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Ecclesiastico. Appunti di diritto ecclesiastico, Appunti di Diritto Ecclesiastico

riassunti dettagliati di ecclesiastico

Tipologia: Appunti

2015/2016

Caricato il 25/05/2016

aivalf1
aivalf1 🇮🇹

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Scarica Ecclesiastico. Appunti di diritto ecclesiastico e più Appunti in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! CAPITOLO 1. RELIGIONI, DIRITTO, STATO PARAGRAFO 1: LE RELIGIONI DEL LIBRO DEL MEDIO ORIENTE. MONOTEISMO ESCLUSIVISTA, RADICAMENTO GEOPOLITICO . Nell'evoluzione dell'uomo, l'evento cristiano provoca l'avvio di due processi storici complementari: da un lato universalizza il messaggio del Dio ebraico estendendolo a tutte le genti, dall'altro porta al superamento della religione naturale politeistica, tipica del paganesimo. Si afferma l’aspirazione ad un rapporto personale tra l’uomo e Dio, la fede nell’unico Dio cancella il politeismo e riduce ad unità le pulsioni religiose ed etiche dell’uomo. Il monoteismo cristiano è meno perfetto di quello ebraico. Il Dio ebraico già si era evoluto, diviene colui che promette la vita eterna e apre la strada per la resurrezione; ma resta uno e unico e nulla può eguagliarlo nella sua maestosità. Nel cristianesimo, invece, Dio si umanizza. La promessa mantenuta del Messia inviato agli uomini si traduce nella incarnazione di Dio attraverso suo figlio e nella piena manifestazione dello spirito santo quale terza componente della realtà trinitaria divina. Dunque, l'unità monoteistica resta salva, ma Dio si avvicina talmente tanto all'uomo, attraverso Gesù, che l'uomo perde il timore per la trascendenza e comincia a nutrire fiducia per la paternità divina. Indissociabile dal cristianesimo è il suo messaggio morale, che affonda le sue radici nell’etica ebraica, ma la deformalizza e spiritualizza. Il cammino morale del cristiano è cammino etico per eccellenza, che lo spinge al perfezionamento individuale e a promuovere nel mondo la legge divina. Il cristiano:  deve agire e realizzarsi in conformità alle proprie doti naturali (etica dell'azione),  deve purificarsi nella propria interiorità per non cadere nella ipocrisia (etica dell'intenzione),  deve seguire un itinerario di sacrifici se vuole raggiungere la perfezione (etica della rinuncia). Il monoteismo cristiano poi agisce nella storia unificando popoli e genti di ogni derivazione e latitudine, il suo monoteismo scaccia gli dei e gli idoli pagani e porta disciplina e profondità nella mente e nell'azione degli uomini. Questi ultimi si sentono partecipi e protagonisti di un comune destino, si riconoscono figli di un'opera divina finalizzata alla salvezza ultraterrena per tutti e iniziano a vivere e ad agire nel rispetto di leggi universalmente valide, capaci di unificare l'umanità. Tuttavia, il messaggio cristiano, le istituzioni ecclesiastiche e il rapporto con lo Stato intridono di giuridicismo e divengono fruitori della romanità, di cui assimilano regole, abitudini e mentalità. Se Roma e l'Occidente sono debitori al cristianesimo per la spiritualità di cui vengono animati, il cristianesimo è debitore a Roma della concezione dello Stato e della organizzazione giuridica. Ebraismo: l'ebraismo segue un altro destino. Il suo testo sacro, tramite il cristianesimo, diventa il testo di riferimento di buona parte dell'umanità, ma, con l'aggiunta dei Vangeli, diventa Antico Testamento. Gli ebrei sono visti come credenti, ma dimidiati, che non vogliono accettare il compimento dell'opera di Dio nella storia e rifiutano di inserirsi nel progetto della redenzione. Il Nuovo Testamento, che diventa legge per l'Occidente, li condanna alla emarginazione e ad una diaspora che può provocare la loro estinzione. Il monoteismo ebraico rifugge da una teologia investigativa, esclude l’uomo che indaga troppo su Dio. L’etica 1 ebraica si proietta verso una vita attiva e armonica con la legge divina, ma chiusa nell’orizzonte del popolo ebraico e del suo sviluppo storico. Una radice monista è presente nell’ebraismo, perché alcuni principi non ammettono distinzione tra etica e diritto, e sulla base di tali principi vivono le comunità ebraiche della diaspora. Però le forme di Stato occidentali sono state a lungo estranee alla cultura dell’ebraismo, legate com’erano all’unionismo e confessionismo cristiano e all’emarginazione degli ebrei. Quella nei confronti degli ebrei è un’esclusione ambigua, che si nutre del rapporto spezzato con il Dio dei cristiani, che farà della diaspora un’esperienza secolare di emarginazioni e sofferenza. Il rapporto tra ebraismo e cultura istituzionale si instaura e sviluppa nello Stato moderno, e porterà la diaspora a trasformarsi nell’emancipazione istraelita. Islamismo: strettamente monoteistica anche la religione di Muhammad, che, nel VII sec, dall’esperienza delle popolazioni che si contendono l’egemonia nel deserto arabico, trae l’ispirazione per una nuova visione unitaria dell’uomo e della storia. L'Islam decreta la signoria di Allah sull'uomo e sulla sua vicenda terrena e propone la sottomissione della creatura al suo creatore, come paradigma dell’esistenza individuale e collettiva. Pur traendo dall'ebraismo e dal cristianesimo qualche elemento importante, Maometto proclama la fine della rivelazione divina che si conclude con la dettatura del Corano, che gli viene comunicato dall'angelo Gabriele e che contiene la parola definitiva di Dio nella storia. Come nell'ebraismo, il rigido monoteismo si manifesta nella condanna di ogni idolatria pagana e nella diffidenza verso le teologie investigatrici su Dio. La professione di fede islamica (non vi è altro Dio che è Allah, e Maometto è l'inviato di Allah) recide ogni rapporto con le precedenti religioni, e implica che l'unico peccato irremissibile per l'Islam è quello di dare a Dio degli associati, negando che egli sia l’unico (Allah è unico, assoluto, non ha generato e non è stato generato, nessuno è eguale a lui; così ribadisce il Corano). Negandosi una eccessiva indagine su Dio, nell’Islam la teologia ha un ruolo secondario per cui non si sono verificate divisioni o lotte di religione confrontabili con quelle della storia cristiana. L'esclusivismo islamico si manifesta nei confronti degli idolatri, ai quali non è lasciata altra scelta se non quella di convertirsi o di essere annientati. Tra gli idolatri non sono compresi gli ebrei che i cristiani, in quanto considerati come seguaci delle religioni del libro alle quali Maometto in qualche misura si ricollega, riconoscendo le principali figure dell'Antico e del Nuovo Testamento. Abramo è il primo musulmano, perché proclamò la pura fede monoteistica e Ismaele e il capostipite dei popoli arabi. Altri profeti sono stati inviati da Dio per far conoscere la sua volontà e tra questi un posto particolare spetta Gesù Cristo, di cui si riconosce il concepimento di Maria per intervento divino. Del Messia si dice anche che tornerà sulla terra alla fine dei tempi, ma si nega la sua natura divina e la morte in croce. Agli ebrei e ai cristiani si garantisce che non saranno annientati e che potranno seguire la loro religione imperfetta, ma in posizione subordinata ai musulmani. L’esclusivismo si manifesta con gli apostati, che meritano la condanna perché non è concepibile che si rifiuti la vera fede dopo averla abbracciata. L'opera unificatrice di popoli e nazioni, che l'Islam propone e realizza in poco più di due secoli, si fonda su poche fondamentali regole di culto e di comportamento religioso. I cinque pilastri del Corano imposti ai musulmani sono: 2 vengono poste le basi per il riconoscimento della giurisdizione episcopale, sono estesi al clero cristiano gli stessi diritti dei sacerdoti pagani; la figura del vescovo acquista rilievo istituzionale; alle singole chiese viene riconosciuto il diritto di essere istituite eredi o legatarie, diritto che apre la strada a due eventi storici: - l’organizzazione ecclesiastica in tante sfere locali economico-giuridiche, e – l’accumularsi in ciascuna di esse di un patrimonio sempre maggiore. Il temporalismo della Chiesa ha come prezzo l’assoggettamento di essa al potere politico. Il fenomeno più interessante riguarda il ruolo che l'imperatore assume nell'ambito delle strutture e delle vicende cristiane, pur rimanendo egli ancora pontifex maximus, in quanto sommo sacerdote e capo della religione pagana. Costantino, pure essendo guida e garante del paganesimo, sin dall'inizio si erge a difensore dell'unità della Chiesa cristiana, considerando tale unità come valore eminentemente politico, ed esercita diritti e poteri anche in materia di fede. È infatti Costantino che convoca i concili di Roma e Arles, per dirimere le controversie aperte nella chiesa africana dallo scisma di Donato, e che, dopo la condanna del donatismo, afferma che occorre ribattezzare gli eretici convertiti ed emana leggi contro gli scismatici. La commistione tra potere politico e potere ecclesiastico e la giuridicizzazione del cristianesimo si completano con l'esplodere della crisi ariana, che sconvolge la Chiesa in tutto l'impero. L’insegnamento di Ario, prete alessandrino, sosteneva che Cristo non può essere considerato alla stregua di Dio, avendo avuto un'origine temporale, ma si trova in una posizione subordinata, con un proprio inizio storico rispetto all’eternità del padre. Questa teoria mette in dubbio la divinità di Cristo e il cuore stesso della fede cristiana, l'identità della Chiesa e la sua origine divina. Un qualsiasi declassamento della figura del Cristo porrebbe in discussione la storia della salvezza, che può dirsi compiuta solo nell’ambito del rapporto consustanziale tra Padre e Figlio; e svilirebbe il mistero dell’incarnazione. Farebbe dunque perdere quel rapporto intimo tra individuo e Dio che l’incarnazione ha reso possibile e che è il carattere essenziale del cristianesimo. Poiché l'insegnamento di Ario si diffonde e conquista consensi in ogni parte, si prospetta o l'esigenza di un concilio generale (il primo concilio ecumenico della storia cristiana) che doveva definire una dottrina valida per tutti. È Costantino a convocare nel 325 il concilio di Nicea, nel quale si condannò Ario e si approvò il credo cristiano, destinato a non cambiare nei secoli. La professione di fede cristiana entra a far parte delle leggi dell'impero insieme agli altri canone approvati dal concilio. Costantino diventò arbitro e garante delle scelte del concilio, dell'ortodossia della dottrina e dell'unità della Chiesa. La Chiesa si apparenta all’impero e al suo capo e gli affida un ruolo di primo piano all’interno delle proprie strutture istituzionali. Nonostante non fossero mancate altre interpretazioni dottrinali erronee, e condannate come ereticali, quali il modalismo (che dava alla distinzione tra le tre persone della Trinità un valore meramente verbale) e il marcionismo (che aveva contrapposto al Dio dell’AT quello del NT, rivendicando l’esclusiva discendenza del cristianesimo dal Dio dei Vangeli), Dopo l'editto di Costantino, l'assimilazione della mentalità e della cultura formalistica romana, finisce col plasmare definitivamente la Chiesa. Il credo cristiano si giuridicizza sempre più con i nuovi concili successivi a quello di Nicea, fino a voler definire sempre più analiticamente la realtà ultraterrena, e inaugura la dialettica ortodossia/eterodossia. In definitiva, 5 l'assimilazione della mentalità romana rischiava di trasformare il cristianesimo in una religione normativizzata e normativizzante, più vicina alla norma che alla sostanza del suo messaggio, più attenta alla legge umana che al mistero divino. L'integrazione con l'impero diventa definitiva con l'editto di Tessalonica di Teodosio (380), che imponeva a tutti di professare il cristianesimo. Questo provvedimento fu solo l'inizio della legislazione che in pochi anni elevò il cristianesimo a livello di religione di Stato. In seguito Teodosio privò gli apostati dei diritti civili, emanò una legge che vietava ogni cerimonia pagana a Roma, ordinò la distruzione di tutti i santuari, templi, edifici idolatrici, Graziano, in occidente, abolì il titolo di pontifex maximus; mentre l’editto di Costantinopoli del 392 estende la proscrizione del paganesimo a tutto l’impero. La storia quasi si rovescia. Il cristianesimo si vede attribuire vantaggi e privilegi che prima erano del paganesimo. L'impero torna ad avere una sola religione e di escludere dai diritti civili tutti quelli che non vi aderiscono. Il cristianesimo introduce un'altra scissione nella società civile e politica con la condanna degli eretici, di coloro cioè che pur facendo parte della comunità cristiana, si allontanano dal magistero ufficiale negando una o più verità di fede, soprattutto quelle proclamate dai concili ecumenici. Il pagano o l'infedele viene visto come nemico esterno, mentre l'eretico come nemico interno e come tale andava estirpato, perché provocava scandalo ed era causa di inquinamento della comunità. Egli però può pentirsi ed essere riammesso tra gli altri fedeli fruendo del perdono. Con il tempo, il nemico interno venne considerato anche più pericoloso di quello esterno e per questo vennero adottate le misure più severe come l’emarginazione civile e umana della persona per evitare il contagio della comuità. La pena di morte era comminata solo nei casi più gravi (es. insegnamento o propagazione dell’eresia). Con l'eresia si introduce la categoria del pentimento o conversione del soggetto, che può portare fino all'estinzione del reato e dei suoi effetti. Col pentimento si raggiungono due obiettivi: la reintegrazione del dissidente nella Chiesa e la tranquillità del potere che non vede più posta in discussione l'unità spirituale e politica della comunità. Le eresie erano un fenomeno rilevante perché difficilmente restavano chiuse nella coscienza individuale, esse tendevano a coinvolgere la comunità dei fedeli traducendosi in un movimento organizzato che chiede legittimazione e cerca espansione. Esse si convogliavano spesso intorno a un vescovo o un membro del clero, loro sostenitore, e ponevano le basi per scismi e separazioni epocali. Se la posizione di pagani (o infedeli) ed egli eretici è abbastanza chiara, meno limpida è la posizione degli ebrei: gli ebrei, infatti, non sono pagani, perché riconoscono e adorano lo stesso Dio dei cristiani, ma non sono nemmeno eretici, in quanto non hanno abbracciato la fede cristiana perché non riconoscono la figura e il ruolo messianici di Cristo. Per questi motivi, ad essi non può applicarsi nessuna delle leggi che cercano di difendere il cristianesimo dagli infedeli e dagli eretici. Agli occhi dei cristiani, gli ebrei sono figli di una promessa e di un dono divini che essi non intendono onorare e come tali devono essere isolati e privati di ogni possibilità di espansione. Questa logica dell'isolamento portò alle prime leggi che vietavano a gli ebrei di possedere schiavi cristiani, che punivano con la morte chi circoncideva uno schiavo e che proibivano i matrimoni tra ebrei e cristiani, che li priverà quasi del tutto della capacità giuridica chiudendoli infine in un ghetto giuridico e civile. 6 PARAGRAFO 3. LE CHIESE ORIENTALI DELLA SUBORDINAZIONE DELL'ORTODOSSIA AL POTERE POLITICO. Dal 380 l'Occidente si identifica col cristianesimo e si realizza una speciale commistione tra spirituale e temporale, che contribuisce a costruire l’identità dell’impero cristiano. Esso estende i suoi confini insieme alla diffusione del cristianesimo, in tutta Europa e si fa forte dell'unificazione teologica e dottrinale avutasi dopo gli otto concili ecumenici celebrati per definire il credo cristiano. La crisi ariana, conclusasi nel 325 a Nicea, continua a sconvolgere la cristianità con il dubbio sulla divinità, ed è la prima di una serie di dispute teologiche che i concili devono risolvere. Il concilio di Costantinopoli del 381 ribadisce la condanna dell’arianesimo. Il concilio di Efeso affronta l'eresia di Nestorio, che aveva contestato la formula " Maria madre di Dio ", e afferma l'esistenza in Cristo di due nature, una umana e una divina, unite da vincolo essenzialmente morale. Condannando Nestorio, il concilio professa “la Vergine santa Madre di Dio” e proclama che Dio si è incarnato e fatto uomo, unendo in sé la natura divina e umana. La giuridicizzazione del dogma è ormai irreversibile. La cristianità si affanna in distinzioni sempre più raffinate che fanno nascere nuovi filoni eterodossi. Si propagano le teorie monofiste tendenti ad assorbire la natura umana del Cristo in quella divina e, contro di esse il concilio di Calcedonia del 451 proclama la confessione di un solo e medesimo figlio, Gesù Cristo, divinità e uomo allo stesso tempo. Ancora nel II concilio di Costantinopoli vengono anatemizzate le posizioni neo- nestoriane, e nel III si condannano le tendenze monotelite che affermano l’esistenza nel Cristo di una sola volontà ed energia nonostante la duplice natura umana e divina. Gli ultimi due concili, quello di Nicea e il quarto di Costantinopoli, si celebrano in un clima di crescente divaricazione tra Chiesa d'oriente e Chiesa d'Occidente, e riguardano i temi dell’iconoclastia e problemi giurisdizionali. La Chiesa inizialmente aveva una comune struttura episcopale, che rifletteva l'originaria struttura apostolica (i vescovi sono successori degli apostoli), e si basava sulla collegialità. Questa struttura episcopale si articola in patriarcati, che agivano collegialmente senza vincoli di subordinazione gerarchica. Ciascun patriarcato riconosceva la sfera autonoma di giurisdizione degli altri. In quest'ottica anche il vescovo di Roma è considerato un patriarca (il patriarca d'Occidente), anche se da sempre gli viene riconosciuta una certa preminenza in materia di fede e di dottrina. Il suo parere e il suo consenso sono necessari perché una determinata dottrina possa essere ritenuta valida e legittima universalmente. Nei fatti, la situazione si evolve verso una gerarchizzazione dei patriarcati, al vertice dei quali si colloca il patriarcato di Costantinopoli. Questo avviene per motivi essenzialmente politici, perché il centro dell'impero si è situato in Oriente, mentre Roma e l'Occidente sono considerati periferia dell'impero. Il concilio di Calcedonia 451 esprime la supremazia dell’elemento politico su quello apostolico quando reclama un’eguaglianza qualitativa tra Roma e Costantinopoli. La dignità della Chiesa d’Oriente è così fondata sull’elemento politico anziché ecclesiale; ciò determinò le fortune immediate di Costantinopoli, ma ne preparò in qualche misura la decadenza, perché il patriarcato collega il suo destino a quello dell'impero e del potere politico. L'imperatore non svolge solo un ruolo politico, ma 7 Con il tempo, il rapporto di Roma con Bisanzio si allenta fino a diventare puramente formale. In questo periodo il vescovo di Roma matura un disegno ambizioso, quale quello di dare vita ad un nuovo impero nell'area occidentale e lo realizza quando Leone III incorona nella notte di Natale dell'800 Carlo Magno imperatore di romani. L'intento il Papa Leone non era quello di contrapporre un imperatore d'Occidente a quello d'oriente, ma riportare la sede imperiale da Costantinopoli a Roma. Ciò perché al momento non si poteva parlare di una vacanza della sede d’oriente, sulla quale regnava Irene. Di certo però Carlo Magno non voleva impadronirsi del trono imperiale, ma governare quei territori ormai vastissimi dai Pirenei all’Elba, sui quali ha effettivo dominio e nei quali Costantinopoli è considerata una realtà aliena. Si conclude così, sul piano formale e istituzionale, il secondo processo storico che contribuisce all’emancipazione-separazione della Chiesa di Roma dall’impero e dalla Chiesa d’oriente: la formazione di un’autonoma sfera politico-territoriale nella quale il potere imperiale ha un’origine secondaria rispetto al potere spirituale e nella quale il papa vanta un’indiscussa primazia ecclesiastica. L'incoronazione di Carlo magno consente al pontefice di vivere ed agire all'interno di una dimensione politica che lui stesso ha creato e legittimato. L’imperatore non vive a Roma e non condiziona il papa come fosse un suo funzionario, secondo la consuetudine orientale. Il papa è l’unico patriarca in occidente. Agli occhi di chiunque il potere del papa eguaglia il potere dell'imperatore e i due poteri alimentano un dualismo che non si estinguerà mai nella storia delle istituzioni occidentali. Sono così poste le premesse perché Costantinopoli e Roma divengano sempre più estranee l’una all’altra. Quando nel 1054 Costantinopoli e a Roma si separano con uno scambio di scomuniche reciproche, è cambiata la condizione storica e istituzionale delle chiese d'oriente e Occidente. Roma vive integrata nel Sacro Romano Impero ed è alla vigilia di una rinascenza che la farà uscire dalla feudalizzazione cui l’hanno costretta le strutture sociali e politiche dell’impero. Infatti l’episcopato, struttura portante al servizio del papa, era attratto definitivamente nell’orbita del potere imperiale e finisce col diventare struttura feudale anch’esso. Il principe esercita una vera potestas sul vescovato e il vescovo è in una sostanziale posizione di vassallaggio nei confronti del principe a cui giura fedeltà. È membro assiduo di corte, collaboratore del principe nell’amministrazione dei beni temporali ed ecclesiastici, ed ha l’onere di tenere a disposizione del sovrano una milizia armata, con la quale parteciperà alle spedizioni ordinate dal principe. Il sistema trasforma così i vescovi in funzionari imperiali, lasciando che vengano scelti tra le grandi famiglie e spesso per via successoria. In questo processo di feudalizzazione quindi la Chiesa di Roma vive una particolare esperienza di tipo cesaropapista, nella quale l'elezione del pontefice era affidata all'imperatore. Infine, una volta eletto, il vescovo di Roma non può essere consacrato se non dopo l'approvazione imperiale che deve prestare giuramento di fedeltà all'imperatore: di fatto si consente che l'imperatore controlli l'elezione del pontefice fin quasi a poterne designare il candidato. Così da questo momento, sino agli inizi del nuovo millennio, il papato vive un momento di grande decadenza, ridotto quasi a un feudo imperiale, ed oggetto di contesa tra le fazioni romane, da cui scaturiscono alcune delle più degradate figure di papi. Tuttavia il papato resta un’istituzione primaziale in occidente e riuscirà in 10 seguito a riscattarsi quando si metterà a capo della riforma che dal decimo secolo, partendo dal Monastero di Cluny, animerà la cristianità romana. In virtù di questa egemonia, Roma guarda con superiorità a Costantinopoli, nonostante questa sia ancora a capo di un raffinato sistema, e comincia a sentirsi estranea rispetto ad una Chiesa con cui non ha più contatti veri, erede di quella tradizione patriarcale che il papa disconosce essendosi proclamato capo della Chiesa universale. Costantinopoli, invece, non attraversa nei secoli IX-XI una decadenza così accentuata, anche se ha cessato di essere il centro della cristianità mediterranea, perdendo le sue radici in Africa e medio oriente a causa dell’avanzata musulmana che si riversa sui territori dei patriarchi storici. Costantinopoli finirà con l’essere l’unico patriarcato vitale nell’oriente cristiano e si identificherà sempre più con l’impero bizantino. L'evento che matura nel 1054 e che determina lo scisma tra le due chiese segna la prima grande divisione religiosa dell'Europa cristiana. Non ci sono veri motivi di fede nelle reciproche scomuniche, i motivi dello scisma stanno fondamentalmente nelle gelosie che una Chiesa nutre verso l'altra e nell’evoluzione storico politica che ciascuna di esse ha vissuto negli ultimi secoli. Costantinopoli non ha mai accettato che il vescovo di Roma si stia costruito un impero, né tanto meno che si sia attribuito quella posizione di preminenza. Le due chiese si sono affermate in sfere di giurisdizione diverse, hanno costumi e mentalità differenti e non vogliono cedere nulla di ciò che hanno conquistato nel proprio campo. Lo scisma, insomma, affonda le sue radici in esperienze e abitudini diverse e nell’insopprimibile egoismo degli apparati ecclesiastici. PARAGRAFO 6: L'ESPANSIONE MILITARE MUSULMANA E LA RIDUZIONE DEL CRISTIANESIMO A FENOMENO OCCIDENTALE. Alla separazione del 1054 si giunge quando già da tempo il cristianesimo si arrende di fronte all'Islam. Religione dominante su tutto il bacino mediterraneo ed è in espansione in Asia e verso l'Europa settentrionale, il cristianesimo subisce dal VII secolo in poi una disfatta ad opera della religione islamica. La conquista musulmana dell'Asia minore, dell'Africa e di parte della penisola iberica avviene in un lasso di tempo molto breve e si realizza secondo moduli differenziati che prevedono la conquista militare, un regime di parziale tolleranza e di sottomissione fiscale delle popolazioni, infine un lento ma inarrestabile processo di islamizzazione delle popolazioni locali. L'Islam distingue nettamente il comportamento da tenere verso i pagani, e verso i credenti nelle altre due religioni monoteista e, cioè gli ebrei e i cristiani. Ai primi non è lasciato spazio perché devono sottomettersi e aderire all'Islam o perire. Ai secondi non si può far violenza per costringerli alla nuova fede, perché sono seguaci delle religioni del libro e sono protetti, alla luce di quanto afferma il Corano. Ad essi si offre un trattamento rispettoso delle loro credenze e dei loro costumi, sottomettendoli al tempo stesso ad un regime di imposizione fiscale che le differenze rispetto ai veri credenti. In pratica devono pagare un tributo ai conquistatori, il cd. testatico, mentre restano sottoposti al regime dei millet, mutuato dall’esperienza persiana, che col tempo diverrà il regime degli Statuti personali. In base ad esso, le comunità ebree e cristiane sono esentate dall'assoggettamento alla legge coranica e restano sottoposte al proprio capo religioso, che acquisisce un’autorità civilmente rilevante, almeno per materie quali culto, matrimonio, famiglia, rapporti interpersonali. 