Scarica Economia e Gestione della Banca e più Dispense in PDF di Economia e gestione della banca solo su Docsity! 22/02/2023 IL SISTEMA FINANZIARIO E IL SISTEMA REALE È solo una delle due parti di cui si compone il sistema economico (insieme di contratti, persone, risorse, forza lavoro scambiati all’interno di un framework). Da una parte l’economia reale (si interroga sull’ottimizzazione degli scambi di persone, beni e servizi) e dall’altra parte il sistema finanziario, la contropartita sotto forma di flussi finanziari. Sono interrelati, non avrebbe senso l’uno senza l’altro. Queste due metà devono rimanesse in equilibrio, uno dei modelli più semplici dalla teoria economica è PQ (prezzi per le quantità di beni reali) = MV (la quantità di moneta e la velocità di circolazione della moneta, variabili che definiscono il sistema finanziario). Equazione banale ma molto difficile da realizzarsi perché la capacità delle variabili di restaurare l’equilibrio è eterogenea. Ipotizziamo uno shock dei prezzi, in un certo momento aumentano: posso agire sul sistema reale abbassando Q la quantità di beni reali ovvero abbassando la produzione (conseguenza aumenta la disoccupazione, il PIL precipita) non è il cambiamento che può restaurare l’equilibrio. Si può agire sul sistema finanziario alzando le altre due variabili MV (velocità di circolazione della moneta è la velocità con cui viene scambiata un’unità di conto in un determinato periodo di tempo). Più si scambia moneta più c’è compravendita nel mondo reale e minore è il risparmio e viceversa. Aumentando V la velocità di circolazione della moneta (la propensione alla spesa) significa far spendere di più quando i prezzi fuori aumentano, porterebbe all’equilibrio ma ci vorrebbe un intervento a gamba tesa. Ciò che rimane da fare è agire sulla M moneta: aumento della quantità di moneta nel sistema finanziario. Affinché la quantità aumentata di moneta riesca a raggiungere il mercato e a restaurare l’equilibrio, gli intermediari finanziari (sistema bancario) devono trasmettere l’impulso/aumento di moneta. La moneta è nelle mani della BC, ma essa non può arrivare direttamente al mercato. Un aumento di produzione Q: diminuzione P dei prezzi (imporre una diminuzione dei prezzi orizzontale non è semplice), aumentare dal lato del sistema finanziario di V velocità di circolazione della moneta (non facile costringere i consumatori a consumare di più) o aumentare M la quantità di moneta da parte della BCE. Se lo shock è finanziario, aumento eccessivo della quantità di moneta M si può contrastare con una diminuzione della velocità di circolazione (impossibile) o aumentando il lato reale aumentando Q (servono molti mesi e investimenti) o molto più velocemente aumentando P. Un aumento di V (a seguito di un boom economico): aumentando P, aumentando Q la quantità di beni che i consumatori possono consumare o diminuendo M la quantità di moneta e direttamente la velocità di circolazione di essa diminuisce immediatamente. Se lo squilibrio persiste, c’è il rischio concreto della cosiddetta BOLLA SPECULATIVA. È una situazione di squilibrio persistente, nella maggior parte dei casi dal lato del sistema finanziario (ci deve essere un sottostante reale). In un momento sull’economia reale si registra un eccesso di domanda di un determinato bene che porta ad un aumento vertiginoso dei prezzi, crea una scarsità sintetica perché è dal lato della domanda che è aumentato in modo imprevisto. Tutti vogliono quel bene, prezzi saliti enormemente, tutti investono in quel bene, parte la moda di un det. Bene o strumento finanziario, prezzi sostenti dal continuo aumento della domanda, entrano tutti nel mercato, anche attori economici non esperti. Nel momento in cui un mercato diventa fuori controllo, avviene uno scollamento tra il VALORE DEL SOTTOSTANTE (il valore di quel bene determinato dalle sue caratteristiche, dal gioco della domanda e offerta) e il prezzo. Il sottostante può avere un valore che cresce fino ad un certo punto, perché se i prezzi aumentano senza una ratio economica e senza un criterio del sottostante, si crea la bolla finanziaria. Gli attori economici iniziato a sovrainvestire, investire A LEVA, investire indebitandosi. La domanda di credito è alta, ci si indebita ad alto prezzo, a tassi alti perché si spera di ottenere molto, fino a che la bolla scoppia. Il mercato si satura, non si possono trovare compratori all’infinito, inizia ad esserci il panico, tutti vogliono cercare di vendere perché si capisce che il mercato non è più liquido (non si riesce a monetizzare), in un istante di rivaluta l’equilibrio: da un eccesso di domanda ad un eccesso di offerta. Scoppia la bolla. 1) Fallimento del mercato: nessuno vuole comprare il bene, la banca vuole gli interessi 2) Prestatore di ultima istanza: qualcuno che salda i debiti per coloro che sono falliti, caso molto raro negli ultimi tempi 3) Approccio liberale: lascia che il mercato agisca, si svende ad un prezzo bassissimo, si lascia che piano piano il mercato si aggiusti in automatico, molto doloroso perché si registrano grosse perdite, il mercato continua perché continuano ad esserci contrattazioni. Solitamente agiscono tutte e tre contestualmente. Esempio: la prima bolla speculativa dei tulipani, bolla immobiliare (mutui sub-prime) che ha causato prima la bolla finanziaria e poi reale, crisi economica del 2008. Due modi per approcciare allo studio: 1) Profilo strutturale 2) Profilo funzionale C’è stato in passato un dibattito su quale fosse il più efficiente, secondo Merton la struttura del sistema finanziario è meno stabile delle sue funzioni, la struttura cambia sotto la spinta di fattori esogeni (ad es. il settore finanziario è quello con un grado di innovazione alto, sotto la spinta della regolamentazione) e fattori endogeni (la concorrenza all’interno del settore finanziario, quanto sono cambiate le banche tradizionali con l’avvento del Fintec, innovazione finanziaria come le cripto valute). Le funzioni invece non cambiano. Le funzioni identificano il lavoro, l’utilità, perché il sistema finanziario esiste. Merton identifica 7 funzioni. Tre funzioni core: 1) Creditizia. Come i flussi finanziari vengono trasferiti tra diversi operatori economici. Una delle funzioni base è quella di far circolare flussi finanziari all’interno del sistema, si occupa di far transitare i flussi dai soggetti in surplus (eccesso di risorse finanziarie a loro disposizione, sono disposti a scambiare potere d’acquisto attuale con potere d’acquisto futuro, con la promessa che l’investimento porterà loro potere d’acquisto maggiorato ovvero un interesse positivo. Non c’è rendimento atteso senza rischio: no free lunch) ai soggetti in deficit (hanno un gap di potere d’acquisto, troppe uscite correnti rispetto alle entrate correnti. I soggetti in surplus esigono un rendimento positivo: i soggetti in deficit entreranno nel mercato del credito e si indebiteranno se il costo del potere d’acquisto è inferiore al rendimento che si aspettano di ottenere dal contante che gli arriva. Un’impresa si indebita se il tasso di rendimento interno per investire su un macchinario è maggiore rispetto alla restituzione del debito + pagamento interessi). Quando il soggetto in deficit è una famiglia, esempio mutuo immobiliare: entro nel mercato del credito pagando le rate del mutuo pagando un tasso di interesse minore non del rendimento atteso ma perché il godimento del bene ha un valore superiore al pagamento della rata mensile del mutuo. Guardando all’interno del sistema finanziario, ci sono 5 settori istituzionali, individui che sono prevalentemente soggetti in surplus o deficit. Generalmente gli individui all'interno di un nucleo familiare sono considerati soggetti in surplus (tasso di risparmio> tasso di consumo). Settore pubblico tipicamente in deficit (eroga beni e servizi destinati a famiglie e imprese). Le imprese non finanziarie cioè produttive sono soggette in deficit (per crescere deve investire nel proprio business). Imprese finanziarie (banche) sono rischi finanziari possono essere eliminati, nella maggior parte dei casi un investitore (o una banca) riesce a ridurre moltissimo il rischio finanziario perché è semplicemente il rischio che il valore del mio asset sia volatile nel tempo. Rischio in finanza è volatilità, non è perdita. Nella deviazione standard, elevando al quadrato stiamo dando la stessa importanza sia al rischio positivo e negativo. Il valore finale del nostro strumento, ai fini del calcolo finanziario se è un po’ sopra o sotto il valore atteso è rischioso allo stesso modo. È il rischio che il valore finale del mio investimento si discosti dal valore atteso, nel bene o nel male. Ci sono modi per calcolare il rischio di perdita o di sotto performance. Parte di questo rischio si può abbattere tramite una buona diversificazione (strumenti di copertura). Il rischio speculativo è simmetrico, può essere a favore o a sfavore. Parlo di rischio di perdita (che chiede di quantificare il cliente) o rischio di guadagno. A rischi di credito più alti corrispondono rendimenti più alti. Il rischio in finanza è un concetto ombrello che comprende il rischio di credito, che parlando con traders significa maggiore rendimento; in particolare il rischio di credito è anche detto rischio di controparte, perché è il rischio che il prenditore di fondi o fallisca o non paghi gli interessi. Il rischio di controparte si traduce dunque sempre in una perdita, in quel caso non si misura con la volatilità ma con la expected lost. Perché è fondamentale che un intermediario si interponga e trasformi il rischio? Ci sono 3 atteggiamenti nei confronti del rischio: avversione, neutralità e propensione. La finanza comportamentale ha ideato dei test molto semplici (lotterie), nella posizione di avversione al rischio un investitore valuta maggiormente una quantità certa che una quantità aleatoria. Chi è neutrale al rischio è indifferente. Chi è propenso al rischio preferisce una quantità aleatoria rispetto ad una quantità certa. La maggioranza degli investitori sono avversi al rischio, ma in percentuali differenti (diversi gradi di avversione). Come si trasforma il rischio? Diversificando il portafoglio. Se sono un investitore retail, semplicemente faccio sì che all'interno del mio portafoglio ci siano strumenti con caratteristiche diverse e che siano distribuiti su comparti diversi e magari diversifico anche sulla currency. La banca con il proprio portafoglio crediti fa esattamente questo. Un intermediario finanziario si interpone tra il datore e il prenditore di fondi assumendo sul proprio bilancio una parte del rischio del prenditore. c) INFORMAZIONI. Cosa una banca sa dei prenditori di fondi è fondamentale, si valuta ex ante la bontà del progetto da finanziare attraverso appunto le informazioni per valutare l’affidabilità del prenditore dei fondi ovvero il potenziale debitore della banca. Altrettanto importante è la gestione delle informazioni con unzione di monitoraggio delle informazioni (dell’andamento del progetto che sto finanziando). È un rischio comunque ex post ovvero dopo la firma del contratto. Quali distorsioni possono capitare se non si valutano accuratamente le informazioni? Possono incorrere due distorsioni del mercato: la adverse selection, ex ante se io banca non riesco a valutare bene la qualità del mio prenditore di fondi (ha un’informazione privata), io non ottimizzo la selezione dei progetti da finanziare; ex post, se io banca non continuo a monitorare rischio di incorrere nel moral hazard, in questo caso il prenditore di fondi cambia delle caratteristiche del progetto che finanza rendendolo più rischioso. Esempio di adverse selection: ci sono anche cattivi prenditori, che investiranno in cattivi progetti il finanziamento. La banca non eroga il credito? No, identifica il cosiddetto tasso soglia. Se il rendimento atteso dei cattivi e buoni prenditori è lo stesso, la banca applica un tasso soglia. (es. 20% dall’esempio di slide 58 la banca sa che appena raggiunge il tasso è a rischio di selezione avversa perché solo i cattivi prenditori sarebbero disposti a pagare questo 20%. È la soglia oltre la quale la banca fa selezione avversa. La banca si deve tarare sotto al tasso soglia, ma c’è un trade off: se chiedo un tasso di rendimento troppo basso faccio più fatica a pareggiare le perdite che i cattivi prenditori causano. Se il tasso si alza, la banca farà meno fatica a ripianare le perdite dei cattivi prenditori ma allontanerà i buoni prenditori.) Esempio di moral hazard: un cattivo monitoraggio porta la possibilità che il prenditore di fondi sposti il capitale ottenuto verso investimenti più rischiosi. 2) Monetaria. Chi crea la moneta e come circola, quali sono i sistemi di circolazione della moneta nello scenario europeo. Si occupa di creare e di far circolare mezzi di pagamento (moneta) tramite la piattaforma di gestione dei pagamenti all’interno del frame work normativo europeo. Tutti gli stati dell’unione fanno parte anche dell’unione economica e monetaria (non necessariamente hanno la stessa moneta), l’eurozona invece è il nome che identifica i paesi che condividono la stessa moneta. Se UE, UEM ed eurozona combaciassero, non ci sarebbero problemi con i cosiddetti obblighi di convergenza. Per condividere la stessa moneta c’è bisogno di una certa omogeneità economica, politica e fiscale. L’Europa è un’unione imperfetta, ogni paese ha la propria autonomia economica e fiscale e con il trattato di Maastricht è stata creata un obbligo di divergenza: - Stabilità dei prezzi, deve esserci un’inflazione stabile e appena sotto al 2% (l’anno scorso l’UE attorno al 10,4%, Italia 12,3%) - Situazione finanziaria pubblica sostenibile: deficit/PIL <3% e debito/PIL <60% (deficit è il sovrappiù di spesa pubblica annuale ovvero il saldo annuale negativo dello Stato, il debito è la somma dei deficit accumulati anno dopo anno, è lo stock di indebitamento dello Stato) (debito/PIL 150%) Il sistema finanziario per svolgere questa funzione a) Creazione e circolazione dei mezzi di pagamento b) Garantire il funzionamento del sistema dei pagamenti La funzione monetaria è svolta prevalentemente dal sistema bancario, in primis a parte le banche può creare moneta IMEL e IP autorizzati da BdI. Con l’avvento del Fintech tantissimi attori non bancari possono creare moneta, questo crea delle piccole distorsioni in materia di trasmissione di impulsi di politica monetaria. Anche oggi soltanto la moneta creata da questi intermediari finanziari ha il requisito di accettabilità e dunque viene universalmente accettata come mezzo di pagamento. Il panorama dei sistemi di pagamenti è in fortissima evoluzione. Per parlare di funzione monetaria dobbiamo definire il concetto di moneta. QUALSIASI DISPOSITIVO PERSONALIZZATO E/O INSIEME DI PROCEDURE CONCORDATE TRA L’UTILIZZATORE E IL PRESTATORE DI SERVIZI DI PAGAMENTO. (Definizioni microeconomiche sono 4, ci sono anche definizioni macro) Dal punto di vista microeconomico, la moneta può essere distinta in moneta legale (le banconote): emesse dalle autorità monetarie, la sua accettazione è imposta e non può essere rifiutata dal creditore. Moneta bancaria (carte di credito, di debito e prepagate): insieme degli strumenti e delle procedure di pagamento che sono alternativi alla circolazione della moneta legale. presenza di un supporto fisico Moneta elettronica: MAV, bonifico bancario. Un valore monetario, memorizzato elettronicamente, che rappresenta un credito vantato nei confronti dell’emittente, incorporato in un dispositivo elettronico ed accettato come mezzo di pagamento da imprese diverse dall’emittente. mancanza di un supporto fisico Cripto-moneta: moneta virtuale che costituisce una rappresentazione digitale di valore che può essere utilizzata come mezzo do scambio o detenuta a scopo di investimento. Possono essere trasferite, conservate o negoziate elettronicamente utilizzando la distributed ledger technology (DLT). Le funzioni della moneta: a) Mezzo di regolamento degli scambi: quando utilizzo moneta mi libero dal debito che ho contratto. b) Unità di conto: mi permette di attribuire un valore intrinseco ad un bene/servizio all’interno di un determinato contesto sociale. c) Scorta di liquidità: la moneta ha la funzione di riserva (mantenimento del potere d’acquisto nominale ovvero il loro VALORE FACCIALE NON CAMBIA NEL TEMPO ma cambia il loro valore d’acquisto reale che scende per la presenza dell’inflazione). Per mantenere costante il potere d’acquisto/valore reale devo investire: esistono dei prodotti collegati all’inflazione, compro un BTP poliennale esso è in parte collegato all’inflazione, il suo rendimento fluttua coerentemente alla fluttuazione dell’inflazione purché sia positivo (lo Stato non chiede soldi in caso di deflazione, c’è la salvaguardia allo zero). Il sistema dei pagamenti europeo è costituito da strumenti, norme, procedure, produttori e autorità di controllo e vigilanza. Tutta questa struttura è in continua evoluzione a causa dell’impatto che la digitalizzazione e il Fintech ha portato. L’Europa fa parte della SEPA, area unica dei pagamenti (composta da 36 Paesi) che permette di avere condizioni uniche omogenei all’interno di tutta l’area. Nella pratica si potrebbero trovare delle piccole frizioni. Lo scopo è quello di creare un mercato dei pagamenti armonizzato che offra strumenti di pagamento comuni. Il Regno Unito è tutt’ora parte della SEPA. Quale direttiva regolamenta il sistema dei pagamenti? La PSD2, la Direttiva sui Servizi di Pagamenti (2018) è l’iniziativa legislativa della Commissione Europea tesa a ordinare in un singolo quadro normativo l’intera materia dei pagamenti. Apre le porte al Fintech, a lato degli intermediari bancari sono state riconosciute altre 3 figure che possono operare legalmente: PISP (dei provider di servizi di pagamento come Satispay), AISP (sono gli attori che hanno creato le piattaforme sui quali i PISP hanno potuto vendere e commercializzare i propri servizi), i SISP/CISP (le carte di pagamento possono ufficialmente non essere brandizzate da una banca, Postepay). Il FinTech: FAAMG (precursori di sistemi di pagamento non bancari) IL FINTECH E LE BANCHE Dal 2018 ufficialmente si aprono le porte della funzione monetaria al FinTech. Con FinTech si indica l’utilizzo massimo di innovazione tecnologica all’interno del mondo finanziario, in particolare si appoggia alle DLT (tecnologie non accentrate che si basano sul concetto di network). Può tradursi in nuovi modelli di business, processi o prodotti, e ovviamente anche alla nascita di nuovi operatori di mercato. Differenza tra Bitcoin come strumento di pagamento o strumento finanziario: solitamente l’acquisto di criptovalute è a fine speculativo. Il FinTech ha cambiato il modo di erogare credito delle banche, il modo di comprare e vendere titoli sul mercato, è stato riconosciuto ufficialmente come attore primario per il sistema dei pagamenti. Il FinTech è passato da minaccia al conto economico all’assorbimento da parte delle banche di molti servizi e piattaforme. 