Scarica Donne, razza e classe e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! DONNE, RAZZA E CLASSE - ANGELA DAVIS Uscito per la prima volta nel 1981 negli Stati uniti, viene considerato uno dei testi pionieristici del femminismo odierno, poiché la Davis analizza in maniera attuale l’approccio che intercorre tra i rapporti di genere, razza e classe. Si tratta dello sviluppo di un saggio scritto dalla Davis nel 1971, quando si trovava in carcere, uno studio storico sulla condizione delle afroamericane durante lo schiavismo, volto a riscoprire la storia dimenticata delle ribellioni delle donne nere contro la schiavitù. Racconta episodi tragici della storia degli Stati Uniti, frutto di miti ancora in voga come quello dello “stupratore nero” o della superiorità della “razza bianca”, ma anche eccezionali momenti di resistenza. Attraverso le storie di alcune figure chiave della lotta per i diritti delle donne, delle nere, dei neri e della working class statunitense, ricostruisce i rapporti tra il movimento suffragista e quello abolizionista, gli episodi di sorellanza tra bianche e nere ma anche le contraddizioni insite in un movimento prevalentemente bianco e di classe media e le lotte e i bisogni delle donne nere e delle lavoratrici. 1 - L'EREDITA' DELLA SCHIAVITU'. PRINCIPI PER UNA NUOVA CONDIZIONE DONNE Quando l’autorevole studioso Ulrich B. Philips dichiarò nel 1918 che lo schiavismo aveva impresso il glorioso timbro della civiltà sui selvaggi africani e suoi loro discendenti provocò un lungo e appassionato dibattito. Ulrich: “uno o due secoli fa i Negri erano selvaggi che vivevano nei luoghi impervi dell’Africa – quelli portati in America e i loro discendenti hanno raggiunto un certo livello di civiltà e sono adesso in certa misura adeguati alla vita della moderna società civilizzata – questi progressi dei Negri sono in larga misura il risultato della loro prossimità con i bianchi civilizzati. Il problema è: cosa possiamo fare per garantire loro una pacifica residenza e un ulteriore progresso in questa nazione di uomini bianchi e come possiamo proteggerci da una loro ricaduta nella barbarie? Come possibile soluzione a questo problema: sistema delle piantagioni". In mezzo a tutta l'attività accademica, la situazione specifica della schiava donna è rimasta in ombra. Le dispute sulla “promiscuità sessuale/inclinazioni patriarcali” oscuravano la comprensione della condizione delle donne nere durante la schiavitù. Durante gli anni ’70 il dibattito sulla schiavitù è riemerso con rinnovato rigore. In questa marea di pubblicazioni si nota però l’assenza di un libro che affronti in maniera esplicita il tema della schiave. Deludente scoprire che, con l’eccezione delle questioni sulla “promiscuità” contro “matrimonio” e “sesso coatto con gli uomini bianchi” contro “sesso volontario”, dagli autori di queste nuove pubblicazioni è stata rivolta scarsa attenzione alle donne. Uno studio più veritiero e specifico sulla condizione delle donne dovrebbe essere condotto non solo ai fini di precisione storiografica, ma anche perché le lezioni apprese dagli anni della schiavitù possono illuminare le battaglie dei nostri giorni per l’emancipazione, sia delle donne Nere che delle donne in generale. Davis propone quindi alcune idee per condurre a un riesame della storia delle donne Nere durante la schiavitù: Rispetto alle loro sorelle bianche, le donne Nere hanno sempre lavorato al di fuori delle proprie abitazioni domestiche. L’enorme spazio che oggi il lavoro occupa nella vite delle donne Nere segue un modello avviato durante i primissimi tempi della schiavitù. Da schiave, il lavoro coatto sovrastava ogni altro aspetto della loro esistenza: il punto di partenza per ogni ricerca sulle vite delle donne Nere durante la schiavitù dovrebbe essere l’analisi del loro ruolo in quanto lavoratrici. Il sistema schiavistico classificava i Neri come beni mobili. Le donne erano considerate “entità lavorative” redditizie, al pari degli uomini, dal punto di vista dello schiavista potevano anche essere prive di genere. Le donne nere erano di fatto delle anomalie, dal punto di vista dell’ideologia della femminilità sviluppatasi del diciannovesimo secolo, che evidenziano i ruoli della donna come madre che alleva i figli, compagna e donna di casa. Le donne nere hanno goduto di pochi dei benefici dell’ideologia della femminilità, si dà talvolta per scontato che la tipica donna schiava fosse una domestica, ossia una cuoca, una "mammy", una bambinaia: stereotipi che si presumeva catturassero l’essenza del ruolo della donna Nera durante la schiavitù. La realtà sta agli antipodi del mito: le donne schiave, come la maggioranza degli uomini schiavi, lavoravano nei campi. Mentre una proporzione significativa di schiave, negli stati che furono quelli della fascia di confine tra unionisti e confederati potrebbero essere state impiegate come domestiche, quelle del profondo sud (il vero cuore della schiavocrazia) erano principalmente lavoratrici agricole. Quando si trattava di lavorare, sotto la minaccia della frusta, l’energia e la produttività pesavano più delle questioni di genere: l’oppressione delle donne era identica all’oppressione degli uomini. Le donne però soffrivano anche in altri maniere perché erano vittime di abusi sessuali e di altri barbari maltrattamenti che potevano essere inflitti solo alle donne. Era il profitto a determinare i comportamenti del proprietario schiavista verso le schiave: quando era redditizio sfruttarle come se fossero dei maschi, erano di fatto considerare asessuate, ma quando le si poteva sfruttare, reprimere e punire in forme adatte solo alle donne, allora venivano rinchiuse dentro ruoli esclusivamente femminili. Con l’abolizione della tratta internazionale degli schiavi fu minacciata l'espansione della giovane industria del cotone: la classe degli schiavisti fu costretta ad affidarsi alla riproduzione naturale come metodo più sicuro per il rifornimento e l’incremento della popolazione nazionale di schiavi. Si fissò allora un premio per la capacità riproduttiva della schiava. Decenni precedenti alla Guerra Civile donne nere erano sempre più valutate in base alla loro fertilità: valeva un tesoro. Questo non significa che le donne Nere godessero di uno status migliore di quello che avevano in quanto lavoratrici. L’esaltazione ideologica della maternità, tanto popolare nel diciannovesimo secolo, non si applicava alle schiave: agli occhi del padrone, le donne non erano madri: erano degli strumenti che garantivano la crescita della forza lavoro schiavizzata. Erano “riproduttrici”, “animali da riproduzione” e, un anno dopo il blocco dell’importazione di schiavi dall’Africa, un tribunale della South Carolina dichiarò che le schiave non avevano alcun titolo legale sui propri bambini: i bambini potevano in qualsiasi momento essere venduti. disoccupazione, edilizia scadente, educazione inadeguata e insufficiente assistenza sanitaria. L’origine dell’oppressione è descritta come un “groviglio patologico” creato dall’assenza di un’autorità maschile tra i Neri. Il suo era un invito a introdurre l’autorità maschile nella famiglia nera e nella comunità nera nel suo complesso. ▲ Il sociologo Rainwater si dissociò: proponeva invece occupazione, paghe più alte e altre riforme economiche, arrivando fino al punto di incoraggiare manifestazioni e proteste per i diritti civili. Ma alla pari di tanti sociologi bianchi (e anche neri) ha continuato a ripetere la tesi secondo cui la schiavitù avrebbe in realtà distrutto la famiglia Nera ▲ Questi due ultimi studiosi non hanno inventato la teoria del deterioramento intrinseco della famiglia Nera sotto la schiavitù. ▲ Il lavoro pioneristico a supporto di questa tesi è stato fatto negli anni ’30 del ‘900 dal celebre sociologo nero Franklin Frazier: The Negro Family descriveva l’orrendo impatto della schiavitù sul popolo nero, ma sottostimò la capacità dei neri di resistere all’insinuarsi dello schiavismo nella propria vita sociale. Travisò lo spirito di indipendenza e di fiducia in se stesse che le donne nere avevano sviluppato: Motivato dalle polemiche conseguenti alla pubblicazione di queste teorie, Gutman ha detronizzato la tesi del matriarcato nero, resa popolare dal saggio di Daniel Moynhian nel 1965: iniziò le sue ricerche sulla famiglia schiava. 1976: THE BLACK FAMILY IN SLAVERTY AND FREEDOM: uno tra gli studi recenti più illuminante: Le indagini produssero convincenti prove a sostegno dell’esistenza di un’istituzione familiare che nel corso della schiavitù era prospera e in via di sviluppo. Non aveva trovato la famigerata famiglia matrilocale, ma una famiglia in cui agivano tutti: moglie, marito, figli, parenti etc. Le sue osservazioni sulle schiave sono generalmente indirizzate a riconfermare le propensioni matrimoniali delle donne e ne discende facilmente che le Nere differirebbero dalle bianche solo nella misura in cui le aspirazioni domestiche delle prime erano frustate dalle esigenze del sistema schiavistico. Sebbene le norme istituzionali del sistema schiavistico concedessero alle donne un’ampia libertà sessuale prematrimoniale, queste alla fine si adattavano a un matrimonio stabile e costruivano delle famiglie a cui contribuivano sia la moglie che il marito. Gli argomenti di Gutman contro la tesi del patriarcato sono preziosi, ma sarebbe potuto essere ancora più potente se avesse concretamente esplorato il ruolo multidimensionale delle donne Nere nella famiglia e nella comunità di schiavi presa nel suo insieme GUTMAN conferma allo stesso tempo che innumerevoli nuclei famigliari di schiavi furono distrutti con la forza. Ma, come sottolineava l’autore, i legami d’amore e di affetto, le norme culturali che governano le relazioni di famiglia e il desiderio di rimanere uniti sopravvissero al devastante assalto furioso della schiavitù. Sulla base di lettere e documenti, registri nascite bimbi nelle piantagioni che si elencavano i padri come le madri, Gutman dimostra che gli schiavi aderivano a norme vincolanti sul funzionamento degli accordi familiari. Norme diverse da quelle che governavano la vita delle famiglie bianche: tabù matrimoniali, fissando pratiche e costumi sessuali (es. la sanzione verso i rapporti prematrimoniali) separavano gli schiavi dai padroni. Difendevano le proprie vite familiari, nei margini di autonomia che riuscivano a conquistarsi e a riuscirono in qualche modo a umanizzare un ambiente volto a trasformarli in una mandria di “unità lavorative” subumane. “ogni giorno le scelte fatte dagli schiavi contraddicevano coi comportamenti, non con le retoriche, quella potente ideologia che considerava lo schiavo come un eterno “bambino” o un “selvaggio” represso. I oro accordi domestici e le reti parentali, assieme alle più vaste comunità che derivavano da questi legami, rendevano evidente ai loro figli che gli schiavi non erano “non-uomini/donne”. Gutman non ha cercato di determinare la vera posizione delle donne nella famiglia degli schiavi, ma, dimostrando l’esistenza di una complessa vita familiare che comprendeva alla stessa maniera marito e moglie, ha distrutto uno dei principali pilastri su cui si basava la tesi del matriarcato. Tuttavia non ha messo in discussione l’assunto complementare secondo il quale, laddove vi erano famiglie con due genitori, la donna dominasse l’uomo. Confermato dalle sue ricerche che la vita sociale nei quartieri degli schiavi era in gran parte un’estensione della vita familiare: il ruolo delle donne all’interno della famiglia doveva essere definito dal loro status sociale all’interno della comunità degli schiavi, presa nel suo insieme. La maggior parte degli studi accademici hanno interpretato la vita della famiglia di schiavi elevando le donne e svalutando gli uomini. Secondo Elkins, ad esempio, : “il ruolo della madre sembrava molto più vasto agli occhi del bambino di quello del padre”. La designazione sistematica degli uomini schiavi col termine “boy”, "ragazzo" da parte del padrone, secondo lui era un riflesso dell’incapacità dei maschi Neri a prendersi carico delle proprie responsabilità paterne. Stampp : spinge questa linea di ragionamento più avanti: “la tipica famiglia di schiavi aveva una forma matriarcale, perché il ruolo della madre era molto più importante di quello del padre. Il marito era al massimo l’assistente della moglie, il suo compagno e partner sessuale”. L'autrice dice di sì, che è vero che la vita domestica aveva un’importanza esagerata nella socialità degli schiavi, perché forniva loro l’unico spazio in cui potessero sentirsi veramente degli esseri umani. Le donne Nere per questa ragione (e anche perché erano lavoratrici quanto gli uomini) non furono svilite nelle proprie funzioni domestiche come invece accadde alle bianche. Al contrario della loro controparte bianca non potevano essere considerate solo come “donne di casa”. Ma sostenere che per questo dominassero i propri uomini significa sostanzialmente distorcere la realtà della vita degli schiavi. Saggio 1971 Davis definito la portata delle funzioni domestiche della donna schiava: “provvedere ai bisogni degli uomini e dei figli che la circondavano realizzava l’unico lavoro della comunità di schiavi che non poteva essere direttamente e immediatamente richiesto dall’oppressore. Il lavoro domestico era l’unico lavoro sensato per la comunità di schiavi nel suo complesso ed era essenziale alla sopravvivenza della comunità”. Da allora la Davis realizzò che il carattere peculiare del lavoro domestico durante la schiavitù e la sua centralità per la famiglia, implicava un lavoro che non era esclusivamente femminile. Gli uomini schiavi svolgevano importanti mansioni domestiche. Questa divisione di genere del lavoro domestico non sembrava essere di tipo gerarchico: i compiti degli uomini non erano certamente superiori né inferiori al lavoro realizzato dalle donne. Erano entrambi egualmente necessari. Sembra inoltre che la divisione del lavoro tra i sessi non fosse sempre più rigorosa. L’aspetto rilevante che emerge dal lavoro domestico negli alloggi degli schiavi è quello dell’uguaglianza di genere. All’interno della propria famiglia e della vita comunitaria i Neri erano riusciti a compiere una vera e propria impresa: hanno trasformato un’uguaglianza negativa (che promanava da un’uguale oppressione patita in quanto schiavi) in una qualità positiva: l’egualitarismo che caratterizzava le loro relazioni sociali. Tesi principale di Genovese in ROLL, JORDAN, ROLL è quantomeno problematica fornisce una penetrante immagine della vita domestica degli schiavi: “si suggerisce che il ruolo delle donne fosse più complesso di quanto si ritiene di solito e smentisce il punto di vista convenzionale secondo il quale le Nere inconsapevolmente contribuiscono a mandare in rovina i loro uomini imponendosi nella casa”. Egli riconosce chiaramente che: “quella che è stata di solito considerata una debilitante supremazia femminile era in realtà un’approssimazione a una salutare uguaglianza di genere nei rapporti familiari”. Le donne spesso difendevano i propri uomini dai tentativi di umiliazione portati avanti dal sistema schiavista. Sostiene che molte donne avevano compreso che se i loro uomini fossero stati degradati, lo stesso sarebbe successo a loro Se le Nere hanno sostenuto il fardello dell’uguaglianza nell’oppressione, se hanno goduto della parità con i propri uomini negli ambienti domestici, poi hanno anche rivendicato aggressivamente quell’uguaglianza sfidando l’istituzione disumana della schiavitù: resistendo alle aggressioni sessuali, difendendo proprie famiglie e partecipando a rivolte sul lavoro. La donna che accettava il destino di schiava era più un’eccezione che la regola. Le donne ribelli venivano però torturate, fustigate, picchiate e aggredite sessualmente. Le donne però resistevano e sfidavano continuamente la schiavitù. Le comunità Maroon, formate da schiavi fuggiaschi e i loro discendenti, erano diffuse in tutto il sud degli USA già tra il 1862 e il 1864. 