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economia pubblica, Sintesi del corso di Economia Politica

riassunto completo di economia pubblica moderna, brosio

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

In vendita dal 20/10/2016

furettalupo
furettalupo 🇮🇹

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Scarica economia pubblica e più Sintesi del corso in PDF di Economia Politica solo su Docsity! Capitolo I L’economia Pubblica è la disciplina che studia il funzionamento del settore pubblico. 1.Settore pubblico e sistema politico. Il settore pubblico è identificato con lo Stato nazionale. Lo Stato si caratterizza per il monopolio della forza, cioè per la capacità di attuare con la coazione sul suo territorio le decisioni prese. Seguendo quest’impostazione, il settore pubblico sarebbe un meccanismo di allocazione delle risorse non di mercato, che si differenzia da altri meccanismi allocativi perché è in grado di imporre con la coazione l’applicazione delle regole stabilite. E’ eccessivo attribuire al potere di coazione la caratteristica distintiva del settore pubblico. E questo per tre motivi. In primo luogo, il potere di coazione è molto imperfetto anche negli Stati. Il secondo motivo è che esistono componenti del settore pubblico che sono sempre più importanti, ma che non dispongono della forza per attuare le decisioni (es. ONU). In terzo luogo, gli Stati, non vogliono e non possono imporre le loro decisioni solo con la forza. E’ dunque opportuno considerare il settore pubblico come una componente del sistema economico all’interno della quale le decisioni di allocazione vengono prese e applicate in maniera collettiva. 2. Le dimensioni del settore pubblico negli Stati moderni: differenze fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Le dimensioni del settore pubblico possono essere misurate in modi diversi. L’indicatore più usato è il rapporto fra la spesa pubblica, G, e il prodotto interno lordo, PIL. In generale, l’importanza del settore pubblico è correlata alla ricchezza dei Paesi. Di conseguenza, nei Paesi in via di sviluppo il peso del settore pubblico è più contenuto che nei Paesi ricchi. Comunque, la quota della spesa statale sul PIL varia dal 18,5 per cento nei Paesi più poveri al 38,1 per cento dei Paesi più ricchi. Oltre al reddito influiscono sulle dimensioni del settore pubblico anche fattori politici, culturali, storici. Per la spesa, i Paesi poveri spendono proporzionalmente di più di quelli ricchi. E’ nella spesa per la salute che espodono le differenze fra Paesi poveri e ricchi: la quota percentuale passa dallo 0,9 per cento al 6 per cento. Le differenze di quota sul prodotto nazionale fra Paesi ricchi e Paesi poveri sono più limitate nel settore dell’istruzione. 3. Organizzazione del settore pubblico. Il settore pubblico ha nel mondo moderno una struttura molto complessa. Nella maggior parte dei pesi è articolato i diversi livelli di governo: in Italia abbiamo 1) Governo o Stato centrale; 2)regioni; 3) Enti locali, a loro volta articolati in Province e Comuni. Ogni livello di governo è a sua volta formato da diversi tipi di organizzazione. Si può osservare la struttura del settore pubblico o con un’ottica verticale, guardando alla sua articolazione in livelli, oppure, con un’ottica orizzontale, guardando all’articolazione interna ad ogni livello. Consideriamo quest’ultima. Il governo centrale è composto da diversi livelli di organizzazione: a) il potere legislativo, formato da due camere; b) il potere giudiziario con al vertice la Corte Costituzionale, c) il potere esecutivo. Quest’ultimo ha una struttura più complessa che comprende quattro tipi di organizzazione diversi cioè i ministeri, le agenzie pubbliche, le gestioni fiduciarie e le imprese pubbliche. I ministeri e le agenzie pubbliche sono enti di governo a carattere generale che svolgono attività istituzionali caratteristiche di ogni società politicamente organizzata, quali la fornitura dei servizi di difesa, la giustizia. Gli enti generali svolgono attività che hanno carattere collettivo, che non sono distribuite sulla base di prezzo e che sono finanziati con sistemi di entrata generale. La forma giuridica/amministrativa tradizionale è quella dei ministeri, associata a procedure burocratiche. Le agenzie pubbliche sono strutture dotate di maggiore flessibilità organizzativa. Le imprese di proprietà, totale o parziale, pubblica assume forme diverse da nazione a nazione. Le imprese producono e/o distribuiscono beni e servizi, che richiedono un'organizzazione di tipo industriale. La distribuzione dei beni e servizi prodotti avviene tramite un sistema di prezzi diversi rispetto a quelli che applicherebbe un imprenditore privato. Le gestioni fiduciarie trovano applicazione nel settore pubblico soprattutto nel campo della previdenza sociale. Una gestione fiduciaria identifica, da un lato, un gruppo di persone/contribuenti obbligati a pagare determinate somme in relazione a loro caratteristiche e un gruppo di beneficiari che hanno diritto, a determinate condizioni, ad attingere alle risorse della gestione. 4. Le funzioni fondamentali del settore pubblico. Secondo Richard Musgrave le funzioni del settore pubblico si possono distribuire in tre grandi categorie: a) stabilizzazione, b) allocazione, c) redistribuzione. La funzione di stabilizzazione è collegata all’attenuazione delle fluttuazioni del reddito nazionale e può essere attuata – oltre che con gli strumenti monetari- attraverso il bilancio pubblico, cioè attraverso manovre delle entrate e/o delle spese. In un mondo globalizzato dove l' economie sono rivolte verso l'esterno le possibilità di stabilizzazione da parte dei singoli stati nazionali si sono ridotte. Ad esempio, se l'Italia decidesse in momento debole di sostenere l'economia interna con una politica di espansione della spesa pubblica,essa otterrebbe risultati scarsi a un costo elevato. Ma ciò non significa che non si devono svolgere politiche di stabilizzazione, ma che devono essere coordinate a livello internazionale; La funzione di allocazione riguarda l’utilizzo delle risorse e consiste, o nella produzione di beni e servizi messi a disposizione dei cittadini , quali la difesa, l’ordine pubblico, la sanità, oppure nella regolamentazione dei mercati. Con la regolamentazione, invece di intervenire direttamente in attività produttive, il settore pubblico detta le regole alle quali le imprese e le persone devono attenersi. La funzione allocativa è quella più importante; gli apparati e le burocrazie pubbliche si sono sviluppate soprattutto a questo fine. La tendenza recente è, però, di sostituire l’intervento diretto di produzione con un’attività di regolamentazione. Ad esempio, se un comune invece di costruire essi stessi un marciapiede affidano il compito a un impresa,il risultato è lo stesso se il lavoro sarebbe stato fatto dall'amministrazione comunale, ma in questo caso la spesa non compare nel bilancio del comune. La funzione di ridistribuzione è volta a correggere la distribuzione del reddito e della ricchezza dei cittadini ed è effettuata con una varietà di strumenti. In primo luogo, con gli 5.Beni di proprietà comune. Sono caratterizzati dalla rivalità e non escludibilità. Un tipico esempio sono le autostrade del cielo cioè i corridoi in cui gli aeri possono volare. Il dilemma dell’azione collettiva 8. Una soluzione collettiva e una soluzione individuale a confronto. Consideriamo un villaggio rurale di 1.000 abitanti infestato dalle zanzare; per combatterle esistono due soluzioni. La prima è di tipo individuale e consiste nell’acquistare bombolette di disinfestante e irrorare con esse la propria casa, il giardino, l’orto. La soluzione è probabilmente efficiente solo se adottata da tutti. Una seconda possibilità consiste nell’affittare un elicottero che effettui le irrogazioni per tutto il villaggio.( vedere schema pag 32)Le due soluzioni sono rappresentate da uno schema in cui sugli assi sono riportati in verticale il costo per l'abbattimento delle zanzare e in orizzontale la quantità di zanzare abbattute. La curva inclinata negativamente indica il prezzo che queste persone sono disposte a pagare per le diverse quantità di zanzare abbattute. Le condizioni d'offerta sono rappresentate dalla semiretta CM1 e CM2, che indica il costo unitario e il costo marginale delle due soluzioni. Il fatto che costo unitario e costo marginale coincidano significa che l'abbattimento delle zanzare e un'attività soggetta a rendimento di scala costante La soluzione individuale è rappresentata dalla semiretta CM1 che indica il costo per comprare una bomboletta e irrorare con essa l'intera casa. La seconda soluzione è rappresentata dalla semiretta CM2 che indica il costo per affittare un elicottero per irrorare con esso l'intero villaggio. Questa soluzione diventa possibile quando gli abitanti scelgono la via della collaborazione. In tal caso un costo di 200 euro diviso il numero degli abitanti avrà un costo unitario di 0,2 euro . 9.Cooperazione e azione collettiva. E’ possibile che un buon numero degli abitanti del villaggio si rifiutino di collaborare. E’ il classico problema dell’azione collettiva, cioè della contraddizione insita in un comportamento che da un punto di vista individuale è razionale,ma che, se seguito da tutti, conduce ad una sconfitta dal punto di vista collettivo, perché la soluzione migliore non è adottata. 10. La cooperazione fra due individui: prova unica. Vi sono due abitanti: due agricoltori con proprietà confinanti; entrambi sono assaliti dalle zanzare; per abbatterle e necessario che entrambi facciano un intervento. Data la prossimità fra i due, l’irrogazione del veleno da parte di uno di loro ha effetti positivi anche sul secondo. Vi è spazio per comportamenti strategici. Il primo, ad esempio, può essere tentato di non fare nessun intervento, di risparmiare il costo, avendo comunque un beneficio sostanziale che gli proviene dall’azione del secondo. Per studiare il modo con cui gi individui risolvono questi tipi di problemi le scienze sociali hanno sviluppato una disciplina: la teoria dei giochi. Primo può comprare il liquido e fare l’intervento e cioè cooperare, oppure non fare nulla, non cooperare, e aspettare gli eventuali benefici dell’azione di Secondo. I risultati delle due scelte dipendono dalle scelte di secondo, che può decidere di fare l’irrorazione oppure no. Se Primo coopera e anche Secondo coopera, entrambi hanno un vantaggio di 1. Se Primo non coopera e Secondo invece coopera, Primo avrà un beneficio di 1,5 ( non spende nulla e ha il beneficio dell’azione di Secondo). Secondo, di contro, ha un beneficio negativo di -0,5, perché spende ma parte della disinfestazione va a vantaggio di Primo. La situazione si ribalta se Primo coopera e Secondo no : -0,5 e 1,5. Mentre se entrambi non cooperano avranno un beneficio netto di 0. Il dilemma della cooperazione è rappresentato dalla matrice dei pagamenti. Se Secondo non coopera la scelta/strategia migliore per Primo è quella di non cooperare. Se Secondo coopera per Primo la strategia migliore è quella della non cooperazione. In definitiva qualunque scelta faccia secondo la condotta migliore per Primo – la strategia dominante secondo la teoria dei giochi – consiste nel non cooperare. Pertanto anche la scelta migliore per Secondo è quella di non cooperare. Entrambi scelgono di non cooperare e il risultato ottenuto sarà quello peggiore :0 di beneficio netto a testa. E’ il paradosso della non cooperazione. In termini tecnici si afferma che in questo caso i due individui hanno raggiunto un equilibrio di Nash, detto anche equilibrio non cooperativo. Ognuno ha seguito la strategia ottimale dato il comportamento dell’altro. Purtroppo così facendo entrambi gli individui raggiungono un risultato che è per loro il peggiore. 11. Cooperazione fra due individui: prove ripetute, ma in numero certo. La cooperazione è possibile solo se il numero di occasioni future di collaborazione non è conosciuto. Esempio: ci sono due occasioni di collaborazione. Primo prova a immaginare in che modo la sua decisione oggi può influire su quella di secondo alla prossima volta. Se gli fosse evidente che la sua scelta di oggi potrebbe condizionare quella successiva – ad. Es. se collaborasse oggi, indurrebbe Secondo a cooperare domani – allora potrebbe essere indotto a collaborare. Ma non è così. Ognuno dei due sa che la prossima è l’ultima volta. Vi è un problema di scelta senza effetti successivi, perché non ci saranno più altre possibilità di cooperazione. Poiché il risultato della seconda scelta non può essere influenzato da quello della prima, questa diventa l’unica e ognuno quindi non coopera. Il ragionamento vale aumentando il numero di occasioni di scelta. Se sono 3, Primo inizia a immaginare che cosa succede alla seconda scelta se lui collaborasse alla prima; ma si rende conto che la seconda scelta dipende dalla terza; ma la terza è l’ultima e quindi non può influenzare la seconda. Il gioco si riduce a due scelte e si riproduce esattamente il caso di prima. Le prospettive di cooperazione rimangono allora senza speranza. 12. Cooperazione fra due individui: prove ripetute in numero incerto. Se c’è incertezza sulla lunghezza della cooperazione la prospettiva può cambiare. Dato che i due non sanno se l’occasione di collaborazione è unica ognuno di loro sarà tentato di provare. Questa strategia è stata definita da Axelrod come strategia del tit-for-tat. Essa è una strategia di collaborazione condizionata, o se vogliamo di reciprocità. Si inizia con un tentativo di cooperazione e poi nelle occasioni successive si fa quello che ha fatto l’altro la prima volta: se ha cooperato, si continua a cooperare; diversamente si smette. La strategia del tit-for-tat può anche evolvere nella direzione opposta, invece di avviare comportamenti migliori fra gli individui, li può fare peggiorare continuamente. Un fattore importante nell’assicurare la cooperazione fra due parti è l’azione svolta da una parte, un giudice, la polizia, un arbitro; cioè l’azione di quello che si chiama lo Stato o il settore pubblico. L’esistenza di una terza parte è essenziale ma non è sufficiente o meglio non rende automatica la soluzione. 