11 Nasce da qui la tesi che vuole l’Islam più tollerante del cristianesimo, ma la tesi perde consistenza se la si proietta nel tempo e si considera cioè che il regime instaurato dai conquistatori prevede l’imposizione fiscale per quanti non sono musulmani, e finisce col diventare un regime di pressione sociale e psicologica che non lascia spazio all'esistenza di popolazioni di diversa appartenenza religiosa, o meglio che relega queste ultime a vivere la propria religione in condizioni di disagio (cd. popolo dei dhimmi). Per cui risulta evidente che l’adesione delle popolazioni all’Islam ha quindi ragioni sociali e politiche. L’islamizzazione dell'oriente e dell'Africa mediterranea ha anche altre ragioni. Infatti, l'innesto del cristianesimo è stato spesso superficiale e ciò ha favorito la conquista islamica, anche perché alcuni patriarcati preferivano spesso i nuovi dominatori agli odiati bizantini, confidando nelle promesse di rispetto della libertà religiosa dei capi militari musulmani. Ciò consente a non poche comunità cristiane, che agli occhi di Roma e di Costantinopoli sono da considerarsi eretiche, di sopravvivere meglio di quanto potrebbero fare in terra cristiana, ove sarebbero sottoposte alla legislazione repressiva. Le promesse dei conquistatori sono inizialmente mantenute, ma con il tempo la maggior parte delle popolazioni aderisce alla nuova religione lasciandole istituzioni cristiane come cattedrali nel deserto, accerchiati prima e sommersa e poi dall'islamizzazione definitiva. L'invasione islamica si rivela presto come fenomeno irreversibile, tale da ridurre il cristianesimo a Fenomeno Europeo e occidentale, anche perché dimidiato da una delle sue sedi patriarcali storiche Dunque finisce l’equiparazione tra impero bizantino e mondo cristiano. Gli imperi cristiani e gli imperi arabi edificano due civiltà diverse, entrambe con l’intento di unificare il mondo, entrambe con grandi successi nell’accumulazione de esperienza, ricchezza e raffinatezza politica. Ma tutte e due sono fondate sulla convinzione della propria superiorità e sull’attesa di superarsi e sconfiggersi l’un l’altra. PARAGRAFO 7: LA RIFORMA GREGORIANA DEL XI SECOLO E LA NUOVA STRUTTURAZIONE DELLA CHIESA DI ROMA. Sul finire del primo millennio prese l’avvio nella Chiesa d’occidente il grande movimento di denuncia e di riforma, che trovò concretezza nel pontificato di Niccolò II, e soprattutto Gregorio VII e che fu alla base della rinascenza ecclesiastica che darà al cattolicesimo il volto e le strutture attuali. La riforma gregoriana del XI secolo è fondata sull’orgoglio di Roma come guida spirituale della Chiesa e dell’umanità, determina la fine della feudalizzazione della Chiesa e mira a realizzare tre obiettivi principali: - l’emancipazione del papato dalla soggezione all'impero, - la definitiva affermazione del celibato ecclesiastico come norma canonica universale, - la rivendicazione dell'autonomia del corpo clericale attraverso la lotta delle investiture, a) La rinascenza cristiana è conosciuta come riforma gregoriana perché essenzialmente opera di Gregorio VII (1073-1085), ma essa ebbe vero inizio con papa Niccolò II, che cancella ogni residua traccia di cesaropapismo. Con due 12 appartenenti, ma accumulano sempre più ampie ricchezze collettive, soprattutto di tipo immobiliare, con i più svariati sistemi. Si veda il caso di Cluny che per i propri monaci, dimidiando la regola benedettina dell’ora et labora, sceglie nel X sec. la sola preghiera, lasciando agli altri (laici, servi della gleba) di lavorare per le esigenze dell’abbazia. I monaci cluniacensi si specializzano nella preghiera per le anime dei defunti, stipulando contratti nei quali figura l’obbligo di preghiera dei religiosi a favore dei familiari scomparsi, in cambio di prestazioni in denaro o in altra forma. Cresce così la potenza di Cluny, ma anche esso conoscerà la decadenza quando le sue furbizie e ricchezze divennero eccessive e deve subire le critiche di chi vuole riportare la vita religiosa alle sue origini e al rispetto della regola benedettina per intero, ripristinando l’obbligo del lavoro oltre alla preghiera. Ma Cluny è solo un esempio rappresentativo della realtà religiosa. Ovunque esiste un monastero o istituto religioso e si accumulano proprietà sempre crescenti anche perché si afferma la regola che impone di non dismettere mai i beni entrati a far parte del patrimonio ecclesiastico; regola che poi si estende alle circoscrizioni territoriali costituenti l’ossatura dell’organizzazione della Chiesa in Europa. A ciò si aggiunge lo strumento della decima ecclesiastica, il cui obbligo viene esteso a tutte le rendite senza eccezione, dai prodotti della terra agli animali, agli utili del commercio e dell'industria, e deve essere pagata da chiunque, laico o chierico, ricco, povero, anche dal re. Tra il XIII e XIV secolo si aggiunge la pratica delle decime papali (1 decimo o un ventesimo delle entrate annue), imposte per eventi straordinari (crociate, guerre, esigenze varie) che fanno crescere l’insofferenza e l'ostilità della popolazione e delle autorità civili verso una tassazione che si ritiene vessatoria e ingiusta. Le fonti di finanziamento della Chiesa non sono finite. Un istituto importante è quello del patronato, mediante il quale si ottengono fondi per la costruzione di monumentali edifici di culto, monasteri, complessi religiosi, da parte di personaggi influenti e ricchi. Al patrono viene chiesto di sostenere le spese per la costruzione dell'immobile e in cambio il patrono ottiene diritti e privilegi, quale il diritto di nomina del rettore o del capo della comunità, il diritto di sepoltura in loco, il diritto all'assistenza in caso di bisogno. Infine, il cittadino-fedele vede crescere il ruolo alla presenza della Chiesa a livello repressivo con lo sviluppo smisurato del privilegio del foro e con la istituzione e diffusione dei tribunali e l'inquisizione e delle loro pratiche persecutorie. Il potere coercitivo in senso stretto continua ad essere esercitato dalle autorità civili, ma per il cittadino le sentenze dei tribunali della Chiesa hanno reale efficacia al pari delle sentenze civili. E nei tribunali ecclesiastici il laico convenuto vive una condizione ambigua e svantaggiata, poiché lo sbilanciamento del tribunale a favore della controparte ecclesiastica è inevitabile. Per quanto riguarda il privilegio del foro, che ha il suo precedente più antico nell’episcopalis audientia di epoca costantiniana, ma conosce massima espansione nella Respublica Christiana. Il principio teorico di questo privilegio si ravvisa nel decretum di Graziano secondo cui i chierici non possono essere giudicati dal tribunale civile senza autorizzazione pontificia. Le prime competenze esclusive di tribunali ecclesiastici sono le cause riferite alla fede, ai sacramenti, alle cerimonie ecclesiastiche e al vincolo matrimoniale, le cause ecclesiasticae spiritualibus annexae, come quelle di patronato, erezione di benefici, relative alle decime. Ma poi si aggiungono cause di ogni genere, nelle quali sia presente un profilo morale o un interesse della Chiesa. Si finisce per rendere i tribunali ecclesiastici competenti nelle controversie che coinvolgono i 15 laici che prestano servizio presso e ecclesiastici, i monaci, le istituzioni ecclesiastiche e le pie fondazioni di qualsiasi natura, comprese le scuole e le università. Riguardo la repressione dell’eresia la Chiesa non deve rivendicare competenze perché nella sostanza le ha sempre avute; spetta infatti al vescovo vigilare e difendere il depositum fidei e l’ortodossia tra i fedeli. Ma nella Respublica christiana il sistema repressivo si trasforma profondamente, anche in conseguenza delle trasformazioni dell’eresia. Sono infatti scomparse le gradi eresie cristologiche e trinitarie del primo millennio che coinvolgevano intere nazioni, ma si manifestano in tanti focolai a livello locale o in alcuni ordini religiosi. Lo strumento nuovo col quale la Chiesa vuole condurre la guerra di sterminio degli eretici è l’inquisizione. Essa si sovrappone e si sostituisce alla competenza dei vescovi, in quanto è esercitata per mezzo di delegati pontifici che agiscono in piena autonomia. Essi sono inviati nelle diverse nazioni per cercare e reprimere l'eresia, a livello individuale o comunitario. L'inquisizione si fonda sul principio della ricerca delle eretici, anche al di là delle notizie certe sulla loro esistenza ed attività. Per questo l'inquisitore viaggia e si sistema nelle diverse località di una regione su cui ha giurisdizione e vi apre le sessioni del tribunale con l'editto di grazia e l'editto di fede. Con l'editto di grazia sollecita la confessione spontanea delle eretici, cui segue la remissione della colpa e l'irrogazione delle pene canoniche. L'editto di fede apre la fase delle delazioni perché impone a chiunque di denunciare i casi evidenti o soltanto sospetti di eresia. La procedura si sviluppa contestando la colpa dell'interessato, ma senza la presenza di avvocati o assistenti e prosegue utilizzando lo strumento della tortura fisica. Il processo si conclude con una sentenza contro cui non è ammesso appello. Il diritto canonico prevede una serie di pene che vengono comminate a seconda della gravità della colpa, ammesso che l'eretico non si penta e non si converta. Esse prevedono il carcere, la confisca dei beni, la distruzione della casa, l'esclusione dei figli degli eretici dalle cariche ecclesiastiche fino alla seconda generazione. La pena di morte rimane estranea al diritto penale canonico, ma l'inquisitore ha sempre la possibilità di consegnare il condannato al braccio secolare che autonomamente provvede all'esecuzione capitale in linea di massima attraverso combustione. Si susseguono eretici ed eresie che la Chiesa ricerca, processa e cancella. Così avviene per le tendenze pauperistiche che criticano le strutture gerarchica della Chiesa e l’attaccamento del clero ai beni e alle ricchezze materiali; o anche per il movimento dei Catari che professa una nuova antitesi tra il principio del bene e quello del male e respinge quasi tutto della struttura esistente, perché corrotta dal potere e dalla ricchezza, e della sua dottrina perché frutto di manipolazioni storiche. Ai catari è rivolta una repressione tra le più feroci della storia medievale. PARAGRAFO 9: AFFERMAZIONE E DECLINO DELLA TEOCRAZIA DA GREGORIO VII A BONIFACIO VIII. LA VOCAZIONE TEMPORALISTA DELLA CHIESA La Respublica Christiana si realizza compiutamente soltanto con l'affermazione della tendenza teocratica che, rovesciandolo schema cesaropapista, pone al vertice dei poteri quello pontificio. Tuttavia il Papa non ha mai voluto farsi imperatore, ma ha preteso di assoggettare l'imperatore al proprio controllo, rendendo lui e le altre autorità civili esecutori delle leggi, delle decisioni della Chiesa. Di qui il conflitto, 16 che caratterizza l'epoca teocratica, tra Papato e impero, dal momento che l'impero pur accettando la logica Confessionista del sistema non ha mai accettato la subalternità piena al Papato. Gregorio VII, pontefice che supera l’impostazione gelasiana secondo la quale la duplice e concorrente autorità dei pontefici e degli imperatori è all’apice del governo del mondo, per la prima volta afferma che il Papa può deporre l'imperatore: tuttavia non lo può deporre a suo piacimento per contrasti politici o temporali, ma soltanto quando l'imperatore, in quanto civis-fidelis sottoposto alla sua giurisdizione spirituale, incorre in qualche colpa grave che legittima l'adozione di sanzioni spirituali. Per cui la deposizione dal trono imperiale è una mera è inevitabile conseguenza di un provvedimento squisitamente spirituale, e stavolta anche su base scritturale, del passo evangelico che concede a Pietro di legare e sciogliere sulla terra, sicuro di avere l’avallo celeste. L’applicazione che ne fa Gregorio VII è immersa nelle vicende politiche; egli scomunica per la prima volta nel 1076 Enrico IV e lo costringe alla celebre sottomissione di Canossa nella quale l’imperatore chiede perdono e assoluzione al papa. Nel 1081 Enrico IV viene nuovamente scomunicato per aver mosso guerra a Rodolfo di Svezia eletto re al suo posto, ma questa volta l’imperatore reagisce facendo eleggere un antipapa, mentre Gregorio VII dovrà morire esiliato. L’elezione di un antipapa diviene uno strumento privilegiato degli imperatori per reagire alle scomuniche dei pontefici, ma nei fatti il papa prevale sempre e l’impero deve cedere o per compromesso o per deposizione del sovrano temporale. Nel corso dei secoli ci sono state numerose deposizioni di imperatori che testimoniano le sempre maggiori pretese pontificie. Tra i casi più eclatanti c'è quello di Federico II, che collezionò più scomuniche di ogni altro imperatore. Spettò proprio a Federico II, dopo l'ennesima scomunica, lanciare il primo avvertimento ai sovrani d'Europa che in ciascun paese stavano costituendo gli stati nazionali e li mise in guardia sul fatto che il potere reclamato dei pontefici era ormai senza confini. Senonché nessuno poteva prevedere che Il sogno teocratico si sarebbe infranto a causa di uno scaltro e orgoglioso sovrano nazionale, Filippo il bello, il quale, sul finire del 300, riuscì ad umiliare il Papa Bonifacio VIII e a cambiare il corso della Chiesa e d'Europa. Il conflitto si annuncia quando il Papa nella bolla Ineffabilis amoris del 1296 dichiarò di voler fare da intermediario tra Inghilterra, Francia e Germania dal momento che le controversie tra questi paesi coinvolgevano questioni di competenza della Santa Sede. Il re di Francia, invece, come risposta, informò il legato pontificio che il governo del regno compete a lui soltanto e che egli non riconosceva alcuna autorità superiore e non intendeva sottoporre ad alcuno le questioni del governo temporale. Filippo il bello convocò gli stati generali di Francia ai quali sottopose la questione se fosse lecito al Papa esercitare la sovranità temporale sul re e in terra francese. Laici e Clero francesi risposero negativamente. L’ultimo manifesto della teocrazia, la Bolla Unam sanctam del 1302 di Bonifacio VIII (che proclama la subordinazione del potere temporale al potere spirituale e afferma per la prima volta che la sottomissione al pontefice romano è necessaria per la salvezza dell’anima), provocò la reazione di Filippo il Bello che finì con l’umiliare ad Anagni Bonifacio VIII di fronte all'Europa intera, provocandone di lì a poco la morte. Da questo momento in poi in Europa si crea una nuova situazione: i popoli vogliono governarsi autonomamente e non accettano autorità superiori. Inizia un cammino quasi inverso a quello che aveva portato il papato a primeggiare sull'impero e la 17 contenimento dell’Islam si è realizzato, ma resta a lungo la dominazione turca sulle popolazioni dell’ex impero bizantino. In occasione dell’emancipazione dei popoli sottomessi all’impero ottomano, si manifesta l’impotenza cui è ridotto il patriarca di Costantinopoli, il quale, senza ormai un popolo cristiano di riferimento diretto, pur restando capo spirituale dell’ortodossia orientale. La condizione di cattività politica dei patriarchi, dunque, impedisce loro di svolgere qualsiasi ruolo autonomo e di agire come capi spirituali, anzi, li riduce a compiere atti di subalternità umilianti, che faranno scemare sempre più la loro rappresentatività e prestigio. PARAGRAFO 11: LA RIFORMA PROTESTANTE E LA NUOVA DIVISIONE RELIGIOSA DELL'EUROPA Dopo la caduta di Costantinopoli e la riconquista della penisola iberica, la Chiesa di Roma subisce la lacerazione più dolorosa della storia che provoca una nuova divisione religiosa e politica dell'Europa. La scintilla viene dalla Germania ad opera di un monaco agostiniano Martin Lutero, preso non dalla politica, ma dall’assillo di conquistare la salvezza ultraterrena. Lutero affronta una crisi spirituale. Egli pone un abisso tra la creatura e il suo creatore, la materia e lo spirito; secondo lui l'uomo è colpevole quasi per definizione, non ha energie autonome ne possibilità di riscattarsi per avvicinarsi a Dio, quindi per meritare la salvezza. Il monaco scopre quindi che la sua vita di sacrifici è stata inutile. La crisi spirituale trova soluzione quando Lutero, confermandosi nella convinzione che a nulla valgono le opere per la salvezza dell’uomo, riscopre però che la misericordia di Dio è talmente grande che, per la fede e attraverso la fede egli giustifica l’uomo e le sue colpe. La salvezza diventa parte di un disegno divino che l'uomo non conosce. La giustificazione per la fede diventa il punto di rottura con l'ortodossia e la dottrina romana. Da questo punto Lutero prende le mosse per una rivolta anti-ecclesiastica e antiromana. Agli occhi di Lutero, Roma si è appropriata della Chiesa è la piegata alle sue esigenze e ai suoi interessi, l’ha trasformata in una gigantesca istituzione e l'ha riempita di regole costruite da mano umana, fino a deformarla e farne qualcosa di completamente diverso da quella voluta dal suo fondatore. Lutero critica anche le indulgenze, perché con esse Roma vende un po' dovunque il riscatto per denaro di annate di purgatorio, con uno sfruttamento profondamente lucrativo. Lutero critica l’ecclesiologia e la struttura temporale della Chiesa romana, è percorso da un’insofferenza verso tutto ciò che è romano e papista. Quando alla porta della chiesa del castello di Wittenberg vengono esposte le 95 tesi di Lutero, quest'ultimo trova immediati e inaspettati sostegni da parte di personalità politiche che gli garantiscono per anni l'immunità e la sicurezza contro le tante richieste di consegna nelle mani dell'autorità ecclesiastica che giungono da Roma. Il consenso che Lutero ottiene dall’opinione pubblica trasforma il suo dissenso teologico in una frattura generalizzata e senza ritorno, che in pochi anni porta alla nascita di una nuova Chiesa e alla frantumazione dell’unità religiosa d’Europa. Nelle tesi luterane si riforma quasi tutto: Si sostiene che i cristiani devono in primo luogo tornare alla fonte della propria fede, ossia alla Scrittura, quindi alla parola di Dio, e devono rifiutare tutto ciò che la storia successiva, il potere ecclesiastico, la corruzione politica hanno aggiunto 20 nei secoli. I fedeli devono leggere direttamente le scritture e sentirsi tutti uguali e partecipi del sacerdozio universale che esclude ogni categoria clericale. Cade in questo modo la prima muraglia che i romanisti hanno eretto attorno alla Chiesa, cioè la distinzione tra ecclesiastici e laici, che non ha alcuna ragione di esistere. La seconda muraglia che cade è quella con cui Roma si è proclamata padrona della Scrittura affermando che il papa non può mai sbagliare, pio o malvagio che sia. La terza muraglia crolla in quanto è necessario che il papa e la Chiesa romana vengano corretti attraverso un concilio, che punisca il papa, usurpatore di poteri non suoi. Inoltre negli scritti luterani si nega ogni validità ai sacramenti che non siano il battesimo, la penitenza e dell'eucaristia. Si distruggono altri pilastri storici della Chiesa cancellando anche i voti religiosi di povertà, castità e obbedienza. I voti religiosi sono contrari al Vangelo in quanto devono essere tutti temporanei e revocabili e soprattutto perché è grave colpa credere che ci si salvi per i propri sacrifici. Lutero rifiuta la regola monastica e quella del celibato, prima abbandonando lui stesso la vita religiosa e poi sposando Caterina Bora. Del papa Lutero diche che il suo potere è illegittimo in radice, e che esso non rappresenta più nessuno, anzi è un corruttore della vera fede. Ritiene poi che i sovrani temporali possono emanciparsi da ogni soggezione ecclesiastica, politica e fiscale, perché la Chiesa di Roma non ha più il potere di assoggettare alcuno. Ai preti e monaci offre la prospettiva di una vita normale senza timore per la propria salvezza. Alla nobiltà e alla borghesia offre una prospettiva allettante, perché esse potranno spartirsi i beni e le proprietà ecclesiastici che, a seguito dell’abolizione di monasteri e altri uffici ecclesiastici, torneranno a circolare. Lutero elabora poi la teoria dei due regni: il regno spirituale e il regno secolare. Entrambi sono voluti da Dio, ma agiscono in modo diverso. Il primo è governato da Dio attraverso la sua parola e il Vangelo, che si rivolgono essenzialmente ai cristiani e non possono incidere sulle regole del regno secolare. Quest’ultimo risponde a regole diverse, derivanti dalla colpa e dal peccato che hanno corrotto nell'intimo la natura umana, e deve quindi usare la spada e le coercizione contro le tendenze dissolutrici insite nella società. Anche il regno secolare riflette un disegno divino, ma in modo indiretto, ed il cristiano deve sottostare al potere secolare. I due regni restano uniti ma per Lutero questa unione si risolve a vantaggio del potere temporale. La Chiesa si spoglia di ogni competenza secolare, ivi compresa quella matrimoniale perché faccenda temporale. Non ci sono più tribunali ecclesiastici, perché provvedono sempre i tribunali dello Stato e non ci sono più intromissioni ecclesiastiche nella vita privata, finanziaria, pubblica dei singoli e della collettività. Al tempo stesso la Chiesa chiede allo Stato di proteggerla e dà posto ai governanti nei propri organismi, definendoli vescovi di emergenza, perché spetta loro la tutela e difesa del Vangelo. Nasce così la Chiesa territoriale di Stato, posta sotto la guida di un concistoro che diventa una assemblea composta da consiglieri del principe, e esperti di diritto e teologia, nominata e diretta dal sovrano territoriale. Dunque si rovescia lo schema dei paesi cattolici: mentre in questi la Chiesa si unisce al potere politico ma poi rivendica vaste competenze temporali, con Lutero lo Stato è lasciato libero di fare quel che vuole senza che altra autorità possa criticarlo o contestarlo. Viene meno, in questa nuova Chiesa protestante, ogni tendenza universalista; la religione restringe la propria sfera d’azione entro lo Stato. Nasce il terzo polo della cristianità d’Europa, dopo quello ortodosso (Chiesa d’oriente) e quello cattolico (Chiesa romana). Lutero, come gli ortodossi, vuole 21 tornare alla Chiesa delle origini, è contrario ad antropomorfizzare la divinità e la realtà ultraterrena e giunge quasi ad annullare ogni mediazione tra uomo e Dio. Scompaiono le figure dei santi e si sfoca quella di Maria, si scarnifica il rapporto creatura-creatore quindi anche il mistero dell’incarnazione col tempo si attenua. I cristiani protestanti non si abbandonano ad eccessi di misticismo e pratiche eroiche e di castità, e creano un rapporto più diretto, ma più astratto e meno confidente, con la trascendenza. Nel rapporto con la nazione e il potere politico i protestanti si discostano dagli ortodossi. Le Chiese d’oriente vivono le vittorie e le sconfitte dei propri popoli e dei propri sovrani, e gioiscono o soffrono con loro. Nell’occidente cattolico la Chiesa romana domina sullo Stato. Nell’Europa protestante lo Stato ci guadagna, con una Chiesa che non disturba e pretende poco; è qui che nasce lo Stato moderno. Mentre i cattolici sono compatti quanto a dottrina e gerarchia, la riforma protestante è invece all’origine della nascita di mille chiese diversificate, che si diffondono in Europa e in occidente, offrendo il primo esempio di uno stesso Dio con mille sfaccettature diverse. Lutero cambia la storia d'Europa e provoca una nuova divisione religiosa e politica del continente. Di fronte al primo eretico che si salva dall’inquisizione ne nascono di nuovi che tornano a reinterpretare la parola di Dio, così nascono altri movimenti e chiese nuove, ciascuno dei quali pende dalle scritture ciò che più gli sembra importante o che più gli aggrada e vi costruisce attorno una istituzione, una dottrina, una liturgia. Il processo di frammentazione dell’unità cristiana è irreversibile e con esso il pluralismo religioso. Nasce il calvinismo (da Calvino, si tratta di un protestantesimo che quasi eguaglia quello di Lutero, ma con maggiore durezza; Calvino esaspera la teoria della predestinazione, dicendo che se si facesse dipendere la salvezza dell’uomo dai suoi meriti si finirebbe col limitare la volontà divina facendola condizionare da cause esteriori, questa cupa considerazione è superata dalla ricerca dei segni di salvezza, rintracciabili nell’attività umana che deve essere alacre e produttiva; di qui i due caratteri del calvinismo: impegno nel lavoro e rigore morale senza attendersi nulla in cambio), gli anabattisti (caratterizzati da un pessimismo radicale verso il mondo e da una Chiesa fondata sull’adesione volontaria di chi riesce a vivere la fede con coerenza), i puritani (che privilegiano una severa morale personale come via di perfezionamento etico e spirituale), i metodisti, i pentecostali, gli avventisti. Ciascuno di questi movimenti rifiuta autorità centrali troppo potenti, vuole autonomia e si dà una struttura istituzionale, che pur esercita autorità e poteri ma più lievi perché i fedeli si sentono partecipi della vita comunitaria. Appare quindi chiara la valenza politica della riforma di Lutero, il quale diviene il rappresentante degli interessi dei sovrani e degli Stati nazionali, potendosi annoverare tra i fondatori dell’Europa moderna. Furono in molti ad appoggiare Lutero: in Europa centrale principi tedeschi, riformatori e politici svizzeri e olandesi; al nord si afferma lo schema della Chiesa territoriale di Stato e in Danimarca il luteranesimo è religione ufficiale, e poi anche in Norvegia; successivamente anche la Svezia. Peculiare la vicenda che coinvolge l'Inghilterra, che trae spunto dal protestantesimo per conseguire i propri obiettivi e si confeziona una Chiesa nazionale. Enrico VIII si distacca da Roma quando questa non vuole invalidare il suo matrimonio con Caterina d'Aragona e nel 1534 fa approvare dal Parlamento l'atto di supremazia con il quale si vede riconosciuto il titolo di unico supremo capo della Chiesa d'Inghilterra. Implica la piena potestà del sovrano in materia 22 ad una comunità confessionale senza che allo Stato interessi alcunché delle loro scelte: Lo Stato si strutturerà definitivamente come ente autocefalo, recidendo ogni legame con la teologia e le chiese. La normativa dei rapporti Stato-Chiesa riguarderà soltanto la branca del diritto civile che regolerà la libertà religiosa e i diritti delle confessioni religiose, ma sarà muta per ciò che riguarda i contenuti delle stesse. Sotto il profilo storico il separatismo si identifica con la modernità, esprime il bisogno della collettività di liberarsi da ogni vincolo ecclesiastico autoritativo. Lo Stato ha in sé la propria legittimazione e in quanto Stato sovrano è l’unica fonte del diritto nel proprio ambito territoriale. Il diritto canonico e ogni diritto confessionale cessano di avere rilevanza giuridica e con essi vengono meno gli istituti essenziali del vecchio sistema unionista. Il foro ecclesiastico è abolito e tutti i cittadini sono sottoposti alla stessa giurisdizione. Il matrimonio non è più di competenza della Chiesa cattolica e si identifica con il matrimonio civile, cui possono accedere tutti i cittadini di ogni fede o orientamento. Ogni forma diretta o indiretta di controllo dell'autorità religiosa sulla vita personale di cittadini viene meno e le scelte personali di tipo confessionale assumono carattere puramente privato. Infine lo Stato si struttura in modo tale da assolvere con propri uffici civili funzioni prima espletate dalla chiese (nascite, sepolture, matrimoni, etc). In altri termini il civis-fidelis è sostituito dal cittadino, soggetto al solo ordinamento statuale. Il primo e fondamentale diritto di questo cittadino è il diritto di libertà religiosa e scompaiono dal mondo giuridico i concetti di ortodossia e di eresia; acquistano valore invece le varie facoltà connesse al diritto di libertà religiosa: facoltà di credere e di non credere, di aderire ad una Chiesa e di allontanarsene senza subire sanzioni etc. Tutti traggono vantaggio dalla nuova libertà: Il cittadino vede cessare ogni sudditanza verso gli apparati religiosi. Il religioso che se vorrà abbandonare la vita monaca potrà farlo senza subire condanne o emarginazioni. L’ecclesiastico che non riuscirà a sopportare la regola del celibato potrà lasciare l’abito e sposarsi. La rivoluzione separatista è il punto di approdo di un variegato movimento di pensiero che tra il 1600 e il 1700 cambia il corso della filosofia e della scienza politica, nel quale si intrecciano percorsi diversi qualche volta contrapposti. Lo stesso separatismo quando viene concretizzato nelle singole esperienze nazionali riceve due attuazioni diverse nel continente nordamericano e in Francia. In tale movimento di idee che accompagna la svolta separatista incontriamo orientamenti diversi. - La tradizione anglosassone e nordeuropea si dimostra favorevole alla religione e alle Chiese, di cui però vuole cancellare l’intolleranza e arretratezza. Incontriamo Grozio, Hobbes e Locke, dalla cui lezione deriva la teoria giusnaturalistica che vede lo Stato un soggetto dai fini non illimitati, proteso al bene comune, fondato sulla divisione e sull’equilibrio dei poteri; questo ordine di idee non è contro la religione, ma la ragione è sempre lì a sottoporre le regole religiose al vaglio dell’intelletto. Kant, maggiore teorico dell’illuminismo continentale, interpreta la fede come un bisogno essenziale dell’uomo, anche se sostenibile esclusivamente dalla ragion pratica. Egli vede l’illuminismo come l’uscita degli uomini da una minorità e incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la giuda di un altro, dovuta a loro stessi. 