinché, a eliminare ogni futura controversia dottrinale, si adottasse una formula unica della fede, da servire come paragone dell'ortodossia dei vescovi e, quindi, delle loro chiese. Il credo di Nicea termina con una condanna dell'arianesimo, che, se non lo nomina, non è perciò meno esplicita, ripetendo le frasi stesse dell'eresiarca; all'epiteto di "generato" applicato al Figlio (notevole l'uso di questa parola, anziché "Verbo") segue una duplice spiegazione: "non fatto", "cioè dell'essenza del Padre"; e queste parole sono a loro volta seguite da quella, che doveva diventare il segnacolo dell'ortodossia: "consustanziale al Padre". Il termine homousios, se poteva appagare gli Occidentali, per i quali era equivalente a consubstantialis, usato già da Tertulliano, fu combattuto dalla maggioranza. Obiettavano che non si trovava nella Scrittura ed era stato usato da Paolo di Samosata. Soltanto l'energia di Atanasio e l'autorità di Osio di Cordova, il consigliere ecclesiastico dell'imperatore, poterono vincere la riluttanza degli Orientali. Inoltre, a eliminare la cristologia di Ario, secondo la quale il Verbo aveva assunto nell'uomo Gesù il posto della parte superiore dell'anima, lo "spirito" o "ragione", si aggiunse alla frase "disceso ed incarnato” la determinazione, "fatto uomo". Uomo completo, con carne, anima e spirito (o ragione) umana: con che si presupponeva la coesistenza delle due nature, umana e divina. Tuttavia, nella formula finale di anatema si usavano come sinonimi i due termini usia, (οὐσία, "essenza") e hypostasis (ὑπόστασις, substantia), che soltanto più tardi sarebbero stati definiti esattamente; mentre in questa confusione e nella difficoltà di rendere entrambi esattamente in latino (in cui essentia è grammaticalmente impossibile, e fu foggiato tardi, proprio per rendere οὐσία) era il germe di altre lunghe e gravi discussioni. Soltanto 20 dei partecipanti si schierarono con Ario, e Costantino li convinse quasi tutti a cedere; i due vescovi che si rifiutarono di farlo furono mandati in esilio insieme ad Ario. Il concilio non risolse definitivamente la questione; gli ariani continuarono a diffondere le loro idee e ad avere molti seguaci. L'Occidente, per cui la controversia non aveva ancora un senso concreto, poté appagarsene e accettarla quasi passivamente; l'unione e la sconfitta dell'eresia non erano ancora opera d'una reazione spontanea di tutte le forze vive operanti nel seno stesso della Chiesa, che pure aveva saputo, da sola, eliminare lo gnosticismo. [ Costante I, che dopo l'annessione dei territori di Costantino II regnava in tutto l'Occidente, in accordo con papa Giulio I riunì, nel 343, il concilio di Sardica (l'odierna Sofia), a cui intervennero 94 vescovi occidentali e 66 orientali. Presente Atanasio e, in assenza del papa, diretto da Osio di Cordova, i dibattiti sfociarono presto in alterchi talmente violenti che gli orientali si ritirarono in un sinodo parallelo a Filippopoli, in Tracia. Le due assemblee continuarono a lanciarsi a distanza invettive ed accuse, ciascuna ratificando e pubblicando i propri decreti. Il sinodo di Sardica comunque riaffermò il Credo Niceno. Il contrasto divenne talmente duro che Costante giunse a minacciare il fratello di intervenire con la forza delle armi se il vescovo di Alessandria non fosse stato reintegrato nella sua sede. Ma Costanzo non rischiò una guerra civile e fratricida per un principio religioso, e accondiscese ad una riconciliazione, invitando Atanasio a riprendere possesso della sua sede ed impartendo ordini affinché tutti i suoi seguaci della diocesi di Alessandria venissero liberamente reintegrati nei propri ruoli e funzioni, annullando ogni eventuale sanzione adottata nei loro confronti. Nel 350 Costante fu assassinato da Magnenzio; Costanzo rimase unico padrone dell'Impero. Costanzo convocò molti concili provinciali deputati a definire il credo cristiano: Sirmio (351), Arles (353), Milano (355), Sirmio II (357), Rimini (359) e infine Costantinopoli (360). Il più importante, per gli effetti che provocò in Occidente, fu però quello di Sirmio II del 357, al quale parteciparono solamente vescovi d'oriente (in prevalenza ariani) e che mise al bando i termini quali ousìa e consustanzialità. I vescovi d'Occidente (più vicini alla chiesa di Roma e quindi fedeli al Credo niceno), manifestarono il loro dissenso: papa Liberio e Osio di Cordova furono imprigionati e costretti a sottoscrivere alle decisioni di Sirmio, mentre nel concilio di Rimini del 359 si procedette alla condanna di Sirmio. Costanzo, allora, cercò di trovare una formula di