Scarica Urbano e urbanizzazione e più Appunti in PDF di Filosofia Politica solo su Docsity! SCIENZA & POLITICA, vol. XXIV, no. 56, 2017, pp. 223-239 DOI: https://doi.org/10.6092/issn.1825-9618/7112 ISSN: 1825-9618 223 SCIENZA & POLITICA per una s tor ia de l l e dott r ine Una città-pianeta? Introduzione alla traduzione di: «Quand la ville se perd dans la métamorphose planétaire» di Henri Lefebvre A Planet-City? Introduction to the Translation of «Quand la ville se perd dans la métamorphose planétaire» by Henri Lefebvre Niccolò Cuppini Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI)
[email protected] A B S T R A C T Presentiamo la traduzione inedita di un articolo del 1989 di Henri Lefebvre uscito su Le Monde Diplomatique. Uno scritto breve ma estremamente denso, che al contempo sintetizza la visione complessiva emanata dall'opera di Lefebvre e getta i presupposti per andare oltre sé stessa. L'intro- duzione al testo colloca storicamente la prestazione lefebvriana, mostrando la genesi di questo arti- colo e riprendendo alcune delle principali tematiche alle quali esso si riferisce. Vengono inoltre proposte una disamina dell'attuale Lefebvre reinassance e alcune chiavi di lettura per una traduzio- ne attuale di alcuni dei principali nodi affrontati da Quand la ville se perd dans la métamorphose planétaire. PAROLE CHIAVE: Urbanizzazione; Città; Spazio; Globalizzazione; Scale. ***** We present here the original translation of an article published in 1989 by Henri Lefebvre on Le Monde Diplomatique. A short but extremely dense piece, where Lefebvre's vision finds a synthesis and the premises for its overcoming at the same time. The introduction to the article historically frames Lefebvre's work, showing the genesis of this article and discussing some of its main topics. Furthermore, the introduction critically analyses the contemporary Lefebvre's reinassance and pro- poses some interpretations for a contemporary translation of the most important topics addressed by Quand la ville se perd dans la métamorphose planétaire. KEYWORDS: Urbanization; City; Space; Globalization; Scales. LEFEBVRE, Quand la ville se perd SCIENZA & POLITICA vol. XXIV, no. 56, 2017, pp. 223-239 224 Henri Lefebvre è autore di un’opera complessa e articolata. Scrive moltis- simi testi tra gli anni Venti e sino alla morte nel 1991, ed è possibile in termini generali collocarlo nel solco delle nuove interpretazioni del laboratorio teorico marxiano in opposizione ai partiti comunisti europei proliferate tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Attraversa svariate discipline (dalla filosofia all'urbani- stica, dalla teoria politica all'antropologia alla sociologia) e sviluppa riflessioni su Nietzsche e lo strutturalismo, è un grande studioso di Marx, abbraccia e poi getta Hegel. Lavora sull'analisi dei sistemi di produzione e sulla forza la- voro, passa da una minuziosissima analisi della vita quotidiana alla conside- razione del capitalismo globale. Sovrappone svariati punti di vista: se per lui la critica della vie quotidienne si sviluppa come la gravità quantistica (più si guarda nel piccolo più si può comprendere l'intera struttura della vita sociale), al contempo sostiene sempre l'esigenza di una teoria “alta” e olistica. La co- stellazione teorica che produce è dunque alla continua ricerca di una coerenza interna, che nel corso dell'esistenza gli fa piovere addosso molteplici critiche, spesso provenienti dai suoi stessi ambienti. Non a caso Manuel Castells, suo assistente a Nanterre, in The Urban Question lo critica sostenendo che Lefeb- vre avrebbe sviluppato un feticismo esagerato per lo spazio, e che in definitiva egli non abbia fatto altro che elaborare una teoria spaziale della problematica di Marx1. Ma anche a livello “politico” subisce numerose contestazioni. Passa- to dal PCF a una forte indipendenza, viene criticato dai gruppi del cosiddetto situazionismo, che lo accusano di non esser sceso nelle strade coi movimenti. Il situazionismo si è d'altra parte nutrito delle riflessioni urbane di Lefebvre, ma egli viene progressivamente contrapposto all'altro faro del movimento, Guy Debord, che parla di lui come di