14. La cooperazione con un numero ampio di persone. Abbiamo un gruppo ampio di persone che devono decidere se cooperare oppure no. Quando i numeri sono elevati, la cooperazione diventa il tipico problema dell’azione collettiva. Distinguiamo due casi. Nel primo il risultato dell’eliminazione delle zanzare dipende dalla collaborazione di tutti. Se ogni abitante è interessato alla soluzione è probabile che vi sia collaborazione. La non cooperazione da parte di uno solo mette totalmente in gioco la soluzione collettiva. In realtà, in questa situazione non vi è spazio per comportamenti egoistici, perché chi non coopera non può trarre vantaggio dalla cooperazione degli altri. La seconda soluzione è quella dove l’attuazione della soluzione collettiva non richiede che tutti siano d’accordo, ma più semplicemente che sia d’accordo un dato numero q (detto normalmente quorum). Il risultato netto di primo dipende da 3 situazioni diverse. La prima è quella in cui si raggiunge il quorum. La seconda è quella in cui la decisione di Primo è cruciale per approvare la decisione. La terza riporta il beneficio netto quando si supera il quorum richiesto. In due casi su tre, se cioè meno di q o più di q persone cooperano, a primo non conviene cooperare. Gli conviene cooperare solo quando il suo voto è determinante per raggiungere il quorum richiesto. Ma non è facile sapere per Primo in anticipo come si comporteranno gli altri abitanti. Il comportamento di Primo come quello degli altri abitanti dipende dalle dimensioni di q. Nel caso in cui la cooperazione richiede la partecipazione di tutti, cioè il quorum è fissato a 100 per cento, l’incentivo a partecipare è molto forte e la cooperazione è probabile. Se riduciamo il quorum da 100 a 98 il ragionamento che fa Primo, e che fanno gli altri, è che per avere il risultato positivo della cooperazione pochi possono fare i free riders. Quindi Primo e gli altri saranno indotti a cooperare e probabilmente si otterrà un risultato di q o superiore. Se q diminuisce, passa a 90 e poi a 80, Primo e gli altri iniziano a pensare che il loro voto non è essenziale , cominciano a rendersi conto che un piccolo numero di defezioni è compatibile con l’ottenimento del risultato. Più si riduce il quorum, più paradossalmente diminuiscono le probabilità dell’azione collettiva. Forse soltanto quando q diventa piccolissimo le probabilità di riuscita della cooperazione tornano a salire. Sulla cooperazione influiscono altri fattori quali cultura moralità ecc. 15. L’imprenditore politico è colui il quale vede nella società un bisogno non soddisfatto e offre la sua azione per soddisfare questo bisogno. Serve a porre in essere l’azione collettiva cioè a convincere un numero sufficiente di persone a cooperare. La dimensione spaziale dei beni pubblici 16. Lo spazio come criterio classificatore dei beni pubblici. Le caratteristiche dei beni determinano il raggio di azione o la dimensione spaziale dei loro effetti. Questa dimensione ha un’estrema variabilità. Alcuni beni hanno un raggio di azione universale: i loro effetti riguardano tutte le aree e tutti gli abitanti della terra. Essi sono denominati beni pubblici globali. per darlo ad un povero,che muore di fame. E’ fortemente dubbio che una collettività accetti come miglioramento il passaggio a una nuova situazione in cui tutti, anche i poveri, vedono la loro posizione inalterata tranne un ricco che diventa ancora più ricco. Questo dubbio diventa ancora più forte quando il passaggio da uno stato a un altro comporta una differente allocazione, non di beni economici ma di altri beni, ad esempio i diritti politici. 4. Il principio di compensazione di Kaldor – Hicks La maggior parte delle scelte politiche comportano dei guadagni per alcuni individui e delle perdite per qualcun'altro, rinunciare completamente al giudizio limita il ruolo dello studio sociale. Ad esempio, supponiamo che su un isola vivono due individui che coltivano ed esportano del grano. Il primo a un guadagno e un consumo pari a 1000 unità, mentre il secondo guadagna appena 10 unità. Immaginiamo che il governo dell'isola decide di prelevare 10 unità del primo per darle a secondo, una decisione di questo tipo sarebbe stata approvata da tutti i cittadini, ma no secondo il principio Parentiano. Per questo motivo, per ovviare alla difficoltà di affrontare con il criterio Paretiano politiche che comportano redistribuzione John Hicks e Nicholas Kaldor hanno proposto il criterio di compensazione. Uno stato del mondo, o la situazione di una politica, A può essere giudicato preferibile a uno stato B, anche se il passaggio da A a B comporta il peggioramento della situazione di qualcuno, se coloro che sono avvantaggiati sono in grado di compensare integralmente quelli svantaggiati e rimanere in situazione migliore rispetto a B. Il passaggio ad una situazione di 999 unità per il primo e di 999 unità per il secondo sarebbe approvato dal criterio K-H rispetto alla situazione iniziale 10/1.000, ma non la distribuzione 500/500. Il criterio non accetta che l’aggiunta di una unità al consumo del povero possa aumentare il benessere complessivo in misura superiore alla diminuzione provocata dal prelievo di una unità del ricco. Non accetterebbe quindi una politica che modifichi la distribuzione da 10/1.000 a 11/999, perché non vi è possibilità di compensazione. Esso ammette, per contro, una situazione da 10/1.000 a 5/1.050, cioè una politica che riduce le risorse dei poveri aumentando il loro divario rispetto ai ricchi. il criterio K-H moltiplica le possibilità di scelta rispetto all’ottimo paretiano, ma contiene esso stesso elementi paradossali. Il principio di compensazione K-H è molto usato nella valutazione dei progetti di investimento. 5. La frontiera del benessere. Consideriamo una situazione in cui ci sono due individui, Tizio e Caio, e un certo ammontare di risorse a disposizione. Le risorse possono essere distribuite in combinazioni infinite fra i due individui, che a loro volta ne fanno uso come vogliono e ne ritraggono alla fine un certo livello di benessere individuale, cioè di utilità. La curva che unisce le infinite combinazioni di utilità dei due individui rappresenta la frontiera del benessere.. Ogni punto sulla frontiera è una situazione efficiente: indica, per ogni livello di utilità attribuita a tizio, il livello massimo di utilità attribuita a Caio. Se essa si compone di punti efficienti il passaggio da un punto a un altro sulla frontiera, come da A a B, comporta inevitabilmente l’aumento del benessere di un individuo e la riduzione del benessere dell’altro. I punti sotto la frontiera, come C, sono inefficienti. Da essi è possibile muoversi verso la frontiera aumentando l’utilità dell’uno, senza ridurre l’utilità dell’altro. Ad es. tutti i punti sulla frontiera compresi fra A e B sono efficienti rispetto a C. Ma seguendo Pareto non è possibile scegliere fra di essi. Grafico PAG.62 6. Le funzioni del benessere sociale. Una funzione del benessere sociale fornisce una classificazione di stati del mondo alternativi caratterizzati dal fatto che i diversi individui godono di differenti livelli di utilità. Secondo questa scuola del pensiero degli utilitaristi non vi è modo per distinguere tra un individuo e un altro: tutti devono avere la stessa considerazione sociale. Il benessere collettivo non è allora che la somma semplice dei benessere individuali. Consideriamo una società formata da due sole persone, graficamente viene riportato sull'asse verticale è rappresentata utilità di Tizio e su quella orizzontale è rappresentata l'utilità di Caio (graf. pag. 64). la funzione del benessere sociale di tipo utilitarista è espressa da ognuna delle semirette inclinate negativamente di 45°. La funzione ci dice che: il benessere collettivo è formato dalla somma algebrica del benessere dei singoli individui; tutti gli individui hanno lo stesso peso. Se diamo a W un livello di 100 nel punto "e" le utilità dei due sono perfettamente uguali: 50 unità a testa. Se riduciamo l’utilità di Tizio di 10 unità, è sufficiente, perché il benessere collettivo rimanga allo stesso livello, aumentare il benessere di Caio della stessa unità persa da Tizio, cioè 10. Analogamente se si riduce il benessere di Caio di 40 è sufficiente aumentare della stessa cifra quello di Tizio per rimanere con lo stesso livello di benessere collettivo. Questa funzione del benessere sociale è propria di una collettività che non attribuisce nessun peso al modo in cui il benessere è distribuito fra gli individui. Per aumentare il benessere sociale è necessario aumentare la somma dei benessere individuali. Inoltre la funzione di una società che desidera una distribuzione del benessere fra gli individui uguali, è nota come funzione del benessere di tipo rawlsiano. La forma funzionale dice che ciò che conta nel calcolo del benessere sociale è il benessere delle persone che hanno il livello minimo di benessere/utilità, mentre il benessere di quelli che stanno meglio non conta. Se tizio e Caio hanno rispettivamente livelli di benessere di 50 e 60, il benessere sociale è pari a 50. Se aumentiamo il benessere di Tizio, a parità di benessere di Caio, il benessere sociale non aumenta. Se invece se diminuisce il benessere di Tizio al di sotto di 50, si ha una diminuzione del benessere della società.( Grafico pag. 65). Graficamente una funzione del benessere sociale di tipo rawlsiano è rappresentata dalla spezzata We ad angolo retto. Capitolo 4 - Interdipendenza e esternalità. 1.Tassonomia delle esternalità Le esternalità possono essere positive o negative. L'esternalità positive:e ad esempio un apicoltore che tiene le arnie vicino ad n giardinofiorito, le sue api gratuitamente si nutrono del polline e allo stesso tempo impollinano i fiori. In questo caso la produzione è inferiore a quello ottimale;esternalitò negative; e ad esempio, una fabbrica che emette fumo nell'area. In questo caso la produzione è eccessiva perché il produttore spinge la sua attività oltre il livello cui la porterebbe se dovesse indennizzare gli abitanti dell'area circostante. Le esternalità possono essere prodotte, o subite, da imprese (produttori) o da individui( consumatori). Esternalità da impresa a impresa. Sono generate dall’attività produttiva di un’impresa sulla possibilità di produzione di una o più imprese. L’esternalità ricevuta da un produttore è collegata al livello della produzione di un’altra impresa. Esternalità da impresa a consumatore (e da consumatore a impresa). Questo tipo di esternalità è rilevante per il benessere degli individui. L’esternalità può essere connessa o direttamente alla produzione effettuata dall’impresa o all’uso da parte di essa di un particolare fattore produttivo, o da entrambe le variabili. Esternalità da individuo ad individuo. Concettualmente l’impatto derivante dall’attività di un individuo su quella di un altro può essere di due tipi o fisico o psichico. Nella maggior parte dei casi i due effetti son presenti contemporaneamente. Nella seconda categoria di tipo psichico rientrano i sentimenti di altruismo o di invidia. Interferenze di questo tipo generano una inefficienza allocativa. 2. Origini delle esternalità L’origine delle esternalità deriva dalla mancata, o imperfetta, definizione dei diritti di proprietà. L’attribuzione precisa dei diritti di proprietà, se possibile, permetterebbe di far sparire l’esternalità. Ma nella maggior parte dei casi la possibilità non esiste per effetto dei costi elevatissimi di transazione e di esclusione necessari all’attribuzione e all’esercizio effettivo del diritto. Il raggiungimento dell’efficienza allocativa non richiede di annullare completamente l’esternalità (ad es. l’inquinamento: qualsiasi attività di produzione è causa di inquinamento; ridurre a zero significa praticamente fermare la vita. La riduzione dell’inquinamento ha inoltre un costo, in questo caso richiede di rinunciare a risorse, e questo costo va confrontato con i vantaggi ricavabili dalla riduzione dell’inquinamento). 3. La correzione delle esternalità quando la tecnologia non è variabile L’unico modo per ridurre l’inquinamento consiste nel diminuire la produzione; non ci sono congegni o processi la cui applicazione possa ridurre le emissioni prodotte dall’impresa. La tecnologia è invariabile. 3.1. Con le imposte Prendiamo il caso di un impresa che inquina un corso d’acqua. L’inefficienza deriva dalla possibilità dell’impresa di acquistare un fattore produttivo a un prezzo troppo basso, e quindi potere praticare sul prodotto un prezzo artificialmente basso. Una soluzione consiste in un’imposta specifica sul prodotto dell’impresa inquinante, in modo da correggere il prezzo. L’importo deve essere uguale al danno marginale osservato al livello di produzione efficiente. Esso determina l’aliquota dell’imposta su ogni unità di produzione. Oltre alla produzione efficiente, l’imposta assicura anche un gettito che può servire ad indennizzare coloro che sono danneggiati dall’inquinamento rimanente oppure a finanziare un impianto di depurazione delle acque che abbatta la quantità di inquinamento. Il punto debole della soluzione introdotta con l’imposta sta nella sua applicazione, in particolare nella difficoltà di quantificare il valore del danno (inquinamento) connesso all’esternalità. 3.2. Con il pagamento di un sussidio. Un metodo, tecnicamente altrettanto efficiente dell’imposta, è rappresentato dalla concessione di un sussidio all’impresa inquinante, affinché corrisponde il costo minimo: MO in figura. Il modello è teorico ed esistono grandissime difficoltà a darne attuazione. Grafico. 3. Le decisioni con la regola della maggioranza, la teoria dell’elettore mediano. Teorema secondo cui, in una comunità in cui le decisioni sono prese a maggioranza, il risultato della consultazione elettorale tenderà a collocarsi intorno alla posizione mediana nelle preferenze dei diversi individui. Il teorema costituisce uno dei più noti risultati della teoria delle votazioni che indaga le procedure di formazione delle scelte collettive (v.). Esso presuppone che i votanti siano in numero dispari e che le preferenze abbiano un unico massimo (siano, cioè, single-peaked); date queste ipotesi, è possibile dimostrare che il risultato finale della votazione corrisponderà alle preferenze dell'elettore per il quale l'alternativa migliore si colloca in una posizione mediana. Quest'ultimo elettore, infatti, è quello che, trovandosi sulla mediana (v.) della distribuzione di frequenza delle preferenze della collettività, esprime una posizione con cui concorda la maggioranza degli elettori. Esempio: Una collettività di 5 persone deve individuare il livello della spesa pubblica, attualmente pari a zero, ma hanno diverse opinioni in merito. Mentre l'individuo A vorrebbe limitare le spese (e dunque preferisce l'alternativa a che comporta il minor esborso), gli altri sono favorevoli a livelli più alti di spesa collettiva. In particolare le preferenze dei 5 individui sono così ripartite (in ordine crescente di entità della spesa): Elettore Alternativa Livello della spesa A a 10 B b 20 C c 30 D d 40 E e 50 Le alternative sono poste a confronto due a due; nel primo confronto (a contro b), l'alternativa a (che prevede un livello di spesa pubblica pari a 10) avrà il voto favorevole del solo individuo A, mentre per l'alternativa b voteranno tutti coloro che sono favorevoli a livelli di spesa più elevati. Se ora si confronta b con c, a favore della prima alternativa voteranno A e B, mentre c otterrà 3 voti (quelli di C, D, E). Analogo risultato (3 voti a favore, 2 contrari) si otterrà confrontando c con d: il livello di spesa pubblica che d comporta, infatti, è ora giudicato troppo elevato dagli elettori A, B e C. L'elettore C, dunque, è quello mediano poiché in corrispondenza della sua preferenza il numero di coloro che vorrebbero una spesa pubblica minore è uguale al numero dei favorevoli a valori più elevati. . Il paradosso del voto a maggioranza ( o di Condorcet) La regola della maggioranza assoluta non assicura però in tutti i casi il raggiungimento di una decisione stabile e non arbitraria, capace di imporsi su tutte le altre e non indipendente dall’ordine con il quale le alternative sono sottoposte al voto. Si tratta del cosiddetto paradosso del voto, detto anche teorema dell’impossibilità del voto a maggioranza. Quando gli individui hanno preferenze ad una punta sola o cuspide la decisione raggiunta è indipendente dall’ordine in cui le alternative sono poste in votazione. Quando gli individui hanno preferenze a due punte nessuna alternativa è in grado di prevalere stabilmente sulle altre e la scelta di una di esse, nel caso di faccia una solo votazione, dipende unicamente dall’ordine con cui le alternative sono poste in votazione. Il risultato paradossale dipende da un cambiamento nell’ordinamento delle preferenze di un solo votante. In materia fiscale possono essere possibili i casi di frequenze a due o più punte. In generale si può affermare che la possibilità di maggioranze cicliche diventa tanto più elevata, quanto più distanti fra loro sono le alternative poste in votazione. 