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Diritto dell'Unione Europea. Parte speciale, estratto "Sapienza", Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

I riassunti semplificano e sostituiscono completamente il manuale. Sono aggiornati all'ultima edizione del 2022 ed integrati con gli appunti delle lezioni. Esame superato con 30

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 13/06/2023

Francescolrc
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Scarica Diritto dell'Unione Europea. Parte speciale, estratto "Sapienza" e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! Documento soggetto alla normativa in vigore sul diritto d’autore, L. 633/1941 aggiornato, da ultimo, con le modifiche apportate dal Decreto legislativo 8 novembre 2021, n.115, convertito, con modificazioni dalla L. 21 settembre 2022, n.142. É fatto espressamente divieto di riprodurre e/o distribuire il contenuto del relativo documento senza il consenso del titolare. FDLR DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA ESTRATTO SAPIENZA CAPITOLO I. LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI I. INTRODUZIONE 1. Mercato interno e libera circolazione delle merci La libera circolazione delle merci tra gli Stati membri dell’Unione costituisce uno strumento essenziale per realizzare il mercato interno previsto dall’art.3 TUE. La nozione di mercato interno implica l’assenza di ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Essa fu introdotta nel Trattato CEE in aggiunta alla nozione di mercato comune che risulta più ampia rispetto quella di mercato interno poiché apparentemente comprensiva delle libertà pertinenti al mercato interno e delle politiche comuni nei settori considerati dal Trattato. Tuttavia, la prassi giurisprudenziale ha indotto a reputare le due nozioni in maniera equipollente. Con il Trattato di Lisbona la nozione di mercato interno ha sostituito quella di mercato comune. Come per le altre libertà di movimento, anche la libera circolazione delle merci è stata qualificata dalla Corte come uno dei principi fondamentali della Comunità europea. La vigente disciplina della libera circolazione delle merci è contenuta principalmente nel TFUE. La Corte di giustizia ha precisato come talune di queste disposizioni del TFUE producano effetti diretti negli ordinamenti nazionali. Tale indirizzo è stato inaugurato dalla sentenza Van Gend en Loos inerente all’articolo 30 TFUE che dispone in materia di unione doganale vietando l’imposizione di nuovi dazi doganali o tasse equivalenti o di aumentare quelli in vigore. La Corte ha precisato che il disposto dell’articolo pone un divieto chiaro, preciso ed incondizionato che è per sua natura perfettamente atto a produrre direttamente degli effetti nei rapporti giuridici intercorrenti fra gli Stati membri ed i loro amministrati. Ancora, nella sentenza Lutticke la Corte ha riconosciuto che il divieto sancito all’articolo 110 TFUE di imporre tributi interni contrari alla libera circolazione delle merci, produce effetti diretti in quanto costituente un obbligo preciso ed incondizionato. Le disposizioni che producano effetti diretti prevalgono su ogni norma nazionale eventualmente confliggente che pertanto verrà disapplicata in caso di conflitto. 2. Ambito di applicazione delle norme dell’Unione europea sulla libera circolazione delle merci L’articolo 28 e 29 TFUE definiscono alcuni ambiti di applicazione della disciplina in materia di libera circolazione delle merci. In particolare: 1) Oggetto della disciplina: l’articolo 28 afferma che “L'Unione comprende un'unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci [e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all'importazione e all'esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l'adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi.]” Data la portata generale della nozione di “complesso di scambi di merci”, la Corte di giustizia ha tratto la conclusione che per merci debbano intendersi i prodotti suscettibili di valutazione economica atti a costituire oggetto di negozi commerciali. È possibile comprendere pertanto beni di varia natura quali oggetti di interesse storico ed artistico, i rifiuti, le api, l’energia elettrica, anche gli stupefacenti, seppur la Corte ha preso atto del fatto che la loro commercializzazione, salvo per utilizzazione terapeutica, è vietata in tutti gli Stati membri. Una disciplina speciale per la circolazione di merci è prevista per i prodotti agricoli e per le armi, munizioni e materiale bellico (in tal caso sono ammissibili limiti al commercio delle armi qualora gli Stati lo ritengano necessario per la tutela della propria sicurezza). 2) Ambito di applicazione della disciplina: la lettura congiunta dei due articoli consente di definire l’ambito di applicazione dei divieti dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative imposte alle merci. L’articolo 28 afferma che le disposizioni si applicano ai prodotti originari degli Stati membri e ai prodotti provenienti da paesi terzi che si trovano in libera pratica negli Stati membri. In tale ambito sono compresi quindi sia i prodotti originari degli Stati membri che quelli provenienti da Stati terzi. Questi ultimi sono ivi compresi purché si trovino in libera pratica in uno Stato membro, ossia siano stati importati da un paese terzo in osservanza delle pertinenti disposizioni. Tali prodotti sono, per quanto attiene alla loro circolazione, totalmente e definitivamente assimilati a prodotti originari dell’Unione. 3) Soggetto della disciplina: l’ambito della disciplina considerata comprende in primo luogo gli Stati membri. Questi vanno considerati destinatari degli obblighi tenendo conto del principio di unitarietà dello Stato come soggetto di diritto internazionale. Pertanto, le norme sulla libera circolazione delle merci sono applicabili con riferimento a tutte le autorità degli Stati membri, senza alcuna distinzione tra autorità centrali e locali. II. LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E UNIONE DOGANALE 1. Introduzione Il contenuto delle norme del TFUE sulla libera circolazione delle merci, sembra indicare che questa libertà fondamentale si realizza in forza dell’istituzione di una unione doganale e dell’applicazione del divieto di restrizioni quantitative all’importazione ed esportazione. Le norme sull’Unione doganale sono funzionalmente orientate alla realizzazione degli scopi all’uopo previsti dall’articolo 32 TFUE ossia di accrescere la concorrenza, di promuovere gli scambi commerciali, di assicurare lo sviluppo della produzione e dei consumi. Tali finalità si realizzano in forza del divieto di dazi doganali all’importazione ed esportazione, il divieto di tasse aventi effetti equivalenti ai dazi, l’adozione di una tariffa doganale comune nei confronti delle merci provenienti da Stati terzi. In particolare: 2. Il divieto dei dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente (art. 30 TFUE) Il divieto di dazi doganali e delle tasse equivalenti è precisato all’articolo 30 TFUE che afferma “I dazi doganali all'importazione o all'esportazione o le tasse di effetto equivalente sono vietati tra gli Stati membri. Tale divieto si applica anche ai dazi doganali di carattere fiscale.” Esso ha alcune implicazioni: 1) Oggetto del divieto: per dazio si intendono tutti gli oneri pecuniari riscossi da uno Stato membro in ragione del passaggio di una merce attraverso una frontiera fra Stati dell’Unione europea. Tale nozione si estende alle tasse equivalenti ed ai dazi di carattere fiscale comportando che il divieto abbia quindi carattere generale ed assoluto a prescindere da qualsiasi considerazione circa lo scopo protezionistico o tributario del dazio. Ancora, il divieto riguarda altresì i dazi eventualmente vigenti all’interno dello Stato e non solo quelli imposti nel commercio tra Stati membri. Il Trattato non prevede deroghe al divieto. 2 la certezza dei diritti dei singoli. Pertanto, i termini di decadenza e di prescrizione dovrebbero decorrere dal momento dall’adeguamento delle normative nazionali al diritto dell’Unione. Questo criterio, come ha precisato la Corte, opererebbe prevalentemente nel caso in cui la domanda di rimborso sia fondata sugli effetti diretti di una direttiva e in quello in cui la decadenza abbia l’effetto di privare totalmente il ricorrente dalla possibilità di far valere il suo diritto. 3. Adozione della tariffa doganale comune Le norme del TFUE sull’Unione doganale impongono altresì l’adozione di una tariffa doganale comune applicabile allo scambio di merci con Stati terzi. L’articolo 31 TFUE precisa che tale tariffa è stabilita dal Consiglio su proposta della Commissione. La tariffa comune è prevista allo scopo di completare la costruzione dell’Unione doganale attraverso la creazione di un regime doganale estero unico. Essa inoltre realizza gli obiettivi dell’articolo 32 di promuovere gli scambi con Stati terzi. La vigente disciplina sulla tariffa doganale comune risulta da atti normativi adottati dal Consiglio ed emanati dalla Commissione. Mediante regolamento, il Consiglio ha adottato norme relative alla tariffa doganale comune e alla nomenclatura delle merci. La nomenclatura, basata sulla Convenzione internazionale sul sistema armonizzato di designazione e di codificazione delle merci, è denominata nomenclatura combinata (NC) perché volta a corrispondere tanto alle esigenze doganali che a quelle statistiche del commercio estero. Per ciascuna voce della nomenclatura sono previsti dazi autonomi, la cui aliquota è definita autonomamente dall’Unione, ed una dazione convenzionale, la cui aliquota è determinata in conseguenza di accordi internazionali. Tanto la nomenclatura quanto le aliquote dei dazi possono essere adeguate con atti del Consiglio o della Commissione per tener conto dei mutamenti della politica commerciale dell’Unione. Una sistemazione organica delle modificazioni è compiuta annualmente dalla Commissione che adotta un regolamento che riporta la versione ultima della nomenclatura da adottare e delle aliquote relative ai dazi. Per esigenze di politica commerciale l’Unione può adottare anche atti che contengono preferenze tariffarie a favore di Paesi in via di sviluppo, proibizioni o restrizioni sia all’importazione che all’esportazione. Tali atti creano suddivisioni complementari di voci che sono necessarie per designare le merci oggetto delle rispettive misure. Allo scopo di integrare e codificare tutti i provvedimenti adottati in materia doganale, il regolamento sulla tariffa comune prevede che annualmente la Commissione instauri e pubblichi una tariffa integrata delle Comunità europee (Taric). Essa si configura come uno strumento per il calcolo dei dazi doganali sulla merce importata. È necessario calcolare tale tariffa correttamente in quanto contiene tutti gli obblighi e le disposizioni, la legislazione tariffaria e commerciale, relativa ai prodotti introdotti nell’Unione: una nomenclatura errata implica indi un errato calcolo della tariffa. La Taric, creata per svolgere funzioni di integrazione e codificazione non produce effetti giuridici propri, ma rinvia a quelli prodotti dai singoli atti normativi in essa incorporati. Poiché essa contiene tutti i provvedimenti relativi alle importazioni, si può ritenere che essa rappresenti la tariffa doganale comune. Allo scopo di riunire in un unico testo tutte le disposizioni contenenti regole per l’applicazione uniforme della tariffa doganale, è stato approvato un codice doganale dell’Unione europea. Esso definisce il territorio doganale di ciascuno Stato membro, gli elementi che compongono la tariffa doganale comune, il momento ed il luogo in cui sorge l’obbligazione doganale, i termini e le modalità di pagamento dei dazi. Inoltre, indica: 1) I criteri per definire l’origine delle merci. Per quanto attiene all’origine, una distinzione rilevante si pone tra: 5  Stati privi di un regime tariffario preferenziale: in tal caso è previsto che le merci originarie di quel paese, sono quelle interamente ottenute in tale Paese. Qualora una merce sia stata prodotta con il contributo di altri Stati, allora la sua origine è quella del paese in cui sia avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale (quindi non deve trattarsi di semplici operazioni di montaggio o di modifica dell’aspetto esteriore) del bene.  Stati beneficiari di un regime preferenziale: si applicano in tal caso le regole stabilite in materia dai pertinenti accordi conclusi dall’Unione con tali Stati, o ancora sulla base delle disposizioni speciali stabilite da atti adottati unilateralmente dall’Unione. 2) I criteri per determinare il valore delle merci in dogana: per quanto attiene all’accertamento del valore delle merci in dogana bisogna guardare al prezzo effettivo del bene ossia al valore di transazione del medesimo. Laddove non si possa adottare tale espediente, sono stabiliti criteri sussidiari da applicare in ordine successivo, quali il valore di transazione di merci identiche, il valore di transazione di merci similari, o, infine, l’uso di mezzi ragionevoli. 3) Le zone franche: uno speciale regime di franchigie doganali è istituito da un apposito regolamento del Consiglio. Tale regime consente, in talune circostanze, di esonerare le merci dai dazi cui sarebbero normalmente soggette. Ciò si verifica quando non vi sia interesse dell’Unione ad applicare misure protettive della sua economia o quando sussista un obbligo stabilito da convenzioni internazionali di cui siano parte tutti o alcuni Stati membri. In questi casi l’Unione europea, anche se non è formalmente parte delle convenzioni, si considera vincolata sul piano internazionale in sostituzione degli Stati membri in forza della competenza esclusiva ad essa intestata in materia doganale. Tra le categorie soggette al regime delle franchigie vi sono ad esempio i beni personali, quelli appartenenti a persone che trasferiscano la loro residenza normale da un paese terzo ad uno Stato membro, i beni importati in occasione di un matrimonio, i beni personali ricevuti nel quadro di una successione, le merci contenute nei bagagli dei viaggiatori (purché entro certi limiti quantitativi e di valore). Per quanto attiene a beni di interesse educativo, scientifico o culturale, alcuni sono ammessi in franchigia indipendentemente dalla loro destinazione; altri solo se destinati a organi pubblici o di pubblica utilità. 4. Divieto di restrizioni quantitative e delle misure di effetto equivalente tra Stati membri Tali regole, assieme a quelle dell’Unione doganale, garantiscono la libera circolazione delle merci tra Stati membri dell’Unione. Il divieto di restrizioni si articola in una serie di obblighi stabiliti agli articoli 34 e 35 TFUE. In particolare: 1) Divieto di praticare restrizioni quantitative: esso è previsto in tali articoli rispettivamente in merito alle importazioni e alle esportazioni. È difatti vietata ogni misura che disponga in modo espresso una preclusione totale o parziale agli scambi di merci. La Corte ha introdotto tra i divieti anche quello con cui si inibisce assolutamente l’importazione di un certo prodotto o anche il rifiuto di uno Stato membro di rilasciare licenze di esportazione. 