3) Trasmissione e degli impulsi di politica monetaria. Quali sono gli strumenti sottostanti gli impulsi che l BC manda nel mercato, quale è il ruolo degli intermediari finanziari. banche commerciali da parte della BC senza tenere conto delle garanzie, quindi a tassi molto bassi. 2) Quantitative tightening: politiche monetarie molto restrittive, è quando la BCE non solo distrugge base monetaria ma riduce drammaticamente i titoli di Stato o gli asset che ha preso come garanzia, alzando i tassi e non volendo più acquistare asset la BC drena liquidità dai mercati. Vincolo di riserva obbligatoria. La riserva obbligatoria è un deposito molto liquido (ammontare di liquidità) che le singole banche devono detenere presso la BCN come garanzia alla raccolta diretta (i depositi): più ci sono depositi (raccolta diretta) da parte della clientela e più la banca deve detenere liquidità ferma presso la BCN. La BC remunera la riserva obbligatoria ma al tasso overnight. Come si calcola? Si prende il bilancio della banca e si identificano 3 aggregati: A) Tutti i depositi di durata < 2 anni, titoli di debito con scadenza a due anni e titoli di mercato monetario (scad. < 18 mesi). B) Depositi di durata > 2 anni, pronti contro termine, titoli di debito > 2 anni. C) Bisogna escludere da questo calcolo le passività verso la BCE/BCN/altre banche. il calcolo è semplice: è l’1% dell’ammontare che risulta dell’aggregato A. normalmente l’aggregato B ha un reserve ratio da applicare dello 0% ma è lì perché in momenti particolarmente complessi la BCE potrebbe chiedere di aumentare la richiesta di riserva obbligatoria applicando una % anche a B. se l’1% dell’aggregato A è sotto i 100.000€, quella banca NON DEVE RISERVA OBBLIGATORIA. 2 obiettivi principali: stabilizzare i tassi di interesse del mercato monetario (il rispetto dell’obbligo della riserva obbligatoria è determinato in base alla media dei saldi di fine giornata detenuti sui conti di riserva nell’arco di un periodo di 6-7 settimane, il cosiddetto periodo di mantenimento. Il calendario dei periodi di mantenimento viene fissato periodicamente. Al fine di favorire stabilizzazione dei tassi di interesse, il regime di riserva obbligatoria dell’Eurosistema consente alle istituzioni di utilizzare un meccanismo di mobilizzazione della riserva. La parte mobilizzabile è pari al 100% della riserva, salvo l’obbligo di mantenere il valore della riserva media giornaliera pari a quanto dovuto. Le banche possono quindi utilizzare questa riserva di liquidità ed evitare di prenderne a prestito dalla BCE, di qui la funzione di stabilizzazione dei tassi) e aumentare/allentare il fabbisogno di liquidità (un aumento/diminuzione del coefficiente di riserva obbligatoria comporta, a parità di altre condizioni, una diminuzione/aumento dell’offerta di moneta. La riserva viene ridotta quando si ritiene necessaria una politica monetaria espansiva o quando il sistema bancario è in crisi di redditività; una riduzione aumenta le possibilità di erogare credito e quindi tende a migliorare i conti economici del sistema bancario). TARGET OPERATIVI: sono le “sentinelle” che si attivano prima. Le prime variabili a rispondere alle politiche monetarie sono le riserve bancarie e i tassi di mercato (tassi sul mercato finanziario). TARGET INTERMEDI: sono la quantità di moneta (depositi, riserve libere, credito, tassi di interesse) TARGET FINALI: prezzi, tasso di cambio, reddito, occupazione. OBIETTIVO PRIMARIO: mantenimento della stabilità dei prezzi. L’obiettivo della BCE è mantenere il tasso di inflazione attorno al 2% nel medio termine. OBIETTIVO SECONDARIO: sostenimento di politiche di economia reale, quindi di piena occupazione e di crescita economica (finché la BCE non mantiene l’inflazione stabile al 2%, non si può occupare di reddito di occupazione). LA STRUTTURA DEL SISTEMA FINANZIARIO: GLI STRUMENTI FINANZIARI Devono esistere dei contratti che contengano il risparmio delle famiglie affinché questo possa fluire in modo standardizzato ai soggetti in deficit. Gli strumenti finanziari sono questi contratti. Le caratteristiche delle attività finanziarie: la natura del rapporto contrattuale (la cosa più importante), la natura dell’emittente (l’attore finanziario che crea lo strumento finanziario e lo mette sui mercati a disposizioni degli utilizzatori, possiamo avere asset sovrereign emessi da enti governativi o corporet cioè emessi da enti privati), la valuta di denominazione (il tasso di cambio della valuta locale e della valuta estera è uni degli elementi da considerare per il calcolo del rendimento effettivo), la durata del contratto (contratti finanziari a prestazioni differite nel tempo, il fatto che la prestazione sia dilazionata nel tempo fa sì che in quel periodo la solidità finanziaria dell’emittente possa peggiorare e può manifestarsi il caso in cui durante la vita contrattuale l’emittente dell’obbligazione non sia più in grado di restituire il valore facciale dell’investimento, dunque maggiore è la durata dell’investimento e maggiore è il tasso di rendimento), la negoziabilità (quanto facilmente liquidabile sia l’investimento), il trattamento fiscale (la rendita dei titoli governativi italiani sono tassati al 12,5%, quella dei titoli corporet del 26%), il rischio e il rendimento (rendimento è il fine ultimo dell’acquisto dell’investimento finanziario, deve essere proporzionale al rischio che dipende dalla solidità dell’emittente, dalla natura del contratto, dalla durata dell’investimento; il tasso di rendimento comprende gli eventuali flussi di cassa/cedole che l’emittente stacca durante la vita dell’investimento, ma mai confondere il tasso cedolare con il tasso di rendimento complessivo). Nella maggior parte il rimborso a scadenza avviene al valore nominale. Ci sono altri due elementi da considerare per calcolare il tasso di rendimento: il tasso di cambio, bisogna prestare attenzione alle oscillazioni cui è sottoposto; l’inflazione, ovvero se ho un tasso di inflazione > tasso di rendimento allora il rendimento reale è negativo. Il rendimento è parametrato al rischio dello strumento, maggiore è il rischio e maggiore è il rendimento atteso. LA NATURA DEL DIRITTO OGGETTO DEL CONTRATTO 1) Di indebitamento. Le obbligazioni (bond) prevedono la rinuncia a qualunque forma di ingerenza nella gestione, è sancito il diritto alla remunerazione e, sulla base delle risorse esistenti, alla restituzione del capitale a scadenza o al momento della liquidazione della società (gli obbligazionisti sono i primi ad essere rimborsati perché sono semplicemente dei creditori). 2) Di partecipazione. Le azioni (equity) per l’elevato grado di coinvolgimento del detentore nella gestione aziendale comportano la rinuncia a un rendimento certo, in termini sia di remunerazione periodica sia di rimborso del capitale, a fronte del diritto alla distribuzione eventuale dei risultati periodici e alla restituzione del capitale residuale dopo aver soddisfatto tutti gli altri portatori di interesse (i dividendi non sono obbligatori per l’emittente, in caso di fallimento gli azionisti sono gli ultimi ad essere remunerati). 3) Di assicurazione. Consentono al contraente dietro pagamento di un premio, di tutelarsi contro l’eventuale manifestazione di un evento avverso attinente alla vita umana o ad altri danni, al cui verificarsi matura il diritto a incassare un indennizzo. 4) Derivati. Non hanno un valore intrinseco ma il valore deriva da quello dell’attività sottostante (il sottostante/underlying asset, che può essere una qualsiasi attività finanziaria). 5) Composti. Che derivano dalla composizione delle precedenti tipologie di contratto. OBBLIGAZIONI E AZIONI Dal punto di vista giuridico comprando un’azione si diventa proprietari, quota parte, di quella società. Dal punto di vista economico ci si espone al rischio imprenditoriale, si conferisce capitale di rischio e ci si espone ai possibili eventi positivi o negativi che riguardano il ciclo di vita di un’azienda. Le azioni non hanno scadenza, non è previsto il rimborso da parte della società emittente, per smobilizzare l’investimento bisogna ricorrere al mercato secondario esponendosi alle oscillazioni di prezzo. Le azioni non garantiscono ex ante una remunerazione né in termini di dividenti né in termini di capitale. Le obbligazioni sono titoli di debito, l’obbligazionista presta risorse finanziarie all’azienda che dovrà restituire capitale e interessi alle scadenze e nelle modalità previste. Le obbligazioni hanno scadenza (tranne le perpetue), al tempo pattuito l’azienda dovrà riconoscere gli interessi contrattualmente definiti e il capitale versato, pena insolvenza dell’emittente. Se tenute in portafoglio fino a scadenza comportano la remunerazione del capitale iniziale e le cedole sono stabilite ex ante (fisse/variabili). Se non si tiene in portafoglio l’obbligazione fino a scadenza il calcolo del rendimento effettivo ha maggiori elementi di incertezza. Le obbligazioni che non prevedono lo stacco delle cedole si chiamano zero coupon bond, il guadagno proviene dalla differenza tra prezzo di acquisto e restituzione del capitale a scadenza, con rimborso maggiorato del nominale. Se l’emittente fallisce, i primi obbligazionisti (dopo i creditori chirografari) ad essere rimborsati sono i senior o garantiti, successivamente se avanzano risorse vengono rimborsati gli obbligazionisti ordinari, poi coloro che hanno acquistato obbligazioni subordinate o ibride. TASSO DI RENDIMENTO Il tasso di rendimento effettivo a scadenza (TRES o YTM) è un indicatore preciso per il calcolo del rendimento di un titolo obbligazionario a tasso fisso. È il tasso che eguaglia la somma investita al prezzo attuale dei flussi di pagamento futuri. CURVA DEI TASSI È una descrizione grafica delle aspettative di mercato rispetto ai tassi di interesse. Per disegnare la curva mi serve la scadenza degli investimenti che ci sono sul mercato e del rendimento effettivo a scadenza. DERIVATI Sono degli strumenti sintetici, il loro valore deriva dal sottostante, deriva dall’asset sul quale sono costruiti. Questo asset si chiama “attività sottostante”, la natura del sottostante può essere finanziaria (questi strumenti derivati seguono l’andamento di un asset/strumento finanziario come un’azione o un’obbligazione) o reale (seguono l’andamento di una materia prima). Il derivato non ha delle specificità, deriva letteralmente le sue caratteristiche dal sottostante. I principali sono i futures, i warrants, i covered warrants etc. I derivati possono essere lunghi, che aumentano di valore proporzionalmente all’aumentare del valore del sottostante, oppure corti, dove l’andamento è inversamente proporzionale all’andamento del sottostante (più va bene il sottostante, meno performa il derivato e viceversa). Gli strumenti derivati sono nati con una finalità di: a) Copertura (edging). Tale finalità si ha quando ho in portafoglio il sottostante e acquisto un derivato che ha come sottostante lo stesso strumento (ho un’azione di Lavazza, compro un derivato costruito su quella medesima azione). Se il derivato ha funzione di copertura, deve coprire in tutto o in parte l’investitore da eventuali andamenti negativi del sottostante (se deve coprire un andamento inatteso negativo, comprerò un derivato short). può compravenderli a piacimento. Se ho un fondo comune di investimento, non possono compravenderlo in ogni istante e non so esattamente a che prezzo lo venderò perché bisogna aspettare dei giorni affinché l’ordine di vendita arrivi e la vendita avviene dopo 1-3-5 gg, al prezzo ex post del momento in cui la vendita effettivamente avviene. Non ho un prezzo ma il NAV (net asset value), il valore che tra tot gg tutti gli asset all’interno dello strumento avranno. Lo svantaggio potrebbe essere che, al contrario dei fondi, non hanno fisicamente un portafogli odi titoli ma si comportano un po' come i derivati ossia utilizzano degli strumenti derivati long il cui valore segue l’andamento del sottostante. Se hanno un fondo come sottostante si chiamano ETF (exchange traded fundge), perché replicano un fondo comune (replica passiva). Se il sottostante sono dei beni reali, lo strumento si chiama ETC (exchange traded commodity), il sottostante seguendo l’andamento di un bene fisico (commodity). ETN (exchange traded note) vuol dire che il mio strumento segue l’andamento di un intero indice (NASDAQ, un intero indice di mercato). I MERCATI Sono quei luoghi non fisici (completamente informatici) dove si scambiano gli strumenti appena visti. In Italia il mercato degli strumenti finanziari è gestito dalla Borsa italiana. 1) Mercati in funzione degli strumenti che vi vengono negoziati: il mercato obbligazionario, azionario, valutario (currences, derivati su valuta) 2) Mercati in funzione della loro attività: primario/secondario, monetario/dei capitali, regolamentato/OTC, all’ingrosso/al dettaglio. a) Primario. È il mercato delle nuove emissioni. Quando un’azienda crea per la prima volta uno strumento, questo viene collocato sul mercato primario ovvero la prima compravendita di uno strumento. Quando lo Stato crea il nuovo BTP italiano e lo vende all’asta, colloca gli strumenti che ha creato e li vende per la prima volta. b) Secondario. Tutte le compravendite successive alla prima, tra investitore-investitore avvengono sul mercato secondario. Compro sul mercato primario un’obbligazione quinquennale, dò in contropartita del denaro all’emittente, non necessariamente devo tenere per 5 anni quell’obbligazione in portafoglio ma posso trovare un investitore sul mercato secondario. Nessuna liquidità scambiata sul secondario entra nelle casse dell’emittente, se un’azione sale di valore ne guadagnano gli investitori che scambiano l’obbligazione sul secondario. L’andamento di uno strumento sul secondario fa la ricchezza o la perdita degli investitori. Spesso gli emittenti riacquistano le proprie azioni (posso fare ingerenza), ciò non avviene con le obbligazioni. Una qualità dello strumento finanziario è la sua negoziabilità ossia la facilità di essere scambiato sul secondario. Grande vantaggio perché io investitore so che posso smobilizzare quell’investimento idealmente quando voglio avendo un secondario fluido/liquido. (so di poter rivendere quell’obbligazione in qualsiasi momento ma ciò non toglie che lo possa fare in perdita). Pensando al mercato secondario azionario, esso prezza/valuta ogni istante il valore della mia azione ovvero quanto vale una quota del capitale di quel emittente, indirettamente prezza la salute dell’emittente. Se il valore delle azioni salgono vuol dire che tale emittente sta crescendo/sta avendo successo dal pto di vista economico/finanziario. Anche il bilancio dà una valutazione dell’emittente ma una volta l’anno. Se voglio una valutazione più puntuale di quello che sta succedendo adesso al mio emittente, se questo ha degli strumenti quotati su un mercato regolamentato ne guardo il prezzo e riportandolo a quello passato capisco se sta andando bene o male. 3) Mercato monetario. Sono quelli su cui si scambiano strumenti a breve termine (< 12/18 mesi). 4) Mercato dei capitali. Mercato sul quale si scambiano strumenti a medio-lungo termine, mercato dei capitali e mercato finanziario sono un po’ la stessa cosa. La differenza sta nella durata dello scambio. 5) Mercato regolamentato. È quello, in Italia, disciplinato dal testo Unico della Finanza (TUF). Un mercato è regolamentato perché esistono delle regole d’accesso per l’operatività, esistono i regolatori (autorità di vigilanza Consob che fanno sì che su questi mercati avvengano delle compravendite in linea con le regole del mercato), c’è la Cassa Depositi e Prestiti (clearing house, che interviene in caso di fallimento). 6) Mercato non regolamentato (OTC, over the counter). Sono quei mercati nei quali gli scambi avvengono tra due investitori tramite contratti privati ovvero non tramite contratti standardizzati. Il forward è uno strumento OTC ovvero venduto su un mercato non regolamentato. C’è la possibilità della personalizzazione ma manca un regolatore dei mercati OTC; in Italia però la Consob gestisce anche l’albo delle negoziazioni OTC. 7) Mercato all’ingrosso (wholesale). Mercato sul quale operano investitori istituzionali che fanno del trading/investimento la loro professione, le operazioni hanno un controvalore molto elevato. Generalmente si scambiano investimenti più rischiosi. 8) Mercato al dettaglio (retail). È fatto dagli investitori retail che compravendono strumenti con un controvalore unitario per transazione molto basso. EFFICIENZA DEI MERCATI Qualunque mercato può essere più o meno efficiente, tale grado di efficienza si può misurare con degli indicatori. 