5. L’intensità delle preferenze La regola della maggioranza, permette a ogni elettore di dichiararsi a favore o contro un problema, ma non di esprimere l’intensità delle sue preferenze. L’elettore tiene cioè lo stesso comportamento votando si o no nei confronti di problemi che sente in maniera diversissima. Questa impossibilità di esprimere l’intensità può condurre la decisione di voto a maggioranza ad allontanarsi ulteriormente dall’ottimo Paretiano, ma la soluzione più ovvia – quella di assegnare ad ogni elettore un punteggio totale da distribuire fra le alternative soggette al voto – può condurre a risultati ancora peggiori. È facile immaginare una situazione in cui il guadagno della maggioranza è inferiore alla perdita della minoranza, cosicché questa sarebbe in grado di convincere la maggioranza a votare per l’alternativa preferita. La vittoria della minoranza sarebbe efficiente secondo la teoria paretiana. Il problema è risolvibile con l’introduzione di un voto a punteggio anziché a maggioranza. La regola del voto a punteggio fa prevalere l’alternativa che ottiene il punteggio massimo. Poiché il punteggio è maggiore, ci siamo avvicinati maggiormente a una situazione Paretiana. Ma questa offre la possibilità di un comportamento strategico, gli elettori potrebbero dichiarare in modo non sincero le proprie preferenze. 6. Il commercio dei voti Il problema dell’intensità delle preferenze viene anche risolto con il commercio dei voti. Una parte, che ha scarso interesse ad un problema, premette il suo voto, ad un’altra parte, molto interessata, a patto che quest’ultima voti a favore di un problema che sta a cuore alla prima. La pratica del commercio dei voti è stata additata da alcuni studiosi come causa principale della crescita della spesa pubblica. Anzi essa sarebbe causa di un aumento inefficiente provocato da un’errata valutazione dei costi/benefici associato allo scambio dei voti .Il commercio dei voti è molto frequente nelle assemblee elettive. I candidati e i membri di queste ultime, che hanno necessità di radunare un numero di elettori sufficiente ad essere eletti e rieletti, sono incentivati al commercio dei voti e dunque alla formazione di maggioranze necessariamente interessate a problemi diversi. In questa situazione, la probabilità di risultati complessivi inefficienti in seguito al commercio dei voti diventa assai più elevata, poiché i singoli elettori hanno poche possibilità di controllare efficacemente le scelte operate dai loro rappresentanti. Nel gergo politico americano la pratica del commercio dei voti è indicata come Pork barrel politics e viene riferita al sostegno reciproco che si danno i parlamentari per fare approvare progetti che concentrano i benefici e la spesa sulla propria circoscrizione elettorale e abbassano i costi all’intero elettorato nazionale. Le decisioni in un sistema di democrazia rappresentativa: il modello di Downs Nel mondo moderno la maggior parte delle decisioni sono prese da assemblee rappresentative, quali i parlamenti. Secondo Downs vi sono due categorie di attori: gli elettori e i partiti, o meglio rappresentanti dei partiti, che cercano di essere eletti. I partiti sono due. Gli elettoti votano per il partito che offre loro quella combinazione di politiche –entrate e uscite – che permette di ottenere la massima utilità. Cioè votano per il partito che permette di curare meglio i loro interessi. Gli uomini politici hanno come obiettivo diretto l’ottenimento della carica e quindi la vittoria elettorale. Più precisamente Downs assume che i politici cerchino di massimizzare i voti, ciò che permetterà loro di rimanere al governo, se già vi sono, o di accedervi se sono all’opposizione. L’ottenimento della carica permette di ottenere prestigio, potere, reddito e anche la possibilità di realizzare le proprie politiche. Questa concezione della politica è stata sviluppata inizialmente da Schumpeter nel suo Capitalismo, socialismo, democrazia, con un parallelismo fra uomini politici e imprenditori. Allo stesso modo in cui gli imprenditori mirano a massimizzare i profitti sforzandosi di capire i gusti dei consumatori e offrendo loro prodotti che li soddisfano, così i politici massimizzano i voti offrendo agli elettori piattaforme politiche in grado di soddisfare i loro interessi. Downs afferma : “L’ipotesi fondamentale del nostro modello è che i Partiti elaborano politiche per vincere le elezioni e non vincono le elezioni per formare politiche”. Date queste premesse, vincerà il partito che è in grado di formare una piattaforma capace di soddisfare le preferenze di una maggioranza almeno di elettori. Secondo Downs le preferenze degli elettori possono essere allineate lungo una dimensione unica, da sinistra verso destra. Un modello di questo tipo è stato sviluppato da Hotelling ipotizzando che i cittadini siano distribuiti in maniera perfetta uniforme lungo una scala che va da sinistra a destra. Il risultato sarà un movimento convergente dei partiti politici verso il centro. La piattaforma scelta sarà quella dell’elettore mediano e i partiti otterranno percentuali molto simili di voti; indipendentemente dall’identità del partito al governo, verrà attuata la piattaforma che corrisponde alle preferenze dell’elettore mediano. Downs ha sviluppato il modello di Hotelling includendovi ulteriori ipotesi sulla distribuzione degli elettori attorno alle piattaforme, ma sempre considerando un ipotetico allineamento dei problemi da sinistra a destra. Il primo caso è quello di una distribuzione di tipo normale: le posizioni estreme sono tenute da pochi elettori, la maggior parte di essi converge su posizioni centrali. In questa situazione la concorrenza fra i partiti conduce a risultati perfettamente analoghi a quelli previsti dal modello Hotelling. Il secondo caso è quello di una distribuzione bimodale: le preferenze sono accentrate attorno a due posizioni prossime agli estremi. In questa situazione, il partito che vincerà applicherà una piattaforma molto diversa da quella proposta dall’opposizione. I cambi di maggioranza condurranno dunque a modificazioni di rilievo delle politiche svolte. Un terzo caso è quello rappresentativo della società accidentale al tempo della stesura del libro, in cui la classe di lavoratori è più numerosa della classe media a reddito più elevato. Una situazione di questo tipo dovrebbe condurre a un governo che è espressione delle classi lavoratrici e che attua politiche di intervento pubblico incisive. 8. Le scelte di democrazia quando vi sono due dimensioni politiche distinte. ( grafico ??) Quando la decisione riguarda la combinazione di due politiche che sono completamente indipendenti l’una dall’altra non è possibile prevedere il risultato finale. Certo se le persone, o i partiti, assegnano peso diverso alle politiche, o l’intensità delle loro preferenze varia fra politica e politica, il processo decisionale è meno instabile e si può immaginare il risultato al quale condurrà. raggiungere l’efficienza. Diventa dunque essenziale stipulare contratti efficienti con il personale. Un contratto di agenzia indica per l’economista ogni contratto diverso da quello immediato ed impersonale di mercato. Abbiamo in particolare un rapporto di agenzia, quando una parte – l’agente – opera per conto di una seconda parte – il principale. Le due parti hanno obiettivi diversi e perseguano ognuno il proprio interesse. L’agente sceglie un’ azione possibile fra un certo numero di alternative. L’azione influisce sul benessere del principale, oltre che su quello dell’agente. Il rapporto di agenzia è svolto in condizioni di incertezza , cioè l’informazione è posseduta in maniera diseguale dai due contraenti. Il principale che non può continuamente sorvegliare l’azione dell’agente, deve allora incentivare l’agente a scegliere l’azione che massimizzi il suo (del principale) risultato. In generale, la soluzione consiste nello stipulare contratti in cui la remunerazione finale è collegata ai risultati ottenuti dell’agente. Però i risultati dell’agente non dipende solo dall’azione dell’agente, ma anche dagli stati del mando. Il risultato è che il contratto ottimale – detto anche contratto incentivante - per il principale terrà conto di due elementi: la necessità di incentivare l’agente ad essere efficiente e anche dal fatto che questi, se è avverso al rischio, domanda una compensazione per incorrervi. Gli schemi salariali adottati da tutte le organizzazioni pubbliche o private sono la combinazione di due contratti di remunerazione “polari”, cioè opposti rispettivamente il salario a prestazione, o a cottimo, e il salario a tempo. Entrambi esprimibili in termini generali dalla seguente formula: W = F + a Q dove: W è il salario; F è la componente fissa del salario, che non varia; Q è la produzione ottenuta dal lavoratore; a è il cosiddetto cottimo, cioè una percentuale del valore della produzione. Nel salario a cottimo la remunerazione è commisurata unicamente dalla produzione ottenuta dal lavoratore. Nella formula F diventa uguale a zero, a ha un valore positivo e quindi l’intera remunerazione dipende unicamente da quanto il lavoratore è in grado di produrre. Il contratto esercita una forte spinta sul lavoratore ad essere efficiente, ma gli impone al tempo stesso l’accettazione di un rischio molto elevato. Questo perché la produzione dipende non solo da lui, cioè dal suo sforzo, ma anche da variabili esterne, cioè dagli stati del mondo. Per essere indotti ad accettare questo rischio, il lavoratore domanderà un premio, cioè una compensazione, il cui livello dipende dal grado di avversione al rischio da parte del lavoratore. Il grado di responsabilizzazione, cioè di incentivazione del salario a cottimo, è molto elevato, ma a parte i problemi del rischio, l’applicazione di questo tipo di contratti è condizionata dalla possibilità e dal costo di misurare la produzione da parte del lavoratore. Se la produzione è complessa e se il risultato ha molte caratteristiche qualitative di difficile valutazione, questo tipo di remunerazione non è applicabile. Il cottimo non è applicabile al lavoro dei giudici. Nella realtà sono numerosissimi i casi in cui la produzione può in teoria essere misurata e la prestazione del lavoratore può essere controllata, ma il costo del controllo è così elevato da renderlo non economico. l contratto opposto è quello con il salario a tempo. La remunerazione diventa indipendente dai risultati della prestazione lavorativa e dipende solo dal tempo passato sul luogo di lavoro. Questo tipo di remunerazione si compone solo dalla parte fissa, F, mentre a diventa uguale a zero. Questo contratto è destinato a creare forte inefficienza, o meglio a ridurre lo sforzo lavorativo esercitato dal lavoratore. Con il contratto a cottimo l’incentivo a lavorare è molto forte, ma il rischio è elevato e occorre remunerarlo; mentre con il contratto a tempo le condizioni si invertono: rischio nullo e remunerazione con collegata alla produzione, ma anche assenza di sforzo da parte del lavoratore. (grafico ?). 3. Le difficoltà di motivare funzionari e dirigenti pubblici con incentivi adeguati. Una serie di situazioni e di motivi impedisce l’applicazione nel settore pubblico di incentivi cosiddetti ad alto potenziale – vale a dire forme di remunerazione in cui c’è una connessione molto forte fra la prestazione e il salario ricevuto. Questo è particolarmente vero per i dirigenti, cioè coloro che hanno funzioni complesse. Una prima difficoltà è la molteplicità degli obiettivi. Mentre le imprese private usano come primo obiettivo il profitto, le organizzazioni pubbliche perseguono una molteplicità di obiettivi. Di per se, la molteplicità degli obiettivi non rende impossibile l’uso di incentivi ad alto potenziale. Vi sono però ostacoli e difficoltà. Una di queste è il fatto, che gli obiettivi qualitativi assumono una rilevanza particolarmente forte nei servizi pubblici. Obiettivi che sono assai difficili da verificare. Quando la verifica della prestazione è molto difficile e/o quando la qualità è molto difficile da accertare, si adottano forme di incentivazione a bassissimo potenziale. Un caso classico riguarda i professori universitari. Essi hanno due compiti: la didattica e la ricerca scientifica. E’ stato, ed è tuttora usato, un incentivo a bassissimo potenziale e cioè il divieto di svolgere attività private, come le consulenze, al di là di un certo limite. La logica è che il professore concentri tutto il suo sforzo sulla didattica e sulla ricerca. Per motivare i funzionari si suggerisce di governarne la carriera con il sistema del merito. In effetti, le carriere dei funzionari pubblici possono essere governate da due sistemi: il merito o la lealtà. Secondo il sistema del merito ogni passo importante della carriera professionale viene deciso con imparzialità tenendo in considerazione unicamente le capacità e i risultati professionali. In un sistema basato sulla lealtà le stesse decisioni vengono prese sulla base dell’affiliazione ad un partito politico, ad un gruppo sociale comunque determinato, o ad un gruppo di potere interno all’organizzazione stessa, o ad un legame personale con il politico. Entrambi i sistemi hanno fautori e critici. Nei paesi con apparati pubblici arretrati e poco trasparenti, l’applicazione del sistema del merito trova molti ostacoli. Il sistema della lealtà è molto diffuso. Le democrazie attuali utilizzano entrambe le forme per coprire i posti al vertice degli apparati pubblici. Nei paesi con sistemi democratici poco sviluppati e con procedure di amministrazione poco trasparenti l’azione del criterio della lealtà è fonte di maggiori rischi. Il criterio del merito diventa assai raccomandabile. 4. I contratti fra enti pubblici e imprese private. Il settore pubblico di un Paese ad economia moderna acquista grandi quantità di beni dal settore privato. L’acquisto dei privati avviene con un meccanismo d’asta in grado di assicurare, se vi è concorrenza tra i fornitori potenziali, il prezzo più basso per l’acquirente pubblico. I problemi contrattuali con i privati non terminano però con l’assegnazione della fornitura all’impresa che ha offerto il prezzo minore soprattutto quando la fornitura riguarda un bene o un servizio che presenta qualche caratteristica di complessità o quando la fornitura richiede un periodo abbastanza lungo per essere effettuata. Tutti questi fattori comportano incrementi di costo rispetto alle previsioni iniziali e questo fa sorgere problemi contrattuali; in particolare su come deve essere determinato il prezzo della fornitura. Vi sono due soluzioni opposte. La prima consiste nel fissare nel contratto iniziale di aggiudicazione un prezzo immodificabile e quindi nel far sopportare all’impresa contraente tutti gli aumenti successivi di costo. Si chiama contratto a prezzo fisso. La seconda nel fissare un prezzo che riconosce all’impresa tutti i costi dimostrati più un margine di profitto sugli stessi. Questo tipo di contratto è detto del costo più di un margine. Entrambi i contratti presentano inconvenienti. Il contratto ottimale sarà una combinazione dei due. Precisamente, lo Stato paga una quota fissa commisurata ai costi che si possono prevedere al momento della stipulazione del contratto maggiorati del profitto normale e vi aggiunge una percentuale dei costi addizionali sopportati dall’impresa. 