compromesso nel concilio di Seleucia del 359, che vide il trionfo delle posizioni ariane sancite poi da quello di Costantinopoli dell'anno seguente. Morto Costanzo nel 361, il nuovo imperatore Giuliano, in seguito indicato dai cristiani come l'Apostata", con il suo editto di tolleranza nei confronti di tutte le fedi e confessioni religiose, emesso in quello stesso anno, permise a tutti i vescovi cristiani di fede non ariana di rientrare dall'esilio. Ripreso possesso della sua sede vescovile, Atanasio riuscì a convocare in Alessandria, nel 362, un concilio d'Oriente che pose fine a tutte le dispute dogmatiche, semplicemente riaffermando i decreti del concilio di Nicea e rifuggendo da qualsiasi discussione sui termini. Si chiarì che hypostasis poteva essere adoperato nel senso, che poi prevalse, di "persona", e anche come sinonimo di usia. Nel 380, sotto l'influsso del vescovo di Milano, Ambrogio, venne emanato da Teodosio I e Graziano l'editto di Tessalonica che definiva il credo niceno (e quindi l'ortodossia) come 35 religione di Stato. Oltre all'affermazione della formula nicena, che dunque toglieva di mezzo le dottrine ariane, l'editto definiva per la prima volta la Chiesa che professava il Credo Niceno "cattolica" (dal greco "katholikòs", cioè "universale") e "ortodossa" (dal greco "orthos-doxa", cioè "di retta dottrina"), bollando tutti gli altri gruppi cristiani come eretici e come tali soggetti a pene e punizioni. La condanna dell'arianesimo venne poi ribadita nel 381 durante il primo concilio di Costantinopoli, proprio nella città che, nonostante l'editto, era in qualche modo riuscita a conservare una popolosa colonia ariana che accoglieva al suo interno tutti gli “eretici” di varia denominazione. Negli anni successivi Teodosio ribadì con una serie di editti la sua persecuzione contro l'eresia ariana, che prevedeva la proibizione delle riunioni di culto, la destituzione e la comminazione di forti multe a vescovi e preti, l'esclusione da professioni onorevoli e lucrose e (poiché gli ariani separavano la natura del Padre da quella del Figlio) l'inibizione alla capacità di lasciti testamentari. In qualche caso si giunse anche a pronunciare sentenze capitali che però raramente vennero eseguite perché Teodosio era in realtà più propenso alla correzione che non alla punizione. Con l'affidamento dell'esecuzione dei suoi editti ad una schiera di funzionari l'imperatore istituì, di fatto, l'embrione di un ufficio di Inquisizione. Piuttosto che scomparire, l'arianesimo spostò il suo asse verso il nord dell'impero, trovando seguaci presso i popoli “barbari” che in quel periodo si stavano spingendo contro i confini dello Stato, particolarmente Goti, Vandali e Longobardi. Grazie soprattutto alla predicazione condotta nel IV secolo fra i Goti da parte di Ulfila (311-383), l'arianesimo conobbe infatti una grande diffusione fra i popoli germanici fra i quali fiorì almeno fino al VII secolo: infatti, la visione più semplice del cristianesimo ariano era più conforme alla loro mentalità pragmatica e priva di quelle basi filosofiche di cui era intessuto il credo niceno. Lentamente, però, il cristianesimo calcedoniano (cioè quello niceno, perfezionato nel Concilio di Calcedonia del 451) cominciò a convertire i popoli dei regni romano barbarici ancora sopravvissuti alle guerre giustinianee e a quelle tra gli stessi regni barbarici. In seguito alla conversione dei Franchi nel 511 con Clodoveo al cristianesimo calcedoniano, gli altri popoli barbari cominciarono lentamente a convertirsi.] GLI ATTI POLITICI E MILITARI DI COSTANTINO Secondo Eusebio, la decisione di Licinio di riavviare la persecuzione dei cristiani in oriente provocò la reazione di Costantino, che lo sconfisse in battaglia (battaglia di Crisopoli). Quando nel 326 Costantino andò a Roma per celebrare il suo ventesimo anniversario come imperatore, non seguì l’usanza che prevedeva di fare un sacrificio simbolico a Giove entrando in città come conquistatore. I legami di Costantino con ‘élite romana si inasprirono🡪 nuova capitale a Costantinopoli. Eusebio disse che l’imperatore volle utilizzare le statue dei pagani per abbellire Costantinopoli “come fonte di scherno per il riso e il divertimento di quanti la osservavano.” (Vita di Costantino). COSTANTINO, IL DIFENSORE DELLA FEDE Sincerità della devozione di Costantino: “io ho la più salda e completa certezza di essere debitore al sommo dio di tutta la mia anima, di ogni mio respiro e di tutti i pensieri che mi aggirano nel più profondo dell’intelletto.” (Vita di Costantino)🡪lettera di Costantino agli abitanti della