un «agente di recupero»2. Il pensiero di Lefebrve ha vissuto inabissamenti e momenti di forte emer- sione pubblica. Portato alla ribalta al di fuori degli ambienti francofoni grazie a David Harvey, che ne propone una lettura rigidamente marxista durante gli anni Settanta, negli anni Novanta viene ripreso dal geografo Edward W. Soja, che all’interno della L. A. School ne propone un’interpretazione di taglio post- modernista. È però con il nuovo millennio che si assiste a una diffusione pie- namente globale del pensiero dell’autore francese, una vera e propria Lefebvre 1 M. CASTELLS, The Urban Question: A Marxist Approach (1972), London, Arnold, 1977, p. 87. 2 Cfr. A. MERRIFIELD, Metromarxism. A Marxist Tale of the City, New York, Routledge, 2002, p. 92. SCIENZA & POLITICA vol. XXIV, no. 56, 2017, pp. 223-239 227 nella prosa di Walter Benjamin o nelle rappresentazioni dell’avanguardia arti- stica. Tuttavia l’interesse per l’urbano si sviluppa in Lefebvre solo in un’età già matura, di fronte al costituirsi della “città-piano” nel secondo dopoguerra. Durante gli anni Quaranta infatti egli si caratterizza come sociologo rura- le, e solo nel 1970 arriverà a formulare la tesi su «l'urbanizzazione completa della società»9 che ha garantito una diffusione del suo sapere fino a oggi. Non è dunque la distruzione creativa operata dalla metropoli ottocentesca e primo novecentesca quella che inquadra Lefebvre, quanto il tentativo di contenerne gli effetti conflittuali e antagonistici attraverso il welfare e il ricorso alla piani- ficazione urbanistica. Lefebvre vive a Parigi, dove da metà anni Cinquanta e per il successivo ventennio circa un quarto dell'intera superficie urbana viene demolito e rico- struito, con l'annessa espulsione di oltre mezzo milione di abitanti verso i su- burb. In questo periodo si assiste inoltre alla costruzione della périphérique, un gigantesco boulevard circolare di trentacinque chilometri10. Linea di con- fine tra la città e il suo hinterland, è la tipologia più moderna di mura. Delle mura piatte, che più che in passato segnano con nettezza un perimetro tra un dentro e un fuori racchiudendo quello che diverrà stabilmente il Centro. Si consolida di conseguenza la Periferia (périphérique, appunto), nuovo habitat per working class e migranti. E, simbolicamente e materialmente, di fronte alla repentina espansione urbana, la dicotomia centro-periferia si sovrappone e sostituisce, definitivamente, alla tradizionale distinzione tra città e campa- 9 H. LEFEBVRE, La rivoluzione urbana, Roma, Armando editore, 1970, p. 7. 10 L'idea di una cinta tangenziale per lo scorrimento automobilistico non è certo inventata da Pa- rigi, basti pensare che il Grande raccordo anulare viene costruito a Roma nel primo dopoguerra. È anzi un paradigma di organizzazione urbana che nel corso di quegli anni sostanzialmente si inscrive in tutte le città europee con un segno duraturo sul paesaggio urbano. Ma a Parigi ha un forte connotato simbolico. Già negli Stati Uniti le prime freeway, le autostrade urbane che sosti- tuiscono le linee pubbliche di trasporto di massa su binari, trasformano a partire dagli anni Cin- quanta le vie in altrettante muraglie che dividono i quartieri ricchi da quelli poveri (Cfr. J. ABU- LUGHOD, New York, Chicago, Los Angeles: America's Global Cities, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1999, pp. 198, 253-254.). Ma queste strade che, a differenza del passato, divido- no piuttosto che congiungere, mettendo definitivamente fine alla città storica, sono particolar- mente emblematiche a Parigi perché è qui evidente come la metropoli inizi a costruire le proprie colonie interne. Il processo di diffusione delle banlieue caratterizza il territorio francese, e in par- ticolare la Capitale, per tutti gli anni Sessanta e Settanta. La sostenuta migrazione degli anni Ses- santa ha un carattere intimamente connesso al processo di decolonizzazione. Dalla Seconda guer- ra mondiale agli anni Sessanta termina infatti sostanzialmente l'Impero francese, ma ciò defini- sce un notevole afflusso di popolazione ex-coloniale nella metropoli. È esattamente dentro questo passaggio che la metropoli