3 tipologie di efficienza: - Informativa: è la velocità con cui il prezzo del titolo riflette le informazioni disponibili (in quanto tempo una nuova informazione viene prezzata). Se questa informazione è storica, ovvero tutti i prezzi sul mercato incorporano le informazioni storiche relative agli emittenti degli strumenti che vi vengono negoziati, allora quei mercati godono di un’efficienza in forma debole. Un mercato è efficiente dal pto di vista informativo in forma semi-forte quando i prezzi incorporano tutta l’informazione pubblica, appena esce una notizia subito il mercato reagisce. Efficienza in forma forte, invece, prevede che i prezzi incorporano tutta l’informazione storica, presente, pubblica e privata. Informazione privata=che possono avere soltanto coloro che fanno parte di quella organizzazione (top management, coloro che hanno delle informazioni rilevanti che potrebbero impattare il valore dello strumento finanziario). Sottile differenza tra efficienza forte e aggiotaggio (è quando io insider comunico a una parte terza delle informazioni e questa parte terza le utilizza per ricavarne profitti speculando sui mercati finanziari) o insider trading (quando faccio investimenti in virtù di informazioni proprietarie delle quali sono in possesso soltanto per la carica che ricopro). Generalmente un mercato molto efficiente ha un’efficienza molto forte, difficile che si arrivi ad un’efficienza forte vera e propria. - Allocativa: è quando tutti gli operatori di mercato sono uomini economici, quindi agiscono in maniera razionale, quando i mercati raggiungono un equilibrio paretiano. Nella realtà non esiste. - Tecnico operativa: capacità dei mercati di minimizzare i costi di transazione, ovvero tutti quei costi che un individuo o un investitore sostiene x operare all’interno del mercato. 3 indicatori fondamentali utilizzati x valutare l’efficienza tecnico operativa sono : ampiezza (vuol dire la grandezza dei volumi scambiati), spessore (se le compravendite nell’arco temporale di una giornata differiscono tra loro molto poco in termine di prezzi, basta una minima variazione di prezzo x trovare una controparte, fitta distribuzione dei prezzi, se il titolo è altamente negoziabile allora il suo mercato di riferimento è spesso), elasticità dei mercati (reattività degli ordini per limitare variazioni di prezzo, un mercato è elastico se rimane attivo anche dopo uno shock di prezzo, le negoziazioni non si interrompono). Affinché un mercato sia ampio, spesso ed elastico, molto frequentemente ci sono degli intermediari finanziari che intervengono x garantire queste proprietà nei mercati (regolamentati). Esiste la figura dello specialist, che si occupa in un determinato periodo di tempo di agevolare le transazioni di uno specifico strumento. I broker sono coloro che agevolano l’incontro tra compratori e venditori senza entrare direttamente nello scambio (diretto assistito). Il market dealer agevola lo scambio tra compratori e venditori ma intervenendo direttamente con il proprio portafoglio che acquista da quelli che vogliono vendere e vende a coloro che vogliono comprare, hanno un portafoglio molto ampio e diversificato, sono molto specializzati. Broker e dealer possono essere o price taker o price maker: nel 99% dei casi questi intermediari sono price taker perché non possono intervenire pesantemente su prezzo e sulla valutazione di uno strumento che hanno in portafoglio. La differenza è quando un emittente riesce ad essere così grande o ha una quota degli strumenti così ampia da riuscire ad essere price maker. FATTORI DI IMPERFEZIONE DEI MERCATI 4 ragioni sottostanti che fanno sì che i mercati non siano perfetti: 1) La divergenza di preferenze tra i soggetti in surplus e i soggetti in deficit, coloro che hanno un surplus voglio acquistare strumenti poco rischiosi possibilmente a breve, coloro che sono in deficit hanno bisogno di un finanziamento nel medio-lungo e devono poter finanziarie tutte le tipologie di progetto. 2) Costi di transazione, sui mercati finanziari non è semplice per un investitore retail trovare lo strumento giusto, abbiamo un livello di istruzione finanziaria medio-basso e i mercati diventano sempre più complicati. 3) Gli investitori non sono perfettamente razionali. 4) Problema dell’asimmetria informativa, colui che acquista non avrà mai tutte le informazioni di colui che emette un titolo. C’è bisogno di intermediari finanziari che si interpongano tra investitori e mercato. Gli intermediari finanziari possono essere classificati per: 1) Specificità istituzionale, gli intermediari si possono dividere in intermediari bancari (banche) e intermediari non bancari (tutti gli altri). Cambia la popolazione dei due insiemi in funzione di def. Di banca. Si riconoscono in base allo svolgimento dell’attività bancaria; l’art. 10 del TUB definisce l’attività bancaria come “esercizio congiunto dell’attività di raccolta di risparmio tra il pubblico e dell’attività di concessione del credito”. 2) Svolgimento della funzione monetaria. Divide gli intermediari in due ambienti, tutti coloro che svolgono una funzione monetaria (intermediari monetari) e dall’altra parte tutti gli altri che non la svolgono. Il limite è che con il passare del tempo chi entra nell’uno o nell’altro insieme possono cambiare. Fino a pochi anni fa la funzione monetaria poteva essere svolta solo dalle banche, mentre ora sono entrate in gioco anche IMEL e IP. 3) Servizi e prodotti offerti. Un medesimo intermediario può svolgere più servizi e vendere più prodotti. Si distinguo 3 tipi principali di prodotti offerti: a) Servizi di pagamento: banche, IMEL, IP, PosteItaliane s.p.a. IMEL, ISTITUTI DI MONETA ELETTRONICA. Chi può emettere moneta elettronica anche se non sono banche? Telepass, Postepay. Sono persone giuridiche diverse dalle banche autorizzate in Italia a emettere moneta elettronica. Sono di recente formazione ma si stanno ampliando sempre più dal momento che ora possono prestare servizi operativi e accessori all’emissione di moneta elettronica come l’apertura di un conto o consulenze. IP, ISTITUTI DI PAGAMENTO. Sono persone giuridiche diverse dalle banche e dagli IMEL autorizzate a prestare servizi di pagamento, non creano moneta elettronica, non sono banche perché non hanno la funzione di concessione del credito. Banca d’Italia iscrive in un apposito Albo gli istituti di pagamento autorizzati ad operare in Italia. Esempio American Express. Nel momento in cui in Italia un intermediario svolge la funzione monetaria, è sottoposto ad un controllo da parte delle autorità molto più stringente. Il FinTech sull’emissione di moneta non ha molto mercato, perché non molti possono sostenere un peso normativo così elevato. b) Intermediazione creditizia: sul credito a B/M/LT sono attive solo le banche; sul credito al consumo negli ultimi anni sono nate società non bancarie che erogano un credito non come quello bancario (di credito al consumo, al giorno d’oggi non più solo a BT, la liquidità la prendono sui tassi molto elevati che chiedono sui prestiti che fanno, tasso di rendimento molto più alto di quello bancario, i soggetti che generalmente chiedono prestiti a queste società sono gli stessi a cui è stato negato dalle banche perché le esporrebbero ad un rischio di credito molto alto). Sul leasing finanziario sono attive le banche e più spesso società specializzate (di leasing). c) Intermediazione mobiliare (operatività dei mercati finanziari). Chi può agire sui mercati finanziari? Le banche e le società finanziarie, le uniche due che possono acquistare partecipazioni e pacchetti azioni di terze parti quotate. Chi può gestire un FCI? Le SGR ovvero le società di gestione del risparmio, SICAV (la banca non può svolgere gestione collettiva del risparmio/fondi comuni di investimento). Tra i servizi di investimento ci sono la negoziazione in conto proprio o terzi (banche e SIM) … SOCIETA’ FINANZIARIE Le società finanziarie sono intermediari che devono essere iscritti nell’elenco di Banca d’Italia, hanno una normativa ad hoc non stringente come quella bancaria e devono appartenere ad un albo. Sono una categoria di operatori che svolgono la funzione creditizia e/o assunzione di partecipazioni in imprese, ma che non presentano un’autonoma capacità di provvista presso operatori finali. Tra le tipologie principali: società di leasing (società che mette a disposizione del proprio cliente un bene mobile o immobile strumentale alla propria attività imprenditoriale dietro pagamento di un canone periodico), di factoring (gestisce e ottimizza i crediti di un’impresa), di credito al consumo (società che svolgono attività di finanziamento delle persone fisiche e delle famiglie allo scopo di sostenere i consumi), finanziarie di partecipazione (quelle società che acquistano pacchetti azionari come core business principale). SIM Società di intermediazione mobiliare, sono diverse dalle banche autorizzata a svolgere servizi o attività di investimento, avente sede legale e direzione generale in Italia. Non sono finanziarie, sono finalizzate a gestire servizi di investimento come: esecuzione di ordini per conto dei clienti (la SIM agisce esclusivamente da broker), negoziazione per conto proprio (può crearsi il proprio portafoglio finanziario), possono gestire sistemi multilaterali di negoziazione (sono dei mercati regolamentati ma non così pesantemente come i mercati ufficiali, hanno orari di apertura-chiusura diversi da quelli regolamentati e non hanno quelle figure come i market specialist e la loro liquidità/spessore è un po’ inferiore, il più importante è l’MTS), possono sottoscrivere o collocare a fermo o a garanzia nei confronti dell’emittente, gestiscono i portafogli, possono fare consulenza, possono svolgere servizi accessori. Su questi servizi banche e SIM sono competitors diretti. GESTIONE COLLETTIVA DEL RISPARMIO È l’unica attività finanziaria che le banche non possono svolgere, è un servizio che si realizza attraverso la promozione e organizzazione di fondi comuni di investimento, l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti e la gestione del patrimonio di OICR (che includono fondi comuni di investimento, SICAV e SICAF), mediante investimenti aventi ad oggetto strumenti finanziari, crediti, beni immobili o mobili. La gestione collettiva del risparmio permette di diversificare i propri investimenti, consente agli investitori di delegare ad un operatore professionale specializzato le proprie scelte in materia di strumenti finanziari, permette un risparmio sui costi associati alle singole transazioni (economie di scala). La società che gestisce un OICR (SGR) non possiede il capitale che gestisce all’interno del fondo, non iscrive il capitale nel proprio bilancio ma è separato dalla società che gestisce. La separazione del capitale mette gli investitori di OICR in una posizione di sicurezza perché se la società fallisse, i creditori potrebbero rifarsi sul suo patrimonio ma non sul capitale da essa gestita che non fa parte del suo patrimonio. OICR Sono organismi di investimento collettivo del risparmio, secondo la definizione del TUF sono “organismi istituiti per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto in una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni”. Sono identificabili con i Fondi Comuni di Investimento, SICAV e SICAF. Lo gestisce l’SGR (società di gestione del risparmio). Spesso le SIM vengono promosse a SGR. - Fondo Comune di Investimento: patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti e gestito in monte. Il patrimonio è rappresentato dalle attività in cui è investito il fondo, il cui ammontare muta nel tempo in relazione alla redditività e alla rivalutazione delle stesse per effetto della gestione. Il patrimonio deve essere autonomo: distinto a tutti gli effetti dal patrimonio dei singoli partecipanti e da quello del gestore, la separazione patrimoniale salvaguarda i diritti degli investitori in caso di insolvenza del gestore o degli altri partecipanti al fondo. Il patrimonio si forma con i conferimenti dei singoli partecipanti (pooling di risorse) che, per effetto della sottoscrizione, acquistano delle quote di partecipazione al fondo, in proporzione al conferimento effettuato (non hanno potere decisionale). - SICAV è una società a capitale aperto esattamente come un fondo comune, perché ogni giorno un investitore può decidere di acquistare una quota di fondo o SICAV e quindi il capitale investito è variabile; la vendita di quote di un fondo non è immediata e non è ad un prezzo certo. Le azioni SICAV possono essere acquistate e vendute in qualsiasi momento. - SICAF sono società di investimento a capitale fisso, non posso compravendere quote di una SICAF tutti i giorni ma devo mantenere vincolato l’investimento fino alla data del mandato emesso dalla SGR, esistono delle finestre di smobilizzo. Le azioni SICAF possono essere sottoscritte e vendute solo in intervalli temporali limitati (finestre di smobilizzo). Entrambe emettono vere e proprie azioni, che corrispondono a una quota del capitale che verrà investito. Coloro che vi investono diventano azionisti cioè portatori di capitale di rischio, e hanno potere di ingerenza. SGR Società di gestione del risparmio, è il vero intermediario deputato in via esclusiva all’istituzione e gestione dei fondi comuni di investimento per conto della collettività degli aderenti. All’interno del perimetro del mandato l’investitore delega completamente le scelte di investimento alla SGR ed egli non può avere nessuna pretesa di ingerenza nelle scelte di investimento della SGR. Le banche non gestiscono OICR, possono soltanto allocare (e non creare) dei fondi comuni gestiti dalle SGR. La maggior parte delle banche ha le proprie SGR Captive ovvero le SGR che in autonomia creano dei fondi che vengono collocati direttamente dalle banche senza commistione. Devono essere iscritte all’albo di Banca d’Italia, che deve autorizzarle una per una a svolgere l’attività di gestione del risparmio, possono anche prestare servizi di consulenza finanziaria e gestione di portafogli private ma funzione secondaria. LA BANCA Art. 10 TUB: “l’attività caratteristica delle banche è la contemporanea raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio/concessione del credito”. Quello che deve fare: La combinazione minima che un intermediario deve fare per essere definito banca è la compresenza di queste attività. La banca ha carattere di impresa e l’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle banche. Quello che può fare: “le banche esercitano ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse e strumentali. Ciascun intermediario può realizzare la combinazione produttiva desiderata”. Le attività finanziarie (identiche a quelle che può fare una SIM) riconosciute dal Testo Unico sono: 1) Esecuzione di ordini per conto dei clienti. Prevede che la banca agisca da mero broker: la banca esegue un ordine di acquisto e di vendita in nome e per conto del cliente, non si interpone con il proprio bilancio; può farlo in tre modi. a) Sui mercati regolamentati. La banca al posto del proprio cliente va sui mercati regolamentati e acquista il prodotto che il cliente ha deciso di vendere/acquistare. Tuttavia, la banca è obbligata ad agire in regime di best execution ovvero che deve garantire che l’acquisto di quel prodotto avvenga alle migliori condizioni possibili (quando si parla di un investitore retail si intende miglior prezzo e minor costo di transazione, se invece fosse istituzionale sarebbe diverso). commerciale fu in alcuni casi un allargamento dell’attività di commercianti all’ingrosso, che si trasformarono così in banchieri. fin dalla loro origine, le banche commerciali svilupparono sistemi di pagamento alternativi alla moneta che potessero agevolare l’attività commerciale/industriale. Il commercial banking si può riferire ad aree d’affari distinte per quanto riguarda: - La segmentazione della clientela (retail vs private banking) - La modalità di scambio prevalente (internet banking). Si distingue la banca fisica, la banca telefonica e l’internet banking. RETAIL BANKING Il nome indica il cliente “piccolo”, quindi la singola famiglia o il singolo investitore. Il patrimonio di questi clienti solitamente non è particolarmente elevato, quindi l’intermediario punta alla massificazione dei servizi e prodotti offerti. I prodotti sono molto standardizzati e generalmente sono prodotti di base, che non hanno un costo in termini di commissioni elevato. La singola operazione è di piccolo taglio, e dal momento che sono semplici il rendimento della singola operazione è a basso valore aggiunto. La banca guadagna da questa tipologia di cliente perché è estremamente numerosa. Il tipico cliente retail predilige il canale distributivo diretto. Negli ultimi anni, tuttavia, questa preferenza è diminuita nettamente. In funzione dell’età anagrafica questa preferenza sta andando a scemare. La modalità di scambio è orientata alla transazione: la banca quando ha a che fare con un investitore retail punta ad avere tante transazioni standard. Proprio perché dai singoli prodotti e servizi la banca guadagna poco. Offre tanti strumenti che potrebbero essere uno solo, sono ancora tutti separati e con canoni differenti: carta di debito, carta prepagata, conto corrente etc. PRIVATE BANKING Si intende identificare l’insieme dei prodotti e dei servizi che l’intermediario finanziario offre per il soddisfacimento dei bisogni emergenti dalla gestione finanziaria della clientela “private” appartenenti a categorie di reddito e/o ricchezza finanziaria superiori alla media. Sono banche private che hanno come clienti persone o nuclei familiari facoltosi. Il contenuto del servizio offerto è elevato, l’offerta di prodotti/servizi è personalizzata, cioè focalizzata alla specificità della situazione finanziaria del cliente, la relazione è orientata a conseguire