1816 fu scoperta una comunità grande e prospera: 300 schiavi fuggiaschi avevano occupato un forte in Florida. Al loro rifiuto di arrendersi l’esercito intraprese una battaglia che durò 10 giorni. Le donne combatterono quanto gli uomini. La resistenza a volta era più ingegnosa e non si limitava a rivolte, fughe e sabotaggi: acquisizione clandestina e condivisione con altri delle competenze di lettura e scrittura. (“scuola di mezzanotte” gestita da una schiava). Tributo a Harriet Tubman per le straordinarie imprese che realizzò conducendo più di 300 persone lungo la ferrovia sotterranea. Sua giovinezza fu quella tipica di molte giovani schiave: da operaia agricola nel Maryland imparò, lavorando, di avere in quanto donna le stesse potenzialità di un uomo. Padre le insegnò a camminare senza fare rumore nei boschi e a nutrirsi e curarsi con piante, radici ed erbe. Il fatto che non sia mai stata sconfitta è senza dubbio da 2 - IL MOVIMENTO ABOLIZIONISTA E L'ORIGINE DEI DIRITTI DELLE DONNE "la causa degli schiavi è stata, in maniera peculiare, la causa delle donne” Parole di un Frederick Douglass, ex schiavo che è stato associato al movimento delle donne del diciannovesimo secolo che venne accusato d'essere “l’uomo dei diritti delle donne”; Fu il più importante abolizionista nero del paese e venne spesso ridicolizzato in pubblico per il suo appoggio al movimento delle donne. La maggior parte degli uomini del suo tempo erano attaccati alla loro mascolinità, ma egli assunse comunque una posizione antisessista. Sapeva anche che le donne erano indispensabili all’interno del movimento abolizionista, per il loro numero e per “l’efficienza con cui sostenevano la causa degli schiavi”. Durante i primi decenni del secolo la rivoluzione industriale aveva provocato una profonda metamorfosi nella società: ! le vite delle donne bianche si erano trasformate radicalmente: molte mansioni economiche delle donne furono assorbite dal sistema di produzione industriale. Si ritrovarono liberate da alcuni lavori oppressivi, tuttavia questa prima industrializzazione dell’economia stava anche erodendo il prestigio delle donne nelle case, un prestigio che si basava su loro lavoro domestico, produttivo ed essenziale: il loro status sociale cominciò a deteriorarsi. ! Come conseguenza ideologica del capitalismo industriale prese forma una nozione più rigorosa dell’inferiorità femminile: sembrava infatti che più si restringessero i margini del lavoro domestico delle donne sotto l’impatto dell’industrializzazione, più rigida divenisse l’affermazione secondo la quale “la casa è il posto della donna”. ! Anche prima la casa era il posto della donna, ma nell’era preidustriale l’economia era centrata sull’abitazione e sui campi che la circondavano. Uomini: coltivavano la terra. Donna si dedicavano a manifattura, stoffe, candele... tutti i beni necessari alla famiglia. All’interno dell’economia domestica erano state lavoratrici produttive e il loro lavoro non era meno rispettato di quello degli uomini. ! Quando la produzione uscì dalle case per spostarsi nelle fabbriche, l’ideologia della femminilità cominciò a innalzare a figure ideali la moglie e la madre: come lavoratrici le donne avevano goduto dell’uguaglianza economica, ma come mogli erano destinate a diventare appendici dei propri uomini. In quando madri erano identificate come veicoli passivi per la riproduzione della vita umana. ! La situazione delle casalinghe bianche era quindi piena di contraddizioni, ma era anche destinata alla resistenza. Anni ’30 del diciannovesimo secolo: anni di intensa resistenza: Rivolta di Nat Turner annunciò che gli uomini e le donne Neri erano profondamente scontenti del loro destino di schiavi ed erano più che mai determinati a resistere. 1831, l'anno della rivolta di Turner, nacque il movimento abolizionista organizzato. I primi anni ’30 dettero anche luogo a manifestazioni e scioperi nelle industrie tessili nel nordest condotti in buona parte da giovani donne e bambini. Alcune ricche donne bianche cominciarono a combattere per il diritto all’educazione e per l’accesso a carriere lavorative al di fuori delle proprie case. Le donne bianche del nord - casalinghe della classe media come le giovani operaie - invocavano spesso la metafora della schiavitù quando cercavano di denunciare la propria oppressione. Casalinghe: denunciavano la propria oppressione domestica definendo il matrimonio una schiavitù, mentre le lavoratrici dicevano che l’oppressione economica che pativano sul lavoro assomigliava allo schiavismo > le loro condizioni di lavoro e le paghe richiamavano il paragone con la schiavitù. Tuttavia, furono le donne benestanti, agiate a invocare nella maniera più letterale l’analogia schiavista nel tentativo di esprimere la natura oppressiva del matrimonio. Le prime femministe potevano descrivere il matrimonio come una forma di “schiavitù” dello stesso tipo di quella patita dal popolo Nero. L’implicazione più importante di questo confronto fu che le donne bianche di classe media sentivano una certa affinità con le donne e gli uomini Neri. Terzo decennio del diciannovesimo secolo le donne bianche furono infatti attivamente coinvolte nel movimento abolizionista. > Donne classe media: divennero agitatrici e organizzatrici della campagna anti-schiavitù. 1833, una giovane insegnante, Prudence Crandall, sfidò gli abitanti bianchi della sua città, Canterbury, nel Connecticut, accettando nella propria scuola una ragazza nera. - Divenne simbolo della possibilità di forgiare una potente alleanza tra la lotta per la liberazione dei Neri, già organizzata, e l’embrionale battaglia per i diritti delle donne. Nonostante le critiche e opposizioni essa decise di accogliere altre ragazze nere e, se necessario, di trasformare la propria scuola in una scuola per sole Nere. I cittadini si opposero, Crandall non solo aveva violato il loro codice di segregazione razziale, ma anche sfidato le norme tradizionali di condotta delle signore bianche. I commercianti si rifiutarono di venderle i prodotti, il dottore si rifiutò di visitare i suoi studenti... L’autorità del Connecticut ordinarono il suo arresto, nonostante ciò Crandall emerse come un simbolo di vittoria. - Gli eventi di Canterbury nel 1833 eruppero all’inizio di una nuova era. Come la rivolta di Nat Turner, come la nascita del Liberator di Garrison, (pioneristico giornale abolizionista si era creato un pubblico formato da un ampio gruppo di abbonati neri e bianchi. Anche le operaie banche erano tra coloro che concordavano facilmente con la posizione antischiavista militante di Garrison) o la fondazione della prima organizzazione nazionale contro lo schiavismo, annunciarono l’avvento di un’epoca di intense lotte sociali. La salda difesa del diritto allo studio di Crandall è stato un esempio per quelle donne bianche che stavano soffrendo il travaglio di una nuova consapevolezza politica > le sue azioni illuminavano ampi spazi di possibilità per la lotta di liberazione se le donne bianche avessero solidarizzato in massa con le proprie sorelle nere. Una volta organizzatosi il movimento abolizionista, le donne di fabbrica portarono un decisivo supporto alla causa. Tuttavia le donne bianche più in vista nella campagna contro la schiavitù erano quelle che non erano obbligate a lavorare donne della classe media e della nascente borghesia. Come “casalinghe” di una nuova era di capitalismo industriale, avevano perso ogni importanza nelle loro stesse case, e il loro status sociale in quanto donne aveva patito una conseguente svalutazione. Nel frattempo avevano guadagnato tempo libero da dedicare alla lettura diventare riformiste sociali od organizzatrici attive della campagna abolizionista. L’abolizionismo conferiva loro l’opportunità di lanciare una protesta implicita contro l’oppressione dei propri ruoli domestici. AMERICAN ANTI-SLAVERY SOCIETY (1833): ▲ Solo quattro donne furono invitate a partecipare all’assemblea di fondazione di quest'ultima: solo nelle vesti di “ascoltatrici e spettatrici”. ▲ Lucretia Mott si rivolse coraggiosamente agli uomini dell’assemblea e argomentò contro una mozione che voleva posticipare l’incontro a causa dell’assenza di un importante uomo di Philadelphia. In chiusura dell’assemblea né lei né le altre donne furono invitate a firmare la DECLARATION OF SENTIMENTS AND PURPOSES: il sessismo impedì di coinvolgere nel movimento abolizionista un vasto potenziale di donne. Mott organizzò l’assemblea inaugurale del PHILADELPHIA FEMALE ANTI-SLAVERY SOCIETY nei giorni successivi al congresso maschile. Era destinata a diventare una figura di primo piano del movimento antischiavista. Subito dopo la fondazione della Philadelphia society, venne creata la Boston Female Anti-Slavery society. Lavorando all’interno del movimento abolizionista le donne bianche: 1. approfondirono la conoscenza della natura dell’oppressione umana e del proprio assoggettamento. 2. affermando il proprio diritto di opporsi alla schiavitù protestavano contro la propria esclusione dall’arena politica. Difendevano i loro diritti di donne al fine di combattere schiavitù. 3. il movimento abolizionista offriva alle donne della classe media l’opportunità di provare il proprio valore secondo criteri che non erano legati al ruolo di mogli o madri. Il loro impegno politico nella battaglia contro la schiavitù fu così intenso perché stavano sperimentando un’emozione alternativa alla propria vita domestica. 4. Impararono a sfidare la supremazia maschile all’interno del movimento contro la schiavitù. Scoprirono che il sessismo poteva essere messo in discussione e combattuto nell’arena della lotta politica. 5. le abolizioniste accumularono un’esperienza politica inestimabile, senza la quale più di un decennio dopo non avrebbero potuto lanciare tanto efficacemente la campagna per i diritti delle donne. 6. appresero l’uso della petizione, che sarebbe diventata l’arma centrale della campagna per i diritti delle donne. Mentre presentavano petizioni contro la schiavitù, allo stesso tempo erano obbligate a battersi per il proprio diritto a impegnarsi nel lavoro politico. risoluzione del suffragio femminile pensava che una mossa del genere sarebbe stata interpretata come assurda e oltraggiosa e che avrebbe messo in discussione l’importanza del meeting. > L’unica figura di spicco che appoggiò la posizione di Stanton fu Douglass. Alcuni anni prima del meeting S. aveva convinto Douglass sulla necessità di estendere alle donne il diritto di voto. Infatti, in quegli anni in cui i diritti delle donne non erano ancora una causa legittima, quando il suffragio femminile era una proposta impopolare e poco conosciuta, Douglass si mobilitò pubblicamente per l'uguaglianza politica delle donne. Douglass introdusse ufficialmente il tema dei diritti delle donne nel movimento di liberazione dei Neri, dove venne accolto con entusiasmo. “gran parte delle signore che avevano partecipato al congresso e firmato la dichiarazione, ad una ad una ritirarono i propri nomi e la propria influenza, e si unirono ai nostri persecutori”. > Altro congresso a Rochester (NY) diventò per le sue audaci innovazioni un punto di riferimento per la lotta delle donne e un precedente per i meeting che seguirono. Qui D. manifestò nuovamente la propria lealtà verso le sorelle appoggiando ancora una volta la risoluzione del suffragio femminile che passò con un margine più ampio che a Seneca Falls. L’argomento dell’uguaglianza delle donne, non ancora accettabile agli occhi dell’opinione pubblica ma ormai parte di un movimento embrionale, sostenuto dai Neri che lottavano per la libertà, si affermò come elemento indelebile della vita politica degli Stati Uniti. SENECA FALLS : Al cuore della dichiarazione di Seneca Falls c'erano l'istituzione del matrimonio e dei suoi effetti negativi sulle donne: le privava dei diritti di proprietà, rendendo le mogli dipendenti dal marito su un piano economico e anche morale. Esigendo l’assoluta obbedienza delle mogli, il matrimonio concedeva ai mariti il diritto di punirle e le leggi sulla separazione e il divorzio si basavano tutte sulla supremazia dell’uomo. Come conseguenza della condizione di inferiorità femminile all’interno del matrimonio (dichiarazione Seneca Falls) le donne pativano una disuguaglianza nelle istituzioni educative e nelle professioni. La dichiarazione concludeva con una serie di denunce evocando la dipendenza mentale e psicologica delle donne, che aveva lasciato loro scarso “rispetto e fiducia in se stesse”. L’importanza inestimabile delle dichiarazione di Seneca Falls sta nel suo ruolo di chiara conoscenza dei diritti delle donne dell’epoca. Rappresentava l’apice teorico di anni di sfide verso una condizione politica, sociale, domestica e religiosa che era contraddittoria, frustrante e totalmente oppressiva per le donne della borghesia e del nuovo ceto medio. Contraddizioni di Seneca Falls: a coronamento della consapevolezza del dilemma della donna bianca di classe media, la dichiarazione quasi ignorava il dramma delle bianche di classe operaia e delle Nere. La dichiarazione si Seneca Falls propose un’analisi della condizione delle donne che trascurava le condizioni di tutte quelle che non appartenevano alla classe sociale di coloro che avevano stilato il documento. mancò quindi completamente del riferimento ai diritti di un altro gruppo di donne. Tra i conferenzieri c’era almeno un Nero, ma non c’era una Nera neanche tra il pubblico né si trovano riferimenti alle Nere nei documenti prodotti dal congresso. Considerando l’impegno abolizionista delle organizzatrici si rimane perplessi di fronte a questa indifferenza verso le schiave. Le sorelle Grimke avevano già criticato alcune associazioni antischiaviste femminili perché ignoravano le condizioni delle Nere e per aver talvolta manifestato pregiudizi manifestamente razzisti. Agli inizi del 1837 le sorelle Grimke criticarono la NEW YORK FEMALE ANTI-SLAVERY SOCIETY per non essere riuscita a coinvolgere le donne Nere nei propri lavori. Lei disse che “a causa dei loro forti sentimenti aristocratici la loro azione fu in gran parte inefficace". L’assenza delle Nere al congresso di Seneca Falls era anche più evidente alla luce dei precedenti contributi alla lotta per i diritti delle donne: Più di un decennio prima di questo meeting Maria Stewart aveva risposto a chi la criticava "Sono una donna, e allora?". Questa donna Nera era la prima conferenziera femmina nata negli USA a rivolgersi a un pubblico di uomini e donne. Nel 1827 il FREEDOM’S JOURNAL (il primo giornale Nero degli USA) aveva pubblicato la lettera di una Nera sui diritti delle donne. “Matilda” chiedeva educazione per le Nere in un’epoca in cui il diritto allo studio per le donne era un argomento controverso e impopolare. La sua lettera comparve l’anno prima che Wright cominciasse a dare conferenze sul diritto delle donne a un’educazione uguale a quella degli uomini. Molto prima di questa congresso delle donne, le bianche di classe media avevano combattuto per il diritto allo studio. Le parole di “Matilda” dimostravano che le bianche e le Nere erano unite da un forte desiderio di istruzione. Sfortunatamente il congresso di Seneca Falls non riconobbe questo legame. Il mancato riconoscimento del potenziale di un movimento abolizionista che integrasse bianche e Nere si rivelò in un episodio estate 1848. Coinvolte la figlia di Douglass. Dopo la sua ammissione ufficiale in un istituto femminile di Rochester, la preside (un'abolizionista) vietò a sua figlia di partecipare alle lezioni assieme alle ragazze bianche. Il fatto che nel nord una donna bianca associata al movimento abolizionista potesse assumere un atteggiamento razzista indicava una profonda debolezza del movimento antischiavista: la sua incapacità di promuovere un’ampia consapevolezza antirazzista. Questo rilevante difetto (criticato dalle Grimke) fu ereditato anche dal movimento per i diritti delle donne. Per quanto le prime attiviste per i diritti delle donne fossero sorde ai lamenti delle sorelle Nere, l’eco del nuovo movimento di faceva sentire nelle organizzazioni per la liberazione dei Neri. Donne operaie: Nel 1831, quando l’industria tessile rappresentava ancora il cuore della nuova rivoluzione industriale, le donne erano la vasta maggioranza dei lavoratori industriali e queste ultime erano state reclutate tra le famiglie contadine locali. Gli industriali alla ricerca di profitto descrivevano la vita negli opifici come un attraente e istruttivo preludio/introduzione alla vita matrimoniale. I modelli produttivi erano dipinti come “famiglie surrogate” dove le giovani operaie erano supervisionate rigorosamente da governanti. Realtà: turni di lavoro lunghi, atroci condizioni di lavoro. A partire alla fine degli anni ’20 dell’800, molto prima del congresso di Seneca Falls del 1848, le operaie realizzarono picchetti e scioperi, protestando in maniera militante contro la doppia oppressione che pativano in quanto donne e operaie. Nell’estate del 1848, all’epoca del congresso di Seneca Falls, le condizioni di lavoro nelle filande si erano deteriorate al punto che le figlie dei contadini del New England erano ormai rapidamente divenute una minoranza della forza lavoro tessile > a sostituirle c’erano immigrate che alla pari dei loro padri, fratelli e mariti, stavano diventando il proletariato industriale della nazione: queste donne (al contrario dei loro predecessori, le cui famiglie possedevano la terra) non avevano nulla a cui affidarsi, a parte la propria forza lavoro. Combattevano per il proprio diritto di sopravvivere. “negli anni ’40 dell’800 le operaie formavano la parte trainante della militanza lavoratrice degli USA”. Lottando per una riduzione della giornata di lavoro a 10 ore la LOWELL FEMALE LABOR REFORM cominciò a presentare delle petizioni nel 1843 e nel 1844. Quando le istituzioni accettarono di tenere udienze pubbliche sul tema, le donne della LOWELL ASSOCIATION conquistarono il primato di aver ottenuto la prima inchiesta sulle condizioni di lavoro da parte di un organo governativo nella storia degli USA > questo incise profondamente sulla questione dei diritti delle donne. A giudicare dalle lotte le operaie bianche hanno decisamente ottenuto il diritto di essere considerate delle pioniere del movimento. Quest’opera di avanguardia fu ignorata dalle figure che avevano lanciato il nuovo movimento che non compresero che le operaie pativano e sfidavano la supremazia maschilista in una loro maniera specifica. L’unica che visse così a lungo da poter effettivamente esercitare il proprio diritto al voto, settanta anni dopo, fu un’operaia che si chiamava Charlotte Woodward. Le ragioni per cui W. aveva firmato la dichiarazione di Seneca Falls erano diverse da quelle delle donne più ricche, ella voleva cercare consigli per migliorare la propria condizione di lavoratrice. Come realizzatrice di guanti il suo impiego non era industrializzato: lavorava a casa ricevendo un salario di cui, secondo la legge, avevano il controllo gli uomini della famiglia. Woodward e le altre operaie presenti alla convention erano determinate: i diritti delle donne erano la cosa più importante della loro vita. L’ultima sessione del congresso Mott propose una risoluzione finale chiedendo che fosse spodestata l’egemonia maschile e che al tempo stesso “alle donne venisse assicurata una partecipazione uguale agli uomini negli affari, nella professioni e nel commercio”. NATIONAL CONVENTION OF COLORED FREEDMEN > nel 1848 aveva fatto passare una risoluzione sull’uguaglianza delle donne. Su iniziativa di Douglass questo incontro aveva deciso che le donne dovessero essere elette come delegate alla pari degli uomini. Poco dopo, a Philadelphia, un congresso di Neri invitò a partecipare alle donne nere e, riconoscendo il nuovo movimento lanciato a Seneca Falls, chiede anche a delle bianche di unirsi al gruppo. Mott partecipò. Due anni dopo il congresso di Seneca Falls, a Worchester nel Massachusetts, si svolse la prima convention nazionale sui diritti delle donne. Tra i partecipanti c’era Sojourner Truth: donna nera che aspiravano alla libertà dall’oppressione razzista ma anche dal dominio sessista. T “non sono una donna?”, ritornello ripetuto più volte da Truth al congresso delle donne a Akron, in Ohio, rimane uno degli slogan più citati del movimento delle donne del 19 secolo. Le donne più rappresentative della nazione avevano fatto di tutto negli ultimi 30 anni per assicurare la libertà al negro; ma adesso iniziavano a chiedersi se non sarebbe stato meglio rimanerne da parte. Quell'epoca era "l'ora del Negro": una volta che possederanno i loro diritti non saranno un potere in più a tenerle a bada e subordinarle? I cittadini maschi neri hanno mai espresso l'opportunità di estendere il diritto di suffragio alle donne? E' meglio essere schiavo di un uomo bianco colto che di uno Nero ignorante" Le idee razziste dimostravano che la sua comprensione della relazione tra la battaglia per la liberazione dei Neri e la lotta per i diritti delle donne fosse perlomeno superficiale. Era determinata a impedire ulteriori progressi per i Neri se quel progresso non avesse procurato immediati benefici alle donne bianche. La lettera della Stanton solleva serie questioni sulla proposta di amalgamare la causa della donna con quella dei Neri, avanzata nei primi meeting per i diritti delle donne alla vigilia della Guerra Civile. All’assemblea di NY del maggio 1866 le delegate avevano deciso di fondare un' EQUAL RIGHTS ASSOCIATION: che avrebbe incorporato le lotte dei Neri e quelle per il suffragio femminile in un unico movimento. l'argomento principale del congresso era l'imminente concessione del diritto di voto ai Neri; l'altro punto era valutare se le suffragiste volessero appoggiare il voto dei Neri anche nel caso i cui le donne non avessero potuto ottenerlo nella stessa occasione. senza dubbio molte delegate avvertivano il bisogno urgente di unità che sarebbe stata benefica sia per i Neri che per le donne bianche. C’era chi si rendeva conto che l’abolizione della schiavitù non aveva abolito l’oppressione economica dei Neri. ma l’influenza razzista nei lavori del congresso era evidente . è l'esempio dell' abolizionista Beecher, il quale sostenne che le donne bianche, colte e nate negli USA, avevano più diritto a votare degli immigrati e dei Neri. Le sue parole rivelano profondi legami ideologici tra razzismo, classismo e suprematismo maschile e le donne bianche sono descritte col linguaggio degli stereotipi sessisti dell’epoca. Al primo meeting annuale della EQUAL RIGHTS ASSOCIATION (1867), Stanton richiamò la tesi di Beecher per cui era più importante che ottenessero il diritto di voto le donne (donne bianche di origine anglosassone) che gli uomini Neri. Lei insieme ad altre credevano che l’emancipazione avesse reso i Neri “uguali” alle donne banche e si opponevano con ogni forza al suffragio maschile dei Neri perché questo ai loro occhi li avrebbe resi “superiori”. Se allo scoppio della Guerra Civile lei aveva spinto le sue colleghe femministe a dedicare le proprie energie alla campagna contro la schiavitù; in seguito sostenne che le militanti per i diritti delle donne avevano commesso un errore strategico subordinandosi alla causa dell’abolizionismo > Forte elemento di ingenuità politica e vulnerabile all’ideologia razzista. Non appena l’esercito unionista trionfò sui confederati, Stanton e le sue collaboratrici chiesero al Partito Repubblicano di essere ricompensate per il proprio impegno bellico chiedevano: suffragio femminile. I repubblicani non concessero il loro sostegno al suffragio femminile dopo la vittoria unionista perché guardavano agli interessi economici dominanti del periodo. Dato che la sfida militare tra nord e sud era una guerra diretta a rovesciare la classe di proprietari di schiavi del sud, questa era stata sostanzialmente condotta negli interessi della borghesia del nord: i giovani ed entusiasti capitalisti industriali che trovarono la propria voce nel Partito repubblicano. La loro lotta contro la schiavocrazia del sud non implicava che fossero interessati a sostenere la liberazione delle persone Nere e delle donne in quanto esseri umani. Nemmeno i diritti politici dei Neri interessarono realmente i politici reduci dalla vittoria nella guerra. Il fatto che ammettessero la necessità di estendere il voto ai Neri non implicava che i maschi Neri fossero favoriti sulle femmine bianche. Il suffragio maschile dei Neri (esposto nel XIV-XV emendamento costituzionale proposto dai repubblicani) era una mossa tattica finalizzata ad assicurare l’egemonia politica del Partito Repubblicano nel caos post bellico. “I repubblicani volevano che nulla interferisse con l’ottenimento di due milioni di voti di Neri per il loro partito”. Quando negli anni successivi alla guerra i repubblicani ortodossi contestavano le richieste a favore del suffragio femminile con lo slogan "è l'ora del Negro" in realtà pensavano tra sé "è l'ora di due milioni di voti per il nostro partito". Ma, Stanton e le sue seguaci sembravano credere che fosse “l’ora del maschio” e che i repubblicani fossero disposti a estendere ai maschi neri i privilegi di supremazia maschile. Il fatto che Douglass accettasse di fare il co-vicepresidente della Equal Rights Association con Stanton indicava la serietà della ricerca di un percorso unitario. Nonostante ciò la Stanton e altre collaboratrici percepivano l'organizzazione come un mezzo per assicurarsi che i maschi neri non ricevessero il diritto di voto prima delle donne bianche. Dopo che l’associazione votò a sostegno del XIV e poi XV emendamento (che proibiva il riferimento a razza, colore o a un precedente stato di servitù come base per rifiutare ai cittadini il diritto di voto) la frizione interna eruppe in un’aperta lotta ideologica: La loro difesa dei propri interessi di donne bianche di classe media mette a nudo la natura tenue e superficiale delle loro relazioni con la campagna postbellica per l’uguaglianza dei Neri. I due emendamenti escludevano le donne dal nuovo processo di estensione del diritto di voto Tuttavia articolando la propria opposizione con argomenti che invocavano i privilegi del suprematismo bianco, rivelavano quanto esse stesse rimanessero vulnerabili alla influenza ideologica del razzismo. Sia Stanton che Anthony interpretarono la vittoria dell’Unione come la reale emancipazione di milioni di Neri che erano stati vittime della schiavocrazia del sud, dando per scontato che l’abolizione del sistema della schiavitù avesse elevato il popolo nero a una posizione nella società statunitense paragonabile in ogni aspetto a quella della donne bianche di classe media. L’ipotesi che l’emancipazione avesse reso gli ex schiavi uguali alle donne bianche ignorava l’assoluta precarietà della nuova “libertà” che il popolo Nero aveva appena conquistato durante il periodo postbellico. I neri ancora soffrivano la pena della deprivazione economica e dovevano fronteggiare la violenza terrorista delle squadre razziste. Seconda Douglass: l’abolizione della schiavitù era avvenuta solo a livello nominale. “La schiavitù non sarà abolita fino a quando l’uomo Nero non avrà il diritto di voto” La lotta per il suffragio dei neri doveva essere una priorità strategica sugli sforzi di ottenere il voto per le donne. Egli vedeva il voto come arma indispensabile che poteva completare il processo non ancora terminato di dissoluzione della schiavitù. Non stava difendendo la superiorità dei maschi Neri. Sebbene egli non fosse completamente libero dall’influenza dell’ideologia del suprematismo maschile il suffragio dei neri era una priorità strategica per sconfiggere l'oppressione economica dell'epoca postbellica e la sfrontata violenza, l'essenza della sua teoria non era affatto maschilista. Senza il voto il popolo nero del sud non avrebbe potuto raggiungere alcun progresso economico:"senza il diritto di voto, i Neri saranno proprietà della comunità in cui vivono”. Infatti: rivolte di Memphis e New Orleans furono uccisi neri e bianchi progressisti; bruciate scuole, chiese e case dei Neri, stuprarono donne Nere (1866). Queste rivolte erano state anticipate dalle violenze di NY del 1863, che erano state istigate da forze filoschiaviste contrarie alla leva militare del nord e avevano causato la morte di un migliaio di persone. La popolazione di ex schiavi era ancora costretta a lottare per difendere la propria vita e per Douglass solo il voto poteva assicurarne la vittoria. Al contrario le donne di classe media, i cui interessi erano rappresentati da Stanton e Anthony, non potevano affermare che le loro vite fossero fisicamente in pericolo. Non erano impegnate in una vera e propria guerra di liberazione. Per i neri del sud la vittoria dell’Unione non significava davvero la fine della violenza della guerra. La tesi di Douglass sul suffragio dei neri si basava sull’ipotesi che il voto fosse una misura emergenziale. Per quanto valutasse con ingenuità l’effettiva potenzialità del voto dei Neri dentro i confini del Partito repubblicano, non fece del loro suffragio un gioco di scambio politico. Il diritto di voto era inteso come mezzo di sopravvivenza, che doveva garantire la sopravvivenza del suo popolo, in massa. Le leader dei diritti delle donne nel periodo successivo alla guerra civile avevano la tendenza a considerare il voto come un mezzo a sé già nel 1866 sembrava che chiunque promuovesse il suffragio femminile, per quanto razziste fossero le sue ragioni, fosse comunque utile alla causa. Anthony: non vide alcune apparenti contraddizioni nel sostegno al suffragio femminile da parte di un parlamentare che si definiva suprematista bianco elogiò pubblicamente James Brook, un membro del Congresso ed ex editore di un giornale filoschiavista. Il suo sostegno al suffragio femminile era chiaramente una mossa tattica per contrastare l’appoggio dei repubblicani al suffragio dei Neri. infatti, rappresentando gli interessi della vecchia classe di proprietari di schiavi, il Partito Democratico cercava di ostacolare l’estensione del diritto di voto alla popolazione maschile Nera del sud: i leader democratici difendevano il suffragio femminile come una misura tattica contro i loro avversari repubblicani. “opportunismo” era la parola d’ordine di questi democratici, la cui preoccupazione per l’uguaglianza delle donne era imbevuta della stessa disonestà con cui i repubblicani annunciarono il proprio sostegno al suffragio maschile dei Neri. Nero che protestava contro questi trattamento infitti alla propria sorella/moglie/figlia poteva sempre aspettarsi di essere punito. Nel 1919, quando le leader degli stati del sud della NATIONAL ASSOCIATION OF COLORED WOMAN: condivisero le proprie lamentale, in cime alla lista c’erano le condizioni del lavoro domestico. Protestavano contro quella che definivano “l’esposizione alla tentazione morale” sul lavoro. Dalla schiavitù, la condizione vulnerabile delle lavoratrici domestiche ha continuato ad alimentare i persistenti miti sull’”immoralità” delle Nere. Il lavoro domestico è considerato degradante perché viene svolto in maniera massiccia da donne nere, che sono a loro volta viste come "inette/promiscue”. Quando i neri incominciarono a migrare verso il nord: scoprirono che i loro datori di lavoro, fuori dal sud, non avevano verso gli schiavi appena liberati un atteggiamento sostanzialmente diverso da quello dei precedenti proprietari. Sembravano anche credere che “i negri sono servitori, i servitori sono negri”. Nel censimento del 1890 il Delawere era l’unico stato fuori dal sud dove i Neri erano in maggioranza contadini e braccianti e non servitori domestici. Il censimento divenne una prova della tesi per cui i negri sono servitori, i servitori sono negri. Non c’erano altre occupazioni disponibili per loro. Molte di coloro che avevano tentato di cercato di trovare altri lavori, come all'interno delle scuole, erano state licenziate per “pregiudizi”. Il razzismo funziona in maniera contorta: i datori di lavoro che pensavano di fare dei complimenti ai neri dichiarando di preferirli ai bianchi stavano in realtà sostenendo che i neri erano destinati a fare i servitori. Razzismo e sessismo frequentemente convergono e la condizione delle donne lavoratrici bianche è spesso legata allo status oppressivo delle donne di colore. Le paghe ricevute dalle domestiche bianche sono sempre state fissate dai criteri razzisti usati per calcolare le paghe delle servitrici nere. Per quanto riguarda i loro potenziali salari erano molto più vicine alle sorelle nere che ai fratelli bianchi che lavoravano per guadagnarsi la vita. Le donne nere sono state intrappolate in queste mansioni almeno fino all’arrivo della Seconda Guerra Mondiale. Anni ’40 del secolo scorso: mercati di NY invitavano le donne bianche a fare la propria scelta dalla massa di nere in cerca di impiego. ! Il lavoro domestico era anche il più difficile da sindacalizzare: agli inizi del 1888 le domestiche erano tra le donne che aderirono al KNIGHTS OF LABOR quando questa associazione sindacale tolse il veto di tesseramento femminile. Molti decenni dopo gli organizzatori sindacali che cercavano di unificare le lavoratrici domestiche si trovarono di fronte gli stessi ostacoli dei loro predecessori. ! DORA JONES fondò e diresse la NY DOMESTIC WORKERS UNION durante gli anni ’30 del ‘900. ! 1939 (5 anni prima della fondazione del sindacato): sindacalizzate solo 350 domestiche su centomila. Le donne bianche (incluse le femministe) hanno manifestato una storica riluttanza a riconoscere le lotte delle domestiche. L’omissione interessata di questi problemi dal programma delle femministe di “classe media” altro non era se non una velata giustificazione del loro trattamento vessatorio nei confronti delle proprie domestiche. 1902: l'autrice di un articolo “una giornata lavorativa di 9 ore per le domestiche” descriveva una conversazione con un’amica femminista che le aveva chiesto di firmare una petizione per obbligare i datori di lavoro a fornire delle sedie alle commesse: mentre la sua domestica lavorava in condizioni decisamente inferiori a quelle commesse. Il suo comportamento contraddittorio e la sua scarsa e disordinata sensibilità hanno comunque una spiegazione: le persone che lavorano come servitrici sono generalmente viste come subumane. La commessa era una lavoratrice salariata, un essere umano che possedeva almeno un briciolo di indipendenza dal suo datore di lavoro e dalla sua occupazione. La servitrice lavorava solo allo scopo di soddisfare i bisogni della signora. Considerando probabilmente la serva come una mera estensione di se stessa, la femminista non era consapevole del proprio ruolo attivo come agente di oppressione. Angelina Grimke ha dichiarato che le donne bianche che non mettevano in discussione la schiavitù avevano in realtà pesanti responsabilità riguarda la disumanità di questa istituzione. Allo stesso modo la DOMESTIC WORKERS UNION mise a nudo il ruolo delle casalinghe di classe media nell’oppressione delle lavoratrici domestiche nere > si affermava che la casalinga era il peggiore datore di lavoro. Quando gli USA entrarono in guerra e il lavoro femminile fece girare l’economia bellica le donne nere dissero addio ai lavori domestici. All’apice della guerra il loro numero nell’industria era più che raddoppiato. Alla fine degli anni ’60 del ‘900: almeno un terzo delle donne nere rimaneva incatenato ai soliti impieghi domestici, mentre un l’altro quinto si occupava di lavori di servitù in ambito non domestico. DuBois sosteneva che fino a quando il servizio domestico dei neri fosse rimasto in regola, l’emancipazione sarebbe sempre rimasta un concetto astratto. I cambiamenti prodotti della Seconda guerra mondiale fornirono solo una spinta al progresso. 