Palestina. Costantino varò una legislazione che esonerava il clero cristiano (che veniva reclutato nelle aristocrazie locali) dal ricoprire incarichi amministrativi, sollevandolo da impegni ed obblighi finanziari; concesse inoltre notevoli fondi alle attività di culto (fece costruire la basilica lateranense a Roma). Come ricorda Eusebio, Costantino spogliò alcuni templi pagani e, in questo modo, distrusse templi che erano stati “tra i più cari ai superstiziosi”. Eusebio indica soltanto 5 siti ai quali toccò questo destino. Non vi è alcun motivo per generalizzare e per pensare a una politica di distruzione dei templi pagano in tutto l’impero. Costantino riportò alla luce il sepolcro di cristo; Eusebio racconta del viaggio di Elena (madre di Costantino), per “camminare dove aveva camminato Gesù”; fu Elena a scegliere i luoghi dove sarebbero state costruite la basilica della natività a Betlemme e quella dell’ascensione, fuori Gerusalemme, sul monte degli ulivi. Le fonti discordano sull’atteggiamento di Costantino: Costantino sul piano politico aveva buoni motivi per non forzare le cose e imporre ai suoi sudditi di credere al dio cristiano; si comportò diversamente con gli eretici, emanando una serie di provvedimenti molto duri (cfr. la lettera da lui indirizzata ai novazioni, ai valentiniani. Ai marcioniti, ai pauani e ai catafrigi/montanisti, citata da Eusebio, nella Vita di Costantino). Eusebio racconta che, dopo aver sconfitto Licinio, Costantino emanò una legge che: 36 Eusebio riporta inoltre che, per ordine dell'Imperatore, “ai sudditi dell’impero romano, tanto ai civili, quanto ai militari, furono completamente sbarrare le porte del culto idolatrico, e ogni tipo di sacrificio venne proibito”. In seguito, “con una serie ininterrotta di disposizioni legislative, ordinò a tutti indistintamente di non sacrificare agli dei, di non prendersi cura degli oracoli di non erigere simulacri”. In una legge emanata nel 341, da suo figlio e successore Costanzo (contenuta nel Codice Teodosiano): Nel 341 Costanzo dice che già suo padre aveva ordinato la cessazioni dei sacrifici e ciò coincide con quanto Eusebio aveva scritto nella sua Vita di Costantino. Il Codice Teodosiano è una raccolta di leggi realizzata sotto il regno di Teodosio II e fu pubblicato nel 438 e contiene leggi emanate dagli imperatori a partire dal 313 e nei successivi 125 anni. Le leggi sono raggruppate per temi e sono certamente il frutto di una selezione. Nell’ultimo libro, composto da norme che hanno a che fare con la religione e una sezione è incentrata sulla legislazione antipagana. Non si parla però di alcuna legge emanata da Costantino per vietare i sacrifici. Il retore Libanio, fervente sostenitore dei culti tradizionali, vivendo durante il regno di Teodosio I, di fronte alla legislazione imperiale che colpiva le pratiche pagane, lanciò un appello per la tolleranza religiosa. In questa orazione, Libanio evoca il precedente costituito dalla tolleranza di Costantino, ricordando all’imperatore che questi “non abolì nulla del culto legale”. Se fossero esistite prove concrete del fatto che Costantino avesse cercato di mettere fine all’intero sistema cultuale pagano, sarebbe stato sciocco addurre questo argomento. Si è tentato di conciliare che varie fonti: è stato sostenuto, ad esempio, che subito dopo avere emanato una legge in tale senso, Costantino in una lettera sarebbe tornato sui suoi passi, oppure che quella legge fosse stata solo abbozzata, così da essere presente solo nella corrispondenza inviata a un funzionario, ma che non fosse mai stata resa effettiva. La maggior parte di questi tentativi appare però forzata. E’ forse ragionevole prendere in considerazione ciò che lo stesso Costantino dice in proposito, in una lettera indirizzata agli abitanti delle province orientali nel 324. L’imperatore afferma esplicitamente che “le dottrine del mondo divino”, cioè i principi della fede cristiana, sono saldo patrimonio di “quanti pensano correttamente e quanti hanno a cuore i veri valori”. Non si può fare nulla se chi non è cristiano rifiuta di accogliere la verità per ottenere la salvezza: “se qualcuno si rifiuta di essere guarito, non incolparlo perché il potere curativo delle medicine è noto, ed è a disposizione di tutti”. Costantino manifesta un atteggiamento tollerante nei confronti di chi rifiuta la salvezza offerta da cristo e prosegue dichiarando che questo è l’atteggiamento da tenere nei confronti di chi continua a partecipare ai culti pagani. Costantino si oppone all’uso di eventuali pene che mirano a indurre qualcuno a d adottare determinate