5. Efficienza tecnica ed efficienza allocativa. Un’impresa è efficiente quando sceglie la combinazione di fattori produttivi che le permette di minimizzare i costi di produzione. Si parla di efficienza allocativa, in relazione al trasferimento delle risorse finanziarie dai soggetti in surplus ai soggetti in deficit, quando la produttività marginale del capitale è la stessa per tutte le forme di investimento. In particolare, l’efficienza allocativa si realizzerebbe se tutti gli operatori (finanziatori ed investitori) agissero in maniera razionale, ricercando le opportunità di investimento/finanziamento che consentono di massimizzare la loro utilità attesa. Per efficienza tecnico – operativa si intende l’insieme delle organizzazioni e delle procedure grazie alle quali il mercato svolge le sue funzioni. 6. Efficienza e efficacia. L’efficienza non costituisce l’unico metro di misura con cui giudicare le politiche pubbliche. Esso viene infatti affiancato da un concetto supplementare: l’efficacia. I beni e i servizi prodotti dal settore pubblico possono essere suddivisi in due ampie categorie. Appartengono alla prima categoria i beni e i servizi che sono rivolti a soddisfare direttamente un bisogno, cioè una necessità di consumo; vengono denominati servizi “creativi”. Della seconda categoria fanno parte invece beni e servizi che non sono consumati per le loro qualità intrinseche ma perché sono funzionali al consumo o all’utilizzo di qualche altro bene, privato o pubblico; sono denominati servizi “preventivi”. L'identificazione del prodotto non problemi per la prima categoria mentre più complessa la seconda. Abbiamo in corrispondenza con le due categorie due concetti di produzione. Il primo è la “produzione diretta” ed è sufficiente a identificare la produzione per la prima categoria, ma non per la seconda. La produzione diretta può essere la quantità d'acqua fornita. Il secondo è la “produzione obiettivo“ che si sostanzia nel livello di soddisfazione goduto nel consumo dell’insieme di altri beni o servizi ai quali quello pubblico è funzionale. La produzione diretta può essere valutata in termini di efficienza. L’efficienza fa riferimento alla relazione che intercorre fra prodotto e fattori produttivi. La produttività è una misura dell’efficienza. Ad esempio, possiamo calcolare il rapporto che esiste fra il numero di automobili in dotazione del polizie e il numero di chilometri percorsi per vedere come è variato nel tempo. Però, non possiamo applicare la nozione di efficienza al secondo concetto di produzione, bensì a quello di efficacia. L’efficacia è un concetto che esprime la relazione esistente fra la produzione diretta di servizi (pubblici) e il raggiungimento degli obiettivi posti all’azione pubblica. Ad esempio se consideriamo il servizio di polizia l'efficacia di questo servizio è data dalla relazione che intercorre tra la quantità diretta di produzione e la riduzione della criminalità ottenuta. denunciati al pubblico i comportamenti corrotti o scorretti. Una terza via è l’istituzione di meccanismi di partecipazione popolare in cui i casi di corruzione e di cattivo trattamento possono essere portati alla luce. La partecipazione popolare ha grandi possibilità, ma presenta forti rischi. I comitati e gli organi partecipativi vari possono diventare l’occasione per ricatti, essere catturati da politici poco scrupolosi, diventare il centro si conflitti etnici. - Con l’introduzione di Agenzie indipendenti dal settore pubblico contro la corruzione. L’idea è di avere un’amministrazione separata dal resto del settore pubblico, con un organi di funzionari preparati e ben pagati, in grado di controllare con efficacia l’operato delle altre amministrazioni e di segnalare alla giustizia i comportamenti che si presume siano di corruzione. - Migliorando le remunerazioni dei funzionari pubblici. Le sanzioni economiche sono probabilmente più efficaci dove il settore pubblico è praticamente l’unico creatore di posti di lavoro di buona qualità. Se si aumenta il differenziale fra salari pubblici e privati e se si licenziano i funzionari corrotti, si crea un forte disincentivo della corruzione. Per ridurre i comportamenti corrotti dei funzionari pubblici occorre aumentare i salari pubblici rispetto a quelli privati, in modo da aumentare la penalità in cui incorrono quelli corrotti nel caso siano scoperti e cioè la perdita del posto di lavoro. Capitolo VIII – La regolamentazione delle attività economiche. 1.Tipi e tecniche della regolamentazione. Vi sono moltissimi tipi di regolamentazione. La regolamentazione economica ha come oggetto le decisioni di prezzo, di produzione e di ingresso e uscita dai mercati delle imprese; ha come obiettivi l’aumento dell’efficienza nella produzione e dei vantaggi ottenibili dai consumatori e quindi mira a correggere le imperfezioni di mercato. La regolamentazione sociale mira anch’essa a correggere le imperfezioni di mercato, in particolare a ridurre i costi sociali delle decisioni private ed è mossa da considerazioni di equità. Queste sono particolarmente presenti nella regolamentazione del mercato del lavoro che cerca di attenuare gli effetti della disparità di situazioni fra datori di lavoro e lavoratori, generalmente a vantaggio dei primi. La regolamentazione ambientale è invece un tipico esempio di politica volta a correggere un costo sociale, specialmente i danni all’ambiente provocati da imprese e individui. Un’altra importante componente della attività di regolamentazione è quella igienica e ambientale e la regolamentazione del traffico. In tutti gli esempi di regolamentazione sociale vi è un elemento unificante dato dalla riduzione del rischio di perdita della vita umana. 2. La regolamentazione del monopolio naturale. Si dice che si ha monopolio quando la soluzione di costo è sub additiva, quando cioè un’unica grande impresa è in grado di produrre a costi inferiori rispetto ad un insieme di piccole imprese e quindi vi è spazio sul mercato per una sola impresa. La spiegazione della sub-additività della funzione di costo sta nel fatto che i costi variabili sono una parte esigua dei costi di impianto. Un’impresa privata può gestire un monopolio naturale. Producendo la quantità per la quale il costo marginale è uguale al ricavo marginale essa ottiene un profitto elevato. La regola dell’efficienza afferma però che ogni attività va spinta fino al punto in cui il costo marginale è uguale al prezzo. La gestione privata senza regolamentazione conduce dunque a una situazione inefficiente. Vi è dunque necessità di un intervento pubblico, o con un’attività di regolamentazione, oppure con la sostituzione dell’impresa privata con un’impresa pubblica. In entrambi i casi l’intervento pubblico deve affrontare non facili problemi, se vuole essere efficiente, cioè se vuole spingere la produzione fino al punto in cui il beneficio è uguale al costo marginale. La gestione dell’attività condotta a livello efficiente comporta una perdita uguale alla differenza tra il costo medio e quello marginale moltiplicata per tutta la produzione effettuata. Abbiamo diverse soluzioni possibili per ovviare alla perdita che comporta l’applicazione del principio del costo marginale. 3. Sistemi ideali di prezzi amministrativi. - Prezzi uguali al costo medio: La soluzione più semplice consiste nel fissare il prezzo al livello del costo medio. La produzione viene portata ad un livello inferiore a quello efficiente, ma comunque superiore a quello della soluzione privata. La soluzione permette di annullare la perdita. Se invece si vuole rimanere al livello di produzione efficiente sono possibili alcune soluzioni diverse. La prima consiste nel finanziare la perdita di gestione con l’istituzione di un’imposta in somma fissa pari alla perdita e ripartita in parti uguali fra tutti i cittadini. Però le imposte in somma fissa sono considerate non eque. - Tariffa composta di due parti: Per ovviare a buona parte del problema di equità si può utilizzare una tariffa composta di due parti. Una prima parte, fissa, vien fatta pagare a tutti gli utenti e rappresenta il pagamento fatto per diventare utilizzatori del servizio. Una seconda parte è variabile e viene commisurata a ogni unità del servizio consumato. L a soluzione più ovvia per dimensionare le 2 parti della tariffa è di coprire il disavanzo con la parte mobile sulla base fissa e si determina la parte mobile sulla base del costo marginale. Dunque la parte fissa è una sorta di diritto di accesso che pagano ricchi e poveri. Se è elevata, essa può allontanare i poveri dal servizio è ciò può essere considerato non equo. Altrettanto non equo è il caso in cui la domanda è rigida perché il servizio ha caratteristiche di prima necessità. supponiamo che il servizio sia consumato da ricchi, in questo caso se a società vuole tutelare il benessere dei poveri, può fisare la parte variabile della tariffa, cioè il prezzo unitario a un livello superiore al costo marginale con il risultato che il deficit viene diminuito,e con esso la parte fissa tramite una contribuzione dei più abbienti. nel caso opposto in cui il servizio è un bene inferiore, si può procedere aumentando la parte fissa chiamando a contribuire i ricchi e riducendo la tariffa al di sotto del costo marginale per avvantaggiare i poveri. - La discriminazione delle tariffe: un’altra soluzione è rappresentata dall’applicazione di una tariffa singola, ma differenziata, o in base alle quantità consumate, o alle caratteristiche dei consumatori. Una soluzione di questo tipo funziona dal punto di vista dell’equità distributiva se il servizio in questione ha caratteristiche di bene inferiore. Non funziona più quando il servizio ha invece caratteristiche di bene superiore. La discriminazione della tariffa può essere effettuata non secondo la quantità, ma tenendo conto delle domande individuali. Se il servizio è utilizzato sia da privati che da operatori economici, si possono prevedere tariffe diverse per ogni singola categoria sulla base del loro consumo e della loro capacità di pagare. 4. Tecniche di regolamentazione del prezzo. 4.1 Il tasso di profitto equo. Sono stati elaborati due approcci diversi alla regolamentazione. Negli Stati Uniti si è sviluppata e si usa ancora la tecnica del tasso di profitto equo, mentre in Gran Bretagna e nell’Europa continentale si preferisce la tecnica del price, o revenue capping, cioè di un tetto massimo al prezzo o al ricavo ottenibile dalle imprese affidatarie. Le due tecniche hanno una matrice comune che è quella dei contratti incentivanti. Il contratto, in sostanza, deve: a) indurre l’impresa affidataria a tenere un comportamento efficiente, che il regolatore non è in grado di osservare compiutamente e, b) attuare una ripartizione del rischio efficiente fra le due parti. Quindi il relatore determina nel contratto il ricavo complessivo che l’impresa è autorizzata a incassare secondo una formula generale, che rappresenta entrambe le tecniche di regolamentazione: R = α F + (1 – α) C dove: R è il ricavo totale; F è il ricavo fisso; C è il costo totale; α è un fattore di incentivazione del contratto. Se α = 0 il ricavo è determinato unicamente dal costo totale: questo è il modello cui si richiama la tecnica del tasso equo di profitto. Se α = 1 il ricavo totale è totalmente scollegato dal costo. Questo secondo è il modello di riferimento della tecnica del price, o revenue capping, dove l’impresa si assume il rischio connesso a variazioni imprevedibili dei costi. 4.2. Il price capping E’ il metodo più diffuso nei paesi industrializzati e prevede l’individuazione di un prezzo massimo inferiore a quello praticato in monopolio non regolato. La regolazione cap permette di conseguire la piena efficienza produttiva, perché mantiene il rapporto ottimale di impiego dei fattori che minimizza i costi, e ogni guadagno in termini di minori costi di produzione è incamerato dall’impresa. Nella più semplice versione del price cap all’impresa regolata è concessa ampia libertà di stabilire le tariffe per i singoli servizi che fornisce. Essa può aumentare i prezzi di alcuni e diminuire quelli di altri, purché il valor medio soddisfi il vincolo imposto. . 5. Gli attori della regolamentazione. L’attività di regolamentazione è oggetto di pressioni da parte di gruppi di interesse. La complessità dei problemi da affrontare con la regolamentazione, la dimensione economica delle poste in gioco è l’intensità delle pressioni provenienti dai gruppi di interesse hanno suggerito di affidare la regolamentazione ad organismi, le Autorità indipendenti, dotate di una strumentazione più adeguata. Le Autorità indipendenti si caratterizzano per : a) elevata competenza specifica; b) responsabilità,cioè poteri regolativi, ben definite e mirate ai problemi da risolvere nel settore di operazione; c) indipendenza dalle pressioni politiche e particolaristiche. L’indipendenza è ricercata attraverso le procedure di nomina dei vertici delle autorità e attraverso la fissazione di elevati standard di professionalità e di condotta personale ai candidati per la nomina ed anche attraverso garanzie di non soggezione dei comportamenti e delle decisioni ad influenze esterne. nelle opportunità. La diseguaglianza nei risultati è più immediata e facile da misurare; ma può dare indicazioni imprecise per le politiche intese a ridurla, nella misura in cui i risultati dipendono da condizioni strutturali. La diseguaglianza è un problema individuale. Ciò significa che essa è riferita alle singole persone. Le statistiche però fanno riferimento in misura crescente alle famiglie. Occorre però considerare che esistono forti diseguaglianze anche all’interno delle famiglie. I confronti di diseguaglianze fanno anche frequente riferimento a gruppi di popolazioni, individuate in base alle condizioni personali, alla razza, alla cultura, alla religione e alle condizioni professionali. I confronti riguardano anche, e in misura crescente, diverse aree dello stesso Paese o Paesi diversi. 