2) Divieto di applicare misure di effetto equivalente: anche in tal caso l’effetto è di vietare ogni misura che abbia per oggetto o per effetto, di restringere le correnti commerciali tra Stati membri e di creare una disparità di trattamento tra commercio interno di uno Stato membro e commercio interno all’Unione. 6 La portata del secondo divieto è stata oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia. Essa ha precisato, nella sentenza Dassonville, come le misure di effetto equivalente siano tutte quelle che ostano direttamente od indirettamente, in atto o in potenza, agli scambi di merci. In questo ambito, sulla base del principio di unitarietà dello Stato a livello internazionale, va compreso ogni comportamento imputabile allo Stato indipendentemente che sia Stato adottato da un organo centrale o locale. Anche laddove vi sia un comportamento di un privato che ostacoli la libera circolazione delle merci, ne risponde lo Stato laddove esso abbia tollerato la pratica e non abbia provveduto a sanzionarla ed annullarla. Per definire poi le specifiche tipologie di misure, la Corte di giustizia ha distinto tra: 1) Misure applicate distintamente ai prodotti importati (o esportati): esse sono incompatibili con il divieto espresso agli articoli 34 e 35 poiché assumono carattere discriminatorio e rendono impossibili o ostacolano gli scambi di merci. Esempi sono i provvedimenti che impongono una autorizzazione o una licenza per le importazioni o per le esportazioni, che richiedano certificati attestanti la qualità dei prodotti importati, che impongano controlli sanitari sistematici o prezzi diversi ai prodotti nazionali e quelli importati 2) Misure applicate indistintamente ai prodotti importati (o esportati): di regola non producono effetti restrittivi; tuttavia, la Commissione e la Corte di giustizia, a partire dalla sentenza Cassis de Dijon hanno attribuito anche ad esse effetti restrittivi qualora presentino alcuni caratteri. In particolare, sono vietate disposizioni che stabiliscono prezzi minimi (o massimi) ad un livello così elevato da neutralizzare il vantaggio concorrenziale posseduto dalla merce importata in virtù dei suoi prezzi inferiori (maggiori). Ancora, una disciplina nazionale che vieta agli importatori di libri di fissare un prezzo di vendita inferiore a quello stabilito o consigliato dall’editore nello Stato di pubblicazione, costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa alle importazioni. Infine, la Corte si è pronunciata anche in merito alle modalità di vendita di un prodotto, sia esso nazionale o importato, ritenendo che le regole che stabiliscono gli orari di apertura e chiusura dei pubblici esercizi, il divieto di apertura domenicale dei negozi non costituiscono una misura equivalente purché esse valgano per tutti gli operatori interessati e incidano in egual misura, sul commercio dei prodotti nazionali e degli altri Stati membri. Tale orientamento è stato affermato dalla Corte nella sentenza Keck e Mithouard avente ad oggetto una normativa che stabiliva il divieto di rivendere prodotti sottocosto. Più recentemente si è discussa tale giurisprudenza poiché si reputa che essa qualifichi misure ad effetto equivalente quelle che impediscono o ostacolano l’accesso al mercato nazionale e non propriamente lo scambio tra merci. Nell’ambito di misure di effetto equivalente indistintamente applicabili ai prodotti nazionali e quelli importati, assumono speciale rilievo le norme tecniche sulle caratteristiche dei prodotti. Le regole nazionali che stabiliscono la composizione di un prodotto o i metodi di fabbricazione o confezionamento anche se applicate indistintamente, possono produrre effetti restrittivi nei confronti delle merci importate violando così i divieti di cui all’articolo 34. L’esigenza di sopprimere tali barriere tecniche emerge con vigore dal Libro bianco della Commissione sul completamento del mercato interno. La strategia individuata per la loro eliminazione era fondata sull’applicazione di due strumenti: 1) Principio del mutuo riconoscimento delle norme tecniche nazionali: esso è stato dedotto dalla sentenza Cassis de Dijon. Secondo tale principio ciascun Stato membro ha l’obbligo di 7 confondibile. Per conciliare la regola della libertà nella circolazione delle merci con le eccezioni ammissibili a tutela della proprietà sui beni immateriali, la Corte ha elaborato alcuni principi fondamentali:  La deroga deve avere lo scopo di proteggere l’oggetto specifico del diritto considerato e deve essere indispensabile a tale scopo: l’oggetto specifico del diritto di brevetto è quello di garantire al titolare il diritto esclusivo di far uso di un’invenzione ai fini della produzione e della prima immissione in commercio di prodotti. La deroga sarebbe indispensabile qualora adottata per impedire le importazioni di merci contraffatte. L’oggetto specifico del diritto di marchio consiste nel garantire al titolare il diritto esclusivo di utilizzare il marchio per la prima immissione in commercio del prodotto e di tutelarlo dai concorrenti che volessero sfruttare la posizione dell’impresa e la reputazione del marchio mediante l’uso abusivo di questo. La deroga sarebbe indispensabile per tutelare la funzione del marchio ossia quella di garantire al consumatore l’origine del prodotto, e quindi giustificherebbe una normativa che accordasse al titolare del diritto la facoltà di opporsi alle importazioni di prodotti simili contrassegnati da una dicitura confondibile con il proprio marchio.  Il diritto esclusivo è soggetto al principio dell’esaurimento all’interno dell’Unione: in forza di tale principio, il diritto di esclusiva garantito dalle norme nazionali in materia di proprietà industriale e commerciale, esaurisce i suoi effetti (cioè non vale più) in tutta l’Unione, qualora sia legittimamente posto in commercio in un altro Stato membro dal titolare del diritto o con il suo consenso. Quindi, mentre le leggi nazionali in materia prevedono generalmente che il diritto del titolare non si esaurisce con la sua commercializzazione in un altro Stato, secondo la Corte di giustizia tale previsione costituisce un grave ostacolo alla libera circolazione delle merci e quindi non può essere ammesso qualora il prodotto sia stato messo in commercio dal titolare del diritto o con il suo consenso. Il consenso del titolare del diritto potrebbe mancare laddove sia intervenuto un frazionamento di un diritto originariamente appartenente ad un unico titolare. I casi potrebbero essere la concessione di una licenza obbligatoria, l’espropriazione di un marchio o ancora la concessione volontaria di un marchio ad un’impresa giuridicamente ed economicamente indipendente. In tali casi, l’esigenza di proteggere l’oggetto specifico prevale sulla necessità di garantire la libera circolazione delle merci. 6. Protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico: per il diritto dell’Unione europea i beni culturali costituiscono delle merci e rispetto al loro commercio gli Stati sono vincolati dagli obblighi stabiliti all’articolo 30. Pertanto, agli scambi di beni culturali non possono essere applicati dazi o tasse equivalenti. Tuttavia, a norma dell’articolo 36, essi giustificherebbero restrizioni quantitative alle importazioni ed esportazioni dei beni culturali stessi. Difatti, qualora un bene culturale per determinate caratteristiche possa reputarsi appartenente al patrimonio artistico, storico od archeologico di uno Stato, la sua esportazione potrebbe essere vietata o soggetta a restrizioni. Nell’ambito di applicazione della deroga dovrebbero rientrare solo i beni che costituiscano un’espressione significativa della cultura dello Stato interessato e di conseguenza non dovrebbe operare per beni di scarso valore o che pur trovandosi in quello Stato membro, non appartengono alla cultura nazionale, bensì a quella di un’altra nazione. Il divieto di esportare un bene artistico potrebbe comportare taluni inconvenienti: 10 1. Incompatibilità con gli obblighi eventualmente assunti dai vari Stati sul piano nazionale in merito alla restituzione di beni culturali illecitamente esportati: all’uopo è stata istituita una direttiva che pone l’obbligo in capo allo Stato membro presso cui è ubicato un bene culturale illecitamente uscito da altro Stato membro dopo il 1° gennaio 1993 di restituirlo a detto Stato. La restituzione deve avvenire secondo una procedura che prevede una decisione del giudice competente dello Stato possessore a seguito di un’azione di restituzione promossa dallo Stato membro richiedente. Se si dà prova della diligenza (buona fede) dell’atto di acquisto, è possibile ottenere all’atto della restituzione un equo indennizzo. La direttiva qualifica i beni culturali come quelli appartenenti al patrimonio artistico, storico o archeologico di uno Stato cui è deferito il potere di definire il proprio patrimonio nazionale. Si intendono “illecitamente usciti” qualora siano stati esportati in violazione della legislazione dello Stato leso o ancora del regolamento relativo all’esportazione dei beni culturali. Poiché la direttiva ha previsto un regime di armonizzazione essa ha limitato fortemente le deroghe ammissibili sulla base dell’articolo 36. 2. Il divieto potrebbe agire allo scopo di prevenire che la libera circolazione de quel bene in ambito europeo possa determinare l’esportazione verso uno Stato terzo: mediante regolamento il Consiglio ha introdotto un regime di controlli uniformi sulle esportazioni di beni culturali verso Stati terzi. Tale regime si fonda sull’imposizione dell’obbligo di subordinare l’esportazione di talune categorie di beni ad una licenza di esportazione. Il rilascio della licenza spetta allo Stato membro nel cui territorio si trova lecitamente e definitivamente il bene culturale e può essere negata sulla base della legislazione nazionale che tutela il patrimonio artistico di tale Stato. per le altre categorie di beni l’esportazione avviene sulla base della legislazione dello Stato terzo verso cui sono esportati. 5. I monopoli commerciali e la libera circolazione delle merci I monopoli potrebbero comportare una limitazione alla libera circolazione delle merci nel settore in cui opera il monopolista. Un sistema tale, con cui lo Stato gestisca in via esclusiva un certo settore, controllando importazioni ed esportazioni, può determinare una discriminazione a danno dei produttori di altri Stati membri, aggirando i divieti precedentemente individuati. Pertanto, l’articolo 37 TFUE pone in capo agli Stati l’obbligo di riordinare i monopoli nazionali a carattere commerciale in modo che venga esclusa qualsiasi discriminazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento e agli sbocchi. È fatto inoltre divieto di introdurre nuove misure incompatibili con tale divieto o comunque capaci di pregiudicare la libera circolazione delle merci. Tali obblighi si applicano a qualsiasi organismo (anche una società di diritto privato) per mezzo del quale uno Stato membro, de jure o de facto, controlla, dirige o influenza sensibilmente, direttamente o indirettamente, le importazioni o le esportazioni fra gli Stati membri. In merito a tale articolo la Corte di giustizia ha specificato: 1. Ambito di applicazione: l’obbligo si applica solamente ai monopoli di merci (anche l’energia elettrica rientra in tale fattispecie) e non anche di servizi (ad esempio quelli radiotelevisivi) 2. Scopo dell’articolo: la Corte ha chiarito che l’articolo 37 non ha lo scopo di sopprimere i monopoli nazionali ma semplicemente di riordinarli ossia di conciliare la possibilità di mantenere tali monopoli con l’esigenza dell’instaurazione e del funzionamento del mercato interno. 11 3. Discriminazione: essa implica una limitazione all’approvvigionamento e agli sbocchi delle merci; ma in generale essa si concreta ogni qual volta le regole di uno Stato attribuiscono al monopolio diritti esclusivi di importazione ed esportazione. L’articolo 37 prevede inoltre che qualora uno Stato debba sopprimere discriminazioni fondate su un monopolio creato per agevolare lo smercio di prodotti agricoli bisogna adottare provvedimenti di compensazione a garanzia dell’occupazione e del tenore di vita dei produttori. Tale raccomandazione può intendersi rivolta tanto agli Stati quanto all’Unione europea ma non autorizza una deroga ai divieti precedentemente stabiliti. Una deroga potrebbe aversi in forza dell’articolo 106 in base al quale le imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale possono essere sottratte, in taluni casi, all’applicazione delle norme del TFUE laddove tali norme pregiudichino l’adempimento della missione affidata all’impresa. La Corte ha pertanto ritenuta valida una concessione, in capo a tale categoria di imprese, di diritti esclusivi contrari all’articolo 37, qualora l’adempimento della missione affidatale possa essere garantito unicamente tramite la concessione di tali diritti. Poiché i presupposti di tale deroga sono indicati in forma generica, è opportuno operare una interpretazione restrittiva. CAPITOLO II. LA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE E LA POLITICA DELL’IMMIGRAZIONE I. LA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DEGLI STATI MEMBRI 1. Evoluzione del diritto La libertà di circolazione delle persone e quella di soggiorno ha da sempre costituito uno degli obiettivi primari del processo di integrazione europea a tal punto da essere qualificata quale una delle quattro libertà istitutive del mercato comune. Tale diritto è stato oggetto di un graduale processo di evoluzione: 1. Prima fase: il diritto alla libera circolazione era attribuito esclusivamente ai lavoratori migranti. Ciò rispondeva alla logica prettamente economica che aveva improntato inizialmente le Comunità europee per cui era prioritario garantire la libertà di circolazione dei fattori produttivi, tra i quali proprio la manodopera al fine di garantire un progresso economico ed un miglioramento generalizzato del tenore della vita 2. Seconda fase: la libertà è stata successivamente estesa anche a studenti e turisti. Sulla base di una interpretazione estensiva delle disposizioni sulla libertà di prestazione dei servizi, che consente al cittadino di uno Stato di prestare occasionalmente un’attività di lavoro autonomo in altro Stato, la Corte ha ritenuto che tali disposizioni potessero applicarsi anche a chi circola per ricevere formazione personale (studenti) o fruire di un servizio (ad esempio i turisti). La Corte ha quindi qualificato la libera circolazione delle persone come un diritto fondamentale. 3. Terza fase: si è gradualmente affermata da parte dei governi la volontà di attribuire ad ogni cittadino di uno Stato membro la libertà di risiedere negli altri Stati dell’Unione. Essa si è concretizzata con l’adozione di tre direttive, ora trasfuse nella direttiva numero 38 del 2004 che hanno conferito il diritto di soggiorno anche a persone che non esercitano attività lavorativa (studenti, pensionati) 4. Quarta fase: con il Trattato di Maastricht del 1992 è stata istituita la cittadinanza dell’Unione europea; difatti, la libertà di circolazione, è uno dei diritti che discende dallo status di cittadino europeo. 