6 - EDUCAZIONE E LIBERAZIONE: LE PROSPETTIVE DELLE DONNE NERE Quando arrivò l’emancipazione il popolo nero ebbe difficoltà a celebrare i principi astratti della libertà. Sapevano esattamente quel che volevano: donne e uomini volevano la terra, volevano il diritto di voto ed “erano arsi dal desiderio di studiare”. Quegli esseri umani che celebravano l’emancipazione si erano da tempo resi conto che “la conoscenza rende un bambino inadatto a essere uno schiavo”. Alla pari del padrone di Douglass, i vecchi proprietari terrieri pensavano che “la cultura potesse rovinare il miglior Negro al mondo”. Douglass, nonostante il divieto, continuò in segreto la propria istruzione. Il suo desiderio di conoscenza non era un'eccezione tra i Neri, che avevano sempre manifestato una profonda passione per la cultura. I Neri impararono che l’emancipazione con “quaranta acri di terra e un mulo” era una crudele illusione. Per avere la terra dovevano combattere, così come per il potere politico. E dopo secoli di deprivazione educativa rivendicavano con forza il diritto a soddisfare quel profondo desiderio di istruzione. Comunità nera di Memphis si riunì in assemblea e decise che l'educazione era la priorità. Nel primo anniversario della proclamazione dell’emancipazione fecero pressione sugli insegnanti del nord affinché si sbrigassero ad aprire scuole. I poteri mistificati del razzismo di irradiavano a partire dalla sua logica irrazionale e capovolta. Neri erano considerati incapaci di progressi intellettuali. Dopotutto erano stati dei meri beni immobili, naturalmente inferiori rispetto agli esseri umani bianchi. Ma se fossero davvero stati inferiori, non avrebbero manifestato né il desiderio né la capacità di apprendere. Quindi non ci sarebbe stato bisogno di proibire loro di studiare. Già nel 1787 i Neri presentarono delle petizioni presso lo stato del Massachusetts per il diritto a frequentare le scuole libere di Boston. Quando la petizione fu respinta Hall fondò una scuola nella propria abitazione. Donna nata in Africa e che un tempo era stata schiava: Lucy Terry Price, nel 1793, ebbe l’audacia di chiedere un appuntamento agli amministratori del nuovo WILLIAMS COLLEGE FOR MEN, che aveva rifiutato di ammettere nel proprio istituto suo figlio. Questa donna riuscì a difendere il diritto e il desiderio di istruzione della sua gente. Due anni dopo: difese con successo, di fronte alle Corte suprema, la sua causa per un terreno, e secondo gli archivi questo fa di lei la prima donna ad essersi rivolta a questa istituzione degli USA. Gli esempi più sorprendenti di solidale sorellanza tra donne bianche e nere sono associati alla storica lotta del popolo nero per l’istruzione. Come Crandall, Myrtilla Miner rischiò letteralmente la propria vita mentre cercava di garantire l’istruzione ad alcune giovani donne nere: nel 1851 lanciò il progetto di fondare una scuola superiore per la formazione di insegnanti di colore a Washington. In precedenza aveva già insegnato a bambini Neri del Mississippi, uno stato in cui la loro istruzione era considerata un crimine. Secondo il parere di Douglass solo pochi bianchi fuori dalla cerchia degli attivisti abolizionisti avrebbero simpatizzato con la causa di Miner e l’avrebbero difesa dalle squadracce razziste. Inoltre, quello era un periodo in cui la solidarietà verso i neri andava diminuendo. Nonostante i grandi rischi a cui si esponeva Miner aprì la scuola nell’autunno del 1851: cercando finanziamenti e al tempo stesso facendo pressione sui deputai del Congresso affinché difendessero il suo progetto. Fece anche da madre per le ragazze orfane. Al loro fianco c’erano le famiglie di queste giovani donne e abolizionisti come Stowe, che donò una parte delle royalties ricevute dalla vendita della Capanna dello zio Tom. La scuola andò in fiamme, ma lo stimolo che aveva diffuso sopravvisse e alla fine il MINER’S TEACHERS COLLEGE è diventato parte del sistema educativo pubblico del distretto di Columbia. Nel dialogo di apertura del capitolo, vi è uno scambio di parole tra Anthony e Wells. L'ammirazione di quest'ultima per la resistenza individuale di ANTHONY contro il razzismo era innegabile, e profondo era il suo rispetto per i contributi della leader delle suffragiste alla campagna per i diritti delle donne. Ma criticò la ANTHONY per non aver fatto della propria lotta personale contro il razzismo un elemento pubblico del movimento suffragista. ANTHONY non aveva mai mancato di elogiare DOUGLASS: il primo uomo a chiedere pubblicamente il diritto di voto alle donne tuttavia lo mise da parte al fine di reclutare donne bianche del sud nel movimento per il suffragio femminile: ANTHONY continuava spiegando di essersi rifiutata di sostenere gli sforzi di alcune donne nere che volevano formare una sezione dell’associazione suffragista. Non voleva risvegliare l’ostilità verso i neri delle associate bianche del sud, che avrebbero potuto ritirarsi dall’organizzazione se fossero entrate delle donne di colore. ANTHONY per sua stessa ammissione, capitolò di fronte al razzismo “per ragioni tattiche”. WELLS mise in guardia ANTHONY per il fatto che stava legittimando la deriva delle donne bianche del sud verso la segregazione. In quel periodo il razzismo stava obiettivamente crescendo e i diritti e le vite del popolo nero erano in pericolo. Nel 1894 erano già molto radicati la messa in discussione dei diritti elettorali dei neri al sud, il sistema legale della segregazione e la legge di Lync, ossia i linciaggi dei neri. ! quegli anni chiedevano una protesta forte e ben fondata contro il razzismo. ! La tesi “tattica” di ANTHONY e delle sue colleghe era una debole giustificazione per l’indifferenza delle suffragiste verso le pressanti richieste dell’epoca. ! 1888: Mississippi emanò una serie di normative che legalizzavano la segregazione razziale ed entro il 1890 lo stato aveva ratificato una nuova costituzione che privava i neri del diritto di voto. ! Altri stati meridionali emanarono nuove costituzioni per ottenere la privazione dei diritti elettorali del popolo nero. ! Le critiche prive di compromessi di Ida Wells verso Anthony per la sua indifferenza verso il razzismo erano sicuramente giustificate alla luce delle condizioni sociali dell'epoca, ma c'era qualcosa di più profondo del dato storica. Due anni prima del loro dibattito su razzismo e suffragio, WELLS aveva subito un traumatico incontro diretto con la violenza razzista delle squadracce. Dopo le rivolte di Memphis del 1866 ci fu un altro linciaggio di amici della Wells la ispirò a investigare e mettere a nudo quel tipo di omicidi squadristi che si stava rapidamente diffondendo negli stati del sud. 1893 viaggiava in Inghilterra nella ricerca di appoggi per la crociata vs i linciaggi e condannò il silenzio che circondava migliaia di episodi di violenza squadrista. ! Data la posizione evidentemente “neutrale” che la leadership della NATIONAL AMERICAN WOMAN SUFFRAGE ASSOCIATION adottò sulla “questione razziale” in realtà incoraggiò la proliferazione di idee esplicitamente razziste nelle fila del movimento suffragista. Congresso 1895 una delle figure nella campagna per il voto fece “pressione perché il sud adottasse il suffragio femminile come una soluzione al problema dei neri”. Questo “problema dei neri” poteva essere rivolto semplicemente, sosteneva HENRY BLACKWELL, collegando il diritto di voto alla capacità di saper legger e scrivere: “ma in ogni stato a parte uno, ci sono più donne bianche colte di tutti gli analfabeti con diritto di voto, bianchi o neri, nativi o stranieri”. Paradossalmente questo ragionamento, volto a persuadere i bianchi del sud che il suffragio femminile avrebbe portato grandi vantaggi per il suprematismo bianco, fu inizialmente proposto da BLACKWELL quando annunciò il proprio sostegno al XIV/XV emendamento. Già nel 1867: rivolto un appello “alle assemblee legislative degli stati del sud” chiedendo loro di prendere nota del fatto che il diritto di voto alle donne poteva potenzialmente eliminare l’incombente peso politico della popolazione nera. Il noto abolizionista assicurava i politici sudisti dell’epoca che il suffragio femminile potesse riconciliare nord e sud. ! BLACKWELL e sua moglie, LUCY STONE, assistettero STANTON-ANTHONY durante la loro campagna del 1867: in quel frangente che ANTHONY- STANTON hanno dato il benvenuto a un famigerato democratico il cui programma era “la donna prima e il negro per ultimo” è un indice del consenso verso la logica razzista di BLACKWELL. “chi può esitare di scegliere tra una donna colta e un negro ignorante?” Per quanto possano risultare razziste queste prese di posizione del movimento delle donne, è solo con l'ultimo decennio del diciannovesimo secolo che la campagna per il suffragio femminile comincia ad accettare definitivamente l’abbraccio fatale del suprematismo bianco. Le due fazioni, quella di STANTON-ANTHONY e quella di BLACKWELL-STONE, si erano divise sul tema del XIV/XV emendamento e si riuniscono nel 1890. 1892: STANTON era disillusa del potenziale liberatorio del voto per le donne e cedette la presidenza della NATIONAL AMERICAN WOMAN SUFFRAGE ASSOCIATION alla sua collega ANTHONY. Durante il secondo anno del mandato di ANTHONY l’associazione approvò una rivoluzione che era una variante della tesi datata, razzista e classista, di BLACKWELL. “in ogni stato del sud ci sono più donne bianche che possono leggere e scrivere di tutti i votanti negri” > questa risoluzione respingeva in modo elegante i diritti delle donne nere e immigrate assieme ai diritti dei loro compagni di sesso maschile: si trattava di un tradimento degli ideali democratici che non poteva più essere giustificato da vecchie considerazioni tattiche. Nella logica di questa risoluzione vi era un attacco implicito alla classe lavoratrice nel suo complesso e una volontà di fare causa comune con i nuovi capitalisti monopolisti la cui ricerca indiscriminata di profitti non conosceva limiti umani. Adottando la risoluzione del 1893 le suffragiste stavano dicendo che se avessero avuto il potere di voto, in quanto donne bianche della classe media e della borghesia, avrebbero rapidamente soggiogato i tre elementi principali della working class statunitense: - i neri, - gli immigrati - gli operai bianchi analfabeti Ovvero, i tre gruppi di persone il cui lavoro veniva sfruttato. Controllavano i lavoratori immigrati del nord come gli ex schiavi e i poveri operai bianchi che costruivano le nuove ferrovie, le miniere e le acciaierie del sud. Il terrore e la violenza obbligavano gli operai neri del sud ad accettare salari da schiavi e condizioni di lavoro che spesso erano peggio della schiavitù era questa la logica che stava dietro le crescenti ondate dei linciaggi e gli standard di privazione dei diritti elettorali al sud. Nel 1893, l’anno della fatale risoluzione della NATIONAL AMERICAN WOMAN SUFFRAGE ASSOCIATION, la Corte suprema annullò il Civil Rights Act del 1875: con questa decisione le leggi di Jim Crow e di Linch (un nuovo modello di schiavismo razzista) ottennero una ratificazione giuridica. 3 anni dopo, la sentenza “Plessy vs Ferguson” inaugurò la dottrina del “separati ma uguali” che consolidava il nuovo sistema di segregazione razziale del sud. Ultimo decennio del diciannovesimo secolo: momento critico nello sviluppo del razzismo moderno, sia per il rilevante sostegno istituzionale che ricevette che per le sue giustificazioni ideologiche. Era anche il periodo dell'espansione imperialista nelle Filippine, Hawaii, Cuba e Porto Rico. Le stesse forze che cercavano di soggiogare i popoli di quei paesi erano responsabili del peggioramento delle condizioni dei neri e dell’intera working class statunitense. Il razzismo alimentava le avventure imperialiste ed era probabilmente condizionato dalle strategie colonialiste e scioviniste. Nel 1899 le suffragiste si sbrigarono a fornire prove della loro tenace lealtà verso l’avido capitalismo monopolista: I precetti del razzismo e dello sciovinismo avevano dato forma alla politica della NATIONAL AMERICAN WOMAN SUFFRAGE ASSOCIATION nei confronti della working class statunitense, così che le nuove gesta imperialiste furono accettate senza esitazioni. ANTHONY: non era arrabbiata per le nuove conquiste territoriali ma “era stata sommersa dalla rabbia per la proposta di inserire delle forme di governo semi-barbariche su Hawaii e sui nuovi possedimenti”. ANTHONY: di conseguenza avanzò la richiesta di “dare diritto di voto alle donne dei nuovi possedimenti, alle stesse condizioni degli uomini”. Come se le donne delle Hawaii o di Porto Rico dovessero rivendicare il proprio diritto di essere vittime dell’imperialismo statunitense tanto quanto i propri uomini. Congresso del 1890 della NATIONAL AMERICAN WOMAN SUFFRAGE ASSOCIATION emerse una contraddizione di fondo: mentre le suffragiste invocavano il loro “dovere verso le donne dei nostri possedimenti”, l’appello di una nera per una risoluzione contro le leggi di Jim Crow restò praticamente inosservato. ANTHONY: portò la discussione su questa risoluzione a chiudersi con un nulla di fatto. “noi donne siamo una classe priva di voto e di aiuti. Abbiamo le mani legate. Finché ci troviamo in questa condizione, non è bene che facciamo passare risoluzioni contro l’industria delle ferrovie o altre simili”. Rifiutando di difendere quella sorella nera la NATIONAL abbandonava simbolicamente l’intero popolo nero nel momento della sua più intensa sofferenza dell’epoca dell’emancipazione: questa posizione certificava in via definitiva che l’associazione di suffragiste era una forza politica potenzialmente reazionaria pronta ad andare incontro alle richieste dei suprematisti bianchi. Il rifiuto di affrontare la questione del razzismo incoraggiato l’espressione di pregiudizi contro i neri all’interno dell’organizzazione. Anthony non andrebbe considerata personalmente responsabile degli errori razzisti del movimento delle suffragiste. Ma all'epoca ne era la leader più visibile e la sua posizione pubblica di neutralità riguardo la lotta per l'uguaglianza dei neri rafforzò l'influenza del razzismo all'interno della National American Woman Suffrage Association. Se ANTHONY avesse seriamente riflettuto sulle ricerche della sua amica WELLS si sarebbe resa conto che una posizione evasiva sul razzismo significava restare neutrali anche di fronte al linciaggio e all’assassinio di migliaia di neri. Documenti storici confermarono l’atmosfera di aggressioni razziste e al tempo stesso registrarono le potenti sfide lanciate dai neri nel 1899. Come poteva pretendere ANTHONY di credere nei diritti umani e nell’uguaglianza politica e consigliare al tempo stesso ai membri della sua organizzazione di rimanere in silenzio sul tema del razzismo? L’ideologia borghese (in particolare i suoi ingredienti razzisti) possiede per davvero la capacità di dissolvere le concrete immagini di terrore nell’oscurità e nell’insignificanza. Col nuovo secolo un profondo matrimonio ideologico aveva legato in una nuova foggia razzismo e sessismo. Il suprematismo bianco e il maschilismo di abbracciarono. Primi anni del ventesimo secolo l’influenza delle idee razziste fu più forte che mai. Il clima intellettuale sembrava infettato da nozioni irrazionali sulla superiorità della razza anglosassone. La promozione sempre più amplificata della propaganda razzista era accompagnata dalla diffusione parallela di idee sull’inferiorità delle donne. Mentre le persone di colore erano dipinte come barbari incompetenti, le donne bianche era rappresentate come figure materne, il cui obiettivo era quello di allevare i maschi della loro specie. Le bianche imparavano che in quanto madri avevano una speciale milioni di donne le cui vite non traevano soddisfazione dalle occupazioni domestiche e religiose. Trovarono nella vita dei club una soluzione ai loro problemi personali”. Le donne nere che lavoravano al di fuori delle loro case erano molto più numerose rispetto alle loro omologhe bianche. La maggior parte delle nere non doveva neanche lontanamente affrontare il vuoto della vita domestica che affliggeva le loro sorelle bianche di classe media. Tuttavia le leader del movimento dei club neri non provenivano dalle masse di donne lavoratrici. RUFFIN, per esempio, era la moglie di un giudice. Ciò che distingueva queste donne dalle leader bianche era la consapevolezza della necessità di opporsi al razzismo. Proprio per la loro affinità contro il razzismo e violenza esercitata dagli USA le rese intimamente vicine alle sorelle della working class. Prima della nascita del movimento dei club il primo importane incontro organizzato in modo indipendente dalle donne nere fu promosso in seguito all’aggressione razzista della giornalista WELLS: quando la sede del suo giornale a Memphis fu devastata decise di trasferirsi a NY: sul NY AGE denunciò il linciaggio di 3 suoi amici e la distruzione del giornale VICTORIA MATTHEWS e MARITCHA LYONS furono due donne nere che furono profondamente toccate dalla storia di Wells. Queste due donne iniziarono ad organizzare una serie di incontri per “risvegliare l’intera opinione pubblica delle due città”. Dopo qualche mese organizzarono un incontro di dimensioni sorprendenti: ottobre 1892 al NY Lyric Hall. WELLS intervenne con parole toccanti riguardo al linciaggio e alla fine ricevette una cospicua somma di denaro per poter fondare un altro giornale. In seguito a questa manifestazione le donne che ne avevano curato l'organizzazione decisero di creare delle organizzazioni permanenti a Brooklyn e NY, cui diedero il nome di WOMEN’S LOYAL UNION. Secondo WELLS questi furono i primi club fondati e guidati esclusivamente da nere. Molti incontri organizzati dalla Wells portarono alla formazione di nuovi club permanenti in diverse città degli USA. Nel 1893 un discorso contro il linciaggio tenuto da WELLS a Washington fu l’occasione per una delle prime apparizioni di MARY CHURCH TERREL, che più avanti divenne la prima presidente e fondatrice della NATIONAL ASSOCIATION OF COLORED WOMAN’S CLUB. WELLS fu anche un’organizzatrice dinamica nonché fondatrice del primo club di nere a Chicago, di cui ricoprì la carica di presidente. Affiancò DOUGLASS nell’organizzazione della protesta contro l' Esposizione universale del 1893. “perché le donne di colore sono assento dall’Esposizione universale di Chicago”. Alcune delle donne che Wells aveva coinvolto venivano dalle famiglie nere più benestanti di Chicago. Oltre alle rappresentanti della nascente “borghesia nera” e alle “più illustri donne della Chiesa e delle società segrete” tra le quasi 300 associate del CHICAGO WOMEN’S CLUB, c’erano anche “insegnanti, casalinghe e studentesse”. Era apertamente impegnato nella lotta di liberazione nei Neri. Il pioneristico WOMEN’S ERA CLUB di Boston continuava la strenua difesa delle persone nere che la WELLS aveva