25 - Nell’area cattolica invece, prevale l’ostilità alla religione e la condanna di tutta la storia cristiana, e l’illuminismo diviene lo strumento dell’emancipazione dell’uomo dalla barbarie. Voltaire esalta la filosofia che deve illuminare gli uomini. Non c’è traccia di sensibilità storica: il passato è tutto da respingere. Il presente e il futuro invece vanno affrontati sulla base della ragione. Si tratta dunque di due modi radicalmente diversi di atteggiarsi verso la religione, e si svilupperanno: il primo nell’aera nordamericana priva dell’eredità del passato, il secondo nei Paesi cattolici, in primis la Francia dove il regime confessionista spingeva alla ribellione. Si realizzano due svolte separatiste profondamente dissimili. Gli Stati Uniti d'America si sono formati con una colonizzazione spontanea e il raccogliersi di gruppi confessionali diversi, i quali, riunitisi in uno Stato unitario e federale e dichiarata l’indipendenza nel 1776, si trovano quindi a vivere un pluralismo consolidato. Il nuovo Stato non ha una confessione dominante o un papa da combattere né ricchezze ecclesiastiche da incamerare, anzi le Chiese possono arricchirsi man mano che prosegue la conquista dei territori. Per questo è uno Stato amico di tutte le religioni pur senza abbracciarne alcuna e può abbracciare la Dichiarazione di indipendenza del 1776 (per cui tutti gli uomini sono stati creati uguali e che il Creatore li ha dotati di diritti inalienabili quali la vita, la libertà, il perseguimento della felicità), traduzione politica più nobile dei principi filosofici del 17°-18°sec., con una sottolineatura della fede comune in Dio, posta a fondamento del nuovo ordine giuridico, insieme all'equilibrio dei poteri (compreso quello della Chiesa), e utilizza il pluralismo confessionale come strumento di forza e sostegno, anziché di divisione. L'opposto accade negli stati cattolici europei, in particolare in Francia dove scoppia la scintilla rivoluzionaria del 1789. Qui non c’è traccia del pluralismo religioso si erge una sola confessione, quella cattolica, che ha accumulato ricchezza e potere più di qualunque altro soggetto e occupa la vita collettiva, svolgendo funzioni che dovrebbero essere dello Stato. Se vuole trasformarsi e vivere autonomamente lo Stato deve perciò spezzare una rete di poteri che altrimenti lo soffocherebbero. Deve cancellare le istituzioni ecclesiastiche: non c’è spazio per l’equilibrio dei poteri, mentre c’è spazio per un potere illimitato della legge e del valore pratico della violenza. Nasce così uno Stato accentrato e burocratico e la Chiesa cattolica, invece di cogliere l'opportunità storica per una riforma della sua presenza sociale e per la spiritualizzazione del suo ruolo, interpreta gli eventi che si collegano la svolta separatista come il frutto di una rivolta contro l'ordine antico, contro la volontà divina e contro i diritti inalienabili dell'unica vera religione, e dichiara una guerra totale contro la modernità ponendosi come il nemico irriducibile dello Stato liberale. PARAGRAFO 14: DIRITTO, STATO, RELIGIONE NEGLI STATI UNITI D'AMERICA, IN FRANCIA E NELL'EUROPA DEL XIX SECOLO. Negli Stati Uniti d'America tra il 1788 e 1791, con la Costituzione americana, si afferma la separazione istituzionale che rifiuta ogni forma di unionismo e confessionismo dello Stato e garantisce la libertà religiosa per ogni cittadino o gruppo sociale. Così gli Stati Uniti diventano ambiente favorevole per la 26 proliferazione di movimenti religiosi più disparati. Tuttavia, seppure il cittadino viene e emancipato dalla soggezione ai due poteri, civile ed ecclesiastico, e può professare qualsiasi opinione o fede religiosa, nell'ordinamento statunitense si afferma un particolare favor religionis che si manifesta a livello istituzionale e sociale e incide nella vita comunitaria. Ne conseguono ostilità e diffidenza verso ogni posizione non religiosa o ateistica, in quanto la religiosità e il rigorismo morale sono talmente radicati, sin dalla formazione delle colonie, da rendere inconcepibile indifferenza religiosa. L'ostilità discende dall'impronta cristiana della legislazione tanto che in America si può parlare più di libertà nella religione che di libertà dalla religione (come dice Schaff). Dunque, non scompare negli Stati Uniti la religione dalla sfera pubblica, ma viene semplicemente accettata ed ostentata nella sua dimensione pluralistica. Non si spezza il legame dell’ordinamento con la religione, ma si sta attenti affinché quest’ultima mantenga connotati generali e generici accettabili da tutti. Dunque, lo Stato nordamericano nasce come Stato federale, garante delle autonomie delle singole aggregazioni statuali e non conosce le strutture accentuate e burocratiche proprie degli ordinamenti europei; anzi lascia largo spazio ai soggetti privati, e tra questi alle chiese e confessioni religiose, in ambiti sociali e si limita a svolgere una funzione amministrativa e di coordinamento centrale. In altri termini, non teme le Chiese, perché non sono ricche e potenti come in Europa, anzi chiede loro di partecipare al processo di costruzione del paese. L'appartenenza di cittadini ai gruppi Confessionali è solo in parte questione privata mentre si riflette nei principali istituti della vita civile: infatti il matrimonio resta a lungo riconosciuto solo in quanto contratto con un qualunque vincolo religioso e l'istruzione è permeata di confessionismo, sempre in senso pluralistico. In sostanza il separatismo americano si qualifica per l'essere amico della religione e delle chiese e ostile verso ogni forma di miscredenza e di ateismo. La religiosità diventa parte integrante della formazione etica e civica del cittadino, che è libero di collocarsi come meglio crede nel panorama di culti, senza che lo Stato gliene imponga alcuno: fede e libertà religiosa hanno trovato la prima forma di conciliazione storica. Se il separatismo del Nord America è sinonimo di concordia tra le chiese e tra chiese e Stato, in Europa, soprattutto in Francia, separatismo è sinonimo di modernità e di conflitto insieme, di conquista di libertà e di anticlericalismo, di evoluzione e di fratture sociali. Ciò è naturale perché, se negli Stati Uniti si deve costruire una nuova società senza pagare debiti del passato, in Europa il separatismo deve invece prima distruggere ciò che lega lo Stato al vecchio sistema e alla sola fede cattolica, non ci si può inventare un pluralismo che non c’è; Il sogno separatista americano, fatto di moderazione e di accordo sociale, non può realizzarsi. In Francia il separatismo è frutto di una rivoluzione che iscrive nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 i principi base di una società laica e democratica, come il principio di uguaglianza, il diritto di libertà religiosa, il diritto di opinione e di parola. Vengono varati provvedimenti che abbattono l’ancien règime, come l'abolizione dei diritti feudali e dei privilegi clericali. Viene nazionalizzato il patrimonio ecclesiastico, sono aboliti gli ordini religiosi con proibizione per i singoli di emettere voti, e si approva nel 1970 la Constitution civil du clergé, con cui lo Stato decide come deve essere organizzata la Chiesa e decreta che i vescovi e i parroci devono essere eletti dalla popolazione con la 27 La svolta separatista del 1917 realizza una vera e profonda modernizzazione, introducendo molte riforme che cancellano anche qui il vecchio ordine feudale: si ritrovano la fine del cesaropapismo, la proclamazione del diritto di libertà religiosa e di coscienza, la laicizzazione degli apparati pubblici e delle scuole, la riduzione della religione e delle chiese a fenomeni privati, la totale irrilevanza civile dei rapporti interconfessionali. Tuttavia tale assetto ideologico del nuovo sistema normativo finisce con lo stravolgere il concetto stesso di separatismo. L'abolizione della proprietà e dell'iniziativa privata trasforma la condizione delle Chiese riducendole ad un livello di totale emarginazione. Di fatto, quasi tutto viene consegnato nelle mani dello Stato, nulla resta nella disponibilità dei privati, e quindi delle Chiese. Viene abolito, oltre all'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, il concetto stesso di scuola privata. Vengono proibite riunioni religiose o di altro genere anche finalizzate a giochi per bambini o lavori di cucito per donne, viene abolita la proprietà e ecclesiastica esistente e si inibisce alla stessa possibilità di accumulo di beni perché nessuna comunità ecclesiastica ha diritto di proprietà né di personalità giuridica. Un ordinamento simile ha perso ormai ogni sfumatura di laicità perché non concede autonomia alcuna alle confessioni religiose, ma le rende succubi dello Stato dovendo dipendere da questo per ogni bisogno. Il separatismo viene poi svuotato di ogni contenuto di laicità quando l'ordinamento sovietico cancella la neutralità della legge in materia religiosa e plasma un vero Stato ideologico ad impronta ateistica. La Costituzione dell’URSS riconosce la libertà religiosa e la libertà di propaganda antireligiosa, favorendo così l’espansione dell’ideologia antireligiosa. L’assetto complessivo si basa sul sistema marxista-leninista, che tende ad emarginare la religione: nelle scuole si procede alla divulgazione dell'ateismo scientifico, nel partito comunista è ammesso soltanto chi è ateo e, per disposizione costituzionale, l'accesso alle principali cariche direttive dello Stato è riservato soltanto i membri del partito. Per cui, in Unione Sovietica la fede religiosa espone i cittadini al rischio di emarginazione e persecuzioni. L’esperienza sovietica costituisce il primo tentativo di scristianizzazione di un Paese europeo. L’egemonia del sistema comunista si estende all’Europa dell’est, dopo la 2°guerra mondiale, tra 1945 e 1948, si introducono regimi marxisti nei Paesi che per gli accordi di Yalta restano nella sfera sovietica (Polonia, Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania dell’est, etc). Tuttavia i regimi che vi si insediano non provocano i medesimi effetti dello stalinismo, ma devono adattarsi alle caratteristiche delle rispettive tradizioni. Perciò, col crollo del comunismo nel 1989, l’esperienza del separatismo ateista vissuta dagli ordinamenti può considerarsi una parentesi, superata la quale si riallacciano alle tradizioni religiose. Nel totalitarismo di destra, invece, che prende vita nell’occidente europeo dopo il primo conflitto mondiale che lascia desiderio di egemonia per i vincitori e delusione per i vinti; la paura del comunismo, da poco instauratosi nell’Unione Sovietica, fa da collante e spinge le borghesie nazionali ad allearsi con quei movimenti di tipo fascistico che promettono ordine e restaurazione dell'autorità, e coltivano disegni di potenza economica e militare. Tra i vari fascismi si afferma la supremazia del movimento nazista di Hitler che in Germania crea lo Stato razzista totalitario, fondato sull’ideologia antisemita e sull’obiettivo di eliminazione fisica dei dissenzienti. 30 La religione, in particolare quella cattolica, svolge un ruolo non secondario nella crisi del regime liberale, soprattutto perché sono tutti cattolici quei paesi nei quali il fascismo si afferma (Italia, Spagna, Portogallo, Austria). Il ruolo del cattolicesimo è spesso decisivo, perché i regimi totalitari vogliono fare della Chiesa uno strumento di coesione sociale e di consenso politico e perché la Chiesa crede di poter utilizzare, da parte sua, i regimi illiberali per restaurare qualcosa del vecchio ordine e per introdurre una svolta neo-confessionista nei rapporti tra Stato e chiese. Il totalitarismo di destra vede una convergenza di interessi tra Stato e Chiesa che si esprime nella stipulazione di diversi Concordati. Il Concordato con la Germania di Hitler ebbe chiaro intento strumentale: da parte del nazismo che voleva garantirsi l'appoggio di una imponente componente sociale; da parte della Chiesa che intendeva ottenere prestigio e prerogative giuridiche. Gli altri concordati in Italia, Austria, Spagna e Portogallo presentano una grande uniformità di contenuti e riflettono il tentativo di restaurare il prestigio e parte dei poteri della Chiesa cattolica che erano andati persi nel precedente sistema separatista. Spicca in tutti concordati la riassunzione della religione cattolica a sola religione dello Stato, con conseguente caduta del principio di laicità; viene reintrodotto l'insegnamento della religione cattolica in forma quasi obbligatoria in tutti i gradi dell'istruzione; viene riconosciutala giurisdizione esclusiva dei tribunali ecclesiastici nelle cause di nullità. Si tratta, in sostanza, di un piccolo ritorno del privilegio del foro; si tutelano le strutture religiose e si ripristina la simbologia cattolica. Le confessioni non cattoliche rientrano in un limbo di discriminazioni e di emarginazione e la laicità dello Stato evapora. in Germania i semi dell’antisemitismo trovano accoglienza con la legislazione discriminatoria nazista e dà vita a quell’olocausto di milioni di ebrei. In Italia lo scimmiottamento nazista di Mussolini riesce nel 1938 a corrompere l’ordinamento con le leggi razziali che sanciscono la discriminazione civile degli ebrei. La violazione della libertà religiosa e dei diritti umani si confonde col prodotto storico del totalitarismo nazifascista, con lo sterminio degli ebrei e con l’olocausto dell’Europa del 900. PARAGRAFO 16: FINE DEL TOTALITARISMO, SECONDA MODERNITÀ, DIRITTI UMANI. Con il fallimento del totalitarismo, l'Occidente è indotto a fare un bilancio della modernità e dei disastri e rovine cui il totalitarismo ha portato. Infatti il secondo 900 è prima di tutto epoca di revisioni, di rilettura storica di responsabilità. La prima revisione riguarda lo Stato e con esso l’ideologia della razionalità. La ragione implica l’idea di una libera convivenza tra gli uomini, ma rappresenta anche l’istanza del pensiero calcolante che guarda all’oggetto (compreso l’uomo) come a mero materiale di sfruttamento. Le passioni oscure dell’uomo sono state unificate e messe a frutto da totalitarismo, ma non sono assenti da tutto ciò che lo ha preceduto. Si ripensa alla più grande democrazia dell'Occidente intrisa di spirito religioso e si riscopre che essa ha convissuto per oltre un secolo con la schiavitù e, fino a poco tempo fa con il razzismo. Negli Stati Uniti questo lato oscuro è teorizzato e legittimato, quando la 31 Suprema Corte americana, intorno all’1850 afferma che gli uomini di pelle nera sono da considerarsi talmente inferiori da essere comprati e venduti come merce di scambio e subordinati all’autorità dei bianchi, razza dominante. Dunque il razzismo non è esistito solo nella Berlino Hitleriana, ma ha soggiornato a lungo nella vita e cultura americana, come anche nelle chiese olandesi dei bianchi che hanno legittimato l’apartheid imposto al Sud Africa sino al XXsec. Lo stesso vale per l’imperialismo, che non nasce solo nel 900, ma ha radici più lontane, nelle guerre sterminatrici id espansionistiche di Napoleone. Con lui si inaugura l’imperialismo contemporaneo, seguito dai principali Stati nazionali nel corso dell’800, poi nel conflitto mondiale e nel colonialismo. I diritti sociali, orgoglio delle democrazie odierne, emergono con faticose conquiste solo nel secondo 900. Insomma il totalitarismo è venuto fuori poco per volta ed è solo il culmine e l’esasperazione di tante ingiustizie, vessazioni e violenze precedenti. Nelle radici del totalitarismo sono coinvolte anche le chiese e le religioni. Quelle protestanti che mai si sono espresse contro il razzismo, e quelle cattoliche che hanno abbracciato ogni forma di assolutismo, compreso il fascismo, nella speranza di trarne vantaggio. Soltanto con il Concilio Vaticano II il cattolicesimo si riconcilia con la modernità, avvia un’autocritica degli errori pregressi della Chiesa, che si dispiegherà in modo più esplicito con Paolo VI e Giovanni Paolo II. Nel 1965 la Costituzione conciliare Gaudium et spes supera le condanne ottocentesche e si pronuncia a favore della forma democratica dello Stato e del diritto di libertà religiosa, e rifiuta ogni forma di totalitarismo. È Giovanni Paolo II più tardi a procedere ad una revisione della storia della Chiesa, rinnegando molte crudeli scelte e pratiche ecclesiastiche passate e a chiedere perdono per esse (inquisizione, condanne di eretici, ostilità verso l’ebraismo, etc) affermando la loro inconciliabilità col messaggio di Dio. Insieme a questa generale revisione critica, si apre una fase storica nella quale si cerca di ridimensionare e trasfigurare il ruolo dello Stato. Il primo ridimensionamento si realizza a livello internazionale, dove si fa strada l'idea che il mondo intero debba essere governato da una autorità mondiale dotata di forza sufficiente per imporsi ai singoli stati. Così venne creata la Carta delle Nazioni Unite nel 1945, che affermava il diritto-dovere di intervento della comunità internazionale nei casi in cui si verifichino aggressioni militari verso uno o più stati, o venga messo al rischio il valore supremo della pace e della convivenza tra i popoli. Poi, l'ordinamento internazionale detta norme generali che devono cambiare il volto dello stato anche nei suoi assetti interni e nei rapporti con i cittadini, affermando all'art.1 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948 che tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti e devono agire reciprocamente con spirito di fratellanza. Da questo momento in poi si crea una rete di Trattati, Convenzioni, Dichiarazioni internazionali per enunciare, specificare e codificare il contenuto e predisporre metodi di controllo del rispetto dei diritti umani, i quali quindi diventano il nuovo paradigma delle relazioni internazionali e della trasformazione dello Stato. Verso la fine del 900 si afferma il principio di ingerenza umanitaria, in base al quale l'ONU può intervenire con strumenti coercitivi per porre fine a violazioni dei diritti umani nei confronti di popolazioni o minoranze etniche e religiose da parte dei singoli stati sovrani. L’UE, con una sorta di ingerenza preventiva, pone come condizione 32 alla Chiesa di partecipare direttamente alla ricostruzione materiale e morale della società. Questo processo di aggiornamento era già intervenuto nell’Europa occidentale, dove la tradizione e la Chiesa cattolica hanno dovuto confrontarsi con la trasformazione dello Stato, laicizzato in primis nei Paesi latino-mediterranei, con i quali la Santa Sede aveva stipulato i concordati in epoca totalitaria. La riforma dei vecchi concordati, soprattutto in Spagna e Italia, li ha trasformati da strumenti neo- confessionisti, in accordi fondati sulla reciproca autonomia tra Stato e Chiesa, con l'abolizione, oltre che della religione di Stato, di quel tessuto normativo che mortificava l'autonomia e la laicità delle istituzioni pubbliche. Ciò non ha impedito la sopravvivenza di alcuni residui del passato, in particolare il riconoscimento della giurisdizione canonica delle nullità matrimoniali. Lo strumento bilaterale pattizio (con Intese o Accordi), utilizzato dalla Chiesa cattolica, è stato esteso anche alle confessioni non cattoliche per evitare le disuguaglianze del passato. A conclusione di questo processo di rinnovamento e di revisione, che ha investito prima l'Europa occidentale e poi quella centrale ed orientale, si può dire che quasi non c'è paese europeo che non viva oggi in un sistema giuridico rispettoso della libertà politica, religiosa e di pensiero. Inoltre, deve segnalarsi che quasi metà dell'Europa ha stipulato o rinnovato un concordato con la Santa Sede o delle intese con altre confessioni religiose. Infine, la seconda modernità vede riannodarsi i fili del confronto e dello scontro fra le tre Religioni del Libro nella terra in cui sono germinate. Nel dopoguerra nasce in medio oriente lo Stato di Israele, dopo che l’ONU si era pronunciata nel 1947 per la formazione di due stati in erra Palestinese: ebraico e arabo. Così le autorità ebraiche nel 1948 proclamano l’indipendenza dello Stato d’Israele. Gli Stati arabi non accettano questa spartizione e considerano lo Stato israeliano una realtà transitoria da eliminare, si susseguono così varie guerre tra israeliani e arabi, fino al 1973 in cui l’Israele occupa territori aggiuntivi a quelli originari. Lo Stato israeliano si struttura democraticamente e la Dichiarazione di indipendenza sancisce l’uguaglianza dei diritti sociali e civili per tutti i cittadini senza discriminazione alcuna. Israele rappresenta la patria per tutti quegli ebrei che vogliono accedervi o tornarvi e la Legge delle ritorno del 1950 agevola l'immigrazione ebraica e costituisce lo strumento per il consolidamento etnico ebraico dello Stato. Il rifiuto dello Stato ebraico da parte araba e la mancata realizzazione dello Stato palestinese, provocano un conflitto permanente tra Israele e mondo arabo che è tra le cause non secondarie e l'insorgenza del fondamentalismo islamico. Sembra che le Religioni del Libro siano di nuovo coinvolte in un confronto/scontro con l’eco delle antiche contrapposizioni. L’Islam vede nell’occidente, anche in quanto difensore di Israele, un nemico che vuole umiliarlo, e l’occidente vede il fondamentalismo islamico come un pericolo. Dunque l’esperienza della guerra, che sembrava archiviata, torna con sempre maggior frequenza, infatti in pochi anni coinvolge Iraq, Balcani, Serbia, Afghanistan, su uno sfondo religioso. Il fondamentalismo islamico trova nell’organizzazione di Al Khaeda di Bin Laden un punto di riferimento che porta l’11 settembre 2001 all’attentato alle Torri gemelle negli Stati Uniti, poi ad attentati in Spagna 2004, Inghilterra 2005 e ultimo in Francia a Parigi nel 2015. Ciò produce la deflagrazione bellica che porta alla sconfitta di Saddam Hussein nel 2002 e dell’Iraq nel 2004, sconfitte meno produttive di quanto si sperasse. Il mondo 35 assiste ancora oggi alle gesta di un fondamentalismo che impedisce il dialogo interreligioso e i rapporti tra gli Stati. Dunque la piena riconciliazione tra le grandi tradizioni cristiane e tra le religioni del libro nelle regioni mediterranee costituisce ancora oggi un'utopia. PARAGRAFO 18: L’ISLAM IN EUROPA. LAICITA’ E LIBERTA’ RELIGIOSA ALLA PROVA DELLA TERZA RELIGIONE DEL LIBRO L’esplodere del fondamentalismo islamico si è accompagnato al fenomeno migratorio che ha fatto intrecciare l’occidente, specialmente l’Europa, e il mondo musulmano, determinando il mischiarsi di religioni diverse. Nel 900, con l’insediamento di comunità di immigrati con tradizioni e culture sempre state separate le une dalle altre, ciò che fino a ieri era affidato alle relazioni politiche e internazionali tra stati, è divenuto oggetto di legislazioni e giurisprudenze nazionali. Il problema dell’Islam è quello più rilevante perché la diversità con altre religioni, in primis il cristianesimo, è talmente grande che la tradizione giuridica occidentale non riesce ancora a mediarla ed assimilarla. Quella dell’Islam è un’identità religiosa che è insieme anche civile, politica, culturale; ed è opposta all’identità elaborata in occidente. La libertà religiosa, i diritti umani, l’eguaglianza tra i sessi, la democrazia, sono concetti poco conosciuti al mondo islamico. A differenza delle Chiese cristiane, nell’Islam non esiste una gerarchia clericale organizzata, un potere centrale con articolazioni istituzionali periferiche, o prerogative di controllo dottrinale e teologico. Tuttavia il mondo musulmano è solidale e compatto attorno ai suoi principi fondamentali. La diversità tra sunniti (quasi il 90%) e sciiti, non altera il senso di appartenenza dei fedeli. Gli imam e i dottori della legge prestano scarsa attenzione alla speculazioni teologica e dottrinale, considerata quasi un’offesa a Dio, la cui natura e identità devono rimanere nascoste agli uomini. Ai dottori della legge è affidato l’onere di interpretare la legge coranica, sono dei fedeli che approfondiscono lo studio del Corano, ma non devono la propria autorità a nessuna nomina, ma è un’autorità che si conquistano col tempo nella comunità. La loro esistenza è alla base di una peculiarità islamica difficile da comprendere, per la quale la Legge coranica (sharia) stabilisce regole che disciplinano i principali aspetti della vita individuale e collettiva, dal punto di vista religioso, familiare, sociale, e del diritto privato e penale. Sta qui la differenza tra la predicazione cristiana, rivolta ai profili etico spirituali dell’esperienza umana, e quella di Maometto, che coinvolge anche la strutturazione e organizzazione della società. Il cristianesimo non ha mai ritenuto di trarre dalle Scritture i fondamenti del vivere civile, pur cercando e a volte riuscendo a condizionare il diritto dello Stato; per l’Islam invece il Corano è legge per tutti gli uomini, ed è sufficiente a regolare la società, lo Stato non ha autonomia al di fuori del Corano e il potere politico è preposto all’applicazione della sharia. È il concetto di insopprimibile unità della legge divina che deve governare gli uomini, perché scritta per volere di Allah nel Corano. Nel 900, a volte in modo autonomo come in Turchia, a volte indotto per le conquiste coloniali europee, in alcuni Paesi molte cose sono cambiate. La struttura politica si è autonomizzata rispetto alla disciplina religiosa, con la creazione di Stati nazionali. In Turchia, con la rivoluzione del 1918, l’ordinamento si è laicizzato e alcuni aspetti più crudi della sharia non sono più praticati; in Tunisia è esclusa la poligamia. Però la rivoluzione illuminista realizzatasi in occidente non si è mai 36 veramente affermata. L’incontro tra Islam e occidente comporta un cammino non breve, che distingua aspetti minori e facilmente risolvibili, da profili etnico- confessionali che investono principi fondamentali. Molte esigenze e pratiche religiose possono essere affrontate e accolte in un quadro di larga interpretazione e applicazione del diritto di libertà religiosa. Diverso è il problema per norme, costumi, abitudini radicate nel modo di essere collettivo dell’Islam e si traducono in comportamenti confliggenti con i presupposto di diritto comune validi in Europa per tutti i cittadini e gruppi sociali. Viene in rilievo la concezione del matrimonio e della famiglia fondata, nella tradizione islamica, sul principio poligamico e sul ruolo, pur di grande dignità, ma diverso e nettamente subordinato della donna rispetto all’uomo (l’uomo può sposare una donna non musulmana, non viceversa; la testimonianza della donna deve essere doppia se vuole eguagliare quella dell’uomo; le spettanze successorie sono la metà di quelle dell’uomo; il ripudio maschile è libero, per la donna no), i diritti dell’uomo nell’ambito familiare si concretano nel dirigere, governare l’attività della moglie anche fuori casa, adottare le decisioni principali in relazione ai figli, nei confronti dei quali il padre esercita una potestà generale; tutto ciò contrasta con i valori di eguaglianza, parità tra i sessi, autonomia personale, elaborati e codificati in occidente. Questione tra le più gravi è quella dell’ostilità profonda dell’Islam nei confronti dei fedeli colpevoli di apostasia. L’assimilazione del diritto di libertà religiosa su questo punto resta fondamentale se si vogliono evitare discriminazioni contro chi non si adegua alle norme più rigorose di un ambiente sociale. Ha origine da queste diversità quel rimescolamento culturale che caratterizza le reazioni occidentali, talvolta di chiusura e di paura di fronte alla diversità, altre volte di disinvoltura apertura, di fronte all’innesto di popolazioni musulmane. Resta la speranza che con l’evoluzione si assista all’innesto, anche nell’Islam, di quei valori di libertà e eguaglianza considerabili ormai patrimonio universale dell’umanità. CAPITOLO 2: LAICITA’ E LIBERTA’ RELIGIOSA PARAGRAFO 1: COSTITUZIONE E LAICITÀ DELLO STATO La qualificazione dello Stato in materia religiosa negli ordinamenti contemporanei è frutto di un esame complessivo di ciascun sistema legislativo e degli equilibri che caratterizzano le relazioni ecclesiastiche. A volte è la stessa costituzione o struttura istituzionale di uno Stato che si autoqualifica, ma tale autoqualificazione può non essere del tutto veritiera; come accade nell’ordinamento inglese che in virtù della legge dinastica e della tradizionale subordinazione della Chiesa anglicana al sovrano dovrebbe essere qualificato cesaropapista, e confessionista, privo del carattere laico dello Stato modero; ma in realtà tale qualifica non corrisponde a realtà perché in Inghilterra la libertà religiosa è tutelata in modo speciale. E come l’Inghilterra tanti altri Stati dimostrano di avere autoqualificazioni non veritiere. La qualificazione dell’ordinamento italiano, desumibile dalle norme costituzionali, si basa sul presupposto che nel sistema di relazioni ecclesiastiche si sono voluti conciliare la tradizione di rispetto della libertà religiosa, con un sistema di contrattazione con le confessioni religiose che prevede attualmente i Patti lateranensi, che regolano i rapporti con la Chiesa cattolica, e le Intese, che disciplinano i rapporti con gli altri culti. 