12  Destinatari: il divieto di discriminazione si applica soltanto a coloro che esercitino o abbiano esercitato la libertà di circolazione. Difatti, le disposizioni del Trattato che vietano discriminazioni in base alla cittadinanza non possono essere fatte valere da un cittadino di uno Stato membro che non abbia mai esercitato il diritto alla libera circolazione nella Comunità (ad esempio perché ha sempre soggiornato nello Stato di appartenenza senza mai spostarsi da esso). Diversamente, anche laddove un cittadino sia rientrato nel proprio Stato di appartenenza (e quindi non sta più esercitando la libertà di circolazione) potrà giovarsi dell’applicazione delle norme dell’Unione relative alla non discriminazione. Tale previsione era stata misurata nei confronti del lavoratore per cui era previsto che le disposizioni del Trattato potessero esser fatte valere nei confronti dello Stato membro di cui è cittadino qualora abbia risieduto e svolto attività lavorativa subordinata in un altro Stato membro. Tale principio trova ormai applicazione rispetto a tutte le categorie di persone che beneficiano della libertà di circolazione. Ciò si giustifica perché il cittadino potrebbe essere dissuaso dal lasciare il suo Paese se non potesse più fruire, al ritorno nello Stato di appartenenza, delle agevolazioni di cui può disporre in forza dei Trattati o del diritto derivato, nel territorio di un altro Stato. (ad esempio, la Corte ha previsto che il cittadino si può avvalere nel territorio dello Stato di appartenenza della qualifica professionale ottenuta in uno Stato membro diverso; ancora, tale principio presenta particolare rilevanza anche riguardo al ricongiungimento familiare, giacché si ritiene che il legame familiare che un cittadino abbia consolidato durante il soggiorno in uno Stato membro deve poter proseguire, con tutte le sue implicazioni, allorché rientri nello Stato di appartenenza). La Corte non ha chiarito se occorre, per poter beneficiare dell’applicazione delle norme dell’Unione al rientro nel proprio Stato, che l’attività lavorativa svolta in uno Stato membro diverso sia stata esercitata per un certo periodo di tempo; tuttavia, essa ha ritenuto che anche un’attività di breve durata possa essere sufficiente per acquisire lo status di cittadino dell’Unione che ha esercitato la libertà di circolazione. D’altra parte, la Corte ha escluso che le condizioni necessarie per ottenere l’applicazione del diritto dell’Unione al rientro nel proprio Stato possano essere soddisfatte da soggiorni di breve durata, come finesettimana o vacanze. La Corte ha attenuato nel tempo il requisito relativo all’esercizio della libertà di circolazione. Nel caso Carpenter relativo all’espulsione di una donna filippina dal Regno Unito poiché non aveva prorogato il suo permesso di soggiorno, la Corte sostenne che l’elemento di trans-nazionalità (ossia della circolazione) poteva essere costituito dalla semplice circostanza che il cittadino prestava dei servizi in altri Stati membri pur non spostandosi materialmente dal proprio luogo di residenza, affermando poi che il carattere transnazionale può non essere costituito dall’esercizio di un’attività lavorativa in un altro Stato membro bensì dal solo trasferimento della residenza.  Eccezioni: la Corte ha ritenuto che in casi particolari si debba prescindere del tutto dal requisito della previa circolazione: infatti, i diritti spettanti ai cittadini dell’Unione devono essere riconosciuti anche a coloro che non hanno esercitato la libertà di circolazione quando ciò sia necessario per evitare che essi siano privati del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione, come avverrebbe nel caso in cui il cittadino fosse costretto a lasciare l’Unione trasferendosi in uno Stato terzo. Tale principio è stato affermato nella sentenza Zambrano nella quale la Corte ha dichiarato che due bambini, cittadini dell’Unione, che avevano da sempre risieduto nello Stato membro di cui avevano acquisito per nascita la cittadinanza, potevano beneficiare delle norme dell’Unione sul 15 ricongiungimento familiare e doveva perciò essere consentito il soggiorno in tale Stato anche del padre dei minori (cittadino extracomunitario). In una sentenza successiva la Corte ha chiarito che se non fosse Stato riconosciuto loro il diritto al ricongiungimento, i minori sarebbero stati costretti a lasciare il territorio dell’Unione, e, perciò, si sarebbero trovati di fatto, nell’impossibilità di godere realmente dei diritti attribuiti dallo status di cittadino dell’Unione. Una limitazione del campo applicativo delle disposizioni sulla libertà di circolazione delle persone è stata consentita temporaneamente riguardo ai lavoratori dei nuovi Stati membri dagli atti di adesione dei nuovi Stati membri. Ciò al fine di evitare uno squilibrio del mercato del lavoro dei vecchi stati membri a fronte dell’afflusso significativo di lavoratori dei nuovi stati membri 3.2 Il diritto al ricongiungimento familiare La direttiva conferisce ai familiari del cittadino dell’Unione (indipendentemente dalla loro cittadinanza) il diritto di accompagnarlo o raggiungerlo nello Stato membro in cui si trasferisce. Tale diritto ha natura funzionale rispetto l’esercizio della libertà di circolazione in quanto consente di facilitare la medesima (immagina minore che deve circolare) garantendo al contempo il diritto fondamentale al rispetto della vita familiare. Così come confermato dalla Corte il diritto al soggiorno del familiare, in particolare sotto il profilo della sua durata, dipende da quello primario attribuito al cittadino membro. La materia ha alcune implicazioni: 1. Nozione di “familiari”: si intendono il coniuge, i figli del cittadino dell’Unione o del suo coniuge se minori di anni 21 o a carico, nonché gli ascendenti del cittadino dell’Unione e del suo coniuge In tale nozione è incluso anche il partner: siffatta ipotesi era stata formulata dalla Corte nella sentenza Reed, la quale asserì che solamente laddove l’unione, registrata sulla base della legislazione nazionale di appartenenza, sia equiparata allo status matrimoniale dall’assetto normativo dello Stato ospitante potrà essere consentito al partner il diritto al ricongiungimento. Tale soluzione presenta il vantaggio di evitare di imporre agli Stati membri modelli di vita familiare che potrebbero essere estranei all’ordinamento giuridico dello Stato ospitante. Come indicato nel caso Coman, lo stesso principio deve essere adottato in relazione ad unioni registrate e matrimoni tra persone dello stesso sesso a condizione che il cittadino dell’Unione abbia esercitato la libertà di circolazione, e durante il soggiorno nello Stato membro in cui si è trasferito abbia sviluppato o consolidato una vita familiare con un cittadino dello stesso sesso al quale si è unito con un matrimonio legalmente contratto nello Stato membro ospitante, le autorità dello Stato membro di origine, non possono rifiutare di concedere il diritto di soggiorno al suo coniuge per il solo fatto che l’ordinamento di tale Stato non riconosca le unioni tra persone dello stesso sesso. 2. Nozione di “figli”: essa comprende anche i figli adottivi, non è invece inclusa la particolare forma di affidamento del minore prevista dalla legge algerina, in quanto essa non crea alcun legame di filiazione tra minore e tutore. Tuttavia, in tal caso le autorità dovranno agevolare l’ingresso del minore in quanto altro familiare del cittadino dell’Unione e, laddove si ritenga che minore e tutore sono destinati a condurre una vita familiare effettiva e che tale minore dipende dal tutore, il diritto fondamentale del rispetto della vita familiare e la preminenza dell’interesse superiore del minore esigono che sia ad egli concesso un diritto di ingresso e di soggiorno al fine di consentirgli di vivere col suo tutore. 16 3. Nozione di “altro familiare”: la direttiva richiede di agevolare l’ingresso di ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell’Unione lo assista personalmente. Nonostante non si tratti di un obbligo di consentire l’ingresso, ma semplicemente di agevolarlo, la Corte ha precisato che i criteri che consentono a suddette persone di ottenere una decisione sulla loro domanda di ingresso e soggiorno, debbono essere conformi al significato comune del termine “agevola” e non devono privare tale disposizione del suo effetto utile. 4. Limiti alla nozione di ricongiungimento: la Corte ha escluso che l’esercizio del diritto al raggiungimento implichi un obbligo di convivenza. Essa ha difatti affermato che il diritto del familiare di stabilirsi con il cittadino migrante, non esige che il familiare vi abiti in permanenza. La Corte ha difatti escluso una interpretazione restrittiva della nozione di “ricongiungimento”. Tale approdo è avvalorato dalla circostanza che il familiare ha diritto di accedere a posizioni lavorative anche se distanti dal luogo di soggiorno del migrante. 5. Familiare europeo: qualora il familiare sia cittadino di uno Stato membro egli potrà acquistare un diritto autonomo al soggiorno purché soddisfi uno dei requisiti stabiliti dalla direttiva (vedi paragrafo 4.). La direttiva precisa difatti che il decesso del cittadino dell’Unione, la sua partenza dal territorio dello Stato ospitante, così come anche lo scioglimento dell’unione, non incidono sul diritto di soggiorno dei familiari aventi la cittadinanza di uno Stato membro. 6. Diritto all’istruzione: la Corte ha precisato la situazione e le conseguenze in capo al figlio di un lavoratore di uno Stato membro, che precedentemente lavorava in uno Stato ospitante, laddove questo ritorni nello Stato di origine ed il figlio rimanga in quello ospitante. In tal caso la Corte ha affermato che egli conserva la qualità di familiare del lavoratore al fine di poter continuare nello Stato ospitante i suoi studi se egli non possa proseguirli nello Stato di origine. Si distinguono due casi:  L’ipotesi dello studente extracomunitario: il principio enunciato dalla Corte ha rilevanza allorché il figlio non sia cittadino di uno Stato membro poiché il diritto di accesso all’istruzione implica anche il diritto di soggiorno a favore del genitore che abbia l’affidamento effettivo del figlio studente. Si consente indi al genitore di uno Stato terzo di soggiornare nello Stato in cui il figlio conduce gli studi.  L’ipotesi dello studente europeo: quando il figlio studente è invece cittadino di uno Stato membro egli potrà risiedere nel territorio in cui svolge gli studi anche quando non soddisfi i criteri per il soggiorno (come affermato nella sentenza Ibrahim) 7. Durata del soggiorno: il familiare (indipendentemente dalla cittadinanza) ha diritto, per un periodo non superiore a 3 mesi, di accompagnare o raggiungere il cittadino dell’Unione nello Stato in cui quest’ultimo si sia trasferito. Per i soggiorni inferiori a tre mesi è esclusa qualsiasi formalità; per una durata superiore è prevista, laddove richiesto, l’iscrizione del familiare presso le autorità competenti ai fini dell’ottenimento dell’attestato di iscrizione e della qualità di familiare ammesso al ricongiungimento. Il familiare che non sia cittadino di uno Stato membro dovrà ottenere una carta di soggiorno. 17 detta inoltre le procedure per l’ingresso ed il soggiorno di qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro altro rispetto quello di appartenenza. In particolare: 1. Ingresso: è fatto obbligo agli Stati di ammettere nel loro territorio il cittadino dell’Unione munito di una carta di identità o di un passaporto validi. Tale requisito tende evidentemente a consentire di accertare la cittadinanza della persona al fine di verificare se essa sia titolare del diritto di ingresso. A seguito dell’eliminazione delle frontiere interne la presentazione del documento non è più imposta. All’obbligo di ammissione è correlato l’obbligo di riconoscere ai propri cittadini il diritto di uscita dal loro territorio nonché quello di rilasciare o rinnovare i documenti di identità. La Corte ha inoltre precisato nella sentenza Bosman che le disposizioni che impediscano ad un cittadino di uno Stato membro di lasciare il paese di origine per esercitare il suo diritto di libera circolazione o che lo dissuadano dal farlo, costituiscono ostacoli a tale libertà anche se si applicano indipendentemente dalla cittadinanza dei lavoratori interessati. Ad esempio, la Corte ha recentemente ritenuto non conforme al Trattato una normativa bulgara che, al fine di proteggere l’interesse di creditori, vietava di uscire dal territorio nazionale al cittadino che avesse un debito non garantito. 2. Soggiorno: la direttiva consente agli Stati membri di richiedere al cittadino dell’Unione europea che soggiorni per un periodo superiore a tre mesi, l’iscrizione presso le autorità competenti. In tal caso verrà immediatamente rilasciato un attestato di iscrizione. La Corte ha precisato che:  Natura dichiarativa dei documenti di soggiorno: l’inadempimento all’obbligo di iscrizione rende l’interessato passibile semplicemente di sanzioni proporzionate e non discriminatorie. Difatti, le formalità richieste per il soggiorno hanno valore meramente dichiarativo e non potrebbero pertanto giustificare l’espulsione. Come precisato dalla Corte, la natura meramente dichiarativa dei documenti di soggiorno comporta anche il divieto per gli Stati membri di subordinare il diritto del lavoratore di ricevere certi benefici al possesso del documento di soggiorno.  Divieto di condizioni ulteriori: la Corte ha precisato che il diritto ad ottenere tale documento non può essere subordinato a condizioni ulteriori rispetto a quelle espressamente previste dalla normativa dell’Unione. Essa prevede che il documento possa essere rilasciato a condizione che si esibisca un documento di identità valido e se il soggetto soggiorna per l’esercizio di attività lavorativa, una conferma di assunzione del datore di lavoro. La Corte ha perciò ritenuto incompatibile una disposizione di uno Stato membro che richiedeva l’iscrizione del lavoratore al regime di previdenza sociale per ottenere il documento di soggiorno. La direttiva prevede inoltre un diritto di soggiorno permanente a favore di coloro che abbiano risieduto legalmente ed in via continuativa nello Stato membro ospitante per almeno 5 anni. Infine, in ogni caso, le formalità richieste da ciascuno Stato ai fini del soggiorno non devono essere tali da ostacolare la libera circolazione delle persone. Difatti è previsto che ciascuno Stato possa adottare provvedimenti atti a consentire di essere esattamente informato dei movimenti della popolazione nel territorio. La Corte ha ritenuto che la normativa italiana che richiedeva agli stranieri di rendere la dichiarazione di soggiorno entro soli tre giorni dall’ingresso sia stata ritenuta ingiustificatamente limitativa di tale libertà poiché non appariva indispensabile al fine della esigenza dell’esatta informazione sui movimenti. 5. Limiti all’ingresso e al soggiorno dei cittadini dell’Unione 20 Allorché sussistano motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, lo Stato membro può negare l’ingresso o adottare misure limitative del soggiorno nei confronti del cittadino circolante. Il contenuto di tali limiti è precisato dalla direttiva 38 del 2004. Essa tende ad impedire una valutazione pienamente discrezionale da parte degli Stati membri circa gli elementi che possano giustificare misure restrittive dell’ingresso e del soggiorno: 1. Ordine pubblico e pubblica sicurezza: non sono invocabili per fini economici. La definizione delle nozioni di ordine pubblico e pubblica sicurezza non è agevole poiché è certamente necessario assicurare una certa uniformità nel significato dei due termini; ma è altrettanto rilevante che ciascuno Stato possa avere una libertà di apprezzamento nel valutare se la presenza di uno straniero costituisca un pericolo per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza interna dello Stato. La Corte ha pertanto concluso che la nozione varia da Paese a Paese e muta nelle varie epoche. Tuttavia, ha precisato, in parte circoscrivendolo, il contenuto di tali nozioni al fine di impedire un potere di assoluta discrezionalità:  I provvedimenti restrittivi adottati sulla base di tali motivi hanno carattere eccezionale e pertanto non possono essere considerati come una condizione preventiva all’esercizio del diritto di libera circolazione, ma come eccezione all’esercizio di tale diritto.  