sollecitato durante il primo incontro . Quando la conferenza nazionale della Chiesa unitariana rifiutò di approvare una risoluzione contro il linciaggio, le componenti del NEW ERA protestarono vigorosamente e pubblicarono una lettera aperta destinata a una delle donne a capo della chiesa. Dopo aver sottolineato le privazioni di spazi di formazione e cultura subita dalle donne nere, la lettera di denuncia faceva appello a una protesta di massa contro il linciaggio: “e facciamo appello a tutti i cristiani di ogni parte del paese a fare lo stesso se non vorranno essere additati come sostenitori di assassini”. Nel 1895 fu indetta a Boston la FIRST NATIONAL CONFERENCE OF COLORED WOMEN. Non era semplicemente un’emulazione della controparte bianca. I club delle donne nere si erano riuniti per decidere una strategia comune di resistenza alle aggressioni propagandistiche contro le nere e al dispotismo della legge su linciaggio. FANNIE BARRIER WILLIAMS, esclusa da un club di Chicago delle socie bianche, propose una sintesi delle differenze tra i club delle bianche e i club della propria gente: “il movimento delle donne di colore tocca i problemi della nostra razza intera. È piuttosto la forza di una nuova intelligenza contro la vecchia ignoranza”. Mentre il movimento dei club delle donne nere dedicava tutto il suo impegno alla lotta per la liberazione dei neri, le dirigenti di ceto medio adottavano a volte degli atteggiamenti elitari nei confronti delle masse popolari. WILLIAMS concepiva i club delle donne come “la nuova intelligenza, la coscienza illuminata”: “per le bianche i club sono un movimento di avanguardia delle migliori donne nell’interesse della migliore condizione femminile. Per le donne di colore, invece, il club è lo sforzo di una minoranza competente a nome di una maggioranza incompetente”. Prima che si stabilisse definitivamente un’organizzazione nazionale del club delle donne nere tra le dirigenti intercorse una spiacevole rivalità. Nel 1895 la conferenza di Boston convocata da RUFFIN gettò le basi per la fondazione, nello stesso anno, della NATIONAL FEDERATION OF AFRO-AMERICAN WOMEN. MARGARET MURRAY WASHINGTON su eletta come presidente. Nel 1896 fu fondata a Washington la NATIONAL LEAGUE OF COLORED WOMEN con MARY CHRUCH TERREL come presidente. Le due organizzazioni, benché in competizione, decisero nel giro di poco tempo di fondersi dando vita alla NATIONAL ASSOCIATION OF COLORED WOMEN’S CLUB, che assegnò a TERRELL la carica più alta. Anni successivi TERREL e WELLS espressero in seno al movimento un’ostilità reciproca. WELLS denunciava di essere stata esclusa per opera di TERRELL dal congresso della NATIONAL che si tenne a Chicago nel 1899 la preoccupazione di non essere rieletta presidente portò TERRELL a escludere l’ex giornalista e a minimizzare, durante il congresso, la questione della lotta al linciaggi che la sua rivale era arrivata di fatto a personificare. TERRELL: era figlia di uno schiavo che aveva ricevuto, in seguito all’emancipazione, una considerevole eredità dal padrone (che era anche suo padre). Poté godere di opportunità di studio eccezionali. Divenne la terza donna nera diplomata nel paese. Insegnante di liceo e più avanti professoressa universitaria, TERRELL divenne la prima donna nera a ricevere un incarico dal Board of Education del distretto di Columbia. La preoccupazione per la liberazione collettiva della propria gente la portò a dedicare tutta la vita adulta alla lotta per la liberazione dei neri. TERRELL fu una forza trainante che trasformò il movimento dei club delle donne nere una potente organizzazione politica. Poche uguagliavano TERRELL come promotrice della liberazione dei neri. Le sue armi di lotta erano il ragionamento logico e la persuasione. Egli portò avanti con perseveranza e solidi principi la lotta per l’uguaglianza dei neri e per il diritto di voto alle donne, così come quelle per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. WELLS: nata da una famiglia di ex schiavi. Tentò la carriera di insegnante per badare ai suoi fratelli + intraprese un percorso di attivismo antirazzista. 22 anni decise di intentare una causa contro il servizio ferroviario per aver subito discriminazione razziale durante un viaggio in treno. In seguito all’assassinio di 3 suoi amici ad opera di un gruppo di razzisti decise di trasformare il proprio giornale in una potente arma contro il linciaggio. Quando i razzisti minacciarono la sua vita e distrussero gli uffici del giornale fu costretta all’esilio. Facendo appello in egual misura a bianchi e neri perché in massa si opponessero al regime del linciaggio. Nella sua lunga crociata contro il linciaggio WELLS divenne un’esperta di tattiche di agitazione e conflitto. WELLS-TERRELL > senza dubbio furono le due Nere più eccezionali del loro tempo. La loro faida personale andò avanti per decenni e fu una drammatica costante nella storia del movimento dei club delle donne nere. Se avesse collaborato e si fossero unite avrebbero potuto raggiungere obiettivi strepitosi. 9 - LAVORATRICI, DONNE NERE E LA STORIA DEL MOVIMENTO SUFFRAGISTA: Nel gennaio 1868, quando ANTHONY pubblicò il primo numero di REVOLUTION, le donne lavoratrici avevano da poco ingrossato i ranghi della forza lavoro, difendendo con le lotte i propri diritti. Durante la Guerra civile un numero senza precedenti di donne bianche era andato a lavorare al di fuori delle proprie abitazioni. Nell’industria dell’abbigliamento erano già diventate la maggioranza. A quell’epoca il movimento operaio si stava sviluppando rapidamente e contava una trentina di organizzazioni sindacali nazionali. All’interno del movimento operaio il maschilismo predominava: solo i lavoratori della manifattura del tabacco e i tipografi avevano aperto le porta delle loro organizzazioni alle donne. Nel corso della Guerra civile e nell’immediato dopoguerra le lavoratrici del tessile costituirono il più ampio gruppo di donne a lavorare fuori casa. Nel 1866 quando fu fondata la NATIONAL LABOR UNION i suoi delegati furono obbligati a riconoscere gli sforzi organizzativi delle lavoratrici del tessile. ! Su iniziativa di WILLIAM SYLVIS il congresso inaugurale decise di sostenere non solo lavoratrici del tessile, ma la generale sindacalizzazione delle donne e la piena uguaglianza salariale tra i sessi. Dopo la sua elezione a NATIONAL COLORED LABOR UNION presidente la NATIONAL LABOR UNION riscosse la partecipazione di numerose delegate donne tra le quali STANTON-ANTHONY. Congresso si vide costretto a approvare risoluzioni più radicali sostenendo la lotta per i diritti delle lavoratrici con maggior serietà. Al congresso di fondazione della NATIONAL COLORED LABOR UNION, 1869, le donne invece furono accolte fin dall’inizio. I lavoratori neri non volevano commettere “l’errore, commesso fino a quel momento dai loro concittadini bianchi, di escludere le donne”. Questo sindacato nero, nato a causa delle politiche escludenti delle organizzazioni bianche diede prova di essere maggiormente impegnato verso i diritti delle lavoratrici rispetto alle omologhe, e precedenti, organizzazioni bianche. Mentre la NATIONAL LABOR UNION aveva di fatto solamente approvato delle risoluzioni a favore dell’uguaglianza delle donne, la NATIONAL COLORED L.U. elesse una donna (CAREY) nel comitato politico ed esecutivo. ANTHONY-STANTON: nei loro scritti non parlarono mai dei traguardi antisessisti del sindacato nero; erano troppo accecate dal loro interesse per il diritto di voto. di votare. Lampante eccezione: BURROUGHS educatrice e leader religiosa, sostenne la tesi della moralità femminile fino ad affermare l’assoluta superiorità delle nere sui propri uomini. Le donne avevano bisogno del voto, insisteva, perché i loro uomini avevano venduto quest'arma preziosa. La donna doveva "riscattare la propria razza". Delle dozzine di donne partecipanti, soltanto Borroughs sostenne l'argomentazione contorta di una superiorità morale delle donne. Con le loro “evidenti capacità di osservazione e giudizio” le donne nere erano state più che disponibili a contribuire alla creazione di un movimento multirazziale per i diritti politici delle donne. Ma ogni volta furono tradite, respinte, rifiutate dalle dirigenti di quel movimento discriminatorio. ! Per le suffragiste così come per le donne dei club, le nere erano entità sacrificabili quando arrivava il momento di fare la corte alle donne dalla carnagione chiara del sud per avere il loro supporto. Eppure le concessioni fatte alle donne del sud nella campana per il suffragio femminile alla fine non fecero la differenza. Quando furono scrutinati i voti sul XIX emendamento gli stati del sud si schierarono contro e, a dire il vero, lo portarono quasi alla sconfitta. ! Dopo una vittoria attesa da tanto tempo le donne nere del sud furono violentemente ostacolate dell’esercizio del loro nuovo diritto. L’irruzione della violenza del KU KLUX KLAN in luoghi come Orange Country, in Florida, portò morte e ferite alle nere e ai loro bambini. In altri luoghi, con modalità meno violente, fu comunque loro vietato di esercitare il diritto di voto. ! Tra le file del movimento che aveva combattuto con così tanto fervore per l’emancipazione delle donne, a malapena di udirono grida di protesta. 10 - LE DONNE COMUNISTE: 1848, l’anno in cui KARL MARX- ENGELS pubblicarono il loro MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA, l’Europa fu teatro di continue insurrezioni rivoluzionarie. 1848: JOSEF WEYDEMEYER, uno dei partecipanti alla rivoluzione del 48 e stretto collaboratore di MARX-ENGELS emigrò negli USA e fondò la prima organizzazione marxista della storia del paese PROLETARIAN LEAGUE nel 1852. Inizialmente nessuna donna apparteneva all'organizzazione, ma nei decenni a seguire le donne continuarono a essere attive nelle proprie organizzazioni sindacali, nel movimento contro la schiavitù e nella campagna per il suffragio femminile. Eppure sembra che non abbiano fato parte del movimento socialista marxista: anche il SOCIALIST LABOR PARTY, IL COMMUNIST CLUB etc. furono prevalentemente maschili. Dal momento in cui fu fondato il SOCIALIST PARTY nel 1900, la composizione del movimento iniziò a cambiare. - Più forte diveniva la rivendicazione dell’uguaglianza delle donne, più donne erano attratte dalle lotte per il cambiamento sociale: iniziarono ad affermare il proprio diritto di partecipare alla lotta contro le strutture oppressive delle società. - Dal 1900 in avanti la sinistra marxista avrebbe compreso l’importanza delle donne militanti. - Principale fautore del marxismo per almeno due decenni, il SOCIALIST PARTY sostenne la battaglia per l’uguaglianza delle donne. - Per molti anni fu l’unica organizzazione politica a portare avanti la difesa del suffragio femminile. Grazie a due donne socialiste come NEWMAN - SCHNEIDERMAN, si costituì un movimento della classe operaia per il diritto di voto alle donne, rompendo il decennale predominio delle donne di classe media nella campagna di massa per il voto. Già nel 1908 il SOCIALIST PARTY aveva creato una commissione nazionale delle donne. L’8 marzo di quell’anno le socialiste del LOWER EAST SIDE di NY organizzarono una manifestazione di massa a sostegno dell’uguaglianza di suffragio. 1919 fu fondato il COMMUNIST PARTY (per l’esattezza vennero fondati due partiti comunisti, che si unificarono poco dopo). Le sue prime dirigenti attiviste donne furono ex militanti del SOCIALIST PARTY. Il secondo fattore d’influenza nella formazione del COMMUNIST PARTY furono gli INDUSTRIAL WORKERS OF THE WORLD comunemente conosciuti come “WOBBLIES”: furono fondati nel 1905 definendosi come sindacato del settore industriale. Sostenevano che non ci sarebbero mai potute essere relazioni serene tra capitalisti e lavoratori. Obiettivo ultimo: era il socialismo e la loro strategia per la lotta di classe senza tregua. Quando “BIG BILL” HAYWOOD convocò il primo incontro dell’organizzazione, tra i leader che salirono sul palco vi erano due donne: JONES - PARSONS. Sia il SOCIALIST PARTY che gli WOBBLIES ammettevano le donne nelle loro strutture, ma soltanto i secondi abbracciarono un’esplicita politica di lotta contro il razzismo. Il SOCIALIST PARTY non riconobbe mai l’oppressione specifica dei neri: la maggioranza di loro erano lavoratori e lavoratrici del settore agricolo, ma i socialisti sostenevano che solo i proletari fossero rilevanti per il loro movimento. Così come per i WOBBLIES, il principale obiettivo dei socialisti era l’organizzazione della classe lavoratrice e lo sviluppo di una coscienza di classe rivoluzionaria e socialista. I WOBBLIES focalizzarono un’attenzione specifica sui problemi delle persone nere. HELEN HOLMAN: socialista nera e fu in prima fila come portavoce della campagna di liberazione di O'Hare, una dirigente del suo partito che si trovava in prigione. Holman rappresentò uno dei rari casi di nere all’interno del SOCIALIST PARTY. Prima della Seconda Guerra Mondiale il numero di nere che lavoravano nei settori industriali era talmente esiguo che la loro esistenza era di fatto ignorata dai reclutatori del SOCIALIST PARTY. L’atteggiamento di indifferenza dei socialisti nei confronti delle nere fu una delle infelici eredità che il COMMUNIST PARTY dovette superare. Nel corso del decennio successivo i comunisti arrivarono a riconoscere la centralità del razzismo nella società statunitense. A quel punto svilupparono una solida teoria della liberazione dei neri e formarono un numero notevole di militanti attivi nella lotta contro il razzismo. 1. LUCY PARSONS: Una di quelle poche donne nere di cui si fa menzione ancora oggi nelle cronache del movimento operaio statunitense. È quasi sempre identificata in modo riduttivo come la “devota moglie” di ALGERT PARSONS, martire di HAYMARKET. La sua attività giornalistica militante in difesa della classe operaia proseguì per più di 60 anni. La partecipazione di Lucy alle lotte operaie ebbe inizio quasi 10 anni prima del massacro della rivolta di HAYMARKET. Il suo percorso politico oscillò dalle posizioni anarchiche della gioventù all’adesione al COMMUNISTI PARTY in età adulta. Nata nel 1853 PARSONS aderì al SOCIALIT PARTY nel 1877. Negli anni a seguire iniziò a militare nella CHICAGO WORKING WOMEN’S UNION. Scontri a fuoco del 1 maggio del 1886 di HAYMARKET a Chicago, il marito fu uno degli 8 dirigenti operai radicali arrestati dalle autorità. Viaggiando per tutto il paese divenne una nota leader del movimento operaio e grande sostenitrice dell’anarchismo. Benché fosse nera (cosa che dovette spesso dissimulare a causa delle leggi che proibivano il matrimonio misto) e nonostante fosse una donna, PARSONS sostenne che il razzismo e il sessismo fossero questioni di second’ordine rispetto allo sfruttamento capitalista della classe lavoratrice. I neri e le donne subivano lo sfruttamento capitalistico non meno dei bianchi e degli uomini, tutte le energie dovevano essere dedicate alla lotta di classe. I neri e le donne non subivano alcuna forma specifica di oppressione e non esisteva a suo parere la necessità di un movimento di massa delle persone oppresse dal razzismo e dal sessismo. Il sesso e la razza erano solamente delle circostanza esistenziali strumentalizzate dal padronato per giustificare un maggiore sfruttamento delle donne e delle persone di colore. Se i neri subivano la brutalità del linciaggio era perché la povertà li aveva resi il gruppo di lavoratori più vulnerabile di tutte. PARSONS-MOTHER MARY JONES furono le prime due donne ad unirsi all’organizzazione radicale operaia degli INDUSTRIAL WORKERS. Durante il congressi di fondazione degli WOBBLIES del 1905: entrambe invitate a sedere affianco a DEBS-BIG BILL. Nel suo discorso al congresso, PARSONS, rivelò la sua particolare sensibilità per l’oppressione delle donne lavoratrici che, dal suo punto di vista, erano strumentalizzate dai capitalisti al fine di ridurre i salari dell’intera classe operaia. Egli parlava anche della condizione delle prostitute. Anni ’20 del 900 iniziò a sentirsi sempre più vicina alle lotte del neonato COMMUNIST PARTY. Impressionata dalla rivoluzione dei lavoratori russi del 1917 divenne fiduciosa che col tempo la working class avrebbe trionfato anche negli USA. Quando nel 1925 i comunisti insieme ad altre forze progressiste fondarono l'International Labor Defense, Parsons decise di aderire come lavoratrici a questa nuova organizzazione sindacale. Nel 1939 aderì ufficialmente al partito comunista e morì qualche anno dopo. 2. ELLA REEVE BLOOR: ▲ Nata nel 1862 e nota anche come "MOTHER" BLOOR, fu una straordinaria sindacalista, una militante per i diritti delle donne, dei neri, per la pace e il socialismo. ▲ Entrò nei SOCIALIST PARTY subito dopo la sua fondazione e vi militò fino a divenirne una dirigente oltre che una leggenda vivente per la classe lavoratrice di tutto il paese. ▲ Facendo autostop da una parte all'altra del paese, fu il cuore e l’anima di un numero incalcolabile di scioperi. donne nere veterane soffrivano ancora di più delle loro sorelle bianche: soggiogate da una triplice oppressione: “ogni disuguaglianza e diritto negato alle donne americane è mille volte più grave per le donne negre, che sono sfruttate tre volte: come negre, come lavoratrici e come donne”. Questa stessa analisi del “triplice rischio” fu proposta più avanti anche dalle nere che cercarono di influenzare sin dal principio l’odierno movimento di liberazione delle donne. Durante l’attacco al COMMUNIST PARTY negli anni del maccartismo FLYNN fu arrestata a NY, insieme ad altre 3 donne, e denunciata per “insegnamento ed esortazione al rovesciamento violento delle istituzioni”. Le altre erano MARIAN