37 riacquisito un carattere laico e pluralista, in conseguenza della fine del totalitarismo fascista e della rinascenza dello Stato democratico. Tuttavia anziché provocare l'abolizione delle fonti di derivazione bilaterale (e quindi dei concordati), la rinascenza democratica ha indotto ad estendere il metodo della bilateralità anche ad altri culti acattolici. Di conseguenza, questi ordinamenti hanno un sistema di fonti di diritto ecclesiastico particolarmente complesso: accanto a fonti unilaterali fondamentali, come le diverse Costituzioni, o leggi generali sulla libertà religiosa, esistono fonti bilaterali, come i Concordati (relativamente alla Chiesa cattolica) o le Intese (con confessioni acattoliche). Infine, per qualsiasi ordinamento, il sistema delle fonti è integrato dalle norme di diritto internazionale (convenzioni, trattati, dichiarazioni, etc) che dettano principi e disposizioni relative alla tutela dei diritti umani (libertà religiosa, minoranze, diversità etniche, uguaglianza tra uomo e donna). Esempio tipico di ordinamento particolarmente complicato dal punto di vista delle fonti del diritto ecclesiastico è quello italiano. La pluralità delle fonti è caratterizzata da una forte ripetitività, che si riscontra soprattutto nelle norme di diritto internazionale e nelle norme di derivazione bilaterale. La ragione di questo fenomeno della ripetitività si rinviene nella reazione contro tutti i totalitarismi e le violazioni dei diritti umani della seconda metà del 900, e in Italia, nello specifico, nell'esperienza autoritaria pre-costituzionale che era giunta a negare ad alcuni culti la libertà religiosa e a privilegiare la confessione cattolica. Pertanto, quando durante regime costituzionale si è proceduto alla riforma dei Patti Lateranensi e alla stipulazione delle Intese con i culti acattolici, ciascuna confessione, per paura che un giorno la Costituzione italiana potesse venir meno, ha chiesto ed ottenuto di ripetere nel rispettivo testo pattizio diritti di libertà e garanzie di autonomia già contenuti nella Costituzione o nelle fonti di diritto internazionale. FONTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE:  convenzioni  trattati  dichiarazioni. Tra le fonti di diritto internazionale, alcune delle quali entrano a far parte dell’ordinamento italiano tramite il meccanismo dell’art.10 Cost., merita menzione la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 che prevede all'art.18 che “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione e questo diritto include la libertà di cambiare religione o credo, la libertà di manifestare la propria religione o credo nell'insegnamento, nel culto e nell'osservanza dei riti”. Quest'ampia individuazione del diritto di libertà di coscienza trova una serie di applicazioni nell’ambiente familiare e scolastico e si collega ad un altro principio più volte reiterato in Trattati o Dichiarazioni, relativo allo spirito di tolleranza con il quale devono essere educate le nuove generazioni e garantite le minoranze etnico-religiose. FONTI DI DIRITTO INTERNO:  fonti unilaterali statali 40  fonti costituzionali: la Costituzione democratica del 1948 contiene principi ispiratori della politica ecclesiastica dello Stato italiano e detta le norme inderogabili che disciplinano le manifestazioni del fenomeno religioso. In virtù della gerarchia delle fonti vigente nel ordinamento italiano, le disposizioni costituzionali sono prevalenti su ogni altra legge e possono essere modificate solo con uno specifico procedimento di revisione costituzionale.  fonti ordinarie, - fonti ordinarie generiche: sono fonti che disciplinano materie più ampie e diverse rispetto a quella ecclesiastica, ma contengono norme direttamente o indirettamente attinenti a qualche aspetto religioso o confessionale. Tra le principali fonti ordinarie si ricordano i codici di merito e di procedura che regolano gli edifici di culto, il segreto dei ministri di culto, i delitti contro la religione, il divorzio e quindi cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso, i diversi tipi di obiezione di coscienza, etc. - fonti ordinarie specifiche: disciplinano direttamente alcune materie ecclesiastiche o confessionali. Sono molto ridotte rispetto a quelle generiche, poiché alla regolazione dei rapporti tra Stato e Chiesa provvedono di solito le fonti bilaterali. La principale fonte ordinaria specifica è la legge n.1159/1929 sull'esercizio dei culti ammessi nello stato, che disciplina le confessioni diverse da quella cattolica e vige sin dal periodo fascista, pur modificata e non è più in vigore per le confessioni che hanno stipulato Intese con lo Stato.  legislazione regionale: l’attuazione del decentramento regionale ha aperto e fatto crescere un nuovo settore di legislazione che dal 1970 ha agito principalmente sui temi dell'assistenza, dell'istruzione e dell'edilizia di culto.  Fonti di derivazione bilaterale: formate con il concorso di uno o più soggetti confessionali, sono i Patti lateranensi, richiamati all’art.7 Cost. e le Intese, con i culti diversi da quello cattolico, di cui all’art.8 comma 3 Cost. Gli accordi con le confessioni religiose dovrebbero disciplinare le relazioni istituzionali tra Stato e Chiesa senza invadere settori già regolati a livello costituzionale, ma nei fatti hanno finito col contenere una disciplina sempre più ampia tendente a richiamare molti principi e diritti di libertà e a regolare materie prima non regolate o regolate dalla legislazione ordinaria.  Patti Lateranensi: sono stati firmati a febbraio del 1929 e si compongono del Trattato del Laterano, che risolve la questione romana in via definitiva, e del Concordato, che regola la condizione della Chiesa cattolica in Italia. I patti sono stati riformati nel 1984 e tra le varie modifiche è stato abrogato l'art.1 che definiva il carattere confessionista dello Stato italiano, ed è stato integralmente riscritto il Concordato. A seguito di tale riforma sono stati elaborati dei testi pattizi successivi che danno attuazione a principi e a norme del Concordato in specifiche materie. Il più importante testo pattizio è la legge n.222/1985 (legge fotocopia) recante disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici e per il sostentamento del clero. Troviamo poi delle intese subconcordatarie, che danno attuazione ai principi e alle disposizioni concordatarie in alcune specifiche materie.  Intese con i culti acattolici: è un'importante settore della legislazione bilaterale, elaborate e stipulate a partire dal 1984, in attuazione dell'art.8 Cost. e approvate con relativo disegno di legge. Queste affiancano il Concordato con la Chiesa cattolica, con l’intento di dettare una disciplina accettata e condivisa dai culti di minoranza e di realizzare una condizione quanto più possibile paritaria per tutte le confessioni religiose. 41 PARAGRAFO 3: LIBERTÀ RELIGIOSA E PROCESSI DI INTEGRAZIONE EUROPEA I processi di integrazione europea sono due: - il vero e proprio processo di unificazione dell'Europa dei 15 che si va realizzando attorno all’UE, cui corrispondono gli organismi comunitari e che ha nella Corte di giustizia di Lussemburgo il massimo organo giurisdizionale. - l'integrazione che riguarda un più vasto panorama di Stati (32) che si raccolgono attorno a Coniglio d’Europa, che ha come punto di riferimento la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950 e che ha nella Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo il massimo organo giurisdizionale. Recentemente è stato elaborato un progetto per una Costituzione europea, che però non è andato a buon fine perché non ha superato il referendum popolare in alcuni Paesi europei, per cui restano in vigore per l’UE il Trattato di Maastricht del 1992 e quello di Amsterdam del 1997, che integrano il TUE, e che contengono i principi vincolanti per tutti gli Stati appartenenti all’UE. Riguardo il Consiglio europeo la CEDU mantiene il ruolo guida nell’affermazione dei principi in tutti gli Stati aderenti. Nel 2000 l’UE ha approvato la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che pur non avendo carattere vincolante per gli Stati, è il punto di riferimento per gli sviluppi dell’UE e per la giurisprudenza della Corte di giustizia. In tale contesto, un principio generale particolarmente rilevante per la disciplina del fenomeno religioso è desumibile in negativo dalle competenze dell’UE: cioè che le relazioni tra Stato e chiese e la disciplina delle materie ecclesiastiche sono di esclusiva competenza dei singoli Stati membri e che l'unione non può intervenire sulle rispettive legislazioni nazionali. Questo principio è confermato anche dal fatto che la CEDU nel momento stesso in cui enuncia il diritto di libertà religiosa non sfiora il tema delle relazioni che possono stabilirsi tra Stato e chiese o confessioni religiose nei diversi ordinamenti. Questo significa che cambiamenti nei diversi modelli di rapporti tra Stato e Chiese possono intervenire soltanto a seguito di modifiche interne ai singoli ordinamenti. Ciò non toglie, però, che sia gli organismi comunitari sia quelli collegati al Consiglio d'Europa, siano sempre più capaci di incidere sulla legislazione ecclesiastica dei singoli stati sotto un profilo sostanziale e giurisdizionale. Da un punto di vista sostanziale l’UE si ispira e si impegna al rispetto dei diritti e libertà fondamentali: “principi di libertà, democrazia, del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché dello Stato di diritto” (preambolo TUE). La CEDU definisce il diritto di libertà religiosa all’art.9 come libertà di pensiero, di coscienza, di religione, di cambiare religione, di manifestare la propria religione o convinzione, senza essere oggetto di restrizioni se non quelle previste dalla legge. Sempre sotto il profilo sostanziale anche direttive, regolamenti e atti politici (in particolare le risoluzioni del parlamento europeo in tema di tutela delle minoranze religiose, della libertà di istruzione etc.) hanno ad oggetto materie che incidono su questioni confessionali e che possono interferire con la legislazione ecclesiastica dei singoli Stati. Dal punto di vista sanzionatorio nell’UE esiste un’ipotesi sanzionatoria per gli Stati membri, introdotta con il T.di Amsterdam, secondo la quale in caso di 42 costume per sindacare preventivamente il diritto di libertà per i cittadini o per una confessione religiosa predisponendo allo scopo leggi speciali. Questione che si presenta ogni volta che viene garantito il diritto di libertà religiosa è se questo debba intendersi anche come libertà di coscienza, comprensiva cioè delle opinioni e degli orientamenti non religiosi. La Costituzione non utilizza il termine ateismo, convinzione o credenza, ma termini che hanno a che fare con la religione (confessione religiosa, fede religiosa, culto etc), ciò ha portato al prevalere di un'interpretazione restrittiva del diritto di libertà religiosa, in quanto afferma che le norme costituzionali si limitino a tutelare la fede religiosa in quanto tale. In altri termini il mancato richiamo all'ateismo comporterebbe che l'uguaglianza dei cittadini è limitata a quanti professano un determinato credo, qualunque esso sia. Circa l'ateismo, se questo si concreta in un semplice orientamento della coscienza individuale, è irrilevante è lecito; ma se questo diventa antireligioso, con intenti propagandistici, entra in conflitto con l'ordinamento, dato che questo tutela la religione come un vero bene giuridico. Applicazioni di tale interpretazione della libertà religiosa sono rinvenibili nella giurisprudenza degli anni ’50 in materia di rapporti coniugali e familiari, quando si è ritenuto che l’ateismo di uno dei genitori fosse elemento decisivo per l’affidamento dei figli all’altro. Oggi questa impostazione non è più seguita, a seguito del recuperodell’interpretazione di Francesco Ruffini per il quale le libertà religiosa è la facoltà spettante all'individuo di credere a quello che più gli piace o di non credere a nulla; e perché è stato appurato che il fenomeno ateistico finisce sempre per risultare strettamente collegato col fenomeno religioso. È stato constatato che la variabilità contenutistica delle diverse religioni e degli orientamenti non confessionali è tale che si stenterebbe a distinguerli, dato che sono ravvisabili religioni che si limitano solo ad esprimere regole morali e orientamenti atei invece carichi di religiosità. Storicamente poi i due poli sono interdipendenti sul piano della tutela sociale e giuridica, perché il privilegio per l’uno è discrimine per l’altro. Sul piano normativo questa tesi dell'interdipendenza tra religione, agnosticismo e ateismo è stata acquisita e la materia è regolata da principi che tendono a tutelare in maniera paritaria le diverse risposte che gli uomini danno al problema religioso. Anche a livello europeo si va affermandola parità tra ateismo e religione e si tende a volte ad assimilare le organizzazioni ideologiche e filosofiche a quelle confessionali. Anche nel nostro diritto interno, molti settori dell'ordinamento si sono evoluti in modo tale da non lasciare spazio per discriminazioni verso qualsivoglia opinione in materia religiosa. Nel diritto di famiglia ad esempio ogni decisione riguardo la prole è presa nell’esclusivo interesse di essa. Un altro profilo relativo alla questione dell’ateismo è se questo possa ambire ad un trattamento uguale a quello delle confessioni religiose, anche quando per sua natura non potrebbe ambire a certi riconoscimenti. È stato osservato che le confessioni religiose postulano un minimo di simboli e riti con relative esigenze di protezione da offese avversarie che nessuna ideologia filosofica postula, per questo sono sufficienti per queste ultime la libertà di espressione, stampa, propaganda etc. In Italia si è posta una delicata questione dal momento che l’UAAR ha chiesto di avviare trattative per stipulare un’intesa ex art.8 Cost. sottolineando gli aspetti per i quali essa si ritiene identificabile alla stregua di una confessione religiosa. Ad esempio ritiene che le proprie sedi debbano fruire di diritti e prerogative, tutela 45 giuridica, finanziamenti pubblici, presenza nelle scuole, agevolazioni fiscali analoghi a quelli delle confessioni religiose. Fruire dell’Intesa vorrebbe dire non essere discriminati rispetto ai culti religiosi. La richiesta è stata respinta dal Governo e si è aperto un contenzioso ancora in corso. Si sono pronunciati anche il Consiglio di Stato e la Corte di Cassazione i quali non affermano che l’organizzazione ateistica sia per sé una confessione religiosa, né che abbia diritto a stipulare un’Intesa, ma che vadano avviate le trattative quando si pervenga a un giudizio di qualificabilità della stessa come confessione religiosa, salva la facoltà di non stipulare l’intesa all’esito delle trattative. In sostanza la questione di merito se ateismo sia eguale a religione è rinviata a un più approfondito esame. Perciò la questione resta sospesa, ma occorre sottolineare che la materia del contendere resta quella dell’assimilabilità di un’organizzazione ateistica ad una confessione religiosa, dal momento che l’art.8 Cost. afferma testualmente che le Intese sono la base della disciplina che regola i rapporti tra Stato e confessioni religiose. In tempi più recenti la riflessione sull’ateismo e i suoi rapporti con la religione hanno vissuto un’evoluzione significativa che va nella direzione di una crescente parità, pur non sancendo l’omologazione delle organizzazioni filosofiche con le confessioni religiose. In Belgio accanto all’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche ne è previsto uno morale di tipo laico, e il finanziamento concesso alle confessioni può essere esteso alle organizzazioni ideologiche. In Italia queste ultime possono fruire di vantaggi fiscali un tempo inesistenti. Negli USA è stata riconosciuta l’obiezione di coscienza dei militari per ragioni ideologiche oltre che religiose. Inoltre si ravvisa un richiamo alle confessioni religiose e organizzazioni ideologiche non confessionali nel TUE, nell’affermare che l’UE mantiene con entrambe un dialogo aperto, che potrebbe portare a innovazioni istituzionali oggi non prevedibili. Si deve ancora raggiungere dunque una convivenza nel rispetto reciproco tra religione, ateismo, agnosticismo e ogni altra posizione in materia religiosa. PARAGRAFO 6: LIBERTÀ DI CULTO, LIMITI, AGEVOLAZIONI La libertà di culto, cioè de celebrare liberamente, in privato e in pubblico, i riti della propria confessione, è uno dei diritti fondamentali connessi alla libertà religiosa. La celebrazione del rito esprime l'esigenza di entrare in rapporto con la trascendenza e al tempo stesso riflette il bisogno di manifestare la propria professione di fede: è difficile trovare una confessione che non preveda celebrazioni pubbliche di riti, ma che le riservi all’attività privata dei fedeli. Anzi, poco dopo il radicamento in un territorio, ogni confessione tende a costruire i suoi primi edifici di culto perché diventino il luogo di raduno dei fedeli e insieme il simbolo della propria presenza nella società. Anche in ragione del suo rilievo pubblico, la libertà di culto ha subito e subisce limitazioni e violazioni in quegli ordinamenti nei quali la libertà religiosa non è pienamente riconosciuta o dove esiste una religione dominante (es. Arabia Saudita dove sono poste gravi restrizioni alla presenza di templi non islamici, o in Grecia, Monte Athos, c’è divieto di costruire edifici di culto diversi da quelli ortodossi o si impedisce in transito delle donne e degli eretici o scismatici), pratica frequente per questi paesi è di ostacolare amministrativamente con ingenti tributi e iter burocratici la costruzione di templi diversi. 46 La stessa Corte di Strasburgo è dovuta intervenire, in un caso di cittadini greci Testimoni di Geova condannati per aver celebrato il culto senza autorizzazione, affermando che il pluralismo religioso è uno dei principi ispiratori della propria giurisprudenza e non può essere limitato. L'ordinamento italiano garantisce attualmente la libertà di culto nel modo più ampio: infatti oltre a sottoporre i riti all'esclusivo limite del buon costume, garantisce una serie di diritti, agevolazioni giuridiche e finanziarie, tesi a favorire l'esercizio del culto per qualsiasi confessione religiosa che abbia un minimo di radicamento nel territorio. Buon costume: per quanto riguarda il limite del buon costume, previsto dall'art.19 Cost., esso coincide con quello previsto dall’art.21 Cost. per il quale sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e ogni manifestazione ad esso contrarie. Si ritiene che esso non s'identifichi soltanto con la morale sessuale, ma si estenda a salvaguardia di tutti quei dettami scaturenti dalla coscienza sociale odierna, quindi comprende anche il rispetto per la persona umana nei suoi cosiddetti diritti personalissimi e il rispetto per gli organi, le istituzioni e gli ordinamenti pubblici statali, e quello per gli istituti previsti nella loro esistenza e funzionamento dell’ordinamento medesimo. Per la giurisprudenza di Cassazione si tratta anche di rispetto in senso più ampio di quelle leggi e regole di condotta atte ad assicurare la libera e pacifica convivenza. In ogni caso, a prescindere dalle interpretazioni del buon costume, nella concreta celebrazione del rito, non ci possono essere manifestazioni e atti contrari al pudore sessuale, manifestazioni ingiuriose nei confronti di persone o istituzioni statali, pratiche aberranti come il sacrificio di animali o pratiche dirette a privare i partecipanti della loro piene libera coscienza. In questi casi l'intervento repressivo sarà lecito e commisurato alle specifiche manifestazioni e ai singoli atti (scioglimento della riunione o denuncia dei soggetti responsabili di specifici reati). Il fatti che l’art.19 Cost. preveda il solo limite del buon costume, non vuol dire che non ci siano anche altre norme e altri limiti che riguardano le modalità e i tempi di esercizio del culto: tra gli altri limiti troviamo quindi il buon senso, le norme sulla quiete pubblica, la tutela della proprietà pubblica e privata, che proibiscono comportamenti anomali. Il rispetto di tali norme è necessario anche quando la celebrazione di riti cerimonie collettive si è svolta in forma privata, all'interno di case private. In ogni caso, ogni volta che un autorità confessionale vuole fare una cerimonia religiosa al di fuori dei propri templi (per esempio una processione) ne deve dare previa informativa alle autorità competenti per avere le debite autorizzazioni e per concordare tragitti e tempi della cerimonia, affinché siano rispondenti alle esigenze urbanistiche e di viabilità. Questi Oneri, non costituiscono limiti all'esercizio della libertà di culto, ma sono condizioni per il corretto funzionamento del sistema. Garanzie per l'esercizio del culto: l'ordinamento italiano favorisce in tanti modi l'esercizio del culto, soprattutto pubblico, con una normativa di sostegno. - Il codice penale agli att.405 e 406 punisce chi impedisce o turba una funzione religiosa quando questa si è svolta in un luogo destinato al culto o con l'assistenza di un ministro di culto, intendendo così tutelare l’esercizio della libertà di culto. - L’ordinamento poi prevede la possibilità dei comuni e consorzi di comuni a provvedere con specifici finanziamenti alla conservazione degli edifici di culto. - È stato esteso il finanziamento per la costruzione, il completamento, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria degli edifici di culto e relativi immobili di pertinenza attraverso leggi regionali. Poiché tuttavia alcune leggi 47  nel settore scolastico è stato cancellato nei nuovi programmi didattici per la scuola primaria il cd. insegnamento cattolico diffuso nella scuola primaria, che di fatto imponeva a chiunque un apprendimento condizionato dei principi e della tradizione del cattolicesimo. Poi la riforma concordataria del 1984 ha cancellato il carattere quasi obbligatorio dell'insegnamento religioso cattolico e ha previsto che i ragazzi possano scegliere se avvalersene o meno. Simbologia pubblica e sociale: di particolare importanza questo tema che in materia confessionale può essere in grado di influenzare e condizionare con sottile e subliminale opera di propaganda la coscienza individuale. L’apparato istituzionale italiano è stato per molti aspetti laicizzato. Resta però il delicato il problema dell'affissione del crocifisso negli uffici pubblici e nelle scuole tutt’ora previsto, che incontra difficoltà nel conciliare due esigenze entrambe meritevoli di attenzione. Il crescente multiculturalismo e pluralismo della società italiana può provocare imbarazzo di fronte a un simbolo religioso che viene percepito estraneo alle proprie convinzioni. Dall’altro lato il crocifisso rappresenta ancora oggi un simbolo rispondente a un sentimento sociale diffuso ed è privo di valenze intolleranti o esclusiviste. Il Consiglio di Stato ha elaborato la tesi della universalità simbolica del crocifisso, in quanto questo rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale e indipendente da una specifica confessione religiosa. Ma non è difficile trovare un’obiezione a questo assunto, come quella per cui sarebbe una sorta di offesa per i cristiani non considerare questo simbolo come collegato al loro redo. PARAGRAFO 7: IUS POENITENDI, APPARTENENZA