diviene dispositivo di produzione di confini su una scala geografica che muta, mischiando più livelli coi quali prima si organizzava gerarchicamente il mondo da par- te europea. Parigi del dopoguerra è dunque un continuo processo di ricostruzione della dicotomia centro/periferia, metropoli/colonia, all'interno dello spazio nazionale. Dove evidentemente la partita in atto non si limita esclusivamente alle popolazioni provenienti dalle ex colonie, ma coin- volge una complessiva ridefinizione della composizione sociale. Per una analisi di come Lefebvre affronta il tema Cfr. S. KIPFER – K. GOONEWARDENA, Urban Marxism and the post-colonial que- stion: Henri Lefebvre and ‘colonization’, «Historical Materialism», 21, 2/2013, pp. 76-117. LEFEBVRE, Quand la ville se perd SCIENZA & POLITICA vol. XXIV, no. 56, 2017, pp. 223-239 228 gna11. Ma è proprio quando viene inaugurata la périphérique (1973) che il modello welfarista e della città-piano entra in un profondo subbuglio, per la- sciare spazio a una città-crisi che apre le porte a quello che verrà successiva- mente codificato come neoliberalismo urbano12. Del quale una delle caratteri- stiche precipue risiede proprio nella radicale messa in discussione del Piano, con la sua tendenziale rigidità e il suo tentativo di stabilire un ordine fisso. Questo è l'elemento che viene “attaccato” dalle ristrutturazioni produttive e istituzionali a partire dagli anni Settanta. L'inaugurazione della périphérique porta dunque a termine il processo della città-piano. A termine in senso lette- rale: il più alto esempio di realizzazione di una pianificazione urbanistica in grado di disegnare sulla carta e poi tradurre sul territorio un progetto di città segna infatti l’apogeo e la crisi del modello. Il movimento centro-periferia all'interno del quale si struttura la metropoli si manifesta infatti soprattutto come una ininterrotta periferizzazione. Il passaggio dalla città-piano alla cit- tà-crisi13 segnala inoltre il passaggio da una logica di funzionamento dell’ordine (urbano) che passa dall’essere considerato stabile al divenire costi- tutivamente mobile, e in cui la crisi (politica prima che economica) viene co- stantemente presupposta. In questo scarto viene messa in discussione la ca- pacità dello Stato di governare i processi urbani, inaugurando una stagione (che in larga misura perdura sino ai nostri giorni) di evoluzione dei territori secondo nuove razionalità logistiche nelle quali le funzioni di governo sono sempre meno statali14. Di tutti questi sommovimenti è informata la teoria lefebvriana. La città che ha in mente Lefebvre è inserita, marxianamente, all'interno dei rapporti sociali e della divisione del lavoro («l’“urbano” interviene come tale nella pro- duzione (nei mezzi di produzione)»15). Quella che viene ben presto definendo come «crisi della città» è il disgregarsi dello specifico assemblaggio socio- economico del capitalismo fordista e dello Stato keynesiano. È da questa tra- ma che emerge l'idea de Il diritto alla città, dove si passa dalle analisi più spe- cifiche degli anni precedenti a una teoria generale. Dopo che l'industria si è 11 Una distinzione che Lefebvre mette in relazione al tema «usato e abusato con superfetazioni ed estrapolazioni, distorcendolo, [che] è quello del rapporto fra “natura e cultura”» (H. LEFEBVRE, Il diritto alla città (1968), Verona, Ombre corte, p. 72). Il filosofo è ad ogni modo estremamente cauto rispetto al pensare un oltrepassare tale dicotomia, affermando che «il superamento può realizzarsi solo a partire dall'opposizione tessuto urbano-centralità. Il che richiede l'invenzione di nuove forme urbane» (p. 74). 12 Cfr. ad esempio D. HARVEY, Neoliberalism and the City, «Studies in Social Justice», 1, 1/2007, pp. 2-13; J. PECK – A. TICKELL, Neoliberalizing Space, Antipode, 34, 3/2002, pp. 380–404; J. ROBINSON, The Travels of Urban Neoliberalism: Taking Stock of the Internationalization of Ur- ban Theory, «Urban Geography», 32, 8/2011, pp. 1087-1109. 13 Si adottano i due termini in analogia con l’elaborazione proposta in A. NEGRI, Crisi dello Stato- piano. Comunismo e organizzazione rivoluzionaria (1971), Milano, Feltrinelli, 1979. 