BACHRACH - BETTY GANNET - CLAUDIA JONES (nera). Nel giugno del 1951 le 4 comuniste furono prese dalla polizia e portate nella NY WOMEN’S HOUSE OF DETENTION. Dopo il processo per violazione dello SMITH ACT, le 3 donne (no marian) furono condannate a scontare la loro pena al FEDERAL REFORMATORY FOR WOMEN in Virginia. Poco prima del loro arrivo la prigione aveva ricevuto mandato dal tribunale di sopprimere la segregazione razziale nelle strutture carcerarie. L’abolizione per legge della segregazione nelle prigioni non aveva sancito la fine della discriminazione razziale. Le nere continuavano a essere assegnate ai lavori più duri. Come leader del COMMUNIST PARTY, FLYNN aveva maturato un profondo impegno nella lotta per la liberazione dei neri ed era arrivata a realizzare che la loro resistenza non era sempre coscientemente politica. Tra le prigioniere di Aldenson infatti c’era una maggiore solidarietà tra le negre. Le sembrava fossero più disciplinate, meno isteriche, viziate e più mature. Si fidava di più delle nere che delle bianche: inclini al pentimento o a fare la spia. CLAUDIA JONES: Nata nell’isola di Trinidad quando ancora faceva parte delle Indie occidentali britanniche, JONES immigrò negli USA da ragazzina insieme ai suoi genitori. Più avanti si unì insieme a tanti altri neri al movimento per liberare gli SCOTTSBORO NINE (nove adolescenti afroamericani accusati in Alabama di violenza sessuale - mai commessa - nei confronti di due giovani prostitute bianche su un treno nel 1931). Grazie al suo attivismo negli SCOTTSBORO DEFESE COMMITTEE fece conoscenza con alcuni membri del COMMUNIST PARTY, a cui decise di aderire. Da ventenne assunse un ruolo di responsabilità nella commissione nazionale femminile del partito. Tra i tanti articoli che pubblicò, spicca uno intitolato “per la fine dell’indifferenza verso i problemi delle donne nere”: la sua visione delle nere intendeva rifiutare il classico stereotipo maschilista sul ruolo delle donne. La centralità delle nere era sempre stata indispensabile alla lotta per la liberazione della sua gente. JONES, rimproverò ai progressisti, e soprattutto ai sindacalisti, di non aver riconosciuto gli sforzi di organizzazione delle lavoratrici domestiche nere. Poiché la maggioranza delle lavoratrici nere erano ancora impiegate nel lavoro domestico gli atteggiamenti paternalistici nei confronti delle donne di servizio influenzavano la definizione delle nere come gruppo sociale: “la continua relegazione delle negre al lavoro domestico ha contribuito a perpetrare e intensificare il maschilismo contro di loro”. Lei ricordava spesso alle sue amiche e compagne bianche che “troppi progressisti e persino alcuni comunisti sono ancora responsabili dello sfruttamento delle lavoratrici domestiche negre”. JONES era profondamente comunista: una comunista impegnata che credeva nel socialismo come via di liberazione delle donne nere, così come tutti i neri e dell’intera classe lavoratrice multirazziale. JONES sosteneva che le bianche del movimento progressista, e soprattutto le comuniste, dovessero assumersi una specifica responsabilità nei confronti delle donne nere. “la relazione economica che intercorre tra le negre e le bianche, che perpetua la relazione serva-padrona, alimenta comportamenti sciovinisti (di nazionalismo angusto) e manifesta l’urgente necessità che le donne bianche progressiste, e soprattutto le comuniste, si mettano a lottare con consapevolezza contro tutte le manifestazioni di suprematismo bianco, sottile o manifesto”. Dopo la condanna per violazione dello SMITH ACT e la reclusione nell’ANDERSON FEDERAL REFORMATORY FOR WOMEN, JONES scoprì in carcere un vero e proprio microcosmo della società razzista che aveva conosciuto fuori. Nonostante la prigione avesse ricevuto il mandato di abolire la segregazione razziale, JONES fu assegnata a una “struttura di colore”, cosa che la isolò dalle due compagne bianche, FLYNN-GANNET. Flynn soffrì molto visto che lei e la Jones erano compagne ma anche amiche intime. Quando Jones venne rilasciata venne deportata in Inghilterra a causa delle pressioni del maccartismo (Movimento di avversione al comunismo e in genere alle correnti di sinistra, ispirato, nelle sue manifestazioni più estremiste, non solo a motivi ideologici ma anche a esagerate reazioni psicologiche). Lì continuò il suo lavoro politico pubblicando articoli e morì. 11 - STUPRO, RAZZISMO E IL MITO DELLO STUPRATORE NERO: A volte i sintomi più evidenti del deterioramento sociale, sono riconosciuto soltanto quando hanno ormai assunto un’ampiezza tale da sembrare insormontabili. Stupro: caso emblematico. Lo stupro è uno dei crimini violenti che ancora oggi cresce con maggiore rapidità e lo stato alimenta il silenzio e il tabù. Dopo anni di silenzio, sofferenze e colpe taciute, la violenza sessuale sta emergendo in maniera esplosiva come emblema delle disfunzioni della società capitalista contemporanea. Il crescente interesse riguardo al fenomeno nel dibattito pubblico statunitense ha motivato tantissime donne a raccontare pubblicamente gli episodi di violenza subita, minacciata o portata a termine. Negli USA e in altri paesi capitalisti le leggi sullo stupro, come di norma, erano strutturate in origine a tutela degli uomini delle classi superiori, le cui figlie o mogli rischiavano di essere aggredite. Ciò che accade alle donne della working class ha suscitato di rado l’attenzione dei tribunali. ! La denuncia per stupro ha colpito gli uomini neri in maniera indiscriminata, colpevoli o innocenti che fossero. ! Negli USA la falsa accusa di stupro emerge come uno degli strumenti più terribili forgiati dal razzismo. ! Mito dello stupratore nero è stato metodicamente evocato ogni volta che era necessario fornire giustificazioni convincenti alle ondate di violenza e terrore contro la comunità nera. ! L’assenza evidente delle donne nere dal movimento contro lo stupro deriva in parte dall’indifferenza del movimento nei confronti delle false denunce per violenza sessuale come incitamento al razzismo. ! “Anche nel momento di maggior forza del movimento per i diritti civili”, per esempio “le giovani attiviste nere dovettero fare i conti col rischio permanente di essere stuprate dalla polizia”. ! All’inizio del movimento contro lo stupro poche teoriche femministe hanno analizzato seriamente la condizione specifica delle donne nere vittima di violenza. Solo di recente la connessione storica tra le nere, abusate e stuprate dagli uomini bianchi, e i neri, mutilati e uccisi a causa di false accuse di stupro, ha iniziato ad essere riconosciuta. ! Ogni volta che le donne nere hanno lottato contro gli stupri hanno denunciato anche la strumentalizzazione dell’accusa di violenza a fini razzisti contro i loro uomini: “il mito dello stupratore nero che aggredisce le donne bianche va a braccetto con il mito della cattiva donna nera, entrambi finalizzati a giustificare e facilitare lo sfruttamento dei Neri e delle Nere". Caso di JOAN LITTLE: portata al processo per omicidio nell’estate del 1975, la giovane fu accusata di aver ucciso una guardia bianca nella prigione del Nord Carolina dove era l’unica detenuta donna. Testimoniò di essere stata stuprata nella sua cella dal secondino e di averlo ucciso per autodifesa. Le sue ragioni vennero sostenute da singoli, dalle organizzazioni della comunità nera e dal movimento delle donne. La sua assoluzione fu vista come importante vittoria resa possibile dalla campagna di massa. Subito dopo l'assoluzione, Little fece numerosi appelli a sostegno di un uomo nero di nome DELBERT TIBBS che stava per essere giustiziato in Florida perché falsamente accusato di stupro da una donna bianca. Molte Nere risposero all'appello di Little, ma poche organizzazioni bianche del movimento contro lo stupro risposero all’appello. Nel 1978, quando caddero tutte le denunce contro TIBBS, le attiviste bianche contro lo stupro cominciarono a schierarsi progressivamente in sua difesa. Queste esitazioni iniziali confermarono i sospetti delle nere: il movimento contro lo stupro era del tutto indifferente alle loro preoccupazioni. Prima della fine del diciannovesimo secolo i club delle donne nere condussero una delle primissime proteste pubbliche contro gli abusi sessuali. La loro lunga tradizione di battaglie contro gli abusi riflette l'ampiezza e la gravità delle violenze subite dalle donne Nere. Una delle specificità storiche del razzismo è stata l’assunzione che gli uomini bianchi, specialmente quelli che esercitavano un potere economico, godessero del diritto incontestabile di accedere ai corpi delle donne nere. La schiavitù si basava sul ricorso sistematico allo stupro quando alla frusta. La violenza sessuale fu una prerogativa del rapporto tra il padrone e la schiava: il diritto di disporre dei corpi delle schiave reclamato dai proprietari e dai commercianti di uomini era diretta espressione del loro presupposto diritto di proprietà sull’intera popolazione nera. La licenza di stupro derivava e alimentava allo stesso tempo la crudeltà del sistema economico schiavistico, di cui costituì un terribile tratto distintivo. Lo stupro delle donne nere ad opera di uomini bianchi si è radicato a tal punto nelle dinamiche sociali da riuscire a sopravvivere all’abolizione della schiavitù: Periodo successivo alla Guerra civile lo stupro di gruppo fu praticato dal KU KLUX KLAN e da altre organizzazioni terroristiche come arma politica con l’obiettivo esplicito di osteggiare il movimento per l’uguaglianza dei nei. Durante la sommossa di Memphis del 1866 contro la popolazione nera la violenza si alternò a stupri premeditati. in discussione l'ideologia con cui sono minimizzate le violenze sessuali sulle Nere; cade nella trappola del dare la colpa alla vittima per la punizione feroce che le è stata storicamente inflitta. Le nere hanno manifestato una consapevolezza collettiva della propria condizione di vittime di violenza sessuale. Hanno anche compreso che non potevano resistere alle aggressioni sessuali senza attaccare allo stesso tempo la falsa accusa dello stupro come alibi per i linciaggi. Il ricorso agli abusi come strumento di terrore da parte del suprematismo bianco ha anticipato in molti stati l’istituzionalizzazione del linciaggio. Durante la schiavitù il linciaggio dei neri non si verificò in maniera diffusa per il semplice motivo che i proprietari erano riluttanti a distruggere le loro preziose proprietà > frustrare sì, ma linciare no. Insieme alla frusta, lo stupro: arma di ordinaria repressione. I linciaggi avvenuti prima della Guerra civile si rivolsero principalmente verso gli abolizionisti bianchi, che non avevano valore sul mercato. Il tasso dei linciaggi aumentò quando la campagna contro la schiavitù iniziò a guadagnare potere e influenza. Il linciatore divenne il difensore dei proprietari di schiavi. Con l’emancipazione degli schiavi i neri persero valore di mercato per gli ex padroni e di conseguenza “la pratica del linciaggio subì un profondo cambiamento”. Il mito dello stupratore nero è stato costruito in relazione a questi linciaggi. Soltanto l’irrazionalità dell’ideologia razzista poté legittimare questa terribile pratica. Il mito dello stupratore nero fu un’invenzione politica. DOUGLASS: durante la schiavitù gli uomini neri non erano etichettati come violentatori. durante la Guerra civile, infatti, non un solo uomo nero fu pubblicamente accusato di aver abusato di una donna bianca. Se gli uomini neri avessero posseduto un’esigenza animalesca di stupratore questo presunto istinto alla violenza si sarebbe certamente attivato quando gli uomini lasciavano le donne indifese per andare a combattere nell’esercito confederato. immediato dopoguerra: stupratore nero non era ancora apparso. i linciaggi, riservati durante la schiavitù agli abolizionisti bianchi, iniziarono a dare prova di essere una valida arma politica. Prima che si consolidasse come istituzione la sua brutalità e i suoi orrori dovettero essere giustificati in maniera convincente. Queste circostanze generarono il mito dello stupratore nero e lo stupro emerse come il mezzo più efficace per giustificare il linciaggio dei neri. questa istituzione, complementare all’abuso delle donne nere, divenne un ingrediente essenziale della strategia postbellica di terrore razzista: in questo modo lo sfruttamento brutale del lavoro dei neri era garantito e, dopo il tradimento della Ricostruzione, fu assicurata anche la dominazione politica sulle persone nere. durante la prima grande ondata di linciaggi la propaganda che esortava alla difesa delle donne bianche dagli istinti irrefrenabili degli uomini neri brillava per la sua pochezza. secondo Douglass: le uccisioni al di fuori della legge di persone nere erano sempre più spesso descritte come una misura preventiva per dissuadere le masse nere dal sollevarsi in rivolta. all’epoca la funzione pubblica degli omicidi degli squadristi venne a galla: il linciaggio era una forma esplicita di contro-insurrezione, una garanzia che i neri non avrebbero avuto le forze di raggiungere gli obiettivi della cittadinanza e dell’uguaglianza economica. Quando divenne evidente che queste cospirazioni, complotto e insurrezioni erano delle montature che non si materializzavano mai, fu modificata la giustificazione del linciaggio. Anni successivi al 1872: ovvero negli anni dell’ascesa delle ronde come quelle del KU KLUX CLAN fu escogitato un nuovo pretesto: i linciaggi furono rappresentati come una misura necessaria per impedire la supremazia nera sulle persone bianche, in altre parole per riaffermare la supremazia bianca. Dopo il tradimento della Ricostruzione e la conseguente privazione dei neri dei diritti civili, lo spettro della supremazia politica nera come pretesto per il linciaggio divenne obsoleto. Eppure, quando la struttura economica postbellica prese forma, consolidando l’iper sfruttamento del lavoro delle persone nere, il numero di linciaggi continuò ad aumentare. ! Lo stupro emerse come principale giustificazione per i linciaggi. La teoria di DOUGLASS sulle motivazioni politiche che hanno spinto alla creazione del mito dello stupratore nero si basano sull’analisi del modo in cui l’ideologia si trasforma per incontrare nuove condizioni storiche. Il linciaggio era ora spiegato e razionalizzato come metodo per vendicarsi delle aggressioni da parte degli uomini neri sulle donne bianche del sud. Il linciaggio era necessario per mantenere il controllo sui negri del sud. Benché la maggior parte dei linciaggi non avesse a che fare con l’accusa di aggressione sessuale, l’allarme razzista sullo stupro divenne una motivazione diffusa e fu molto più efficace dei precedenti tentativi di giustificare le aggressioni sui neri. In una società in cui il maschilismo era pervasivo gli uomini (motivati dal dovere di difendere le donne) potevano esser scusati di ogni possibile eccesso. L’efficacia della nuova motivazione fu dimostrata dalla ferocia che ne conseguì. Senatore BEN TILLMAN del Sud Carolina disse “quando gli uomini bianchi mettono a morte un essere dalle sembianze umane che ha molestato una donna bianca, essi vendicano il più grande degli errori, il più nero dei crimini”. Egli diceva che crimini di questo genere inducevano gli uomini civilizzati a ritornare alla natura selvaggia originaria, la cui azione istintiva in queste circostanze è sempre stata quella di uccidere”. Le ripercussioni di questo nuovo mito furono immense. Riuscì a soffocare ogni opposizione al linciaggio + riuscì a indebolire il supporto dei bianchi alla causa dell’uguaglianza dei neri. La rappresentazione degli uomini neri come degli stupratori provocò un’incredibile confusione tra le fila del movimento progressista. DOUGLASS-WELLS: nelle loro rispettive analisi sostenevano che non appena l’allarme propagandistico dello stupro divenne il nuovo pretesto per i linciaggi molti sostenitori dell’uguaglianza dei neri iniziarono a preoccuparsi di essere associati alla lotta di liberazione dei neri. DOUGLASS descrisse l’impatto catastrofico della false accuse di stupro sul movimento per l’uguaglianza dei neri: “hanno tirato in inganno gli amici del nord e molti buoni amici del sud, perché quasi tutti loro hanno preso per vere queste accuse nei confronti dei neri”. Il numero degli stupri effettivi non era nemmeno comparabile con il numero di accuse che si diffusero a causa di questo mito. Durante la Guerra civile non si registrò nemmeno un caso di stupro di una donna bianca da parte di uno schiavo. DOUGLASS sostiene che accusare i neri di stupro non era credibile per la semplice ragione che questo avrebbe implicato un cambiamento radicale e istantaneo del carattere morale e mentale delle persone di colore. “in tutta la storia non si è mai verificato un caso di trasformazione di personalità così estrema, innaturale e totale in un gruppo di esseri umani, come quella implicita in questa accusa. Il cambiamento è troppo grande e il periodo in questione troppo breve”. Anche le circostanze reali di molti linciaggi contraddicevano il mito dello stupratore nero. La maggior parte non riguardava nemmeno l’accusa di stupro. Molti linciaggi ebbero luogo per altre ragioni. Studio pubblicato nel 1931 fu rivelato che tra il 1889 e il 1929 solo un sesto delle vittime di assalti da parte di folle erano accusati di stupro. Erano accusati: omicidio, aggressione criminale, furto, di aver insultato un bianco... Ma la maggioranza di queste accuse era sorprendentemente futile. Benché le loro argomentazioni fossero smentite dai fatti, molti apologeti del linciaggio rivendicavano il dovere degli uomini bianchi di difendere le proprie donne. BEN TILLMAN al Senato degli USA: 