pratiche religiose o a indurre qualcun altro ad abbandonarle. COSTANTINO, L’IMPERATORE IMPERIOSO La legislazione di Costantino, giuntaci attraverso il Codice Teodosiano, appare generalmente dura: ai funzionari dell’amministrazione imperiale che accettavano tangenti, si dovevano tagliare le mani; gli esattori delle tasse che trattavano malamente le donne insolventi dovevano essere uccisi con “squisite torture”; le spie dovevano essere strangolate e la loro “Lingua invidiosa staccata dalle radici”; i parricidi non dovevano essere “sottoposti alla spada, al fuoco o ad alte pene tradizionali, ma messi dentro sacchi di cuoio e, chiusi nella loro ortale vicinanza, dovevano 37 carica vicina all’entourage dell’imperatore. Nel febbraio 364 Gioviano morì improvvisamente in Bitinia: l’esercito elesse Valentiniano imperatore. V. provvedete, su sollecitazione dell’esercito a scegliersi un collega nel fratello Valente, che fu associato al trono nel 364: divisione delle competenze, il governo dell’Oriente a Valente, l’occidente a Valentiniano. Valentiniano concentrò le sue energie in Gallia (365-375): difesa della frontiera renana., nel 368 pianificò una grande spedizione transrenana, l’ultima che vide l’esercito romano vittorioso oltre il Reno. Valentiniano nel 367, davanti all'esercito, proclamò Augusto il figlio Graziano (per tenere a freno le turbolenze in ragione della sua cattiva salute) e trasferì a Treviri la capitale imperiale. Valentiniano morì nel novembre 375, qualche giorno dopo fu elevato al trono dai soldati (guidati da Merobaude) ad Aquincum anche il secondo figlio: Valentiniano II. (di 4 anni). Nel frattempo, a Valente toccò affrontare una situazione difficile: l’incursione degli Unni sottoponeva a forte pressione i Goti, che a loro premevano sulla frontiera Danubiana. Falliti i tentativi di insediarli pacificamente, quando irruppero in Tracia, Valente li affrontò nella battaglia di Adrianopoli (378), che si risolse in un massacro per l’esercito romano e dove lo stesso imperatore perse la vita. La sconfitta di Adrianopoli segna una cesura di gravi proporzioni: alla consapevolezza del declino delle capacità dell’esercito di fronteggiare la crisi militare, fa da riscontro la sua progressiva barbarizzazione, che provoca reazioni fortemente negative soprattutto negli ambienti + conservatori. Dopo Adrianopoli. La convivenza con i barbari diventa un tema centrale di dibattito in ragione della politica di collaborazione promossa da Teodosio. Graziano, dopo la morte di Valente, chiamò un generale spagnolo Teodosio (figlio di un generale), a condividere il governo dell’impero, per far fronte alla drammatica situazione. Teodosio nel 382 concluse un accordo con Fritigerno, capo dei Goti, che ricevevano delle terre all’interno dell’impero (Mesia Inf. E Tracia) come popolazione autonoma (foederati) e mantenevano i loro capi e le loro leggi, pur essendo tenuti a fornire soldati in caso di necessità=novità. Intanto in Occidente: nel 383, Usurpazione di Magno Massimo (che millantava una parentela con Teodosio, il quale vantava una discendenza da Traiano) in Britannia; quando questi invase la Gallia, Graziano si tolse la vita (l’esercito gallico, a seguito del tradimento di Merobaude, passò all’usurpatore). Dopo aver governato per alcuni anni la Gallia, invase l’Italia, dove governava Giustina, per conto del figlio Valentiniano II. L’invasione provocò la reazione di Teodosio, che sconfisse Massimo nel 388. Un generale Franco, Arbogaste, fece assassinare Valentiniano II e nominò imperatore Eugenio (retore). Intervenne di nuovo Teodosio, battaglia del fiume Frigido: tra il 5 e il 6 settembre 394, nei pressi dell'attuale fiume Vipacco vicino a Gorizia. La disfatta di Eugenio e del suo comandante, il magister militum Arbogaste, riconsegnò per l'ultima volta l'impero ad un unico imperatore, Teodosio. Sulla base delle fonti antiche dipendenti dalla storia ecclesiastica di Tirannio Rufino, si ritiene che la battaglia fu l'ultimo tentativo di resistenza alla diffusione del Cristianesimo nell'impero, essendo Flavio Eugenio simpatizzante delle antiche religioni pagane (ed essendo sostenuto da pagani come Virio Nicomaco Flaviano, prefetto del pretorio d’Italia)] Teodosio I, detto “il Grande”, regnò dal 379 al 395. Editto (di Tessalonica) del 380: la religione cristiana diventa religione ufficiale dell’Impero. L'editto di Tessalonica, conosciuto anche come Cunctos populos, venne emesso il 27 febbraio 380 dagli imperatori Graziano, Teodosio I e Valentiniano II. Il decreto dichiara il cristianesimo secondo i canoni del credo niceno la religione