La nozione, dato il carattere eccezionale, deve essere interpretata in maniera restrittiva. Pertanto, il diritto può essere contratto solamente laddove sussista una minaccia effettiva, grave ed attuale determinata dal comportamento personale del soggetto e deve riguardare uno degli interessi fondamentali della collettività. Ad esempio, la sola esistenza di condanne penali a carico del cittadino circolante non può giustificare l’adozione nei suoi confronti di provvedimenti restrittivi. Difatti, essi sono invocabili solamente in relazione al comportamento personale del soggetto verso cui si intende adottare le relative misure restrittive (e non anche in relazione a considerazioni di prevenzione generale) e purché tale comportamento rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse della società. In merito la Corte è stata interpellata al fine di giudicare della validità di un provvedimento che negava il diritto di soggiorno ad un cittadino che si era reso responsabile, circa venti anni prima, di gravi crimini di guerra. La Corte ha sostenuto che la valutazione del comportamento personale deve inerire alla natura e gravità dei crimini contestati, il livello del suo coinvolgimento personale, il tempo trascorso dalla commissione di tali crimini ed il suo comportamento successivo. Ancora più restrittiva è l’ipotesi in cui il soggiorno dell’imputato si sia protratto per oltre 5 anni, in tal caso per i provvedimenti è necessaria una grave violazione dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza; se si è protratto per oltre 10 anni allora sono necessari motivi imperativi di ordine pubblico e sicurezza.  I provvedimenti devono essere conformi ai diritti fondamentali. La Corte ha ad esempio precisato che nello stabilire un provvedimento di espulsione occorre assicurare il rispetto del diritto fondamentale della tutela della vita familiare  Non discriminazione: l’ordine pubblico giustifica misure restrittive del soggiorno solo se il comportamento condannato che è stato imputato allo straniero, è represso dallo Stato anche nei confronti dei suoi cittadini. 2. Sanità pubblica: la direttiva indica specificatamente le malattie che giustificano l’invocazione di tale motivo. Esso è stato ampiamente adottato al fine di limitare la circolazione per inibire la diffusione della pandemia da Covid-19. Le istituzioni hanno comunque precisato come in tal caso, 21 nonostante la discrezione deferita agli Stati per l’adozione delle relative misure, sia necessario un atteggiamento comune di cooperazione tra gli Stati e l’adozione di misure proporzionali alla portata degli eventi, non discriminatorie ed adeguate al fine di salvaguardare il diritto alla libera circolazione e quello alla salute. Per facilitare il diritto di circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri è stato creato il certificato digitale Covid. 5.1 Le garanzie ed i mezzi di ricorso nei confronti di provvedimenti restrittivi dell’ingresso e del soggiorno In forza della direttiva del 2004, tali garanzie constano di: 1. Obbligo di notifica all’interessato, per iscritto, del provvedimento restrittivo secondo modalità che consentano a questo di comprenderne il contenuto e le conseguenze 2.Obbligo di motivazione: il provvedimento deve indicare in modo completo i motivi giustificativi della misura adottata. Nella sentenza ZZ la Corte ha precisato che la motivazione può essere limitata allo stretto necessario per esigenze di sicurezza dello Stato. La Corte ha precisato anche che la redazione del provvedimento deve essere nella lingua ufficiale dello straniero affinché egli possa avere effettivamente contezza del contenuto e degli effetti del provvedimento. 3. Obbligo di indicazione dell’organo deputato a ricevere l’eventuale ricorso con la precisazione del termine per l’impugnazione, che non può essere inferiore ad un mese 4. Diritto dell’interessato di accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali dello Stato ospitante a fine di presentare ricorso o chiedere revisione di provvedimenti adottati nei suoi confronti. I mezzi di impugnazione comprendono non solo l’esame della legittimità del provvedimento ma anche dei fatti e delle circostanze che ne giustificano l’adozione. La direttiva non richiede che il ricorso abbia effetto sospensivo del provvedimento; tuttavia, se il ricorso è accompagnato da una richiesta di sospensione dell’esecuzione del provvedimento, allora l’allontanamento non può avere luogo finché non sia stata elaborata una scelta in merito alla domanda di sospensione. La direttiva inoltre non impone agli Stati membri neppure di consentire all’interessato di soggiornare nel loro territorio nelle more del giudizio; tuttavia, essi non possono essere allontanati finché non siano stati posti in condizione di esperire i ricorsi riconosciutigli. 5. Diritto alla riammissione: la direttiva prevede che a seguito dell’espulsione, l’interessato possa fare nuovamente domanda di accesso dopo che siano trascorsi 3 anni e purché possa dimostrare che siano mutate le circostanze oggetto dell’espulsione precedente. L’autorità dovrà valutare se il soggetto possa risultare una minaccia attuale all’ordine o alla sicurezza pubblica. Tale ipotesi vale anche laddove sia trascorso tra l’emanazione del provvedimento ed il suo controllo di legittimità o comunque la sua esecuzione un periodo di almeno due anni. In tal caso bisognerà valutare se sussista ancora una minaccia attuale o se siano mutate le circostanze originarie. II. LA CIRCOLAZIONE E IL TRATTAMENTO DEI LAVORATORI SUBORDINATI CITTADINI DI STATI MEMBRI 1. La disciplina La principale categoria di beneficiari della libertà di circolazione prevista sin dall’origine, sono i lavoratori dipendenti. Difatti, la disciplina della direttiva del 2004 è modellata sulla base degli atti 22 dei casi particolari, la Corte di giustizia ha stabilito che la non discriminazione debba applicarsi non solo ai casi particolari indicati dal regolamento; ma in tutte le ipotesi in cui si verifica in forza del carattere di efficacia diretta proprio dell’articolo 45  Computo della retribuzione e dell’anzianità aziendale: la Corte ha stabilito che l’articolo 45 richieda che uno Stato tenga conto dei periodi di lavoro prestati in altro Stato membro considerandoli allo stesso modo di quelli svolti nello Stato in cui è attualmente occupato; ciò al fine di non ostacolare la libera circolazione.  Divieto di discriminazione: esso è il fondamento della parità di trattamento tra lavoratori stranieri e nazionali. Il regolamento ha stabilito che il lavoratore straniero gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali del lavoratore nazionale. La nozione di “vantaggio sociale” è stata interpretata in modo estensivo poiché vi rientrano tutte quelle misure connesse o meno all’esistenza di un rapporto di lavoro di cui godono i cittadini dello Stato ospitante in virtù della loro condizione di lavoratori o di mera residenza sul territorio nazionale (sussidio di disoccupazione, salario minimo). L’unico beneficio di cui possono essere privati è quello dell’assistenza sociale per coloro che sono in cerca della prima occupazione (già visto prima). in particolare, la Corte ha precisato che:  Al lavoratore che abbia cessato il proprio impiego, l’articolo 45 riconosce altresì il diritto a rimanere nel territorio dello Stato membro e pertanto di beneficiare del diritto di soggiorno. La direttiva contenente tale disposizione ha affermato che laddove il lavoratore ha cessato l’impiego per raggiungimento dell’età pensionistica o per sopravvenuta incapacità lavorativa, ha diritto di soggiorno permanente anche se non sia trascorso il quinquennio richiesto in via generale per l’ottenimento di tale diritto. Anche i lavoratori che esercitano il diritto di rimanere nello Stato in cui hanno prestato lavoro beneficiano della parità di trattamento rispetto ai lavoratori occupati. Ciò poiché espressamente previsto dalla direttiva del 2004 ma anche perché la Corte ha precisato che anche ad essi si estende la nozione di lavoratore subordinato  Anche per lo stesso motivo di cui al punto 2, al lavoratore migrante che abbia dovuto interrompere la propria attività per prestare il servizio militare nello Stato in cui è cittadino, è riconosciuto il diritto di far includere il periodo trascorso sotto le armi nel calcolo dell’anzianità aziendale qualora il servizio militare nel paese in cui svolgeva l’impiego sia calcolato a vantaggio dei lavoratori nazionali  Il divieto di discriminazione opera anche riguardo alla durata del rapporto di lavoro; la Corte ha chiarito che il Trattato osta alla normativa di uno Stato membro (Italia) che limiti ad un anno la durata dei contratti di lavoro dei lettori di lingua straniera, mentre tale limitazione non esiste per gli altri insegnanti. In tal caso la discriminazione era indiretta poiché il limite nella durata dei contratti era posto in via generale (cioè anche rispetto ai lettori di lingua straniera che fossero italiani) ma comunque sfavoriva in concreto soprattutto i lavoratori di altri Stati membri giacché l’attività di lettore è svolta principalmente da stranieri. L’orientamento della Corte ha dato luogo ad una discriminazione al rovescio poiché la normativa dell’Unione impone di modificare la durata dei contratti concernenti i cittadini di altri Stati membri, ma non chiede di modificare la normativa interna che stabilisce una limitazione di durata nei confronti di lettori di cittadinanza italiana. Al fine di verificare se una normativa determina una discriminazione indiretta bisogna valutare se la normativa che comporta la discriminazione 25 possa essere giustificata sulla base di esigenze imperative dello Stato e se tale mezzo sia proporzionato allo scopo; ossia se non si poteva adottare alcun altro mezzo non discriminatorio per provvedervi.  Riguardo alle discriminazioni indirette la Corte ha avuto modo anche di considerare la questione del trattamento fiscale dei lavoratori che pur risiedendo nello Stato membro, prestano attività lavorativa in altro Stato membro (lavoratori frontalieri). Nella sentenza Schumacher (relativa ad una normativa tedesca che concedeva certe agevolazioni fiscali ai soli residenti in Germania e di conseguenza un cittadino belga residente in Belgio ma che prestava lavoro in Germania, ne era escluso) la Corte ha affermato che in via di principio la disposizione era legittima. Tuttavia, il diritto dell’Unione richiede che le agevolazioni fiscali siano accordate anche al lavoratore non residente allorché esso tragga la parte essenziale delle proprie risorse dall’attività esercitata nello Stato in cui lavora; in tal caso non esiterebbe una differenza effettiva tra lavoratore residente e non residente che giustificherebbe una differenziazione. Risulta dalla giurisprudenza che la parità di trattamento tra lavoratore non residente e lavoratore nazionale può operare solamente qualora il reddito familiare sia in larga parte prodotto nello Stato di occupazione. Il caso fu quello di una coppia di coniugi residenti in Olanda. Uno dei due coniugi prestava lavoro nello Stato di residenza, l’altro in Germania. La Corte ha ritenuto che l’articolo 45 non osta ad una normativa tedesca che concedeva certe agevolazioni fiscali ai coniugi non residenti solamente qualora almeno il 90% del loro reddito complessivo fosse sottoposto all’imposta in Germania.  Diritti sindacali: il regolamento enuncia il principio della parità di trattamento sia per l’iscrizione ai sindacati sia per l’eleggibilità a rappresentanti dei lavoratori nell’impresa. Rientra inoltre tra i diritti sindacali l’accesso ai posti amministrativi o direttivi di una organizzazione sindacale. Il regolamento prevede però che possa essere escluso lo straniero laddove debba partecipare alla gestione di organismi di diritto pubblico o debba esercitare una funzione di diritto pubblico. In tal caso la Corte ha interpretato in senso restrittivo la disposizione riconoscendo l’ammissibilità di tale esclusione solamente laddove egli sia chiamato a compiere attività concernenti i pubblici poteri. Infine, per favorire la circolazione dei lavoratori, l’articolo 46 TFUE prevede che debbano essere stabiliti meccanismi cc.dd. di compensazione idonei cioè a porre in contatto offerta e domanda di lavoro e facilitarne l’equilibrio. Tali meccanismi sono fondati sulla trasmissione, da parte degli uffici competenti di ciascuno Stato, di informazioni relative alla domanda ed offerta di impieghi. È stata di recente istituita anche una Autorità europea del lavoro votata ad assicurare l’equa mobilità dei lavoratori e la necessità di contrastare il lavoro non dichiarato. 3.2. Il diritto di rispondere ad offerte di lavoro effettive Originariamente si riteneva che l’articolo consentisse di negare l’ingresso a coloro che non fossero in possesso di una offerta di lavoro. Successivamente, è stato invece inteso come comprensivo del diritto di spostarsi per cercare una occupazione. La Corte ha confermato tale indirizzo nella sentenza Antonissen affermando che una interpretazione restrittiva comprometterebbe l’effettiva possibilità di un cittadino straniero in cerca di occupazione di trovarla negli Stati membri privando quindi la disposizione del suo effetto utile. Per quanto attiene alla direttiva essa distingue tra: 26  Chi precedentemente era occupato: coloro che dopo aver esercitato una attività lavorativa siano ora disoccupati involontari (cercano lavoro ma non riescono ad ottenerlo) ma siano iscritti presso l’ufficio di collocamento hanno diritto di soggiorno  Chi è in cerca della prima occupazione: in tal caso egli avrà diritto di soggiorno nello Stato ospitante finché possa dimostrare di essere alla ricerca di una occupazione e di avere buone possibilità di ottenerla. In merito la Corte ha precisato che: 1. Ricerca del lavoro: anche laddove una normativa nazionale preveda un termine massimo ai fini della ricerca di un impiego che sia in via di principio sufficiente per la ricerca stessa; se il soggetto possa provare le due condizioni precedentemente enunciate egli può protrarre la libera circolazione. La Corte ha ribadito che lo Stato ospitante è tenuto a concedere un termine ragionevole in pendenza del quale lo Stato ospitante può chiedere al cittadino solo di dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro; dopo la scadenza del termine, potrà richiedere di dimostrare anche la seconda condizione. 