14 Cfr. N. CUPPINI, Dissolving Bologna: Tensions between Citizenship and The Logistics City, «Citizenship Studies», 21, 4/2017, pp. 495-507. 15 H. LEFEBVRE, Il diritto alla città, p. 76. SCIENZA & POLITICA vol. XXIV, no. 56, 2017, pp. 223-239 229 «impadronita» della città16, definita come una «proiezione della società sul territorio»17, industrializzazione e urbanizzazione iniziano a comporre un «processo dialettico»18 in cui la citta fuoriesce da se stessa e de-genera. Lefeb- vre pare aver la percezione di muoversi in una zona di frontiera, un punto li- mite verso mete inedite, in quanto il processo viene visto come in pieno e tu- multuoso corso. Osserva una dinamica di «implosione-esplosione»19 della cit- tà che produce un «tessuto urbano» tendente a ricoprire l'intero territorio come una «maglia sempre più stretta»20. Una stiratura che eccede i confini nazionali, si estende sui mari, si fa territorio, attraverso però reti e “buchi”. Questo insieme di tendenze individuate sul finire degli anni Sessanta giunge dunque a maturazione vent’anni dopo, imponendo un nuovo salto in- terpretativo che inizia a emergere nel Quand la ville. Il testo tiene infatti as- sieme molte delle tematiche che hanno contraddistinto la produzione di Le- febvre, e appare come un tentativo di rilanciarle, finendo dunque per occupa- re all’interno della sua produzione una posizione estrema ma al contempo ba- ricentrale. Iniziando a discendere direttamente nel testo, una prima conside- razione da fare è che la riflessione di Lefebvre si è sempre mossa su un piano “generale”, e ora questa tensione pare aver trovato più comodamente che in passato un proprio posto. Una posizione tuttavia estremamente complessa, come si può dedurre dal lessico utilizzato in proposito nel testo. Nella tradu- zione qui proposta si è valutato di ricorrere principalmente al lemma «globa- le» per mantenere una maggiore aderenza all’italiano. Va tuttavia segnalato che in francese la parola «global» ha una sfumatura di significato che la ri- conduce all’inquadrare proposizioni di validità generale, mentre viene usato «mondial» per indicare la dimensione della globalizzazione («mondialisa- tion»). Ma ecco un’altra complicazione. Lefebvre usa molto, a partire dal tito- lo, anche la dizione «planétaire», avendo tra i fuochi concettuali principali quella che definisce come «un'ulteriore minaccia: la planetarizzazione dell'urbano [che] si estenderà su tutto lo spazio»21. A tutto ciò va aggiunto anche il riferimento a «la Terre», che in francese come in italiano indica sia il pianeta che la materia terrestre. Dunque: globo, mondo, pianeta, Terra. Il tut- 16 Ivi, p. 22. 17 Ivi, p. 163. 18 Ibidem. 19 Immagine recentemente ripresa in N. BRENNER (ed), Implosion/Explosion. Towards a study of planetary urbanization, Berlin, Jovis, 2013. 20 H. LEFEBVRE, Il diritto alla città, p. 23. 21 A questa affermazione segue: «questa estensione mondiale contiene il grande rischio dell'omo- geneizzazione dello spazio e della scomparsa delle differenze. Ma all'omogeneizzazione si accom- pagna una frammentazione. Lo spazio si divide in particelle acquistabili e vendibili il cui prezzo dipende da una gerarchia». La simultaneità di omogeneizzazione e frammentazione è uno dei temi sui quali Lefebvre ritorna spesso nella sua opera. LEFEBVRE, Quand la ville se perd SCIENZA & POLITICA vol. XXIV, no. 56, 2017, pp. 223-239 232 flessione critica. A ciò va aggiunto il rilievo che in questo testo Lefebvre pone rispetto al tema dell’“informazione”, delle sue infrastrutture e tecnologie, e del profondo rapporto che essa intrattiene con la metamorfosi urbana. Una que- stione di evidente attualità nel momento in cui Internet e processi di digitaliz- zazione legati alla diffusione di nuove tecnologie stanno aprendo frontiere e scenari inediti di trasformazione della città29. Da segnalare in proposito come una sensibilità rispetto al nodo sulle mutazioni informativo-tecnologiche in relazione alle trasformazioni urbane fosse già emersa nella sociologia urbana americana, in particolare nel lavoro di Louis Wirth, che nel 1938 scriveva: «è ovvio che i sintomi che indicheranno il probabile sviluppo dell'urbanesimo come modo di vita sociale si debbano cercare in relazione alle tendenze emer- genti nel sistema delle comunicazioni, e alla tecnologia della produzione e di- stribuzione [...]