ufficiale dell'impero, proibisce in primo luogo l'arianesimo e secondariamente anche i culti pagani. Per combattere l'eresia si esige da tutti i cristiani la confessione di fede conforme alle deliberazioni del concilio di Nicea. Il testo venne preparato dalla cancelleria di Teodosio I e successivamente venne incluso nel Codice teodosiano da Teodosio II. La nuova legge riconobbe alle due sedi episcopali di Roma e Alessandria d'Egitto il primato in materia di teologia. «GLI IMPERATORI GRAZIANO, VALENTINIANO E TEODOSIO AUGUSTI. EDITTO AL POPOLO DELLA CITTÀ DI COSTANTINOPOLI. Vogliamo che tutti i popoli che ci degniamo di tenere sotto il nostro dominio seguano la religione che san Pietro apostolo ha insegnato ai Romani, oggi professata dal Pontefice Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, uomo di santità apostolica; cioè che, conformemente all'insegnamento apostolico e alla dottrina evangelica, si creda nell’unica divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in tre persone uguali. Chi segue questa norma sarà chiamato cristiano cattolico, gli altri invece saranno considerati stolti eretici; alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa. Costoro saranno condannati anzitutto dal castigo divino, poi dalla nostra autorità, che ci viene dal Giudice Celeste. DATO IN TESSALONICA NEL TERZO GIORNO DALLE CALENDE DI MARZO, NEL CONSOLATO QUINTO DI GRAZIANO AUGUSTO E PRIMO DI TEODOSIO AUGUSTO» (Codice teodosiano, xvi.1.2) 40 L'editto, pur proclamando il Cristianesimo religione di Stato dell’Impero Romano, non stabiliva alcuna direttiva specifica a proposito. Bisognerà attendere i cosiddetti decreti teodosiani, promulgati dallo stesso Teodosio I, che tra il 391-392 normarono l'attuazione pratica dell'editto di Tessalonica. Nel 381 convocò un concilio ecumenico a Costantinopoli, che ribadì il credo niceno e promulgò una legislazione severa nei confronti dei pagani. L'editto di Tessalonica diede inizio a un processo in base al quale «per la prima volta una verità dottrinale veniva imposta come legge dello Stato e, di conseguenza, la dissidenza religiosa si trasformava giuridicamente in crimen publicum: ora gli eretici potevano e dovevano essere perseguitati come pericolo pubblico e nemici dello Stato». È altresì da precisare che durante tutto l’Impero Romano e anche durante l'Esarcato d'Italia (che ebbe vita fino al 752) la Chiesa non ebbe il potere civile né quello giudiziario, che rimase monopolio dello Stato. Nel 391-392, nuovi decreti ("Decreti teodosiani") inasprirono le proibizioni verso i culti pagani e i loro aderenti, dando il via a una vera e propria persecuzione del Paganesimo. Teodosio proibì i sacrifici e la divinazione e chiuse i templi. Quasi due anni dopo, una legge vietò ogni tipo di culto pagano, perfino nell’ambito privato. Le pene erano severe: confisca dei beni e ammende salatissime. Mentre ad inizio secolo i cristiani erano quasi tutti favorevoli alla libertà di culto, alla fine del IV secolo, alcuni autorevoli rappresentanti della chiesa cristiani si oppongono alla libertà religiosa e sostengono che lo stato debba intervenire per costringere i pagani a convertirsi al cristianesimo contro la loro volontà. LA COERCIZIONE CRISTIANA Lattanzio (250-dopo 317), una delle principali fonti sulla “grande persecuzione” di Diocleziano, qualche anno dopo il 300 si convertì al cristianesimo e fu costretto a rinunciare al suo incarico di maestro di retorica latina; fu precettore di Crispo, figlio di Costantino. Divinarum institutionum Libri VII o Divinae institutiones (Istituzioni divine), in sette libri, delle quali stese anche un'epitome (compendio): primo tentativo di sintesi dell'insegnamento cristiano, alla confutazione del paganesimo segue l'esposizione delle dottrine cristiane nel tentativo di delineare una continuità tra sapere antico e moderno (per rispondere a chi considerava la produzione letteraria cristiana di bassa qualità). Quest'opera, composta tra il 304 e il 313 con i pagani, confutando i fondamenti ed il culto della loro religione ed espone in maniera sistematica la dottrina cristiana. Lattanzio sostiene che “non è necessario adoperare la violenza e le ingiurie, poiché la religione non può essere imposta: occorre cercare di raggiungere lo scopo con la persuasione piuttosto che con le percosse.” Lattanzio sottolinea che “la religione di dio è cresciuta quanto più è stata oppressa” e sostiene che i cristiani non costringono mai nessuno ad accogliere la loro fede contro la sua volontà, perché “la verità non può andar congiunta con la violenza o la giustizia con la