obiettivi di B/M/LT e produrre con continuità le migliori soluzioni dei problemi finanziari del cliente (nelle diverse aree: incasso/pagamento, investimento, finanziamento, assicurazione-previdenza, passaggio generazionale) secondo una visione integrata e unitaria della gestione finanziaria e patrimoniale del cliente, il tipo di rapporto che la banca ha incentivo ad ottenere è di tipo relazionale. Al variare della posizione e dell’età anagrafica del cliente cambiano le necessità. È questo il motivo per cui la banca private offre una serie di servizi più complessi e sempre maggiori. Ci sono tanti modi di classificare i clienti private. Ad esempio in base al patrimonio espresso in $. - Clienti affluent: patrimonio finanziario fino ai 100.000$ (non sono clienti di private banking) - Clienti HNWI (high net worth individual): con almeno 500.000$ di PF. - Clienti VHNWI (very high net worth individual): con almeno 5.000.000$. - Clienti UHNWI (ultra high net worth individual): > 50 milioni di $. I servizi che le banche offrono a queste categorie di clienti sono molto diversi. Le banche inseriscono anche clienti sottosoglia (1-5 mln) generalmente perché si aspettano che il loro patrimonio possa crescere. Solitamente inseriscono i figli di persone facoltose, perché spera che si arricchiscano acquisendo la ricchezza dei genitori. INTERNET BANKING Sono banche che non possiedono canali fisici. Ad oggi un fenomeno in crescita, ma ancora non hanno paragone con gli asset under management delle banche tradizionali. I clienti serviti da queste tipologie di banca sono spesso nicchie di mercato in espansione. Inoltre, hanno un elevata possibilità di approfondimento della relazione della clientela grazie al fatto che si svolge tutto telematicamente, ed esiste la clickstreamanalysis. dal momento che le banche tradizionali fisiche annoverano all'interno della propria offerta anche a servizi online, sono diventate più competitive dell'internet banking vere e proprie. Le internet banking hanno prezzi e commissioni molto inferiori rispetto alla banca fisica. Hanno investimenti tecnologici molto elevati inizialmente, ma non hanno costi per mantenimento fisico delle filiali. In virtù di questi minori costi riescono a concedere grossi sconti su prodotti e servizi. CORPORATE BANKING La clientela tipica è costituita da imprese medio-grandi e dotate di una forma societaria. La singola transazione è altamente specializzata, ogni servizio viene offerto in base ai diversi casi. L’area d’affari è estesa e multiforme, in cui l’offerta dell’intermediario aggrega continuamente prodotti e servizi che vanno a costituire un pacchetto ad-hoc per i clienti (gestione della tesoreria, delle attività finanziarie, della struttura di indebitamento, delle operazioni sul capitale proprio etc.). il patrimonio personale delle figure chiave di un’impresa può essere gestito dalla banca corporate. INVESTMENT BANKING In Italia queste banche d’affari non sono definibili banche ma istituzioni finanziarie che offrono assistenza a emittenti pubblici e privati medio-grandi. In Italia non sono banche perché non accettano depositi, di conseguenza non possono svolgere attività bancaria. Possono assistere i loro clienti: - Nella raccolta di capitali (sono banche che possono costituire consorzi di collocamento, offrire consulenza per IPO) e nella gestione di patrimoni di imprese. - Come intermediari (consulenza) nelle operazioni di fusione e acquisizione (sono banche d’affari per cui il loro punto forte è la gestione di patrimoni elevatissimi). - Nella sottoscrizione e negoziazione di strumenti finanziari sui mercati secondari. Non essendo banche non sono sottoposti a regolamentazioni rigide; d’altra parte, non essendo riconosciuto lo status di banca, non offrono le stesse garanzie di una banca vera e propria. La loro nascita è dovuta al Glass-Steagal Act. Il fatto che in Italia non sono considerate banche è uno dei modi che il legislatore ha posto in essere per proteggere gli interessi del singolo investitore retail. Queste banche non hanno raccolta, per cui sono è portare ad avere rischiosità nettamente maggiore rispetto alle altre. Dopo la crisi del ?29, negli USA il Glass-Steagal Act ha introdotto due grandi cambiamenti pensati per proteggere i correntisti: la costituzione del FDIC, ovvero il Fondo di garanzia dei depositi e il sancire la differenza tra banca d’affari e banca commerciale che per legge (grazie all’introduzione di esso) devono essere separate. Una banca commerciale non può svolgere l’attività dell’investment banking. Bel 1999 Clinton ha deciso di eliminare la componente di separazione tra le due banche e ciò ha portato alla crisi del 2008. TASSONOMIA DEI MODELLI BANCARI Esistono due modelli di governance: - Società di capitale pure (shareholders oriented), le banche SPA. Sono società che devono avere attenzione al capitale di rischio, sia in termini di dividendi che di quotazione. - Società di capitale di natura cooperativa e finalità mutualistica (stakeholders oriented), le banche di credito cooperativo BCC/SRL. Nascono come banche piccole e molto radicate nel territorio, oggi si sono evolute e sono sottoposte ad una crescente pressione nel farle diventare quotate (nel tessuto economico italiano caratterizzato da piccole medio imprese questo modello funziona bene). Esistono due modelli proprietari: - Banche private , in cui capitale è in mano ad azionisti non pubblici (le spa dovrebbero essere tutte private, ovvero il capitale è quotato ed è in mano agli azionisti, nulla vieta che lo Stato sia un’azionista come Monte dei Paschi che ha una partecipazione di controllo da parte dello Stato) - Banche pubbliche , come le casse di risparmio tedesche, le banche di sviluppo, le banche nazionalizzate a seguito di crisi (la maggioranza del capitale di una banca è pubblico, le banche sono nate così in Italia ma a partire dagli anni 90 c’è stata un’ondata di privatizzazioni). Due modelli istituzionali: - Banche generaliste , che servono eterogenee tipologie di clienti con eterogenee linee di business. - Banche specializzate , con focus su una data funzione, tipologia di clientela, area geografica specifica. Per scegliere quale modello istituzionale accogliere, possiamo studiare almeno 4 fattori determinanti: 1) Le modalità di divisione del lavoro tra i soggetti operanti in un’organizzazione e i relativi meccanismi di coordinamento (la complessità organizzativa). Più la banca è grande e complessa e più tenderà ad un modello generalista con un’offerta più eterogenea. 2) L’ambiente. L’ambiente bancario negli ultimi anni sta attraversando un periodo di grande evoluzione, sottoposto a forti correnti innovative. Grazie al FinTech e alla decentralizzazione, ma anche alla deregolamentazione, è stato possibile superare l’ambiente statico che ha caratterizzato le banche fino a poco tempo fa. L’ambiente bancario oggi non favorisce le piccole banche cooperative. 3) L’età e la dimensione dell’organizzazione. All’aumentare della dimensione è fisiologico che aumenti la formalizzazione e di conseguenza la struttura gerarchica, che si fa sempre più rigida. È necessario avere una forma più rigida man mano che cresce l’età e la dimensione, ci si sposta in questi casi verso il gruppo bancario. 4) Vincoli normativi. Si punta alla creazione di grandi gruppi quotati, quindi anche l’organizzazione interna della banca punta verso questa evoluzione. Nel 1990 è stata emanata la Legge Amato-Carli che ha portato alla privatizzazione delle banche italiane; inizialmente spinta verso il modello di gruppo polifunzionale. Legge 287/90 legifera questioni di antitrust e sistematizza la materia delle partecipazioni bancarie; influenza i modelli bancari? Sì, parlando di conglomerato bancario. Nel 1993 la nascita del Testo Unico Bancario sembrò spingere verso la banca universale. MODELLI ORGANIZZATIVI La banca grande e complessa ha una visibilità maggiore economica e politica, ha un rapporto più diretto con l’autorità di vigilanza. Riesce a diversificare meglio le proprie aree di business e controllare meglio l’esposizione ai rischi, vero per il rischio di credito/controparte e il rischio di liquidità. non c’è alcun intermediario centrale che ha partecipazioni di controllo nelle altre. Il network rimane unito per mutuo accordo. Svantaggi: è formato da accordi privati tra banche, la capogruppo non ha partecipazioni in altre banche che rimangono indipendenti, di volta in volta le singole banche possono decidere di acquistare da dove vogliono gli strumenti richiesti dai clienti. Non hanno strategie o politiche di prezzo comuni. CONGLOMERATI FINANZIARI I conglomerati sono gruppi di imprese assoggettate a un comune controllo. Sono attivi in maniera significativa nel settore assicurativo, bancario e dei servizi di investimento. Essi comprendono un’impresa assicurativa e una operante nel settore bancario o dei servizi di investimento. Il 31/04/2006 la Consob, la Banca d’Italia e l’IVASS hanno congiuntamente sottoscritto l’Accordo di coordinamento in materia di identificazione e di adeguatezza patrimoniale dei conglomerati finanziari. In Italia esistono due conglomerati: - Generali: nel settore assicurativo, quindi regolamentata da IVASS. Es: Assurbanca - Mediolanum: nel settore bancario/finanziario, quindi regolamentata da Banca d’Italia e Consob. Es: banca assicurazione. Ci può essere anche un terzo servizio, quello che riguarda l’investimento puro. L’attività è quindi aperta anche alla gestione in monte del risparmio. Creare questo modello con la collaborazione delle autorità è stato un grande passo avanti, perché mentre prima potevano essere presenti arbitraggi tra le due attività, ora si sono annullati, almeno a livello nazionale. Rimangono possibili arbitraggi cross-border in materia di regolamentazione. Se in un paese non è possibile che una banca offra servizi assicurativi, e un conglomerato finanziario riconosciuto apre una succursale in un paese di questo tipo, questa può sfruttare un grosso arbitraggio. Si gode del riconoscimento in Italia svolgendo un’attività spuria in un altro paese. In Italia un vero arbitraggio cross-border ci sarebbe se un conglomerato estero aprisse una brench in Italia svolgendo sia attività bancaria che gestione del risparmio. EVOLUZIONE DELL’ATTIVITA’ BANCARIA Fino agli anni 90 la regolamentazione bancaria è rimasta immutata per decenni, c’erano i medesimi player immutati che non si facevano competizione tra di loro, numero di major acquisition si contavano sulle dita di una mano. Gli anni 90 hanno portato un dinamismo enorme. L’aumento del grado di digitalizzazione delle banche ha portato un enorme dinamismo. Ultimo shock è stato il FinTech. Adesso la competizione è al di fuori della industry bancaria. Spesso si parla di un passaggio da banca come istituzione a banca come impresa che deve generare flussi di cassa e che deve tenere buoni gli azionisti, la banca istituzione non ha concorrenti e non può fallire, la banca impresa può fallire e ha tanti concorrenti. Sempre maggiore attività nei circuiti indiretti, dove la banca agisce da broker e guadagna tramite le commissioni. Si parla di una forte disintermediazione del business bancario. Anche la banca più piccola svolge almeno 3-4 delle attività extra con il quale può integrare la sua offerta. Altro cambiamento è la riduzione di sportelli fisici, trend in crescita e ben consolidato, che porta le banche ad essere sempre più attive sul canale digitale (online banking). Rimane comunque un’impresa speciale, altamente monitorata dall’attività di vigilanza: IL RISCHIO sistemico di fallimento di una banca cresce enormemente. Le banche devono essere rapide nel modernizzarsi e nell’innovarsi. I SISTEMI FINANZIARI Il rapporto tra l’importanza relativa dei mercati finanziari e degli intermediari finanziari è un indicatore spesso utilizzato per classificare i sistemi finanziari. Una distinzione classica è quella tra i sistemi basati sugli intermediari (bancocentrici/bank-based come quelli tedeschi e italiani), hanno scambi intermediati, e i sistemi incentrati sui mercati (market-based tipicamente americano e inglese), hanno scambi diretti assistiti. È vero dal punto di vista storico ma negli ultimi anni questa distinzione è in evoluzione. L’approccio banco centrico è tipico italiano e tedesco; questi paesi sono composti da piccole-medio imprese, che hanno bisogno di controparte bancaria per soddisfare i propri bisogni finanziari. L’intermediazione bancaria è fondamentale all’interno della funzione creditizia. Anche la forte componente familiare scoraggia l’intromissione di capitale di rischio all’interno della possibile società. L’approccio di mercato è invece più angolassone. Questi paesi sono composti da imprese più grandi che possono permettersi di quotarsi in borsa, il rapporto tra intermediari e clientela è diverso da prima, meno relazionale e più transazionale (agiscono da meri broker). La funzione creditizia e più in generale le transazioni finanziarie sono svolte in modo più autonomo dagli attori e quindi questi convergono in autonomia sui mercati finanziari. In parallelo, c’è un’altra distinzione importante ovvero tra i sistemi basati sulla stretta relazione tra i prenditori di fondi e gli intermediari (relationship-based) (i sistemi in cui le relazioni tra clienti e intermediari sono più strette e combaciano con i sistemi banco centrici), e sistemi in cui questa prossimità tra banca e cliente non esiste (arm’s lenght), fondati su informazioni di natura pubblica e dove la funzione di scremare i buoni dai cattivi prenditori è demandata al mercato. A priori non esiste un modello puro né ottimane a priori. SISTEMA BANCO CENTRICO: punti di forza La capacità di acquisire informazioni capillari anche private/privilegiate dei potenziali prenditori di fondi, anche in virtù dello stretto rapporto personale che l’intermediario bancario ha con il proprio cliente. Il fatto che ci sia una relazione personale e che questa generalmente è orientata al lungo periodo fa sì che le due controparti nel tempo effettivamente si conoscano. Le soft information sono più facilmente reperibili in un sistema che ha una fitta rete di sportelli bancari sul territorio. In virtù di questa prossimità informativa è più semplice per le banche diminuire l’asimmetria informativa e soprattutto le distorsioni ex ante ed ex post che queste possono creare, diminuisce teoricamente l’adverse selection perché sono io banca più brava a discernere buoni e cattivi prenditori e riesco in virtù dei rapporti personali a monitorare più da vicino il buon fine dell’operazione e diminuire il moral hazard. Teoricamente le banche sarebbero più efficaci nell’escutere dei crediti; probabilmente è vero per clienti retail o piccoli clienti corporate, con l’aumentare della capacità del prenditore di fondi questa capacità superiore che le banche dovrebbero avere rispetto al mercato di escutere i propri crediti viene un po’ meno. I sistemi finanziari bancocentrici risultano maggiormente idonei a favorire un’industrializzazione diffusa, spesso caratterizzata dall’elevata presenza di micro, piccole e medie imprese. Il tessuto industriale è sempre stato frammentato e ciò ha fatto sì che un sistema bancocentrico con banche piccole molto diffuse sul territorio e quindi con una conoscenza capillare del territorio fosse la combinazione migliore. SISTEMA BANCOCENTRICO: punti di debolezza Dover passare per un intermediario comporta dei costi di intermediazione sotto forma di commissioni, tassi di interesse. Rischio di formazione di accordi collusivi: essendo un sistema fortemente concentrato, l’intermediazione è quasi scontata quando si parla di funzione creditizia e in più ci sono pochi e grandi player. Una limitazione a tali rischi possono essere gli accordi antitrust e anti collusivi. Limitato accesso al capitale di rischio: essendo la banca per definizione prestatrice di capitale, se le imprese sono portate ad appoggiarsi alle banche per chiedere finanziamenti, fa sì che il loro incentivo a quotarsi e a richiedere capitale di rischio sia inferiore. Perché se io impresa ho bisogno di un finanziamento e sono in un sistema banco centrico, non vado a quotarmi in borsa. Ci vuole il giusto equilibrio tra capitale di rischio e capitale di credito. Possibile creazione di frizioni all’innovazione e alla competizione fra imprese per proteggere le imprese con più stretti legami bancari. L’attività di acquisizione di partecipazioni da parte delle banche in imprese grandi provoca il rischio di possibile concentrazione: poche imprese grandi si quotano per far entrare innovazione all’interno della governance ma i grandi investitori sui mercati sono le banche, circolo vizioso. Se sono le solite poche banche ad entrare negli assetti di governance delle imprese quotate, non ci si può aspettare grande innovazione. MERCATO CENTRICO: punti di forza Prezzano gli emittenti, danno un valore qui e oggi al potenziale dell’impresa emittente e lo fanno in modo molto più puntuale del bilancio che invece lo fa con cadenza annuale. Il mercato aggrega le informazioni di tanti emittenti e contestualmente le inserisce all’interno del prezzo (che sconta le informazioni storiche, contemporanee e private, dipende dall’efficienza dei mercati). Il fatto che ci siano molti azionisti che offrono capitale di rischio all’emittente, fa sì che la governance sia eterogena, varia e diversificata. Stiamo parlando dei grandi azionisti. Il fatto che l’impresa quotata può parametrare i pacchetti compensativi e le politiche di remunerazione del top management proprio all’andamento delle azioni, in modo che si crei un incentivo a doppio filo affinché il top management curi gli interessi dell’azienda (facendone aumentare il valore in borsa e in modo tale che la sua policy retributiva ne beneficia). I mercati facilitano la gestione del rischio attraverso la produzione/scambio