2. Probabilità di ottenerlo: nella sentenza Tsiotras la Corte ha affermato che il diritto di soggiorno al fine di cercare un’occupazione viene meno qualora l’interessato si trovi nella impossibilità soggettiva di ottenere un posto di lavoro (nel caso una malattia che lo affettava). Inoltre, la Corte ha chiarito che le buone possibilità di trovare un impiego devono concernere, non solo la situazione soggettiva dell’interessato, ma anche la situazione oggettiva del mercato nazionale nel settore in cui si ricerca un impiego. Dalla giurisprudenza della Corte risulta inoltre che nei confronti di chi ricerchi un impiego è consentito derogare al divieto di discriminazione nell’ambito delle prestazioni di assistenza sociale. Il fine di tale deroga è quello di evitare che il diritto alla circolazione possa essere utilizzato al solo fine di ottenere benefici previsti in determinati Stati a favore di coloro che ricercano un’occupazione. Pertanto, la Corte ha ritenuto legittima la disposizione della direttiva in base alla quale si afferma che lo Stato non sia tenuto ad offrire assistenza sociale a chi ricerchi una occupazione nel periodo in cui hanno diritto di soggiorno. La prestazione può essere erogata soltanto previo accertamento dell’esistenza di un legame reale tra chi è alla ricerca del lavoro ed il mercato medesimo. Tale legame può sussistere qualora il soggetto in questione abbia effettivamente e concretamente cercato lavoro per un periodo di durata ragionevole. 4. Limiti all’accesso al lavoro Essi sono previsti per gli impieghi nella P.A. ed in forza del requisito delle conoscenze linguistiche A. Pubblica amministrazione: L’articolo 45 consente agli Stati membri di escludere che le attività della p.a., che lo Stato abbia uno specifico interesse a riservare ai suoi cittadini (quindi non tutte), siano condotte da stranieri. Tale deroga ha alcune implicazioni: 1. La Corte ha precisato che la nozione di p.a. deve essere interpretata uniformemente nell’intera Comunità al fine di inibire un potere discrezionale agli Stati che possa determinare effetti discriminatori 2. Interpretando la deroga la Corte ha affermato che la circostanza che un impiego rientri nell’ambito della deroga dipende dall’eventualità che l’impiego implichi l’esercizio di pubblici poteri e la responsabilità della tutela degli interessi generali dello Stato. Pertanto, ciò che rileva, è il contenuto dell’impiego e non le procedure di assunzione od il datore di lavoro (non vi rientrano ad esempio gli infermieri o gli insegnanti solo perché sono posti di lavoro pubblici). 27 Trattato di Lisbona prevede però che qualora uno Stato membro ritenga che una misura proposta sulla base di tale articolo pregiudichi il suo sistema di sicurezza sociale (spesso per le implicazioni finanziare), allora potrà chiedere che della questione venga investito il Consiglio che può eventualmente chiedere alla Commissione di formulare una nuova proposta. All’attuazione dei principi in materia di sicurezza sociale provvede il regolamento n. 883 del 2004 che si propone di coordinare i sistemi di sicurezza sociale dei regimi nazionali in materia. Poiché si limita al coordinamento, spetta agli ordinamenti nazionali stabilire le condizioni che determinano il diritto ad ottenere prestazioni di sicurezza sociale. In particolare: 1) Parità di trattamento: le condizioni si applicano a tutti i cittadini di uno Stato membro; il lavoratore migrante avrà quindi diritto alle stesse prestazioni previste per i lavoratori nazionali. 2) Modalità per il cumulo dei periodi assicurativi: è previsto che l’istituzione previdenziale dello Stato in cui è stata prestata l’ultima attività lavorativa debba procedere alla totalizzazione dei periodi assicurativi maturati in base alle leggi degli Stati nei quali l’attività lavorativa è stata svolta. 3) Prestazioni di carattere non contributivo: la Corte ha affermato che il sussidio di disoccupazione deve essere versato anche qualora il disoccupato sia iscritto nelle liste di collocamento di uno Stato diverso al fine di non porre limiti di portata alla libertà di circolazione. 4) Le prestazioni oggetto del regolamento: la Corte ha affermato che l’elemento caratterizzate la nozione di prestazione è che essa tende alla prevenzione nei confronti di determinati rischi. Tuttavia, bisogna operare una opportuna distinzione tra le prestazioni di assistenza sociale e quelle di previdenza sociale. Il criterio discriminante è la natura della prestazione; ossia, se questa risponde a condizioni stabilite dalla legge in via generale piuttosto che essere fondata su valutazioni attinenti alla situazione personale dei beneficiari, allora si tratterà di previdenza sociale. Tale criterio implica una interpretazione estensiva del campo di applicazione del regolamento. CAPITOLO IV. LA LIBERA PRESTAZIONE DEI SERVIZI 1. L’ambito di applicazione sostanziale della disciplina L’obiettivo primario dell’Unione è quello di garantire la realizzazione di un mercato interno; ossia uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali. La libera prestazione dei servizi, insieme con libertà di stabilimento, garantiscono la mobilità dei lavoratori autonomi (imprese e professionisti) all'interno dell'Unione europea e pertanto favoriscono la creazione del mercato interno. Difatti si consente ai soggetti che rientrano nel campo di applicazione delle disposizioni in materia di libertà di circolazione di:  Esercitare un'attività economica in un altro Stato membro su base stabile e continuativa (libertà di stabilimento: articolo 49 TFUE)  Offrire e fornire i loro servizi in altri Stati membri su base temporanea pur restando nel loro paese d’origine (libera prestazione dei servizi: articolo 56 TFUE) Per quanto attiene all’ambito di applicazione sostanziale della disciplina è opportuno precisare: 1) La nozione di servizi: l’articolo 57 TFUE ritiene che vadano intesi come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione che non siano regolate dalle disposizioni relative alla 30 libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. L’articolo indica poi le attività che rientrano immediatamente in tale disciplina: segnatamente quelle di carattere industriale o commerciale, le attività artigiane, le libere professioni. Non sono comunque casi esclusivi, potendo la gamma di attività rilevanti essere estesa a qualsiasi prestazione svolta secondo le modalità previste. La Corte di giustizia ha precisato che la disciplina sulla libera prestazione di servizi si applica anche alle attività sportive, alla diffusione di programmi televisivi, attività finanziare e turistiche. Sono esclusi dal campo di applicazione della disciplina i servizi in materia di trasporti ed anche quelli bancari e assicurativi che sono precipuamente disciplinati nell’ambito della circolazione di capitali. La Corte ha ritenuto inoltre che la disciplina della libera circolazione dei servizi trova applicazione anche in materia fiscale: difatti, seppur la materia delle imposte dirette non rientra nelle competenze dell’Unione, gli Stati sono comunque tenuti a rispettare le norme europee; indi, laddove una disciplina fiscale leda la disciplina in materia di libera circolazione allora essa dovrà essere disapplicata 2) La rilevanza economica: il presupposto necessario affinché una attività prestata sul territorio dell’Unione possa rientrare nella nozione di servizio è che questa presenti una rilevanza economica. Difatti l’articolo 57 richiede espressamente che le prestazioni siano normalmente fornite dietro retribuzione, il che implica:  L’estensione della portata della disciplina a quelle attività che possono essere sporadicamente offerte in assenza di retribuzione (difatti rientrano nell’ambito di normalmente) o ancora di quelle svolte con una remunerazione ridotta da risultare quasi simbolica (biglietto di ingresso ai musei). Quest’ultima ipotesi è stata discussa relativamente ai musei in una sentenza in cui la Corte ha ritenuto incompatibile con il Trattato, per discriminazione, la disciplina nazionale che garantiva ad ogni cittadino spagnolo, quindi sulla sola base della nazionalità, la gratuità dell’accesso ai musei, negandolo invece ai cittadini di altri Stati membri.  L’esclusione delle attività svolte in assenza di legami economici diretti tra fornitore e destinatario e di tutte quelle in cui la prestazione viene svolta in maniera marginale o accessoria o sia caratterizzata da gratuità o assenza di lucro (ad esempio non vi rientrano le attività svolte dallo Stato al fine di assolvere ai propri obblighi di carattere sociale, educativo e culturale come l’attività di istruzione rientrante nel sistema scolastico pubblico nazionale). La Corte ha poi fornito ulteriori precisazioni:  Sentenza Alpine Investments: essa concerneva una attività economica consistente nel contattare telefonicamente dei privati senza il loro consenso allo scopo di proporre certi servizi. La Corte ha chiarito che anche le mere offerte di servizi rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina della libera circolazione dei servizi.  Non risulta necessario che il corrispettivo della prestazione provenga dal destinatario della stessa a condizione che il servizio venga comunque fornito previa remunerazione È il caso dei servizi radiotelevisivi diffusi in Stati membri diversi rispetto quelli di origine. In essi manca difatti un rapporto economico diretto tra l’emittente ed i fruitori del servizio stabiliti in un diverso Stato membro; la previa remunerazione è data dal canone che essi versano 31  La prestazione fornita è un servizio anche laddove la remunerazione sia eventuale (si pensi alle lotterie) 3) La precisazione che il servizio non rientri nell’ambito delle disposizioni in tema di libera circolazione delle merci, capitali o persone: nella prassi la Corte valuta se una determinata attività rientri nell’ambito delle altre libertà garantite dai Trattati prima di adottare la disciplina della libera circolazione dei servizi. Stabilire una demarcazione esatta tra la libertà garantita all’articolo 56 e le altre libertà economiche fondamentali contemplate dai Trattati è complesso. Il principale criterio adottabile è l’analisi del termine prestazioni. Il riferimento alle prestazioni dell’articolo 56 consente di escludere dalla nozione di servizi quelle attività economiche che si sostanziano nella produzione di beni e che sono ad esse indissolubilmente legate (esse saranno eventualmente sottoposte alle regole relative alla circolazione delle merci). Se una attività comporta al contempo la prestazione di un servizio e la fornitura di un bene vi sono due alternative:  Principio della valenza economica: concedere rilevanza alla attività principale alla luce della valenza economica di entrambe.  Principio della non accessorietà: nella sentenza Fedecine, la Corte ha giudicato di un provvedimento nazionale idoneo ad incidere tanto sulla libera prestazione dei servizi che sulla libera circolazione delle merci. Essa ha sostenuto l’esigenza di dare rilievo alla attività che avesse carattere primario rispetto l’altra attività e che quella secondaria possa essere ricollegata alla prima. In tal caso si ritenne che la presenza di un supporto materiale non comportasse che la distribuzione di opere cinematografiche sia da qualificare come attività soggetta alle disposizioni della circolazione delle merci piuttosto che dei servizi, essendo detto supporto meramente accessorio nei confronti della prestazione principale. 2. I destinatari della disciplina Le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione (art 56). Le condizioni perché si possa beneficiare di siffatta libertà sono: 1) Il soggetto possegga la cittadinanza di uno Stato membro: nel caso Micheletti la Corte ha precisato che compete alle legislazioni di ogni Stato membro, nel rispetto del diritto dell’Unione, di individuare i requisiti per l’attribuzione della cittadinanza. Il requisito della cittadinanza non è invece richiesto per il destinatario del servizio che potrebbe essere anche cittadino di uno Stato terzo purché sia stabilito sul territorio europeo. 2) Il soggetto risulti stabilito nel territorio dell’Unione europea: la previsione che un cittadino dell’Unione europea che non sia stabilito però in un Paese dell’Unione non possa beneficiare della libertà in esame ha carattere protezionistico. Tale misura è difatti intesa ad evitare di aprire i mercati a coloro che non godono di un legame effettivo con il territorio dell’Unione. Lo stesso comma 2 dell’articolo 56 precisa che con apposite misure tale diritto possa essere intestato anche ai cittadini di Stati terzi purché stabiliti nel territorio dell’Unione; in tal caso si garantisce contro fenomeni distorsivi della concorrenza che potrebbero verificarsi qualora gli stessi servizi fossero disciplinati sulla base di due differenti discipline Vi è inoltre una liberalizzazione internazionale della prestazione di servizi oggetto dell’accordo GATS che richiede agli Stati parti il rispetto di alcuni obblighi riguardanti la liberalizzazione dei 32 La libertà di prestazione di servizi promuove la realizzazione del mercato interno ed assicura la circolazione dei fattori produttivi nel territorio dell’Unione. Al contempo, vietando discriminazioni in base alla nazionalità del prestatore o del destinatario del servizio, favorisce lo svolgimento di attività in mercati diversi da quelli di stabilimento del professionista, intervenendo così nel processo di integrazione sociale. Originariamente, il processo di liberalizzazione della prestazione di servizi avrebbe dovuto avvenire con gradualità. La complessità degli ostacoli alla libera circolazione dei servizi, dovuti alle disparità delle legislazioni nazionali, aveva suggerito ai redattori del Trattato di non procedere ad una abolizione immediata e generalizzata degli ostacoli alla libera circolazione, ma di adottare un approccio cauto. All’uopo si previde il divieto, immediatamente applicabile, per gli Stati membri di non introdurre nuove restrizioni rispetto alla libertà effettivamente raggiunta al momento dell’entrata in vigore del Trattato. Inoltre, la disciplina immediatamente applicabile del Trattato includeva una disposizione la quale, in attesa dell’abolizione delle restrizioni alla prestazione di servizi, richiedeva agli Stati membri di applicare le eventuali restrizioni esistenti in maniera non discriminatoria. Nell’ottica dei redattori del Trattato, la liberalizzazione avrebbe dovuto realizzarsi progressivamente grazie all’adozione di direttive di liberalizzazione che avrebbero provveduto ad eliminare le restrizioni alla libera circolazione dei servizi e avrebbero dovuto accompagnarsi ad altre direttive finalizzate al coordinamento delle legislazioni nazionali per facilitare l’esercizio effettivo di tale libertà. Un tale programma, non si è tuttavia realizzato nei tempi previsti ed ha posto rimedio la Corte di giustizia la quale, ha riconosciuto la diretta efficacia, alla fine del periodo transitorio, del divieto di restrizioni alla libera circolazione dei servizi esaltando la natura precettiva delle direttive. Come ribadito in successive pronunzie, l’articolo 56, impone un obbligo preciso di risultato, il cui adempimento doveva essere facilitato, ma non condizionato, dall’attuazione di un programma di provvedimenti da adottare gradualmente. Detta disposizione impone agli Stati membri di eliminare tutte le discriminazioni che colpiscono il prestatore del servizio a causa della sua nazionalità o residenza in uno Stato membro diverso da quello in cui deve essere fornita la prestazione. 