2. La misurazione delle diseguaglianze. Un modo molto semplice per avere un’idea della diseguaglianza della popolazione rispetto ad una variabile – ad es. la quantità di terra posseduta – consiste, in primo luogo, nell’ordinare la popolazione secondo la terra posseduta, partendo da chi ne ha di meno per arrivare a chi ne ha di più. Il secondo passo consiste nel dividere la popolazione in gruppi di pari dimensione numerica, ad es. quintili, e nel calcolare per ogni quintile la quantità di terra posseduta da coloro che lo compongono. Vi sono due tecniche largamente utilizzate in letteratura per rappresentare in maniera sintetica, cioè per misurare, la distribuzione di una variabile: la curva di Lorentz e l’indice di Gini. La curva di Lorentz è un’esposizione grafica dove sull’asse verticale è riportata la percentuale cumulativa della proprietà della terra; sull’asse orizzontale è riportata la percentuale cumulativa della popolazione. Se si riportano le informazioni otteniamo un insieme di punti; unendo questi punti otteniamo la curva di Lorentz. Per apprezzarla occorre considerare la diagonale di 45°: essa indica una situazione di completa eguaglianza nella distribuzione. La linea spezzata, che rappresenta la curva di Lorentz, è lontana dalla diagonale e indica una distribuzione molto ineguale della terra. Possiamo dare una misurazione numerica della diseguaglianza; infatti possiamo rapportare l’area compresa fra la curva di Lorentz e la diagonale all’area sottostante alla diagonale, ottenendo i coefficienti di Gini. Questo coefficiente assume valori che variano da 1 – quando le due aree coincidono, e vi è completa diseguaglianza – a zero quando si ha una situazione di completa eguaglianza e la curva di Lorentz coincide con la diagonale. Curva di Lorentz. grafico pag 200 3. La misurazione della povertà. La povertà fa riferimento all’incapacità di far fronte ai bisogni essenziali della persona a causa della mancanza di risorse. Per misurarla, occorre dapprima individuare una variabile, o dimensione, o combinazione di variabili/dimensioni, rispetto alla quale si definisce una soglia, detta anche linea della povertà. Gli individui, che non raggiungono questa soglia, sono definiti come poveri. La variabile/dimensione rispetto alla quale si misura la povertà può essere di tipo monetario, o non monetario. Le due fondamentali grandezze monetarie sono il reddito e il consumo. Vi è una generale preferenza verso l’utilizzo del consumo perché: a) si tratta di una variabile più strettamente collegata, rispetto al reddito, al benessere delle persone. Disporre di un reddito non significa necessariamente avere la possibilità di consumare. b) il consumo può essere più facilmente misurato del reddito. La povertà viene in misura crescente riferita a dimensioni non monetarie. Ciò permette da un lato, di controllare le informazioni riferite dal reddito, o dal consumo. Dall’altro, le dimensioni non monetarie permettono di ampliare il ventaglio delle condizioni di privazioni prese in considerazione. In effetti, è povero non solo chi non è in grado di alimentarsi a sufficienza, ma anche chi, perché analfabeta, non è in grado di informarsi sulle possibilità di accedere alle cure mediche e all’istruzione. Le più importanti dimensioni non monetarie sono: a) lo stato di salute delle persone singole e dei famigliari, l’accesso ai centri di salute; b) l’accesso alle scuole e il grado di istruzione posseduta. Le soglie o linee delle povertà possono essere definite in due modi alternativi: povertà assoluta e povertà relativa. Povertà assoluta fa riferimento ad uno standard, che si ritiene essenziale perché le persone possano soddisfare le loro necessità di base. Coloro che non raggiungono lo standard definito sono definiti poveri. Povertà relativa fa riferimento ad uno standard relativo ad altri componenti della società. In altre parole una persona può essere, o meglio sentirsi, povera non solo perché il suo tenore di vita è bassissimo, ma anche perché esso è molto basso in relazione al tenore di vita delle persone con le quali è solita confrontarsi. Si considera la distribuzione a livello nazionale, o regionale, della grandezza considerata e si fissa un livello, linea di povertà, al di sotto della quale si viene considerati poveri. 4. Le politiche di correzione. Consideriamo la disuguaglianza nei redditi. Nelle economie di mercato i redditi delle persone sono determinati dalla vendita di servizi dei fattori produttivi di cui esse dispongono. Quindi, la distribuzione dei redditi è determinata dalla combinazione di due elementi. Il primo è la disponibilità individuale dei fattori, soprattutto il capitale umano e quello materiale; il secondo elemento sono i prezzi unitari, che le persone spuntano nella vendita dei servizi del loro capitale. La distribuzione del capitale è determinata dalle condizioni famigliari e sociali, dalle trasmissioni ereditarie, dal risparmio, dai matrimoni, ecc. la capacità di lavoro di un individuo dipende sia dalle sue doti innate, sia dalle capacità acquisite con l’istruzione e l’attività lavorativa, sia infine dalla scelta del lavoro e il tempo libero. Il secondo elemento determinante della distribuzione dei redditi sono le remunerazioni unitarie dei fattori produttivi. Poiché le situazioni di concorrenza imperfetta sono assai più numerose rispetto a quelle di concorrenza perfetta, la remunerazione dei fattori è determinata, non più dalla loro produttività marginale, ma da fattori politico-istituzionali esterni al meccanismo economico. Svolgono un ruolo importante nella loro determinazione, anche fattori quali il sesso, l’età o le condizioni sociali. Inoltre, dato che la distribuzione è determinata sia dalla disponibilità di fattori, che dalle remunerazioni unitarie, gli interventi redistributivi si possono situare a due livelli e incidere sia sulla distribuzione iniziale delle dotazioni di fattori, ossia sul punto di partenza da cui inizia lo scambio sul mercato, sia sulla distribuzione dei guadagni ottenuti attraverso lo scambio. La redistribuzione delle dotazioni di fattori richiede soprattutto imposte e provvedimenti legislativi. I patrimoni si livellano con le imposte di successione e con quelle sul capitale e, nel caso della terra, con la riforma agraria. Il capitale umano richiede invece interventi di spesa diretti nel campo dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria, combinati con un prelievo fiscale che assicura i mezzi finanziari e che può servire a correggere la distribuzione delle remunerazioni. L’azione redistributiva a livello dei guadagni può essere effettuata sia con le imposte, in particolare quelle progressive, che attraverso la spesa; più precisamente mediante trasferimenti monetari quali la concessione di pensioni, assegni familiari, indennità di disoccupazione, sussidi al reddito minimo. Nei paesi poveri lo spazio esistente nei bilanci pubblici per questo tipo di interventi e generalmente molto limitato e le diseguaglianze sono corrette e la povertà è combattuta soprattutto con la fornitura di servizi essenziali nel campo della sanità e dell’istruzione. Capitolo X 1.Crescita ed importanza della spesa per il Welfare State Il Welfare State assorbe una massa considerevole di spesa pubblica che è destinata, in assenza di difficili politiche correttive, ad accrescersi, in particolare per la spesa pensionistica e per quella sanitaria, per effetto del crescente invecchiamento della popolazione. Le dimensioni raggiunte da quest’ultimo lo portano ad affrontare una sfida proveniente dal processo della globalizzazione. Tale sfida deriva dal fatto che tutte le economie nazionali sono obbligate a competere su un mercato a scala mondiale e in una situazione di mobilità di beni e persone. La spesa sociale include la spesa per le pensioni e gli altri interventi monetari per la protezione e l’assistenza sociale, la spesa per la salute. La dimensione della spesa sociale è più elevata nei paesi europei, specialmente quelli scandinavi noti come le “democrazie del benessere”, dove la spesa supera il 30% del PIL. L’Italia si situa fra i paesi ad elevata spesa sociale quasi il 30%. Inoltre la crescita è fra le più elevate quasi del 50%. 2. Il Welfare State in Italia. C’è confusione terminologica, soprattutto in Italia, sugli interventi di spesa tramite trasferimenti monetari. Più precisamente si tende a distinguere fra spese previdenziali, sostanzialmente le pensioni di anzianità, e le spese assistenziali, che sarebbero costituite da tutti gli altri trasferimenti monetari. Secondo la terminologia economica è più corretto distinguere fra interventi finanziari tramite contributi e interventi finanziari tramite i servizi di tassazione generale. I primi fanno parte del sistema di sicurezza sociale, mentre i secondi vanno a comporre il sistema di assistenza sociale. L’idea della sicurezza sociale è che le prestazioni sono pagate dai beneficiari tramite prelievi specifici, normalmente calcolati sul reddito da lavoro, i cosiddetti contributi sociali, o dalle assicurazioni sociali. Il modello bismarckiano si fonda sul principio assicurativo e tutela innanzitutto i lavoratori e le loro famiglie e si finanzia con i contributi sui salari. Il modello beveridgiano assicura una copertura universale e si finanzia con imposte generali. Buona parte delle prestazioni dei sistemi di sicurezza e assistenza possono essere fornite dalle assicurazioni private. Per quanto riguarda le pensioni quelle private sono gestite dall’INPS (Istituto nazionale per la previdenza sociale). L’Italia ha la concentrazione maggiore di spesa per le pensioni 16,6 % del PIL. Il nostro paese spende molto per gli interventi in denaro e molto poco per gli interventi che consistono in servizi. di guadagnare di più. Investire in salute produce dunque benefici a lungo termine. Non vi è una domanda diretta di cure sanitarie ma piuttosto una domanda derivata: si chiedono cure perché si vuole la salute. La salute non si ottiene solo con le cure, ma da una molteplicità di altri elementi, quali: a) lo standard generale di vita, in particolare il livello di reddito. In effetti, le condizioni di salute sono diverse fra Paesi ricchi e Paesi poveri; b)le scelte individuali, quali quelle relative al consumo di alcool e di tabacco; c) l’ambiente fisico in cui si vive, che può essere inquinato o no. 2. L’offerta sanitaria. Le cure sanitarie non sono un bene pubblico. Sono perfettamente rivali e sono quasi sempre escludibili. Ciò rende perfettamente possibile l’offerta privata. Medici, farmacie, infermiere, cliniche, ospedali privati sono operanti in tutti i Paesi. Accanto al settore privato, tradizionale e moderno, opera quello pubblico con proprie strutture. In taluni Stati, le cure sanitarie pubbliche sono prestate dal governo centrale, in altri dai governi regionali e locali, in altri ancora da enti pubblici con specializzazione settoriale. Non va dimenticato l’intervento del settore non-profit, cioè delle organizzazioni senza fini di lucro e caritative, presenti con forza non solo nei Paesi poveri, ma anche in quelli molto ricchi. Le organizzazioni non-profit allargano l’accesso alle cure a coloro che non sono in grado di affrontare i costi delle cure private e affiancano le strutture pubbliche, laddove sono carenti. La politica sanitaria, cioè l’intervento pubblico a favore della salute, non è concentrata soltanto nella fornitura diretta di cure mediche ed ospedaliere, ma opera anche nella fornitura d’informazione e nella regolamentazione sia dell’offerta sia della domanda, imponendo ad es. l’obbligo dell’assicurazione, di sottoporsi a vaccinazioni e controlli e vietando comportamenti individuali che sono particolarmente lesivi per la salute. 3. L’assicurazione privata contro le malattie. Diversamente dal cibo e da altri beni essenziali, il fabbisogno di cure sanitarie non è prevedibile e quindi la spesa relativa non è programmabile. Le persone potrebbero dunque trovarsi nella situazione di non essere in grado di curarsi per incapacità di pagare. La cura della salute presenta un rischio considerevole. Il problema del rischio può essere risolto dall’assicurazione. Gli individui sottoscrivono un contratto con un assicuratore in base al quale in cambio di un pagamento – premio assicurativo – all’inizio di un periodo, l’assicuratore si impegna a pagare le spese in cui l’assicurato incorrerà in quel periodo per curare la propria salute. La funzione dell’assicurazione è quella di aggregare il rischio. Mentre la probabilità di ammalarsi non è calcolabile a livello individuale, essa lo è quando si prende in considerazione un numero elevato d’individui. Le ragioni dell’intervento pubblico. Occorre distinguere i motivi d’efficienza, riguardanti la capacità degli individui di esprimere domanda adeguata per i servizi sanitari e le modalità dell’offerta, dai motivi d’equità. I motivi d’efficienza: a) asimmetria e carenza d’informazione. L’asimmetria d’informazione è una causa tipica di funzionamento imperfetto dei mercati. La cura della salute è un problema molto complesso per il quale la maggior parte delle persone non dispone delle conoscenze tecniche per: a) decidere se e quando ricorrere alle cure; b) conoscere le caratteristiche e le qualità di chi si offre di fornire le cure e, c) scegliere le cure più appropriate quando si ricevono informazioni diverse e contrastanti. La carenza d’informazione riguardo al fabbisogno futuro di cure sanitarie è una dei problemi peculiari di questo settore. Nessuno è in grado di anticipare quale sarà in futuro la necessità di richiedere cure e può essere in grado di fronteggiarla nel momento in cui questa necessità so presenta, se le cure sono particolarmente costose e/o continuative. Il problema può essere risolto con l’assicurazione. La soluzione assicurativa richiede che la gente sia previdente. Questi problemi di insufficiente previdenza nelle scelte individuali possono essere risolti con l’assicurazione obbligatoria contro le malattie. L’assicurazione obbligatoria può però non essere in grado di risolvere tutti i problemi. A parte l’incapacità dei poveri di pagarla possono anche sorgere difficoltà sul lato dell’offerta. L’assicurazione può comportare problemi per particolari categorie di persone, che hanno per motivi genetici un rischio di malattia elevato. Le compagnie di assicurazione potrebbero richiedere test genetici sui nascituri. b) Esternalità. Problemi di esternalità si manifestano soprattutto nel caso di trasmissione di malattie infettive. Se non sono vaccinato contro il vaiolo, posso contrarre l’infezione durante un viaggio in un Paese in cui il vaiolo è endemico e, una volta infettato, posso infettare anche gli altri. Ovviamente, le persone tengono conto solo dei propri vantaggi e costi privati e non dei vantaggi e dei costi sociali della loro azione. I motivi d’equità La capacità di informarsi non è ugualmente distribuita fra tutte le classi sociali. I poveri, certamente, hanno più difficoltà dei ricchi ad accedere all’informazione rilevante per la salute e, una volta acquisitala, possono avere maggiori difficoltà nell’usarla. Una componente della povertà è l’incapacità di accedere per motivi economici alle cure mediche. 5. Le modalità diverse dell’intervento pubblico a) La fornitura d’informazioni alla popolazione e agli operatori; b) La regolamentazione; c) L’imposizione di obblighi; d) Il finanziamento delle cure mediche; e) La produzione pubblica delle cure mediche. Ovviamente, l’organizzazione e l’azione effettiva dell’intervento pubblico in sanità divergono fra i Paesi. Nei Paesi più poveri il settore pubblico si limita a campagne d’informazione della popolazione e alla costruzione e gestione di presidi sanitari di base. Il finanziamento della spesa sanitaria. Vi sono quattro fonti principali di finanziamento della spesa sanitaria: 1) I pagamenti diretti da parte degli utenti. Sono contributi – in Italia i tickets – richiesti al momento dell’ottenimento di prestazioni, quali l’acquisto di medicine o l’effettuazione d’analisi. Sono in somma fissa. 2) I premi d’assicurazione. Sono pagati anch’essi dagli utenti direttamente o indirettamente. 3) I contributi sociali. Sono prelievi obbligatori. Si tratta di imposte con destinazione d’uso alla sanità. Sono destinati con riferimento ai salari. Sono amministrati da amministrazioni separate dal fisco, normalmente dagli enti – gestione fiduciarie – che gestiscono la protezione sociale. 4) Le imposte. 