di strumenti finanziari idonei al suo trasferimento: tramite il mercato dei derivati si può trasferire il rischio più facilmente diversificandolo e minimizzandolo. lo SWAP Esempio swap: quello che due controparti si scambiano alla fine dell’holding period del derivato due tassi, il primo emittente scambia un tasso fisso e la controparte paga un tasso variabile. MERCATO CENTRICO: punti di debolezza Non essendoci un intermediario, le scelte di investimento sono demandate in capo agli investitori retail (famiglie): se le famiglie diventano prestatori di capitale di rischio, diventano la categoria meno tutelata tra gli investitori. Maggiore discrezionalità delle imprese nelle scelte di struttura finanziaria, con elevato rischio di eccesso di indebitamento. Per capire se un mercato è bank o market-oriented ci sono degli indicatori. MISURE RELATIVE TRA IMPORTANZA DELLE BANCHE VS IMPORTANZA DEI MERCATI FINANZIARI 1) Total assets of deposit banks (totale dei depositi bancari) diviso total financial assets (totale degli asset puramente finanziari) dà al numeratore un’approssimazione del volume di affari delle banche e al denominatore il volume di affari disintermediato, quindi comprato e venduto. a) >1 mercato più bancocentrico b) <1 sistema più orientato ai mercati 2) Bank assets (tutti gli attivi bancari) diviso stock market capitalization (capitalizzazione di mercato) - Progresso tecnologico. Dopo costi di avviamento ingenti, ha avuto un ruolo fondamentale nella riduzione dei costi operativi e nel miglioramento dei servizi offerti. L’innovazione nelle telecomunicazioni e nell’elaborazione elettronica dei dati, insieme alla diffusione di internet, ha facilitato i flussi informativi tra banca-clienti e tra banche, contribuendo a velocizzare le operazioni e a ridurre i costi dei servizi. Da ultimo l’uso massivo della tecnologia ha consentito la creazione di nuovi canali distributivi, che permettono di raggiungere in modo diretto la clientela bancaria. Le banche hanno internalizzato tutto quello che potevano dal FinTech. Il consolidamento rappresenta la risposta dell’industria bancaria ai cambiamenti del quadro competitivo e all’accentuarsi della concorrenza. Si è ridotto il numero degli intermediari bancari ed è aumentata la concentrazione del mercato. Ciò nonostante, il grado di competizione non è diminuito. La crescita di un banca può realizzarsi attraverso l’espansione nell’ambito di una specifica area di business, per integrazione verticale a monte o a valle o per diversificazione orizzontale verso prodotti o segmenti di clientela nuovi. Perché crescere? Per le economie di scala e di scopo (miglioramento dell’efficienza operativa, maggiore è il ventaglio di prodotti affini offerti e maggiori sono le economie di scala che si possono sfruttare), potere di mercato (capacità di determinare i prezzi), diversificazione del rischio (vantaggi in termini di efficienza associati alla produzione congiunta di più servizi e alla ripartizione di costi comuni su una gamma di prodotti, aumenta l’eterogeneità dei clienti, si abbatte il rischio sistemico rendendo il rischio totale basso). Come crescere? La crescita dimensionale può realizzarsi per linee interne (aumento del grado di utilizzo della capacità produttiva esistente o per apertura di sportelli bancari, crescita lenta ma controllata, banca universale) o per linee esterne (crescita rapida e strategica ma la nuova realtà potrebbe non integrarsi nel gruppo). Misure di concentrazione: indice di Herfindahl-Hirschman (HHI), somma dei quadrati delle quote percentuali di mercato di ciascuna banca. INTERCONNESSIONE BANCARIA Si riferisce alle relazioni tra gli agenti economici dovute alle transazioni finanziarie realizzate. Il grado di interconnessione aumenta con le dimensioni degli intermediari bancari e finanziari, con il livello di concentrazione dei sistemi finanziari, con l’ampiezza dell’operatività internazionale degli operatori finanziari. In un sistema finanziario altamente interconnesso, l’insolvenza di un intermediario può essere velocemente trasmessa ad altre entità dell’economia reale. L’interconnessione è uno dei fattori chiave nei framework analitici per la valutazione del rischio sistemico nel settore bancario. RISCHIO SISTEMICO: Il rischio totale relativo ad un’unica banca (un emittente) che il fallimento o il deterioramento della bontà del bilancio possa creare un effetto a catena nel settore causando danni all’intero sistema. Una volta che si propaga, essendo il sistema finanziario e reale interconnesso, la crisi si diffonde. Può essere suddiviso in due componenti: rischio specifico (idiosincratico) e rischio sistematico. Rischio idiosincratico può essere abbattuto diversificando il portafoglio, il rischio sistematico è quella parte che non può diminuire nemmeno grazie ad una buona attività di diversificazione. Usciamo dalle componenti di un singolo emittente e guardiamo al rapporto tra la rischiosità di due banche. Le istituzioni dell’UE il cui fallimento provocherebbe esternalità negative a catena sull’intero sistema economico e finanziario (rischio sistemico) si chiamano Global Systematically Important Institution (G-SIIs). In particolare, se si parla di banche esse vengono denominate G-SIB (Global Systematically Important Banks) too big to fail ovvero troppo grandi per ESSERE LASCIATE fallire, il loro rischio sistemico è così grande che trascinerebbe le altre banche dell’industria bancaria. Il discrimine non è la probabilità di default (PD), ma la loss-given defalut (LGD), ovvero la perdita che si genera una volta che la banca fallisce. LGD: loss-given default, una volta che l banca è fallita, qual è la perdita che il sistema registra. Il fatto che una banca sia una GISIB non è legato ad una bassa probabilità di fallire (PD) ma al LGD. I criteri dimensionali per essere dichiarati G-SIB sono: 1) Operatività internazionale. 2) Dimensione. Sì ma non solo. La dimensione non è solamente il totale dell’attivo ma il totale delle esposizioni, calcolate come quanto deciso dagli accordi di Basilea 3. 3) Interconnessione. Attività/passività vs altre società finanziarie, non necessariamente banche. Sia all’interno dei circuiti bancari sia con tutti gli altri player che competono con le funzioni bancarie. 4) Sostituibilità. Il sistema bancario si sta disintermediando, le banche sono fornitori di servizi che in passato non erano forniti da tali istituti (anche a causa dell’avvento del FinTech), alto tasso di sostituibilità significa alto rischio sistemico, perché il suo fallimento impatterebbe anche il sistema finanziario. 5) Fornitore di servizi complessi. I servizi complessi non li troviamo iscritti nel bilancio (come possono influenzare la bontà del bilancio e quindi la solidità di una banca? Se c’è un grosso buco off balance, deve essere colmato da risorse liquide on balance. Le risorse non computate a bilancio è un trucco per non appesantire troppo le passività del bilancio, non rientrano nell’attività core della banca). Ogni voce pesa uguale. Come misuro l’operatività internazionale? Guardo l’attivo e il passivo del bilancio. Come si calcola l’indicatore delle G-SIB? Si prende il controvalore di una categoria rispetto a tutti i totali degli attivi delle altre banche, viene fuori una percentuale. Una volta che ho le esposizioni di tutte e 5 le disposizioni, faccio una media. A quel punto ordino tutte le banche che ho all’interno del sistema e ognuna delle 5 categorie (5 quest’anno) classifica un diverso grado di rischio sistemico, per definizione l’ultima categoria di questo ranking viene tenuta vuota. IL BILANCIO BANCARIO Il bilancio di esercizio è un documento che fornisce a terzi (azionisti, creditori, mercato etc.) una rappresentazione chiara veritiera e corretta della situazione patrimoniale, economica e finanziaria. È il primo elemento che permette di valutare lo stato di salute dell’impresa bancaria e l’opportunità per l’investitore di investirci capitale. Tale documento deve consentire la formulazione di valutazioni corrette sullo stato di salute dell’impresa bancaria e di prendere coerenti decisioni economiche e di investimento. È rivolto in primis agli azionisti, i quali sono soci quota-parte della società; tutto il mercato è fruitore del bilancio, perché alcuni indici sono utilizzati da investitori che non necessariamente sono azionisti ma che vogliono prestare capitale/prestare azioni nel breve termine a quella banca. Gli investitori retail non si mettono ad aprire tutto il bilancio ma solo determinati indici evidenziati nel bilancio riclassificato. In ultima istanza il bilancio è rivolto a tutti i portatori di interesse (stakeholders) che fanno parte del tessuto sociale attorno alla banca. Il bilancio è sottoposto al vaglio del Collegio sindacale ma anche del Collegio di Sorveglianza/Società di revisione e del Consiglio di Amministrazione. Il bilancio deve essere redatto in base a postulati, criteri, procedure di contabilizzazione, valutazione e classificazione che permettano allo stesso di dare una periodica e attendibile conoscenza del risultato economico e della situazione patrimoniale dell’impresa. I principi del bilancio sono gli IAS/IFRS. In più vanno rispettati i requisiti di significatività, comprensibilità, attendibilità, comparabilità e i principi di veridicità, correttezza e chiarezza. STRUTTURA DEL BILANCIO Il bilancio di un’impresa bancaria è costituito da SP, CE, NI, RF, prospetto della redditività complessiva, prospetto delle variazioni del PN, dichiarazione non finanziaria, relazione del collegio sindacale, relazione della società di revisione, revisione legale dei conti. Relativamente poca differenza rispetto a quello di una qualsiasi impresa quotata. Si aggiungono la dichiarazione non finanziaria (DNF) che riguarda le ESG, etc. - Prospetto della redditività complessiva: evidenzia come è stata generata la redditività della banca durante quell’anno, quali sono state le aree gestionali/voci che hanno contribuito a creare reddito nel corso dell’esercizio. - Prospetto delle variazioni di PN: fornisce informazioni sulle le cause (se esistono) che hanno fatto variare la consistenza patrimoniale della banca, in particolare le aree di capitale sociale e le riserve. - Rendiconto finanziario: finalizzato alla rendicontazione dell’equilibrio finanziario della banca, ovvero della liquidità della banca, quali aree della banca abbiano assorbito o generato liquidità (non è la stessa cosa che generare reddito, differenza tra equilibrio finanziario ed equilibrio economico). - Relazione del collegio sindacale: attività di controllo e relazione all’assemblea e osservazioni e proposte su bilancio e approvazione. - Revisione legale dei conti: conformità con i principi contabili, chiarezza/veridicità/correttezza della situazione economica/finanziaria/patrimoniale e del risultato economico - Nota integrativa: funge da documento che specifica gli aspetti poco chiari o che devono essere riassunti in modo estremamente compatto all’interno del bilancio e che hanno bisogno di una spiegazione ulteriore, riguarda le politiche contabili, info su SP e CE, redditività complessiva, informazioni sui rischi e sulle relative politiche di copertura (ci rifacciano ai derivati con finalità di copertura, possono finire in due parti: o in bilancio e quindi all’interno dello SP oppure possono essere off balance sotto la riga del bilancio, bisogna dare descrizione in nota integrativa del sottostante e anche se effettivamente questo derivato abbia offerto una buona copertura del sottostante). - SP: (dobbiamo metterci nei panni della banca, le attività generano flussi positivi in CE) redatto a sezioni contrapposte, l’attivo è redatto secondo il criterio di liquidità decrescente, il, passivo redatto con criterio di esigibilità decrescente. Non tutte le APF (attività e passività finanziarie) sono valutate secondo i medesimi criteri: fair value (APF finalizzate alla negoziazione, derivati di copertura e attività e passività valutate al fair value) e costo ammortizzato (attività finanziarie detenute fino a scadenza, titoli in circolazione, crediti e debiti). Attività e passività finanziarie sono classificate in funzione della specifica destinazione d’uso, l’inserimento in una categoria piuttosto che in un’altra comporta l’applicazione di diversi criteri di valutazione IAS/IFRS. Si usa la valutazione al fair value per a/p finalizzate alla negoziazione, derivati di copertura (hedging), a/p valutate al fair value. Si usa il costo ammortizzato per a/p detenute fino a scadenza, titoli in circolazione, crediti e debiti v/banche e clientela. La determinazione del FAIR VALUE può avvenire secondo diverse modalità distribuite su una scala gerarchica valutativa suddivisa in 3 livelli (non per tutti gli SF è possibile identificare il fair value): 1) Lo strumento che devo valutare per inserirlo in bilancio ha un prezzo e quindi è negoziato su un mercato attivo, il prezzo è determinato dalle dinamiche di domanda e offerta del mercato, valutazione imparziale. Prezzo = fair value dell’attività finanziaria 2) Se il fair value è misurato sulla base di tecniche valutative diverse dalle quotazioni con parametri osservabili sul mercato. La tecnica di valutazione ha l’obiettivo di stabilire quale sarebbe stato il sotto controllo l’esposizione/LEVA della banca, anche il portafoglio prestiti deve essere bilanciato rispetto al patrimonio della banca, ovvero la quantità finanziaria stabilmente posseduta dalla banca. L’erogazione dei prestiti contribuisce a definire l’attività bancaria ma genera una serie di rischi come il rischio di controparte (connessi il moral hazard e adverse selection), rischio di liquidità (mancanza di cassa disponibile perché prestata può portare degli squilibri, per ogni deflusso di cassa la gestione liquidità deve far sì che ci sia un afflusso di cassa che lo controbilanci), rischio di tasso (rischio finanziario vero e proprio). Le peculiarità dei contratti di credito è che sono a prestazioni differite (per questo rischio di controparte molto alto, significa che io oggi ho un deflusso di liquidità ma la prima riscossione di quote capitali o interessi avviene in modo differito nel tempo). Quali sono le leve a disposizione per ridurre il rischio di credito? La gestione delle informazioni, ovvero quanto meglio conosco la controparte alla quale presto denaro, minore sarà il rischio di adverse selection e di moral hazard. La leva informativa è importante perché ex ante mi permette di avere una qualità del portafoglio prestiti migliore. Parte della gestione del portafoglio prestiti a livello micro è anche l’attività di sanctioning: non potendo azzerare l’esposizione di rischio, devo predisporre un’attività di intervento qualora i termini contrattuali non siano rispettati. A livello aggregato, la banca deve operare due scelte: il volume del portafoglio ovvero quanto ampia e caratterizzante è l’attività creditizia rispetto al paniere di attività offerto dalla banca; da una parte è una scelta endogena ovvero una scelta operativamente scelta dalla banca, dall’altra parte dipende anche dal costo del funding ovvero dal costo degli impieghi/fonti. La seconda scelta che la banca si trova a fare è come comporre il portafoglio prestiti. La diversificazione abbatte la componente inattesa delle perdite. La componente attesa dell’esposizione al rischio, non è neanche rischio per la banca perché aspettandosela si copre. Il vero rischio sta nella componente inattesa, che dà volatilità all’esposizione. Diversificando posso abbattere la componente idiosincratica del portafoglio e in una certa misura la componente inattesa del rischio. La concentrazione/frazionamento delle posizioni creditorie contribuisce alla diversificazione. Un “grande rischio” o grande fido per un legislatore europeo è una posizione di rischio di importo pari o superiore al 10% del patrimonio di vigilanza vs un’unica controparte. La concentrazione del portafoglio prestiti e quindi il disincentivo di avere grandi fidi è oggi legiferato ex lege. Una volta che la banca ordina per volume singolo delle esposizioni in portafoglio, identifica i cosiddetti grandi fidi. Il profilo della gestione prestiti è connesso al profilo della raccolta (maggiore è la raccolta, maggiori saranno potenzialmente i prestiti, stessa cosa con prestiti a maggior prezzo). Anche molto connessa alla gestione portafoglio o gestione finanziaria, la banca una volta che ha la propria raccolta deve decidere quanto impiegarne in prestiti e quanta impiegarne per l’acquisto di attività finanziarie. Una banca DEVE erogare prestiti. Maggiore è la arte di liquidità destinata alla gestione prestiti, minore è quella destinata ai titoli. Connessa anche alla gestione patrimoniale (devo decidere a che livello di leva voglio operare). GESTIONE PORTAFOGLIO TITOLI Concerne tutte le decisioni relative agli investimenti in titoli. Nel portafoglio titoli giacciono i titoli acquistati direttamente dalla banca o titoli trasformati in altri tipi di asset e rivenduti, dunque tutti i tioli di proprietà della banca. Non rientrano i titoli che la banca compravende per conto di terzi. (domanda tipo è chiedere l’elenco attività finanziarie che la banca può svolgere) La composizione del portafoglio (prestiti-titoli), come la dimensione, dipende dal modello assunto dalla banca: se si trattasse di una banca commerciale il portafoglio prestiti sarebbe più impostante; invece per un investment banking la dimensione del portafoglio titoli aumenta su quello dei prestiti. Questa gestione è importante perché impatta sullo SP e su CE, per quel che riguarda i flussi di cassa positivi o negativi, profitti e perdite ed infine il margine di intermediazione (MINTM, raccoglie costi e ricavi relativi all’attività di compravendita sui mercati finanziari) tale gestione è allo stesso tempo fortemente collegata alla gestione di raccolta, di liquidità e di capitale. Il portafoglio titoli è suddiviso in portafogli con obiettivi diversi: Con finalità speculative, votato alla massimizzazione del rendimento. Coloro che operano sul mercato per conto della banca cerca di cogliere le opportunità migliori. Ha un forte impatto sull’equilibrio economico, ovvero sulla redditività. Finalizzato all’attività di copertura. Il mercato derivato è molto ampio, ci si può coprire sulla valuta, scadenze, esposizione eccessiva su una determinata industry etc., riesce a minimizzare la rischiosità. Non vuol dire necessariamente che debba farlo con strumenti derivati: la copertura avviene anche semplicemente tramite le riserve. La differenza principale è che se copro con una riserva non ho alcun rischio (immediatamente disponibile) ma mi costa (costo fisso ma non posso perdere da una giacenza a parte la cosiddetta perdita potenziale), il derivato costa comunque ma è rischiosa (se sbaglio verso posso aumentare la perdita, anzi è sicuro che una perdita me la devo aspettare perché copro solo parzialmente, se il sottostante va male il derivato short va bene ma non copro totalmente e viceversa). Due approcci teorici opposti alla gestione del portafoglio titoli. Il core del mio portafoglio, come lo gestisco? Quale strategia di investimento utilizzo? 