crudeltà”. Per questo “bisogna punire quelli che distruggono la religione”. In netto contrasto con l’appello di Lattanzio alla tolleranza, si trova Firmico Materno ( Siciliano, secondo la sua stessa testimonianza , sarebbe nato a Siracusa all'inizio del IV secolo). Firmico non nacque cristiano e scrisse, ancora pagano i 41 Matheseos libri VIII (un trattato di astrologia composto nel 335 circa). Successiva conversione al Cristianesimo, in circostanze di cui si ignorano causa, luogo e tempo, ma inequivocabilmente testimoniata dall'opera apologetica De errore profanarum religionum, scritta tra il 346 e il 350. L'opera è giunta priva delle pagine iniziali: la parte restante inizia passando in rassegna i culti naturalistici degli elementi dimostrandone l'assurdità. Nella parte finale dell’opera, Firmico si appella a Costanzo e Costante: Prosegue spiegando che sono le scritture stesse ad indicare la necessità della distruzione violenta dei culti pagani e cita il Deuteronomio: Dio spinge i fedeli a uccidere quanti promuovono il culto di altri dei, anche se si tratta di figli, figlie, mogli. Citando un altro passo del Deuteronomio, Firmico sentenzia: “il signore determina la pena per le città nella loro interezza con queste parole: “se in una delle città che il signore ti ha concesso di abitare avrai sentito dire “andiamo a sottometterci agli dei che non conoscete”, passando a fil di spada ucciderai tutti quelli che sono in città. E appiccherai l’incendio alla città.””.Firmico fa un’ultima esortazione: “perciò fate quello che vi ordina, portate a compimento quello che vi comanda”. Uno dei principali teologi del IV secolo, Gregorio di Nazianzio vescovo di Costantinopoli, scrivendo qualche tempo dopo Firmico, disse invece “non ritengo conveniente forzare gli individui invece di persuaderli” (De vita). I TERMINI DELLA QUESTIONE Non è possibile sapere come la pensasse la maggior parte dei cristiani. L’intolleranza religiosa non coincide con l’esclusivismo. Quest’ultimo implica l’impegno ad aderire a un solo insieme di credenze e pratiche religiose. Nel mondo romano, la gran parte degli ebrei era esclusivista quando si trattava di se stessi e tollerante nei confronti di chi non faceva parte della sua comunità L’intolleranza era una cosa diversa. Essa consiste nel respingere le credenze e le pratiche altrui ritenute sbagliate o pericolose. Anche chi aderiva alle tradizioni più inclusive, come ad esempio il paganesimo romano, talvolta manifestava atteggiamenti intolleranti. Non è detto che l’intolleranza si traduca automaticamente in violenza: essa può rimanere un atteggiamento mentale. ATTI DI INTOLLERANZA CRISTIANA Nel libro dell’Esodo c’era l’esplicito comando “distruggerete i loro altari, farete a pezzi le loro stele e taglierete i loro pali sacri. Tu non devi prostrarti ad altro dio, perché il signore si chiama geloso: egli è un dio geloso.” (Es 34). Scoperta nel 1904 a Efeso di un’iscrizione che campeggia sul basamento di una statua di Artemide: “avendo distrutto l’ingannevole immagine della demoniaca Artemide, Demeas ha posto questo segno di verità, onorando dio, che 42 in cui vengono considerati immorali gli spettacoli teatrali e circensi. Paolo maledice chiunque osi proclamare un vangelo diverso dal suo (Gal):” Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!”. Nella prima lettera di Giovanni ( inclusa tra i libri del Nuovo Testamento; è considerata la quarta delle cosiddette «lettere cattoliche». È datata attorno al 100), nella quale l’autore se la prende con alcuni membri della sua comunità che erano convinti che cristo fosse a tal punto divino da non poter essere pienamente umano, l’autore condanna questa idea insieme a quelli che ci credono e li apostrofa come anticristi. Un’altra visione apocalittica attribuita all’apostolo Paolo, relativa ai tormenti a cui saranno sottoposti i dannati, elenca una lunga schiera di cristiani che hanno creduto in dottrine errate e che per questo subiscono tormenti analoghi a quelli dei pagani; il peggiore “sette volte più grande” di ogni altro, è riservato a quei teologi che hanno sostenuto che “il pane e il calice della santa eucaristia non sono il corpo e il sangue di cristo”🡪la teologia eucaristica è più importante della fede stessa in Gesù. LA LOGICA DELLA LEGISLAZIONE ANTIPAGANA Già sotto Costantino, ogni ebreo che avesse fatto del male a un ebreo convertito al cristianesimo doveva essere bruciato sul rogo (cfr. CT). Costanzo decretò che ai cristiani convertiti all’ebraismo si dovevano confiscare tutti i beni. Sotto Teodosio I si decise che ogni cristiano che avesse sposato