7. Il sistema della sanità in Italia Le cure sanitarie pubbliche sono prestate in Italia con un sistema organizzativo complesso che vede la partecipazione di due livelli di governo: il governo centrale e le Regioni. Il governo centrale opera attraverso il Sistema Sanitario Nazionale, che elabora i principi generali e le linee guida della politica sanitaria nazionale e fornisce la parte preponderante del finanziamento attraverso il Fondo Sanitario Nazionale. Le linee guida sono successivamente applicate dalle Regioni attraverso i Sistemi Sanitari Regionali. A sua volta, l’azione delle Regioni si sostanzia nella programmazione degli interventi e nella distribuzione delle risorse finanziarie alle organizzazioni, nominate Aziende Sanitarie Locali, o Unità Sanitarie Locali od anche Enti Ospedalieri. I servizi sanitari pubblici sono forniti su base pressoché gratuita (con l’eccezione dei contributi a prestazione noti come “ticket sanitari”). Accanto alla spesa pubblica esiste anche una spesa privata, che rappresenta circa un quarto della spesa totale. I cittadini infatti sono liberi di rivolgersi al sistema sanitario pubblico gratuito, oppure di adire pagando direttamente, o tramite sistemi assicurativi, al settore privato. Occorre chiarire che il sistema sanitario pubblico non opera unicamente attraverso strutture pubbliche e funzionari pubblici, ma anche comperando servizi dal settore privato e mettendoli poi a disposizione del pubblico. Abbiamo in Italia prestazioni complessive accettabili. Una dimostrazione sintetica è l’elevato valore della speranza di vita dalla nascita. La speranza di vita dalla nascita è molto elevata: non ci sono differenze rilevanti fra le regioni in Italia. L’istruzione. 8. I benefici privati dell’istruzione. L’istruzione, come la cura della salute, è un bene misto. Attribuisce a chi la consuma forte ed evidenti benefici individuali, contribuendo in modo determinante alla formazione del capitale umano. Non si tratta di solo capitale umano fruttifero di redditi monetari, ma anche di capitale umano fruttifero di benefici non monetari percepibili a livello individuale e sociale. 9. I benefici pubblici. L’istruzione è fonte di importanti esternalità (vantaggi). È chiaro che una popolazione più scolarizzata è in grado di dominare meglio la tecnologia. L’accesso generalizzato all’istruzione migliora l’ambiente sociale 10. I rendimenti dell’istruzione. Se dai benefici sottraiamo i costi, abbiamo i rendimenti dell’istruzione. Dobbiamo distinguere fra i rendimenti privati (per arrivare ai quali si calcola la differenza fra benefici e costi privati) e rendimenti sociali (per arrivare ai quali si sommano i benefici individuali e pubblici e vi si sottraggono i costi, anch’essi privati e pubblici). Le giustificazioni dell’intervento pubblico. Le giustificazioni dell’intervento pubblico vanno ricondotte, sotto il profilo dell’efficienza, alle tre categorie classiche dell’imperfetto funzionamento del mercato, delle esternalità e dei beni pubblici. Inefficienza del mercato. La scelta da parte degli individui se proseguire o meno gli studi comporta la disponibilità: a) d’informazione perfetta circa i flussi di reddito futuri connessi ai diversi tipi di scolarizzazione; b)di informazione circa la scelta del curriculum scolastico più adatto alle attitudini individuali. I singoli provenienti da famiglie meno abbienti possono non avere accesso a questa informazione, che deve dunque essere assicurata dal chiamano imposte ad valorem. Le imposte la cui base imponibile è definita in termini fisici si definiscono imposte specifiche. c) L’aliquota, t, è la parte di base imponibile che viene prelevata dall’imposta. Quando le basi imponibili sono identificate in termini monetari, l’aliquota è definita in termini percentuali. Quando la base imponibile è definita in termini fisici, l’aliquota viene definita in termini monetari. d) l’imposta da pagare, o debito d’imposta, I, è l’applicazione dell’aliquota alla base imponibile: I = t R 3. Alcune principali classificazioni delle imposte. a) Imposte dirette ed indirette. Le imposte dirette sono quelle sul reddito e sul patrimonio. Le imposte indirette sono tutte le altre. La componente principale delle imposte indirette è rappresentata dalle imposte sul consumo. La separazione fra imposte su reddito e patrimonio, da una parte, e imposte sul consumo, dall’altra, fa riferimento agli effetti redistributivi delle imposte. Patrimonio e reddito sarebbero indicatori migliori della capacità di pagare di quanto lo sia il consumo. Quindi, le imposte basate su di esse sarebbero più giuste delle imposte basate sul consumo. In effetti, l’uso degli aggettivi dirette ed indirette fa riferimento al fatto che le imposte sul reddito e patrimonio si riferiscono direttamente alla capacità delle persone di pagare le imposte, mentre le imposte indirette si riferiscono solo indirettamente a questa capacità, perché il consumo ne è un indicatore indicatore indiretto. Si discute molto sulla scelta fra reddito e il consumo come base della tassazione. Ci sono almeno tre argomentazioni a favore della tassazione del consumo: - la prima ricorre a una considerazione di valore etico/societario: mentre il reddito rappresenta il contributo che danno gli individui alla formazione della ricchezza della società, il consumo è il prelievo che si fa alla ricchezza formata. Sarebbe quindi più corretto da un punto di vista sociale usare il consumo come base della tassazione; - la seconda considerazione fa riferimento alla capacità di pagare delle persone durante l’intera vita; - la terza considerazione è una derivazione della prima. Il reddito si compone di consumo e risparmio. B) Imposte personali e imposte reali. Le imposte personali sono riferite a singole persone, fisiche o giuridiche, e tengono conto delle loro condizioni personali. La classica imposta personale moderna è quella sul reddito delle persone fisiche. Le imposte reali sono riferite alla sola base imponibile e non alle persone che ne dispongono, o l’utilizzano. Una classica imposta reale è l’imposta sulla benzina. c) Imposte progressive, proporzionali e regressive. Un’imposta è progressiva quando l’aliquota aumenta all’aumentare della base imponibile. Un’imposta è proporzionale quando l’aliquota non varia rispetto all’aumentare della base imponibile. Un’imposta è regressiva quando l’aliquota diminuisce all’aumentare della base imponibile. d) Imposte ad valorem ed imposte specifiche. Nelle imposte ad valorem la base imponibile, B, è misurata in unità monetarie e l’imposta è calcolata dall’applicazione dell’aliquota, t, a questa base. L’imposta dovuta sarà: I = t B Nelle imposte specifiche la base imponibile, Q, è misurata in unità fisiche e l’aliquota è calcolata in unità monetarie, n, per ogni unità fisica. L’imposta dovuta sarà: I = n Q La maggior parte delle imposte odierne sono ad valorem. 4. Caratteristiche strutturali dei sistemi tributari dei Paesi industrializzati e nei Paesi in via di sviluppo. Esistono differenze strutturali fra il sistema tributario dei Paesi ricchi e industrializzati e quello dei Paesi sottosviluppati. Una prima caratteristica da notare è che i Paesi sviluppati hanno in genere una pressione fiscale (data dal rapporto, I/PIL, dove I è il gettito complessivo delle imposte e contributi sociali e PIL e il prodotto interno lordo) molto elevata. Nei Paesi in via di sviluppo la pressione fiscale complessiva non arriva alla metà di quella dei Paesi sviluppati. La seconda caratteristica da mettere in rilievo è il diverso ruolo che svolgono le imposte sul reddito e quelle sul consumo. Più precisamente, nei Paesi sviluppati le imposte sul reddito hanno un gettito superiore a quello delle imposte sul consumo. Nei Paesi sottosviluppati il rapporto si inverte: le imposte sul consumo sono assai più importanti di quelle sul reddito. Queste caratteristiche sono da riconnettere alla diversa struttura dell’economia. I Paesi sottosviluppati hanno un settore economico moderno caratterizzato dalla presenza di imprese che pagano salari e fanno profitto, generando in tal modo una consistente base imponibile per le imposte sul reddito delle persone fisiche e sui profitti delle imprese. I Paesi sottosviluppati non hanno questa opportunità e devono quindi ripiegare sull’imposta del consumo. 5. L’incidenza delle imposte. Ogni legge che introduce una nuova imposta, o ne modifica l’aliquota, individua un componente che è obbligato a pagare l’imposta al fisco. L’analisi dell’incidenza dell’imposta è rivolta ad individuare chi effettivamente sopporta l’onere indipendentemente dalle norme legali. Il processo attraverso il quale l’onere, addossato inizialmente dalla legge sul contribuente di diritto, si sposta sul contribuente di fatto, è definito la traslazione dell’imposta. L’incidenza delle imposte dipende dalle scelte del bilancio del governo, in particolare dall’uso che il governo fa del gettito raccolto. Si possono distinguere al riguardo tre concetti di incidenza: - Incidenza assoluta: si esaminano gli effetti dell’imposta assumendo che il governo non vari la spesa, né le altre imposte. - Incidenza differenziale: si studiano gli effetti quando un’imposta viene sostituita da un’altra di pari gettito. Quest’analisi è essenziale nei casi di riforme o di modifiche del sistema tributario. Incidenza con il bilancio in pareggio: si analizza l’imposta congiuntamente alla spesa del suo gettito. L’incidenza è condizionata dal modo in cui il governo spende il gettito. Dal punto di vista della metodologia dell’analisi, la distinzione più importante è fra analisi dell’incidenza di equilibrio parziale ed analisi di equilibrio generale. Nell’analisi dell’incidenza di equilibrio parziale l’analisi è circoscritta al solo mercato del bene scambiato. Un simile procedimento è appropriato quando il mercato in questione ha dimensioni molto piccole rispetto all’economia e il bene tassato non ha forti rapporti complementarietà o sostituibilità con altri beni. Nell’analisi di equilibrio generale si tiene conto degli effetti dell’imposta sul funzionamento completo dell’economia. Questo approccio è assai più faticoso e complesso e i suoi risultati dipendono fortemente dalla correttezza delle ipotesi fatte sul comportamento degli operatori e sulla struttura dei mercati. Incidenza di un’imposta sulla vendita di un bene. Essa può essere dalla legge addossata all’acquirente o al venditore. In ogni caso, il primo effetto dell’imposta è di far si che ci siano due prezzi: uno per l’acquirente e uno per il venditore, la differenza è data appunto dall’imposta. Prendiamo un punto qualsiasi X sulla curva di offerta. Esso indica, il prezzo al quale il produttore è disposto a vendere la quantità di bene corrispondente, OQ. Il fatto che vi sia l’imposta non modifica di per sé le condizioni produttive e quindi, se l’imposta è addossata dal fisco al produttore, il prezzo minimo che questi sarà disposto a ricevere sarà uguale a QX + I, oppure P + I. La stessa cosa si verifica per ogni altro punto. Possiamo dunque costruire una nuova curva di offerta, O + I, che individua il prezzo, per ogni quantità, al quale il produttore è disposto a vendere una volta istituita l’imposta. L’incrocio tra questa nuova curva di offerta e quella di domanda ci dà il punto di equilibrio, E’. La quantità scambiata è diminuita, il prezzo pagato dal consumatore è aumentato, quello ricevuto dal produttore al netto dell’imposta è diminuito. L’imposta è pagata per una parte, pari a F’F, dal produttore e per il resto, pari a E’F’, dal consumatore. Grafico. Incidenza di un’imposta sulla vendita di un fattore produttivo. Ad es. il governo introduce un contributo assicurativo per una data categoria di lavoratori. Il contributo è addossato dalla legge agli imprenditori ed è di tanti euro per ora lavorata. La sua introduzione non modifica le condizioni produttive e quanto dunque i produttori sono disposti a pagare, per ora lavorata, in corrispondenza delle diverse ore acquistate. Prendiamo un punto Y sulla curva di domanda, per la quantità di ore corrispondente, PY, gli imprenditori sono disposti a pagare al massimo PO in totale e PO – I ai lavoratori. La stessa operazione si può ripetere per ogni punto della curva di domanda. Si può dunque ricavare una nuova curva di domanda, D – I, che comunica ai lavoratori quanto gli imprenditori sono disposti a pagare loro per la varie quantità scambiate al netto del contributo. Il punto di incrocio fra questa nuova curva di domanda e quella di offerta determina il punto nuovo di equilibrio, E’. esso ci dice che una parte dell’imposta, E’F, è pagata dalle imprese e una parte, FF’, è pagata e incide sui lavoratori. La quantità di lavoro scambiata è diminuita. Grafico. Se tutti cercano di sfuggire all’imposta, sfuggirà di meno chi potrà di meno, cioè ha meno potere contrattuale, o di mercato. Questo è indicato dall’elasticità della curva di domanda o di offerta. Incidenza di un’imposta sulla vendita di un bene a domanda rigida. Chi domanda ha poco potere contrattuale perché ha una curva di domanda completamente rigida e quindi verticale. Viene domandata una sola quantità quale che sia il prezzo. Se viene quindi introdotta un’imposta che fa aumentare il prezzo d’offerta a O + I, al consumatore non rimarrà altra soluzione che pagare il prezzo maggiorato dell’imposta. Il nuova punto di equilibrio, E’, è distante da E dell’intero ammontare dell’imposta. Grafico. Incidenza di un’imposta sulla vendita di un bene a domanda elastica. Caso opposto, cioè potere del compratore, avremo nel caso di domanda elastica. Qualsiasi aumento del prezzo farebbe scomparire la domanda; non resta altra possibilità al venditore/produttore se non quella di accollarsi l’intero ammontare dell’imposta. Grafico. che si applica alle persone fisiche, oppure con l’imposta sul reddito delle persone giuridiche, detta anche imposta sulle società, o imposta sui profili delle società. a) La tassazione delle persone fisiche con le imposte reali. Le imposte reali sul reddito delle persone fisiche si chiamano anche imposte cedolari, cioè su categorie separate di reddito. Consistono in imposte separate sulle diverse categorie di reddito. Abbiamo, ad esempio, un’imposta reale sui salari, sui redditi industriali e commerciali, sugli interessi bancari sui redditi della ricchezza mobiliare, sulla proprietà immobiliare. Per ogni imposta vi sono procedure distinte per determinare il reddito netto da tassare. Per ogni imposta si fissano aliquote e/o scale di aliquote nel caso si voglia introdurre la progressività (o regressività). Sovente, le aliquote sono diverse fra le categorie di reddito. Tradizionalmente, ad esempio, i redditi da lavoro sono colpiti con aliquote inferiori a quelle applicate sui profitti. b) La tassazione delle persone fisiche con le imposte personali. Le imposte personali sono pagate dalle parsone fisiche, singoli contribuenti, o famiglie. Il problema principale di ogni imposta è di definire che cosa costituisca reddito ai fini fiscali. Secondo l’impostazione prevalente il reddito consiste nell’accrescimento del potere economico delle persone, cioè del loro potere di disporre delle risorse. A sua volta questo potere può essere valutato in due modi diversi: 1) calcolando durante un dato periodo di quanto si sarebbe accresciuto il patrimonio di una persona, se questa non consumasse nulla; 2) calcolando il valore del consumo che la persona avrebbe potuto effettuare nel periodo senza intaccare il patrimonio. In definitiva, per accrescere il patrimonio o per effettuare il consumo una persona deve ricevere