1892 aveva dichiarato che, nel luogo in cui 8 uomini neri erano appena stati impiccati, avrebbe personalmente condotto una folla al linciaggio contro un nero che avesse osato stuprare una donna bianca. Durante il suo incarico di governatore consegnò un uomo nero al linciaggio anche se la vittima era stata pubblicamente discolpata dalla donna che aveva denunciato lo stupro. La colonizzazione dell’economia del sud da parte dei capitalisti del nord diede un vigoroso impulso ai linciaggi. I capitalisti godevano di un doppio vantaggio: - L’ipersfruttamento della forza lavoro nera assicurava ulteriori profitti - Si potevano disinnescare le ostilità dei lavoratori bianchi nei confronti dei loro padroni: i bianchi che partecipavano alla pratica del linciaggio assumevano inevitabilmente un atteggiamento di solidarietà razziale con quegli altri bianchi che erano in realtà i loro oppressori. Se le persone nere avessero semplicemente accettato uno status di inferiorità economica e politica i linciaggi sarebbero probabilmente diminuiti un vasto numero di ex schiavi rifiutava di abbandonare i sogni di progresso. Chiunque sfidasse la gerarchia razziale era marchiato come potenziale vittima di linciaggio. L’opinione pubblica era convinta (e veniva considerata una verità incontrovertibile) che il linciaggio fosse una risposta legittima alla barbarie delle violenze sessuali contro l’onore delle bianche. Ma cosa giustificava i linciaggi di così tante donne nere che in alcuni casi venivano anche stuprate prima di essere uccise? Dato il ruolo centrale nell’immaginario dello stupratore nero nel dare forma al razzismo post-schiavista, è a dir poco irresponsabile rappresentare i neri come i più frequenti autori di violenza sessuale. Invece, si tratta di una vera e propria aggressione contro i neri come gruppo sociale, dal momento che la figura dello stupratore nel mito fa da contraltare a quella della puttana, percependo l’accusa di stupro come attacco all’intera comunità nera le donne nere si misero ben presto alla guida del movimento contro il linciaggio. Gli articoli di WELLS sul NY AGE spinsero le nere a organizzare una campagna a sua difesa che infine portò alla fondazione del club delle donne nere. Durante il suo tour all’estero, in Gran Bretagna fu organizzato un importante movimento di solidarietà, cosa che ebbe un impatto profondo sull’opinione pubblica statunitense. Anche TERRELL è stata una eccezionale protagonista della lotta contro il linciaggio. Trent’anni dopo che WELLS aveva dato inizio alla campagna contro il linciaggio fu creata un’organizzazione di nome ANTI-LYNCHING CRUSADERS. Fondata nel 1922 sotto l’egida della NATIONAL ASSOCIATION FOR THE ADVANCEMENT OF COLORED PEOPLE e permanente crisi del capitalismo. In quanto violenta faccia del sessismo, la minaccia di violenza continuerò a esistere fino a quando l’oppressione delle donne farà da stampelle al capitalismo. Il movimento contro lo stupro e la sua importante attività (dal sostegno psicologico e legale dell’autodifesa e alla campagne educative) deve collocarsi in un contesto strategico che punti alla sconfitta definitiva del capitalismo monopolistico. 12 - RAZZISMO, CONTROLLO DELLE NASCITE E DIRITTI RIPRODUTTIVI: La campagna per il controllo delle nascite ha origine nel diciannovesimo secolo, quando le femministe rivendicarono per la prima volta la “maternità consapevole”. Le sue promotrici furono oggetto della stessa denigrazione che colpì agli inizi il movimento delle suffragiste. Alla fine il controllo delle nascite, così come il diritto di voto alle donne, entrò a far parte del senso comune negli USA. Eppure nel 1970, a un secolo di distanza, l’appello per un aborto legale e accessibile non è stato meno controverso della questione della maternità scelta. Il controllo della nascite, la possibilità di una scelta individuale, i metodi contraccettivi sicuri, così come l’aborto se necessario, sono tutti requisiti fondamentali per l’emancipazione delle donne. Questo movimento è riuscito raramente a unire le donne di diversa estrazione sociale, e solo in rare occasioni le leader hanno dato voce alle preoccupazioni specifiche di quelle della classe lavoratrice. Inoltre le argomentazioni delle fautrici del controllo della nascite si sono basate, a volte, su premesse razziste. Questo movimento lascia molto a desiderare sul terreno della lotta al razzismo e allo sfruttamento di classe. La più importante vittoria del movimento contemporaneo per il controllo delle nascite è avvenuta nei primi anni ’70 con la legalizzazione dell’aborto. La lotta per il diritto all’aborto canalizzò tutto l’entusiasmo e le energie militanti del giovane movimento. Tra le attiviste della campagna per il diritto all’aborto non vu furono mai numeri consistenti di donne di colore. Vista la composizione razziale del movimento per la liberazione delle donne nel suo complesso, questo dato non era sorprendente. Quando si pose il problema dell’assenza delle donne oppresse dal razzismo nella lotta per il diritto all’aborto, nel dibattito e nella letteratura del periodo venivano generalmente date 2 spiegazioni: - Le donne nere erano sovraccaricate alla lotta contro il razzismo - Non avevano ancora preso coscienza della centralità del sessismo Il reale motivo non risiedeva nella scarsa coscienza o nella miopia politica delle donne di colore: la verità è nascosta nelle fondamenta ideologiche del movimento per il controllo delle nascite. L’incapacità della campagna per il diritto all’aborto di produrre un’analisi storica del proprio percorso, condusse a una valutazione pericolosamente superficiale della diffidenza delle persone nere verso questo tema. Neri: controllo delle nascite= genocidio (alcuni), ma le attiviste bianche per l’aborto ignorarono un argomento cruciale: queste accuse di genocidio erano importanti sintomi delle modalità di sviluppo del movimento, che per esempio aveva difeso la sterilizzazione forzata, una forma razzista di controllo di massa delle nascite. Le donne non potranno mai godere del diritto di pianificare le proprie gravidanze fino a quando le misure legali e accessibili di controllo delle nascite non si accompagneranno alla fine della sterilizzazione forzata. Le donne di colore non avrebbero mai potuto ignorare l'importanza della campagna per il diritto all'aborto. Es: NY prima della depenalizzazione, per molti anni circa l’80% delle morti causate da aborti illegali riguardò donne nere e portoricane. Subito dopo l’introduzione della nuova legge, circa la metà degli aborti legali fu praticata a nere. Se nella campagna per il diritto all’aborto dei primi anni ’70 sarebbe stato necessario ricordarsi che le donne di colore volevano disperatamente sfuggire ai retrobottega degli abortisti ciarlatani, sarebbe stato fondamentali anche accorgersi che queste stese donne non erano pronte a esprimersi a favore dell’aborto. Erano a favore del diritto all’aborto ma non per questo sostenitrici dell’aborto. Il gran numero di aborti di Nere e latine era causato non dal desiderio di interrompere la gravidanza quanto dalle condizioni sociali miserabili nelle quali vivevano e per questo preferivano rinunciare alla possibilità di avere figli. Le donne nere hanno sempre abortito da sole sin dai primi tempi della schiavitù. Molte schiave rifiutavano di mettere al mondo figli destinati a un'esistenza di interminabile lavoro forzato. Un medico in Georgia notò che le interruzioni di gravidanza e gli aborti spontanei erano molto più comuni tra le sue pazienti schiave che tra le bianche le donne nere lavoravano troppo duramente oppure “le nere possiedono una capacità segreta di distruggere il feto nelle prime fasi della gestazione” questo dottore non si fermò a considerare quanto fosse invece “innaturale” crescere bambini sotto un sistema schiavistico. Es: MARGARET GARNER: la schiava fuggitiva che uccise la propria figlia e tentò il suicidio si rallegrò che sua figlia fosse morta e domandò di essere processata per omicidio. Aborti e infanticidi erano gesti di disperazione motivati non da questioni biologiche ma dalla condizione oppressiva della schiavitù. Nelle fasi iniziali della campagna per il diritto all’aborto troppo spesso si affermò che la sua legalizzazione avrebbe fornito una valida alternativa alla miriade di problemi posto alla povertà. Come se avere meno bambini potesse creare più lavoro, salari più alti, scuole migliori... questa affermazione rifletteva la tendenza a offuscare la distinzione tra il diritto all’aborto e una posizione a favore degli aborti. La campagna spesso non riuscì a dare voce alle donne che volevano che questo diritto fosse legale ma si lamentavano delle condizioni sociali che proibivano loro di mettere al mondo dei bambini. L’offensiva contro l’aborto tornata in auge alla fine degli anni ’70 ha reso assolutamente necessario focalizzare l’attenzione sulle necessità specifiche delle donne povere e oppresse dal razzismo. A partire dal 1977 l’approvazione dell’emendamento HYDE al Congresso impose la sospensione dei finanziamenti federali alle interruzioni di gravidanza. Le donne nere, portoricane e native americane, insieme alle loro sorelle bianche impoverite, furono così effettivamente espropriate dei diritti all’aborto legale. Poiché la sterilizzazione chirurgica rimase gratuita e su richiesta, sempre più donne povere furono costrette a optare per l’infertilità permanente. Il desiderio di controllare il proprio sistema riproduttivo è probabilmente vecchio quanto la storia umana. Saggio “MATRIMONIO” anni ’50 del ‘800 SARA GRIMKE sostenne “il diritto della donna di decidere quando diventare madre, quanto spesso e in quali circostanze”. SARA GRIMKE difendeva il diritto all’assistenza sessuale. L’idea che le donne potessero rifiutarsi di sottomettersi alle richieste dei loro mariti, nel tempo, divenne l’idea centrale dell’appello per la maternità consapevole. A partire dagli anni ’70 dell’800, quando il movimento per il suffragio femminile aveva raggiunto il suo apice, le femministe difesero pubblicamente la maternità come libera scelta. Non è un caso che la coscienza sui diritti riproduttivi delle donne sia nata all’interno del movimento per la loro uguaglianza. I sogni di fare carriera o di realizzarsi al di fuori del matrimonio e della maternità potevano concretizzarsi solo limitando e pianificando le gravidanze. In questo senso lo slogan “maternità scelta” conteneva una nuova versione autenticamente progressista alla condizione femminile. Tuttavia questo era possibile solo nelle vite delle classi medie e borghesi. La rivendicazione della maternità scelta non si confaceva alla situazione delle donne della classe lavoratrice, impegnate com’erano nella lotta per la sopravvivenza economica. Verso la fine del diciannovesimo secolo il tasso si natalità tra i bianchi negli USA registrava un significativo declino. Poiché nessuna innovazione contraccettiva era ancora stata ufficialmente introdotta, la diminuzione delle nascite sottintendeva dal fatto che le donne stessero limitando la loro attività sessuale. A partire dal 1890 la “tipica” donna bianca statunitense non metteva al mondo più di 4 bambini. Poiché la società si stava progressivamente urbanizzando, questa nuova tendenza non poteva sorprendere. La vita di campagna richiedeva famiglie numerose che non erano adatte alla vita in città. Eppure questo fenomeno fu pubblicamente interpretato in chiave razzista e anti-operaia dagli ideologi del capitalismo monopolistico. Poiché le donne bianche statunitensi stavano mettendo al mondo sempre meno bambini, negli ambienti ufficiali iniziò ad aggirarsi lo spettro del “suicidio della razza”. Nel 1905 il presidente THEODORE ROOSEVELT concluse il suo discorso alla cena del LINCOLN DAY proclamando che “la purezza della razza deve essere salvaguardata”. ROOSEVELT ammonì le donne bianche in buona condizione economiche che si ostinavano alla “sterilità volontaria”. Questi commenti iniziarono a diffondersi in un periodo di accelerazione del razzismo e di grande ondate di linciaggi. Secondo una studiosa di storia, attivista del movimento, la strategia propagandista del presidente fu un fallimento perché contribuì a legittimarlo. LINDA GORDON: questa controversia “fece emergere proprio quelle questioni che separavano radicalmente le femministe dai poveri e dalla classe lavoratrice”: “accadde in due modi: Le femministe enfatizzarono il controllo della nascite come soluzione per fare carriera e accedere ai livelli più alti di formazione, obiettivi fuori dalla portata delle donne povere, con o senza contraccezione. Le femministe a favore del controllo delle nascite iniziarono a diffondere l’idea che le persone povere avessero l’obbligo morale di controllare la grandezza delle proprie famiglie perché i nuclei numerosi assorbivano le spese fiscali e caritatevoli delle famiglie agiate, e perché i bambini poveri avevano meno probabilità di ascesa sociale”. Il sostegno alla tesi del suicidio della razza, secondo alcune studiose, rifletteva la condizione di un movimento, quello per il suffragio femminile, che aveva ormai ceduto alle posizioni razziste delle sudiste. Mentre le suffragiste tolleravano le tesi sull’estensione del voto alle donne come arma per salvaguardia della supremazia bianca Il SOUTHER POVERTY LAW CENTER decise di sostenere legalmente le sorelle RELF. La diffusione mediatica del caso fece emergere molte altre vicende simili. Es: NIAL RUTH COX fece causa allo stato del North Carolina: a 18 anni dei funzionari pubblici l’avevano minacciata di interrompere il sussidio alla sua famiglia se si fosse rifiutata di sottoporti alla sterilizzazione chirurgica. Con il patrocinio della EUGENICS COMMISSION OF NORTH CAROLINA: erano state sterilizzate migliaia di ragazze. La giustificazione adottata fu la limitazione della riproduzione delle persone con .deficienza mentale”, la maggior parte delle quali erano nere. La campagna di informazione sugli abusi della sterilizzazione portò alla luce che lo stato del South Carolina era stato teatro di casi ancora più gravi: Es: 18 donne di Aiken denunciarono di essere state sterilizzate primi anni ’70. Unico ginecologo della cittadina, PIERCE aveva sterilizzato sistematicamente le beneficiarie dell’assistenza sanitaria che avessero già 2 o più bambini. Intanto riceveva circa 70mila dollari dalle casse dello stato per le sterilizzazioni che praticava. Difeso dalla SOUTH CAROLINA MEDICAL ASSOCIATION, i cui membri dichiararono che i medici “hanno il diritto morale e legale di chiedere la sterilizzazione dei propri pazienti prima di accettare di prenderli in cura”. Queste rivelazioni portarono allo scoperto la complicità del governo federale. nell'arco di un anno il numero di sterilizzazioni negli USA era uguale alle cifre raggiunte dal regime nazista nell'arco di tutta la sua durata. dopo il genocidio della popolazione nativa degli USA, si penserebbe che gli indiani nativi fossero stati esentati dalla campagna governativa di sterilizzazione. Ma il dottor CONNIE URI, nativo della popolazione Choctaw, testimoniò davanti a una commissione del Senato dichiarando che nel 1976 circa il 24% delle donne indiane in età da gestazione era stato sterilizzato “la nostra discendenza è stata negata”. Le indiane native americane erano un obiettivo speciale della propaganda di governo sulla sterilizzazione. In un opuscolo diffuso rivolto alla popolazione indiana, fu realizzata una vignetta raffigurante una famiglia con dieci bambini e un cavallo. I disegni facevano intendere che più bambini significa più povertà e meno bambini più ricchezza. Come se la proprietà di dieci cavalli, da parte di una famiglia con un bambino solo, potesse derivare dal controllo delle nascite e dalla sterilizzazione. Politiche demografiche del governo degli USA hanno un innegabile aspetto razzista. Le donne nativo americane, chicane, portoricane e nere continuavano a essere sterilizzate. 1970: circa il 20% di tutte le donne nere sposate è stata sterilizzata (stessa cosa chicane). Il numero impressionante di portoricane sterilizzate riflette, a partire dal 1939, una specifica volontà politica del governo. Quell’anno il comitato interdipartimentale su Porto Rico del presidente ROOSEVELT dichiarò che i problemi economici dell’isola erano da ricondurre alla sovrappopolazione intervenire per portare il passo di natalità a livello della mortalità. Intrapresa una campagna sperimentale di sterilizzazione. Il progetto fu replicato nei primi anni ’50 attraverso costruzione di cliniche per il controllo delle nascite determinando un calo del venti per cento della crescita demografica a partire dagli anni Sessanta (35% portoricane sterilizzate). Durante gli anni ’70 iniziarono a emergere gli effetti devastanti dell’esperimento di Porto Rico. La presenza sull’isola di imprese del settore metallurgico e farmaceutico altamente automatizzate aveva esasperato il problema della disoccupazione. La prospettiva di un esercito di disoccupati ancora più numeroso fu uno dei principali incentivi al programma di sterilizzazione di massa. Il numero delle sterilizzazioni aumentato di pari passo ai livelli di disoccupazione. Nonostante nel 1974 il dipartimento della salute abbia emesso delle linee guida volte a prevenire le sterilizzazioni involontarie, la situazione è comunque precipitata. L’indagine del 1975 dall'AMERICAN CIVIL LIBERTIES UNION fece emergere che solo il 30% degli ospedali esaminati stava cercando di conformarsi alle linee guida. L'Emendamento di HYDE del 1977 ha fornito un’ulteriore incentivo alla sterilizzazione forzata. A seguito di questa legge, i fondi federali per le interruzioni di gravidanza sono stati eliminati tranne che per i casi di stupro, rischio di morte o malattia grave. Prima vittima dell’emendamento di HYDE è stata una donna chicana di 27 anni del Texas: in seguito al taglio dei finanziamenti per le interruzioni di gravidanza è morta durante un aborto clandestino in Messico. Molte altre vittime: le donne per le quali la sterilizzazione è rimasta l’unica alternativa all’aborto, ormai fuori dalle loro possibilità economiche. Le sterilizzazioni continuano a essere invece finanziate e gratuite, su richiesta, per le donne povere. Durante l’ultimo decennio la lotta contro la sterilizzazione forzata è stata portata avanti innanzitutto dalle donne portoricane, nere, chicane e native americane. Il movimento delle donne non ha ancora abbracciato la loro causa. Nelle organizzazioni che rappresentavano gli interessi della classe media è emersa una certa riluttanza a sostenere le rivendicazioni della campagna contro la sterilizzazione forzata perché a queste donne è stato spesso negato il diritto di essere sterilizzate quando loro stesse desideravano compiere questo passo. Se le donne di colore sono sollecitate, ad ogni occasione, a divenire sterili, le donne bianche benestanti sono invece sollecitate, da quelle stesse forze, a riprodursi. È per questo che “il periodo di riflessione” e altri dettagli della domanda per il “consenso informato” alla sterilizzazione sono stati denunciati come ulteriori inconvenienti per le donne di quel ceto sociale. In gioco c’è la negazione di un diritto riproduttivo fondamentale per tutte le donne povere razzialmente oppresse. 