una donna ebrea sarebbe stato colpevole di adulterio. Furono però anche emanate leggi che tutelavano i diritti degli ebrei nell’impero. Gli eretici (ossia coloro che non riconoscevano il credo niceno) furono proscritti da Teodosio, fu proibito loro di possedere luoghi in cui potessero radunarsi. A un certo punto furono “espulsi dalle città e mandati nei villaggi”. Furono ricercati e costretti a tornare nei paesi dai quali venivano. Per capire la logica implicita che regola questa violenza nei confronti dei pagani, è utile prendere in considerazione quella esplicita nell’intolleranza nei confronti degli eretici. Erano nemici di Dio, che li avrebbe giudicati nell’aldilà. Per questo, giudicarli era compito dei cristiani che avevano il potere in questo mondo. Mutatis mutandis, lo stesso valeva per i pagani. Tale è la prospettiva che emerge nell’accorato appello rivolto da Firmico Materno a Costante e Costanzo II: è Dio stesso a volere che i pagani siano sterminati. Un giudizio analogo, in questo caso non sulle persone, ma sulle suppellettili di culto pagane è espresso da Agostino d’Ippona.” Dio, la cui parola è verità, ha predetto che le immagini dei falsi dèi sarebbero state rovesciate e comanda che ciò sia fatto.”; il teologo sottolinea che è “ciò che Dio vuole, ordina, proclama” (Epistola 91 e Omelia 14). Giuliano l’Apostata non condannò a morte alcun cristiano; semmai gli rese la vita più difficile; fortunatamente per la chiesa era morto presto. Il paganesimo non poteva essere lasciato morire di morte naturale: gli sforzi fatti da Giuliano per promuovere il paganesimo finirono per accelerarne la scomparsa, stimolando i suoi successori cristiani. APPELLI PER LA TOLLERANZA Tertulliano invoca la libertà religiosa: Altrove invita i suoi avversari a non violare la libertà umana, “sopprimere la libertà religiosa e interdire la scelta della divinità […]. Nessuno, neppure un uomo, desidera omaggi forzati.” (Apologetico). Questi appelli caddero nel vuoto. L’oratore Temistio (317-388 e.v.) , per oltre 30 anni, da Costantino II a Teodosio, ebbe un ruolo decisivo nel governo dell’impero. Era un pagano e un sostenitore della libertà religiosa. Tra i discorsi di Temistio che sono giunti fino a noi, c’è quello pronunciato il I gennaio 364, in occasione dell’intonazione di Gioviano, che succedeva a Giuliano. Secondo lui, il nuovo imperatore aveva compreso che: 45 In altre parole, un imperatore non dovrebbe legiferare sulla virtù o sulla religione. Secondo Temistio è importante permettere che “il modo di esercitare l religiosità” dipenda “dalla volontà di ciascuno”. Non esiste una sola strada per arrivare alla verità: “tu comprendi che, pur essendo uno solo il vero e grande giudice, la strada per giungere fino a lui non è unica”. Nel 382, quando l’imperatore Graziano rimosse dal senato l’altare della dea Vittoria (posto da Ottaviano Augusto), con grande costernazione dei tradizionalisti pagani. Un politico e oratore, Simmaco, pubblicò un appello rivolto a Valentiniano II, per chiedergli che l’altare fosse ricollocato. Simmaco sottolinea che le antiche usanze religiose hanno garantito il successo di Roma: “questo culto ha sottomesso il mondo. “Tutti dovrebbero praticare il culto secondo i dettami della propria coscienza: L’EFFICACIA DELLA COERCIZIONE E’ difficile riuscire a costringere qualcuno a cambiare idea con la forza: lo si può costringere al massimo a modificare i propri modelli di comportamento. I cristiani non uccidono sistematicamente quei pagani che non volevano convertirsi, è difficile accogliere la spiegazione proposta da alcuni studiosi per i quali la violenza e la coercizione furono fondamentale per la diffusione del cristianesimo. IN SINTESI Come ha argomentato più volte Peter Brown , storico di Princeton, nel IV e nel V secolo pagani e cristiani in genere andavano d’accordo e cercavano di cooperare. Questo accadeva di sicuro nelle alte sfere del governo dell’impero, le cui priorità esulavano dall’esigenza di realizzare l’unità religiosa. Si doveva innanzitutto assicurare il funzionamento dell’impero. Per questo era necessario fare in modo che le entrate aumentassero, sedare eventuali tumulti e difendere i confini. Ai vertici dell’impero c’erano politici ben consci del fatto che per governare in modo efficiente fosse necessario scendere a compromessi. Secondo Brown, quando bisognava raggiungere un ceto obiettivo, costoro sapevano usare molto bene “l’arte del lecito”. Si trattava di obiettivi ampiamente condivisi dai membri delle fasce più alte dell’aristocrazia che avevano ruoli di potere, fossero essi cristiani