. La direzione dei cambiamenti in atto nell'urbanesimo tra- sformerà, nel bene o nel male, non solo la città, ma il mondo»30. Quand la ville consente inoltre, come già affermato, di aggiornare la pro- duzione lefebvriana a cavallo del 1968, che resta quella più conosciuta e di- scussa. Mentre lì ad esempio «s'intravvede la crisi della città […] il nucleo ur- bano (parte fondamentale dell'immagine e del concetto di città) scricchiola ma resiste […] non ha lasciato posto a una nuova e ben definita “realtà”, così come il villaggio aveva visto nascere la città. Tuttavia il suo regno sembra fini- re»31, ora «il centro storico in quanto tale è scomparso. Non ne restano che centri decisionali e di potere, da una parte, e spazi fittizi e artificiali dall'altra. È vero, la città persiste, ma solo con tratti museificati e spettacolarizzati». La città, o meglio, la città su cui si è focalizzato Lefebvre (quella welfarista, per semplificare), è dunque morta nel 1989, ma ora anche «l'urbano, inteso e vis- suto come pratica sociale, si sta deteriorando ed è probabilmente in via di scomparsa». Laddove vent’anni prima se ne annunciava l’irrefrenabile e rivo- luzionario divenire, ora anche l’urbano, col suo farsi planetario e con «le rela- zioni sociali [che] tendono a divenire internazionali» tramite le migrazioni e la diffusione delle tecnologie comunicative, viene posto come in evaporazione. Eppure proprio qui risiede uno dei punti di debolezza di questo approccio. Se infatti con Lefebvre si può ora guardare lo spazio esploso del capitalismo globale in contrapposizione alla concezione dello stesso come fosse una super- ficie omogenea, la geometria politica che ne deriva rischia di risultare eccessi- 29 Da segnalare come una sensibilità rispetto al nodo sulle mutazioni informativo-tecnologiche in relazione alle mutazioni urbane fosse già emersa nella sociologia urbana americana, in particolare nel lavoro di Louis Wirth è ovvio che i sintomi che indicheranno il probabile sviluppo dell'urba- nesimo come modo di vita sociale si debbano cercare in relazione alle tendenze emergenti nel sistema delle comunicazioni, e alla tecnologia della produzione e distribuzione [...]. La direzione dei cambiamenti in atto nell'urbanesimo trasformerà, nel bene o nel male, non solo la citta, ma il mondo 30 L. WIRTH, L'urbanesimo come modo di vita (1938), Milano, Armando Editore, 1998, p. 90. 31 H. LEFEBVRE, Il diritto alla città, p. 26. SCIENZA & POLITICA vol. XXIV, no. 56, 2017, pp. 223-239 233 vamente aleatoria. Certo, Lefebvre guarda ancora alla dissoluzione degli equi- libri keynesiano-fordisti e muore pochi mesi prima della caduta dell’Unione Sovietica, dunque tale considerazione va intesa interamente sul presente. In questo senso molti che attualmente usano Lefebvre tendono o a una ripresa tendenzialmente acritica e letterale, nonostante il radicale passaggio interve- nuto rispetto all’epoca degli studi urbani di Lefebvre, oppure tendono a met- terne in luce aspetti che, pur rilevanti, risultano comunque parziali e dunque fuorvianti se usati per costruire una teoria complessiva. Rescaling, molteplici- tà spaziali, contingenza e variegatezza degli assemblaggi socio-politici, tratti tipici (ed evidentemente importanti a livello fenomenologico) delle attuali let- ture neo-lefebvriane, rischiano di condurre verso vicoli ciechi in termini poli- tici. Per Lefebvre infatti, come si è cercato qui di mostrare, contraddizioni e paradossi sono i binari dell’ermeneutica, e alla fitta lettura sulle dinamiche di frammentazione ed eterogeneizzazione fa sempre da contraltare la ricerca delle matrici unificanti del rapporto di capitale, dotando quindi costantemen- te le proprie teorizzazioni di un potente sfondo di immaginazione geografica, ossia politica. È questo l’aspetto che rischia di perdersi e che si tratta invece di tentare di riattivare del laboratorio lefebvrano. In Quand la ville se perd dans la métamorphose planétaire questa immaginazione, come detto in