5. L’effetto diretto delle disposizioni del TFUE L’effetto diretto dell’articolo 56 TFUE è dovuto all’obbligo preciso ed incondizionato che esso contiene e che risulta pertanto idoneo ad: 1. Attribuire agli amministrati delle posizioni giuridiche soggettive perfette, direttamente invocabili in giudizio nei confronti degli Stati membri, in particolare il diritto di opporsi a qualsiasi disposizione nazionale che comporti una restrizione alla libertà garantita dal diritto comunitario. 2. Imporre anche in capo associazioni private o altri organismi giuridicamente indipendenti rispetto all’amministrazione il divieto di restrizioni alla libera circolazione dei servizi. Nel caso Walrave la Corte ha ritenuto incompatibili con il Trattato alcune regole, adottate dall’Unione ciclistica internazionale per la partecipazione alle competizioni (quindi si tratta di un privato), per violazione del principio di non discriminazione. Essa ha sostenuto indi che la diretta applicabilità della disciplina sulla libera circolazione dei servizi non trova applicazione solamente in ordine ad atti dell’autorità pubblica, ma anche a qualsiasi atto diretto a disciplinare collettivamente il lavoro subordinato e le prestazioni di servizi. 35 3. Imporre in capo allo Stato membro l’obbligo di depurare l’ordinamento nazionale dalle disposizioni incompatibili con il divieto di restrizioni alla libera prestazione di servizi. Ciò in applicazione del principio generale di leale collaborazione tra gli Stati membri e l’Unione e al fine di garantire la conoscibilità dei diritti attribuiti ai privati. Le misure nazionali restrittive sono quindi vietate dal Trattato quando:  Imputabili allo Stato in cui è stabilito il destinatario della prestazione  Imputabili allo Stato in cui è stabilito il soggetto che effettua la prestazione: il caso in cui lo Stato membro vieti alle imprese stabilite nel proprio territorio di rivolgere attività economicamente rilevanti nei confronti di soggetti stabiliti in altri Stati membri (restrizioni in uscita)  Imputabili a misure che ostacolano la libertà di prestazioni dei servizi in violazione del divieto di non discriminazione, qualunque sia il soggetto colpito dalla restrizione, sia esso il prestatore di servizio od il destinatario. 6. Le misure discriminatorie Nelle parole della Corte, l’articolo 56 impone l’eliminazione di qualsiasi restrizione alla libera prestazione di servizi, anche qualora essa si applichi indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, quando si tale da vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro. Dunque, ogni qual volta si debba valutare se una disciplina nazionale si compatibile con l’articolo 56, è possibile applicare la c.d. formula Sager che ritiene necessario verificare se la misura nazionale generi una restrizione alla libera prestazione di servizi indipendentemente dalla presenza di discriminazioni palesi od occulte, ma in riferimento alla sola circostanza che esse pongano il prestatore di servizio in posizione obiettivamente sfavorevole. Le discriminazioni possono essere: A. Dirette Esse sono segnatamente introdotte sulla base della cittadinanza del soggetto discriminato. Gli Stati membri possono però eccezionalmente limitare la circolazione dei servizi adottando misure discriminatorie. Detta facoltà di deroga ha talune implicazioni: 1. Natura della deroga: essa ha carattere necessariamente eccezionale e pertanto deve trattarsi di misure che rientrino nelle deroghe espressamente previste dal Trattato e le relative disposizioni debbono essere interpretate in maniera restrittiva 2. Oggetto della deroga: l’articolo 62 TFUE opera un rinvio ad alcune disposizioni contenute nel capo relativo alla libertà di stabilimento ed in particolare:  Articolo 51: sono escluse dall’applicazione delle disposizioni sulla libertà di stabilimento (e quindi grazie al rinvio anche sulla libertà di prestazione di servizi) le attività che nello Stato membro partecipino all’esercizio dei pubblici poteri. Detta deroga va però interpretata in maniera da limitare la portata a quanto è strettamente necessario per tutelare gli interessi che la stessa norma permette agli Stati di proteggere. La deroga può dunque essere applicata soltanto qualora l’attività in cui si concreta la prestazione di servizi costituisca una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri. Ad esempio, la Corte ha specificato che il personale privato di sorveglianza di una impresa non partecipa direttamente e specificatamente all’esercizio di pubblici poteri in quanto attività concernenti la 36 sorveglianza e la protezione in base a rapporti giuridici di diritto privato, non implica che i soggetti indicati siano investiti di poteri coercitivi.  Articolo 52: esso prevede che le prescrizioni che impongono la liberalizzazione delle prestazioni di servizi lasciano impregiudicata l’applicabilità delle disposizioni che prevedono un regime particolare per i cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. La Corte ha elaborato talune precisazioni: a. Ordine pubblico: nella sentenza Bond van Advertising, relativa alla compatibilità con le regole dell’Unione europea in tema di circolazione dei servizi con la disciplina della pubblicità televisiva in vigore in Olanda, la Corte ha escluso che il divieto di trasmettere pubblicità rivolta al pubblico olandese, applicato esclusivamente ad emittenti straniere, potesse essere motivato da ragioni di ordine pubblico. Difatti, pur riconoscendo che la tutela di un sistema radiotelevisivo possa configurare misure discriminatorie nei confronti di prestatori di servizi, la Corte ha ritenuto che le misure in esame, garantendo esclusivamente ad una impresa pubblica nazionale la totalità delle risorse relative ai messaggi pubblicitari diffusi in olanda, celasse finalità di natura economica. La Corte ha indi concluso che la nozione di ordine pubblico non può essere invocata per raggiungere obiettivi di natura economica. b. Pubblica sicurezza: nella sentenza Corsica Ferries II la Corte ha ricondotto a giustificazioni di pubblica sicurezza la restrizione alla libera circolazione dei servizi di trasporto marittimo consistente nell’obbligo, di tutte le imprese di trasporto marittimo, di ricorrere esclusivamente ai servizi di ormeggio offerti da gruppi di ormeggio locali. La Corte ha ritenuto opportuna la giustificazione sulla base della circostanza che tali limitazioni fossero necessarie per l’adempimento della specifica missione affidata alle imprese incaricate di svolgere tale servizio. Ciò sulla base dell’articolo 106 TFUE che ritiene possa aversi deroga alle norme dei Trattati, da parte di talune imprese, se esse ostano all’adempimento della specifica missione loro affidata. La Corte ha introdotto così una deroga alle norme dei Trattati applicabile indipendentemente dalla natura discriminatoria o meno dell’attività c. Sanità pubblica: nella sentenza Kohll, relativa al diritto di un cittadino di uno Stato membro di rivolgersi a strutture di altri Stati membri per cure ortodontistiche, la Corte ha ritenuto legittime le misure restrittive adottate allo scopo di garantire il funzionamento delle strutture ospedaliere e di tutelare la salute dei cittadini. 3. Limiti della deroga: la valutazione della legittimità delle deroghe deve fondarsi anche sul rispetto dei diritti fondamentali. Indi, è possibile fruire delle eccezioni previste dai Trattati solo se la normativa che opera in deroga, sia conforme ai diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto. Ad esempio, una disciplina nazionale in tema di monopolio televisivo, per definizione discriminatoria nei confronti di operatori di altri Paesi membri, può fruire dell’eccezione dell’ordine pubblico solo se conforme al principio generale delle libertà di espressione. B. Indirette L’articolo 56, riferendosi generalmente alle restrizioni alla libera prestazione di servizi coinvolge, come affermato, anche le misure che seppur indistintamente applicabili ai nazionali e agli stranieri, 37 e dei loro servizi. Al fine di agevolare lo scambio di comunicazioni tra gli Stati è prevista la realizzazione di un sistema informativo comunitario in cui dovrebbero convergere tutte le domande da porre alle autorità competenti degli altri Stati membri insieme alle relative traduzioni. CAPITOLO VI LE POLITICHE DI CONCORRENZA 1. La politica di concorrenza applicabile alle imprese La politica di concorrenza non è fine a sé stessa, ma è volta a promuovere l’economia europea. Essa rappresenta difatti uno strumento chiave per il conseguimento di un mercato unico europeo nel quale assicurare la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali. Data la rilevanza della materia, le regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno sono competenza esclusiva dell’Unione europea. La realizzazione di una concorrenza effettiva consente di garantire alle imprese di competere in condizioni di parità in tutti gli Stati membri, sottoponendo loro a forti pressioni affinché vengano offerti ai consumatori i migliori prodotti e servizi. Tale concorrenza si traduce quindi in una maggiore scelta per i consumatori ed in una spinta delle imprese all’innovazione per consentire loro di competere all’interno dell’Unione. I principi sulla concorrenza sono espressi dall’: 1. Articolo 3 TUE: esso impone l’obiettivo di una economia sociale di mercato fortemente competitiva al fine di assicurare una coerenza tra le esigenze di mercato e della concorrenza, da un lato, e quelle sociali, dall’altro. 2. Il protocollo sul mercato interno e sulla concorrenza: esso stabilisce che il mercato interno comprende un sistema che assicura che la concorrenza non sia falsata Questi principi di carattere generale sono concretizzati nelle disposizioni specifiche contenute negli articoli 101-109 TFUE che consentono concretamente all’Unione di sviluppare la sua azione in tema di concorrenza sia nei confronti delle imprese che degli Stati membri. Al fine di definire le regole di concorrenza è necessario stabilire: 1. La nozione di impresa: essa è stata elaborata dalla Corte di Lussemburgo per individuare i soggetti ai quali si applicano le regole di concorrenza. Si definisce impresa qualsiasi entità che svolga un’attività economicamente rilevante, consistente nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato. La Corte ha precisato che rientra quindi in questa nozione qualsiasi entità che eserciti una attività economica indipendentemente dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento. In materia si è rivelata complessa la configurazione dei sistemi di sicurezza sociale. In materia, la Corte, ha ritenuto che gli Stati possano sottrarre talune attività all’applicazione delle norme sulla concorrenza solo a condizione di attuare effettivamente il principio di solidarietà e nella misura in cui l’offerta di beni e servizi non venga realizzata in una situazione di concorrenza. Quando invece i sistemi di sicurezza sociale sono misti, ossia combinano elementi di natura non economica con altri economicamente rilevanti, la qualificazione dell’attività esercitata come attività di impresa dipende dall’analisi della rilevanza e finalità degli elementi in questione. In particolare, la Corte ha sostenuto che l’attività è priva di carattere economico laddove:  Il sistema di sicurezza abbia un obiettivo sociale  Il sistema attui il principio di solidarietà 40  Sul sistema vige un controllo statale In questa prospettiva sono stati esclusi dalla nozione di impresa gli enti che gestiscono un sistema sanitario nazionale, che non agiscono come imprenditori neppure quando acquistano materiale sanitario per offrire servizi sanitari agli iscritti. 2. Il campo di applicazione: il principio della sana concorrenza non ha un’estensione rigorosamente determinata e circoscritta, ma ha un carattere trasversale poiché si intreccia con una pluralità di altri principi, interessi ed obiettivi. In via generale le regole della concorrenza si applicano a tutti i settori economici con opportune precisazioni:  In ragione del luogo: il diritto della concorrenza si applica in presenza di comportamenti suscettibili di pregiudicare in maniera sensibile il commercio tra Stati membri, con la conseguenza che in assenza di questo requisito potrà assumere rilevanza soltanto la normativa nazionale antitrust.  In ragione della materia considerata: per cui, nel settore inerente alla sicurezza nazionale, l’articolo 346 TFUE legittima i Paesi dell’Unione ad adottare specifiche misure ritenute necessarie alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza e che si riferiscono alla produzione o al commercio di armi, munizioni o materiale bellico. Ancora, in materia di agricoltura è previsto che le norme sulla concorrenza dell’Unione si applicano alla produzione e commercio di prodotti agricoli soltanto nella misura determinata dal Parlamento europeo e dal Consiglio al fine di non pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi della politica agricola comune. 2. Premessa Nell’ambito delle regole della concorrenza, per quanto concerne le imprese, vengono in rilievo i divieti alle intese (art. 101 TFUE) e agli abusi di posizione dominante (art. 102 TFUE). Le ipotesi indicate sono idonee, per loro natura, a restringere la concorrenza e pregiudicare il commercio tra Stati membri. Entrambi gli articoli hanno efficacia diretta ed attribuiscono quindi ai singoli dei diritti che i giudici e le autorità di concorrenza nazionale devono tutelare. 2.1 Le intese L’articolo 101 TFUE pone un divieto alle intese tra imprese ossia a quel complesso di concertazioni tra imprese idonee a pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza. Le intese si sostanziano in tre diverse categorie che variano esclusivamente in ordine della maggiore intensità con cui si verifica la concertazione. Le tre forme sono pertanto equiparate, una stessa condotta è riconducibile a più fattispecie di intese, senza che però questo possa pregiudicare l’applicazione dell’articolo 101: 1. Accordi tra imprese: l’accordo è un patto tra due o più imprese che abbiano espresso la comune volontà di assumere una determinata condotta sul mercato. Tale patto con richiede particolari requisiti formali e pertanto vi rientrano le più disparate forme di accordi quali scritti, verbali e taciti. 