1) Residuale . La banca impiega la componente residuale delle fonti, residuale all’impiego in termini di prestiti. La impiega in maniera preferenziale sui prestiti, quello che rimane non impiegata in prestiti viene impiegata nel portafoglio titoli. Ha un rapporto impieghi in prestiti/depositi molto elevato e un rapporto titoli in portafoglio/depositi basso perché è solo un piano B. in pratica il portafoglio titoli agisce come cuscinetto di liquidità: il volume in port. Titoli si gonfia quando sul mercato non ci sono condizioni remunerative per concedere prestiti, al contrario si sgonfia il portafoglio titoli se il mercato creditizio offre condizioni remunerative. Il problema è che generalmente il portafoglio titoli si sgonfia quando ci sono situa di forte crisi o incertezza, nelle fasi recessive i tassi iniziano a scendere (non investo più tanto in prestiti e in teoria è il momento che il cuscinetto si gonfi), vuol dire che i prezzi salgono, entro nel mercato finanziario in un momento in cui i prezzi sono alti. Nelle fasi espansive i tassi iniziano pian piano ad alzarsi e i prezzi scendono, vendo a sconto. Se applico perfettamente tale teoria è il modo per avere una perdita secca in conto capitale. Le banche a volte pur di non vendere quando dovrebbero sgonfiare il cuscinetto e riprendere l’attività creditizia, mantengono in portafoglio i titoli: questo si chiama il lock-in, alcuni titoli rimangono intrappolati all’interno del bilancio, non quelli valutati al fair value perché il loro valore viene rivalutato anno dopo anno ma quelli detenuti in portafoglio fino a scadenza, li tengo perché almeno mantengono il loro valore in bilancio immutato. Occhio alla valutazione dei cespiti!! 2) Flessibile . Io do pari importanza al portafoglio prestiti e al portafoglio titoli, gestisco il portafoglio titoli per ottimizzarne il rendimento. Entro sui mercati in coda ad una fase espansiva, esco dai mercati prima di una fase espansiva. Nella pratica ciò è estremamente impossibile, nel momento in cui si vede che i tassi stanno aumentando, i tassi sono già aumentati. Tecnicamente evito l’effetto lock-in visto prima, qui posso compravendere nel momento ottimale. Tecnicamente, dal momento in cui ottimizzo il momento di entrata e uscita, è più redditizia della strategia residuale, ma non è tipica di una banca solo commerciale ma di una che ha anche un’attività di investment banking all’interno della propria organizzazione. Dal pto di vista qualitativo, le due strategie di ottimizzazione del portafoglio è: 1) Gestione portafoglio titoli laddered approach. Laddered=scala a pioli. Ha come obiettivo la riduzione dei rischi economici e finanziari del portafoglio, diversificandolo sotto il profilo della scadenza dei titoli che lo compongono. Il portafoglio viene ripartito su più scadenze al fine di ottenere un flusso finanziario complessivo (interessi e rimborsi) regolare e costante. L’obiettivo finale è ottenere una copertura a livello di flussi finanziari attesi di tutte le scadenze. Sono certo che l’equilibrio finanziario della banca sia rispettato. Maggiore è la frequenza con la quale suddivido le scadenze, maggiore è il controllo sull’equilibrio. È un approccio molto conservativo perché per avere flussi regolari si prendono decisioni di investimento che non massimizzano necessariamente il rendimento atteso. La massimizzazione del profitto è residuale rispetto alle scadenze regolari. 2) Barbell . Ha come obiettivo la massimizzazione del profitto proveniente dalle oscillazioni dei tassi attraverso la composizione di un portafoglio polarizzato, da un lato investimenti ad alto rischio a M/LT con un alto potenziale di guadagno e dall’altro investimenti a basso rischio con titoli altamente negoziabili e basso potenziale di rendimento. In un contesto di forte incertezza sull’andamento del mercato, un portafoglio come questo consente la massimizzazione del rendimento complessivo atteso e garantisce una maggior flessibilità (monetizzazione dei titoli a breve in caso di tensione di liquidità). Funziona bene quando c’è alta volatilità sui mercati, perché garantisce una sorta di copertura. GESTIONE RACCOLTA DIRETTA Riguarda l’insieme delle decisioni volte ad acquisire fonti di finanziamento sotto forma di capitale di debito da parte di famiglie, imprese, intermediari, BCE etc. “diretto” perché avviene attraverso l’emissione da parte della banca di proprie passività, crea quella parte di passivo definito oneroso, che produce deflussi di cassa, interessi negativi per la banca. Include tutti quegli strumenti atti ad acquisire liquidità che la banca emette in prima persona, aventi le seguenti caratteristiche comuni: assunzione di una posizione debitoria, contabilizzazione nel passivo di SP, rischio di liquidità. Es: c/c, depositi, obbligazioni, pronti contro termine. Le risorse così ottenute (passività onerose) aumentano la capacità di impiego (Attività Fruttifere), per questo motivo si ha incentivo a massimizzare i volumi e minimizzare il costo della raccolta. Maggiori sono le passività onerose e più capacità ho di impiegarle, di creare attività fruttifere (AF) che potenzialmente possono creare flussi positivi di cassa. L’incentivo è di massimizzare i volumi di passività per ampliare le fonti e minimizzarne il costo, meno mi costa la raccolta e più posso creare margine sugli impieghi. C’è un grosso trade-off sulla capacità di rinnovo e mantenimento delle relazioni. La banca deve avere una molteplice coerenza tra passività onerose e attivo fruttifero: Il legislatore europeo definisce la crisi bancaria lo STATO DI DISSESTO MA ANCHE SOLO IL RISCHIO DI DISSESTO DI UNA BANCA. si possono aprire le procedure di crisi anche solo se la banca è ad alto rischio di dissesto. La banca è in dissesto o ad alto rischio di dissesto quando una o più di queste variabili è verificata: Quando la banca viola i requisiti autorizzativi (vedi i punti da a alla f pag. 22) Quando le attività di SP non coprono le passività, quando il bilancio è in rosso Quando si verifica un’incapacità di rimborso dei debiti, ovvero quando viene meno l’equilibrio economico-reddituale ma può essere soltanto quando viene temporaneamente meno l’equilibrio finanziario ovvero quando si crea uno squilibrio dal punto di vista della liquidità (i flussi provenienti dalle attività fruttifere non riescono a coprire i deflussi di cassa provenienti dalle passività onerose, ergo la banca non riesce a rimborsare i propri debiti) Quando è necessario un intervento straordinario pubblico; questa è la fattispecie che il legislatore europeo vuole cercare di minimizzare a tutti i costi, detto “bail out” è una possibilità che viene quasi esclusa. Si tende a salvare una banca quando è soltanto a rischio dissesto, utilizzando i fondi privati della banca stessa. COME SI SALVA UNA BANCA IN CRISI? Ci si appoggia alla Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD): una direttiva unica europea che ha il compito di prevenire gestire le crisi bancarie. La BRRD dà alle autorità di risoluzione poteri e strumenti per pianificare la gestione di una crisi (c’è tempo di pianificare una crisi perché crisi bancaria significa anche solo rischio di dissesto, c’è tempo perché la banca è ancora solvente), intervenire prima della completa manifestazione (early intervention), gestire al meglio la fase di risoluzione. Sono due i cosiddetti piani che la BRRD legifera: - Recovery Plan , cioè l’intervento pubblico di risanamento ex ante di una banca/ente in difficoltà ma non già in dissesto, si previene il dissesto vero e proprio stabilizzandone la situazione finanziaria. - Resolution Plan , quando la crisi è nella fattispecie di dissesto bancario, è la risoluzione di una crisi già manifestata, strumenti di intervento ex post cioè ex post fallimento. Per massima prudenza è competenza della BCE di provare a mettere in piano i recovery plans all’inizio della crisi bancaria ma di passare quasi subito ai resolution plans; nella pratica negli ultimi anni le autorità propongono gli strumenti che fanno parte del resolution plan anche quando una banca è ad alto rischio di dissesto, proprio per un principio di prudenza. COSA SI PUO’ FARE QUANDO UNA BANCA MOSTRA SEGNI DI POSSIBILE DISSESTO? Gli strumenti del RECOVERY PLAN 1) L’intervento della BCE come prestatore di ultima istanza, come lender of last resort. La BC può prestare liquidità a una banca in difficoltà con il canale ordinario dell’operazione di rifinanziamento principale (più economico) o con il rifinanziamento marginale. Questione delle qualità delle garanzie e perché il tasso di rifinanziamento marginale è chiamato un “interesse penalizzante”. 2) Ricapitalizzazione precauzionale . Avviene con il denaro pubblico, deve essere approvata dalla BCE (massimo garante della vigilanza europea), ma questo intervento pubblico deve nascere come temporaneo, cioè nel momento in cui si apre la ricapitalizzazione precauzionale, ovvero nel momento in cui i soldi pubblici entrano nelle casse della banca, deve già essere depositato un piano che indica come questi soldi pubblici rientreranno nelle casse dello stato. La ricapitalizzazione pubblica deve nascere come un procedimento tampone temporaneo. Quando mi rendo conto che la banca ha bisogno di un procedimento così di ultima istanza? È capitato a seguito degli stress test della BCE. Annualmente la BCE valuta le condizioni di equilibrio dei tre equilibri finanziario/economico/patrimoniale di tutte le banche europee, sottoponendole ad un’analisi di scenario, di solito ci sono 5-7 scenari dai più rosei e probabili ai più remoti e difficoltosi da affrontare per una banca, e la BCE testa come quella det banca reagirebbe in termini dei tre equilibri in quella det situazione. Se una banca entra in sofferenza anche solo in uno di questi scenari, la banca entra in uno stato di crisi. Alla ricapitalizzazione precauzionale è applicato il cosiddetto “burden sharing”, ovvero significa che lo Stato può intervenire fornendo la liquidità di cui la banca ha bisogno, ma solo e soltanto se sono già state utilizzate le risorse interne disponibili della banca e non è riuscita ad uscirne. RESOLUTION PLAN Una volta stabilito che la banca sia in dissesto o che il dissesto sia altamente probabile, si aprono due possibilità in funzione di rilevanza sistemica e pubblico interesse della banca. Anche solo se la banca ha una rilevanza sistemica europea, è condizione necessaria e sufficiente affinché non sia lasciata fallire (non serve che sia una G-SIB, basta che sia sotto il monitoraggio diretto della BCE). L’attività bancaria con le sue tre funzioni può non essere di interesse pubblico nazionale? Lo è per forza. Anche qualora si dimostrasse che la banca non ha rilevanza sistemica e non è di interesse pubblico, vale il principio del no-creditor worse off: ovvero scegliere tra due opzioni quella che lascia i creditori in situazione migliore rispetto alle altre. 1) Liquidazione coatta amministrativa . 2) Risoluzione bancaria . È un processo di ristrutturazione gestito da autorità indipendenti (autorità di risoluzione) che mira ad evitare interruzioni nell’operatività standard della banca per i clienti retail medi e nella prestazione dei servizi essenziali offerti dalla banca (depositi e servizi di pagamento), a ripristinare condizioni di sostenibilità economica della parte sana della banca e a liquidare le parti restanti. Al termine della risoluzione, si deve avere una parte della banca capace di stare in piedi in termini di equilibri nel LT. Le autorità di risoluzione possono ricorrere a 4 strumenti di risoluzione. a) Il mercato. Metodo completamente liberista, vendere una parte dell’attività ad un acquirente privato (generalmente un’altra banca) disposto ad acquistare una banca in situazione di evidente difficoltà. Quella parte di attivo viene di solito svenduta. Generalmente c’è un passaggio informale intermedio: una banca mette in vendita una parte del proprio attivo non performante, Banca d’Italia “fa un giro di telefonate” e seleziona quelle banche che hanno un equilibrio molto solido e che vengono persuase a comprare la parte non performante in vendita. b) Bridge bank . È un passo intermedio rispetto alla vendita sul mercato; quando una crisi è improvvisa, l’operatività della banca è interrotta, c’è bisogno che l’Autorità di vigilanza crei questa banca-ponte (entità fittizia) in cui vengono trasferiti temporaneamente e in modo più ordinato gli attivi/passivi al valore di mercato della banca in crisi, per proseguire le funzioni più importanti in vista di una successiva vendita sul mercato. c) Bad bank . Tutto quello che non viene salvato e lasciato nella bridge bank, tutte le attività deteriorate, vengono trasferite a un veicolo che ne gestisca la liquidazione in tempi ragionevoli. Si costituisce una banca in cui venga trasferito tutto ciò di male che inficia la banca principale. d) Bail-in . La banca utilizza risorse interne per cercare di ristrutturare al meglio gli equilibri della banca. Differente è il bail-out ovvero l’utilizzo di risorse pubbliche. Negli anni recenti è stata introdotta la regola che una banca non può fare domanda di aiuto statale (bail-out) se non abbia almeno utilizzato l’8% del totale del passivo. Cosa rientrano nelle passività esigibili? In primo luogo si sacrificano gli interessi degli azionisti riducendo o azzerando il valore delle loro azioni. In secondo luogo, si interviene su alcune categorie di creditori, le cui attività possono essere trasformate in azioni e/o ridotte nel valore come i titoli obbligazionari subordinati. Se anche essi non bastassero per ripianare la perdita, allora si azzererebbe il valore delle altre obbligazioni; se anche azzerando il proprio debito rispetto agli obbligazionisti non si riesce ad azzerare la propria perdita, allora potrebbero essere soggetti al bail-in anche i depositi retail > 100.000€. Non si può ammettere al bail-in una categoria se non si ha già utilizzato quella precedente. Si parte dalle più rischiose per arrivare a quelle più sicure. Le attività che non possono essere sottoposte al bail-in sono i depositi < 100.000€ che sono garantiti e quelle tipologie di passività che sono garantite come i covered-bond. TERZO PILASTRO DELL’UNIONE BANCARIA: GESTIONE CAPITALE E ASSICURAZIONE DEPOSITI L’ultimo pilastro dell’Unione bancaria europea è quello dell’ASSICURAZIONE DEI DEPOSITI. Esiste un sistema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS, European Deposit Insurance Scheme) molto simile in tutti i paesi europei. Infatti, i sistemi di garanzia dei depositi sono sistemi istituiti in ciascuno Stato membro per rimborsare i depositanti qualora la loro banca sia in dissesto e i depositi diventino indisponibili. Tutte le banche devono aderire a uno di tali sistemi e versare contributi coerenti con i rispettivi profili di rischio. Le 5 caratteristiche che accomunano tutti i sistemi di garanzia: 1) Coverage limit, il limite di copertura che è 100.000€ . 2) Contribuzione ex-ante: tutte le banche del sistema europeo devono contribuire mettendo liquidità; dal 2018 le contribuzioni a questi depositi devono essere ex-ante. 3) Sistema di coinsurance. I depositanti partecipano insieme alla banca alla garanzia dei propri depositi, sono tenuti a versare una quota. 4) Risk-adjusted contributions: tutte le banche consorziate che versano liquidità all’interno del fondo dei depositi non hanno contrinuti omogenei, ma proporzionali alla loro rischiosità. 5) Tempi di rimborso (entro 2024 da 20gg a 7). GESTIONE DEL RISCHIO Di cosa si occupa il risk management all’interno della banca? Assunzione, trasformazione e gestione del rischio. L’attività core della banca è di essere un asset transformer ovvero trasformare il profilo di rischio degli asset che la banca crea per adattarli alle caratteristiche dei prenditori di fondi. Nel momento in cui la banca trasforma le scadenze e il profilo di liquidità, si assume dei rischi. Il risk management è il profilo gestionale più interconnesso, perché ogni area si assume rischi all’interno della banca, la prima cosa che il risk management deve fare è identificare le fonti di rischio, per misurare l’esposizione della banca a questi rischi. In alcuni casi è più difficile misurarli, come quello operativo e reputazionale. La mancanza di una misurazione precisa preclude una buona copertura. Una volta misurato il rischio, bisogna valutarlo ovvero ogni tipologia di rischio a parità di esposizione prevede un assorbimento di capitale differente. A seconda dell’assorbimento di capitale, viene prezzata quell’attività rischiosa. Infine, bisogna controllare ovvero svolgere l’operazione di monitoring, per poter mettere in atto azioni di early intervention. La gestione del rischio è diventata nell’ultimo ventennio un’area gestionale cruciale a seguito della stretta regolamentare, della sofisticazione degli strumenti finanziari presenti sul mercato, al miglioramento delle tecniche e dei sistemi di valutazione. QUALI POSSONO ESSERE LE VARIE TIPOLOGIE DI RISCHIO? I FATTORI DI RISCHIO PRINCIPALI DEL BUSINESS BANCARIO Non tutti sono d’accordo che l’impact investing faccia parte della finanza sostenibile e responsabile. Le principali strategie SRI sono: 1) Esclusioni. Fondamentale, noi oggi abbiamo esclusioni su alcol non responsabile, tabacco, droga, sempre di più gli investitori e chi seleziona i fondi sono sempre più attenti. 