13 - VERSO LA FINE DEL LAVORO DOMESTICO Le infinite faccende conosciute comunemente come “lavori domestici” occupano mediamente dalle 3 alle 4 mila ore l’anno della vita di una casalinga. Questi dati non tengono minimamente conto della costante e non quantificabile attenzione che le madri devono dare ai figli. Le cure materne sono date talmente per scontate che la dura attività svolta in casa di rado attira gli apprezzamenti della famiglia. Il lavoro domestico dopotutto è praticamente invisibile “nessuno lo nota fino a quando non viene più eseguito”. La nuova presa di coscienza dell’attuale movimento delle donne ha incoraggiato la richiesta di sgravarsi, almeno in parte, questo lavoro ingrato. Le donne probabilmente saluterebbero con entusiasmo l’avvento dell’”uomo di casa”; molti uomini al giorno d'oggi aiutano le proprie partner in casa; ma quanti di questi uomini hanno smesso di concepire il lavoro domestico come un "lavoro da donne"? Quanti di questi li definiscono un aiuto verso le proprie compagne nelle attività domestiche? La desessualizzazione del lavoro domestico non ne altererebbe la natura oppressiva: né le donne né gli uomini dovrebbero perdere il loro tempo prezioso con un lavoro che non è né stimolante, né creativo né produttivo. Uno dei segreti meglio custoditi dalle società a capitalismo avanzato riguarda la possibilità di una trasformazione radicale della natura del lavoro domestico. Oggigiorno gran parte dei compiti di una casalinga potrebbe essere incorporata nell’economia industriale. Il lavoro domestico non ha più bisogno di essere necessariamente considerato un’attività a carattere privato. Se si progettassero macchinari a tecnologia avanzata per le pulizie, delle squadre di lavoratori qualificati e ben pagati potrebbero passare di casa in casa e compiere rapidamente ed efficacemente ciò che oggi una casalinga fa a fatica e con mezzi primitivi. L’economia capitalistica è però strutturalmente ostile all’industrializzazione del lavoro domestico. La socializzazione del lavoro domestico implicherebbe consistenti sussidi statali per garantire l’accesso al servizio anche alle famiglie della classe lavoratrice che più ne avrebbe necessità. Poiché ne deriverebbe un profitto molto ridotto, il lavoro domestico industrializzato sarebbe una maledizione per l’economia capitalista. La rapida espansione della forza lavoro femminile indica che sempre più donne stanno trovando difficoltà nell’adempiere al loro ruolo di “donne di casa” secondo gli standard tradizionali. L’industrializzazione e la socializzazione del lavoro di cura sono diventate ormai delle oggettive necessità sociali. Il lavoro domestico come responsabilità privata e individuale, assegnata alle donne e limitata da una tecnologia primitiva, può avvicinarsi al superamento storico. Eppure nelle rappresentazioni sociali ancora oggi prevalenti la condizioni femminile è associata l’immagine di scopa e paletta. Effettivamente il lavoro delle donne, da un’epoca all’altra, è stato generalmente associato al focolare. Ma il lavoro domestico femminile non è sempre stato come lo conosciamo oggi perché, come ogni fenomeno sociale, il lavoro è un prodotto mutevole della storia e la portata e la qualità del lavoro domestico hanno subito trasformazioni radicali. FREDERIK ENGELS L’ORIGINE DELLA FAMIGLIA, DELLA PROPRIETA’ PRIVATA E DELLO STATO: ▲ La disparità dei sessi come la conosciamo oggi non esisteva prima dell’avvento della proprietà privata. ▲ Nelle prime epoche della storia umana la divisione sessuale del lavoro nel sistema di produzione economica era complementare ma non gerarchica. Entrambi i sessi svolgevano un compito economico che era ugualmente essenziale per la sopravvivenza della collettività. Poiché la comunità a quell’epoca era essenzialmente una famiglia allargata, il ruolo centrale delle donne nelle faccende domestiche assicurava il loro rispetto e il valore attribuito ai membri produttivi. DAVIS: nelle culture pre-capitaliste come quelle della Tanzania, le donne non sono solo responsabili di cucinare, pulire, crescere i figli, spazzare etc., ma anche di costruire case. Nell’economia nomade e pre-capitalista dei masai quindi il lavoro domestico delle donne non è meno produttivo né meno essenziale del contributo economico degli uomini. Godono di un importante status sociale. Nelle società a capitalismo avanzato, invece, l’attività domestica delle donne è un compito di assistenza che raramente produce un’evidenza tangibile e che ne sminuisce lo status sociale. La donna di casa secondo l’ideologia borghese è la serva del proprio marito per tutta la vita. Nella storia relativamente breve degli USA la figura della “casalinga” come prodotto storico fatto e finito risale a poco più di un secolo fa. Il lavoro domestico in epoca coloniale era completamente differente dalle attività routinarie della casalinga statunitense di oggi: “ogni cosa che la famiglia usava o mangiava era prodotta in casa sotto la sua direzione”. Nell’economia agricola del Nordamerica preidustriale una donna che svolgeva i compiti domestici era dunque una filatrice, una tessitrice, una sarta, ma anche una panettiera e una produttrice di Di rado sono state “soltanto delle casalinghe”, ma hanno sempre svolto anche lavoro domestico: hanno portato il doppio compito di lavoro salariato e domestico. Come i loro uomini si sono assunte la responsabilità di dar da mangiare alla famiglia. Qualità come la determinazione e la fiducia in sé, che non sono convenzionali in una donna, sono il riflesso del lavoro e delle lotte per la sopravvivenza fuori casa. Donne bianche: hanno imparato ad appoggiarsi ai mariti per garantirsi la sicurezza economica, le nere hanno impiegato di rado tempo ed energia per diventare esperte di faccende domestiche. Come le sorelle bianche della working class, che sopportavano allo stesso modo il doppio carico di lavoro per sopravvivere e per prendersi cura dei mariti e dei bambini, anche le donne nere hanno atteso a lungo prima di iniziare a liberarsi da questa oppressione. Per le nere oggi, così come per tutte le sorelle della working class, la possibilità di condividere con la società il peso del lavoro domestico e della cura dei bambini è una delle prospettive radicali di liberazione. La cura dei bambini e la preparazione dei pasti dovrebbero essere socializzate, il lavoro domestico dovrebbe essere industrializzato e tutti questi servizi dovrebbero essere facilmente accessibile alla classe lavoratrice. La carenza, se non l’assenza di un dibattito pubblico sulle modalità di questa trasformazione è un sintomo della capacità dell’ideologia borghese di occultare la realtà. L’attuale movimento delle donne ha letto il lavoro domestico come un elemento fondamentale dell’oppressione delle donne. In alcuni paesi capitalisti si sono persino sviluppati movimenti specifici sulla condizione delle casalinghe. A partire dall’assunto che il lavoro domestico è innanzitutto degradante e oppressivo perché è lavoro non pagato, questi movimenti hanno avanzato delle rivendicazioni salariali. Una assegno statale sarebbe la chiave per migliorare lo status delle casalinghe e la posizione delle donne nel suo complesso. Il movimento per il lavoro domestico salariato ha avuto origine in Italia dove la sua prima manifestazione pubblica si è tenuta nel marzo 1974. Nella strategia di questo movimento i salari sono la chiave per l’emancipazione delle casalinghe e la rivendicazione è portata avanti come focus centrale nella lotta per la liberazione delle donne in generale. Inoltre la lotta delle casalinghe per i salari è posta come problema centrale per l’intero movimento operaio. Le origini teoriche del movimento per il salario delle casalinghe si possono recuperare in un saggio di MARIAROSA DELLA COSTA , "POTERE FEMMINILE E SOVVERSIONE SOCIALE" propone una ridefinizione del lavoro domestico basato sulla tesi che il carattere privato dei servizi in casa sia in realtà un’illusione. La casalinga amministra un insieme di necessità all’apparenza private del marito e dei bambini, ma i reali beneficiari della sua attività sono il datore di lavoro del marito e i futuri datori di lavoro dei suoi bambini. “nel ciclo della produzione sociale, il ruolo della donna rimaneva invisibile perché era visibile soltanto il prodotto del suo lavoro: l’operaio” La rivendicazione del salario alle lavoratrici domestiche si basa dunque sull’assunto che queste producono una merce fondamentale che ha valore quanto le merci che produce il marito. Definisce le casalinghe come produttrici della forza lavoro, successivamente venduta come merce dai membri delle loro famiglie sul mercato capitalista. È innegabile che la funzione procreativa, la cura dei bambini e le attività domestiche svolte dalle donne permettano ai membri della loro famiglia di lavorare: nel senso di scambiare la propria forza-lavoro con un salario. Se la rivoluzione industriale ha prodotto una separazione strutturale dell’economia domestica dall’economia pubblica, allora la casalinga non può essere definita come una componente integrale della produzione capitalistica. È piuttosto connessa alla produzione in quanto precondizione. Il datore di lavoro non si preoccupa di come la forza lavoro venga prodotta e rigenerata, egli è interessato solamente alla disponibilità e alla capacità di generare profitto: il processo di produzione capitalistico presuppone l’esistenza di una riserva di lavoratori sfruttabili. Nella società sudafricana, dove il razzismo ha spinto lo sfruttamento economico fino all’estremo, l’economia capitalista mostra la propria netta separazione strutturale dalla vita domestica attraverso mezzi particolarmente violenti. Si ha poi teorizzato che il lavoro dei Neri rende profitti più alti se la vita domestica viene eliminata; quindi gli uomini neri sono intesi come unità lavorative il suo potenziale produttivo ha un valore per la classe capitalista. Le donne sono soltanto complementari alla capacità procreativa delle unità produttive maschili Nere. In conformità con la legge sudafricana le donne nere disoccupate sono bandite dalle aree bianche. La vita domestica nera nei centri industriali del sudafrica, per i sostenitori dell’apartheid, è superflua e improduttiva. Ma è interpretata anche come una minaccia, perché il consolidarsi delle famiglie africane nelle città industrializzate è percepito come un rischio perché la vita domestica potrebbe diventare una base più solida per costruire la resistenza all’apartheid. > questa è senza dubbio la ragione per cui gran parte delle nere che hanno il permesso di residenza nelle aree bianche sono costrette a vivere segregate in ostelli per sole donne. Sia single che sposate: la vita di famiglia è rigorosamente proibita. Il caso sudafricano perciò dimostra fino a che punto l’economia capitalista dipenda dal lavoro domestico. La versione sudafricana del capitalismo, con la sua negazione della vita domestica, mostra le estreme conseguenze della separazione dell’economia privata domestica e del processo di produzione pubblica che caratterizza la società capitalista in generale. Sembra allora futile rivendicare il salario alle lavoratrici domestiche sulla base delle logiche interne del capitalismo. L’idea di uno stipendio per le casalinghe suonerebbe probabilmente abbastanza attraente per molte donne. Ma il fascino di quest’idea non reggerebbe sulla lunga distanza.; questo non libererebbe la donna schiava della casa e umiliata. Gli stipendi statali alle casalinghe rischierebbero di legittimare ulteriormente questa forma di schiavitù domestica. Non “salario per lavoro domestico” ma “reddito garantito annuale per tutti” è lo slogan spesso proposto in risposta alla disumanità del sistema assistenziale. Ciò che vogliono a lungo termine, tuttavia, è un lavoro e dei servizi gratuiti per l’infanzia. Il reddito garantito annuale funziona ma solo come temporaneo sussidio alla disoccupazione in attesa della creazione di nuovi posti di lavoro, con salari adeguati e un sistema pubblico e gratuito di assistenza all’infanzia. La natura problematica del “salario per il lavoro domestico” emerge anche dall’esperienza di un altro settore femminile. Le lavoratrici delle pulizie, le donne di servizio sono le donne che conoscono meglio di chiunque altro cosa significhi ricevere un salario per il lavoro domestico. Negli USA le donne di colore (e in particolare le nere) ricevono da decenni un salario per il lavoro domestico. Il mutamento radicale dell’occupazione femminile durante la Seconda guerra mondiale provocò un felice declino del tasso di lavoratrici domestiche nere. Ancora nel 1960 un terzo delle donne nere del paese era ancora confinato in questa occupazione. Soltanto quando il settore impiegatizio cominciò ad aprirsi alle nere, i numeri di quelle assunte come lavoratrici domestiche iniziarono a calare. Lo stress del lavoro domestico delle donne offre una dimostrazione lampante della forza del sessismo. Hanno dovuto lavorare nelle casa delle bianche e spesso il lavoro nell’abitazione delle bianche ha costretto le domestiche a trascurare la propria casa e persino i propri figli. Nel corso di più di 50anni le lavoratrici domestiche hanno provato a organizzarsi per ridefinire il loro lavoro e rifiutare il ruolo di casalinghe surrogate i compiti delle casalinghe sono infiniti e indefiniti. Le lavoratrici domestiche salariate hanno rivendicato innanzitutto una definizione chiara delle proprie mansioni. Fino a quando le lavoratrici domestiche resteranno nell’ombra delle casalinghe, continueranno a ricevere salari che sono più vicino a un “sussidio” che a uno stipendio da lavoratrice. Benché la tutela del salario minimo fosse stata estesa al lavoro domestico diversi anni prima, nel 1976 il 40% delle lavoratrici domestiche riceveva salari ampiamente al di sotto. Il movimento per il salario al lavoro domestico sostiene che se le donne fossero pagate per fare le casalinghe godrebbero di uno status sociale più elevato. Ma le lunghe lotte delle lavoratrici domestiche retribuite raccontano una storia ben diversa: nel capitalismo la loro è la condizione più miserabile di ogni altro settore professionale. Insieme al razzismo, il sessismo è una delle ragioni principali degli alti tassi di disoccupazione femminile. Molte sono “solo” delle casalinghe perché in realtà sono disoccupate. Il movimento per il salario alle casalinghe disincentiva le donne a cercare un lavoro al di fuori della casa, sostenendo che “la schiavitù alla catena di montaggio non è liberazione dalle schiavitù del lavandino di cucina”. Le portavoce di questa campagna tuttavia rispondono dicendo che non difendono la reclusione a vita in casa delle donne e, poiché sostengono il rifiuto del lavoro nel capitalismo, non si augurano di costringerle per sempre al lavoro domestico. Una volta che le donne avranno acquistato il diritto a essere pagate per il loro lavoro, allora potranno rivendicare dei salari più alti e quindi costringere i capitalisti a industrializzare il lavoro domestico. Esse non sono interessate a migliorare il livello di efficienza e produttività del loro lavoro per il capitale. Sono interessate a ridurre il loro lavoro fino a rifiutarlo del tutto. Ma sino a quando lavoreranno in casa gratuitamente, nessuno si preoccuperà di loro. Ma dove dovrebbero andare le donne una volta abbandonata la casa? sarebbe più realistico invitare le donne a “uscire di casa” per andare a cercare un lavoro al di fuori, o almeno per partecipare a un movimento di massa per rivendicare il diritto ad un lavoro degno? Sicuramente le condizioni di lavoro imposte dal capitalismo sono terribili ma nonostante tutto, sul posto di lavoro le donne possono unirsi alle loro sorelle, così come ai loro fratelli, e sfidare i capitalisti sul terreno della produzione. In quanto lavoratrici, in quanto militanti nel movimento operaio, le donne possono generare una reale forza in grado di demolire i pilastri del sessismo, ovvero il sistema capitalistico. Se la strategia del salario alle casalinghe non riesce a fornire una soluzione a lungo termine al