o pagani. Brown e altri storici hanno mostrato che i cristiani di un certo livello intellettuale e che ricoprivano cariche importanti aveva più cose in comune con i loro colleghi pagani che con i cristiani appartenenti alle classi sociali più basse. Tuttavia, anche in assenza di massicci tentativi di coercizione, non si può ignorare che il cristianesimo abbia continuato a crescere. C’erano leggi che proibivano i riti pagani e c’erano occasionali atti di violenza. Anche se tale coercizione nel breve periodo quasi certamente non ebbe alcun effetto sui culti tradizionali, è facile intuire quali ne siano state le conseguenze nel lungo periodo. A differenza del cristianesimo, il paganesimo non fu mai dichiarato legale dopo un breve periodo di persecuzione. La gente continuò a convertirsi, in numero sempre maggiore. Man mano che l’aristocrazia si convertiva, destinava le risorse di cui disponeva alla chiesa. Il paganesimo non fu distrutto con la violenza: si potrebbe dire che morì di morte naturale, essendo stato privato delle sue risorse e del favore dell’opinione pubblica. CAP 10 EPILOGO: GUADAGNI E PERDITE L’areopago (collina di Ares) è il luogo in cui l’apostolo Paolo, giunto ad Atene durante il suo secondo viaggio missionario, avrebbe rivolto un discorso ai filosofi epicurei e stoici. Paolo era venuto ad Atene per annunciare Gesù, quindi salì sull’areopago per parlare a un gruppo di filosofi che vi si incontrava regolarmente. Iniziò il suo discorso dicendo di aver visto nella città molti templi e idoli e di essere stato colpito in modo particolare da un altare dedicato a un “dio ignoto”. Paolo spiega che forse gli ateniesi non conoscono quel dio, ma è il Dio che regna sovrano sugli altri dei, il principio divino, quello che ha creato i cieli e la terra; è il Dio che presto giocherà il mondo per mezzo di Gesù, 46 da lui stesso resuscitato dalla morte e reso strumento del suo prossimo giudizio sul mondo. Paolo, nonostante fosse stato maltrattato e calunniato, alla fine aveva vinto ed il cristianesimo ha conquistato la civiltà occidentale. Se nell’anno 400 quasi metà dell’impero era cristiana, nel 500 lo era la maggioranza. Dopo la deposizione di Romolo Augustolo, la chiesa divenne sempre più forte. Di fatto, a un certo punto i pontefici romani pretesero di governare l’occidente. Nell’VIII/IX secolo apparve un documento noto come “Donazione di Costantino”, secondo il quale il primo imperatore cristiano avrebbe attribuito il dominio di tutte le province occidentali al vescovo di Roma. Fu intorno alla metà del XV secolo che si scoprì che questo documento era un falso. Fino ad allora costituì la giustificazione del controllo dell’Europa occidentale da parte dei pontefici. Nel XIII secolo, Gregorio IX (papa tra il 1227 ed il 1241) usò questo documento nella lotta che lo vide contrapporsi a Federico II di Svevia, sostenendo: “Costantino ha lasciato al vescovo di Roma le insegne imperiali e lo scettro, la città con la sua contea e anche l’impero, perché ne avesse il controllo in eterno”. Bonifacio VIII (1294-1301) dichiarò: “io sono cesare, io sono l’imperatore”. Quanto era estraneo al cristianesimo per lo più sparì nel nulla. Una parte importante della cultura pagana fu cancellata o comunque non ebbe un seguito. Molte opere letterarie sono andate perdute per sempre. Non necessariamente sono stati dati alle fiamme dall’intransigenza dei cristiani: in alcuni casi è accaduto, ma più semplicemente, non sono stati trascritti dai monaci medievali. Uno degli aspetti più significativi del paganesimo antico, considerato nel suo complesso, era la sua propensione ad accogliere e a compiacersi della diversità. Con il trionfo del cristianesimo, tutto ciò andò perduto. Religione, filosofia e mito risultarono inseriti in un discorso religioso totalizzante, un discorso cioè che investiva nel suo insieme la vita di quanti vi avevano aderito, incidendo non solo sulle usanze cultuali, ma anche sui principi morali ai quali facevano ricevimento, sui racconti con i quali narravano il divino e sulla prospettiva entro la quale concepivano non soltanto Dio, ma alla stessa realtà. Oltre a conquistare un impero, il cristianesimo mutò radicalmente l’esistenza di quanti lo abitavano. Si trattò di una rivoluzione che interessò le pratiche di governo, la legislazione, l’arte, la letteratura, la musica, la filosofia e l’essenza stessa di ciò che è stato ritenuto umano da miliardi di individui. Non si può negare che la cristianizzazione dell’Occidente sia stata la più grande trasformazione cultuale a cui il mondo abbia mai assistito. CRONOLOGIA 47