CONFESSIONALE, TUTELA DELLA PRIVACY. Ius poenitendi: parte integrante del diritto di libertà religiosa è il diritto di cambiare appartenenza confessionale, credenza ed opinione in materia religiosa. Strettamente connesso alla libera dinamica della coscienza, esso è il corrispettivo del diritto di propaganda e di proselitismo, in quanto avrebbe poco senso garantire la diffusione di diversi messaggi religiosi se si negasse ai singoli la possibilità di farsi convincere e quindi di mutare opinione e orientamento. Lo ius poenitendi è tra i diritti affermati nelle fonti di diritto internazionale: esso è contemplato nell’art.9 della CEDU e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE. Nell'ordinamento italiano, il diritto di cambiare appartenenza confessionale e opinioni religiose, è conseguenza diretta della neutralità dello Stato e della formula dell'art.19 Cost. Ma la sensibilità giuridica si è evoluta fino a consacrare, attraverso la legislazione ordinaria e pattizia, due conseguenze particolarmente importanti di questo diritto: la tendenziale irrilevanza giuridica della appartenenza confessionale e delle convinzioni religiose di cittadini in tutti i momenti dell’esperienza sociale e il diritto alla riservatezza sulla medesima appartenenza e sulle proprie convinzioni. In molti Paesi europei il sistema di sostegno finanziario delle chiese prevede che il cittadino versi, a seconda dell’appartenenza religiosa, un’aliquota di reddito alla propria confessione religiosa. Chi non voglia ottemperare a tale obbligo, deve formalmente dimettersi dalla confessione ed informarne gli uffici statali. In questo modo quindi l’ordinamento da rilevanza all’appartenenza religiosa, il che rende più difficile cambiare religione e impossibile tenere riservate le proprie convinzioni. Anche la giurisprudenza europea ha avallato questi sistemi, affermando che 50 l’attività religiosa finanziata reca beneficio alla società. Non rientra quindi nella concezione di libertà religiosa affermatasi a livello europeo il principio dell’irrilevanza dell’appartenenza confessionale e della riservatezza delle convinzioni individuali religiose. L'ordinamento italiano parte da presupposti diversi. Le opinioni e le scelte dei cittadini in materia religiosa sono riservate e irrilevanti: di conseguenza ciascuno può cambiarle in ogni momento senza subire alcuna conseguenza. Applicazione di questa concezione si registrano in numerosi campi: la disciplina dell’istituto matrimoniale ad esempio prevede il riconoscimento del matrimonio religioso (cattolico e non), ma non richiede la comune appartenenza confessionale dei nubendi che celebrano il matrimonio in questa forma, spetterà poi al ministro del culto accertare l’appartenenza confessionale dei nubendi. Dunque per lo Stato è del tutto irrilevante l’appartenenza confessionale per chi sceglie il matrimonio religioso. Inoltre, ad ulteriore tutela dello ius poenitendi, la riforma concordataria del 1984 ha previsto la possibilità che quanti intendono chiedere la nullità del matrimonio celebrato secondo il rito cattolico possano adire i tribunali civili anziché quegli ecclesiastici, dato che nel frattempo gli interessati potrebbero aver cambiato orientamento. Un'altra applicazione della tutela di questo diritto si ha nel sistema di finanziamento agevolato delle chiese: che prevede che i contribuenti possano versare oblazioni volontarie a favore di alcune confessioni religiose, deducendone poi l'importo dalla dichiarazione annuale di redditi. L'ordinamento italiano non connette alcuna scelta automatica all'appartenenza confessionale dei contribuenti, infatti questi potranno versare le oblazioni volontarie a qualunque confessione scelgano, anche se diversa dalla Chiesa di appartenenza. Analoga la disciplina dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche. L’insegnamento cattolico può essere seguito da chi vuole, a prescindere dalla propria appartenenza religiosa. Pur registrandosi alcune rare eccezioni a tale sistema, in ogni caso la riservatezza delle convinzioni religiose è tutelata dall’ordinamento italiano, nel senso che non possono imporsi comportamenti confessionali ai cittadini e non possono farsi indagini sui loro orientamenti. Recentemente, il diritto alla riservatezza ha trovato una più generale e ampia tutela a livello comunitario europeo e di diritto interno. La L.n.675/1996 sulla tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali (le cui norme sono pressoché identiche al successivo nuovo Codice sulla protezione dei dati personali ex d.lgs.n.196/2003) prevede che: i dati personali idonei a rivelare origine razziale ed etnica, convinzioni religiose e filosofiche, politiche etc possono essere oggetto di trattamento soltanto con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante della privacy. Però, a rigore di tale disciplina si finirebbe col cancellare i dati presenti ad esempio nei registri dei battesimi, matrimoni etc. provocando un vuoto documentario e causando la perdita della memoria storica della realtà sociale, per cui, in ottemperanza ad una direttiva comunitaria del 1995 che escludeva l’applicazione della suddetta disciplina sui dati personali alle organizzazioni religiose, filosofiche o sindacali, il d.lgs.n.135/1999 ha armonizzato la normativa. PARAGRAFO 9: LIBERTÀ RELIGIOSA, MATRIMONIO, FAMIGLIA. LA LIBERTÀ DI COSCIENZA DEI MINORI. 51 La concezione positiva della libertà religiosa ha progressivamente convinto il legislatore ad intervenire in particolari ambiti della vita civile, soprattutto famiglia, scuola, lavoro, per rimuovere gli ostacoli che possono frapporsi all'esercizio del diritto di libertà di coscienza o all'adempimento di comportamenti che il singolo sente come doverosamente conseguenti ai propri convincimenti religiosi. Riguardo all’istituto matrimoniale, il riconosciuto civilmente del matrimonio celebrato in forma religiosa deve ritenersi un riconoscimento costituzionalmente doveroso, in ragione della concezione sociale e positiva della religione recepita nel nostro ordinamento. Altrettanto deve ritenersi libera la celebrazione puramente religiosa di un matrimonio, senza che ne conseguono gli effetti civili. In tal caso il matrimonio sarà del tutto irrilevante per la legge dello Stato. Inoltre nel nostro ordinamento contiene la previsione della doppia concorrente giurisdizione, civile e canonica, per le cause di nullità dei matrimoni cd. concordatari. Questo perché si vuol far fronte all'eventualità che il cambiamento di opinioni religiose di uno dei due coniugi o di entrambi non costringa le parti a sottoporsi al giudizio di un tribunale confessionale di qui non si riconosce l'autorità. Un momento specifico della vita matrimoniale in cui la religione può svolgere un ruolo è quello nel quale la modifica di scelte religiose da parte di uno o entrambi i coniugi finisca col provocare una crisi matrimoniale. In linea di principio, eventi di questo genere non possono indurre a riconoscere l'addebito della separazione, e quindi domande in tal senso saranno respinte, proprio perché il mutamento di appartenenza confessionale e di opinioni religiose è parte integrante del diritto di libertà religiosa che costituisce legittimo esercizio di tale diritto. All’addebito si potrà giungere soltanto se il mutamento ha come conseguenza l'inadempimento dei doveri coniugali e familiari tali da “rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da arrecare grave pregiudizio per la prole” (ex art.151 c.c.). Ma allora non sarà la religione ad essere rilevante ai fini della pronuncia del giudice civile, quanto piuttosto la conseguenza che ne è derivata e che è direttamente imputabile al coniuge. Particolare attenzione è posta dal diritto internazionale e interno, alla rilevanza della religione nell’educazione dei figli. Fermo restando che è diritto-dovere dei coniugi provvedere all'educazione della prole, con il tempo si è ridotta notevolmente la potestà assoluta che avevano un tempo i genitori nell'imporre ai figli le proprie scelte, anche in materia confessionale. Oggi a livello europeo al minore è riconosciuta la libertà di pensiero, di coscienza e di religione ed è stabilito che i genitori devono guidare i figli nell'esercizio del loro diritto in maniera che corrisponda allo sviluppo delle sue capacità. Inoltre i genitori hanno diritto di educare la prole in conformità alla propria fede, ma le pratiche della religione non devono recare pregiudizio alla salute fisica o mentale della personalità del minore. Da questa normativa scaturisce un importante limite all’esercizio dei diritti dei genitori, che coincide con l’evoluzione della personalità dei figli e con il loro interesse a ricevere un’educazione equilibrata. Nell'ordinamento italiano sono stati previsti anche dei limiti alla potestà dei genitori, anticipati dalla riforma del diritto di famiglia del ’75. L’art.141 c.c. stabilisce che “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”. L’art.155 c.c. afferma che “Il giudice che pronunciala 52 quelle situazioni in cui la religione o le convinzioni personali rappresentano un requisito essenziale, e legittimo per lo svolgimento dell'attività lavorativa, tenuto conto dell’etica dell’organizzazione. Pertanto le Chiese o le altre organizzazioni pubbliche hanno il diritto di esigere dalle persone alle loro dipendenze un atteggiamento di buona fede e lealtà nei confronti dell'etica dell'organizzazione. A questo proposito, per l'Università cattolica del Sacro Cuore, il nuovo Concordato stabilisce che le nomine dei docenti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorità ecclesiastica. Tale gradimento può essere ovviamente revocato (anche se parte della dottrina non è d'accordo) in quanto l’uniformità di indirizzo ideologico o confessionale deve accompagnare in itinere la vita e l’attività dell’istituzione stessa. Altro caso è quello della condanna da parte della Corte di Starsburgo dell’Italia perché l’Università Cattolica di Milano ha negato l’incarico di insegnamento a un professore di filosofia del diritto in mancanza del gradimento dell’autorità ecclesiastica previsto. In questo caso la mancata conoscenza da parte del ricorrente dei motivi della sua estromissione ha escluso la possibilità di controbattere in contradditorio, per cui il controllo giurisdizionale sull’applicazione della misura controversa non è stato adeguato nel caso di specie. Si è conclusivamente ritenuto che l’Università deve enunciare, e far conoscere in contraddittorio con l’interessato, le ragioni del venir meno del rapporto di lavoro. Un provvedimento fondato su un generico contrasto tra docente e autorità accademica sarebbe illegittimo. Occorre che esista una comprovata incompatibilità tra l'insegnamento del docente e l'indirizzo religioso dell'università in questione, e certamente tale incompatibilità è più facile che si determini per docenti di teologia, filosofia, storia ecclesiastica etc, mentre è difficile per quelli di insegnamenti scientificamente neutri. Generalmente, i contratti di lavoro collettivi contengono clausole che richiedono la coerenza tra l'insegnamento del docente e la proposta formativa dell'istituto, ma non ci possono essere clausole che richiedano la compatibilità a situazioni che riguardano la vita privata degli interessati. La stessa Cassazione ha richiesto per il licenziamento ideologico che esista un nesso preciso tra prestazione di lavoro e indirizzo ideologico dell’istituzione. Non si dovrebbe quindi ritenere più possibile un controllo ideologico per i dipendenti che svolgono funzioni svincolate dalla natura confessionale dell’istituto. Per quanto riguarda gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche, questi devono essere riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica e nominati, d’intesa con essa, dall'autorità scolastica. In questo caso, ovviamente è richiesta in linea di principio la coerenza confessionale dell'insegnamento Impartito. PARAGRAFO 11: LIBERTÀ RELIGIOSA E RAPPORTI DI LAVORO L'ambiente di lavoro potrebbe sembrare in linea di massima immune da influenze confessionali. In realtà, non soltanto esistono rapporti di lavoro che per loro natura sono geneticamente condizionati dall'elemento religioso o ideologico, ma anche in ambienti di lavoro che dovrebbero considerarsi neutrali dal punto di vista ideologico possono presentarsi situazioni che richiedono l'attenzione del legislatore, o del giudice, per tutelare aspetti specifici di libertà religiosa. 55 Lo Statuto dei lavoratori vieta lo svolgimento di indagini su gli orientamenti religiosi del lavoratore, mentre altre leggi stabiliscono che il rapporto di lavoro non deve impedire l'assolvimento di determinate incombenze religiose che l'interessato avverte come doverosa. Ad esempio è stato stabilito che il lavoratore domestico deve essere messo in grado di adempiere ai propri impegni religiosi attraverso una giusta modulazione dell’orario di lavoro. Un'applicazione generale di questo principio si ritrovano nelle disposizioni pattizie che riconoscono, per alcune confessioni religiose, il riposo settimanale in giorni diversi da quello domenicale in uso tradizionalmente nei paesi occidentali. L’Intesa avventista riconosce ad esempio il diritto di osservare il riposo sabbatico. Il diritto è esercitato su richiesta degli interessati e nel quadro della flessibilità dell’organizzazione del lavoro, ferme restando le imprescindibili esigenze di servizi essenziali previste dall’ordinamento. Ovviamente le ore lavorative non prestate il sabato sono recuperate la domenica o in altri giorni lavorativi senza diritto ad alcun compenso straordinario. L’intesa ebraica prevede il riconoscimento di una serie di festività nel corso dell’anno alle quali si applicano le disposizioni sul riposo sabbatico. Altro riconoscimento è il diritto per gli ebrei appartenenti alle forze armate di osservare le prescrizioni ebraiche in materia alimentare. È prevedibile che con la stipulazione di altre Intese con le comunità islamiche si moltiplicheranno i riconoscimenti di ulteriori peculiarità confessionali. Riguardo i musulmani, le cui prescrizioni religiose sono assai meticolose (alimentari, dovere della preghiera in determinate ore nel corso della giornata rivolti verso la città sacra, ramadan, abbigliamento per le donne etc) in alcune aree territoriali dove gli islamici costituiscono una comunità numericamente molto forte e forniscono ad aziende ed imprese manodopera in quantità rilevante, molto spesso le esigenze più sentite sono disciplinate con l'inserimento di specifiche clausole nei contratti di lavoro, in mancanza ancora di un’auspicabile soluzione legislativa generale. Situazioni particolari si creano in rapporti che investono l’attività “lavorativa” di determinati soggetti confessionalmente qualificati. In primo luogo i sacerdoti cattolici che prestano servizio in favore delle diocesi, nell’ordinamento italiano, ricevono una remunerazione finché persiste la prestazione di tale servizio. La legislazione pattizia ha chiarito che il servizio a favore della diocesi non integra un rapporto di lavoro, ma ha anche affermato che sacerdoti vantano un vero diritto soggettivo alla remunerazione per evitare che i soggetti interessati siano sottoposti all'arbitrio dell'autorità ecclesiastica nel corrispondere tale remunerazione. La L.n.222/85 ha preso in considerazione il problema dell'eventuale abbandono della vita ecclesiastica da parte dei sacerdoti. Questo abbandono può essere interpretato come una tipica espressione dello ius poenitendi. La posizione del sacerdote può portare in caso di abbandono a onseguenze onerose, in quanto si può trovare privo di qualsiasi forma di sostentamento ed a subire tutto il peso dell'abbandono della vita ecclesiastica dal punto di vista economico. Pertanto, per alleviare questa situazione, si è ritenuto che gli istituti diocesani per il sostentamento del clero debbano sovvenire alle necessità dei sacerdoti che abbandonano la vita ecclesiastica e non hanno altre fonti sufficienti di reddito. Così lo Stato sociale viene incontro ai sacerdoti affinché esercitino lo ius poenitendi senza conseguenze. Peculiare è poi la condizione dei religiosi cattolici, cioè coloro che, dopo aver emesso i voti di povertà, castità ed obbedienza, si trovano inseriti a pieno titolo 56 nella comunità religiosa di appartenenza. L'emissione del voto di povertà comporta che il religioso doni all'istituto tutto quanto possiede in proprio, che qualsiasi attività egli svolga nell'ambito dell'istituto non sarà in alcun modo remunerata e che qualsiasi retribuzione egli riceva in futuro da soggetti terzi dovrà essere versata all'istituto. A sua volta, il religioso riceve dall'istituto il necessario sostentamento come se si trovasse in una comunità familiare. L'ordinamento canonico prevede poi che coloro che escono dall'istituto religioso o sono dimessi non possono esigere nulla dall'istituto stesso per qualunque attività in esso compiuta. Queste disposizioni, che di per sé non sono rilevanti per lo Stato possono però implicare qualche rilevanza giuridica, possono infatti portare a situazioni paradossali, in quanto le persone che hanno trasferito un cospicuo patrimonio all'istituto religioso, che hanno di fatto lavorato a favore dell'istituto o di terzi, il giorno in cui, per un mutamento di opinione (ius poenitendi) si ritrovano a non possedere nulla. Si ritrova così una situazione iniqua, che comporta una grave violazione del diritto di libertà religiosa degli interessati e dello ius poenitendi, perché cristallizza nel tempo le conseguenze di una determinata scelta senza consentirne la reversibilità. PARAGRAFO 12: LIBERTÀ RELIGIOSA E OBIEZIONE DI COSCIENZA L'obiezione di coscienza consiste nel rifiuto di adempiere ad obblighi imposti dalle leggi dello Stato e nella disponibilità di accettare le conseguenze di tali rifiuto. L'obiezione di coscienza riflette un conflitto tra comando della legge e coscienza personale che obbedisce a motivazioni religiose, ma anche etiche o ideologiche. In ogni obiezione di coscienza c'è l'affermazione soggettiva di un valore alternativo a quelli accettati dalla collettività in un determinato momento storico. Questo schema tradizionale è oggi sottoposto a modifiche interpretative. L’evoluzione della normativa sull’obiezione di coscienza ha favorito un’altra lettura di carattere più sociologico e tendente ad attenuarne il valore etico e sociale. Secondo un approccio più laico e obiettivo al tema della libertà di coscienza, si rileva prima di tutto che si tratta di una tematica parzialmente contigua alla libertà religiosa. Le motivazioni di alcune forme di obiezioni possono essere anche squisitamente religiose. Tuttavia di solito l'ordinamento prescinde dal profilo confessionale e tende a tutelare il valore assoluto della coscienza in sé considerata. In secondo luogo, non è sempre vero che ogni obiezione di coscienza è portatrice di un valore in contrapposizione al disvalore affermato dagli antagonisti. Ne sono un esempio la non violenza e la pace, che hanno ispirato gran parte del diritto internazionale contemporaneo, e possono ispirare anche coloro che scelgono di combattere per la pace; al contrario la non violenza di fronte alla violenza può essere interpretata come legittimazione di quest’ultima. Diversi tipi di obiezione di coscienza portano all’esaurimento del contrasto con l’ordinamento, ad esempio quando viene meno l’obbligo imposto per legge o l’obiettivo che si intendeva perseguire viene raggiunto. Come nel caso dell’obiezione al servizio militare che tende ad esaurirsi con l’eliminazione della leva obbligatoria e con la formazione di un esercito professionale volontario. In altri termini, la fenomenologia dell’obiezione di coscienza è essenzialmente dinamica, ed è collegata ai diversi momenti di evoluzione della vita sociale. Obiezione al servizio militare: rifiutata e contrastata fino al ’72, è stata riconosciuta con un residuo di diffidenza dalla L.n.772/1972, nella quale era configurata come concessione, l’esenzione comportava un servizio civile sostitutivo che era di durata 57 Per quanto riguarda il concetto di confessione religiosa, la giurisprudenza italiana, basandosi su un criterio storico-sociologico, ha affermato che può considerarsi confessione religiosa solo quella che può vantare un rapporto organico con la realtà sociale italiana: in questo senso il gruppo confessionale dovrebbe radicarsi nell'opinione pubblica formatasi nella società italiana o poter vantare un consolidamento nella tradizione italiana, o dovrebbe avere l'adesione e il concorso stabile di un certo numero di aderenti. Basandosi invece sul criterio basato sulla distinzione tra associazione e confessione, si ritiene che esiste una confessione religiosa soltanto dove esiste una realtà istituzionalmente destinata alla realizzazione del fine religioso o che abbia una propria originale concezione del mondo o che abbia una normazione scritta sufficiente a farne individuare la struttura. Se è priva di questi elementi l'aggregazione confessionale può considerarsi allo stato nascente o può assumere i caratteri di una associazione, ma non può considerarsi una vera confessione nell’accezione costituzionale. Impostazioni simili però vanificherebbero la dimensione liberale e pluralista della Cost., limitando le garanzie costituzionali solo a poche confessioni religiose, già radicate nella società, privandone invece quelle in formazione, che forse più necessitano di tutela. Inoltre insistendo sulla strutturazione istituzionale si escluderebbero quelle confessioni non gerarchizzate né normativizzate, ma tendenti ad organizzarsi secondo uno stile comunitario spontaneo. In antitesi alle impostazioni restrittive troviamo opinioni dottrinali tendenti a cancellare ogni criterio di differenziazione tra confessione e associazioni religiose e ritenendo che rientrino tutte nella generale categoria delle formazioni sociali con finalità religiose; in tal modo il fenomeno associativo religioso sarebbe oggetto di uguale tutela da parte dell'ordinamento. Questa tesi però non tiene conto di un elemento importante che distingue le associazioni dalle confessioni religiose. Anche alle prime compete la libertà di associazione ex 'art.18 Cost, e la libertà religiosa ex ar.19 Cost. Ma alle confessioni religiose compete una libertà qualificata ex art.8, libertà uguale a quella di altre confessioni, diretta a garantire l'assolvimento di funzioni immanenti al modo di essere di una confessione (e che non esistano nell'ambito di una associazione) come il riconoscimento di ministri di culto, di matrimoni celebrati in forma religiosa, di enti ecclesiastici, di partecipare alle trattative pe la stipulazione di Intese, etc. Per questo motivo, la distinzione tra associazione e confessione religiosa sta nella autonomia istituzionale piena che una aggregazione religiosa ha nei confronti di ogni altra aggregazione, essa stessa istituzionalmente autonoma. Quando tale autonomia non esiste, quando cioè un gruppo confessionale si sente parte di una aggregazione più ampia siamo di fronte ad una associazione religiosa.1 Dunque, ci sono due requisiti fondamentali perché lo Stato riconosca l'esistenza di una confessione religiosa:  L’autonomia istituzionale, cioè che sia strutturata, con piena autonomia istituzionale appunto, rispetto ad ogni altra confessione. 1 per esempio una qualsiasi associazione cattolica è parte integrante della Chiesa cattolica, ma ogni associazione religiosa può, se vuole, staccarsi dalla confessione di appartenenza e avviare il processo di formazione di una nuova confessione. 60  L’autoreferenzialità, cioè la volontà soggettiva di considerarsi, ed essere considerata, confessione religiosa a tutti gli effetti. Infatti l’ordinamento non può obbligare nessuna associazione confessionale ad essere confessione religiosa. Questi due requisiti sono i presupposti necessari e sufficienti perché lo Stato, e i poteri pubblici, riconoscano l’esistenza di una determinata confessione religiosa. Allo Stato non competono in linea di principio poteri di sindacato e di controllo sul patrimonio dottrinale o teologico di ciascuna confessione, sarebbe una inammissibile ingerenza nella sfera di libertà che spetta alla confessione ex art.8 Cost. Questo non vuol dire che qualunque gruppo organizzato che si definisca confessione religiosa debba essere riconosciuto come tale dallo Stato. Potrebbe darsi il caso di organizzazioni che mirano solo ad ottenere i vantaggi connessi. L'intera materia confessionale infatti è soggetta sia al cd. principio di verità o di corrispondenza, sia al limite del diritto penale e del rispetto dei diritti umani come si vanno affermando nell’ordinamento internazionale e interno. Quindi quando una struttura qualificantesi confessione cela una realtà diversa viene meno il presupposto per considerarla tale; mentre di fronte a una confessione religiosa che propugni pratiche contrarie ai diritti umani, l’ordinamento dovrà reprimerla. Riconosciuto che si tratti di una vera confessione religiosa, si possono individuare tre livelli di tutela costituzionale: 1) tutela che compete alle confessioni di fatto, cioè quelle che non ambiscono ad alcun riconoscimento civile di carattere generale, perché preferiscono agire sulla base di una normazione minima e di una forte spontaneità di adesioni e comportamenti dei propri fedeli. Le confessioni di fatto si organizzano ed agiscono con gli strumenti delle associazioni non riconosciute ex artt.36 ss. c.c. e sono disciplinate essenzialmente dagli accordi tra gli associati che si traducono di solito in statuti depositati nel registro degli atti pubblici notarili. Se non esistono nemmeno gli statuti manca lo strumento minimo per la riconoscibilità e l'esistenza della confessione passa quasi inosservata. La condizione di confessione di fatto può avere carattere temporaneo, in quanto si attende il momento opportuno per chiedere il riconoscimento, o permanente, in quanto non vuole chiederlo o manca dei requisiti per farlo. Dal punto di vista ordinamentale, la confessione di fatto è una vera confessione cui vanno riconosciute alcune prerogative costituzionali e una condiziona giuridica specifica, cioè i diritti connessi alla eguale libertà ex 1°comma art.8 Cost. (diritto di culto, di propaganda religiosa, di organizzazione comunitaria) e spetta il diritto di chiedere il riconoscimento ex 2°comma. Essa può fruire di quelle disposizioni che fanno riferimento alla natura confessionale senza altra qualificazione. Al quesito se il ministro del culto possa fruire del segreto di ufficio si tende a rispondere di sì ogniqualvolta si rilevi la natura riservata dell’informazione data o ricevuta. 