preceden- za, si dà per tinte prevalentemente fosche. Il vortice in cui si sconvolgono re- ciprocamente l’urbano e il globale pare destinato a far sparire per sempre la città, dunque la politica. Eppure, come scriveva lo stesso Lefebvre in Le droit à la ville, «[la città], questa mirabile forma sociale e opera per eccellenza della pratica e della civiltà, si distrugge e si ricostruisce sotto i nostri occhi»32. Qui sta il punto. La città è un concetto e quindi un fenomeno storico-politico in continua mutazione, di cui sono esistite infinite generazioni, tipologie, strate- gie. Il salto che si tratta di fare è dunque all’interno ma anche contro le sugge- stioni di Lefebvre. Si tratta ossia di rilanciare un’idea di città sulla dimensione che oggi essa ha assunto: quella compiutamente globale. In questo passaggio una città, quella di Lefebvre, si dissolve, ma un’altra ne sta sorgendo. Una cit- tà-pianeta in un mondo che non è più comprensibile attraverso la metafora delle scale geografiche33, la cui superficie è sempre più ricoperta di una fitta trama urbana, e con una civitas globale sempre più divisa. È su questa città- pianeta che si tratta probabilmente ora di lavorare. 32 H. LEFEBVRE, Il diritto alla città, p. 79. 33 Cfr. F. FARINELLI, Il mondo non è più fatto a scale, «Dialoghi internazionali», 2/2010, pp. 156- 167. LEFEBVRE, Quand la ville se perd SCIENZA & POLITICA vol. XXIV, no. 56, 2017, pp. 223-239 234 Pagina intenzionalmente bianca SCIENZA & POLITICA vol. XXIV, no. 56, 2017, pp. 223-239 237 quella che oggi chiamiamo «urbanistica», che si riassume nel definire linee guida estremamente rigide per la creazione architettonica e col fornire vaghis- sime informazioni per le autorità e per le amministrazioni. A parte pochi me- ritevoli sforzi, l'urbanistica non ha assunto lo statuto di un vero pensiero della città. Anzi, si è man mano rattrappita fino a diventare una sorta di catechismo per tecnocrati. Come mai tutte queste ricerche e approfondimenti non sono riusciti a rea- lizzare una città viva e vivibile? È semplicistico incriminare il capitalismo e il criterio di redditività e di controllo sociale. Questa risposta è ancora più insuf- ficiente dal momento in cui anche il mondo socialista riscontra le stesse diffi- coltà e gli stessi scacchi. Non c’è pertanto bisogno di interrogare e mettere in discussione il modo di pensare occidentale? Dopo così tanti secoli, il nostro pensiero è ancora attaccato alle sue origini, che affondano nella terra. Non è ancora divenuto compiutamente cittadino e non ha saputo produrre che una concezione esclusivamente strumentale dell'urbano. Questa concezione regna dai Greci e ha formato il loro pensiero. Per loro la città è uno strumento di or- ganizzazione politica e militare. Essa diviene un luogo religioso durante il Medio Evo, per poi accedere allo statuto di strumento riproduttivo della forza lavoro con l'arrivo della borghesia industriale. Fino ad ora solo i poeti hanno concepito la città come la dimora dell'Uomo. È così possibile spiegare un fatto davvero sorprendente: il mondo socialista ha preso coscienza solo lentamente e con ritardo dell'immensa importanza delle questioni urbane e del loro carat- tere decisivo per poter costruire una nuova società. Ciò costituisce il terzo pa- radosso. Pesanti minacce gravano sulla città in generale e su ogni città in particola- re. E queste minacce s'aggravano di giorno in giorno. Le città soccombono sotto la doppia dipendenza dalla tecnocrazia e dalla burocrazia, ossia dalle istituzioni. In altre parole: il sistema istituzionale è il nemico della vita urba- na, di cui paralizza il divenire. Le nuove città mostrano fin troppo visibilmen- te i marchi della tecnocrazia, segni indelebili che contrassegnano l’impotenza di tutti i tentativi di animarle, sia grazie all'innovazione architettonica, all'in- formazione, all'animazione culturale o alla vita associativa. È evidente a tutti che le municipalità si organizzano sul modello statale, riproducendo in picco- lo le abitudini di gestione e di dominio dell’alta burocrazia di Stato. I diritti teorici del cittadino e la possibilità di esercitarli pienamente si riducono per gli abitanti