2) Engagement e azionariato attivo. Consiste nel dialogo tra investitore-emittente su questioni di sostenibilità e nell’esercizio dei diritti di voto connessi alla partecipazione al capitale azionario. Negli ultimissimi anni si fa proprio incontri ad-hoc sulla sostenibilità con le società di cui siamo azionisti, per capire se hanno raggiunto i target per le emissioni, se hanno messo in atto strategie per evitare lo spreco di acqua etc. I framework internazionali hanno contribuito a creare tutta una serie di standard minimi. 3) Best in class. Tu prendi tendenzialmente una classe/settore/mercato e cerchi di prendere e partecipare a quelli che sono i migliori. In una prima fase (2004-2014) si prendevano i rating e si diceva okY QUESTI SONO I MIGLIORI E PRENDO QUESTI; SI APRE TUTTO UN TEMA SUI RATING: cosa vado a valutare? Tendenzialmente i rating ti premettono di capire se la società è pronta ad affrontare questi temi. In passato era frequente che le piccole società avessero rating ESG più bassi a causa di mancanza di fondi rispetto alle grandi società. Il best in class è nato con l’idea che si prendessero i migliori sul mercato in base ai rating. I rating ora si stanno adeguando in base alla materialità e alla fattibilità dei risultati. 4) Convenzioni internazionali. Sono frutto delle prime attività di esclusione, nascono con l’idea di creare alleanze tra società o investitori per poter fare pressione sul mercato per raggiungere una base sulla base del quale gli investitori avrebbero poi potuto lavorare e investire. Sono strategie un po’ vecchie e datate che hanno portato a sviluppare le altre. 5) Impact investing. Non è una strategia, è un vero e proprio nuovo paradigma che prova ad unire il rendimento finanziario e l’impatto sociale e ambientale positivo. Rischio di sostenibilità. Si intende un evento o una condizione di tipo ambientale, sociale o di governance che se si verifica potrebbe provocare un significativo impatto negativo effettivo o potenziale sul valore dell’investimento. Investimento d’impatto. È diverso proprio perché proviamo a valutare l’impatto che generiamo attraverso la definizione di obiettivi e target interni, non solo cercando di minimizzare il rischio (impatto negativo) ma proprio cercando di generare un impatto positivo. Gli elementi ci permettono di capire i pilastri e l’approccio che si cerca di utilizzare. - Intenzionalità. Non solo ridurre impatto negativo ma produrne uno positivo. - Misurabilità. Bisogna mappare gli impatti negativi, bisogna capire come la società e i modelli di business provano a ridurli; dall’altro lato, capire come essi provano a passare ad un approccio attivo in investimenti in tecnologie, dal pov organizzativo e dei materiali, a cambiare il prodotto offerto verso un approccio ambientalista e sostenibile. Si è creato una sorta di dialogo su come misurare questi impatti. Ad esempio il target delle emissioni è un po’ quello fondamentale di base, oppure quello dei rifiuti. L’elemento della misurabilità è un elemento chiave perché permette di riportare all’investitore la performance aziendale. - Addizionalità. Uno dei pilastri più dibattuti della finanza d’impatto, perché molti sostengono che non si possa generare sui mercati quotati. Nasce con l’idea che sia una corrente applicata sulle piccole/medie imprese, perché è più semplice: se entro nel capitale di una società non quotata e ci rimango per 20 anni, posso effettivamente intervenire sul modello di business, cosa che un investitore in mercati quotati non potrebbe avere una tale ingerenza sulla società. Sui mercati quotati si può fare agendo sugli strumenti: sulla parte non quotata è semplice, sulla parte quotata di solito si prova a fare con dialogo all’impresa e contemporaneamente strutturazione degli strumenti. PERCHE’ È FONDAMENTALE L’AZIONE DEI MERCATI? Perché se prendiamo in considerazione due degli elementi fondamentali ovvero la neutralità climatica e il raggiungimento degli SDGs, le stime richiedono tantissimi fondi. Se il mercato intervenisse con la società, gli strumenti e gli investitori, gli obiettivi sarebbero più raggiungibili. Gli SDGs sono stati creati per gli Stati e sono stati declinati per costringere le società ad intervenire, per le società esistono i Global Compact. RISCHIO DI CREDITO/RISCHIO DI CONTROPARTE (IMPORTANTE PER ESAME!!!) È il rischio connesso al mancato ingresso totale o parziale dei flussi di cassa attesi derivanti dalle attività fruttifere in portafoglio, quando la controparte non è in grado di onorare il debito (rischio di controparte): il suo merito creditizio (la salute finanziaria ed economica di questa controparte) si è degradato: può significare che è fallito, non è più in grado di pagare interessi o restituire a scadenza il capitale, oppure il suo merito è peggiorato ma non a tal punto da determinare il default. (Dobbiamo ricordarci di quei crediti ai quali la banca cambia alcune clausole contrattuali nel momento in cui si accorge che il merito creditizio della controparte sia peggiorato, cambierà il rischio di credito relativo a quella esposizione). Un minimo di rischio di controparte è sempre contemplato poiché intrinseco e fisiologico, anche se si minimizza l’asimmetria informativa. Quali sono le fattispecie di peggioramento merito creditizio o definitivo default della controparte? Dal 2021 le normative europee hanno implementato una def. omogena di default a livello europeo di una controparte in un rapporto bancario (per una società è immediato, per controparte retail o microimpresa o impresa familiare non è sempre immediato). Sono 3 le condizioni che devono verificarsi perché una controparte bancaria sia in default: 1) Esposizione assoluta della controparte in esame nei confronti della banca. 2) Esposizione deteriorata relativa, ovvero il peso di questa esposizione potenzialmente NPL. 3) Vincolo temporale. Steps per definire il default: - Il cliente non rispetta i pagamenti e ha un ritardo - Essendo la soglia del vincolo di esposizione assoluta 100€, il cliente privato non paga più di 100€, il cliente corporate non paga più di 500€ - Questi importi valgono più dell’1%? Se effettivamente è così, allora anche il secondo criterio è soddisfatto e la controparte è sempre più vicina ad essere dichiarata in default - I giorni di arretrato sono più di 90? Se sì, la controparte è in stato di default e la banca la considera fallita A questo punto può avviare le azioni di tutela dei propri crediti. La quantificazione del rischio di credito può avvenire mediante la misurazione del merito creditizio, praticabile attraverso 2 strumenti: 1) Rating: le agenzie di rating creditizio, calcolano secondo la combinazione alfa numerica il merito creditizio della controparte. I rating creditizi funzionano in modo analogo ai rating di sostenibilità. Partono da una situazione di insolvenza per arrivare al merito creditizio più alto AAA: il titolo è di estrema qualità. C’è una linea immaginaria molto importante posta tra la qualità media e le qualità inferiori, che distinguono i titoli in Investments Grade dai titoli Non Investments Grade. Uno strumento è definito Investment Grade se il suo rating è pari o superiore a BBB (nella scala di giudizi utilizzata da Standard&Poor’s) o a Baa2 (nella scala di Moody’s). Questo significa che rappresenta un investimento relativamente sicuro e poco rischioso. La BCE accetta come garanzia dei propri prestiti solo titoli Investments Grade, che hanno un merito creditizio di coloro che li hanno emessi alto, medio-alto, medio. Rischio e rendimento sono direttamente correlati, lo studio di rating Standard & Poor’s associa la classe di rating al rischio di default. Un emittente BBB- ha 32 volte la probabilità di fallire di un emittente AAA. In teoria dovrebbe avere un rendimento 32 volte inferiore del secondo. Invece no, il rischio complessivo non è solo il rischio di credito ma c’è anche l’effetto reputazione. 2) CDS (credit default swaps): si tratta di specifici contratti che riguardano uno scambio di rischio di credito. Le controparti coinvolte sono solo 2, un compratore in protezione (protection buyer) e un venditore di protezione (protection seller). È un contratto derivato: il detentore di un credito (protection buyer, compra protezione) si impegna a pagare una somma fissa periodica (copertura assicurativa), direttamente proporzionale alla probabilità di insolvenza del soggetto terzo debitore, a favore della controparte (protection seller), per assicurarsi il buon fine del credito. Quest’ultima si assume il rischio di credito gravante su quell’attività nel caso in cui si verifichi il credit event. Quindi PB e PS sono le controparti del CDS. Più alta è la commissione e più alto è il rischio di credito della controparte. È importante sottolineare che sia il PB che il PS possono anche non avere alcun rapporto di credito con il terzo soggetto, in quanto il contratto prescinde dalla presenza di quest’ultimo: il sottostante è unicamente il merito creditizio e non il vero e proprio credito. È un derivato OTC per cui il CDS può avere luogo anche se il contratto non è standardizzato. È uno svantaggio per il debitore perché il mercato può vedere quanto è alto il premio del suo default. Non essendo necessario che il rapporto di credito esiste, si può costruire un CDS puramente speculativo, che non abbia effettivamente un sottostante/credito ma un sottostante sintetico (rischio fittizio di controparte). Nella quantificazione del rischio di credito, abbiamo due componenti: - Le perdite attese, sono coperte dalle riserve (accantonamenti periodici) e dal tasso di interesse che la banca richiede a quella controparte (se rischiosa chiede un tasso alto). - Le perdite inattese, che rappresentano l’esposizione più rischiosa al rischio di credito. Data la sua natura inattesa, può essere calcolata solo attraverso modelli probabilistici e grava sulla dotazione patrimoniale della banca. QUANTO COSTA IL RISCHIO? PERDITA ATTESA (expected loss) E(L)= EAD (l’esposizione che la banca ha nei confronti di quella controparte nel momento in cui quella controparte fallisce) x PD (probabilità che quella controparte ha di andare in default) x LGD (loss given default, parte dell’esposizione totale che effettivamente penso di perdere nel momento in cui quella controparte fallisce) L’inverso della LGD è il recovery rate, la parte di esposizione che mi aspetto di recuperare nel momento in cui la controparte fallisse (perché ho una copertura assicurativa, derivata, perché ho delle riserve). QUANTO VARIA IL COSTO DEL RISCHIO? PERDITA INATTESA (quanto è volatile ex post il costo di quel rischio, quanto si discosta la perdita effettiva dalla perdita media attesa) La quantificazione perfetta la posso avere solo quando questa perdita si manifesta. Ci sono 2 metodi che cercano di approssimare questa perdita. - Default mode : rischio di credito = rischio di default - Mark to market : non identifica come rischio di credito il rischio di default tout court ma inizia a valutare anche solo il rischio di diminuzione di merito creditizio (downgrading). La perdita inattesa si calcola come il VaR, basato sulla distribuzione di probabilità della perdita a seguito del deterioramento del merito creditizio. PERDITA STRAORDINARIA è quella che riguarda i cosiddetti cigni neri, ovvero eventi con bassissima probabilità di verificarsi ma con impatto disastroso. una volta quantificata la perdita, bisogna coprirla. L’eccessiva copertura provoca delle perdite sommerse. La cosa positiva per la banca è che il rischio di controparte, perlomeno nella sua componente inattesa, beneficia dell’effetto diversificazione, che deriva dal fatto che abbatte la componente inattesa. Si possono distinguere il capitale disponibile, che è il valore di mercato attività - valore di mercato passività (serve per capire se si è effettivamente coperti perché confrontato con il capitale di rischio) e il capitale di rischio, che è la stima di capitale che una banca dovrebbe avere per coprirsi dai crediti a rischio. RISCHIO DI MERCATO È il rischio che un investimento perda di valore sul mercato in modo inaspettato e inatteso a causa di oscillazioni altrettanto inattese dei prezzi. L’esposizione al rischio di mercato sono gli effetti che il rischio di mercato può produrre (conseguenza che le oscillazioni inattese hanno sul valore del portafoglio della banca). La misura più utilizzata della rischiosità del mercato è la sua volatilità che si misura attraverso la varianza o deviazione standard dei rendimenti. Il rendimento atteso deriva dalle proiezioni delle aspettative di mercato basate sulla serie storica dei rendimenti passati; calcolo il rendimento passato, la media dei rendimenti passati e poi la aggiusto al margine delle mie aspettative future. Come dico se è un buon investimento o meno? Sfrutto la proprietà della distribuzione gaussiana che dice che per costruzione, a prescindere da quali siano i valori dei rendimenti attesi e delle volatilità dei rischi, questi rendimenti si distribuiranno secondo una distribuzione gaussiana che ha un’ottima proprietà: è simmetrica e si distribuisce attorno alla media in modo tale che se sommo e sottraggo una volta la deviazione standard dalla media, ottengo un insieme di rendimenti che hanno il 68% di probabilità di verificarsi. % circa dei casi restanti, generalmente si utilizza la seconda campana di colore lilla, sommando due volte la deviazione standard al rendimento medio atteso; tale strumento nel 95% dei casi mi darà qualsiasi rendimento tra 1-9. Se voglio essere certo e voglio sapere cosa mi posso aspettare da quello strumento nel 99% dei casi, allora devo moltiplicare il valore della deviazione standard per tre e aggiungerlo e sottrarlo alla media; in questo modo copriremo la porzione in rosso della gaussiana. L’esposizione al rischio di mercato è il cambiamento inatteso di valore che il portafoglio titoli della banca ha proprio a causa del rischio di mercato (cioè proprio a causa del cambiamento inatteso dei tassi di mercato). Lo misuro tramite i modelli di VaR (valore al rischio). I VaR indicano la perdita massima attesa in un determinato periodo di tempo o in un determinato intervallo di confidenza. Si può calcolare ma non si può comparare il valore al rischio, espresso in Euro, senza sapere su quale intervallo temporale è calcolato e con quale intervallo di confidenza. Maggiore è l’intervallo di confidenza e migliore è la stima. Il valore a rischio è quella parte della distribuzione dei rendimenti che non posso stimare. N.B. Se abbiamo un valore noto sappiamo anche il rischio massimo potenziale; con un derivato non esiste la perdita massima. Vediamo come calcolare questa esposizione al rischio, quando rischia la banca dal momento che il mercato al quale è esposta è rischioso? Due approcci: 1) Tramite simulazione. 2) Approccio parametrico tramite formula. Si moltiplica il valore di mercato corrente (di un portafoglio, di uno strumento, dipende dalla richiesta) per il coefficiente di sensibilità (di quello strumento o di quel portafoglio) rispetto alle variazioni dei tassi di mercato (ovvero quanto è sensibile lo strumento/portafoglio alla volatilità di mercato), per la volatilità dei tassi di riferimento per l’intervallo di confidenza. Il modello di valore-rischio che si basa sulla distribuzione gaussiana ha delle limitazioni. La prima riguarda il fatto che la volatilità non è stazionaria in media, devo stare attento a non approssimare la volatilità ad un anno troppo velocemente con la volatilità a più lungo termine semplicemente moltiplicando la volatilità ad un anno con il numero degli anni, sarebbe un errore. Slide 13: T è il numero di volte che il periodo della volatilità nota è contenuto nel periodo della volatilità che voglio calcolare. Nel tempo, la rischiosità non segue un aumento lineare e quindi cresce meno che proporzionalmente rispetto al rendimento, che vediamo nell’eq. Di sx crescere lineare nel tempo. Ad oggi il var di un portafoglio (di un fondo) o di un mercato sono la media pesata delle variazioni delle attività che lo costituiscono. Non posso comparare il valore del rischio se non ho tre valori: ammontare, orizzonte temporale e l’intervallo di confidenza. RISCHIO DI INTERESSE È il rischio che il tasso di mercato abbia impatto negativo sul margine di interesse. L’esposizione al rischio di interesse riguarda le conseguenze inattese delle variazioni dei tassi di interesse di mercato (volatile) sul margine di interesse della banca, esacerbate dal mismatch delle scadenze di attivo/passivo. L'impatto sul bilancio della banca è legato al processo di trasformazione delle scadenze e alla detenzione di contratti finanziari sensibili a variazioni dei tassi di interesse. Le poste risentono dei cambiamenti di tasso di mercato, soprattutto quelle a tasso variabile, poiché seguono un sottostante variabile (es. EURIBOR). Anche i tassi fissi sono sensibili alle variazioni dei tassi di mercato: lo sono non in termini di flusso cedolare ma in termini di prezzo intrinseco. Sia che salgano che scendano, i tassi non hanno un impatto necessariamente positivo sui conti della banca. Es: obbligazione a tasso fisso con cedola del 5%; se i tassi aumentano, il prezzo dell’obbligazione scende, subisco una perdita e in particolare se l’obbligazione è valutata al fair value. Se i tassi si abbassano, il valore dell’obbligazione sale e sarei molto tentato di venderla, il problema è che, una volta che ho guadagnato, investo il guadagno su un mercato con tassi inferiori (rischio di reinvestimento). È il rischio più difficile da coprire perché ogni volta che i tassi variano il valore del mio portafoglio cambia. Quali asset beneficiano di un aumento/diminuzione di tassi? Come si comporta l’attivo fruttifero e il passivo oneroso in questa dinamica di variazione dei tassi esterni (di mercato)? 