2) tutela che compete sulla base di un riconoscimento giuridico ex art.8, 2°comma, che comporta l'attribuzione di un’ampia serie di diritti e prerogative della confessione in quanto tale, avendo essa ottenuto una collocazione ordinamentale in quanto congrua alla legislazione statale. La confessione riconosciuta può fruire delle prerogative previste dalla L.n.1159/1929 e delle altre connesse al riconoscimento dalla legge civile e penale (in materia di edifici di culto, tutela del segreto, agevolazioni finanziarie, etc). Infine ha il diritto di chiedere l'avvio delle trattative per la stipulazione di un'Intesa con lo Stato ai sensi del 3°comma art.8 Cost. Ai fini del riconoscimento civile, la confessione deve presentare istanza al Ministero dell'interno, allegando copia autentica dello Statuto e altri documenti che illustrano 61 la propria natura e i caratteri essenziali, per consentire la verifica della rispondenza all’ordinamento. Il controllo più penetrante effettuato in sede di riconoscimento di una confessione religiosa è quello previsto dal 2°comma per il quale gli statuti non devono essere contrari all'ordinamento giuridico italiano. Si tratta di un vero e proprio giudizio di congruità, che non entra nel merito dei principi religiosi, ma valuta allo statuto alla luce di principi fondamentali dell'ordinamento giuridico. Un limite invalicabile è dato dalle norme penali e dal rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Al riguardo la Corte costituzionale ha affermato che sia la libertà di adesione sia quella di recesso dall’organizzazione siano da considerare diritti fondamentali. Non sarebbe quindi ammissibile uno statuto che limitasse tali libertà. Non potrebbe poi una confessione religiosa prevedere una soggezione piena degli aderenti agli esponenti dell’organizzazione tale da comportare una limitazione delle loro libertà fondamentali. Non potrebbe, poi, prevedere riti con sacrifici di animali o pratiche violente, e così via altre limitazioni. Nel caso in cui l'amministrazione rilevi un contrasto tra lo statuto di una confessione e l'ordinamento giuridico italiano non si dà luogo al riconoscimento e, se la confessione lo ritiene opportuno, si avvia un processo di revisione o di riforma delle norme statutarie, al termine del quale si procede ad una nuova valutazione di congruità e di conformità. 3) tutela che spetta alle confessioni che, dopo l’avvenuto riconoscimento, chiedono e ottengono di stipulare con lo Stato l’Intesa di cui al 3°comma art.8. L'approvazione della legge che recepisce l'intesa rende non più applicabile alla confessione interessatala legislazione sui culti ammessi (l.n.1159/29) e la confessione religiosa si trova in una condizione giuridica più ricca di prerogative e di diritti, tutti desumibili dal testo di derivazione pattizia. Anche a livello europeo sta emergendo il profilo collettivo della libertà religiosa, con la Commissione europea dei diritti dell’uomo che ha riconosciuto la legittimazione attiva ai gruppi confessionali a ricorrere in nome dei propri fedeli in sede europea per esercitare diritti ex art.9 CEDU, o ancora quando la Corte di Strasburgo ha rilevato che la mancanza di personalità giuridica di una confessione può limitare i suoi diritti. PARAGRAFO 14: NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI. L'ALTERNATIVA TRA DIRITTO COMUNE E LEGISLAZIONE SPECIALE. Gli ordinamenti europei si sono trovati di fronte ad uno sviluppo della fenomenologia religiosa che ha proposto problemi nuovi. Il diffondersi di nuovi movimenti religiosi, estranei alla tradizione giudaico-cristiana, ciascuno con specificità e singolarità, e con capacità di improvvisi radicamenti sociali, provoca a livello sociale allarme e diffidenza, che coinvolge anche persone e istituzioni laiche. Alcuni di questi nuovi movimenti a volte essi esigono una militanza confessionale molto rigida, altre volte gli aderenti a questi movimenti sembrano ridotti in uno stato di sudditanza psicologica che fa loro recidere i legami familiari, provoca comportamenti bizzarri e può giungere fino all'esercizio di pratiche prostitutive, nobilitate da assurde motivazioni. Altri sembrano avere come scopo più l’accumulazione finanziaria che spiritualismo, e altri esercitano una tale pressione psicologica da indurre gli adepti ad atti di estrema violenza. 62 loro carattere essenzialmente filosofico può essere già tutelato ex. Srt.18 Cost. Infine il rifiuto del riconoscimento è sicuramente legittimo quando la dottrina dell’organizzazione che lo richiede risulti essere sostenitrice e propagatrice di principi contrari ai diritti fondamentali dell’uomo o ai valori etici fondamentali per la convivenza civile, su cui si basa la società contemporanea, nonché di pratiche violente nei confronti di tutti gli esseri viventi. PARAGRAFO 15: LIBERTÀ RELIGIOSA E MULTICULTURALISMO. IL PROBLEMA DELLE COMPATIBILITÀ Il problema della multiculturalità e della multietnicità, nelle società occidentali, consiste nel conciliare i valori tradizionali con i comportamenti, gli usi, i costumi di popolazioni e gruppi sociali - che traggono la propria identità da etnie, culture, religioni diverse e lontane rispetto a quelle tradizionali - che inizialmente possono essere sentiti come alieni, e nel respingere quelle pratiche comportamentali che contrastano in modo irreparabile con elementari principi di civiltà. Il problema del multiculturalismo non nasce per il semplice fatto che in occidente si vanno radicando religioni tipiche di altre aree geografiche, ma nasce quando, insieme all'elemento religioso, o a causa dell'elemento religioso, emerge una differenziazione di costumi e tradizioni così forte da incidere sui valori di base condivisi e indiscussi che sono parte essenziale degli ordinamenti occidentali. La problematica del pluralismo religioso (che può essere affrontata in modo più o meno esauriente dalla legislazione ecclesiastica e civile insieme) non va confusa con quella della multiculturalità, la quale sollecita una riflessione più attenta sui limiti di compatibilità che si vengono a determinare; tuttavia le due realtà si intrecciano inevitabilmente. Alcuni problemi che rientrano nella multiculturalità compatibile sono quelli relativi alle festività religiose, la diversità di alimentazione, le pratiche esequiali etc. Gli ordinamenti europei, compreso quello italiano, riconoscono spesso festività religiose per i fedeli di altre religioni, assicurando il diritto ad astenersi dal lavoro, e il diritto di fruire di un’alimentazione diversa in mense pubbliche o private. Problemi più complessi nascono in relazione al trattamento degli animali. Le norme penali generali che lo puniscono dovrebbero risolvere la situazione, in particolare dovrebbero essere proibito sacrificare ritualmente gli animali; ma nella realtà, sia le religioni sia le tradizioni culturali anche europee, devono maturare maggiore civilizzazione sul tema che riguarda la coscienza di tutti gli uomini, senza distinzione di religione o di convinzione. Ad esempio in Gran Bretagna è stata recentemente abolita la caccia alla volpe; in Catalogna è stata abolita la corrida, il che fa auspicare un futuro divieto generalizzato in tutta la Spagna. Si spera dunque che l’evoluzione e l’integrazione porti al superamento di quelle pratiche crudeli ancora esistenti, per motivi religiosi o culturali, sugli animali. Un altro ambito in cui si esprime la multiculturalità è quello di capi d’abbigliamento indossati per motivi religiosi e tradizionali. Esempio più noto è quello dell’uso di copertura del capo o del volto da parte di uomini o donne in virtù della propria fede religiosa o appartenenza etnica. Per la tradizione islamica l’uso del velo ha un fondamento coranico collegato al principio della dignità della donna. Riguardato dal punto di vista dei diritti umani, il velo non dovrebbe incontrare resistenze in quanto rientrante nella sfera delle libertà individuali garantite dall’ordinamento, e costituirebbe un esempio di multiculturalità compatibile. 65 In Francia, dopo una lunga disputa delle autorità pubbliche contro delle ragazze islamiche che intendevano indossare il velo a scuola, nel 2004 è stato proibito l’utilizzo di quest’ultimo, come è stato proibito a chiunque di indossare simboli religiosi che non siano di misura minima, invocando la laicitè dello Stato. Il rigorismo laicista introdotto in Francia ha avuto qualche riscontro in altri Paesi europei, però in linea generale l’Europa non segue questa linea, specialmente l’Italia, nella quale il velo è accolto in base a principi di diritto comune. Un’altra questione riguarda i simboli della religione indiana Sikh, per la quale esiste un unico Dio, che concede ai suoi seguaci di raggiungere la beatitudine seguendo diversi stadi di perfezionamento. Elementi caratteristici della simbologia di questa religione sono il pugnale e il turbante, che devono sempre essere portati addosso in qualsiasi momento. Ciò potrebbe causare dei problemi in ambito lavorativo, civile o penale, ma la tendenza è per l’accettazione di tali simboli, seppure in alcuni casi con temperamenti. Infatti anche se, sia la questione dei simboli Sikh sia quella del velo per le donne islamiche possono essere incompatibili in situazioni particolari (ambienti di lavoro che impongano divise o particolari mansioni, guida di autoveicoli che impongano il casco etc), ci si trova comunque di fronte a una problematica che può essere affrontata nel quadro di compatibilità di principio, salvo regolare situazioni particolari nelle quali la ragionevolezza può contemplare specifici divieti. Un altro terreno di controversie è quello che riguarda la controversia, avviata in Italia da cittadini di religione islamica contro la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, considerata contraria al principio di eguaglianza dei culti e al diritto di libertà religiosa dei cittadini. Muovendo da una concezione rigidamente laica, l’eliminazione di simbologie religiose sembra la misura più coerente da adottare. Tuttavia in un’epoca caratterizzata dalla multiculturalità, questa strada finisce col confliggere con le esigenze interculturali che tutti sembrano voler difendere. Una volta eliminato un simbolo religioso infatti, non se ne potranno più ammettere altri, neanche indirettamente; in sostanza neanche il velo islamico, o la preghiera in pubblico dovrebbero essere permesse. Ne deriva che la laicità mortificherebbe la multiculturalità, verrebbe alterato lo stesso principio di laicità costruito in Europa e si spezzerebbe l’equilibrio reciprocamente rispettoso di tutte le fedi. La realtà è che il concetto stesso di multiculturalità non è ancora stato assimilato giuridicamente e intellettualmente. Il rispetto della diversità non è diretto soltanto alle culture di minoranze, ma a tutte le culture presenti in un contesto nazionale, e il rapporto interculturale non implica né privilegio per le culture minoritarie né sacrificio per quelle maggioritarie. Ciò vuol dire che la presenza di un simbolo religioso, di qualsiasi confessione sia, non è incompatibile con la laicità dello Stato, anzi impostare la questione in termini di divieti vorrebbe dire privare il principio di laicità della sua dimensione liberale e di accoglienza. Si può concludere che in una società multiculturale nessuno dovrebbe sentire lesa la propria sensibilità, o libertà religiosa, dalla presenza di una qualsiasi simbolo religioso in strutture sociali e pubbliche. (* v. par. 18) PARAGRAFO 16: MULTICULTURALITA’, LAICITA’, DIRITTI UMANI. PRINCIPI INDEROGABILI, INCERTEZZE CULTURALI E GIURISPRUDENZIALI 66 Diversa è la situazione quando la multiculturalità chiama in causa, negandoli o avvilendoli, i diritti umani fondamentali, l’eguaglianza uomo donna, i principi basilari della convivenza. I processi migratori hanno fatto evidenziare situazioni di questo tipo, dettate da precetti e pratiche religiose, da tradizioni storiche o culturali di varie etnie. Si può trattare di pratiche mutilative del corpo, del matrimonio poligamico che viola la parità tra i sessi, e così via. Da un punto di vista formale, i nostri ordinamenti hanno le leggi idonee ad affrontare tali situazioni in modo chiaro, ma nella pratica occorre tener conto della complessità della situazione e guardare, oltre che del profilo repressivo, anche a quello preventivo, teso a far maturare nei soggetti interessati la consapevolezza della gravità di determinate azioni. Il primo degli esempi di multiculturalità non compatibili con i diritti della persona riguarda la pratica dell’infibulazione, cui vengono sottoposte le donne, spesso in tenera età, e che consiste nell'asportazione della clitoride e nella parziale cucitura delle grandi labbra. Questa pratica non ha una vera motivazione religiosa, ma riflette piuttosto la mentalità arcaica che vede nella donna una sorta di proprietà esclusiva dell'uomo, priva del diritto ad una propria sessualità. Non c’è dubbio che, nella loro materialità e nei conseguenti effetti corporei queste pratiche integrano il reato di lesioni volontarie ex art.582 c.p. e risultano contrarie a convenzioni e dichiarazioni internazionali sui diritti umani, e in questo senso in Italia già si sono avute delle sentenze di condanna. A queste e altre previsioni la legge accompagna l’indicazione di un programma informativo e di assistenza nei confronti delle vittime. Proprio questo intreccio tra condanna e prevenzione costituisce il mezzo attraverso cui si possono affrontare alcune incompatibilità multiculturali. [Quanto alla pratica della circoncisione, questa è prevista soprattutto in ambito ebraico e musulmano, ma in questo caso è del tutto assente il danno alla salute e manca ogni prospettiva di invalidità permanente e gravi per la persona. Quindi tale pratica è ammessa, ma non deve essere fatta a carico della collettività e preferibilmente bisognerebbe ricorrere a medici privati]. Altra tradizione confliggente con il nostro ordinamento è la poligamia, la quale, seppure in regresso, è consentita dal diritto islamico, mentre nel mondo occidentale incontra lo sbarramento della struttura monogamica del matrimonio. La poligamia viola gravemente il principio di uguaglianza tra uomo e donna ponendo l'uomo in una condizione di superiorità rispetto alle sue mogli. Fermo restando che vige in occidente il divieto della poligamia, si deve tener conto di un fenomeno di rilevanza indiretta, almeno a determinati effetti, della famiglia poligamica che potrebbe in futuro portare ad un’accoglienza più ampia. Il punto di partenza di per la comprensione di tale fenomeno è il principio di diritto internazionale privato, per il quale il matrimonio celebrato all’estero secondo la legge nazionale degli interessati non può essere contestato, e può produrre determinati effetti nel Paese nel quale le parti si siano trasferite e si trovino a vivere. Su queste basi Francia e Germania hanno riconosciuto, per via giurisprudenziale, diritti patrimoniali e agevolazioni fiscali a soggetti di una famiglia poligamica (es. assegno di mantenimento per la seconda moglie). Questi esempi mostrano come, attraverso provvedimenti che estendono alla famiglia poligamica determinati diritti sociali, si possa delineare una condizione giuridica di non totale estraneità dei rapporti poligamici rispetto alla legislazione occidentale. Problemi sono suscitati anche dalla poligamia di fatto, che vede la donna succube di una condizione alla quale non può sottrarsi per paura di ritorsioni o per 67 confessione religiosa, ed impedisce tuttora che gli islamici costituiscano collettività organizzato con propri organismi dirigenti. Per agevolare l’integrazione dell’Islam alcuni Stati hanno seguito metodologie nuove, intervenendo direttamente per favorire la formazione di strutture rappresentative delle comunità islamiche capaci di interloquire con lo Stato. Questi tentativi hanno messo in moto un processo di aggregazione, almeno per alcune comunità islamiche, ma non sono riusciti a fare di esse realtà confessionali unitarie, né a conseguire l’obiettivo dell’integrazione complessiva dell’Islam nel loro tessuto sociale. Alcuni Paesi europei infatti sono connotati da esperienze similari per quanto riguarda i tentativi di integrazione islamica: Francia, Spagna, Belgio, Germania, hanno tentato di creare organizzazioni unitarie rappresentative dell’intera comunità islamica, tali da consentirle il dialogo con lo Stato e fruire di prerogative e riconoscimenti; ma il tentativo è sempre fallito, gli obiettivi non sono mai stati veramente conseguiti e processo di unificazione si è rivelato impraticabile per la persistenza di divisioni interne, contrapposizioni tra componenti più moderne e componenti tradizionaliste dell’islamismo che non riescono a convivere nella stessa struttura, per cui il panorama dell’Islam continua ad essere composito e conflittuale. Dunque quasi in nessun Paese europeo l’Islam è riuscito a strutturarsi autonomamente con organizzazioni che rappresentino le comunità musulmane nel loro complesso, e anche dove esistono aggregazioni consistenti, parte del mondo musulmano resta articolato in altre associazioni autonome che seguono orientamenti diversi. L’Italia si trova in una situazione caratterizzata da due elementi. Lo Stato non può intervenire direttamente e creare una struttura rappresentativa dell’Islam, perché confliggerebbe con la Costituzione che afferma il diritto di ogni confessione di organizzarsi liberamente secondo propri Statuti, purché non confliggenti con i principi dell’ordinamento giuridico; dall’altro lato in Italia la realtà islamica appare ancor più disomogenea e debole rispetto agli altri Paesi per cui la prospettiva di una sua aggregazione unitaria sembra ancor più utopistica. Alcune organizzazioni musulmane sono state costituite (alcune più integraliste se non quasi fondamentaliste, altre a difesa dei diritti delle donne e a favore di un’integrazione piena dell’Islam) creando una realtà variegata e frammentata, nella quale lo Stato italiano ha cercato di mettere in moto un processo di integrazione dell’Islam italiano che favorisse la reciproca conoscenza delle comunità musulmane e una loro interlocuzione con le istituzioni. Nel 2005 il Ministro dell’interno Pisanu istituisce la Consulta per l’Islam italiano, che costituisce la prima esperienza attraverso la quale alcuni esponenti islamici entrano in contatto tra loro e stabiliscono una rapporto con le istituzioni per individuare esigenze sociali, culturali e religiose dell’immigrazione musulmana; essa svolge in sostanza un ruolo promozionale. Nel 2006 il Ministro dell’Interno Giuliano Amato realizza una svolta proponendo una Carta dei valori che contenga i principi che devono essere rispettati da tutti, e costituisca un punto di riferimento per i soggetti dell’immigrazione. Si consolida così la differenza tra l’esperienza italiana e quelle di altri paesi europei, e il documento opera una scelta di rifiuto dell’ideologia multiculturalista che privilegia le identità religiose ed etniche a discapito dei diritti individuali, ed elabora una piattaforma in sintonia con i principi costituzionali e con le carte internazionali dei diritti umani. Su questa base sono affrontati i problemi della multiculturalità, si afferma il rispetto dell’eguaglianza 70 uomo donna, la libertà religiosa, la libertà di cambiare orientamento, di indossare il velo, la contrarietà alla poligamia, ad ogni forma di violenza e al burqua. La Carta dei valori diviene lo spartiacque tra una fase in cui ciascuno risolve come meglio crede i problemi della multiculturalità, e una fase nella quale si affermano principi e valori inderogabili che non ammettono eccezioni. Essa provoca effetti immediati nella realtà islamica dell’immigrazione, una parte esprime la piena adesione al documento, un’altra parte afferma che la Carta debba essere integrata e modificato e lasciano intravedere ostilità ai principi della modernità e della laicità. Matura in questo quadro la decisione di favorire il riconoscimento giuridico dell’Islam; lo Stato si impegna a sostenere le comunità musulmane che diano inizio ad un processo di organizzazione statutaria, ne rispetto dei principi costituzionali. La specificità italiana si manifesta così su due versanti: da un lato alcuni gruppi musulmani si pronunciano a favore di una Federazione dell’Islam Italiano che sia una vera confessione religiosa, e decidono di lavorare insieme per darsi uno Statuto valido ex.art.8Cost; dall’altro lato lo Stato offre un sostegno perché l’elaborazione autonoma dei musulmani non subisca influenze esterne e giunga a conclusioni elaborate e accettate liberamente dai medesimi. Negli incontri effettuati a tale scopo si cerca di individuare quali passaggi possano portare ad un’aggregazione musulmana unitaria in vista di una regolarizzazione dei rapporti con lo Stato. Il primo aspetto riguarda le ambiguità di alcune organizzazioni musulmane legate a concezioni arretrate della religione e impediscono di pensare ad una struttura rappresentativa unitaria dell’Islam italiano; il secondo aspetto attiene ad associazioni musulmane che vivono in microcosmi locali che non spingono alla convergenza per raggiungere determinati obiettivi. Per la nascita della Federazione i soci fondatori ritengono opportuno verificare quali e quanti siano i soggetti della realtà musulmana interessati a conseguire questo obiettivo, ed avviano diversi incontri con associazioni, singole personalità etc. a conclusione di questo lavoro i soci elaborano e approvano nel 2008 una Dichiarazione d’intenti, inviata al Ministro dell’Interno, nella quale si individuano le linee direttrici di questo progetto; essa formula un giudizio positivo sulla Carta dei valori e nel testo sono riaffermati i principi di libertà religiosa, uguaglianza e diritti umani spettanti a tutti, cittadini e immigrati, e conferma anche il carattere positivo e accogliente della laicità dello Stato che favorisce la convivenza di tutte le religioni che promuovano i diritti e la dignità della persona. Il documento prosegue prospettando l’obiettivo dei firmatari di costituire una Federazione dell’Islam Italiano, soffermandosi sulle sue finalità: riconoscere il valore della sacralità della vita e difendere la persona umana contro violenza, razzismo, disprezzo; agire nel rispetto del diritto di libertà religiosa ed eguaglianza tra uomo e donna; risolvere problemi specifici come la regolamentazione delle moschee e la formazione degli imam spesso priva dei requisiti per svolgerla questa funzione in una società laica; garantire autonomia da ogni ingerenza e rifiutare collegamenti con organizzazioni integraliste o fondamentaliste. Gli autori affermano poi che si tratta dunque della formazione di un’aggregazione che costituisce un obiettivo di interesse generale e che lo Stato è interessato alla regolarizzazione dell’Islam sulla base dei principi costituzionali perché in tal modo molti immigrati possono inserirsi più agevolmente nella società e si può evitare il pericolo di divisioni e contrapposizioni tra gruppi religiosi. Tuttavia il progetto non conosce ulteriori sviluppi, salvo l’istituzione nel 2010 da parte del Ministro dell’Interno Maroni del Comitato consultivo teso all’approfondimento dei temi di consulenza legati all’immigrazione; ma in esso non 71 si parla più del progetto di aggregare l’Islam in vista di un riconoscimento ex art.8 Cost. Così, seppure nella sua specificità, anche in Italia, come è avvenuto negli altri Paesi europei, il tentativo di dar vita ad una rappresentanza unitaria dell’Islam è per il momento fallito. PARAGRAFO 18: EUROPA, LIBERTA’ RELIGIOSA, MUTLICULTURALITA’. LA QUESTIONE DEI SIMBOLI RELIGIOSI I processi di integrazione europea hanno inciso positivamente sulla tutela dei diritti di libertà; in essi alcune sentenze della Corte di Strasburgo hanno avuto un ruolo riequilibratore, altre sono invece sembrate eccessivamente moderate. Questa oscillazione si è riproposta di recente sulla questione dei simboli religiosi negli spazi pubblici, anche se un grande intervento della Grande Chambre del 2011 ha riequilibrato la pronuncia di primo grado di Strasburgo. Infatti con la sentenza del 2009 la Corte di Strasburgo aveva ritenuto che l’esposizione del Crocifisso nell’aula di una scuola pubblica italiana violasse la libertà religiosa e con essa la libertà dei genitori di educare i propri figli, garantita dalla CEDU. Tale sentenza, se confermata in secondo grado, avrebbe avuto un valore di principio e sarebbe valsa come precedente per escludere i simboli religiosi dagli spazi pubblici di tutti i Paesi europei. Per questo motivo, di fronte alla Grande Chambre le tesi favorevoli alla presenza del crocifisso sono state supportate da molti Stati, e di fatto la Grande Chambre ha ribaltato le conclusioni del giudizio di primo grado. Le obiezioni alla sent.2009 sono state numerose; si è fatto ad esempio riferimento al principio di sussidiarietà, per il quale l’UE rispetta lo status di cui le Chiese e le comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale. Da ciò deriva che non esiste una definizione comune e univoca di laicità. Un’altra critica imputa alla sent.2009 di ignorare sia i principi delle Carte internazionali sui diritti umani, sia la realtà della scuola italiana. Apertasi al pluralismo religioso e ideali. Dunque, lungi dal costituire un simbolo propagandistico o condizionante, il crocifisso rappresenta nella scuola un segno della tradizione cristiana, e convive con la presenza di altri simboli religiosi, e di soggetti confessionali che in piena libertà partecipano alle attività culturali destinate ai ragazzi e alla loro formazione. Per queste ragioni, è di grande rilievo la pronuncia della Grande Chambre di Strasburgo del 2011, perché ha ribaltato la pronuncia di primo grado e ha accolto le tesi di chi ritiene coerente con il principio di laicità la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche. La Grande Chambre rileva in primo luogo che rientra nel margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati la valutazione della presenza di un simbolo religioso come il Crocifisso; ma soprattutto osserva che l’ambiente scolastico italiano è caratterizzato da un clima pluralista e aperto a più identità religiose, che dà spazio a diverse religioni, l’insegnamento della religione cattolica è facoltativo, non vi sono divieti per il velo islamico o per altri simboli religiosi, si tiene conto delle esigenze delle minoranze. Ha concluso la Grande Chambre che, in un ambiente laico e pluralista, la presenza del crocifisso, coerente con la nostra tradizione storico-religiosa, non ha valore condizionante per la coscienza degli alunni, ma costituisce il riflesso di una realtà culturale che anche gli atti istitutivi delle istituzioni europee dicono di voler rispettare e tutelare. La questione del crocifisso, anche per la difformità delle due sentenze, è stata oggetto di un intenso dibattito dottrinale. Mala problematica relativa ai simboli 72 Più recente è stato il tentativo di favorire le “teorie del gender”, che vedono nella differenza tra uomo e donna un dato culturale anziché antropologico; e si sviluppa nelle scuole ove si vuole introdurre un’educazione sessuale che cancelli gli stereotipi legati alla coppia uomo-donna, e si sostituisca all’educazione dei genitori e della famiglia. Così facendo però si contraddicono ancora le Carte internazionali che limitano l’intervento dello Stato e garantiscono l’educazione domestica. Infatti