della città. Non si fa che parlare di decisione e dei poteri di deci- sione, ma alla fine questi poteri rimangono nelle mani delle autorità. Ancor più si discute dell'informazione e delle tecnologie dell'informazione alla scala municipale. Il cablaggio, per esempio, garantisce un nuovo diritto al consumo LEFEBVRE, Quand la ville se perd SCIENZA & POLITICA vol. XXIV, no. 56, 2017, pp. 223-239 238 dell'informazione, ma non dà un nuovo diritto a produrla. A meno che non si considerino tali gli inganni della comunicazione che chiamiamo «interattiv- tà». Il consumatore di informazione non ne produce, e il cittadino resta sepa- rato dal produttore. Ancora una volta, si è cambiata la forma della comunica- zione all'interno del milieu urbano, ma non i contenuti. Un'ulteriore minaccia: la planetarizzazione dell'urbano. Se non interverrà nulla per controllare questo movimento, nel corso del prossimo millennio l'urbano si estenderà su tutto lo spazio. Questa estensione mondiale contiene il grande rischio dell'omogeneizzazione dello spazio e della scomparsa delle differenze. Ma all'omogeneizzazione si accompagna una frammentazione. Lo spazio si divide in particelle acquistabili e vendibili il cui prezzo dipende da una gerarchia. È così che lo spazio sociale, omogeneizzandosi, si frammenta in spazi di lavoro, di piacere, di produzione materiale, e di servizi diversi. Mentre si afferma questa differenziazione, emerge un altro paradosso: le classi sociali si gerarchizzano inserendosi nello spazio, e questo moto sta accelerando anzi- ché ridursi, come invece molti vorrebbero far credere. Presto sulla superficie della Terra non rimarranno che isole agricole e deserti di cemento. Da qui l'importanza della questione ecologica: è infatti corretto affermare che il con- testo di vita e la qualità dell'ambiente assurgono oggi al rango di vere e pro- prie urgenze e di problematiche politiche. Se s’accetta questa analisi, le pro- spettive e l'azione mutano in profondità. Bisogna ridare centralità a forme che ben conosciamo ma alquanto trascurate, come la vita associativa o l'autoge- stione, che assumono nuovo contenuto se applicate all'urbano. Si tratta dun- que di sapere se il movimento sociale e politico possa formularsi e ri- articolarsi attorno a questioni specifiche ma ciò nonostante concrete riguar- danti tutte le dimensioni della vita quotidiana. A prima vista la quotidianità appare molto semplice, fortemente segnata dalla ripetitività. Ma chi la analizza ne scopre ben presto la complessità e le dimensioni multiple: fisiologiche, biologiche, psicologiche, morali, sociali, estetiche, sessuali ecc... Nessuna di queste dimensioni è fissa una volta per tutte, e ciascuna di esse può diventare oggetto di molteplici rivendicazioni nella misura in cui la vita quotidiana rappresenta il nesso più attraversato dal- le contraddizioni della pratica sociale. Queste contraddizioni si rivelano esse stesse poco alla volta. Per esempio tra il gioco e la serietà, così come tra l'uso e lo scambio, tra il commerciale e il gratuito, il locale e il mondiale ecc... Soprat- tutto nella città, il gioco e la serietà si presentano come simultaneamente con- trapposti e mescolati; abitare, andare per strada, comunicare e parlare, sono azioni sia serie che ludiche. Il cittadino e l'abitante della città sono stati dissociati. Essere cittadini si- gnificava soggiornare a lungo in un territorio. Ma nella città moderna l'abi- SCIENZA & POLITICA vol. XXIV, no. 56, 2017, pp. 223-239 239 tante è in perenne movimento; circola; se è fisso, ben presto si stacca dal suo luogo o cerca di farlo. Inoltre, nella grande città moderna, i rapporti sociali tendono a divenire internazionali. E questo non solo a seguito dei fenomeni migratori ma anche, e soprattutto, grazie alla molteplicità delle tecnologie di comunicazione - per non parlare della mondializzazione del sapere. Questi elementi non rendono allora necessario riformulare il quadro della cittadi- nanza politica? Cittadino e abitante della città dovrebbero incontrarsi, senza per questo confondersi. Il diritto alla città non implica nulla di più che una concezione rivoluzionaria della cittadinanza politica.