2. Decisioni di associazioni di imprese: esse comprendono le deliberazioni adottate da organismi ed enti associativi o comunque di tipo corporativo che rappresentano una categoria di imprese. Esse possono impartire delle direttive alle imprese associate che però non sono vincolate a tale atto. Tale direttiva è però un’intesa poiché astrattamente idonea a condizionare la condotta di mercato delle imprese destinatarie. Le restrizioni alla concorrenza 41 derivanti da delle decisioni possono sfuggire al divieto dell’articolo 101 esclusivamente laddove:  La restrizione è giustificata dal perseguimento di obiettivi legittimi  La restrizione è proporzionale a tali obiettivi 3. Pratiche concordate delle imprese: esse espandono il campo di applicazione degli accordi. Si tratta di forme di coordinamento delle attività delle imprese (aumento contemporaneo dei prezzi) consapevolmente adottate dalle stesse mediante contatti diretti o indiretti tra loro, ma senza accordi espressi (attraverso scambio di informazioni riservate). Una pratica concordata può avere ad oggetto anche la manipolazione di una gara d’appalto, nell’ipotesi in cui, ad esempio, gli operatori presentino offerte concordate sul prezzo al quale partecipare. Non è comunque agevole reperire prove dirette dell’esistenza della pratica concordata data la segretezza della medesima. Pertanto, la Corte richiede ai fini dell’applicazione del divieto di cui all’articolo 101, che si forniscano indizi seri e precisi; in difetto vale la presunzione di innocenza dell’impresa imputata. La valutazione di un’intesa coinvolge due fasi articolate a loro volta in distinti passaggi: Prima fase (art. 101 par.1): è necessario accertare l’esistenza di due requisiti:  Se l’intesa pregiudichi il commercio tra gli Stati membri: a tal fine occorre considerare tre elementi: 1) Il commercio tra Stati membri: il concetto di commercio tra Stati membri non è circoscritto agli scambi tradizionali di beni e servizi a livello transfrontaliero, bensì si estende a tutta l’attività economica transfrontaliera. Affinché si possa discutere di commercio tra Stati, è indi necessario che gli effetti dell’intesa incidano sull’attività, economica di almeno 2 Stati. 2) Il possibile pregiudizio: esso implica che deve essere possibile prevedere un grado di probabilità adeguato, che l’intesa possa avere una influenza, diretta o indiretta, attuale o potenziale, sulle correnti di scambi tra gli Stati membri 3) Il pregiudizio sensibile al commercio intracomunitario: esso consente di escludere le intese che producono effetti principalmente sul territorio di uno Stato membro o che comunque non abbiano portata rilevante. La valutazione del pregiudizio dipende dalla natura dell’intesa, dei prodotti interessati e dalla posizione di mercato delle imprese coinvolte  Che la pratica abbia per oggetto o per effetto quello di impedire, falsare o restringere sensibilmente il gioco della concorrenza: l’analisi della restrizione si ha quindi: 1) Per oggetto: sono restrizioni il cui oggetto, sulla base di una esperienza consolidata, si ritiene sia pernicioso per la concorrenza. L’analisi della pericolosità dell’oggetto viene quindi eseguita in astratto; tuttavia, non risulta sufficiente, e quindi richiede la successiva analisi degli effetti, nelle ipotesi in cui non consenta di dimostrare la restrizione della concorrenza 2) Per effetto: essi possono essere reali o potenziali, purché idonei a falsare, restringere o impedire il gioco della concorrenza. La Corte ha precisato che per valutare la portata degli effetti, bisogna considerare come la concorrenza si svolgerebbe in assenza dell’accordo controverso. Seconda fase (art. 101 par.3): essa consiste nel valutare gli eventuali benefici per la concorrenza prodotti dall’accordo e se tali effetti favorevoli superino gli effetti restrittivi. La seconda fase prevede così una deroga al divieto laddove gli effetti positivi abbiano maggior rilievo rispetto quelli 42  Principio di effettività: siffatte norme non devono rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’Unione. Il risarcimento deve essere poi adeguato al danno subito così da garantire una effettiva tutela dei diritti dei singoli danneggiati; pertanto, è possibile domandare il risarcimento del danno reale e del mancato guadagno, nonché il pagamento di interessi. Sulla base del principio di equivalenza la liquidazione di tali danni deve poter essere riconosciuta nell’ambito di azioni fondate sulle regole dell’Unione qualora possano essere riconosciute nell’ambito di azioni analoghe fondate sul diritto interno. Il diritto al risarcimento dei danni è stato formalizzato nella direttiva n. 104 del 2014 che si pone di assicurare il coordinamento tra public e private enforcement in materia antitrust e di rimuovere gli ostacoli che impediscono al rimedio risarcitorio di esprimere tutte le sue potenzialità, in quanto l’onere della prova risulta particolarmente gravoso. In particolare, la direttiva ha garantito a chi abbia interesse ad esercitare l’azione, il diritto ad ottenere la divulgazione delle prove rilevanti nelle disponibilità delle controparti, dei terzi, o di una autorità garante della concorrenza. Infine, sulla base del regolamento 1215 del 2012 inerente alla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di risarcimento per azioni contrarie al divieto dell’articolo 101, la Corte ha chiarito che il luogo in cui si è verificato l’evento dannoso ricomprende quello in cui si trova il mercato rilevante. In base a tale luogo, il giudice competente a riconoscere dell’azione di risarcimento è quello nel cui ambito di competenza territoriale l’impresa lesa ha acquistato i beni interessati da tali accordi. Nel caso in cui abbia compiuto acquisti in più luoghi, il giudice competente è quello nel cui ambito territoriale si trova la sede sociale dell’impresa. 2.2. L’abuso di posizione dominante L’articolo 102 TFUE stabilisce che “è incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo”. La normativa dell’Unione non ha lo scopo di impedire ad un’impresa di conquistare, grazie ai suoi meriti, una posizione dominante su un dato mercato, ma semplicemente di inibire lo sfruttamento di tale posizione, data la sua indipendenza ed autonomia rispetto altre imprese, in modo da pregiudicare il commercio tra Stati membri. L’accertamento dell’abuso di posizione dominante si articola in tre passaggi fondamentali, consistenti nell’individuazione: 1. Del mercato rilevante: il mercato rilevante si compone di due dimensioni:  Merceologica: essa implica che il mercato venga individuato in relazione al prodotto interessato dall’abuso. In tal caso si guarda a tutti i prodotti che sono sostituibili dal consumatore in ragione delle caratteristiche, dei prezzi e dell’uso cui sono destinati. Ad esempio, il mercato delle banane è distinto rispetto a quello delle altre varietà di frutta fresca (si tratta quindi di due mercati rilevanti distinti) atteso che le prime, per le loro caratteristiche specifiche (quali l’assenza di semi, la consistenza polposa, l’aspetto, l’agevole rimozione della buccia) non subiscono apprezzabili alterazioni in funzione della disponibilità delle seconde. La sostituibilità può essere misurata: a) Lato domanda: è il criterio principale nella definizione del mercato del prodotto in quanto è un fattore efficace ed immediato per misurare la fornitura di beni. Tale sostituibilità può essere accertata mediante diversi test econometrici, in particolare si 45 utilizza il c.d. test del monopolista ipotetico. Esso consente di misurare l’intensità della sostituibilità tra i beni sul versante della domanda sulla base della reazione dei consumatori ad un ipotetico e piccolo ma significativo e durevole incremento del prezzo di un bene su un orizzonte temporale di un anno (misura quindi l’elasticità della domanda al prezzo). La portata della sostituzione da un bene ad un altro conseguente all’aumento del prezzo consente di apprezzare in che termini l’eventuale innalzamento dei prezzi sarà profittevole per l’impresa interessata. Laddove l’incremento incida in maniera negativa su tale impresa, il bene da essa offerto sarà in regime concorrenziale con il prodotto verso il quale viene dirottata la domanda (che quindi sarà un bene sostituto) e sarà pertanto incluso nel mercato rilevante del prodotto. b) Lato offerta: data un’impresa che produce il bene x, se aumenta il prezzo del bene y, essa sarà propensa a orientare la sua produzione verso tale bene perché più redditizio. Se l’impresa riesce a convertire agevolmente i propri assets ed input al fine di sostituire la produzione di x con quella di y, allora i due beni sono parte dello stesso mercato rilevante  Geografica: essa implica che il mercato venga individuato in relazione all’area geografica in cui le imprese forniscono o acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere tenuta distinta dalle aree geografiche contigue perché in queste ultime le condizioni di concorrenza sono sensibilmente diverse. Dal punto di vista geografico si deve guardare quindi alla circostanza che i luoghi dell’offerta siano tra loro fungibili: ossia se posso richiedere il bene ad un altro imprenditore se aumenta il prezzo presso un altro fornitore. L’incidenza dei costi di trasporto sul prezzo del prodotto costituisce uno dei fattori principali ai fini dell’individuazione del mercato geografico; laddove tali costi siano elevati è probabile che il mercato avrà una dimensione geografica più ridotta e viceversa. Bisogna poi valutare altre componenti esogene come le preferenze dei consumatori, la cultura, i loro stili di vita. Tale metodo è ad oggi meno preferibile poiché con l’avvento delle grandi imprese di e- commerce (Amazon, Shein) le distanze geografiche sono fortemente ridotte poiché è possibile acquistare prodotti in aree di notevole distanza, senza elevati costi di trasporto. 2. Della posizione di dominanza: essa consiste nel determinare l’entità del potere di mercato detenuto dall’impresa interessata. Secondo la Corte occorre valutare la titolarità di un significativo potere di mercato da parte di un’impresa e la portata della sua indipendenza comportamentale che le consente di definire autonomamente la propria strategia commerciale. Alcuni elementi che consentono di stabilire la posizione di dominanza sono:  L’esistenza di un regime di monopolio legale: esso determina ineluttabilmente la titolarità di una posizione di dominanza in capo all’impresa monopolista  La quota di mercato detenuta dall’impresa: le quote non debbono essere interpretate in maniera assoluta, ma anche in relazione alle altre condizioni del mercato rilevante. In generale è possibile affermare che la posizione di dominanza è esclusa in presenza di quote di mercato inferiori al 25%; è dubbia se compresa tra il 25% ed il 40%; è probabile se oscilla tra il 40-50%; ed è certa oltre il 50%. Per verificare la dominanza sulla base della quota, si può altresì valutare la distanza tra le quote di mercato detenute dall’impresa dominante e quelle dei suoi concorrenti: quanto maggiore è il differenziale tanto più convincente è l’indizio che la prima impresa si trovi in posizione dominante 46  La presenza di barriere all’ingresso o all’espansione: tale criterio, diversamente dai precedenti, non guarda prioritariamente alla titolarità di un potere di mercato, quanto alla portata dell’indipendenza dell’impresa. Le barriere all’ingresso costituiscono degli ostacoli atti a rendere difficile o impossibile l’accesso o la permanenza di potenziali nuove imprese nel mercato di riferimento. Le barriere all’espansione deprimono invece lo sviluppo delle imprese già attive sul medesimo mercato. La portata di tali barriere modula la pressione competitiva esercitata dai concorrenti sulla presunta impresa dominante: laddove le barriere siano ridotte la concorrenza è maggiormente favorita (poiché l’espansione e l’ingresso sono probabili, tempestivi ed effettivi) e si traduce in un deterrente nei confronti dell’impresa dominante in quanto ne limitano l’autonomia comportamentale. 3. Del comportamento abusivo: l’abuso può essere perpetrato, a norma dell’articolo 102 TFUE individualmente da singole imprese o collettivamente da due o più imprese che si verifica laddove più imprese, ancorché giuridicamente autonome, siano sufficientemente legate tra loro da vincoli economici o strutturali tali da farle detenere collettivamente un potere economico che consente loro di agire come un’unica entità su un certo mercato. Sull’impresa in posizione dominante grava la responsabilità di non pregiudicare, con il suo comportamento, la concorrenza del mercato interno. In tal modo condotte reputate legittime perché riconducibili alla normale attività economica di un’impresa, possono essere qualificate come abusive se realizzate da un’impresa in posizione dominante. I comportamenti abusivi possono assumere varie forme e l’elenco delle condotte illecite dell’articolo 102 ha valore meramente esemplificativo. Tradizionalmente si distinguono:  Gli abusi di sfruttamento: che sono adottati nelle relazioni verticali attraverso, ad esempio, la fissazione di prezzi eccessivi o condizioni ingiustificatamente gravose, deteriori o discriminatorie nei confronti dei contraenti. Ai fini della valutazione dei prezzi eccessivi, si rende necessaria un’analisi basata sul raffronto tra il prezzo di vendita del prodotto ed il suo costo di produzione e sulla assenza di un ragionevole rapporto tra il prezzo di vendita del bene ed il suo valore economico.  Gli abusi escludenti: essi producono un effetto di chiusura del mercato nei confronti dei concorrenti. Le ipotesi principali sono: 1) Vendita sottocosto: è l’ipotesi in cui l’impresa dominante al fine di eludere il rischio dell’ingresso di nuovi operatori nel suo mercato di interesse, riduce il prezzo del prodotto offerto sul mercato in modo da portarlo ad un livello sottocosto. 2) Rifiuto di fornitura: è il rifiuto dell’impresa dominante di fornire un prodotto od un servizio ad altri operatori presenti sul mercato. In linea di principio tale fattispecie riguarda un’impresa dominante nel mercato a monte ed operante anche nel mercato a valle che impedisce l’accesso ad un bene primario (input) sul mercato dove viene fornito un bene secondario (output) sfruttando il fatto che il primo rappresenta una componente necessaria per la produzione e/o commercializzazione del secondo. Nell’ambito del rifiuto a contrarre si innesta anche la dottrina dell’essential facility secondo la quale un’impresa in posizione dominante, titolare di una infrastruttura essenziale per l’esercizio di una attività economica (quale ad esempio, la rete ferroviaria, telefonica o elettrica) non può rifiutarne l’accesso o l’utilizzazione da parte di altre imprese concorrenti. L’abusività di tale condotta si configura in presenza di cinque condizioni: 47  Cautelare: con essa di adottano provvedimenti cautelari nei casi di urgenza dovuti al rischio di un danno grave ed irreparabile per la concorrenza  Di condanna: essa può condannare a sanzioni nei confronti dell’impresa rea. Le sanzioni sono definite in relazione alla gravità e durata dell’infrazione e non devono superare il 10% del fatturato totale realizzato dall’/dalle impresa/e nel corso dell’esercizio sociale precedente. L’importo base dell’ammenda è calcolato sulla base del valore percentuale delle vendite cui si riferisce l’infrazione, moltiplicato per il numero di anni dell’infrazione ed in funzione della gravità dell’infrazione. A questo ammontare iniziale la Commissione può aggiungere un ulteriore importo che è applicato a tutti i casi di cartelli e, a discrezione della Commissione, alle altre infrazioni. Nell’ordinamento dell’Unione non sono previste invece sanzioni di natura penale per le violazioni del diritto antitrust; tuttavia, la Corte di giustizia si è progressivamente allineata alla giurisprudenza della Corte EDU nel ricomprendere le sanzioni antitrust nell’ambito della materia penale.  Di rifiuto: essa dichiara l’inapplicabilità dell’articolo 101 o 102 al caso di interesse La decisione deve essere sempre motivata per consentirne il controllo di legittimità dinnanzi la Corte di giustizia. Essa può essere impugnata entro due mesi dalla notificazione al destinatario; alcuni tipi di decisione sono soggetti a pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. 