un principio cardine della cultura liberale riconosce il diritto dei figli di essere educati da padre e madre. La rivoluzione antropologica investe anche le religioni con le sue innovazioni. Il panorama che si riscontra a livello confessionale è molto frastagliato. Il panorama delle Chiese protestanti è molto vario. Pur con forte opposizione interna, alcune Chiese luterane accettano in Europa il matrimonio omosessuale e lo celebrano religiosamente, come in Danimarca, dove è prevista anche l’adozione per le coppie gay, e in Finlandia. La Chiesa anglicana è invece restìa ad accettare una svolta così radicale in tema di matrimonio e di adozioni. Per la Chiesa evangelica italiana la concezione biblica dell’essere umano è ostacolo per accettare le nuove pratiche procreative e matrimoniali, perché l’omosessualità rappresenta una negazione delle potenzialità dell’essere umano. La Chiesa Valdese e Metodista italiane si sono pronunciate a favore dell’omosessualità come forma di amore interpersonale, e del matrimonio omosessuale, oggi accolto e benedetto anche religiosamente. Insieme a queste posizioni, si registrano quelle delle altre Chiese protestanti, ortodosse, cattoliche, che vivono l’evoluzione della tolleranza, del rispetto per ogni scelta sessuale, ma non accettano di integrare nell’istituto matrimoniale relazioni sessuali che non siano aperte alla filiazione. La maggioranza delle Chiese evangeliche americane è fermamente contraria al matrimonio omosessuale e alle conseguenze di tipo familiare che ne deriverebbero. Riguardo la Chiesa cattolica, il magistero pontificio degli ultimi decenni ha messo in guardia contro i rischi delle teorie del gender che inducono a stravolgere l’ordine naturale dei rapporti interpersonali e declassano l’istituto familiare e la sua funzione di formazione delle nuove generazioni. L’ebraismo ortodosso interpreta ancora oggi l’omosessualità come una pratica che esprime il disprezzo della legge di Dio, e solo recentemente ha modificato l’approccio tradizionale appoggiando la parità civile per i gay e deplorando la violenza contro di loro, pur ribadendo la prescrizione per l’eterosessualità. Nel Buddismo, che tradizionalmente si potrebbe ritenere contrario alle teorie del gender perché diffidente verso la sessualità in generale all’interno nel cammino di perfezionamento spirituale, sono in crescita le posizioni favorevoli alle nuove pratiche procreative e matrimoniali; la linea direttrice prevalente sembra legata al concetto di neutralità verso le attitudini sessuali individuali e verso il matrimonio, neutralità che quindi può estendersi al matrimonio omosessuale che non trova ostacoli dottrinali specifici. In conclusione, si è di fronte ad un tumultuoso cambiamento di orizzonte e di mentalità, in ambito laico e religioso, che amplia gli spazi della libertà individuale. Il rischio è che si finisca per accentuare la lettura edonistica dei diritti umani proclamati nel ‘900, e per negare o violare proprio i diritti dei minori, costretti a subire scelte degli adulti che possono influire sulla loro esistenza. PARAGRAFO 21: L’OBIEZIONE DI COSCIENZA. EVOLUZIONE E REGRESSI 75 Le innovazioni in materie eticamente sensibili hanno avuto un riflesso giuridico sul tema dell’obiezione di coscienza, che coinvolge direttamente il diritto di libertà religiosa. L’obiezione si ritrova nei regimi democratici; le democrazie prevedono con questa un istituto giuridico che non è finalizzato a cambiare la legge, ma consente di non osservarla a chi sente intimamente di non obbedire. Si tratta di una salvaguardia residuale della coscienza di fronte a normative contestate. Essa conosce notevole sviluppo nel 900 con l’obiezione al servizio militare, la quale porta negli anni ’60 e ’70 a una trasfigurazione dell’istituto giuridico, e l’obiettore è visto come interprete di valori che anticipano il futuro, egli rifiuta il servizio militare per costruire la pace. Questa obiezione finisce quindi con l’essere la prefigurazione di un’umanità nuova, liberata dalla guerra. All’obiettore non violento si contrappongono coloro che accettano il servizio militare convinti che la difesa del proprio paese meriti un intervento anche bellico. Il valore dell’obiezione si è riproposto di recente in relazione alle cd. leggi ingiuste realizzate in ambito di bioetica e famiglia. È il caso dell’obiezione all’aborto, che muove da un singolare intreccio di valori. Per l’ordinamento e le Carte internazionali dei diritti umani, la tutela della vita è assoluta, si evita di qualificare l’aborto come diritto, lo si ammette come male minore, riconoscendo però il valore dell’obiezione di coscienza. La legislazione cerca poi di prevenire il ricorso all’aborto con politiche promozionali d’informazione e educazione sessuale. Altre obiezioni di coscienza investono le leggi sull’eutanasia, suicidio assistito, procreazione assistita, maternità surrogata, uso e sperimentazione su embrioni; e di recente emergono contestazioni per l’introduzione delle nozze gay, l’adozione di minori da parte di coppie omosessuali, insegnamento obbligatorio di materie che invadono la sfera etica e sessuale limitando il diritto dei genitori di educare la prole. In tutti questi casi siamo di fronte a una forte affermazione di valori etici, primo quello della vita. Un contrasto di valori emerge anche di fronte alle pratiche connesse alla sperimentazione animale o alla vivisezione. Il valore testimoniato dagli obiettori è in questo caso diretto a evitare sofferenze gratuite agli esseri umani, a prefigurare una società che stabilisca equilibri nuovi tra le diverse specie viventi. Si sono poi moltiplicate un po’ dovunque ipotesi obiettorie varie, che riflettono un forte elemento soggettivo: come le obiezioni fiscali di chi non intende versare imposte destinate a determinati scopi quali spese militari, sovvenzione a strutture che praticano l’aborto etc. Un altro campo di obiezioni di coscienza è quello relativo a determinati trattamenti sanitari, come ad esempio il rifiuto di trasfusioni per i Testimoni di Geova in virtù dell’interpretazione di alcuni passi biblici. Il conflitto in questi casi trova possibilità concreta di accoglimento perché la legge non obbliga ad accettare trattamenti sanitari che non si condividono. Però insorge nuovamente in caso di minori, quando è in gioco la vita, perché la legge non consente si possa decidere per altri (incapaci di agire) mettendone a rischio la vita. Esistono poi obiezioni di coscienza per le vaccinazioni obbligatorie, o l’obiezione del farmacista nei confronti dei mezzi contraccettivi. A volte queste e altre forme minori di obiezione di coscienza trovano accoglienza. In Spagna è stata parzialmente accolta l’obiezione di un farmacista che si è rifiutato di dare la pillola del giorno dopo invocando in conflitto interiore che ciò gli generava; ma col relativo contemperamento: il diritto della donna di poter accedere a farmaci anticoncezionali altrove. Non è stata invece riconosciuta l’obiezione a dispensare altri strumenti contraccettivi. 76 Negli USA è stata, in ultimo grado di giudizio, accolta la richiesta di un detenuto di farsi crescere la barba oltre i limiti consentiti dal regolamento carcerario, limiti finalizzati alla riconoscibilità dei detenuti; pronuncia motivata dal fatto che ci sono altri mezzi per raggiungere l’obiettivo della riconoscibilità. Gli obiettori aumentano anche in ambito lavorativo; per motivi classici: ad esempio quando si rifiuta di lavorare in una giornata festiva o di partecipare alla lavorazione di materiale bellico o immorale. Avviatisi su questa strada, le possibilità di ulteriori obiezioni sono assai numerose. Di recente si registra un’inversione di tendenza relativamente alle obiezioni di coscienza basate su valori primari, rivolte a contestare le nuove leggi elaborate in materia di famiglia, sessualità, tutela della vita. Un caso specifico in Spagna, dove il Supremo Tribunale ha negato l’obiezione di coscienza nei confronti dell’insegnamento di Educazione alla cittadinanza, con il quale le recenti trasformazioni legislative in materia di sessualità, nozze gay, aborto etc. sono prospettate come valori da promuovere. Il tribunale ha respinto la doglianza negando che un insegnamento del genere violi il diritto di educazione dei genitori verso i figli. In Francia, dopo la recente introduzione dei matrimoni gay del 2014, si è negata l’obiezione di coscienza ai sindaci. In Olanda si è introdotto l’obbligo per i Comuni di assumere per lo Stato Civile solo funzionari disposti a registrare matrimoni gay, cioè che garantiscano di non fare obiezione di coscienza. Infine si è avviata una progressiva corrosione dell’obiezione di coscienza all’aborto, mediante la crescente ingerenza di organismi sovranazionali nelle politiche di singoli Stati, invitando chi non l’ha fatto a legalizzare l’aborto, cercando di trasformare la possibilità di abortire in un vero e proprio diritto umano. Nel 2010 al Consiglio europeo viene avanzata la proposta per la revoca del diritto di obiezione di coscienza, e per l’impostazione dell’obbligo del personale sanitario di partecipare direttamente alle pratiche abortive, allo stesso tempo riafferma però che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile, o discriminata, per il suo rifiuto a partecipare all’aborto. Nel 2012 il Consiglio dei diritti dell’uomo dell’ONU ha previsto che in ogni piano nazionale sia assicurato l’accesso agli interventi essenziali per la salute, includendo l’aborto. Nel 2014 il Parlamento francese con una Risoluzione definisce l’aborto un diritto fondamentale della persona, e sulla stessa scia di pensiero si allinea il Parlamento europeo nel 2015 auspicando il controllo dei diritti sessuali attraverso una agevole ricorso alla contraccezione e all’aborto. Il punto dolente in conclusione riguarda il fatto che se l’aborto diviene un diritto umano fondamentale, sminuirà il valore assoluto della vita umana riconosciuto dalle Carte dei diritti umani, e indurrà a contrastare l’obiezione di coscienza dal momento che questa violerebbe l’esercizio di un diritto della persona. CAPITOLO TERZO: ISTITUZIONI RELIGIOSE E RAPPORTI CON LO STATO PARAGRAFO 1: CHIESE E CONFESSIONI RELIGIOSE NELLA TRADIZIONE ITALIANA UNITARIA Lo statuto Albertino del 1848 affermava, all'art.1, che “la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato. Gli altri culti erano solo tollerati conformemente alle leggi”. Tuttavia varie leggi di poco successive enunciarono il principio generale di eguaglianza secondo cui la differenza di culto non forma 77 Per quanto riguardala disciplina costituzionale dei rapporti con la Chiesa cattolica, il richiamo ai Patti Lateranensi indica chiaramente che lo Stato ha accettato la soluzione storica della questione romana e non intende riaprirla se non attraverso accordi bilaterali che apportino modifiche alla formulazione originale di patti del 1929. La dottrina ha fatto discendere dalla disposizione costituzionale ulteriori conseguenze: alcuni autori hanno visto nel 1°comma art.7Cost. l'obbligo costituzionale per lo Stato di disciplinare i rapporti con la Chiesa in termini concordatari, in quanto, riconoscendosi reciprocamente i due enti come sovrani, non possono che definire le proprie relazioni mediante apposite pattuizioni. Alcuni autori invece hanno voluto trarre dal principio di estraneità tra Stato e Chiesa il corollario per cui le materie non regolate dallo Stato sarebbero automaticamente regolate dalla Chiesa e dal diritto canonico; opinione errata perché la sovranità della Chiesa va riferita solo alla sua struttura, non ai singoli soggetti dello Stato. Dal punto di vista istituzionale la Chiesa è sovrana e lo Stato non può interferire o imporle modifiche normative o scelte di alcun genere; ma quando i singoli soggetti della Chiesa, agiscono nell’ordinamento italiano sono soggetti alla sovranità dello Stato, salvo i limiti previsti dai Patti lateranensi. Per quanto invece riguarda la disciplina costituzionale delle confessioni diverse dalla cattolica, strutturalmente e giuridicamente le confessioni acattoliche non costituiscono degli ordinamenti primari, e ciò non implica per loro alcuna discriminazione, perché sono le confessioni stesse che non hanno mai preteso di essere considerate soggetti di diritto internazionale e quindi ordinamenti sovrani al pari dell'ordinamento dello Stato. Ne consegue che lo Stato instaurerà relazioni con esse all'interno del proprio ordinamento, utilizzandolo strumento dell'Intesa i cui contenuti entrano a far parte dell'ordinamento italiano attraverso una legge di approvazione. Gli statuti delle confessioni non cattoliche non possono superare il limite della contrarietà all’ordinamento italiano. PARAGRAFO 3: I PATTI LATERANENSI E LA LORO RIFORMA L’art.7 Cost. è stato interpretato inizialmente in modo tale da accentuare le differenze tra gli accordi con la Chiesa cattolica e le Intese con le altre confessioni religiose. Con il tempo queste differenze si sono attenuate, fermo restando però che: - I Patti lateranensi sono atti contrattuali tra enti paritari, e sono soggetti quindi alle norme di diritto internazionale, - Le Intese sono atti contrattuali compiuti ed elaborati all’interno dell’ordinamento dello Stato e riguardano soggetti giuridici (Stato e confessioni) qualitativamente diversi. Le prime interpretazioni dell'art.7, risentendo fortemente del clima neo- confessionista dell'epoca (1950), danno alle norme dei patti lateranensi una collocazione ordinamentale privilegiata, in alcuni casi addirittura superiore a quella delle norme costituzionali. Ciò anche in contrasto con le intenzioni dei costituenti, secondo le quali queste norme non entrano affatto nella Costituzione, basta considerare la distinzione tra norme materiali (che disciplinano un fatto o un rapporto) e norme strumentali (o norme sulla produzione giuridica, che definiscono soltanto attraverso quale iter devono essere prodotte altre norme). L’art.7 è una norma strumentale o sulla produzione giuridica, essa stabilisce che le eventuali 80 norme dirette a modificare le norme contenute nel Trattato o nel Concordato devono essere prodotte attraverso un determinato iter, cioè l’accordo bilaterale. Invece, le prime interpretazioni dell’art.7 hanno elaborato la tesi dottrinale della costituzionalizzazione dei Patti lateranensi, secondo cui le norme di tali Patti assurgono a livello di norme costituzionali. Per una serie di ragioni: - Parte della dottrina ha preso spunto dal fatto che l'art.7 Cost., invece di fare riferimento ad un generico regime pattizio, richiama espressamente i Patti Lateranensi, dandogli una forza costituzionale che prima non aveva. Infatti prima della Costituzione i Patti lateranensi, dal punto di vista del diritto interno, erano entrati a far parte dell'ordinamento attraverso la legge 810/1929, che poteva essere modificata o abrogata unilateralmente dal legislatore con le stesse forme e procedure con i quali era stata approvata, anche se ciò avrebbe comportato l’inadempienza internazionale dell’Italia. Ora invece avendo richiamato direttamente ed esplicitamente i Patti Lateranensi nell'art.7, la Costituzione avrebbe tolto significanza alla legge 810/29 e dato rilevanza alle norme di Patti che sarebbero state inserite direttamente nella costituzione. - Allo stesso risultato è giunta altra dottrina argomentando dalla formula costituzionale che ha previsto che le modifiche di patti lateranensi, se accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale. Infatti si osservò che nel nostro ordinamento le uniche norme che non richiedono procedimento di revisione costituzionale sono appunto le norme costituzionali e le altre leggi costituzionali. Di conseguenza il procedimento speciale predisposto per la riforma dei Patti lateranensi eleva le disposizioni di questi allo stesso livello della Costituzione. - Ancora si è ritenuto che, una volta ammesso che le singole norme pattizie sono entrate a far parte della costituzione, bisogna riconoscere che esse siano disposizioni speciali rispetto alle norme costituzionali che per loro natura sono di carattere generale. In base al principio ermeneutico “lex specialis derogat generali” le norme pattizie prevalgono sulle comuni norme costituzionali e non possono pertanto essere abrogate sulla base del sindacato di costituzionalità. In sostanza, secondo tale interpretazione, le norme di patti hanno finito con l'assumere un rilievo superiore alla stessa Costituzione. Altri autori respingono questa tesi, che oltre a confliggere con le risultanze dei lavori preparatori della Costituzione, perviene a risultati assurdi, e sostengono che essa abbia trascurato un elemento decisivo del 2°comma art.7, ovvero il fatto che questo, accanto all'ipotesi di procedimento di revisione costituzionale, prevede un altro procedimento, quello ordinario, qualora le modifiche di patti siano accettate dalle parti. Ne discende che il conferimento di rango costituzionale alle singole clausole pattizie contrasterebbe con l’art.138 non essendo possibile ammettere una costituzione che, mentre afferma la propria rigidezza, consenta in modo suriettizio, e per una serie di norme costituzionali, forme di revisione diverse da quelle previse per le altre. In realtà lo Stato, nell'articolo 7, si è impegnato a non tornare più ad un regime separatista, salvo che lo decida una maggioranza qualificata delle assemblee parlamentari (mentre prima lo Stato era libero di mantenere o meno il regime concordatario, dal momento che avrebbe potuto abrogare Patti Lateranensi seguendole regole della prassi del diritto internazionale). L'art.7 è rivolto essenzialmente al legislatore, il quale può modificare i Patti Lateranensi con procedimento ordinario, purché le modifiche siano accettate anche dalla santa sede, oppure con procedimento di revisione costituzionali. In altri termini, l’art.7 81 avrebbe costituzionalizzato soltanto il principio pattizio, il fatto cioè che i rapporti tra Stato e Chiesa devono essere disciplinati per via bilaterale, ma non avrebbe alterato la gerarchia delle fonti e la collocazione che in essa hanno le singole norme dei Patti Lateranensi, che restano norme ordinarie a tutti gli effetti e soggette al sindacato di costituzionalità. Così il costituente ha operato una scelta si favorevole alla Chiesa cattolica, ma anche agli interessi dello Stato italiano: la scelta di non rimettere in discussione il sistema pattizio introdotto nel1929, e dare certezza e stabilità a quelle relazioni ecclesiastiche che nella storia hanno conosciuto divisioni. Lo Stato non potrebbe più, con una semplice maggioranza parlamentare, cancellare il regime concordatario, ma potrebbe farlo soltanto ove si verificassero dei mutamenti profondi della volontà popolare. Questa seconda tesi non è mai stata fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale, la quale solo con una sentenza del 1971 è pervenuta ad un’interpretazione dell’art.7 che, pur discostandosi dalla tesi della costituzionalizzazione dei Patti lateranensi, ha lasciato sopravvenire qualche privilegio per il regime pattizio con la Chiesa cattolica nell’ambito della gerarchia delle fonti. La sentenza del 1971 della Corte Costituzionale ha affermato che l'art.7 ha prodotto diritto, cioè ha creato una situazione nuova rispetto a quelle esistenti nel periodo precedente. L' innovazione non è stata tale da elevare le singole disposizioni concordatarie a livello costituzionale, ma neanche si è limitata soltanto a dare forza costituzionale al cosiddetto principio pattizio, mantenendo i Patti lateranensi a livello delle norme ordinarie. Essa ha fornito, invece, le norme di derivazione pattizia, desumibile dalla legge di esecuzione di patti lateranensi 810/1929, di una capacità di resistenza rispetto alle norme costituzionali, tranne che non si tratti di principi supremi dell'ordinamento costituzionale. Infatti se si verifica un contrasto tra una norma concordataria e i principi supremi dell'ordinamento costituzionale sarà la prima a cedere, mentre se il contrasto c'è con una norma costituzionale che non integra un principio supremo, la relativa disposizione concordataria resisterà con una forza uguale a quella delle leggi costituzionali. In tal modo la sentenza della Corte ha introdotto una distinzione tra norme costituzionali, affermando che soltanto quelle che riflettono principi supremi dell’ordinamento costituzionale prevalgono sulle norme di derivazione pattizia, ed ha collocato queste ultime ad un livello superiore rispetto alle norme ordinarie ed analogo a quello proprio delle leggi costituzionali. La riforma dei Patti lateranensi, avvenuta nel 1984, è stata approvata con procedimento ordinario, dal momento che si trattava di modifiche accettate da entrambe le parti. Si può sostenere di conseguenza che la pronuncia del 1971 della Corte non è più applicabile al nuovo Concordato, essendo stato questo approvato con procedimento tipico di leggi ordinarie. Tuttavia la questione ha perso rilevanza dal momento che la riforma dell’84 ha eliminato molti di quei contrasti che esistevano un tempo tra il contenuto delle norme pattizie e le norme costituzionali. PARAGRAFO 4: LE INTESE CON LE CONFESSIONI DIVERSE DALLA CATTOLICA La Costituzione, con la previsione delle Intese all’art.8 comma 3°Cost. ha cercato di riequilibrare la diseguaglianza di trattamento tra Chiesa cattolica e altri culti esistenti nel regime autoritario ed ha espresso chiaramente un intento risarcitorio nei confronti delle confessioni di minoranza. 82 normativa costituzionale. Queste differenze potranno essere viste più o meno di buon occhio a seconda che si abbia un visione legata alla dinamica della società o una concezione separatista dei rapporti Stato chiesa che vede in ogni differenziazione giuridica la lesione del principio di uguaglianza. Per quanto riguarda i parametri che possono essere utilizzati per legittimare determinate diversità di trattamento o respingerne altre, vengono in rilievo in primo luogo quelle situazioni giuridiche, sovente di carattere istituzionale, che interessano una o più confessioni, con esclusione di altre. Per esempio, la disciplina che riconosce determinate strutture ecclesiastiche presenti solo in alcune organizzazioni confessionali, non lede le aspettative delle altre, così come non viola il principio di eguaglianza il riconoscimento di determinati soggetti che assolvono funzioni specifiche che esistono solo in alcune confessioni. Si pensi ai cardinali o vescovi per la religione cattolica, o gli imam per i musulmani. È evidente che nessuna confessione potrebbe lamentarsi per i riconoscimenti concessi ad altre, in quanto questi non toglierebbero nulla alle garanzie di cui essi fruiscono per la propria specifica organizzazione. In secondo luogo vengono in rilievo i comportamenti tipici dei fedeli di culto, il cui riconosci-mento da parte dello Stato non viola l'eguaglianza dei cittadini dal momento che i fedeli di altri culti non seguono quegli stessi comportamenti (si pensi all’obiezione di coscienza proposta da alcuni culti, regole alimentari di altri culti, astensione dal lavoro per le festività. Ancora, in sede di contrattazione bilaterale, il rifiuto di una confessione religiosa di fruire di un determinato vantaggio giuridico, finanziario o sociale non trasforma perciò stesso questo vantaggio, concesso ad altri, in privilegio illegittimo. Se così fosse ogni religione godrebbe di un potere di veto nei confronti delle altre. Influenzando la loro condizione giuridica. Per esempio alcune confessioni non partecipano alla spartizione dell'otto per 1000 per autonoma decisione, o altre non intendono attivare corsi di insegnamento professionale nelle scuole. Ci sono infine ipotesi nelle quali acquista un residuo rilievo pratico il consenso, maggiore o minore, che una confessione religiosa può vantare rispetto ad altre nell'ambito comunitario. Il consenso e le dimensioni di una confessione di per sé non giustificano una diversa disciplina giuridica per uno stesso ambito di rapporti, ma possono influire sulle modalità concrete di organizzazioni di determinati servizi. Esempio tipico è quello dei servizi di assistenza spirituale nelle strutture obbliganti, nelle quali è previsto che il servizio di assistenza cattolica venga prestato in modo continuativo (con cappellani nelle varie strutture militari, ospedaliere carcerarie etc.), mentre l'assistenza di altri culti viene prestata garantendo il diritto di accesso dei rispettivi ministri dietro specifica richiesta degli utenti. La rilevanza dell'elemento quantitativo può operare anche in senso inverso, cioè provocando un apparente privilegio per i culti di minoranza. Per esempio, spesso la confessione cattolica subisce controlli più penetranti o deve rispettare regole che non sono imposte ad altre confessioni. Anche queste differenziazioni di trattamento non comportano discriminazioni, ma discendono dal fatto che la maggiore rilevanza di un gruppo sociale può indurre il legislatore a chiedere maggiori garanzie per l'espletamento di determinate attività. PARAGRAFO 6: CONFESSIONI RELIGIOSE, ENTI ESPONENZIALI, GUARENTIGIE ISTITUZIONALI 85 Il sistema costituzionale attinente alle confessioni religiose è basato sul principio del loro riconoscimento istituzionale, o del riconoscimento di un loro ente esponenziale. Questo principio si può dedurre dall'art.8, 2°comma Cost., che prevede l'autonomia organizzativa e statutaria delle confessioni, entro i limiti in cui i rispettivi Statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico. Secondo un'opinione dottrinale, le confessioni non hanno, in quanto tali, personalità giuridica, ma agiscono attraverso i loro enti esponenziali ai quali lo Stato riconosce personalità iure privatorum. Il che è esatto a livello comunitario, ma nell’ambito dell’ordinamento civile, in alcuni casi sono proprio le confessioni che chiedono il riconoscimento della personalità giuridica. Per quanto riguardala Chiesa cattolica, essa agisce prevalentemente attraverso la Santa Sede, organo di governo della Chiesa universale, la quale è riconosciuta sia come soggetto di diritto internazionale, capace come tale di entrare in rapporti con lo Stato italiano in nome e per conto di tutte le istituzioni cattoliche, sia come soggetto di diritto privato per le attività di natura privatistica. A seguito del nuovo Concordato del 1984, perla Chiesa cattolica e su delega della Santa Sede, agisce nell'ordinamento interno anche la Conferenza Episcopale Italiana (CEI), che è formalmente ente ecclesiastico civilmente riconosciuto ex legge 222/1985, ma svolge funzioni particolarmente importanti anche nei rapporti con le istituzioni pubbliche. Infatti, compete ad essa: - rappresentare, in subordine alla Santa Sede, gli interessi della Chiesa cattolica italiana nei confronti delle autorità dello Stato e tenere i rapporti con le amministrazioni pubbliche; - partecipare alle trattative e alla stipulazione delle intese previste dal Concordato; - stipulare intese anche su materie non previste dal testo concordatario; - presiedere, con fondamentali funzioni, al nuovo sistema di sostentamento del clero e decidere sulla ripartizione della quota dell'otto per 1000 Irpef. La Chiesa valdese agisce attraverso la Tavola Valdese, che è persona giuridica, ed ha funzioni di rappresentanza e contrattazione con lo Stato o altre istituzioni pubbliche. La Confessione ebraica opera attraverso l’Unione delle comunità ebraiche italiane, ente rappresentativo della confessione ebraica nei rapporti con lo Stato e per le materie di interesse generale; ma ci sono anche delle altre comunità territoriali ebraiche. Più complessa è la situazione per gli altri culti che hanno ottenuto il riconoscimento ai sensi della legge 1159/1929. La legge non parla espressamente di riconoscimento delle confessioni religiose, bensì di riconoscimento degli Istituti di culti diversi da quello cattolico. Su questa base si è affermato l'orientamento per il quale le confessioni in quanto tale non avrebbero nel nostro ordinamento personalità giuridica, ma tale personalità giuridica verrebbe concessa ai rispettivi enti esponenziali. Nei casi in cui lo Statuto riflette pienamente la struttura giuridica e territoriale della confessione religiosa non c'è dubbio che il riconoscimento spetti direttamente a questa (è il caso della Chiesa Evangelica Luterana in Italia). In altri casi ancora, il riconoscimento è stato dato all'ente esponenziale della confessione di riferimento. Guarentigie: le principali guarentigie di libertà ed autonomia istituzionale riconosciute alle confessioni religiose sono definite con formule differenziate dai rispettivi accordi. 