flussi di risorse costituiti da: - redditi monetari, o in natura, da lavoro, dipendente o autonomo presente o passato; - redditi monetari, o in natura, provenienti dal patrimonio posseduto; - donazioni, eredità, liberalità e trasferimenti vari ricevuti incluse le vincite sulle lotterie e giochi d’azzardo; - le variazioni nel valore dei patrimoni posseduti. La base imponibile delle imposte personali sul reddito è formata da flussi di ricchezza facilmente accertabili ed accettati pacificamente come reddito, quali appunto salari, pensioni, profitti, interessi, dividendi, affitti. Flussi di reddito di meno facile accertabilità, o di minore accettabilità fiscale, quali i guadagni di capitale sul patrimonio, le eredità e le donazioni ricevute e le vincite sui giochi d’azzardo sono tassati con imposte separate o nel quadro, laddove esistono, delle imposte sul patrimonio. c) Le imposte sulle persone giuridiche. I profitti delle società sono tassati dall’imposta sui profitti delle società. Le società sono detenute da individui, i quali incassano come reddito i profitti distribuiti dalle società stesse, cioè i dividendi. Poiché questi sono tassati dall’imposta sulle persone fisiche, si ha come risultato che i profitti distribuiti dalle società sono tassati due volte. Questa doppia imposizione ha effettivamente luogo se le società non sono in grado di trasferire l’onere della loro imposta su qualcun altro; in particolare, sui consumatori mediante aumento dei prezzi. Se fosse così, allora non vi sarebbe doppia imposizione. Vi sono due principali giustificazioni teoriche all’imposta sulle società per azioni. La prima giustificazione è che le società sono enti dotati di una vita e, soprattutto, di capacità propria che non si riassume semplicemente nella somma delle capacità dei singoli soci. Per questo, i loro profitti possono essere tassati autonomamente ed in aggiunta alla tassazione effettuata nei confronti dei soci. Si tratta della cosiddetta teoria “organica” delle società. La seconda giustificazione fa riferimento alla limitazione della responsabilità. Nelle società per azioni i soci rispondono dell’eventuale passivo solo alla concorrenza del patrimonio da loro conferito alla società. In altre parole, la responsabilità limitata crea vantaggi che sono sottoposti a tassazione. Prezzi pubblici e tariffe. Il principio della controprestazione. Una tendenza comune a tutti i Paesi industrializzati è l’aumento della frazione di spesa finanziaria con tariffe e prezzi, cioè tramite il principio della controprestazione. Il principio si applica a tutti i servizi pubblici. I tipi di entrata basati sul principio della controprestazione: - Prezzi quasi privati: sono pagamenti di natura volontaria a fronte di acquisti di beni e servizi forniti dal settore pubblico. - Prezzi pubblici: sono anch’essi pagamenti di natura volontaria. Anche in questo caso i consumatori determinano la quantità acquistata sulla base dei benefici ricevuti. - Tasse: sono pagamenti obbligatori rivolti a coprire il costo di un servizio di interesse generale, ma che comunque attribuisce un vantaggio particolare ad alcuni singoli. - Contributi obbligatori: sono pagamenti non volontari particolarmente rilevanti per la finanza locale. - Imposte improntate al criterio del beneficio: si tratta di pagamenti obbligatori distribuiti fra i beneficiari di un servizio. - Imposte di scopo: si possono considerare come una specificazione della categoria precedente. Nella terminologia finanziaria le imposte di scopo indicano la pratica di destinare il gettito di una determinata imposta al finanziamento di una determinata spesa. 9.2. Vantaggi e problemi nell’uso dei prezzi e delle tariffe per finanziare i servizi pubblici. Vantaggi: Sotto il profilo economico l’uso di tariffe e prezzi pubblici permette ai cittadini di segnalare le quantità desiderate dei vari beni e la loro qualità senza l’intermediazione e la discrezionalità dei politici e permette di ottenere in tal modo una più efficiente distribuzione delle risorse fra il settore pubblico e privato. I consumatori dei servizi pubblici possono ridurre la domanda o spostarla verso l’offerta dei privati nei casi in cui questa esiste. Sotto il profilo dell’efficienza allocativa se esistono più unità d’offerta accessibili per lo stesso servizio, l’introduzione di tariffe può spostare la domanda verso quelle che forniscono servizi di qualità migliore. Perché questa possibilità si realizzi occorre però introdurre meccanismi di autonomia per le unità fornitrici che le mettano in grado di decidere quantità e qualità in riferimento ai ricavi ottenuti. Inoltre, l’introduzione o l’aumento di una tariffa permette non solo l’exit (abbandono) ma anche la voice (protesta): il fatto di dover pagare incentiva i cittadini ad esprimere pareri e rimostranze nel caso considerino la politica di offerta insoddisfacente. Problemi: Il primo concerne i costi di esazione e di amministrazione delle tariffe; il secondo concerne in servizi il cui consumo dà origine a rilevanti economie esterne; il terzo fa riferimento al fatto che le decisioni dei consumatori prese sulla base dei prezzi possono esercitare effetti di efficienza sui produttori di servizi, se questi possono esercitare l’opzione exit, cioè occorre che ci sia una pluralità di fonti di offerta e che queste abbiano autonomia d’azione. Un punto cruciale è l’aspetto redistributivo dell’uso delle tariffe e prezzi pubblici. Il criterio della controprestazione non ha effetti distributivi: ognuno paga per quanto riceve e rimane con lo stesso reddito. Gli effetti distributivi della sua applicazione, o estensione, dipendono dunque dalla situazione precedente. Non si può affermare a priori che un aumento dell’area della controprestazione abbia effetti negativi sotto il profilo della distribuzione, però un aumento generalizzato e completo dell’area della controprestazione annullerebbe ogni effetto redistributivo netto prima esistente, e questo è difficilmente compatibile con la logica dell’esistenza di quasi tutto l’intero pubblico. L’amministrazione delle imposte. L’amministrazione è uno degli aspetti più delicati della politica tributaria. Vi sono alcuni fattori che influiscono in maniera negativa sull’amministrazione delle imposte; essi sono: - il numero elevato di contribuenti; - il numero elevato di imposte amministrative; - l’esistenza di un ampio settore informale; - le rilevanza dei lavoratori autonomi fra i contribuenti; - la scarsa pratica di tenuta libri e contabilità da parte dei contribuenti; - il basso livello di scolarità dei contribuenti. Un numero molto grande di contribuenti comporta un grande sforzo amministrativo per il fisco, che deve identificarli e richiedere le imposte e controllare che siano state pagate. Anche il numero troppo elevato di imposte è un ostacolo all’amministrazione. Questo perché il fisco deve distribuire le sue forze fra un numero elevato di procedimenti e disperde le energie in imposte, che sovente sono complicate amministrativamente, ma che hanno una produttività, in termini di gettito, ridicola . Ai fini dell’amministrazione è opportuno ricordare che le economie si dividono, sotto il profilo fiscale in due componenti, o settori. Il primo settore è quello in cui le imposte sono fatte pagare. Si tratta del settore dell’economia formale, dove i contribuenti operano con i vari adempimenti fiscali ed amministrativi. Il secondo settore si caratterizza per l’evasione elevata: in esso in contribuenti lavorano soprattutto nell’economia informale; poiché l’informazione a disposizione del fisco su di essi è molto carente, i tentativi di ridurre l’evasione sono inefficaci. L’indebitamento. L’indebitamento, ΔD, è uguale alla variazione rispetto all’anno prima dello stock, cioè della quantità, di debito posseduta dal settore pubblico. In tutti i Paesi il debito si distingue in due categorie, rispettivamente il debito interno , DI, che fa appello al risparmio nazionale e quello esterno, DE, che viene emesso sui mercati esteri e fa appello ai mezzi finanziari messi a disposizione dai mercati internazionali. Il debito estero è di norma acceso in valuta estera. Per ricorrere al debito interno vi sono due canali principali. Il primo consiste nel ricorso diretto al mercato dei capitali tramite l’emissione di titoli di debito pubblico, di solito chiamate obbligazioni, o Buoni del Tesoro. Questo canale è accessibile quando nel Paese esiste un mercato dei capitali sufficientemente sviluppato. Il secondo canale consiste nel ricorso diretto al credito bancario. In taluni Paesi, sottosviluppati, il sistema bancario si riduce ad una sola banca, sovente di proprietà pubblica o sottoposta a forte controllo pubblico. In questi casi, il settore pubblico si “indebita presso sé stesso”. Questo fenomeno era particolarmente frequente per i governi regionali e per gli stati dei governi federali. Il ricorso al debito da parte del settore pubblico avviene in concorrenza con il ricorso al mercato dei capitali da parte del settore privato, con il rischio che il primo “spiazzi” il secondo, assorba cioè il risparmio disponibile comprimendo le possibilità di investimento da parte dei privati. Occorre dunque trovare una composizione fra le esigenze di risparmio del settore privato. La ripartizione del prima casa, sono assoggettate all’ICI tutte le residenze secondarie, nonché tutti gli edifici ad uso commerciale ed industriale. IVA (imposta sul valore aggiunto). L’aliquota si applica sull’intero valore del bene, ma il venditore ha diritto a detrarre l’imposta pagata sugli acquisti di beni intermedi e d’investimento. L’imposta da versare è quindi pari alla differenza tra l’imposta incassata sulle vendite, V, e quella pagata sugli acquisti, A: T = t V – t A Le aliquote sono tre: a) l’aliquota normale si applica alla quasi totalità dei beni; b) l’aliquota ridotta del 10 % si applica all’elettricità, agli oli minerali, alle medicine e agli spettacoli; c) l’aliquota super ridotta del 4 % si applica ai beni alimentari di base, ai libri, ad alcune apparecchiature mediche e all’acquisto di nuove costruzioni residenziali. Accise. Per accisa si intende una imposta sulla fabbricazione e vendita di singoli prodotti di consumo. E’ un tributo interno che colpisce singole produzioni e singoli consumi. In Italia le accise più importanti sono quelle relative ai prodotti energetici, all’energia elettrica, agli alcolici e ai tabacchi. L’accisa è un’imposta che grava sulla quantità dei beni prodotti, a differenza dell’IVA che incide sul valore. Mentre l’IVA è espressa in percentuale del valore del prodotto, l’accisa si esprime in termini di aliquote, che sono espresse in termini monetari e che sono rapportate all’unità di misura del prodotto. Nel caso dei prodotti energetici le aliquote sono rapportate al litro, come nel caso della benzina e del gasolio, oppure al chilo nel caso degli oli combustibili e del GPL. L’accisa concorre a formare il valore dei prodotti, ciò vuol dire che l’IVA sui prodotti soggetti ad accisa grava anche sulla stessa accise. Nel caso dell’accisa sui carburanti vi è anche un’accisa regionale; cioè, le regioni hanno diritto ad applicare una loro propria aliquota che si aggiunge a quella dello Stato. Anche nel caso dell’energia elettrica vi sono due addizionali, comunale e provinciale, che si aggiungono all’accisa, cioè all’imposta di consumo statale. Imposta di sulle successione donazioni. Nel 2001 essa è stata abolita. L’abolizione è stata sorprendente, data la funzione tradizionalmente assegnata all’imposta di equalizzare i punti di partenza, riducendo le disparità patrimoniali trasmesse con le eredità. Nel 2007 l’imposta è stata reintrodotta anche se con aliquote contenute. Le aliquote sono relativamente basse e scalate in ragione del grado di parentela fra beneficiari e donatori. Capitolo XIV – Decentralizzazione e struttura territoriale del governo. Una dimensione fondamentale del settore pubblico è quella territoriale. Perché i cittadini possano accedere ai servizi pubblici, questi devono essere forniti da enti/uffici/agenzie distribuiti sul territorio. Questi enti possono dipendere in maniera gerarchica dal governo. Oppure, possono essere enti politicamente autonomi, come le Regioni, le Provincie e i Comuni. Questi enti politici autonomi sono definiti governi decentralizzati o governi sub-nazionali. Quando la fornitura dei servizi pubblici è effettuata sul territorio da enti dipendenti dal governo centrale, siamo in presenza di un sistema di governo decentrato. Quando invece la fornitura è effettuata da enti politicamente autonomi, siamo in presenza di un sistema decentralizzato. I sistemi di governo decentralizzati sono capaci di fornire prestazioni migliori di quelli centralizzati. .I vantaggi della decentralizzazione. Il modello di Oates. Secondo un modello sviluppato negli anni 1970 da Oates un governo decentralizzato trae la principale giustificazione nella sua capacità di soddisfare le preferenze di un numero maggiore di cittadini rispetto ad un sistema centralizzato. Il modello si basa su due ipotesi fondamentali: a) un governo di tipo centralizzato è in grado di produrre un’unica politica su tutto il territorio. Perché ci sia differenziazione nelle politiche è dunque necessario, secondo Oates, un sistema decentralizzato; b) le giurisdizioni locali sono disegnate in maniera tale da contenere al loro interno persone che hanno preferenze omogenee circa le politiche locali. Questa seconda ipotesi è valida soprattutto in società con forti differenziazioni di tipo etnico, o linguistico. Il teorema di Oates si basa sulla totale uniformità dei gusti all’’interno di ogni singola giurisdizione. Se invece vi è differenziazione delle preferenze all’interno delle singole giurisdizioni il teorema non tiene più; la decentralizzazione può addirittura portare non ad un guadagno, bensì ad una perdita. Il secondo problema, ancora più grave, del modello di Oates è l’ipotesi che il modello centrale debba fornire la stessa politica dappertutto. Il che non è vero nella realtà. I sistemi centralizzati, soprattutto quelli democratici, differenziano le politiche rispetto alle situazioni e alle preferenze locali. se questo è vero, allora non è più vero che è necessario un governo decentralizzato per avere differenziazione delle politiche. La teoria della decentralizzazione o del federalismo competitivo. Dobbiamo cercare altre spiegazioni dei vantaggi dei sistemi decentralizzati. Quelle più convincenti sono basate sulla concorrenza fra i governi subnazionali. Esistono due filoni di modelli. Il primo è quello della decentralizzazione , o del federalismo competitivo e non richiede, perché vi sia concorrenza, la mobilità dei cittadini, cioè che le persone spostino la loro residenza fra i diversi enti locali per avere servizi migliori e/o più adatti alle loro preferenze. Il secondo filone è il modello di Tiebout che richiede invece la mobilità. Secondo la teoria della decentralizzazione o del federalismo competitivo il maggior vantaggio di un sistema decentralizzato sta nella concorrenza fra i poteri che esso introduce e negli effetti positivi, che da ciò derivano sul funzionamento complessivo del settore pubblico. Infatti, in un sistema decentralizzato i cittadini possono appellarsi per soddisfare una propria necessità al governo centrale o ai governi locali dove risiedono, oppure confrontare il governo del proprio comune con quello di un altro comune, ponendo