2.3.1 Impegni, transazioni e programmi di clemenza Il procedimento ordinario potrebbe interrompersi per effetto di una: 1. Decisione con impegni: prima che la Commissione pervenga all’effettivo accertamento della violazione degli articoli 101 e 102, le imprese sottoposte ad indagine possono proporre un accordo avente ad oggetto una modifica della loro condotta, ritenuta anticoncorrenziale, al fine di far venire meno l’illecito commesso. Se la Commissione, valutati eventuali benefici e costi in capo al consumatore, ritenga opportuna tale proposta adotta una c.d. decisione con impegni con cui rende tale accordo vincolante per le imprese interrompendo il procedimento prima dell’accertamento dell’infrazione. La Corte ha ritenuto che al fine di adottare siffatta decisione, debbono sussistere 3 condizioni:  La Commissione deve esprimere delle preoccupazioni in materia di concorrenza  L’impresa offre degli impegni adeguati a rispondere alle preoccupazioni  La decisione di accogliere gli impegni deve rispettare il principio di proporzionalità 2. Procedura di transazione: negli illeciti antitrust ritenuti più gravi per la collettività (ossia i cartelli), la Commissione, una volta raccolte evidenze probatorie dell’esistenza del cartello, può verificare l’interesse delle parti coinvolte ad aderire ad una procedura di transazione ossia un meccanismo alternativo alla procedura ordinaria volto ad addivenire ad un accordo che definisca l’esito dell’istruttoria. La Commissione avvia le consultazioni con le parti con cui pervenire ad un’intesa comune quanto agli addebiti e alla stima delle sanzioni. La Commissione fissa un termine entro il quale le parti possono formalizzare una proposta definitiva di transazione. Anche in tale procedura la Commissione è tenuta ad adottare una comunicazione degli addebiti e a sentire le argomentazioni di difesa delle parti. Vi sono due ipotesi: 50  Se la comunicazione degli addebiti riflette puntualmente la proposta di transazione formulata dalle parti, queste entro un certo termine confermano il loro impegno a seguire la procedura di transazione. In assenza di tale conferma la Commissione può decidere di abbandonare la procedura in corso.  Laddove la comunicazione non rifletta il contenuto della proposta di transazione è assegnato alle parti un nuovo termine per poter presentare richieste di accedere al fascicolo istruttorio o di essere sentite in audizione. In caso di esito positivo della procedura di transazione, la Commissione adotta una decisione e riduce del 10% l’ammontare dell’ammenda irrogata nei confronti delle imprese che hanno aderito alla procedura 3. Programma di clemenza: un’impresa, parte di un cartello, può beneficiare delle immunità dalle ammende o di una loro riduzione decidendo di autodenunciarsi alla Commissione e di partecipare ad un c.d. programma di clemenza. L’efficacia di tali programmi deriva dal loro carattere premiale che spinge le imprese a collaborare con la Commissione, agevolando quest’ultima nell’accertamento dell’intesa. In particolare alla prima impresa che denuncia la partecipazione ad un cartello e fornisce elementi probatori efficaci al fine di stabilire l’esistenza del cartello, può essere riconosciuta una immunità totale dalle ammende. Le altre imprese possono godere, su base progressiva di una riduzione percentuale delle ammende (la seconda ottiene una riduzione maggiore della terza) purché si autodenuncino e offrano elementi ulteriori di prova rispetto quelli già posseduti. L’immunità e la riduzione dell’ammenda è subordinata alla condizione che l’impresa cooperi con la Commissione per tutta la durata del procedimento, che si ritiri dal cartello e che non distrugga, falsifichi o celi elementi probatori. Al fine di eludere il rischio che una impresa non si autodenunci perché tema la divulgazione del materiale autoincriminante, è previsto che esso possa essere fornito solo alle parti del pertinente procedimento e unicamente ai fini dell’esercizio del loro diritto di difesa. 3. Le concentrazioni Le concentrazioni hanno come oggetto l’ampliamento della quota di mercato detenuta da un’impresa, realizzato attraverso operazioni di crescita esterna dell’impresa. L’introduzione nel processo di integrazione europea di una disciplina organica in materia di concentrazioni tra imprese si è raggiunta in tempi relativamente remoti tramite l’adozione di un sistema di controllo preventivo sulle concentrazioni, con l’obiettivo di individuare quelle operazioni che siano tali da pregiudicare effettivamente la concorrenza nel mercato interno sulla base della valutazione probabilistica delle conseguenze che potrebbe determinare l’adozione o la non adozione della decisione della Commissione circa la compatibilità della concentrazione. Le imprese che intendano realizzare una operazione di concentrazione sono infatti tenute a notificarla alla Commissione europea prima di darvi esecuzione, al fine di ottenere l’autorizzazione. La disciplina è contenuta nel regolamento n. 139 del 2004. Tale regolamento si applica in presenza di due condizioni cumulative: 1. Che vi sia una concentrazione tra imprese: la nozione di concentrazione comprende due fattispecie:  La fusione di due o più imprese precedentemente indipendenti: esse ineriscono tanto alle fusioni per incorporazione quanto a quelle che danno vita ad una nuova entità nella quale confluiscono vari soggetti che cessano di essere distinti. 51  L’acquisizione, diretta od indiretta, da parte di più persone che detengono già il controllo di almeno un’altra impresa, del controllo di un’altra impresa: essa comprende il complesso delle ipotesi che conferiscono ad uno o più operatori la possibilità di esercitare un’influenza determinante sull’attività di un’altra impresa quali ad esempio l’acquisizione di elementi patrimoniali (c.d. controllo di diritto) o l’attribuzione di tale potere su base contrattuale (c.d. controllo di fatto). Rientra in tale ambito anche l’ipotesi di due o più imprese, che pur restando giuridicamente, economicamente e operativamente distinte, diventano un’unica entità economica autonoma (c.d. joint venture). Laddove però non vi sia una autonomia economica, gestionale od operativa, esse non ricadono in tale ambito di applicazione, poiché l’impresa comune, come precisato dalla Commissione, deve soddisfare il criterio dell’impresa a pieno titolo per costituire una concertazione. 2. Che quest’ultima abbia una dimensione comunitaria: essa è tale quando:  Il fatturato totale realizzato dall’insieme delle imprese interessate a livello mondiale è superiore a 5 miliardi  Il fatturato totale individualmente realizzato nell’Unione europea da almeno due imprese è superiore a 250 milioni di euro a meno che ciascuna di tali imprese realizzi più di due terzi del proprio fatturato totale nell’UE all’interno di un unico e medesimo Stato membro. Tuttavia, anche nel caso in cui tali soglie non siano raggiunte, un’operazione di concentrazione può assumere dimensione comunitaria se  il fatturato totale realizzato a livello mondiale dall’insieme delle imprese interessate è superiore a 2,5 miliardi di euro;  in ciascuno di almeno tre Stati membri, il fatturato totale realizzato da tutte le imprese interessate è superiore a 100 milioni di euro;  in ciascuno di almeno tre Stati membri, il fatturato totale realizzato singolarmente da almeno due delle imprese interessate è superiore a 25 milioni di euro;  il fatturato totale realizzato singolarmente nella UE da almeno due delle imprese interessate è superiore a 100 milioni di euro, a meno che ciascuna delle imprese di cui sopra realizzi più di due terzi del proprio fatturato totale nella UE all’interno di un unico e medesimo Stato membro Il regolamento sulle concentrazioni ha previsto dei meccanismi che consentono di temperare la rigidità di un sistema fondato sulla competenza esclusiva della Commissione a valutare le operazioni di concentrazione. In particolare:  La competenza nazionale: il superamento delle soglie di fatturato non comporta immediatamente la competenza esclusiva della Commissione europea, in quanto la sua valutazione è devoluta all’autorità di concorrenza di uno Stato membro qualora la concentrazione rischi di incidere in un mercato nazionale che non rappresenta una parte sostanziale del mercato comune.  Il rinvio dell’autorità nazionale: l’autorità nazionale può operare un rinvio alla Commissione demandando ad essa la valutazione di un’operazione che rischi di pregiudicare il commercio tra Stati membri anche se non abbia dimensione comunitaria. Con il meccanismo del rinvio si permette alla Commissione di esaminare concertazioni che rimarrebbero fuori dal controllo nazionale e da quello dell’Unione a causa delle minori soglie di fatturato. 52 nozione di impresa pubblica deriva dalla Corte di giustizia; essa si ha laddove sussistano cumulativamente due condizioni:  Che l’attività esercitata abbia natura economica (altrimenti non potrebbe rientrare nella nozione di impresa): sono escluse però da tale ambito le attività aventi ad oggetto l’esercizio di pubblici poteri salvo l’ipotesi in cui l’attività comporti la partecipazione attiva sul mercato da cui l’impresa ricava degli utili.  Che lo Stato, o altro organismo pubblico, eserciti su di essa, direttamente od indirettamente, una influenza dominante: l’influenza si presume quando i pubblici poteri detengano la maggioranza del capitale sottoscritto dell’impresa o dispongano della maggioranza dei voti attribuiti alle quote emesse dall’impresa o qualora possano designare più della metà dei membri degli organi amministrativi, di direzione o di vigilanza dell’impresa 2. Le imprese titolari di diritti esclusivi o speciali: lo Stato può concedere alle imprese alcuni diritti esclusivi o speciali. L’articolo prevede che ad esse si estenda il medesimo trattamento riservato alle imprese pubbliche. Distinguiamo quindi tra:  Diritto esclusivo: esso attribuisce ad un unico operatore delle prerogative al di fuori dell’ordinario.  Diritto speciale: esso attribuisce ad un numero limitato (ma almeno due) di operatori delle prerogative al di fuori dell’ordinario. Le violazioni principali all’articolo 106 consistono nell’abuso di posizione dominante. In particolare, è certo che il semplice fatto di creare una posizione dominante mediante la concessione di diritti esclusivi o speciali non è di per sé incompatibile con l’articolo 102 TFUE; tuttavia, la Corte di giustizia, ha chiarito che uno Stato viola i divieti sanciti agli articoli 102 e 106 quando l’impresa cui concede diritti speciali o esclusivi è indotta, con il mero esercizio di tali diritti, a sfruttare abusivamente la sua posizione dominante (ad esempio la concessione di diritti di esclusiva o speciali in situazioni di conflitto di interessi, può indurre l’impresa a sfruttare la sua posizione per impedire l’accesso al mercato ai concorrenti). 5.2 Servizi di interesse economico generale I servizi di interesse economico generale (SIEG) costituiscono dei servizi forniti dietro corrispettivo soggetti alle norme comunitarie in materia di concorrenza e mercato interno nei limiti in cui non siano necessarie deroghe ad esse per garantire l’accesso dei cittadini a tali servizi. Essi sono forniti tramite un intervento statale al fine di garantirne la qualità, sicurezza, accessibilità universale e parità di trattamento (sono le ipotesi di distribuzione di acqua, gas, elettricità, il trasporto in ambulanza, la raccolta e la distribuzione delle corrispondenze). Gli Stati possono, nel rispetto del diritto dell’Unione, definire l’ampiezza e l’organizzazione dei loro servizi di interesse economico generale, sulla base di obiettivi propri della loro politica nazionale. Tale facoltà è soggetta ad alcune condizioni: 1. Armonizzazione delle legislazioni: nei settori in cui sia intervenuta una armonizzazione a livello dell’Unione (ad esempio, quello delle telecomunicazioni, delle poste, dell’energia), nei quali si è tenuto conto di obiettivi di interesse generale, le misure nazionali non possono porsi in contrasto con le norme che disciplinano tale armonizzazione. 55 2. Effettività e chiarezza: la nozione di “servizi economici di interesse generale” implica, quale requisito minimo, che le imprese in questione siano effettivamente incaricate dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico e che detti obblighi siano chiaramente definiti almeno in merito alla loro natura, portata e durata (ciò per esigenze di trasparenza e certezza del diritto) In materia, l’articolo 106 deve essere interpretato restrittivamente; pertanto, la deroga al rispetto delle norme di concorrenza deve rispettare cumulativamente tre condizioni (le prime due enunciate all’articolo 106, la terza di natura giurisprudenziale): 1. Essa può aversi solamente nei limiti in cui l'applicazione di tali norme osti all'adempimento della specifica missione affidata alle imprese di gestione dei SIEG 2. La deroga può aversi purché gli scambi intracomunitari non siano pregiudicati in misura contraria agli interessi dell'Unione 3. La deroga è soggetta al principio di efficienza, per cui è ammissibile solamente laddove l’impresa sia concretamente idonea a realizzare la sua missione. 5.3 Il potere di vigilanza della Commissione europea L’articolo 106 precisa che la Commissione vigila sull'applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri o le decisioni. In particolare: 1. Direttive: essa ha portata generale e impone degli obblighi di risultato che, nel caso di specie, sono volti a prevenire l’adozione di misure nazionali in violazione dell’articolo 106 2. Decisioni: esse hanno carattere individuale e sono preordinate a sanzionare uno specifico comportamento di uno Stato membro contrastante con l’articolo 106. Affinché però tale potere possa avere effetto utile è necessario riconoscere che la Commissione sia intestataria: 1. Del potere di accertare l’incompatibilità con le norme del Trattato di un certo provvedimento statale: è certo che in tal caso appare esservi un rapporto stretto tra il potere attribuito alla Commissione dall’articolo 106 e la procedura di infrazione; tuttavia, si ritiene che il primo abbia carattere di specialità rispetto al secondo in quanto consente di procedere con maggiore celerità. 2. Di indicare i provvedimenti che lo Stato deve adottare per conformarsi agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione: tale competenza è diversa e più specifica rispetto quella delle competenze legislative attribuite al Consiglio. Difatti, una normativa emanata dal Consiglio contenente disposizioni inerenti al settore specifico di cui all’articolo 106, non osta all’esercizio della competenza che tale articolo attribuisce alla Commissione. 6. Il principio dell’effetto utile delle regole di concorrenza Sebbene gli articoli 101 e 102 TFUE riguardino esclusivamente la condotta delle imprese e non le disposizioni emanate dagli Stati membri, ciò non esclude che tali articoli obbligano anche gli Stati membri a non adottare o mantenere in vigore provvedimenti idonei ad eliminare l’effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle imprese. Pertanto, è precluso agli Stati membri di imporre, agevolare o consolidare il comportamento anticoncorrenziale delle imprese; sarebbe 56 altrimenti inutile sanzionare i comportamenti dei privati distorsivi della concorrenza se si consente agli Stati membri di dare comunque attuazione o favorire la realizzazione di tali comportamenti. 57