1) Prospettiva reddituale. Capiamo quali sono gli impatti sul margine di interesse di oscillazioni inattese dei tassi di mercato. Se guardiamo al MINT vediamo la differenza tra il costo del funding e i ricavi da investimento, quindi i deflussi di liquidità al netto dei flussi positivi di liquidità che arrivano dagli investimenti (questo è come abbiamo visto parlando del bilancio il margine di interesse). La trasformazione delle scadenze è quella peculiarità del business bancario che è più dannosa per riuscire a mantenere il margine di interesse stabile dato il fatto che i tassi di mercato continuano a variare. Il fatto che io banca trasformi le scadenze dell’attivo e del passivo mi dà la possibilità di eguagliare per lo meno in media le scadenze delle passività onerose e delle attività fruttifere (che nascono come estremamente divergenti). Se non ci fosse l’attività di asset transformation della banca, il PO sarebbe nettamente più a breve anche in media dell’AF, perché il c/c che è tipicamente a vista; classico esempio di AF di una banca commerciale è il mutuo (pluriennale). La banca trasforma queste scadenze e crea dei prodotti che aggiustano le preferenze di funding e di investimento da una parte all’altra dei clienti. 2) C’è un altro fatto da tenere in considerazione che è il repricing delle varie poste, ovvero il fatto che i tassi oscillano. È vero che ciò ha un impatto su tutte le poste in bilancio, ma non è detto che le abbia per tutte nello stesso istante. Un aumento dei tassi inatteso è positivo dal punto di vista reddituale per le mie AF e un abbassamento dei tassi di mercato è positivo dal punto di vista reddituale per le PO. Introduciamo qualche considerazione temporale: la banca non opera su portafogli differenti ma gestisce il portafoglio tramite l’approccio Asset Liabilities Management, ovvero gestione contestuale di attivo e passivo. È importante sotto il profilo della liquidità perché i flussi devono coprire i deflussi ma non solo. Cosa succede al margine di interesse con un aumento/diminuzione dei tassi? 1) AUMENTO DEI TASSI. Cosa succede se le PO scadono prima delle AF? Vuol dire che inizio a pagare di più prima e dopo un po’ anche gli altri iniziano a pagare me a tassi più alti. Se il repricing del PO è ad una scadenza inferiore rispetto al ripristino dell’AF, vuol dire che i deflussi di cassa che provengono dalle PO e che sono maggiorati perché seguono i tassi di mercato, verranno registrati prima dei flussi maggiorati che entrano nell’attivo. Il margine di interesse MINT ne soffre. Se le AF scadono prima delle PO, i flussi positivi aumentano prima che aumentino i deflussi, ottimo per il margine di interesse MINT. 2) DIMINUZIONE DEI TASSI. Se le PO si riprezzano/scadono prima dell’AF, vuol dire che inizio a pagare di meno prima che gli altri mi paghino di meno, ha un impatto positivo sul MINT. Se AF si riprezza prima del PO, io inizio ad avere flussi positivi inferiori subito e continuo a pagare le mie passività onerose al vecchio tasso fino al momento del repricing, impatto negativo sul MINT. Ci servono 3 cose per calcolare l’esposizione dal punto di vista reddituale, quindi l’impatto sul margine di interesse che variazioni inattese dei tassi di mercato possono avere. 1) La diversa scadenza del repricing di poste attive e passive. Ci serve sapere quanto dura questo disallineamento. Prima cosa da fare è identificare il “gapping period”, ovvero quella scadenza, quei sotto periodi che sono rilevanti per calcolare l’impatto che queste variazioni inattese hanno sul margine di interesse. Se noi banca guardiamo la composizione del nostro attivo e passivo e ci accorgiamo che in media il repricing ovvero l’aggiustamento ai nuovi tassi avviene al più mensilmente, cioè io non ho nulla che mi crea dei flussi o dei deflussi più frequentemente che da un mese all’altro, allora è inutile che ogni giorno calcolo l’impatto che i nuovi tassi hanno sul margine di interesse perché tanto so che il grosso delle poste ha un riprezzamento al più mensile. Se invece mi accorgo che le poste mensili hanno un repricing più ravvicinato, allora è rischioso tenere un’osservazione da un mese all’altro perché la distanza che faccio passare tra flussi in entrata e in uscita è rilevante, e immaginiamo che io mi accorga di questo impatto solo il mese seguente. Devo decidere quanto frequentemente misurare l’impatto del margine di interesse in funzione della frequenza di repricing delle poste. Più la frequenza è stretta e più il gapping period è corto. 2) Identificare RSA e RSL ovvero attività e passività sensibili ai tassi in funzione della data di rinegoziazione dei tassi o della loro scadenza. Viene condotta questa analisi solo se effettivamente subiranno una sorta di repricing. 3) Identificare il gap marginale GAP=RSA−RSL e il gap cumulato CGAP=sommatoria (RSA−RSL). Il gap marginale è la differenza tra RSA e RSL calcolata per ogni gapping period. L’impatto sul MINT è dato dal gap cumulato, delta MINT=CGAPk x delta it N.B. si guardano i segni del gap cumulato, non quello del gap marginale. Limiti del repricing gap: Ignora l’impatto del repricing dalla data effettiva fino a chiusura del gapping period aggiustabile tramite il MATURITY ADJUSTED GAP, che tiene conto dell’effettivo momento del pricing di ogni posta all’interno del gapping period. Per ogni titolo, ogni periodo è diviso in una parte nella quale il tasso resta costante e in una nella quale gli interessi risentono delle variazioni dei tassi. Sensibilità alle variazioni dei tassi forzatamente uguale tra le poste di bilancio metodo del gap standardizzato, metodologia analoga al repricing gap base ma aggiustato per un coefficiente di sensibilità. 2) Prudenziale. Minimizza l’assunzione di rischi. Si occupa di determinare i criteri volti a misurare l’esposizione ai rischi e minimizzare queste esposizioni tramite il capitale regolamentare. Non solo queste norme danno delle linee guida, ma anche come questa esposizione può essere gestita. 3) Protettiva. Si occupa di stabilire le norme di gestione e risoluzione delle crisi bancarie. Come l’attività di vigilanza viene svolta: regolamentare, informativa, ispettiva. 4) Regolamentare. Attività che si occupa della produzione di norme e decreti attuativi della normativa primaria che definiscono regole e meccanismi operativi. 5) Informativa. Si occupa della trasparenza delle banche nei confronti dei propri stakeholder e la correttezza del comportamento, minimizza le asimmetrie informative (con un occhio di riguardo all’investitore retail) 6) Ispettiva. Si occupa di effettuare dei controlli in sito presso le sedi bancarie, generalmente possono essere programmati. L’output è sempre pubblico (il report che scaturisce dal controllo è pubblico). Quando parlo di modello, intendo come le varie attività di vigilanza sono organizzate all’interno di una nazione. 7) Modello accentrato (single regulator). A un’unica autorità di vigilanza è attribuito il compito di regolamentare e vigilare tutti i comparti del sistema finanziario. C’è una sola autorità che detta le linee guida e crea tutto il corpus di norme che mettono in pratica le linee guida della regolamentazione 8) Modello decentrato. Modelli più comune, la struttura può essere sviluppata per soggetti/attività/finalità. Prevede la presenza di più autorità contemporaneamente. a) modello istituzionale. b) Modello per attività. c) Modello per finalità. A ogni autorità viene associato un obiettivo (stabilità, efficienza, trasparenza etc.) da conseguire attraverso l’attività di regolamentazione e controllo in maniera trasversale su tutti gli intermediari modello eccessivo, enorme ampiezza dei controlli. La realtà è che c’è un mix. Ad oggi continuano a coesistere modelli di vigilanza nazionali ed europei, che moltiplicano i flussi informativi che la singola banca deve introdurre (questa complessità non è efficiente e può far si che ci siano arbitraggi regolamentari tra i Paesi). VIGILANZA NAZIONALE Modello ibrido pseudo decentrato. Pseudo perché Banca d’Italia ha un ruolo strutturale e strategico. Possiamo distinguere almeno due tipologie di vigilanza decentrata: Per finalità. Per soggetti. La riconosciamo quando individuiamo strutture come IVASS (compagnie assicurative) e COVIP (fondi pensione). In Italia, l’intermediazione finanziaria viene disciplinata per segmenti o tipologie di attività: Ordinamento delle attività bancaria e creditizia TUB Ordinamento delle attività di gestione collettiva del risparmio e delle attività di gestione dei servizi di investimento TUF Disciplina dei mercati di strumenti finanziari TUF All’interno della normativa italiana troviamo gli obiettivi macro della regolamentazione italiana. La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e incoraggia l’esercizio del credito. Le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia. Esistono due tipi di autorità di vigilanza italiane, una di natura politica (legiferano e danno le linee guida), gli organi di natura politica si occupano più di regolamentazione (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio, Ministero per l’Economia e le Finanze), e una di natura tecnica i cui organi si occupano della vigilanza vera e propria (Banca d’Italia/BCE, Consob). Da una parte ci sono le autorità di vigilanza che si occupano delle banche e dall’altra quelle che si occupano dei mercati. Quindi, se le autorità di vigilanza creditizie si occupano della regolamentazione del settore creditizio per l'appunto alcuni si occupano delle banche, dall’altra Consob si occupa esclusivamente della regolamentazione dei mercati. Banca d’Italia ha una forte collaborazione/cooperazione/scambio di flussi informativi sia con le autorità puramente bancarie che con Consob. CONSOB: Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, è l’autorità regolamentare del mercato mobiliare. Tutela la trasparenza e corretta erogazione dei servizi di investimento in strumenti finanziari, controlla le società che gestiscono i mercati di strumenti finanziari, tutela gli investitori mediante la richiesta di pubblicazione e diffusione dei prospetti informativi degli strumenti emessi sul mercato e disciplinando l’attività di offerta fuori sede dei prodotti finanziari. CICR: Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio. È deputato all’alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio, delibera sulla base delle proposte della Banca d’Italia sulle misure di politica monetaria e creditizia necessarie per realizzare gli obiettivi di politica economica del Governo. Banca d’Italia formula proposte per le deliberazioni di competenza del CICR, verifica la sana e prudente gestione degli intermediari, in relazione ai rischi assunti (regolamentazione prudenziale), esercita le funzioni di vigilanza sul settore bancario e sulle singole banche che lo compongono (vigilanza informativa, regolamentare e ispettiva). Gli intermediari sono sottoposti al controllo congiunto di più autorità, ognuna competente con riferimento a ciascun obiettivo della regolamentazione. VIGILANZA SOVRANAZIONALE Un punto di svolta è sicuramente il 2008, quando la Commissione Europea ha dato l’incarico di formulare una proposta di riforma strutturale dell’UE, che ha evidenziato le cause principali che hanno impedito un intervento europeo comune per fronteggiare la crisi: mancanza di coordinamento tra le Autorità, assenza di vigilanza macro prudenziale (come se il rischio sistemico non esistesse), assenza di controllo prudenziale per intermediari cross-border. L’architettura è stata profondamente revisionata: Consiglio Europeo per il rischio sistemico Sistema europeo delle autorità di vigilanza, è costituito da 3 autorità di vigilanza: EBA (autorità bancaria europea), EIOPA (autorità europea per le assicurazioni e le pensioni aziendali o professionali, ESMA (autorità europea per i valori mobiliari). Nel 2012 sono stati emanati questi principi chiave per la supervisione bancaria che sanciscono il fatto che la regolamentazione derivante dal Comitato di Basilea e quindi quella che si occupa soltanto di vigilanza prudenziale (misurazione e gestione dei rischi), sovrasta il principio dell’home country control (l’autorità della vigilanza nazionale). Norme macro: diminuire il rischio sistemico delle banche, dettate solo a livello europeo. Per essere significativa a livello europeo una banca deve soddisfare almeno uno di questi criteri: 1) Grandi dimensioni, un attivo sopra i €30 mld 2) Importanza economica, rilevanza all’interno del proprio paese o addirittura all’interno dei confini europei 3) Alta attività transfrontaliera 4) Il fatto di aver chiesto un aiuto economico sovranazionale. REGOLAMENTO PRUDENZIALE La vigilanza micro in Europa avviene in due fasi: 1) Interna alla banca e avviene da parte dell’Internal Governance o dall’Internal Auditing o della funzione di compliant interna della banca. Non interviene ancora l’autorità di vigilanza. I due controlli sono ICAAP (processo che valuta l’adeguatezza interna del capitale, valuta se la banca dal punto di vista patrimoniale è solida) e ILAAP (processo che valuta l’adeguatezza della liquidità interna). 2) Eseguita dall’Autorità di vigilanza, tramite un processo chiamato SREP (supervisory review and evaluation process) che è una sorta di controllo che la prima fase sia stata svolta correttamente. Tramite questo processo Banca Centrale tramite le banche nazionali stila un report per ogni banca, costituito da 4 capitoli: - Valutazione correttezza ICAAP - Valutazione correttezza ILAAP - Modelli interni di risk management - Business model banca GLI ACCORDI DI BASILEA Basilea è un comitato senza potere legislativo creato nel 1974 dai governatori delle Banche Centrali del G10 principalmente per mettere a punto un accordo sull’adeguatezza patrimoniale delle banche. Gli obiettivi sono: 1) Promuovere la stabilità finanziaria a livello internazionale. 2) Ridurre il rischio sistemico. 3) Migliorare il funzionamento dei mercati. Assegna al capitale il compito di assorbire i rischi assunti al fine di diminuire la probabilità che perdite inattese pongano le banche in condizioni di insolvenza. Lo stesso Comitato ha creato 4 pacchetti di accordi che sono uno l’evoluzione dell’altro. Ad oggi siamo in una fase di transizione tra gli accordi di Basilea 3 e gli accordi di Basilea 4 (inizio del face-in di Basilea 4). BASILEA 1 Il Comitato di Basilea non ha come obiettivo quello di minimizzare l’assunzione di rischi da parte delle banche, ma quello di far predisporre alle banche un patrimonio di vigilanza che siano in grado di assorbire l’esposizione alle perdite derivanti da questi rischi. Quando sono nati gli accordi? La prima formulazione del 1996-1997 prendeva in considerazione soltanto l’esposizione al rischio di controparte, e poi è stata introdotto, sempre in seno dei primi accordi, anche l’esposizione al rischio di mercato. In ogni caso la ratio era e rimane la medesima che, in funzione del rischio assunto, una banca deve detenere più capitale regolamentare (più rischio = più capitale). Il patrimonio di vigilanza accantonato deve essere almeno pari all’8% dell’RWA, Risk-Weighted assets: attivo ponderato in funzione del tipo di prenditore e relativo rischio di controparte. PV RWA ≥8% Una volta applicate le deduzioni, se il patrimonio non attiva all’8%, occorre andare ad aggiungere nuovamente asset dal T1 e dal T2 al TC. Inserire le deduzioni con segno negativo è un costo enorme per la banca, crea un disincentivo ad avere le perdite, ad avere un avviamento elevato, … a non applicare correttamente il fair value (quindi sottostimare il valore di mercato di alcuni asset in portafoglio). RISCHIO OPERATIVO L’esposizione è misurata tramite il risk-sensitive standardised approach, da dopo la crisi finanziaria. Operational risk capital = BIC x ILM BIC= business indicator component, proxy dell’utile della banca ILM = internal loss multiplier, misura del rischio operativo storico della banca negli ultimi 10 anni RISCHIO DI MERCATO Il capitale accantonato coincide con il VAR calcolato con un intervallo di confidenza del 99,9%. Le banche possono avvalersi di metodi propri, in questo caso la banca dovrà dimostrare nel resoconto ICAAP che i modelli di cui si avvale sono sufficientemente robusti. IMPOSIZIONE DI UN MASSIMO DI LEVERAGE Vincola l’espansione delle attività on e off-balance sheet complessive alla disponibilità patrimoniale. Leverage Ratio= tier 1 total asset ≥3% ELEMENTI MACRO PRUDENZIALI Basilea riconosce l’attività bancaria come un’attività pro-ciclica: In recessione le banche riducono il credito, ciò porta ad una riduzione degli investimenti, aggravamento della crisi In espansione le banche espandono il credito. L’ottica macro prudenziale viene integrata da riserve di capitale aggiuntivo (conservation buffer, che deve essere almeno il 2,5% di tutto l’attivo ponderato per il rischio) rispetto ai minimi regolamentari, volte a fronteggiare le perdite attese e inattese, e accantonamenti anticiclici e di conservazione del capitale, per invertire la tendenza. B3 prevede due requisiti di liquidità il cui valore non può scendere sotto l’unità.