in tal modo in concorrenza il governo centrale con quelli locali, oppure i governi locali fra di loro. In sostanza, la decentralizzazione del governo è essenziale per il buon funzionamento della macchina politica, perché è dalla concorrenza fra i partiti che derivano i vantaggi per i cittadini e non certo dalla loro cooperazione, eccetto che in situazioni del tutto straordinarie come le guerre. E’ dalla concorrenza fra pubblica accusa e difesa che può venire la giustizia per l’imputato, non certo dalla loro cooperazione. La lotta alla mafia è rafforzata dalla concorrenza fra polizia e carabinieri, e non tanto, o non solo, dalla loro collaborazione. Allo stesso modo, la ricerca scientifica si sviluppa più rapidamente dalla concorrenza fra i vari istituti, piuttosto che dalla loro collaborazione. Il cittadino è più tutelato dalla concorrenza fra le istituzioni. In un sistema decentralizzato vi sono due tipi di concorrenza: vi è concorrenza verticale – cioè fra Stato e Regioni – e concorrenza orizzontale – fra Regioni e Regioni o fra Enti locali. La concorrenza verticale nasce dall’inevitabile sovrapposizione degli effetti di politiche diverse attribuite a governi diversi. Vi sono due tipi diversi di concorrenza orizzontale, o perlomeno diversi modi di rappresentazione della concorrenza. Ad es. nel modello di Salmon, perché si abbia concorrenza non è necessaria la mobilità delle persone. Il modello di Salmon fa riferimento a comportamenti realistici da parte degli attori in gioco. In esso, i cittadini non spostano la propria residenza fra un ente e un altro, ma vi è comunque concorrenza. I cittadini, infatti, valutano l’azione dei diversi enti politici, ponendo a confronto le prestazioni osservate e utilizzando queste valutazioni al momento del voto. Ne deriva che gli uomini politici, o i partiti al governo, sono consapevoli del fatto che la loro condotta di governo può essere d’aiuto, se non addirittura determinante, per mantenersi al potere e sono di conseguenza motivati a migliorare la propria azione. -Il modello di Tiebout: la concorrenza suscitata dalla mobilità residenziale. Il modello Tiebout, detto anche del “voto mediante le gambe”, dimostra che se vi è mobilità, se cioè le persone sono disposte a cambiare la residenza per avere servizi pubblici migliori, un sistema di governo locale introduce per i beni e servizi pubblici un meccanismo analogo al mercato, in grado di assicurare l’efficienza. Coloro che non sono soddisfatti di quanto 0000000fornisce e fa pagare il loro governo locale, si spostano verso un’altra giurisdizione, che offre un servizio, o un insieme di servizi, che meglio soddisfa le loro preferenze. Ognuno si sposta nella giurisdizione preferita. Quelle che nessuno vuole spariscono. Per dimostrare il suo modello, Tiebout si basa su ipotesi assai restrittive da apparire quasi irrealistiche. In particolare: - i consumatori/elettori hanno una completa mobilità e si spostano verso la giurisdizione locale, che soddisfa nel modo migliore le loro preferenze; - questa mobilità non è in alcun modo vincolata da quella imposta dalla ricerca di un lavoro; i consumatori/elettori hanno una conoscenza perfetta delle differenze esistenti fra le diverse giurisdizioni locali nella gamma dei servizi prestati e nelle imposte fatte pagare; - il numero di giurisdizioni locali è sufficientemente elevato da permettere la soddisfazione delle preferenze di tutti i consumatori; - i beni e servizi forniti da ogni giurisdizione non producono effetti esterni positivi o negativi, cioè l’area di ricaduta dei benefici e dei costi è delimitata dai confini delle giurisdizioni; - la produzione dei beni e servizi avviene a condizioni di rendimenti (di costi unitari) costanti. Se queste ipotesi tengono, la mobilità e le migrazioni assicurano il passaggio da una situazione di squilibrio ad una di equilibrio. La condizione di equilibrio può essere definita come quella in cui ogni giurisdizione locale fornisce esattamente quella gamma di beni e applica quella gamma d’imposte che soddisfa le preferenze di tutti i suoi residenti. Per converso, ogni cittadino è in grado di trovare la giurisdizione che soddisfa le sue preferenze. Le ipotesi di Tiebout sono molto vincolanti nel rappresentare il comportamento dei residenti locali consumatori/elettori. Una prima rilevante conseguenza della mobilità, accoppiata al decentramento, è la tendenza alla formazione di giurisdizioni stratificate in base al reddito. Vi sono due motivazioni a questa tendenza. La prima è che la domanda di servizi locali è correlata normalmente al reddito. La seconda motivazione è che le giurisdizioni ricche tenderanno ad escludere i residenti poveri, poiché questi pagano poche imposte e contribuiscono quindi in misura inferiore al finanziamento dei servizi. Un sistema, come quello immaginato da Tiebout, ha un’instabilità continua, che a livello sociale si traduce in fonte di conflittualità fra ricchi e 7. La distribuzione diseguale della base imponibile sul territorio. Poiché vi è l’esigenza che i livelli di servizi forniti, specie quelli essenziali, siano uniformi sul territorio nazionale, le imposte assegnate gli enti locali dovrebbero caratterizzarsi per una presenza, anch’essa uniforme, della base imponibile nelle varie giurisdizioni, al fine di garantire, a parità di aliquote applicate, eguaglianza di gettito (per abitante). Sono molto poche le imposte che soddisfano a questo criterio e, inoltre, esse si sono ridotte di numero con lo sviluppo economico, che è stato diseguale sotto il profilo spaziale. Praticamente tutte le imposte a vasta base imponibile presentano forti diseguaglianze nella potenzialità di gettito fra le diverse giurisdizioni. I redditi elevati e anche i consumi cospicui sono concentrati nelle regioni più ricche. Soltanto le imposte specifiche sui beni di prima necessità non presentano inconvenienti a questo riguardo. Fortunatamente, imposte di questo tipo non esistono più. 8. Criteri per l’attribuzione delle imposte ai governi sub-nazionali. L’imposta personale sul reddito e quella sui profili delle società sono adatte all’amministrazione da parte del governo centrale. Le imposte sulla produzione e sul consumo a larga base imponibile devono essere trattate differentemente a seconda della fase produttiva a cui sono applicate. Per essere più precisi, le imposte pagate alla fase della produzione dovrebbero essere assegnate al livello più elevato di governo, proprio per evitare il problema dell’esportazione. L’applicazione ai livelli sub-nazionali si raccomanda solo nel caso in cui questi abbiano dimensioni geografiche molto ampie; le imposte applicate alla fase terminale del processo di produzione/distribuzione, come le imposte sulle vendite al dettaglio, possono essere date in amministrazione agli enti locali a meno che questi siano eccessivamente frazionati. Le imposte specifiche di produzione vanno attribuite al governo centrale nel caso di beni manifatturati; possono essere attribuite ai governi locali nel caso dei servizi. Le imposte sulla terra e sugli immobili sono le più adatte per i livelli inferiori di governo. 9.Un approfondimento sull’imposta sulla proprietà immobiliare. Si tratta dell’imposta più diffusa a livello locale. Vi sono quattro principali versioni dell’imposta: 1. Sul valore capitalizzato della rendita annuale della proprietà. In questo sistema la base è definita in relazione all’affitto figurativo, cioè l’affitto che sarebbe percepito se l’immobile fosse dato in locazione. Vi sono grosse differenze rispetto al valore di mercato per effetto: a) delle detrazioni legali ammesse; b) della regolamentazione degli affitti; c) delle difficoltà di accertamento. Le aliquote sono normalmente uniche, cioè proporzionali; nei paesi sottosviluppati però sono applicate di frequente aliquote progressive. 2Sul valore della terra e dei miglioramenti apportati, incluse le costruzioni. La base è accertata dagli uffici fiscali, che dovrebbero tener conto dei prezzi di mercato. Le differenze sono però notevoli per effetto delle difficoltà di accertamento e delle revisioni a scadenza piuttosto lunga. 3. Sul valore del suolo. Si tratta di una versione speciale dell’imposta precedente, perché appunto sono tassati solo il terreno e non i miglioramenti. 4. Sui guadagni di capitale realizzati sulla proprietà. L’incremento di valore può essere tassato sia al momento della realizzazione tramite la vendita, oppure in rapporto alla sua maturazione. 10. Il finanziamento dei governi sub-nazionali con trasferimenti. 10.1 Obiettivi dei trasferimenti. I trasferimenti fra giurisdizioni di diverso livello hanno assunto un ruolo molto importante nel finanziamento degli enti locali per almeno quattro ordini di motivi. Il primo consiste nella riduzione delle imposte amministrabili senza difficoltà a livello locale e della loro importanza. Il secondo motivo è redistributivo. Le giurisdizioni più ricche sono in grado di prestare maggiori e migliori servizi, a parità di prelievo fiscale, delle giurisdizioni più povere. Senza compensazioni si avrebbero elevati divari nei livelli di fornitura di servizi. I trasferimenti più adatti in questi due casi sono quelli generali, cioè concessi senza destinazione prefissata da chi li distribuisce e quindi utilizzabili dai destinatari secondo le priorità settoriali da essi fissate. La terza motivazione principale alla concessione di trasferimenti è connessa alla correzione delle esternalità dell’azione locale, più precisamente agli effetti di traboccamento dei servizi locali. La quarta motivazione risiede nella definizione a livello delle giurisdizioni superiori di priorità, o di livelli minimi, nella prestazione di servizi da parte delle giurisdizioni inferiori. I trasferimenti che rispondono a questi ultimi due tipi di motivazioni sono detti settoriali o specifici, la loro destinazione è cioè prefissata dal donatore. 10.2 I trasferimenti generali. In generale, tutti i sistemi decentralizzati sono caratterizzati da un elevato squilibrio fiscale verticale. Il governo centrale spende meno quando incassa, mentre i governi sub-nazionali sono nella condizione opposta: hanno cioè un livello assoluto di spesa superiore a quello delle entrate. Normalmente, questo squilibrio è tanto più elevato quanto minore è la dimensione del governo subnazionale. Lo squilibrio viene corretto con trasferimenti da parte del governo centrale. Questi trasferimenti possono essere sia specifici che generali ma questi ultimi sono assai più adatti dei primi. Oltre a coprire lo squilibrio verticale, i trasferimenti generali servono anche a correggere differenze di capacità finanziaria fra i diversi enti sub-nazionali. 10.3 Tecniche di riparto dei trasferimenti generali. La ripartizione fra i beneficiari dei trasferimenti generali è un compito molto complesso, poiché si deve tener conto di situazioni e di fattori molteplici. Innanzitutto, occorre tener conto della ricchezza dei governi beneficiari e dunque delle loro capacità di finanziare le spese. In secondo luogo, a parità di capacità di finanziamento i governi beneficiari possono avere necessità diverse di spesa. Abbiamo diverse tecniche di riparto dei trasferimenti generali: a)Riparto in somma fissa. Il governo centrale, che dispone del potere tributario, si è impegnato ad assicurare la differenza di spesa ed entrata. Supponiamo che abbia determinato l’ammontare globale di risorse che intende trasferire e occupiamoci della sua distribuzione: il criterio più semplice dal punto di vista amministrativo è di effettuare un riparto egualitario, non in termini assoluti, ma per ogni cittadino residente, cioè pro-capite. E’ sufficiente dividere l’ammontare globale per la popolazione nazionale e moltiplicare il risultato per gli abitanti di ogni comune. Il metodo è di applicazione facilissima, ma i risultati sono insoddisfacenti per molti motivi. Principalmente, perché non tiene conto delle risorse proprie degli Enti locali beneficiari; perché le necessità di spesa possono essere diverse in relazione anche alla situazione ambientale; perché, infine, distribuendo anche a chi non ne ha stretto bisogno si può incentivare l’inefficienza. b) Riparto secondo la capacità di finanziamento. Una soluzione più adeguata del problema della distribuzione consiste nell’aumentare il grado di equità nella distribuzione tenendo conto della ricchezza degli enti locali e dunque delle capacità di finanziamento. Un primo sistema consiste nell’erogare i trasferimenti semplicemente sulla base del gettito fiscale e tariffario dei beneficiari. Il sistema non incentiva in alcun modo la tenuta di un comportamento responsabile da parte dei beneficiari, perché in generale minore è il loro gettito fiscale, maggiore è il trasferimento. Lo standard può essere definito dal governo erogatore decidendo l’ammontare minimo di risorse che deve essere messo a disposizione di ogni ente beneficiario. c) Riparto secondo i fabbisogni di spesa. Il sistema di governo locale in Italia. 11. Il panorama generale. Sotto il profilo dell’articolazione territoriale del governo, l’Italia si configura come un sistema di tipo regionale, o quasi federale. Esistono quattro livelli di governo sub-nazionale: Regioni, Province e Comuni e Città metropolitane, Province e Comuni (e Città metropolitane) formano quello che si chiama il governo locale. Comunque in termini quantitativi il settore pubblico italiano continua ad essere abbastanza centralizzato. Circa il 50% della spesa del settore pubblico è effettuato dall’amministrazione dello Stato. 12. Le regioni. Ordinamento e competenze. Esistono attualmente in Italia quindici Regioni a statuto ordinario e cinque a statuto speciale: Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Sicilia e Sardegna. La caratteristica principale che distingue le regioni dagli altri livelli del governo locale è rappresentata dal fatto che le Regioni dispongono del potere legislativo in una serie di materie definite dalla Costituzione, o da leggi costituzionali nel caso delle Regioni a statuto speciale. Le Regioni ordinarie hanno competenze legislative e amministrative in un numero ampio di settori, raggruppate in tre grandi aree. La prima è costituita dai servizi sociali definiti: sanità, alcuni servizi di assistenza alle persone, assistenza scolastica, cultura, formazione professionale e, a seguito della riforma costituzionale, parte dell’istruzione. La sanità in termini di spesa è la più importante funzione regionale, ma è da ricordare che le regioni non gestiscono direttamente i servizi sanitari. La seconda area è formata dalle funzioni di pianificazione e uso del territorio. Le Regioni devono regolare le modalità di approvazione e modifica dei piani regolatori emanati dai Comuni. La terza area raggruppa le competenze in materia di governo dell’economia, quali: turismo, commercio, agricoltura, pesca locale, artigianato, cave e anche l’industria. Finanziamento. Le Regioni ordinarie sono finanziate in parte da imposte proprie, fra le quali l’IRAP, l’accisa sulla benzina, addizionale IRPEF e la tassa automobilistica, e per il resto, da trasferimenti di perequazione e specifici da parte dello Stato. Il modello di finanziamento delle regioni a statuto speciale si basa sul sistema delle compartecipazioni, cioè sul versamento alle Regioni stesse del gettito di buona parte dei tributi statali incassati entro i confini regionali. La Regione maggiormente beneficiaria di questo sistema è la Sicilia.