86 1. Autonomia dei rispettivi ordinamenti. Il Concordato riproduce il principio di cui al 1°comma art.7 Cost., ovvero la sovranità dello Stato e della Chiesa cattolica ciascuno nel proprio ordine. Le Intese contengono riconoscimenti diversi, sempre per affermarne l’autonomia. 2. Non ingerenza dello stato nelle questioni interne delle Chiese nella loro struttura ed organizzazione: principio cardine dei rapporti Stato e Chiese. Significa che lo Stato e gli enti pubblici non potranno svolgere indagini sulle attività religiose delle confessioni, non potranno interferire nella loro organizzazione interna e non potranno condizionare l'esercizio della potestà giurisdizionale interna. Questi limiti all'intervento dello stato si applicano anche alle attività di religione di culto degli enti ecclesiastici appartenenti alle rispettive confessioni, alle attività dei ministri di culto, ai rapporti di natura religiosa e pastorale che uniscono le confessioni ai rispettivi fedeli. Si tratta dunque di una garanzia che esplica ancor più il generalissimo principio dell’autonomia confessionale, e che per tale motivo, viene espressa nelle diverse Intese con formule amplissime e differenziate. 3. Altra Guarentigia è il riconoscimento della più ampia libertà in materia di esercizio del culto, di svolgimento della missione pastorale, educativa, caritativa, di evangelizzazione, di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Le tre garanzie istituzionali che l’ordinamento assicura alle confessioni religiose – autonomia dei rispettivi ordinamenti, non ingerenza nella struttura e nelle questioni interne delle confessioni, conferma della più piena libertà di svolgere la propria missione – si intrecciano e intersecano reciprocamente, non essendo pensabile che l’autonomia di una confessione sia cosa diversa dalla sua libertà o che non implichi il principio di non ingerenza statale. Nel complesso rappresentano il quadro istituzionale di riferimento dei rapporti istituzionali che il sistema pattizio ha delineato. PARAGRAFO 7: MINISTRI DI CULTO, RAPPORTI CON I FEDELI, SEGRETO MINISTERIALE. Ogni confessione religiosa presenta dei soggetti investiti di funzioni istituzionali particolari, che fruiscono di una speciale condizione giuridica all'interno della confessione e che svolgono un ruolo speciale anche nell'ambiente sociale e esterno. L' ordinamento civile ha sempre riconosciuto ai soggetti confessionali determinati diritti e prerogative e ha previsto anche specifiche incompatibilità con doveri o funzioni pubbliche o sociali. Poiché nelle organizzazioni religiose si rinviene una grande varietà di soggetti qualificati, che svolgono funzioni istituzionali, l’ordinamento civile procede per gradi, prima attraverso una qualificazione generale che riguarda tutte le confessioni, poi attraverso qualificazioni particolari che concernono quei soggetti che possono essere presenti in una o più istituzioni confessionali. La qualifica più generale è quella di ministro del culto, con la quale ci si riferisce ai ministri di qualsiasi confessione che abbiano una potestà spirituale, di magistero o di giurisdizione su una porzione di fedeli o di appartenenti al culto. Ministro del culto è, in pratica, chi, per competenza territoriale o per incarico da parte della confessione, è preposto ad una comunità di fedeli, ha cura d'anime, presiede alla celebrazione di riti ed ha solitamente cura dell'edificio di culto, stabilisce con i fedeli della confessione un rapporto fiduciario e provvede alla diffusione del messaggio religioso proprio della confessione di appartenenza. All'interno di questa 87 altri meno, e si tende a non voler distogliere il ministro del culto dalla sua attività pastorale.  Gli ecclesiastici, i ministri di culto che hanno giurisdizione e cura d'anime e coloro che ne fanno ordinariamente le veci, non sono eleggibili a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale. Con queste incompatibilità la legge ha voluto impedire che l'influenza sociale dei soggetti indicati possa essere utilizzata per ottenere più agevolmente l'elezione o che il ministro nelle funzioni di sindaco possa essere condizionato da autorità religiose superiori o da interessi connessi all’appartenenza religiosa; in sostanza si vuole evitare di favorire un legame troppo stretto tra religione e politica che potrebbe nuocere alla laicità delle istituzioni.  Sempre per impedire che le funzioni ministeriali influiscano sull’assolvimento di determinate mansioni, la legge esclude che i ministri del culto e i religiosi di ogni ordine e congregazione possano essere giudici popolari delle corti d'assise. Questo perché si ritiene che i ministri di culto e i religiosi possano essere condizionati nel valutare certi comportamenti dalle proprie convinzioni morali o si dimostrino eccessivamente inclini al perdono, o carenti di imparzialità.  Una recente normativa ha poi escluso che ecclesiastici o ministri del culto possano esercitare le funzioni di giudice di pace o essere nominati giudici onorari aggregati; ciò anche per non distogliere i soggetti richiamati dai compiti che devono assolvere e dal tipo di vita scelta.  I ministri del culto, poi, non possono assumere l’ufficio di notaio - perché si vuole evitare che il notaio-ministro di culto favorisca gli interessi patrimoniali della confessione di appartenenza influenzando i cittadini quando si accingono a formalizzare determinati atti - né quello di esattore delle imposte - in questo caso sussiste un'intima contraddizione tra la funzione esattoriale e la natura dell'ufficio ministeriale. A livello penalistico:  Tra le aggravanti comuni di un reato, c'è quella di aver commesso il fatto contro un ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello stato (art.61, n.10 c.p.);  È considerata aggravante comune anche l'aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministri di un culto (art.61, n.9 c.p.);  Viene punito anche chi indossa abusivamente l'abito ecclesiastico (art.498 c.p.) e ciò per tutelare la fede pubblica dei privati nella veste ecclesiastica.  Viene sanzionato il comportamento del pubblico ufficiale o del ministro di qualsiasi culto il quale, abusando delle proprie attribuzioni e nell'esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati o a vincolare i suffragi degli elettori a favore o in pregiudizio di determinati liste o di determinati candi-dati o ad indurli all'astensione (Testo Unico per le elezioni alla Camera dei deputati 1957). Esistono poi altre norme, unilaterali o pattizie, che fanno riferimento ai ministri del culto in generale, o a particolari soggetti ecclesiastici o confessionali, che sono essi stessi ministri del culto o svolgono funzioni analoghe in ciascuna confessione.  È prevista la concessione del permesso di soggiorno per consentire l’esercizio delle funzioni di ministro del culto (art.5 L.n.40/1998). 90  Altre disposizioni pattizie definiscono degli indirizzi generali validi per i ministri delle confessioni interessate (es. esonero dal servizio militare)  Tra i soggetti ecclesiastici particolari che la legislazione bilaterale prende in considerazione, troviamo i cardinali e i vescovi. I primi hanno diritto a che non sia ostacolato il loro libero transito ed accesso attraverso il territorio italiano al Vaticano e che non si ponga impedimento o limitazione alla loro libertà personale. Ciò significa che nessun ostacolo deve impedire ad un cardinale di accedere al conclave per assolvere alla sua funzione di elettore. Le medesime norme valgono per i cardinali e per i vescovi quando debba svolgersi un Consiglio presieduto da Papa e i suoi legati.  L’ordinamento giuridico fa riferimento ai ministri del culto di una o più confessioni religiose per molte altre funzioni, come celebrare matrimoni religiosi con effetti civili, svolgere assistenza religiosa nelle cd. strutture obbliganti (carceri, ospedali etc).  Il ministro del culto cattolico, in quanto parroco, è rappresentante della relativa parrocchia e del responsabile dei relativi immobili, compreso l'edificio di culto; in quanto rettore, è responsabile e custode della Chiesa che gli viene affidata; i vescovi, in quanto ordinari del luogo, oltre ad essere rappresentanti dell'ente diocesi, è responsabili della relativa chiesa cattedrale, assolvono ad una pluralità di compiti e funzione di natura gerarchica che hanno rilevanza civile. Riguardo infine la condizione giuridica dei religiosi cattolici, cioè coloro che fanno vita in comune dopo aver emesso i voti pubblici di povertà, castità e obbedienza. Questi voti non hanno rilevanza civile, per cui l’impedimentum votis per il religioso che intenda contrarre matrimonio civile è del tutto irrilevante. Altrettanto nessuna rilevanza civile è riconosciuta all’obbligo di obbedienza ai superiori. Per quanto riguarda il rapporto tra religiosi e istituto di appartenenza sotto il profilo lavoristico, si distinguono due ipotesi:  Il religioso presta la propria attività all'esterno e alle dipendenze di terzi: in questo caso, ogni volta che il religioso mette a disposizione di un terzo le proprie energie lavorative ricevendone un corrispettivo di retribuzione, si è di fronte ad un vero e proprio rapporto di lavoro, nel quale sono presenti i presupposti previsti dalla legge per la sussistenza del rapporto previdenziale. Analogamente, il rapporto di lavoro subordinato sussiste quando si basa sulla convenzione tra il terzo e l'istituto religioso, e riguarda anche le prestazioni meramente spirituali perché la prestazione viene data per utilità del datore di lavoro. Il religioso può in tutti questi casi corrispondere la propria retribuzione all'istituto di appartenenza utilizzando le forme previste dal codice civile, ma non può rinunciare alla retribuzione nei confronti del datore di lavoro. Infatti, qualora la prestazione lo consenta, il relativo rapporto di lavoro può proseguire anche se il religioso si dimette dall'istituto.  Il religioso presta la propria attività all'interno dell'istituto per finalità istituzionali dello stesso istituto. In questi casi non soltanto il religioso non riceve alcuna retribuzione, ma l'istituto non considera questi rapporti come rapporti di lavoro, né sulla loro base provvede ad alcuna forma di contribuzione previdenziale. Da qui il problema che può sorgere al momento dell'eventuale recesso del religioso dall'istituto, perché l'interessato si trova senza mezzi propri di sostentamento e senza che il periodo di attività svolta abbia prodotto alcun frutto retributivo o previdenziale. La dottrina ha cercato di far rientrare queste attività in uno schema 91 lavoristico, allo scopo di tutelare i religiosi che recedono dall'istituto. Secondo una corrente dottrinale, sussiste un rapporto di lavoro subordinato ogni volta che l'istituto svolge un'attività rilevante per l'ordinamento dello Stato, che abbia cioè carattere economico ed extra ecclesiastico. In questo caso infatti opererebbe il principio previsto dalla l.n.2222/1985, secondo cui le attività diverse da quelle di religione e di culto sono soggette alle leggi civili che le disciplinano. Secondo un'altra interpretazione, la relazione speciale che unisce il religioso all'ente di appartenenza è tale da legittimare e giustificare la rinuncia alla retribuzione per tutto il periodo di appartenenza del singolo all'ente. Quando però questa relazione si interrompe, il rapporto di lavoro, protrattosi nel tempo, torna ad avere valore civile facendo sorgere il diritto all'indennità di fine rapporto che spetta alla religioso come a qualunque lavoratore. Tuttavia per quanto nobili nelle intenzioni, queste tesi non sembrano fondate su elementi di diritto positivo. Il rapporto che unisce il religioso all'istituto di appartenenza è fondato sulla libera e volontaria accettazione da parte del singolo della struttura istituzionale della vita religiosa: manca allo stato attuale quella alterità tra i due soggetti che può integrare l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Auspicabile una riforma legislativa che tuteli il religioso quando, all’atto dell’abbandono della vita religiosa, si trova nella condizione di poter pretendere dall’istituto un sostegno economico sufficiente per affrontare la necessità della nuova dimensione di vita che deve affrontare. PARAGRAFO 9: POTESTÀ GIURISDIZIONALE E DISCIPLINARE DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE Una delle guarentigie necessarie per l'autonomia delle confessioni religiose riguarda il riconoscimento della potestà giurisdizionale in materia spirituale e disciplinare. Se questa mancasse, né deriverebbe un danno alla confessione e allo Stato. Alla confessione perché non potrebbe tener ferma la propria coesione interna e ogni controversia si trasferirebbe all'esterno con l'intervento di soggetti estranei, guidati da principi alieni; allo Stato perché si vedrebbe costretto ad intervenire in disputa di natura religiosa senza avere le capacità e gli strumenti necessari per risolverli adeguatamente. Il riconoscimento della giurisdizione ecclesiastica implica che lo Stato non può mai sostituirsi alle confessioni religiose o ai loro organi interni, per decidere autoritativamente su questioni di materia disciplinare o spirituale; né può sindacare nel merito, per modificare o annullare gli atti o i provvedimenti adottati nell'esercizio delle potestà confessionali. Ciò significa che chiunque, fedele o ecclesiastico che sia, intenda far valere una sua pretesa all’interno della propria confessione religiosa, deve agire fruendo degli strumenti giuridici previsti o predisposti dalla confessione medesima; qualora ricorra all’autorità civile si vedrà opporre una dichiarazione di incompetenza o addirittura una carenza di giuisdizione. Inoltre deve affermarsi la irrilevanza civile degli atti o provvedimenti ecclesiastici in materia disciplinare o spirituale, nel senso che la loro e esecuzione è affidata al volontario adeguamento dei rispettivi destinatari. Per esempio, una censura dottrinale nei confronti di un fedele è del tutto indifferente per l'ordinamento civile e se alla censura si accompagnano delle sanzioni queste saranno seguite solo se e in quanto il destinatario volontariamente le accetti e vi si adegui. Si tratta di atti e provvedimenti che rientrano nella più piena autonomia confessionale e quindi non è 92 personali della sovranità e la sua figura è equiparata a quella del Re d’Italia; gli viene riconosciuto il diritto di legazione attivo e passivo, ossia il diritto di mandare e ricevere ambasciatori presso altri sovrani e presso gli altri Stati, con il sottinteso intento che l'attività internazionale del Papa deve limitarsi alle questioni ecclesiastiche e spirituali. Nasce così il fenomeno delle doppie ambasciate: di quegli Stati che riconoscono tanto il Regno d’Italia quanto la Santa Sede come organo di governo universale. Nei palazzi vaticani e nella villa di Castel Gandolfo e ovunque il Papa si trovi a dimorare è escluso in modo assoluto che ufficiali e agenti della forza pubblica si introducano per esercitare atti del proprio ufficio. La stessa garanzia è fornita per i luoghi dove si svolgono il Conclave o il Concilio ecumenico. Al pontefice è assicurato il diritto di tenere il consueto numero di guardie addette alla sua persona e alla custodia dei palazzi. Si realizza quasi una sospensione delle prerogative sovrane dell’Italia per consentire al Papa di agire liberamente. Pio IX i suoi successori non accettano la soluzione offerta con la legge delle Guarentigie, perché è unilaterale e quindi teoricamente revocabile in qualsiasi momento e perché non contempla quella sovranità territoriale che costituirebbe la sola garanzia in grado di assicurare l'indipendenza al pontefice e alla Santa Sede. Per decenni, i papi eletti decidono di star chiusi nei palazzi vaticani quasi a testimoniare di fronte all'opinione pubblica internazionale che essi subiscono una condizione iniqua che è stata imposta dall'Italia ma che non è mai stata accettata. La legge delle Guarentigie in realtà un punto debole ce l’aveva, e consisteva nell’assoggetta-mento dei palazzi vaticani alla sovranità territoriale italiana, seppur sospesa per legge e per volontà dello Stato. Infatti il problema emergeva quando si considerava l’ipotesi di guerra e occupazione di Roma da parte di truppe straniere, e ci si chiedeva se l’invasore fosse tenuto a rispettare le leggi interne dello Stato occupato, e quindi quale fosse la sorte del Vaticano. A comprendere questa debolezza e ad intuire che l'Italia non può vivere in permanente antitesi con la Chiesa di Roma è nel 1921 Benito Mussolini, il quale capisce che l'Italia ha tutto da guadagnare, anche in termini di prestigio internazionale, da un Vaticano pienamente indipendente e da una Chiesa cattolica appagata nelle sue esigenze e rivendicazioni essenziali. Sulla base di queste considerazioni, è lo stesso Mussolini che segue e guida le trattative con la Santa Sede per l'elaborazione del Trattato del Laterano e del relativo concordato che nel 1929 porta alla definitiva soluzione della questione romana. In realtà anche in Mussolini e nel re Vittorio Emanuele III permangono delle diffidenze verso un Papa che torna ad essere sovrano temporale, ma Pio XI insiste sul punto fino a farne una condizione irrinunciabile per il proseguimento e la conclusione delle trattative. Lo scoglio viene infine superato e con i Patti lateranensi dell'11 Febbraio 1929 si risolve definitivamente la questione romana riconoscendo pienamente la sovranità territoriale che compete alla Santa Sede sullo Stato Città del Vaticano e stabilendo un accordo che vincola l'Italia e la Santa Sede a principi e regole condivise, cedendo ogni contenzioso storico. L'accordo del 1929 è composto di due atti fondamentali indissolubilmente legati: il Trattato del Laterano, che definisce l'assetto territoriale ritenuto necessario a garantire l'indipendenza della Santa Sede, e il Concordato, che regola i rapporti tra l'Italia e Chiesa cattolica sul territorio italiano. La motivazione fondamentale che ha dato vita al Trattato del Laterano, e che permane ancora oggi, sta nella volontà delle parti di assicurare alla Santa sede “in modo stabile una condizione di fatto e di diritto che le garantisca l'assoluta 95 indipendenza per l'adempimento della sua alta missione nel mondo” e di riconoscere “alla stessa Santa sede l'assoluta e visibile indipendenza garantendole una sovranità indiscutibile anche nel campo internazionale”. Le conseguenze politico giuridiche di questa impostazione sono i due cardini e essenziali del Trattato e riguardano, distintamente e congiuntamente, la Santa Sede e lo Stato vaticano. Per l’art.2 del Trattato “l’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale” e “la piena proprietà e la esclusiva e assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano, […] creandosi per tal modo la Città del Vaticano”. Sono quindi sintetizzate continuità e innovazione rispetto alla legge delle Guarentigie: - Continuità politico territoriale, perché non si torna in alcun modo all'antico Stato pontificio né si ha revivescenza del potere temporale; - Innovazione storico giuridica perché la Santa Sede è riconosciuta come soggetto internazionale e il lembo di territorio del Vaticano è trasformato in un minuscolo Stato sovrano assoggettato al pontefice e alla Santa sede. Quindi il Papa non è più soggetto interno all'ordinamento italiano ma un vero sovrano. Non nasce però uno Stato autonomo e libero nelle sue istituzioni, e tantomeno libero di svolgere una propria politica internazionale, ma nasce quindi uno Stato a servizio esclusivo della Santa Sede, soggetto alla sua sovranità, che non potrà mai espandersi né ridursi territorialmente, e con un territorio permanentemente neutralizzato per vincolo pattizio con l'Italia. La Santa sede ha piena soggettività internazionale, ma essa rimarrà sempre estranea alle competizioni temporali tra gli altri stati e ai Congressi internazionali, salvo che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace. Infine la città del Vaticano sarà sempre ed in ogni caso considerata territorio neutrale ed inviolabile . In questo modo l’Italia ha visto soddisfatta la sostanza delle sue richieste e non avrà più la preoccupazione di una eventuale insorgenza del potere temporale dei papi, e la Santa Sede ha avuto il riconoscimento di una piena, anche se particolare, sovranità sullo stato vaticano. PARAGRAFO 11: NATURA E CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STATO CITTÀ DEL VATICANO La singolarità della normativa del 1929 sollecita interrogativi sulla natura giuridica della nuova forma statuale creata con il Laterano. La dottrina si sbizzarrisce, ma solo Jemolo coglie meglio l’intima natura della Città del Vaticano, l’essere cioè una realtà statuale strumentale nei confronti della Santa Sede, il vero soggetto detentore della sovranità sullo Stato Città del Vaticano. Per Jemolo, lo Stato vaticano non è stato creato per avere una vita propria, autonoma ed aperta ad ogni sviluppo politico territoriale come avviene per gli Stati-Nazione. Esso non può disporre di sé né del proprio territorio e non ha quei fini generici ed indeterminati di utilità dei propri cittadini che sono tipici degli altri Stati. D’Avack approfondisce l’intuizione di Jemolo, ed afferma che la prima ragione di essere storica, politica e giuridica dello Stato Città del Vaticano sia assicurare e garantire alla Santa Sede la piena e visibile sovranità ed indipendenza della sfera temporale e politica per la più perfetta esplicazione dei suoi compiti religiosi e spirituali. 96 Dunque lo Stato vaticano non ha una vita politica propria, né può disporre del proprio territorio; non può avanzare rivendicazioni territoriali nei confronti dell'Italia, perché con il Trattato si è definitivamente chiusa la questione romana, e non può cedere neanche un centimetro del suo territorio ad un altro Stato, perché il territorio ceduto dall'Italia alla Santa siede deve servire esclusivamente a garantire la sua indipendenza e l'assolvimento delle sue funzioni. Conseguenza inevitabile del carattere strumentale dello Stato vaticano è che esso deve rimanere soggetto alla pienezza assoluta del Pontefice. Nell’ipotesi estrema di abbandono definitivo di Roma da parte del papa, e di un trasferimento della sede pontificia in altro luogo, si estinguerebbero i presupposti alla base dell’accordo del 1929, e il territorio vaticano tornerebbe a far parte del territorio italiano (in altri termini un’ipotesi avignonese sarebbe incompatibile con la permanenza dello Stato vaticano). La dottrina si è posta il problema se lo Stato vaticano sia o meno uno Stato teocratico, nel quale cioè sussiste la piena identità tra potere politico e potere religioso e nel quale la guida politica è affidata ad un apparato ecclesiastico e ai suoi esponenti, con esclusione di ogni altro soggetto istituzionale o sociale. La dottrina non ha dubbi in merito ed ha sempre affermato che SCV sia un classico esempio di Stato teocratico. Le argomentazioni a favore di questa tesi sembrano quasi insuperabili: a capo del Vaticano c’è il Sommo Pontefice, che ha la pienezza del potere legislativo, esecutivo e giudiziario, in caso di vacanza della Sede apostolica gli affari sono affidati al Collegio dei Cardinali. Le fonti principali del diritto oggettivo sono per lo Stato vaticano le leggi emanate dal pontefice e il codex juris canonici, che regolamenta la vita e l’organizzazione della Chiesa cattolica. Tutti i dignitari, funzionari e impiegati prestano sul Vangelo giuramento di fedeltà al Pontefice. Tuttavia, questa impostazione tralascia due importanti elementi, uno relativo allo Stato teocratico, l'altro alla speciale conformazione dello Stato vaticano. Infatti, ogni Stato teocratico è tale in quanto la sua popolazione viene assoggettata al potere di una casta sacerdotale e viene governata in nome di principi di un determinato credo religioso. Invece nello Stato vaticano non esiste una vera popolazione stabile, non esiste un popolo di “nazionalità” vaticana vera, non esistono ceti sociali o correnti politiche per il semplice motivo che l'unica componente stabile esistente è proprio la casta sacerdotale, che dovrebbe essere sovraordinata alle altre componenti e governarle. Manca dunque la sostanza stessa della teocrazia, l’esistenza di quello Stato-Nazione che è il presupposto perché un regime teocratico possa realizzarsi ed imporsi all’interno della comunità umana. Dalle disposizioni del Trattato lateranense emerge che non esistono cittadini stabili e traspare anche la chiara volontà di impedire l'estensione numerica della popolazione. Emerge cioè una concezione funzionale della cittadinanza che spetta in ragione dell’incarico ricoperto del vincolo familiare. Ciò spiega perché parlare del Vaticano come di uno Stato teocratico è giuridicamente quasi senza significato. Manca del tutto una realtà politica e una collettività stanziale che possa sentirsi parte dello Stato e vantare diritti verso di esso. In realtà lo Stato vaticano non è che un grande apparato ecclesiastico che governa se stesso. Proprio per la sua singolare natura e peculiarità dello Stato Città del Vaticano, parte della dottrina nega che esso possa considerarsi un vero soggetto internazionale e sostiene la tesi monista, in base alla quale la personalità giuridica internazionale spetterebbe soltanto ed esclusivamente alla Santa Sede, in quanto è la Santa Sede che intrattiene rapporti diplomatici con gli stati e che è presente il 97